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H. Aster
view post Posted on 14/4/2009, 20:16 by: H. Aster     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Verona, città di Emilio Salgari.

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Nuova FF, stavolta decisamente seria.
Ecco qui i primi due capitoli. Con l'ultima puntata metterò anche il link per il file word.

Buona lettura. :)


Questa Fan Fiction è dedicata a:
Reika, che ha letto per prima gli abbozzi;
Kojimaniaca che ha letto per prima la versione definitiva;
Grande Blu, che non ne sa nulla e per la quale è una sorpresa.

IL TEMPO PERDUTO

Capitolo 1 – Invasione

L’assalto era cominciato per gradi.
Dapprima, Vega aveva agito in modo sotterraneo, inviando animali robotizzati a colpire punti nevralgici, distruggendo linee di comunicazione ed inquinando le acque.
Poi era avvenuto l’attacco vero e proprio: sciami di dischi erano piovuti dal cielo, sparando all’impazzata sulle città, distruggendo antichi, meravigliosi palazzi e sterminando la folla inerme. Mostri enormi avevano vomitato raggi energetici capaci di polverizzare in un unico colpo monumenti che avevano sfidato i millenni. Migliaia di persone erano state letteralmente vaporizzate, non lasciando di sé più la minima traccia.
Fu allora che Duke, il principe di Fleed che aborriva la violenza, fu costretto a compiere quanto aveva sempre sperato non dover fare: usare Goldrake per sconfiggere il nemico, distruggerne i dischi, ucciderne gli uomini. Nonostante la sua giovinezza, Duke s’era battuto come un guerriero esperto, rispondendo colpo su colpo agli avversari, incalzandoli senza dar loro tregua, uccidendoli prima che loro stessi avessero potuto fare altrettanto… e mai, mai, mai una volta si era ritirato, si era mostrato debole, vile.
Re Vega aveva reagito inviando ancora più forze su Fleed: sciami di dischi erano calati sulle città, mostri orrendi avevano ripreso la carneficina. Duke Fleed aveva risposto coraggiosamente ad ogni attacco, ma la verità, amarissima, era prepotentemente emersa.
Erano troppi.
Tutti, su Fleed, sapevano che avevano perduto. Tutti sapevano che non era certo la pietà quello che potevano aspettarsi da Re Vega. Tutti sapevano che sarebbe stato meglio morire che finire nelle mani dei nemici… e di quei nemici.
Fleed sarebbe caduto, era solo questione di tempo; che sarebbe successo se Re Vega avesse potuto mettere le mani su Goldrake? Quel robot, costruito per essere un mite garante di pace, in mano a Vega sarebbe divenuto il più tremendo, efficientissimo strumento di morte.
Questo, il Re di Fleed non poteva permetterlo.
Agì durante una tregua tra i combattimenti; avvenivano, di tanto in tanto, ma erano sempre più rare e più brevi.
Naida aveva avuto sentore di quanto sarebbe accaduto, e aveva supplicato la regina di poter essere presente. Sapeva che Duke avrebbe dovuto partire con Goldrake, e sapeva anche che si sarebbe rifiutato di farlo; lei avrebbe potuto aiutare a convincerlo.
La regina l’aveva guardata, gli occhi lustri, e aveva assentito: – Vieni anche tu, cara.
Naida l’aveva seguita nel palazzo reale. Avevano percorso in fretta corridoi, attraversato stanze: ovunque regnava un silenzio innaturale. Sporco, calcinacci e schegge di vetro ingombravano i meravigliosi pavimenti di marmo, alcune colonne candide erano rotte o scheggiate e attraverso i finestroni si poteva vedere il giardino devastato dai bombardamenti: alberi divelti, macerie, crateri di bombe esplose. Ritta in mezzo a quella che era stata un’aiola fiorita, la statua di marmo di una fanciulla che danzava; era l’opera di un grande scultore, e quella ballerina sembrava stesse per spiccare il volo, eterea, vibrante di vita… ora di lei non restavano che le gambe. Spezzata ai fianchi, il resto della danzatrice giaceva a terra, nel fango.
Naida aveva sempre ammirato quella statua: vedere quei due monconi bianchi assurdamente ritti verso il cielo oscuro di polvere la colpì più di ogni altro orrore avesse visto fino ad allora. Allibita, si costrinse a staccarsi dalla finestra per seguire la regina; ma dentro di sé sentiva ormai un freddo terribile che sapeva non l’avrebbe più lasciata.
Lo studio privato del re era rimasto ancora integro; fu là che trovarono Duke e suo padre, intenti a discutere.
– Non posso abbandonarvi! – esclamò Duke, con tutta la foga dei suoi giovani anni – Se me ne andassi, non avreste più nessuna difesa contro quei mostri!
– Siamo sconfitti, Duke – il re di Fleed non amava parlare per perifrasi – Si tratta solo di evitare una disgrazia peggiore. Ci pensi a che accadrebbe, se Re Vega arrivasse ad avere Goldrake?
Duke si morse le labbra: – Mi stai chiedendo di fuggire…!
– Ti sto chiedendo di salvare miliardi di vite – suo padre gli pose le mani sulle spalle e continuò, occhi negli occhi: – Duke, Re Vega ci ha attaccati perché vuole Goldrake. Se arriverà ad averlo, la nostra sconfitta sarà totale. Lo capisci, questo?
Il giovane chinò la testa. Comprendeva.
Suo padre continuò: – Se Vega potesse disporre di Goldrake, lo userebbe per conquistare altri pianeti, sterminare popolazioni intere, distruggere civiltà, uccidere… Duke, questo non possiamo permetterlo.
Il giovane sentì la gola serrarglisi; incapace di rispondere, si limitò ad assentire.
– Io non voglio lasciarvi…! – mormorò infine.
Il re sentì una fitta al petto: nonostante si fosse battuto come un uomo, Duke aveva appena parlato come il ragazzo che era. Lo strinse a sé, tastandogli la schiena, le braccia ancora sottili da adolescente, cercando di vivere intensamente quell’ultimo abbraccio di suo figlio; poi si costrinse a lasciarlo: – Devi andare, e devi andare subito, prima che riprendano l’attacco. Porta via Goldrake. Cerca un pianeta remoto, il più lontano che tu possa raggiungere, e nasconditi: Re Vega sa che tu sei l’unico che può pilotare Goldrake, e farà di tutto per catturarti vivo. Questo non devi permetterlo.
– Se anche accadesse – rispose con durezza Duke, affilando i tratti del viso – non mi potrà obbligare a pilotare Goldrake per lui!
Suo padre scosse il capo: – Re Vega può farlo, credimi. Può far alterare la mente d’un uomo e trasformare in suo schiavo anche il suo più irriducibile nemico… trasformerebbe anche te. Non devi farti catturare, Duke.
Il giovane drizzò fieramente la testa: – Non mi avranno mai vivo. E non avranno Goldrake. Hai la mia parola.
Suo padre si costrinse a lasciarlo, ad allontanarlo da sé: – Vai, ora.
Duke si volse, scorse il viso pallidissimo di sua madre e la sua ferma risoluzione cadde: – …Non posso andarmene senza di te! Non posso permettere che tu… tu…
La regina lo strinse a sé, impedendogli di continuare quelle parole che ferivano per primo lui stesso. Sapevano entrambi che la partenza di Duke avrebbe significato l’immediata caduta di Fleed.
Duke e sua madre non si parlarono: si erano sempre compresi senza bisogno di discorsi. Rimasero stretti l’uno all’altra, consci che quell’ultimo abbraccio era tutto ciò che restava loro. Se solo fosse stato possibile portare in salvo qualcuno… qualche passeggero, almeno uno… ma l’autonomia di Goldrake, per quanto lunga, non era infinita. Un secondo passeggero avrebbe dimezzato le risorse di sostentamento, e il viaggio interstellare avrebbe potuto essere lunghissimo. Non si poteva nemmeno prendere in considerazione una simile ipotesi.
Duke guardò sua madre, imprimendosi nella memoria quel viso stanco e così caro; poi la lasciò bruscamente, quasi avesse temuto di non riuscire a staccarsi da lei.
– Ti accompagno – mormorò Naida, ma lui scosse il capo. Sentiva di doversi allontanare subito dalle persone che amava, immediatamente, senza indugi; o non avrebbe più potuto farlo. La baciò con disperazione, sapendo che non si sarebbero mai più rivisti; si strappò dalle sue braccia quasi con violenza, precipitandosi fuori della stanza senza voltarsi più indietro.
Per fortuna Maria non era presente: non avrebbe potuto tollerare la vista di quel visetto disperato, quegli occhi colmi di lacrime.
– Duke!
Una vocetta infantile… il rumore di piedini in corsa… Maria doveva essere riuscita a sfuggire alla sua governante per correre da lui. Non era facile imbrogliare una bimba preveggente…
– Duke!!!
Il ragazzo esitò: la sua sorellina che non avrebbe mai visto crescere…
Un rombo lontano. L’attacco stava ricominciando.
Doveva far presto.
S’allontanò di corsa, imponendosi di non udire i richiami disperati di Maria, di non voltarsi, non chiedersi nemmeno che ne sarebbe stato d’una bimba piccola perduta tra i bombardamenti… non poteva farlo… Doveva portare via Goldrake.
Corse, corse, corse senza più fermarsi.


Attraverso i vetri spezzati, il cielo appariva caliginoso; ad est, lampi rossastri annunciavano che l’attacco, la distruzione erano ricominciati.
Stretti in un abbraccio, il re e la regina di Fleed guardavano ansiosamente il cielo, aspettando, aspettando… accanto a loro, Naida si torceva le mani, in attesa.
Un lampo bianco sfrecciò improvviso, prendendo velocità, scomparendo infine tra le nuvole.
Il re e la regina si sorrisero: erano due genitori che avevano messo in salvo la loro creatura. Almeno, lui sarebbe sopravvissuto.
Quanto a loro, avevano trascorso la vita insieme; insieme, avrebbero affrontato anche quello che sarebbe inevitabilmente accaduto.
Naida strinse le braccia attorno al corpo, mentre continuava a guardare là dove Goldrake era ormai scomparso.
Vai, amore mio. Io sono finita: vivi tu anche per me.


Capitolo 2 – Ricordi

Per la prima volta dopo giorni, si permise di ricordare.
I dischi che sciamavano dal cielo, devastando uomini e cose con i loro raggi energetici… le esplosioni, le grida dei feriti, il pianto urlante di chi ha perso tutto, tutto, tutto…
Erano nel loro palazzo, quando i veghiani avevano fatto irruzione uccidendo chiunque si fosse loro ribellato. Il padre di Naida, il duca Barsagik, sperava che non opponendo resistenza si sarebbe potuto evitare il peggio.
Il duca era un uomo gentile, leale. Non poteva comprendere la mentalità brutale di un soldato di Vega.
Erano una famiglia di cinque persone: Naida, il suo fratellino Sirius, i loro genitori e la nonna.
Fu proprio la nonna la causa involontaria del disastro: la povera, dolce, fragile nonna, troppo anziana e malferma di salute per essere utile come schiava. Vederla e puntarle addosso il fucile fu per i soldati di Vega un atto a dir poco ovvio.
Con un urlo la madre di Naida si slanciò sulla nonna, facendole scudo con il proprio corpo esattamente nel momento in cui il soldato faceva fuoco. Finirono a terra abbracciate l’una all’altra, morte sul colpo.


Mamma… Naida chiuse gli occhi mentre sentiva ancora le oscene bestemmie urlate dal soldato, furioso per la morte di quella donna ancora giovane e bella. Che spreco, che peccato! Ma se l’era voluta lei.
Il duca Barsagik rimase un istante attonito a fissare i resti contorti che un istante prima erano state la sua adorata moglie e sua madre; poi si gettò come una furia sul soldato, gridando ai suoi figli di fuggire.
Naida afferrò per mano Sirius e infilò di corsa un corridoio, puntando verso il giardino. Sentì dietro di sé tonfi, urla, imprecazioni… una raffica di proiettili energetici. E il silenzio.
Naida continuò a correre, pensando febbrilmente a come avrebbe potuto salvare Sirius. In fondo al giardino c’era una porticina seminascosta tra gli alberi: avrebbero potuto fuggire di lì, e poi… poi…
Il giardino s’aprì improvvisamente davanti a loro. Nel cielo sfrecciavano i dischi, che continuavano la loro opera di distruzione; alcuni pezzi di cornicione erano piombati nelle belle aiole fiorite, e un albero giaceva spezzato di traverso al viale. Naida e Sirius puntarono in fretta verso il boschetto che celava la porticina, che appariva così lontana, così lontana…
Un’esplosione, uno schianto, e furono gettati violentemente a terra.
A fatica, Naida si rimise carponi: era dolorante e stordita, ma sentiva di non aver nulla di rotto. Si voltò verso Sirius… dovette cacciarsi i pugni in bocca per non urlare.
Sirius giaceva riverso, pallidissimo: respirava a fatica, e un rivolo di sangue gli usciva dalle labbra violacee. Un pezzo di pietra giaceva accanto a lui. Lentamente, Naida comprese: un disco aveva colpito il palazzo, e quel detrito era stato sbalzato via centrando Sirius nella schiena.
Qualcosa parve frantumarsi in Naida… niente sarebbe stato più come prima. Distrutta, raccolse tra le braccia il fratello e scoppiò in lacrime, incapace di scappare, di lasciarlo, di far qualsiasi altra cosa che non fosse urlare tutto il suo dolore.
Fu così che li trovarono poco dopo, lui svenuto e lei che piangeva disperata. Mani crudeli li separarono, strappandole il fratellino dalle braccia. Mentre la trascinavano via, Naida vide un soldato chinarsi per esaminare Sirius; si divincolò furiosamente, urlando, graffiando, prendendo a calci l’uomo che l’aveva catturata. Quando gli morse una mano, lui le appioppò un ceffone che la gettò a terra. Sentì che qualcuno stava armando una pistola…
Un lampo verde, e il mondo scomparve.
Si risvegliò non seppe quanto tempo dopo, nel ventre oscuro di un’astronave.


- continua -
 
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