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H. ASTER's FICTION GALLERY

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H. Aster
view post Posted on 29/4/2009, 21:30 by: H. Aster     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Verona, città di Emilio Salgari.

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Capitolo 10 – Tortura

Due soldati vennero il mattino dopo a prendere Naida; sulla soglia, lei si volse un’ultima volta per salutare Hydargos. Fu un addio molto freddo e formale, ben diverso dal bacio infuocato che si erano scambiati pochi istanti prima, nell’alloggio, al sicuro da sguardi indiscreti. Poi lei seguì docilmente i due uomini e lui, rimasto fino all’ultimo immobile sulla porta a guardarla allontanarsi, s’incamminò quasi di corsa giù per un corridoio puntando verso l’ufficio privato di Zuril.
Come al solito, lo scienziato si mostrò molto calmo e molto ragionevole.
Certo, avrebbe fatto in modo di non recare danni irreversibili durante il condizionamento… danni fisici, cioè. Era impossibile prevedere cosa sarebbe successo nella mente di Naida.
– Ammettiamo che sopravviva alla missione – spiegò pazientemente Zuril – Il chip può essere rimosso, e con esso il suo influsso; ma Naida avrà subito i suoi effetti da tempo, senza contare la distorsione vera e propria. È molto difficile che possa uscire da quest’esperienza senza conseguenze – vide l’espressione angosciata di Hydargos e aggiunse: – La reazione più comune è un esaurimento nervoso, che può essere curato con successo. Comunque, io seguirò personalmente tutte le fasi del condizionamento. Posso assicurarti che lavorerò con la massima attenzione.
– È già molto – mormorò Hydargos – Grazie.


Un rapido passaggio al centro medico, e il microchip venne iniettato a Naida, che sentì solo un leggero pizzicore. Controllato il funzionamento del chip, Naida fu trasferita ad una stanza nella zona detenzione (“camera per gli interrogatori”, le spiegarono). Naida venne fatta addossare ad una parete metallica e legata con cinghie; la giovane donna fece appena in tempo a guardarsi in giro, terrorizzata, quando la porta scivolò di lato lasciando passare l’immensa figura di Re Vega, seguito da un uomo che riconobbe subito… Zuril. Il padrone di Kein.
Mentre il sovrano si poneva in disparte, il ministro sedette ad un terminale, impostando rapidamente la procedura per la distorsione mentale: era un lavoro delicato, e ci teneva ad eseguirlo con cura. Lui lavorava sempre con cura.
Zuril non era un sadico: lo fosse stato, avrebbe goduto nel torturare Naida. Invece, per la sua fredda mente di scienziato non vi era alcun piacere in quanto stava per fare: anzi, lo considerava un autentico spreco. Una donna così bella… un vero peccato.
Represse rapidamente quegli assurdi scrupoli ed osservò Naida: si controllava, ma era al limite del panico.
Così non va. Con un soggetto terrorizzato non si lavora certo bene.
Evitando qualsiasi gesto brusco, un po’ come avrebbe fatto per tranquillizzare un animaletto atterrito, si alzò e le si avvicinò per esaminare i legami: – Ti stringono troppo? – aveva una voce gentile, nonostante quello che stava per farle.
Naida, che lo fissava con gli occhi sbarrati, scosse lievemente la testa. Tremava da capo a piedi, e Zuril se ne accorse: – I soldati ti hanno maltrattata?
Naida scosse ancora la testa. No.
Zuril gettò un’occhiata sopra la spalla a Re Vega, che sedeva impassibile poco più in là, e abbassò la voce: – A me puoi dirlo. Parla pure liberamente.
Lei fece ancora segno di no col capo: – Non… mi hanno trattata male, signore.
Pareva incredula di aver trovato un veghiano che la trattasse con gentilezza.
Andiamo meglio, si disse Zuril. È sempre una buona politica mostrarsi amichevoli con il soggetto di un esperimento.
Le sorrise lievemente, mentre le allacciava una sottilissima fascia metallica attorno ad un polso.
– Serve a controllare le tue condizioni – spiegò – Ora ascoltami bene, Naida. Il chip che ti è stato iniettato può scatenare crisi di dolore ai limiti del sostenibile.
– Sì – lei si umettò le labbra secche – Sì, lo so.
– Bene. Ricorda allora che non ti conviene resistere al trattamento. Più ti ribelli, più soffri. Se collabori, finirà tutto in fretta.
Naida assentì, gli occhi dilatati dal terrore.
– Un’altra cosa – Zuril parlava sempre con estrema gentilezza – Non è possibile evitare il condizionamento, ricordatelo bene. Opporsi significa solo prolungare i tempi e provare dolore. Tu verrai condizionata comunque; sta a te decidere se vuoi patire o meno.
– No – mormorò lei – No. Non voglio soffrire.
– Perfetto. Allora sarà una faccenda rapida ed indolore. …Sei pronta?
Naida assentì: – Facciamo presto.
– Bene. Cominciamo – Zuril sedette al terminale del computer che governava il tavolo, e impartì un paio d’ordini. Una gran luce s’accese sul soffitto, proprio sopra Naida, inondandola completamente. La luce prese poi a baluginare, bianca, gialla, verde… Naida avrebbe voluto distogliere gli occhi, ma non poteva farlo… la luce continuava a lampeggiare, blu, viola, rossa…
Suoni inquietanti cominciarono ad insinuarlesi nelle orecchie, un ritmo serrato simile ad un veloce battito cardiaco… poi una voce oscura ed inconfondibile, la voce di basso profondo di Re Vega.
– Sai perché sei prigioniera di Vega, Naida? – chiese Sua Maestà – Perché Fleed è caduto. Ed è caduto perché le sue difese erano inutili.
– Siamo un popolo pacifico – rispose lei, sempre abbagliata dalle luci – Non abbiamo un sistema difensivo valido.
– Un popolo pacifico capace però di costruire una macchina da combattimento come Goldrake! – obiettò Re Vega, sarcastico.
– Ma Goldrake è stato costruito per proteggere Fleed…
– Però non l’ha fatto. Duke Fleed vi ha abbandonati, è fuggito quando avevate bisogno di lui. È un vigliacco.
– Non è vero! – esclamò Naida, ma un dolore spaventoso la fece spasimare. Aveva l’impressione che le fosse stato messo un cerchio di ferro attorno alla testa, un cerchio che stringeva sempre più, sempre più…
Improvviso com’era apparso, il dolore scomparve.
– Duke Fleed è un vigliacco – ribadì Re Vega – e un traditore.
– No! – Naida gridò, mentre il dolore esplodeva in lei, più forte che mai.
– Duke Fleed non vi ha protetti, non vi ha salvati dall’invasione, vi ha traditi! – incalzò Re Vega.
– No, non è vero! – Naida lanciò un urlo lacerante, dibattendosi come una forsennata.
– Non resistere, Naida – l’avvertì Zuril – altrimenti il dolore sarà sempre più forte.
– Sai dov’è ora Duke Fleed? – continuò Re Vega, implacabile – Vive sulla Terra, tranquillo e felice. Credi che gli importi cos’è successo a te e agli altri fleediani rimasti in vita?
– No…! – Naida scoppiò in singhiozzi; chiuse gli occhi, ma le luci continuarono a baluginarle nella mente, tormentandola… Duke Fleed non era un traditore, non poteva, non doveva…
In preda ad un nuovo, lancinante attacco, Naida urlò con quanto fiato aveva in gola.


Le porte scorrevoli scivolarono di lato, e Zuril entrò nello studio di Hydargos; la prima cosa che vide fu la coppa di liquore sul tavolo davanti a lui. Uh-uh.
Hydargos non alzò la testa, non lo guardò nemmeno.
– Avete finito? – chiese, con voce sorda.
– Finito. È perfettamente condizionata – Zuril andò ad appoggiarsi contro il bordo della scrivania e rimase lì, immobile.
Hydargos bevve un sorso: – Ha sofferto molto?
Zuril si guardò rapidamente attorno, cercando con cura le parole adatte.
– Purtroppo, Naida doveva venir condizionata a considerare traditore un uomo che non lo è affatto, e di cui lei è ancora innamorata… Lo sapevi, vero, che Naida ama Duke Fleed?
Hydargos batté la coppa sul tavolo: – Naida è una schiava. I suoi sentimenti non m’interessano. A me basta che sia docile, obbediente e fedele; a queste condizioni, può amare chi vuole.
– Credevo tenessi a lei.
– Ripeto: è solo una schiava.
Zuril lo guardò, una strana espressione sul viso: – Molto bene, se la pensi così…
Hydargos alzò di scatto la testa e per la prima volta in quel dialogo fissò direttamente il collega: – Cos’è successo? Sta male?
– Il condizionamento non è piacevole da subire, e lei ha resistito parecchio, nonostante io l’avessi consigliata di non farlo. Naida non voleva assolutamente accettare la colpevolezza di Duke Fleed…
– E allora…? – chiese ansiosamente Hydargos.
Zuril esitò un ultimo istante: – Avresti dovuto avvertirci che era incinta.
Lui rimase come impietrito: – …Cosa…?
– Oh, non lo sapevi? – Zuril pareva molto a disagio – Effettivamente, era di poche settimane. Probabilmente non lo sapeva con precisione nemmeno Naida stessa.
– L’ha perso? – alitò Hydargos.
– Ha abortito, sì. Adesso è al centro medico, ma la dottoressa Koyra mi ha assicurato che si riprenderà perfettamente. Nonostante quella sua aria fragile, Naida è una donna forte.
– Di… di quanto era?
– Quattro settimane. Maschio.
Era mio, si disse Hydargos, era proprio mio. Mio figlio.
– Potrà averne ancora, in seguito – aggiunse Zuril, e la sua comprensione era sincera: aveva un figlio anche lui. Capiva.
Hydargos s’alzò: – Vado a vederla.
– È sotto sedativi – l’avvertì Zuril – Non ti potrà parlare. È inutile che tu vada.
Hydargos s’arrestò un attimo sulla soglia: – Puoi sempre provare a fermarmi.
Le porte si chiusero alle sue spalle.
Zuril guardò la sedia su cui fino ad un istante prima era stato Hydargos; poi si versò da bere e alzò il calice come per un brindisi, sorridendo: – Solo una schiava, hm?


Pallidissima, gli occhi cerchiati di ombre azzurrine, Naida giaceva in un letto del centro medico; era stata sedata, per cui non reagì quando l’ombra di Hydargos cadde su di lei.
Impassibile e silenzioso, lui osservò quella che era stata la madre di suo figlio; poi alzò gli occhi sul display sulla testiera del letto. Per quel poco che s’intendeva di medicina, capiva da sé che le condizioni di Naida erano abbastanza buone; comunque, era stata la primaria in persona a rassicurarlo. Naida fisicamente stava bene, si sarebbe ripresa senza problemi.
Purtroppo, per il bambino non c’era stato nulla da fare.
Hydargos serrò le mascelle, affilando gli zigomi, e sedette accanto al letto.
Uno dei tanti, deleteri effetti dell’inquinamento di Vega era stato un forte aumento della sterilità anche negli individui più sani. Un figlio era divenuto un bene ancora più prezioso perché raro. Perderne uno non significava automaticamente che in futuro avrebbe potuto arrivarne un altro.
Lui aveva perso il suo.
Rimase in silenzio, immobile, il viso di pietra.
Naida si mosse nel sonno, gemette. Una delle sue mani bianche scivolò sulla coperta, mentre lei, in preda agli incubi, si agitava muovendo la testa da una parte all’altra.
D’istinto Hydargos le prese la mano, gliela strinse tra le proprie; lei si rilassò, e con un sospiro sprofondò nuovamente nel sonno.
Lui la guardò: appariva così fragile, così fragile… persino la mano sembrava ancora più piccola, più minuta. Con precauzione tornò a deporgliela sul letto; avrebbe voluto parlarle, ma non sapeva che cosa dire. Avrebbe voluto carezzarle i capelli, ma non osava farlo.
Non osava proprio lui, Hydargos, che fino ad allora aveva fatto di lei quel che più gli era piaciuto.


Lei sedeva in un angolo della sala d’aspetto, remota, gli occhi persi come in un sogno – e non era un bel sogno.
Era guarita. Le avevano procurato un vestito tagliato a tunica secondo la foggia di Fleed; anche gli orecchini azzurri provenivano da Fleed, probabilmente erano tutto ciò che era rimasto di una delle tante, anonime schiave catturate.
Hydargos entrò nella saletta, rimanendo silenzioso presso la porta; lei lo guardò senza dare il minimo segno di riconoscerlo.
– Buona sera – mormorò Naida, abbassando subito gli occhi.
Lui sentì un fremito percorrergli la schiena. Lei l’aveva trattato come un perfetto sconosciuto. Si schiarì la voce: – Non ti ricordi di me?
– Ci conosciamo…? – stavolta Naida lo guardò con attenzione. Si mise in piedi ponendosi proprio davanti a lui, alzando il mento per poterlo guardare bene in viso. Aggrottò la fronte nello sforzo di ricordare, ma la memoria non venne.
Naida non sapeva chi fosse, quell’uomo che sembrava aspettarsi qualcosa da lei. A disagio, continuò a scrutarlo: sentiva confusamente di conoscerlo, e dentro di sé era sicura che lui fosse molto meno crudele di quanto il suo aspetto mostruoso potesse lasciar credere… però nessuna luce si accese a rischiarare la sua povera mente annebbiata.
Si morse un labbro, scostandosi nervosamente una ciocca di capelli dal viso; poi azzardò, incerta: – Sei… mio marito?
Hydargos fece per rispondere, capì di non potersi fidare della propria voce e scosse il capo. No.
Un rumore di passi perfettamente scanditi, e due soldati entrarono a loro volta nella saletta; alle loro spalle, Zuril s’arrestò presso la porta.
– Chiedo scusa, signore – esordì uno dei due militi – Dobbiamo portare via la prigioniera.
Il loro comandante non rispose, limitandosi a chinare il capo in segno d’assenso; si fece da parte mentre i due uomini prendevano in consegna Naida.
Lei non parve nemmeno far caso a loro: scrutava Hydargos, gli occhi colmi di domande inespresse. Continuò a fissarlo mentre la portavano via, e s’allontanò per il corridoio sempre restando voltata verso di lui, finché due porte non scivolarono chiudendosi e si frapposero tra di loro.
In silenzio, Zuril si fece avanti, fermandosi al fianco di Hydargos.
– Non si ricorda di me – mormorò questi.
– È naturale. Effetto della distorsione – rispose calmo lo scienziato – Col tempo la memoria tornerà.
Hydargos tacque, limitandosi a guardarlo con aria interrogativa; Zuril allora spiegò, scegliendo con cura le parole:
– Per attuare la distorsione mentale, abbiamo selezionato i ricordi che erano utili al nostro scopo: la vita trascorsa su Fleed, la conquista del pianeta e tutto quanto di negativo Naida abbia subito dopo la sua cattura. Altri ricordi sono stati alterati in modo da far credere a Naida che Duke Fleed si sia comportato da traditore. Sapere che l’uomo che ama l’ha abbandonata nelle nostre mani sarà un pensiero fisso, ossessionante che farà scattare in lei il bisogno di vendicarsi – Zuril occhieggiò Hydargos ed aggiunse: – Ovviamente, per ottenere questo risultato bisogna che Naida ricordi solo le proprie sofferenze. Non certo il fatto di essere stata trattata bene.
– È per questo che mi ha dimenticato? – chiese Hydargos, il viso di pietra.
Zuril si strinse nelle spalle: – Con lei, tu sei stato un padrone molto generoso. A noi serviva che Naida ricordasse solo dolore e sofferenza.
– Capisco – e Hydargos si chiuse in un silenzio glaciale.


Capitolo 11 - Terra

– Dottor Procton! – gridò improvvisamente Hayashi – C’è un oggetto non identificato in rapido avvicinamento!
– Yamada, passami il segnale sul video principale – ordinò Procton, calmo come sempre.
– Subito, professore! – un veloce comando manuale di Yamada, e sul grande schermo che campeggiava sull’intera parete del laboratorio apparve una sfera di fuoco: qualunque cosa fosse, si era incendiata a causa dell’attrito con l’atmosfera e stava precipitando al suolo a grande velocità.
– Sembra un meteorite – azzardò Hayashi.
Procton scosse lentamente il capo: – Non ne sono così sicuro. Qual è la sua traiettoria?
Hayashi controllò il suo monitor: – Dottore, se non brucerà interamente entro l’atmosfera, cadrà nel bosco dietro la montagna.
Procton strinse gli occhi. Dietro alla montagna… vicino cioè alla fattoria, al laboratorio… e a Goldrake.


La scia luminosa sfrecciò nel cielo, scomparendo dietro la vetta; un istante dopo la terra tremò.
Il cavallo s’impennò nitrendo di terrore, sbalzando di sella Rigel che piombò urlando al suolo; anche Mizar cadde, rischiando di ritrovarsi tra gli zoccoli dell’animale imbizzarrito.
Dalla fattoria si levò un improvviso coro di muggiti, belati, nitriti: tutte le bestie stavano urlando il loro terrore.
Da dietro il fienile accorsero Actarus e Venusia.
– Ma che è successo? – gridò il giovane.
Rigel si rimise a sedere, strofinandosi amorosamente la testa: – Che cos’è successo, chiede lui… era una palla di fuoco! È caduta nel bosco!
– Come? Non è stato un terremoto? – si stupì Actarus.
– Una palla di fuoco, hai detto? – chiese Venusia, allarmata.
– Una palla di fuoco, sì! – confermò Rigel, reciso – Doveva essere un UFO, te lo dico io!
Alle loro spalle, i portelloni della rimessa vennero aperti; con il consueto sibilo, il disco giallo di Alcor s’innalzò rapidamente nel cielo.
– Ecco, vedi: Alcor sì che è un ragazzo intelligente! – si compiacque Rigel; mise le mani a coppa attorno alla bocca ed urlò: – Ehi, Alcor, gli extraterrestri sono nostri amici! Vedi di trattarli bene!
Actarus gettò a terra il forcone che ancora stringeva in mano e si slanciò rapidamente verso la rimessa, dove aveva ricoverato la sua speciale motocicletta.
– E tu dove corri? – gli gridò Rigel – Tu potresti combinare solo guai! Ti ordino di tornare indietro!
Si slanciò in avanti, deciso ad inseguirlo, e subito Venusia gli tagliò la strada, afferrandolo per trattenerlo: – Papà, lascia stare Actarus!
– Quel buono a nulla, quel fannullone! Ogni scusa è buona per non lavorare…!
– Papà, smettila!
Actarus balzò sulla sua moto e l’avviò con un secco colpo di pedale. Il rombo del motore coprì per intero gli schiamazzi di Rigel e le proteste di Venusia.


Spinto a tutta velocità, il TFO oltrepassò rapidamente la vetta innevata del monte spingendosi sulla vasta abetaia che ne copriva l’intero versante.
Dall’alto, si notava subito la zona dell’impatto: alberi sradicati facevano da corona al relitto di un’astronave. Un incidente…?
Alcor sorvolò la zona, cercando se vi fossero tracce di superstiti, ma in quel punto gli abeti crescevano ancora fitti, rendendo difficile scorgere qualcosa… poco al di sotto della foresta però c’era una zona priva d’alberi, una sorta di sentiero innevato: Alcor lo conosceva bene, vi era stato più volte con la jeep, anche se…
All’improvviso, un movimento tra gli alberi sotto di lui. Alcor avvicinò il disco: dalla foresta erano emerse alcune figure che correvano proprio su quel sentiero. Una, snella e dai capelli lunghi, sembrava una ragazza; alle sue spalle correvano una decina d’inseguitori, che Alcor riconobbe subito per soldati di Vega.
Dieci contro una donna… Alcor fece per sparare i razzi contro i veghiani, ma si trattenne: la ragazza era troppo vicina, avrebbe potuto colpirla. Staccò allora un mitra dal supporto a fianco della postazione di pilotaggio, abbassò il più possibile il disco e aperto il vetro deflettore fece fuoco sui soldati, falciandone un paio alla prima raffica. I superstiti smisero subito d’inseguire la ragazza e risposero al fuoco di Alcor, che evitò per un soffio di venir centrato dalle loro raffiche e alzò prudentemente il disco.
Approfittando di quel diversivo, la giovane donna aumentò la velocità: poco oltre il sentiero faceva una curva, se fosse riuscita ad oltrepassarla i soldati l’avrebbero persa di vista e lei avrebbe potuto tentare di nascondersi nuovamente nella foresta.
I veghiani continuavano a sparare contro Alcor; uno di loro s’accorse che la ragazza stava per scomparire dietro la curva e ordinò di riprendere l’inseguimento. Gli uomini tornarono a slanciarsi dietro la fuggitiva, ma proprio allora udirono un rombo di motore alle loro spalle. Si voltarono di scatto, proprio mentre Actarus balzava con la sua moto in mezzo a loro.
Ad un comando del giovane, dai mozzi delle ruote fuoriuscirono due punte che trafissero i due militi più vicini; Actarus si gettò addosso ad un terzo soldato, colpendolo al viso e strappandogli di mano il mitra a raggi energetici.
Due dei soldati superstiti aprirono il fuoco contro Actarus; con un balzo, il giovane schivò i colpi sparando a sua volta una raffica che uccise i suoi due nemici.
Actarus respirò, guardandosi attorno in cerca di altri avversari; proprio allora, il soldato cui aveva strappato il mitra e che aveva mezzo stordito con un pugno lo assalì alle spalle, afferrandogli le caviglie e facendolo cadere al suolo. Rapidissimo, Actarus sparò al veghiano che crollò a terra senza nemmeno un grido.
Un silenzio irreale piombò sul sentiero. Actarus si rimise in piedi guardandosi attorno: nessuno dei soldati era sopravvissuto.
Percepì un lievissimo rumore alle sue spalle, e si voltò di scatto.
Da dietro lo spuntone di roccia attorno cui curvava il sentiero, era apparsa un’esile figura femminile dai lunghi capelli sciolti sulle spalle; la nuvola che velava il sole gettava la sua ombra su di lei, ma… non era possibile…
Actarus rimase a fissarla, stupefatto. Non poteva credere ai suoi occhi, non poteva essere lei… non era possibile, non era logico…
La nuvola si scostò, e un raggio di sole piovve sulla giovane donna, illuminandone il viso dai grandi occhi spauriti, accendendo di riflessi dorati la lunga chioma verde chiaro… era proprio lei.
Incredulo, Actarus dovette schiarirsi la voce, che minacciava di spezzarglisi ad ogni sillaba: – Ma tu sei… Naida…?
Lei trasalì, parve riscuotersi come da un sogno.
– Naida! – Actarus avrebbe voluto slanciarsi in avanti verso di lei, ma sentiva le ginocchia rigide, pesanti… il suo stesso corpo pareva non potesse obbedirgli: – Naida! Mi riconosci? Sono Duke Fleed!
Stavolta, lei parve finalmente reagire: sembrava quasi che fino ad allora non si fosse accorta del giovane che aveva davanti: – Duke Fleed…?
– Ma sì, sono Duke! Non ti ricordi?
Naida si riscosse, come se fosse finalmente riuscita a destarsi da un sogno sgradevole. Lo rivide, riconobbe gli occhi azzurro cupo, i lineamenti che aveva tanto amato… ascoltò quella voce che non aveva mai dimenticato, e che aveva creduto non avrebbe più potuto udire…
– Oh, sì, sì… – sentì le lacrime scorrerle liberamente sul viso, mentre gli tendeva le braccia: – Sei tu… sei proprio tu! Duke, amore mio!
Un attimo prima, Actarus era stato incapace di muoversi da dove si trovava; un istante dopo fu da lei, la stringeva tra le braccia, sentiva la seta dei suoi capelli contro la propria guancia… era pazzesco, impossibile, ma era proprio lei, lei! Naida, la sua Naida che aveva creduto d’aver perso per sempre… la sua voce dolce, il suo profumo… i ricordi parvero sommergerlo, e Actarus sentì mancargli il respiro. Caddero entrambi in ginocchio sulla neve e rimasero abbracciati, increduli d’essersi ritrovati.
– Mi ero rassegnata a non vederti mai più! – Naida gli nascose il viso contro il petto: lo ricordava ragazzo, lo ritrovava uomo. Ma era sempre lui, il suo Duke, il primo vero amore della sua vita.
– Temevo che fossi stata uccisa quando Vega ha invaso il nostro pianeta – Actarus la strinse a sé quasi avesse avuto paura che lei svanisse come un sogno – Non credevo ai miei occhi, vedendoti!
– Nemmeno io – Naida si scostò da lui quel tanto che le bastava per poterlo guardare in viso, ritrovare in lui il ragazzo che aveva tanto amato; anche Actarus la scrutava, cercando in lei la sua amica d’infanzia, il suo antico amore… l’adolescente d’un tempo era divenuta una bellissima giovane donna.
Si guardarono, e come sempre era accaduto in passato, si capirono. Fu come se entrambi fossero stati riportati improvvisamente a quanto era accaduto un’infinità prima.
All’improvviso, rividero le macerie della reggia, il cielo rosso solcato da colonne di fumo oscuro, i dischi nemici che piombavano dall’alto portando distruzione e morte… la polvere, il fumo acre, le grida di terrore e l’ancora più terribile silenzio…
Vega aveva vinto.
E gli anni erano inesorabilmente passati.
Naida sentì gli occhi bruciarle ancora: – Oh, Duke… quanto tempo perduto!
Lui la strinse tra le braccia: – Siamo di nuovo insieme. Adesso, nessuno ci separerà, Naida. Mai più.
Lei assentì, si sforzò di sorridergli; Actarus l’interrogò con lo sguardo prima di chinarsi a baciarla, dapprima timidamente, quasi con precauzione… poi il tempo perduto non fu più che un semplice pensiero di cui dimenticarsi, mentre si stringevano l’uno all’altra con la passione dei loro giovani anni.


Erano entrambi così giovani, così belli… nessuno, vedendoli assieme, avrebbe dubitato che fossero fatti l’uno per l’altra. Una meravigliosa coppia, felice ed innamorata, che passeggiava nella foresta innevata.
Hydargos non riusciva a staccare gli occhi dall’immagine sullo schermo: Naida… la sua Naida… mentre stringeva tra le braccia Duke Fleed, si alzava sulle punte dei piedi per rispondere al suo bacio (anche con me lo faceva!).
Davanti a lui, una bottiglia colma di liquido dorato scintillava, invitante. Hydargos si versò una coppa di liquore, mentre continuava a guardare sullo schermo i due giovani che ridevano, si abbracciavano, parlavano cercando di colmare quel vuoto che anni di separazione avevano scavato tra di loro.
– È stata programmata per comportarsi così – disse alle sue spalle la voce di Zuril.
– Lo so – rispose Hydargos, ostentando un’impassibilità che non provava affatto.
– Più avanti ricorderà che Duke Fleed è un traditore – spiegò Zuril, restando in piedi accanto alla poltrona del collega – Per ora, bisogna che lui non abbia il minimo sospetto sul conto di Naida, per cui lei dovrà mostrarsi… hm… amichevole.
– Capisco – occhi foschi e viso imperturbabile, Hydargos sorseggiò lentamente il suo liquore.
Zuril esitò un istante; poi non resistette: – Pensavo che tu non avresti… voglio dire, Naida…
– Credi che m’importi di quello che lei fa o non fa con quel Duke Fleed?
Francamente sì, amico mio. Penso proprio che t’importi. Solo che moriresti, piuttosto che ammetterlo, fu ciò che pensò Zuril.
– No, naturalmente – fu ciò che invece rispose – Stupido io a preoccuparmi.
Hydargos non disse nulla; bevve un altro sorso, e tornò a guardare lo schermo.

- Continua -
 
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