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H. ASTER's FICTION GALLERY

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H. Aster
view post Posted on 27/4/2009, 21:14 by: H. Aster     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Capitolo 8 – Guerra
L’inizio dell’assalto alla Terra coincise con un incupimento di Hydargos, che divenne ancora più ombroso; all’inizio, Naida pensò che fosse preoccupato, schiacciato dalla sua stessa responsabilità. Il tempo però passava e lui sembrava farsi sempre più chiuso e nervoso, per cui le fu evidente che qualcosa non stava andando per il verso giusto; ma cosa fosse quel “qualcosa”, non fu certo lui a dirglielo. Né lei si azzardò a domandare.
Pensare che tempo prima lui le aveva prospettato la conquista della Terra come un’impresa facile e veloce…
Ogni sera Hydargos tornava a casa sempre di cattivo umore; dapprima, Naida aveva temuto che avrebbe sfogato su di lei il suo nervosismo, ma fortunatamente non fu così. Lui non voleva altro che distrarsi, dimenticare le preoccupazioni quotidiane; le attenzioni di lei, le sue chiacchiere, il suo raccontargli come aveva passato la giornata lo aiutavano a distendersi, ricordandogli che l’esistenza non era fatta solo di insuccessi e dei rimbrotti dei superiori.
Tuttavia, nonostante la forzata allegria di Naida, per Hydargos le cose andavano sempre peggio. Partiva alla mattina rinfrancato e grintoso, tornava da lei silenzioso e cupo. Cominciò a mangiare di meno, e la notte era costretto a prendere un rilassante per poter dormire. I rimproveri di Gandal, gli insulti di Re Vega, il timore di perdere in autorevolezza davanti ai suoi uomini, tutto contribuiva ad avvelenargli l’esistenza, a privarlo della lucidità che gli sarebbe stata necessaria; ma era un comandante di Vega, gli ostacoli per lui avrebbero dovuto essergli da stimolo.
Disgraziatamente, non era così: il tempo passava, e lui stava sempre peggio.
Naida lo guardava con apprensione: lo vedeva deperire, prima o poi se avesse continuato così si sarebbe ammalato.
Una sera, non appena lei gli andò incontro lo vide con una luce strana negli occhi; quando lui la baciò, Naida avvertì un forte odore di liquore.
Aveva bevuto, era evidente… col cuore stretto dall’angoscia, Naida si sforzò di mostrarsi allegra come sempre, ma intanto lo teneva d’occhio: non sapeva cosa aspettarsi da lui, quale effetto l’alcool avrebbe potuto avere. Se Hydargos si fosse trasformato in un bruto violento, lei non avrebbe potuto chiedere aiuto a nessuno, e nessuno avrebbe mosso un dito per difenderla.
Da parte sua, Hydargos percepì chiaramente il suo timore; avrebbe voluto rassicurarla, spiegarle che mai si sarebbe ridotto a perdere il controllo, ma naturalmente non poteva farlo. Nessun padrone può umiliarsi tenendo un simile discorso alla sua schiava.
Nei giorni successivi, le cose continuarono come erano cominciate: Hydargos beveva, e beveva forte, ma il suo fisico reggeva benissimo il liquore; orgoglioso com’era, e terrorizzato all’idea del ridicolo, lui era poi capace di comprendere quando fermarsi, quando smettere. Nonostante tutto, riusciva a mantenere il dominio di sé, anche se una volta alticcio era più facile allo scatto di collera, al momento d’ira.
Prese a rincasare più tardi: in preda ai fumi dell’alcool, preferiva passeggiare a lungo nelle zone più deserte di Skarmoon, in attesa di sentirsi più lucido, in modo che Naida non si sentisse troppo intimorita da lui – e non provasse disprezzo, soprattutto. Questo, non avrebbe potuto sopportarlo.
Un pomeriggio, esasperato dall’ennesimo fallimento e in preda alla furia, distrusse la sua poltrona scaraventandola contro una parete; il giorno dopo, ricordando l’episodio, ridusse drasticamente la dose di liquore. Mai avrebbe sopportato di farsi vedere alterato dai soldati, mai avrebbe potuto tollerare di essere causa di sguardi disgustati e risatine colme di disprezzo. Mai, soprattutto, avrebbe voluto farsi vedere debole, le gambe vacillanti. Mai avrebbe voluto perdere il lume della ragione al punto di fare del male a Naida, la sua bellissima Naida di cui era sempre stato tanto orgoglioso. Mai.
Era capace di comandare ai suoi uomini; avrebbe comandato anche a sé stesso.
Avrebbe sconfitto il suo nemico, avrebbe finalmente conquistato quel pianeta azzurro che stava rivelandosi imprendibile… avrebbe trovato il modo, e avrebbe vinto.
E allora, finalmente, avrebbe avuto tutto il merito che fino a quel momento non gli era mai stato riconosciuto.


– T’avevo avvertito, imbecille! – esplose Re Vega – Passerai un mese nelle miniere, lavorando come uno schiavo!
Hydargos trasalì, sentendosi raggelare; chinò la testa e disse l’unica cosa che avrebbe potuto rispondere: – Agli ordini, Maestà.
Furibondo, Re Vega spense lo schermo togliendo la comunicazione. Con quel suo incapace comandante aveva avuto sin troppa pazienza; ora era il caso d’impartirgli una severa lezione che gl’insegnasse ad essere più efficiente… se fosse sopravvissuto, ovvio.
A lungo, Hydargos rimase in piedi davanti allo schermo ormai spento: agghiacciato dal terrore, bruciante di collera per la spaventosa umiliazione, stava faticando non poco per recuperare il dominio su sé stesso. Né Gandal né i soldati e i tecnici presenti gli dissero nulla, nessuno lo guardò in viso.
Gandal fece segno a due soldati che si fecero avanti, pronti per prendere in consegna il loro comandante caduto in disgrazia; un altro cenno di Gandal li fece attendere. Non era ancora il momento. Nonostante non fosse certo un superiore tenero, il Comandante Supremo capiva che il suo sottoposto aveva bisogno di qualche istante per riprendersi.
Fremente d’ira, Hydargos continuava a sentir risuonare in sé gli insulti del suo sovrano: sapeva di non meritare un simile castigo, sapeva d’aver avuto sfortuna contro Goldrake, sapeva che le continue ingerenze dei suoi superiori anziché fungergli da sprone l’avevano ostacolato nella sua lotta personale contro il nemico… e d’altra parte, era sempre stato consapevole che in caso di fallimento la colpa sarebbe stata imputata a lui e solo a lui.
Ecco cos’era: un fallito.
Fu il suo amor proprio ferito a costringerlo a riprendersi, a mostrarsi impassibile quando avrebbe voluto urlare tutta la sua furia. Hydargos si drizzò nella persona, si aggiustò l’uniforme e si voltò verso i soldati, pronto a seguirli: gli ordini di Sua Maestà andavano obbediti immediatamente.
Rivolse un rapido saluto a Gandal prima di seguire i due militi fuori, nel corridoio; qui s’arrestò un attimo: – Dovrei passare dal mio alloggio.
Uno dei soldati scosse il capo con aria di scusa: – Conoscete le regole, signore. Non è possibile. Vi prego, non fateci avere dei guai.
– Certo – non posso neanche avvertire Naida. Nemmeno questo mi viene concesso!
Mentre saliva sulla monorotaia che l’avrebbe condotto agli hangar, si disse che presto lei avrebbe saputo ogni cosa… e avrebbe scoperto che il suo padrone era un incapace, un inutile, un fallito.
Questo pensiero fu anche peggiore dell’umiliazione che aveva appena subito.


Naida aprì lentamente gli occhi, stirandosi le membra indolenzite; si guardò attorno e di scatto si tirò su a sedere. Era ancora sul divano dove s’era addormentata la sera precedente, mentre aspettava il ritorno di Hydargos.
Sbadigliando, Naida controllò l’ora prima d’alzarsi: nessuna traccia di lui, né lì né in camera. Sul tavolo erano ancora posati i vassoi coperti con la cena, ormai fredda ed immangiabile.
Naida rabbrividì e si gettò addosso lo scialle in cui s’era avvolta la sera prima. Da quando era iniziata la guerra, Hydargos aveva cominciato a fare tardi, a non avere più orari, e il più delle volte non l’aveva mai avvertita se non con molto ritardo; era la prima volta però che lui non si faceva vivo da così tanto tempo. Ma naturalmente, un comandante ha ben altro da pensare che far sapere alla sua schiava quando sarà di ritorno.
Ordinò la colazione, che subito le venne portata da un robodomestico. Naida mangiò pensierosamente, continuando ad occhieggiare la porta e il display dell’intercom; quando si fu vestita, decise che sarebbe andata alla zona ricreativa. Non aveva mai voluto sapere nulla di quella guerra, ma voleva avere notizie di Hydargos.
Percorse i corridoi, con la sgradevole sensazione che tutti la guardassero in modo strano… come se avessero saputo qualcosa di cui lei non era a conoscenza.
Sciocchezze, pensò Naida.
Lo pensò anche dopo, quando la direttrice la squadrò da capo a piedi con aria ancora più altezzosa del consueto, e ancora lo ripensò quando entrò nella Sala Ricerche ed ebbe la netta sensazione che tutti i presenti la guardassero di sottecchi.
Non è possibile, si disse Naida. Non essere sciocca, è tutta un’impressione.
Sedette ad una postazione libera e cominciò la sua ricerca: digitò il nome di Hydargos ed attese.
Una schermata fitta di testo: gradi, titoli, onorificenze… imprese belliche… ma di questo, Naida non voleva sapere niente. Preferiva ignorare di quali orrori si fosse macchiato quell’uomo che con lei era sempre stato gentile.
Scorse in fretta le righe senza leggerle, arrivò in fondo (e solo allora capì d’aver temuto fin dall’inizio di trovare quell’orrenda parola, “deceduto”)…
Detenuto.
Naida si coprì la bocca per non gridare, mentre le parole parvero ballare e mescolarsi tra loro davanti ai suoi occhi.
Non era possibile… non poteva essere possibile…!
Rilesse con tutta la calma che riuscì ad avere.
Detenuto. Un mese… schiavitù… miniere… punizione…
NO!
Naida ricadde contro lo schienale, mentre continuava a fissare quelle parole spaventose: Hydargos, il comandante di Skarmoon… ridotto a lavorare come uno schiavo. Per un mese!
Spaventosa ironia della sorte, proprio lui che si era rivelato un padrone incredibilmente buono e generoso, avrebbe dovuto vivere come uno schiavo minatore… una delle condizioni peggiori, per un prigioniero di Vega.
Un mese nelle miniere poteva essere orribilmente lungo…
Alzò gli occhi, e stavolta fu sicura d’aver visto teste chinarsi in fretta sui monitor. Allora, ecco cosa sapevano tutti, ecco perché continuavano a guardarla… perché lei ora era completamente sola.
Stai calma, si disse, mentre sentiva il panico crescere rapidamente in lei.
Finse di guardare il suo monitor, mentre rifletteva febbrilmente: ora più che mai, si rendeva conto di che sicurezza le avesse dato lui con la sua semplice presenza. Che ne sarebbe stato di lei, senza Hydargos? E, pensiero ancora più spaventoso, che le sarebbe successo, se lui non avesse più fatto ritorno da quelle infernali miniere?
Altre occhiatine, qualche commento. Attorno a lei, sguardi d’intesa e ammiccamenti…
Basta!
Naida s’alzò di scatto e fece per uscire; poi cambiò idea e andò a ritirare il maggior numero di videolibri ed olodischi che poté, prima di tornare precipitosamente all’alloggio. Vi si chiuse dentro, ben decisa a non farsi più vedere: senza Hydargos si sentiva sola ed esposta, ed aveva paura, paura, paura.
Cominciò allora un periodo tra i più terribili che Naida avesse vissuto, pari forse solo alla sua detenzione nel ventre dell’astronave. Chiusa nell’alloggio, completamente e disperatamente sola, totalmente preda ai suoi terrori, Naida cominciò a trascorrere quel mese di tempo… quel mese che pareva non dovesse passare mai…
A volte leggeva, ma più spesso le parole le sfuggivano da sotto gli occhi, perdendo ogni significato; allora, lei si ritrovava a fissare il vuoto davanti a sé, incapace di proseguire con la lettura. Trascorreva la notte nel vano tentativo di dormire, sussultando al minimo rumore; quando, spossata dalla stanchezza, sprofondava finalmente nel sonno, non aveva mai quell’oblio benedetto senza sogni: incubi spaventosi la torturavano, in parte immagini del passato, in parte spaventose possibilità che le si presentavano alla mente. Naida si risvegliava agghiacciata dallo spavento, il corpo tremante e madido di sudore gelido; riprovava allora a dormire, ma per quanto fosse stanca il sonno non tornava più a darle conforto.
Nella noia delle sue giornate, l’unico diversivo era l’arrivo quotidiano dei robodomestici venuti a portarle i pasti o a riordinare l’alloggio. Purtroppo, non erano programmati per sostenere un dialogo: racchiusa in quel suo volontario isolamento forzato Naida, che era sempre stata una ragazza molto socievole, soffriva soprattutto di solitudine. Non poter parlare con qualcuno, scambiare un paio di frasi, una battuta…
Cominciò a pensare che prima o poi sarebbe diventata pazza.
Prese a mangiare poco, a deperire; un giorno si vide nello specchio – era proprio lei quella creatura pallidissima dagli occhi incavati? – ed inorridì: e se Hydargos tornando l’avesse trovata imbruttita?
Da tempo era stata abbandonata dai suoi terrori di essere rifiutata e riportata alla prigione; quel giorno, le sue paure si risvegliarono prontamente. Naida riprese a mangiare con regolarità e a praticare ginnastica per mantenersi in forma.
Fu proprio una mattina, mentre stava finendo i suoi esercizi quotidiani, che inaspettatamente ricevette il segnale che qualcuno fuori nel corridoio chiedeva di entrare.
Hydargos…?
Non era possibile: era trascorso poco più della metà del mese di punizione! Poi, lui sarebbe entrato senza aver bisogno di chiederle di aprirgli.
Naida si sentì soffocare: erano venuti a prenderla, a portarla via? Soldati che l’avrebbero ricondotta in quella spaventosa prigione?
Un altro segnale.
Naida si guardò attorno come un animale in trappola: non poteva fuggire.
Sapevano che lei era lì.
Inutile continuare a far finta di nulla…
Con le ginocchia che le si piegavano ad ogni passo, andò ad aprire alla porta.
S’era aspettata soldati dai visi nascosti dai cappucci; era solo un tecnico di mezz’età, piccolo, tozzo e dall’aria benevola, venuto per la manutenzione periodica.
– Devo pulire e controllare i filtri dell’aria condizionata, signora – spiegò gentilmente, mentre la guardava con aperta ammirazione.
– Oh… sì, certo – Naida si fece da parte – Prego, accomodatevi.
L’uomo si fece avanti e si mise subito al lavoro: era una persona gioviale, e a Naida non parve vero poter scambiare qualche chiacchiera con un altro essere umano. Parlarono di tutto e di niente, mentre lui passava in rassegna tutte le prese d’aria, controllando quali filtri fossero da sostituire e quali necessitassero solo d’una buona pulizia.
Il tecnico era un tipo tranquillo che amava lavorare senza fretta; ciò nonostante, a Naida parve che avesse finito fin troppo presto il suo compito. Gli propose di bere una tazza di ween: gliel’avrebbe preparato volentieri, no, non sarebbe stato alcun disturbo. Il tecnico, che in effetti non desiderava altro che una pausa, accettò con piacere: se davvero per la signora non era una seccatura…
Chiacchierarono ancora mentre sorseggiavano la bevanda, e continuarono a farlo anche quando le tazze furono vuote; poi lui guardò l’ora e sobbalzò. Era stata una pausa gradevolissima, ma ora doveva proprio andare, era in ritardo con gli altri lavori.
Naida lo salutò a malincuore e l’accompagnò alla porta; poi la richiuse e vi si appoggiò contro con le spalle, lasciandosi scivolare a terra.
In quel poco tempo, si era sentita nuovamente viva.
Ora, davanti a sé aveva ancora almeno due settimane di solitudine, prima che Hydargos tornasse…
Non voglio pensarci.
…sempre che lui AVESSE fatto ritorno.
Non voglio pensarci!
Le miniere erano l’inferno. Moltissimi morivano nei primi giorni dal loro arrivo.
Non voglio pensarci…!
Quasi nessuno riusciva a resistere più di qualche mese, un anno al massimo.
Non… voglio… pensarci…!
Praticamente, nessuno schiavo aveva mai fatto ritorno da laggiù.

Naida si abbracciò convulsamente le ginocchia, affondò il viso tra le braccia e scoppiò in un pianto disperato.


I soldati fecero ala al suo passaggio, mentre lui scendeva dalla nave: finalmente, Skarmoon.
Era passato un mese… nessuno di quegli uomini doveva ignorare che ne era stato di lui, in tutto quel tempo.
Hydargos dardeggiò sguardi di fuoco attorno a sé dandosi un colpo di frustino sul palmo della mano, quasi sfidando chiunque a venirgli a rinfacciare il suo fallimento, il suo essere un perdente.
Nessuno disse nulla, nessuno si permise un contegno men che corretto.
Hydargos assentì tra sé e sogghignò: evidentemente, i suoi soldati lo rispettavano ancora.
Bene. Avrebbero visto che il loro comandante non era stato sconfitto, la schiavitù non era bastata a spezzarlo. Se era una prova di forza quella che volevano da lui, l’avrebbero avuta.
Percorse i lunghi corridoi col passo del vincitore: mai e per nessun motivo avrebbe voluto mostrare quanto gli bruciasse l’umiliazione che aveva subito. Mai si sarebbe mostrato debole, mai avrebbe lasciato trasparire l’amarezza che l’invadeva. Aveva subito una punizione ingiusta, una punizione durissima; nessuno avrebbe dovuto permettersi di mostrarsi sprezzante nei suoi confronti.
I soldati lo salutavano, gli ufficiali gli mostravano la deferenza dovutagli; lui guardò ognuno di loro in viso, vide tutti gli sguardi chinarsi, non abbassò mai il suo.
Continuò a camminare con la calma autorevole del vero comandante: quanti di loro avrebbero retto quello che aveva sofferto lui? Quanti di quegli ufficialetti dall’impeccabile uniforme avrebbero anche solo immaginato un’esperienza come quella che gli era toccata?
Nonostante il suo ferreo autocontrollo, sentiva l’agitazione crescere in lui: doveva presentarsi a rapporto da Gandal, com’era suo dovere. Come l’avrebbe accolto? Era un suo superiore, se avesse fatto ironie sull’accaduto, o se anche solo ne avesse parlato, lui non avrebbe potuto ricacciargli le parole in gola…
Hydargos serrò le dita attorno al manico del suo frustino: pazienza, pazienza…
Salì sulla monorotaia e raggiunse l’ufficio privato del suo superiore; perfettamente impassibile, chiese di poter conferire con lui, e venne fatto passare praticamente subito.
Gandal alzò gli occhi dal monitor del suo computer e fissò in silenzio Hydargos mentre eseguiva un saluto impeccabile e rimaneva in piedi davanti a lui, in attesa.
Se anche aveva avuto intenzione di dire alcunché, una semplice occhiata al viso del suo subalterno gli fece subito cambiare idea. Gandal s’alzò e in un inconcepibile slancio di cordialità gli andò incontro: – Hai fatto buon viaggio?
– Ottimo, grazie – rispose Hydargos, sempre sulla difensiva.
Gandal esitò: in realtà era veramente lieto di rivederlo. Mai avrebbe pensato che un giorno sarebbe arrivato a rimpiangere quel suo sottoposto di cui tante volte aveva lamentato la presunta inefficienza: l’inefficienza vera l’aveva conosciuta proprio durante la sua lontananza, e per opera degli ufficiali che avevano tentato di sostituirlo. È proprio vero che capiamo il valore di qualcuno solo quando è assente.
Lo guardò ancora: nel viso smagrito, gli occhi parevano bruciare di febbre. Non l’aveva mai visto così… – Hydargos, stai bene?
– Perfettamente, grazie. Sono pronto a riprendere il mio posto. – fu la risposta che ottenne. Ovviamente, non avrebbe potuto essere nulla di diverso.
– Non oggi – rispose Gandal – Sei appena tornato.
Hydargos fece con la testa un cenno di ringraziamento, e non disse nulla.
Il silenzio cominciò a farsi davvero opprimente.
Gandal tossicchiò: – Immagino che vorrai ritirarti. Puoi andare.
Hydargos salutò prima di girare i tacchi e avviarsi verso l’uscita. Gandal lo seguì con lo sguardo, e lo richiamò quando ormai era sulla porta: – Ascolta…
– Sì? – Hydargos si voltò a metà, il viso di pietra.
Gandal non esitò più: – Riprenderai servizio tra qualche giorno.
– Non sono malato.
– Diciamo allora che hai l’aria stanca.
– Posso ricominciare da domattina.
– È un ordine – ribadì Gandal, reciso – Non voglio vederti per tre giorni. Chiaro?
Hydargos chinò la testa in segno d’assenso: – Chiarissimo.
E uno, pensò mentre s’avviava verso il suo alloggio. Il primo incontro difficile era andato meglio di quanto aveva previsto: fortunatamente, Gandal aveva avuto l’intelligenza di non alludere nemmeno a quanto era accaduto.
L’altro incontro, sarebbe avvenuto entro pochissimo tempo.
In tutto quel tempo, che aveva pensato Naida? Aveva saputo sicuramente che era stato punito; di certo, ora non provava che disprezzo per lui. A nessuna donna piace essere la schiava d’un fallito.
Strinse il frustino fino a far crocchiare le nocche. Avrebbe sopportato senza battere ciglio i sarcasmi, le allusioni, le cattiverie del suo comandante; il biasimo di lei sarebbe stato a dir poco intollerabile. Non dopo quello che aveva passato.
Diviso tra furia e timore, Hydargos percorse a grandi passi la distanza che lo separava dal suo alloggio: com’era nella sua natura, avrebbe affrontato direttamente quella prova, e l’avrebbe fatto subito.


Le porte scivolarono di lato, e Hydargos fece il suo ingresso.
Naida, che gli era subito andata incontro, s’arrestò nel vederlo: aveva il colorito d’un malsano grigiastro, gli occhi fondi, il viso scavato. Anche se poteva sembrare impossibile, sembrava fortemente dimagrito; camminava eretto nella persona ma con fatica, quasi ogni passo gli fosse costato sofferenza.
– …Signore…? – mormorò lei, inorridita. Non osava pensare a cosa gli avessero fatto.
– Sto benissimo – tagliò corto lui, mascherando dietro il tono brusco il sollievo: lei non lo guardava con disprezzo o con rimprovero… – Sto bene, davvero.
– Ma certo – Naida deglutì – Sono contenta che tu sia tornato.
Hydargos fece una smorfia che voleva essere un sorriso ironico: – Non starai per dirmi che ti sono mancato!
– Certo che sì – Naida fece per prendergli il mantello, ma lui si tirò bruscamente indietro; lei riprese, e nella sua voce vibrava un tremolio perfettamente percepibile: – Tutto questo tempo senza sapere niente di te… mi sono sentita molto sola.
– Non mi hanno permesso di avvertirti – lui guardò il divano come per sedercisi sopra, ma all’ultimo istante decise di rimanere in piedi: – Hai saputo cos’è successo, immagino.
– Sì, dal computer – Naida si sforzava di ricacciare le lacrime: non era così che si era immaginata il ritorno di lui… no, non così, non dopo tutto quel tempo! – Nessuno mi ha detto niente. Nessuno mi ha mai nemmeno parlato! Ho scambiato due parole solo col tecnico della manutenzione, e basta! Sono sempre stata sola, sola! E ti meravigli se ti ho aspettato?
Lui parve sinceramente sorpreso: – Pensavo t’avrebbe fatto piacere non avermi attorno per un po’.
Naida scosse la testa e gli voltò le spalle: – Pensavi sbagliato.
Non era certo il modo corretto di rivolgersi al proprio padrone, tuttavia Hydargos era troppo sbalordito per farvi caso. In tutto quel mese aveva pensato che Naida sarebbe stata felice di sentirsi libera, senza essere costretta ad obbedirgli; non aveva considerato il bisogno di compagnia così tipico degli esseri di Fleed.
Poi, naturalmente, Naida doveva anche aver avuto timore anche per sé stessa: che ne sarebbe stato di lei, se il suo padrone non avesse più fatto ritorno?
Logica preoccupazione, si disse Hydargos, che era un uomo pratico.
– Va bene, adesso sono tornato; contenta? – in un incredibile momento di espansività le passò ruvidamente una mano sui capelli; subito Naida gli si gettò tra le braccia, affamata di un minimo di contatto fisico, di calore umano.
Lui sussultò, emise un gemito strozzato.
Naida si sciolse rapidamente da lui e lo fissò in viso: era mortalmente pallido, e stringeva i denti in una smorfia di sofferenza.
– Signore! Ma che cos’hai? – chiese, stupefatta – Ti ho… ti ho fatto male?
Lui scosse il capo: – È solo un ricordino del mio soggiorno nelle miniere.
– Ma cosa…?
Hydargos esitò un istante; poi si slacciò il mantello e aprì la tuta, rimanendo a torso nudo.
La schiena, le spalle e le braccia erano devastate da lunghe piaghe coperte da croste di sangue raggrumato. Naida non aveva mai visto gli effetti della frusta elettrificata, ma non impiegò che un secondo per riconoscerli.
– Devi farti vedere subito al centro medico! – esclamò, inorridita.
– Non voglio che qui su Skarmoon si sappia cosa mi hanno fatto! – si ostinò lui – Mi hanno già umiliato abbastanza.
– Ma bisogna medicare quelle piaghe! Sdraiati, ci penserò io – e Naida corse a prendere il necessario, mentre lui si stendeva con precauzione sul divano.
Prima di cominciare, Naida esaminò ancora le spaventose ferite e rabbrividì: – Pensavo avrebbero avuto dei riguardi, dato il tuo rango.
– Hanno avuto dei riguardi – rispose lui, cupo.
Naida ammutolì e si concentrò sulla medicazione.
Le piaghe presentavano bordi di pelle ustionata; in compenso, le ferite risultavano cauterizzate, non sembrava ci fossero infezioni in corso. Lavorando con pazienza e delicatezza, Naida pulì accuratamente le lacerazioni, irrorandole con il disinfettante. Quindi stese uno strato di gel dermostimolante che avrebbe anestetizzato il dolore e favorito una rapida guarigione; infine spruzzò il tutto con uno spray protettivo che formò istantaneamente una pellicola trasparente sulle ferite, proteggendole e trattenendo il medicamento.
Hydargos si rialzò con precauzione: il gel era fresco, piacevolissimo, e il dolore stava rapidamente calando. Rimase seduto, senza abbandonare un istante con gli occhi quella sua schiava che l’aveva appena curato e che ora stava riponendo ordinatamente creme e bottiglie. Un servo in genere non ha attenzioni per il suo padrone, al massimo obbedisce ai suoi ordini; lui non le aveva chiesto di aiutarlo, ma lei l’aveva fatto spontaneamente. Perché? Gratitudine? Mah…
Cenarono in silenzio: avendo saltato fin troppi pasti, lui divorò ogni cosa con grande appetito, mentre Naida lo osservava di sottecchi sorridendo tra sé.
Pensava che Hydargos avrebbe voluto andare subito a riposare, ma lui volle rilassarsi prima con un po’ di musica; lei scelse un disco che sapeva piacergli molto e lo raggiunse sul divano. Normalmente, lei si rannicchiava contro il suo fianco: timorosa di fargli del male, Naida rimase in disparte.
Hydargos la guardò con aria interrogativa, ma lei non se ne accorse: occhi semichiusi, ascoltava il filo della musica, seguendolo ovunque l’avesse portata.
Quella sera avvenne ciò che mai si sarebbe aspettata: fu lui a prenderla ruvidamente per una spalla, lui ad attirarsela nel cavo del braccio. Naida lo guardò, sbalordita, ma lo vide impassibile, lo sguardo remoto, ben deciso a non rivelarle nulla; allora, con precauzione, si raggomitolò contro di lui e non si mosse più.
Lo conosceva abbastanza per sapere che era il suo modo di ringraziarla.


Non ricordava d’aver mai fatto così tardi.
Sulla base, le luci erano abbassate per ricreare una sorte notte fittizia, e regnava il silenzio; ben poche persone si potevano vedere in giro. Il servizio notturno era destinato solo al minimo indispensabile di personale.
Hydargos scese dalla monorotaia e s’incamminò per il corridoio che portava al suo alloggio.
Si sentiva le ossa indolenzite e un odioso senso di vuoto gli attanagliava le viscere.
Quel giorno, era stato sul punto di morire.
Aveva combattuto contro Duke Fleed, e l’aveva fatto di persona, pilotando lui stesso l’ultimo mostro creato dal Centro Scientifico; ma era stato inutile. Aveva dovuto abbandonare la lotta per non venire ucciso.
Hydargos aprì la porta, che scivolò silenziosamente di lato: era tardissimo, Naida doveva essere andata a dormire.
Entrò, si tolse il mantello gettandolo su una sedia; si guardò attorno e nella penombra scorse qualcosa di chiaro sul divano. Naida…?
Si chinò su di lei: s’era avvolta in uno scialle e s’era assopita. Sul tavolo erano posati due vassoi con la cena, che ormai nonostante i contenitori termici doveva essere fredda. Alzò un coperchio e riconobbe uno dei suoi piatti preferiti: tipico di lei aver scelto i cibi che lui prediligeva.
Naida si riscosse, riaprì gli occhi e si guardò attorno, insonnolita: – Oh, sei tornato… Che ora è?
– Tardissimo – rispose lui, molto più ruvido di quanto in realtà avrebbe voluto – Perché non sei andata a letto?
– Credevo che saresti rientrato prima – soffocò uno sbadiglio e si strinse addosso lo scialle, mettendosi seduta sul divano – Devi aver fame.
Lui scosse il capo: – Sono solo molto stanco. Tu hai mangiato?
– Ti avevo aspettato – rispose lei, che faticava a tenere gli occhi aperti – Pensavo che avremmo cenato assieme. Adesso ho solo sonno.
Lui le tese una mano per farla rialzare: – Vieni. Andiamo a dormire.
Finalmente nel suo letto, Hydargos si girò e rigirò, incapace di assopirsi. Continuava a rivedere le immagini della battaglia, le armi letali di Goldrake scatenate contro il suo mostro… la collera, la vergogna di essere stato costretto alla fuga non gli permettevano di scivolare in quel riposo che tanto aveva desiderato.
Accanto a lui, Naida si mosse nel sonno, sospirò. Stava sognando, e non sembrava che si trattasse d’un sogno gradevole.
Se io morissi, si chiese improvvisamente Hydargos, che ne sarebbe di lei?
Era una schiava, una cosa senza alcun diritto, un oggetto da vendere, scambiare, lasciare in eredità. Bella com’era, una volta che fosse rimasta senza un proprietario sicuramente altri uomini si sarebbero fatti avanti per contendersela.
Ignara dei pensieri che affollavano la mente del suo padrone, Naida si rannicchiò contro di lui; finalmente soddisfatta, scivolò in un sonno senza sogni.
Hydargos la guardò, pensoso. Se lui fosse morto, Naida sarebbe stata di un altro uomo: un altro avrebbe avuto accanto a sé nel letto quel dolce corpo tiepido, un altro avrebbe visto com’era bella mentre dormiva, un altro l’avrebbe avuta tra le braccia…
No, maledizione! Mai!
Rifletté freddamente: non per nulla, un tempo si usava ordinare che alla propria morte la schiava favorita venisse uccisa. Molti ancora lo facevano, la legge lo permetteva. Nessuno avrebbe trovato nulla da ridire.
Lentamente, Hydargos intravide la soluzione al suo problema. Avrebbe avuto bisogno d’aiuto; l’avrebbe chiesto a Gandal. Era un superiore severo, ma come uomo era affidabilissimo. Non gli avrebbe negato un favore.


– Volevi parlarmi? – Gandal fece ruotare la poltrona per poter guardare in viso il suo sottoposto.
– Vorrei che tu tenessi questo – Hydargos gli tese un plico.
Gandal lo rigirò tra le mani: sigillato e piuttosto gonfio. Doveva contenere carte e dischi magnetici. – Che devo farne?
Hydargos non rispose subito. Sull’ampio schermo alle spalle di Gandal, la Terra riluceva come un azzurro, preziosissimo gioiello. Per quanto fosse quasi arrivato ad odiarlo, quel pianeta imprendibile, la sua vista lo affascinava sempre.
– Inutile nascondercelo, questa guerra si rivela più difficile di quanto avessimo previsto – Hydargos parlava lentamente, gli occhi fissi su quel mondo ceruleo – Gli scontri sono sempre più pesanti. Io non sono un uomo che si tira indietro davanti al pericolo, e tu lo sai. Ho combattuto in prima persona, ho rischiato e rischierò ancora – si volse verso Gandal – So che in uno dei prossimi combattimenti potrei morire.
Gandal assentì gravemente e si alzò a sua volta, il plico tra le mani.
– Se dovesse succedere – continuò freddamente Hydargos – troverai là dentro il da farsi. Ho già predisposto tutto.
Gandal osservò il plico: – Non hai lasciato scritto a chi devo consegnarlo.
– Devi aprirlo tu.
– Io? Ma… la tua famiglia…
– Io non ho famiglia! – tagliò corto Hydargos, reciso – Tutto quel che ti chiedo è di conservare quel plico, aprirlo nel caso io dovessi morire ed eseguire quel che c’è da fare. Posso contarci?
– Ma certo – Gandal lo guardò dritto in viso – Me ne occuperò io, personalmente. Hai la mia parola.


Capitolo 9 – Re Vega

Non capitava praticamente mai che qualche ospite giungesse nell’alloggio di Hydargos; ma se questo fosse un uso di Vega o fosse semplice misantropia da parte del suo padrone, Naida non sarebbe stata in grado di dirlo.
L’eccezione alla regola accadde senza alcun preavviso.
Una sera giunse in visita un uomo altissimo, dal viso che pareva intagliato nella roccia; come Naida venne poi a sapere, si trattava nientemeno che del Comandante Supremo Gandal.
Il nuovo venuto si guardò attorno, soffermando lo sguardo sulla mensola su cui erano posti i vasi con le piante di Naida in coltura idroponica: uno spettacolo davvero insolito, per un alloggio di Skarmoon. Sorpreso, Gandal si girò con aria interrogativa verso Hydargos, che sostenne tranquillamente il suo sguardo ostentando indifferenza.
I due uomini sedettero, cominciarono a conversare (la Terra, su Skarmoon ormai non si parlava d’altro che della prossima invasione di quel meraviglioso pianeta). Ad un cenno di Hydargos, Naida si fece avanti portando un vassoio con bicchieri e bottiglie.
– Gradite un rinfresco, comandante? – chiese con un filo di voce, senza osar alzare gli occhi.
– Volentieri – per quanto poco incline a manifestare apertamente i propri sentimenti, Gandal la fissò con aperta ammirazione.
Naida li servì entrambi, prima di andarsene lasciandoli soli; Gandal, che fino ad allora era stato incapace di staccarle gli occhi di dosso, alzò la coppa in direzione del collega.
– Quella è la tua famosa schiava di Fleed? – esclamò – Complimenti. Adesso non mi meraviglio più che tu la tenga rinchiusa.
– Non è così – Hydargos bevve un sorso, soddisfatto: le lodi alla bellezza di Naida equivalevano per lui ad un complimento personale – Non le impedisco di uscire, anzi. È lei che non vuole farlo.
– Forse hai avuto la mano troppo pesante – osservò Gandal.
– Con una donna simile? Scherzi? Avrei avuto paura di rovinarla! E poi non ho mai avuto motivi per punirla. È molto docile.
– Sei doppiamente fortunato, allora – Gandal depose accanto a sé la coppa ancora mezzo piena – Probabilmente sarà stata maltrattata dai soldati prima che la prendessi tu.
– Penso di sì, anche se non ne ha mai parlato – Hydargos tenne la coppa tra le mani, gli occhi fissi sul liquore dorato – Posso sempre chiederglielo. Comunque, domani sera uscirà.
– Vuoi portarla alla cena in onore dell’arrivo di Sua Maestà?
– Perché no? È una donna di classe, molto educata. Farà una bella figura, non pensi?


Sua Maestà era giunto in visita sulla base di Skarmoon: svariati motivi l’avevano tenuto fino ad allora lontano dall’avamposto, non ultimo il contrasto con sua figlia Rubina, che l’incolpava della distruzione di Fleed. Purtroppo, era risaputo che la principessa Rubina, idealista com’era, non aveva mai avuto senso pratico: per lei un pianeta sconfitto corrispondeva a stragi ed orrori, non a nemici finalmente eliminati. Mah…
In visita con Sua Maestà erano venuti il Ministro delle Scienze Zuril, che Hydargos aveva conosciuto in occasione dell’attacco a Fleed, e l’odioso – e odiato – generale Dantus, Ministro della Difesa. Naturalmente erano presenti anche Gandal, Barendos ed alcuni alti ufficiali. Poi Hydargos si presentò con al braccio Naida, meravigliosa in un vestito candido a tunica che ne modellava morbidamente le forme; al collo, una cascata di gemme verdi e bianche che mandavano sprazzi di luce. Era una collana di squisita fattura, degna d’una regina; Naida la odiava. Era praticamente sicura che fosse parte di un bottino ottenuto da Hydargos dopo aver distrutto ed ucciso, ma non aveva potuto rifiutarsi d’indossarla.
Il loro ingresso produsse una certa sensazione, il che fece inorgoglire Hydargos. L’ammirazione destata dalla sua donna lo colmava di fierezza; persino Dantus, pur altezzoso com’era, era rimasto senza parole davanti alla bellezza di Naida.
Con l’aria di superiorità di chi sa d’avere con sé una donna non comune, Hydargos salutò i presenti, chiacchierò amabilmente con tutti, fu gentile persino con il detestabile Dantus, che gli rivolse un saluto forzato, gli occhi gialli fissi sulla procace giovane donna che si stringeva timidamente al fianco del suo padrone.
Per ultima arrivò trafelata la dottoressa Koyra, la primaria responsabile del Centro Medico; indossava ancora camice e calzoni che la facevano apparire più alta e magra di quanto già non fosse. In un impeto d’amor proprio femminile si passò nervosamente le dita tra gli arruffati capelli corti, scompigliandoli maggiormente. Sua Maestà la vide, sospirò e tacque: lei era un eccezionale chirurgo, non certo una modella. Non era la prima volta che si presentava ad una cerimonia ufficiale coi vestiti da sala operatoria, e non sarebbe certo stata l’ultima. Non era tipo da preoccuparsi di certe inezie come il vestiario, lei. Pure, con quel viso dagli zigomi alti, gli occhi viola cupo tagliati obliqui e la bocca morbida avrebbe potuto essere una gran bella donna…
Vennero serviti gli aperitivi, che sarebbero stati presi in piedi, in attesa di sedere al tavolo. Naida si guardò nervosamente attorno, senza osar fissare in viso nessuno. Quegli uomini e quelle donne erano i capi di Vega. Fleed era stato distrutto da loro.
Le misero in mano un bicchiere; lei si bagnò appena le labbra, aggrappandosi ancora più fortemente al braccio di Hydargos. Aveva tanto temuto di incontrare Rubina, e si era sentita sollevata nel sapere che la giovane principessa non sarebbe stata presente. Si erano conosciute su Fleed, e non erano state propriamente amiche; per Naida sarebbe stato orribile ritrovarla adesso, nella sua nuova condizione di schiava.
Nella sala si erano formati gruppetti di gente che conversava. Naida li osservò di sottecchi, cercando il coraggio che non aveva in un altro sorso del suo cocktail.
Hydargos stava parlando appunto con Dantus (l’invasione della Terra, ovvio). Più in là, Zuril era impegnatissimo in una conversazione scientifica con la dottoressa Koyra, che discuteva animandosi e agitando il proprio bicchiere, schizzando in giro il suo aperitivo. Più vicino, Gandal stava parlando a bassa voce con Re Vega, e gli spezzoni dei loro discorsi le giungevano a tratti. L’invasione di quel nuovo pianeta, naturalmente.
Naida si voltò ancora verso Zuril: dunque, quello era stato il padrone di Kein… chissà perché si era aspettata che avesse un aspetto meno mostruoso. Comunque, sembrava avere modi molto più pacati e meno aggressivi degli altri veghiani. Quanto le sarebbe piaciuto chiedergli di Kein! Purtroppo, non sapeva se avrebbe avuto la possibilità – o il coraggio – di domandargli notizie.
Naida bevve un altro sorso e cercò di prestare attenzione a ciò che Dantus stava dicendo ad Hydargos. In genere non voleva sentir parlare dell’invasione della Terra, non dopo aver visto distruggere Fleed, ma non poteva evitarlo ancora. Pareva non si potesse parlare d’altro.
– Stiamo ultimando la progettazione di un mostro da combattimento di nuova generazione – stava annunciando pomposamente Dantus – Un mostro di concezione completamente nuova.
– E cos’avrà mai di diverso dagli altri, questo nuovo mostro? – chiese Hydargos, tagliente.
– Non è interamente meccanico – rispose soddisfatto Dantus – È ottenuto partendo da un animale vivo, accresciuto, robotizzato e perfettamente controllato. La sua potenza e i suoi riflessi lo rendono infinitamente superiore ai mostri vecchio modello.
– Bene, ti auguro che sia così – sogghignò Hydargos – Vedremo se in combattimento questo mostro riuscirà a non farsi distruggere, come gli altri!
– Il mio mostro non sarà sconfitto! – proclamò Dantus – Anzi, sarà proprio il mio mostro a fare a pezzi Duke Fleed e quel suo Goldrake!
Il calice di Naida s’infranse a terra.
– Duke Fleed? – gridò lei – È VIVO?
Un silenzio terribile piombò nella sala. Improvvisamente, Naida sentì tutti gli sguardi su di sé, e d’istinto si rannicchiò su sé stessa, quasi avesse voluto sparire.
– Vieni qui, schiava – disse la voce profonda di Re Vega.
Naida riaprì gli occhi, guardò Hydargos: era pallidissimo, il viso di pietra, ma annuì impercettibilmente. Bisognava obbedire. Lei allora mosse qualche passo avanti, fermandosi di fronte al sovrano, che non osò guardare in viso.
– Sì, Vostra Maestà – mormorò.
– Conosci Duke Fleed?
Naida guardò ancora Hydargos, prima di parlare. – Sì, Vostra Maestà… ma… è vivo?
– Non sta a te fare domande, schiava. Come ti chiami?
– Naida Barsagik, Maestà.
– Barsagik – ripeté Zuril, facendosi avanti – C’era un Barsagik nella famiglia reale di Fleed, se non ricordo male… un duca. Sei sua figlia?
Naida guardò ancora Hydargos.
– Rispondi – disse lui.
– Sì, signore. Sono la figlia del duca Barsagik.
– Ti eri preso una duchessa, complimenti – sibilò velenosamente Dantus a Hydargos – Quanto scommetti che te la porteranno via?
– Taci! – ringhiò Hydargos.
– Il duca Barsagik – ripeté pensosamente Re Vega; poi si rivolse al suo Ministro delle Scienze: – Zuril, tu sei stato su Fleed e conoscevi bene la famiglia reale.
– Sì, Maestà – rispose lui, cercando di scacciare dalla mente la leggiadra immagine di Rubina.
– Questo duca, che parentela aveva con Duke Fleed?
– Erano cugini, anche se alla lontana. Tuttavia, la sua famiglia viveva in un’ala della reggia. Ricordo che mi era stato parlato di una Naida, amica d’infanzia di Duke Fleed. Erano cresciuti assieme, e si era cominciato a ventilare un possibile matrimonio.
Re Vega lo guardò un po’ in tralice: – Sei ben informato. Queste cose le hai sapute da mia figlia… da Rubina?
Zuril strinse le labbra, mostrandosi impassibile: – Sua Altezza non mi onora delle sue confidenze, Maestà.
– Ooh, molto bene – intervenne improvvisamente lady Gandal, esaminando Naida – Una cugina di Duke Fleed, cresciuta con lui e con cui c’è stato del tenero… Maestà, è un’occasione da non perdere.
– È quel che penso anch’io – Re Vega si rivolse solennemente ad Hydargos: – Mi spiace, Vicecomandante, ma dovrete rinunciare alla vostra schiava. La faremo condizionare e la useremo per distruggere una volta per sempre quel maledetto Duke Fleed.
– No…! – esalò lei.
– Maestà – esclamò Hydargos, ponendosi istintivamente davanti a Naida, facendole scudo – Voi sapete che ho sempre messo a repentaglio la mia vita per voi… ma la mia schiava… il condizionamento è rischioso, la missione è irta di pericoli…
– Verrete risarcito, naturalmente – rispose Re Vega; poi, in un impeto di grande generosità aggiunse: – Riceverete il doppio del suo valore.
– Ma, Maestà…
– Basta così – e a Gandal: – Fatela portare via, Comandante.
Un cenno di Gandal, e due soldati furono pronti ai fianchi di Naida, che guardò Hydargos, disperata; ma lui, che fremeva d’ira impotente, non poté far altro che serrare i pugni fino a farli crocchiare.
– Un momento – Dantus si fece avanti, gli occhi gialli sempre fissi su Naida, e fece cenno a due delle guardie speciali di Vega – Prendo io in consegna la prigioniera.
– Non ce n’è bisogno – obiettò Gandal, seccato di vedersi scavalcare dal collega.
– I soldati di questa base sono fedeli a Hydargos – continuò soavemente Dantus – Credo che sia più prudente se facciamo sorvegliare questa donna da delle guardie sicure.
Offesissimi, i due militi che avevano preso in consegna Naida lasciarono la loro prigioniera e si volsero di scatto verso Dantus, che sogghignò della loro reazione: – Che dicevo? Non sono affidabili.
– I soldati di Vega sono degni della massima fiducia! – esclamò rabbiosamente Hydargos.
– Ma davvero…! – rise Dantus, che stava covandosi Naida con gli occhi; un suo cenno, e si fecero avanti un paio delle guardie personali di Re Vega, pronti a portare via la giovane donna. Finché Zuril avesse preparato il condizionatore mentale, ci sarebbe stato il tempo perché Dantus potesse spassarsela con quella bellissima schiava… e naturalmente, ci sarebbe stato qualcosa anche per loro due.
Naida conosceva fin troppo bene quello sguardo; terrorizzata, s’accostò ad Hydargos, che si pose tra lei e Dantus, mento alzato e spalle squadrate, pronto alla lotta.
Anche a Zuril era fin troppo chiaro il desiderio di Dantus, e ne era urtato. Celando il disgusto dietro alla sua maschera impassibile, lo scienziato si fece avanti ponendosi tra i due avversari: – Un momento solo.
Dantus si volse rabbiosamente verso di lui, un lupo ringhioso che teme di vedersi sfuggire la preda: – Che ti prende, Zuril?
Il Ministro delle Scienze si rivolse a Sua Maestà: – Temo, Sire, che non sarà possibile preparare Naida in tempi così ridotti. Non appena giunto su Skarmoon, sono entrato nel computer principale per controllare il sistema…
– Cosa c’è che non va bene? – brontolò Gandal, piccato.
– Semplicemente, il programma è in una versione a dir poco obsoleta.
Dantus sbuffò: – Per una volta in vita tua, puoi parlare semplicemente, senza usare tanti paroloni?
Zuril si volse verso di lui, glaciale: – Sorpassato. Scaduto. Vecchio, se proprio vogliamo usare un termine di facile comprensione.
– Maledizione, Zuril, smettila! Ho capito!
– Ah, sì? – Zuril si permise un lieve sogghigno – Avevo creduto il contrario.
– Basta così – Re Vega inchiodò Dantus con un’occhiataccia, prima di rivolgersi a Zuril: – Non puoi eseguire la distorsione mentale usando il vecchio programma?
– Certo, potrei – rispose tranquillamente Zuril – Però è molto meno affidabile del programma nuovo. Consiglio vivamente di attendere che io abbia aggiornato l’intero sistema, Maestà: con Naida, non possiamo correre il minimo rischio, o ne andrà del nostro piano.
Re Vega piegò all’ingiù gli angoli della bocca: – Quanto tempo ti ci vuole?
– Alcune ore per installare e riprogrammare l’intero sistema, più altro tempo per i controlli necessari.
– E se cominci subito?
Zuril si permise un sorrisetto: – Ho avviato la procedura automatica di backup, e in questo momento sto creando una copia dell’intero database. Non potrò programmare nulla finché la copia non sia stata ultimata… il che richiederà almeno un paio d’ore di lavoro.
Re Vega gettò uno sguardo a Naida, che sembrava sul punto di svenire: – Va bene, Zuril. Sei tu il responsabile dell’operazione. Fai come ti sembra meglio.
– Grazie, Maestà – Zuril si girò verso Hydargos: – Non appena saremo pronti, manderò dei soldati a prendere Naida.
– Quanto tempo ci vorrà? – chiese Hydargos, impassibile.
– Non li manderò prima di domattina.
– Nel frattempo – intervenne Dantus – sarà meglio che questa donna venga chiusa in una cella e sorvegliata.
– Rispondo io di lei – ringhiò Hydargos.
Dantus lo guardò con aria vagamente canzonatoria: – Davvero?
– Cosa vorresti dire? – sbottò Hydargos, gli occhi che mandavano lampi.
– Dico che voglio essere sicuro che quella schiava domani ci sia, ecco cosa dico!
– Pensi che la farei scappare?
– Saresti capace di farlo.
Hydargos serrò i pugni: – Stai accusandomi di tradimento?
– No, naturalmente! – tagliò corto Zuril, asciutto, fissando in viso Dantus – Sono certo che domani il comandante Hydargos consegnerà Naida ai miei uomini.
– Ho i miei dubbi – rispose Dantus, godendo intimamente nel vedere la collera del rivale.
– Io invece non ne ho affatto – rispose Zuril sottolineando ogni parola – So di potermi fidare della parola del comandante Hydargos.
– Concordo in pieno – aggiunse inaspettatamente Gandal, godendo nel vedere l’ira impotente di Dantus.
– Basta con queste sciocchezze! – sbottò Re Vega, brusco – Zuril, l’aggiornamento del computer è troppo importante. Prenditi tutto il tempo che ti è necessario.
– Grazie, Maestà – e lo scienziato chinò educatamente il capo.
– Quanto a te, Hydargos, sei responsabile per quella donna – continuò Re Vega – È affidata a te. Se lei dovesse fuggire o suicidarsi, puoi considerarti morto.
– Non succederà, mio signore.
Un gesto di Gandal e i soldati lasciarono Naida, che subito corse a rifugiarsi presso il suo padrone.
– Grazie, ministro Zuril – Hydargos prese Naida per un braccio e si girò verso Re Vega – Maestà, chiedo il permesso di ritirarmi.
– Ma certo – concesse generosamente Re Vega – Abbi cura di Naida. Non appena il ministro Zuril sarà pronto, manderemo a prenderla.
Allora Hydargos uscì, e Naida gli tenne dietro.


– Maledizione! – Hydargos si strappò di dosso il mantello scarlatto e ne fece una palla che scaraventò a terra. Controllò che la porta dell’alloggio fosse chiusa; poi andò a versarsi un abbondante bicchiere di liquore, che trangugiò d’un fiato. Quindi, ricordatosi improvvisamente di Naida, rimasta in piedi in mezzo alla stanza, gelata di terrore, tese la bottiglia verso di lei: – Un goccio anche tu?
– Grazie, signore – lei pareva sul punto di scoppiare in pianto: – Cosa mi faranno?
Hydargos le mise in mano una coppa: – T’impianteranno un microchip sotto pelle, dietro l’orecchio; non sentirai male. Poi ti daranno le direttive.
– Quali direttive?
– Come devi comportarti. Suppongo ti diranno che odi Duke Fleed.
– Ma io… io gli voglio bene! Non posso…
Hydargos piantò gli occhi in quelli di lei: – Naida, nel momento in cui il chip rileverà che il tuo comportamento non è conforme alle istruzioni, tu proverai un dolore indicibile. È meglio se ti adegui… se non vuoi soffrire.
Naida crollò la testa. Non riusciva nemmeno a piangere.
– Perché non mi hai mai detto di essere parente di Duke Fleed? – chiese Hydargos.
– Perdonami, signore… – lei si sforzò di ricacciare indietro i singulti – Non mi hai mai fatto domande sulla mia vita. Credevo non t’interessasse.
Infatti, non m’interessava… fino ad ora, pensò Hydargos. Dannazione! Perché aveva voluto portarla a quella cena, esibirla per vantarsi della sua bellezza? Perché non l’aveva lasciata a casa, come lei stessa avrebbe voluto?
– Perché non sei stata zitta, quando hanno nominato Duke Fleed? – esplose invece.
– Mi dispiace, signore, io… io non sapevo… io credevo che fosse morto.
– No, non lo è – rispose lui, a denti stretti – È il nostro peggior nemico, invece. Il mio peggior nemico. – E lei era la tua fidanzata, Fleed. Te l’ho portata via. Adesso è mia. Almeno in questo t’ho battuto.
Hydargos terminò in fretta il suo liquore, mentre accanto a lui Naida cercava di riprendere una parvenza d’autocontrollo. Poi lui gettò la coppa sul tavolo e si voltò verso la sua schiava, una luce febbrile negli occhi.
– Abbiamo ancora questa notte – l’afferrò per le spalle e la strinse a sé, sentendosi invadere da un fuoco che ben conosceva e che solo lei avrebbe potuto estinguere – Forse è tutto ciò che ci resta.
Naida esitò un solo istante. Guardò Hydargos, quel suo padrone che tutto sommato non era mai stato crudele con lei, che l’aveva sempre trattata bene, che quella sera aveva cercato di difenderla incurante della sua stessa rovina; per la prima volta da che si conoscevano, sentì nel petto un calore che credeva non avrebbe provato mai più.
Ma allora… possibile che…?
L’immagine di Duke Fleed balenò nella sua mente.
NO!
Non voleva pensare a cosa provava veramente per quel veghiano… non voleva pensare all’orrore che l’attendeva l’indomani… non voleva pensare affatto.
Si gettò tra le sue braccia, si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò febbrilmente.

- continua -
 
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