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H. ASTER's FICTION GALLERY

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H. Aster
view post Posted on 11/5/2009, 20:26 by: H. Aster     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Verona, città di Emilio Salgari.

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Capitolo 14 – Il traditore

Il rumore dei passi pareva rimbombare nel laboratorio silenzioso. A quell’ora, il guardiano notturno era praticamente l’unico essere vivente che s’aggirasse in quei corridoi, che passasse nelle sale deserte, che vegliasse mentre gli altri riposavano.
Quella notte, qualcun altro non dormiva.
Acquattata nell’oscurità, Naida attese che l’uomo continuasse il suo giro di perlustrazione: era molto tardi, il sonno cominciava a farsi sentire e il guardiano sembrava meno vigile di quanto non fosse stato qualche ora prima. Era evidente che non s’aspettasse attacchi; che il nemico fosse già nel laboratorio, questo il guardiano non l’avrebbe mai immaginato.
Il rumore dei passi s’allontanò, attenuandosi poco a poco; solo quando il silenzio regnò nuovamente, Naida scivolò fuori dal suo nascondiglio e imboccò rapidamente la scala che portava ai sotterranei.
Era stato utile farsi accompagnare in giro per il laboratorio, mostrarsi interessata, fare domande: ora, sapeva esattamente dove fosse il suo obiettivo, e come raggiungerlo. Nessuno aveva sospettato di lei, mai.
Davanti a lei, la rampa di lancio di Goldrake; nella semioscurità, il robot sembrava un gigante mitologico immobile, addormentato.
Naida lo guardò con odio, mentre sfilava da sotto il vestito un oggetto oblungo. Gliel’avevano dato su Skarmoon: una bomba al vegatrom ad alto potenziale, con cui avrebbe potuto distruggere Goldrake facendo così giustizia per i caduti di Fleed.
Naida respirò a fondo: non fosse stato per quel robot, Duke non sarebbe fuggito da Fleed, non si sarebbe macchiato di tradimento, non si sarebbe comportato da vigliacco… la colpa di tutto era di quel maledetto robot. Per colpa sua, Vega aveva attaccato Fleed. Per colpa sua, Duke era divenuto un abominio per il suo popolo.
Lei ora avrebbe fatto giustizia.
La bomba stretta in pugno, gli occhi fissi sull’enorme sagoma oscura che la sovrastava, Naida cominciò a salire la rampa di lancio. Ancora pochi passi… ancora poco…
– Attenta! – Actarus le balzò addosso trascinandola con sé giù dalla rampa proprio nell’esatto istante in cui le corna dorate di Goldrake s’accendevano d’un’improvvisa luminescenza. Una potente scarica elettrica s’abbatté sul pavimento dove un istante prima si era trovata Naida.
Lei serrò le labbra: era stata così vicina a riuscire…! Se solo lui non si fosse svegliato, se non l’avesse seguita…!
– È un miracolo che tu non sia rimasta fulminata! – Actarus le tese una mano, l’aiutò a rialzarsi – Ma come? Dimenticavi che nessuno, tranne me, può avvicinarsi a Goldrake senza attivare una potente scarica elettrica?
Silenziosa, gli occhi foschi, Naida si rimise in piedi, una mano dietro la schiena per celare la bomba. Il suo gesto furtivo attirò l’attenzione di Actarus: – Che cosa stai nascondendo? Fammi vedere!
Naida si tirò indietro e lui le afferrò il braccio, trattenendola; lottarono brevemente, poi lei fu costretta a cedere. Allibito, Actarus fissò l’oggetto che le aveva strappato di mano: – Ma questa è una bomba!
Lei scattò come un gatto selvatico, tentando di riprendersi l’ordigno; lottarono ancora, lei riuscì ad afferrare la bomba e lui gliela strappò nuovamente di mano, facendola ruzzolare al suolo.
– A che cosa ti serve, questa? – gridò Actarus, alterato – Rispondi!
Naida scattò in piedi: – Per distruggerti! – lo vide impallidire e continuò: – Per eliminare dall’universo un traditore!
Actarus sussultò come se fosse stato frustato; prontissima, Naida balzò in avanti per recuperare la bomba. La lotta stavolta fu più serrata, più feroce, ma ancora una volta fu lui a respingerla; Naida perse l’equilibrio e cadde in ginocchio, restando immobile, lo sguardo dritto davanti a sé.
Ci volle qualche istante perché Actarus riuscisse a riprendere fiato, a parlare di nuovo.
– Naida! Perché mi hai chiamato traditore? – esclamò infine.
Lei si voltò di scatto, come una serpe pronta a colpire: – Vuoi dire che l’hai dimenticato?
Actarus trasalì, come se lei l’avesse percosso in pieno viso; Naida si rialzò, gli occhi colmi d’accuse fissi su di lui: – Quando siamo stati aggrediti da Vega, quando è cominciato il massacro, tu… tu sei fuggito sul tuo disco! Invece di combattere per noi, tu ti sei messo in salvo!
Actarus sentì mancargli il respiro, mentre tanti ricordi che aveva sempre voluto dimenticare gli tornavano inesorabilmente alla memoria: l’addio ai genitori, il viso pieno di lacrime di sua madre… la vocina di Maria, che lui era stato costretto ad ignorare…
Ma lui non aveva voluto andarsene, e Naida doveva saperlo! Era stata presente, quando il padre gli aveva ordinato di portare via Goldrake… aveva visto, aveva sentito!
– Non è vero! – esclamò, forte della sua ragione – Io non sono fuggito! Ho sempre combattuto, anche quando il pianeta era completamente distrutto!
– Il pianeta non era completamente distrutto! – lo rimbeccò prontamente lei – C’erano ancora dei superstiti! Io sono viva, infatti!
Ogni parola era come veleno su una ferita riaperta, e ogni goccia bruciava ancora più della precedente: – Naida, ma io…
– Non voglio sentire le tue scuse! – gridò lei, esasperata – La verità è che sei fuggito, lasciandoci indifesi nelle mani di quei mostri di Vega! Dov’eri quando hanno distrutto le città, sterminato le persone, assassinato vecchi e bambini?
Oh no, no, no… questa realtà era ancora peggio di tutti gli incubi che da allora avevano funestato le sue notti, tormentato i suoi giorni di sopravvissuto… come poteva Naida, proprio la sua Naida, accusarlo a quel modo? Perché non comprendeva quanto gli era costato essere costretto ad andarsene, abbandonarli al loro destino? Perché non aveva capito che solo lui avrebbe potuto portare via Goldrake, impedire che cadesse in mano a Vega? Perché l’accusava a quel modo, quando lui stesso era sempre stato il proprio principale accusatore?
– Naida… non hai capito…? – articolò, la voce che gli si spezzava.
Se lei, la donna che l’aveva amato, lo considerava un traditore, un vigliacco… che avevano pensato gli abitanti di Fleed di lui, il loro principe…?
La vergogna, l’orrore gli tolsero il fiato, mozzandogli il respiro.
In lacrime, Naida evitava di guardarlo, e la disperazione vibrava in ogni sua parola: – Ti ho amato tutta la mia vita, ti ho amato sempre… ti ho amato ogni giorno, ogni ora… e tu ci hai traditi! – singhiozzò, spezzata dal dolore; le ginocchia le cedettero e lei crollò sul pavimento strappandosi i capelli: – Io non posso perdonare un traditore!
Actarus aprì la bocca, fece per parlare, ma le parole morirono sulle sue labbra. Inorridito, incapace di reagire, fissava Naida che, a terra, piangeva tutta la sua disperazione.
Non era possibile, non era possibile…
Di scatto, lei s’asciugò il viso, si voltò di nuovo a guardarlo, gli occhi gelidi: – Ci hai uccisi, Duke Fleed, e continui ad ucciderci anche qui, sulla Terra! Tu distruggi l’unica forma di vita che quei mostri ci hanno concesso!
IO… avrei ucciso…?
Actarus scosse il capo, arretrò, incapace di reggere quell’attacco.
Naida si rialzò, fissandolo in viso e preparandosi freddamente a scagliare il colpo finale, quello che l’avrebbe annientato.
Adesso è il momento!, esclamò l’oscura voce velenosa dentro di lei. Accusalo dei suoi crimini, lui è responsabile della morte di tuo fratello!
…Sirius…!
Con deliberata freddezza, Naida puntò il dito contro Actarus, quasi avesse potuto inchiodarlo alla sua responsabilità: – I dischi di Vega che tu hai distrutto avevano all’interno il cervello di un abitante di Fleed!
Annientato, Actarus vacillò; la bomba gli sfuggì dalle dita, rotolò sul pavimento finendo dentro la presa d’aria che dava sul piano inferiore.
L’esplosione scosse l’intera base, ma né Actarus né Naida, troppo impegnati nel loro duello personale, parvero farvi caso.


Procton trasalì, balzò a sedere nel letto.
Che era stato quel rumore?


– In ognuno di quei dischi – stava continuando Naida, scandendo bene le parole perché ciascuna di esse penetrasse nella coscienza di lui – in ognuno è stato inserito un cervello prelevato da un uomo!
Uno spasmo improvviso al torace: – …Cosa…?
– Un cervello cui hanno tolto il potere della ragione – continuò impietosamente lei, sempre spinta dal suo oscuro demone interiore – Un cervello condizionato ad essere a fedele a Vega! – le mancò il respiro, un singhiozzo le spezzò la voce: – Ricordi il primo mostro che hai distrutto?
Actarus assentì senza quasi accorgersene. Ogni battaglia era ormai scolpita indelebilmente nella sua memoria…
– In quel mostro c’era il cervello di Sirius!
NO…!
– Tu hai ucciso tutto quel che restava di mio fratello! – urlò lei, con quanto fiato aveva in gola.


Gandal ghignò: – Guardalo! Il maledetto Duke Fleed non riesce nemmeno a spiccicare più una parola!
– Così pare – rispose Zuril, che non condivideva tanta esultanza.
– Non sembri molto contento – si stupì Gandal – Eppure, oggi abbiamo sconfitto il nostro peggior nemico!
– Non è ancora morto – osservò Zuril.
– Adesso morirà – Re Vega riattivò il microfono per dare a Naida gli ultimi ordini.
Alle loro spalle, Hydargos non disse nulla, gli occhi sempre fissi sullo schermo.


Annientato, distrutto, lui vacillò, parve sul punto di cadere; a terra invece finì Naida, colpita da un’improvvisa scarica di dolore che le si era irradiata nella testa, facendola spasimare.
Vendicati! Uccidi Duke Fleed! UCCIDILO!!!
Il dolore cessò, la voce tacque. Naida si guardò rapidamente attorno, in cerca di un’arma, un’arma qualsiasi: in un angolo, uno dei tecnici aveva dimenticato un pezzo di tubo passacavi in materiale plastico, rigido e pesante. Balzò in piedi, afferrò il tubo e colpì ripetutamente Actarus sulla testa, facendogli schizzare sangue dal naso, dalla fronte…
Cadi, maledetto assassino! Cadi! Muori! MUORI!!!
Un rumore alle sue spalle… Naida si voltò di scatto, il tubo tra le mani, come una belva pronta ad uccidere nuovamente.
Sulla porta erano apparsi Procton ed Alcor. In un istante videro Actarus a terra, la testa sanguinante, e Naida invasata come una furia che lo sovrastava per finirlo.
Scorgere quei nuovi avversari e scagliarsi su di loro fu per Naida affare di un attimo.
Senza una parola, Procton alzò la pistola a raggi che stringeva in mano e sparò: colpita in pieno petto, lei vacillò, annaspando penosamente, e crollò a terra come fulminata.
– Che cos’è successo? – esclamò Alcor, sconvolto – È morta?
– No, soltanto tramortita – Procton si chinò sul figlio, gli esaminò rapidamente le ferite – Chiama il centro medico, Actarus ha bisogno di cure immediate.
Alcor obbedì e premette il pulsante d’allarme; poi si voltò a guardare con disprezzo il corpo inanimato di Naida: – Diceva di amarlo, e l’ha quasi ucciso!
Procton controllò il polso di Actarus: batteva, ma debolmente – Forse Naida non è responsabile di quello che ha fatto.
– Volete dire che non è stata lei a colpire Actarus? – sbottò Alcor, incredulo.
– Voglio che tu la esamini con lo scanner – rispose Procton – Se è come penso, le troverai addosso qualcosa che non dovrebbe esserci.


Allibito, Alcor fissava sul monitor l’immagine TAC della testa di Naida: dietro l’orecchio destro campeggiava un minuscolo oggetto metallico… qualcosa che non avrebbe dovuto esserci, proprio come aveva immaginato Procton.
– Dottore! – esclamò Alcor – Naida ha un frammento metallico nella testa!
Procton si voltò di scatto verso di lui: – Come?
– Sembra… una capsula ricevente.
– Una capsula! – Procton si chinò sul monitor ed annuì a sé stesso: – Allora i miei sospetti avevano un fondamento! È necessario operarla immediatamente.


Capitolo 15 – Dolore

Naida aprì gli occhi, guardandosi in giro: era in un letto. Attorno a lei, muri, mobili di legno… una finestra da cui si vedevano alberi… Non era su Skarmoon.
La Terra…?
Lei si trovava sulla Terra…?
Naida aggrottò la fronte nel tentativo di riflettere, ma i ricordi le si agitavano come farfalle impazzite nella sua povera mente confusa.
Pure, era sicura di trovarsi sulla Terra, anche se non ricordava come ci fosse arrivata.
Aspetta… un’astronave… soldati che la inseguivano, e poi… lui, Duke…
Fu come se qualcosa fosse esploso nel suo cervello: frammenti di memoria parvero attrarsi, riunirsi fino a formare un mosaico di cui cominciava a vedere il disegno…
Duke. L’orribile voce che la torturava spingendola ad odiare, uccidere…
Duke steso a terra… sangue…?
– Duke! – esclamò, tirandosi a sedere sul letto; solo ora s’accorse che nella sua stanza v’era una giovane sconosciuta, che s’avvicinò prontamente al suo letto: – E tu chi sei?
– Mi chiamo Venusia, e sono un’amica di Duke – rispose gentilmente – Non preoccuparti, va tutto bene.
Naida si guardò attorno come un animale in trappola: – E dove si trova adesso? Dov’è Duke?
Venusia esitò un attimo solo: poi capì che una sua menzogna non avrebbe ingannato Naida e decise di dirle la verità: – È ancora sotto shock.
Naida sbarrò gli occhi: – Sotto shock?
– Per i colpi che gli hai dato sulla testa – ecco, l’aveva detto.
L’orrore si dipinse sul viso di Naida: – Io l’ho colpito? Vuoi dire che IO l’ho colpito sulla testa?
Venusia si sentì piegare le ginocchia: allora era vero quello che aveva detto il dottore… lei era stata controllata, usata. Non era colpevole… e lei, che era arrivata quasi ad odiarla per il male che aveva causato ad Actarus!
– Naida – Venusia sedette sul letto accanto a lei, le prese una mano: – non ti ricordi più cos’è successo stanotte?
Naida scosse il capo e ricadde sul cuscino. Sentì un lieve dolore e si portò una mano alla testa: una fasciatura? Era stata ferita? Non ricordava nulla, nulla… aveva vissuto tutti i giorni passati come in un incubo. Si era sempre sentita come immersa in un mondo irreale, ogni sua sensazione era sempre giunta a lei come attraverso un filtro… a parte quegli spaventosi mali di testa. Anche la sera prima aveva avuto un violentissimo attacco d’emicrania… c’era stata quella voce che le aveva parlato… poi…
– Ma che è successo? – gemette.
Venusia avrebbe preferito non doverle dire cose che, lo sapeva, l’avrebbero sconvolta; d’altra parte, Naida aveva il diritto di sapere.
– Hai detto che Duke è un traditore – mormorò – e hai cercato di distruggere Goldrake. Non lo ricordi, questo?
– Ho… come un vuoto nel cervello – rispose Naida in un soffio – Tutti questi ultimi giorni sono così confusi… mi sentivo sempre come se fossi stata in un sogno…
– Perché non eri in te – disse la voce di Procton.
Le due ragazze si voltarono verso di lui, che era apparso sulla soglia.
– Come sta Duke? – chiese ansiosamente Naida.
– Non preoccuparti, si rimetterà. Stai tranquilla – rispose in fretta Procton – Non sei responsabile di quello che è successo: i veghiani t’avevano impiantato una minuscola capsula ricevente dietro l’orecchio.
– Sì – mormorò Naida – Sì… adesso comincio a ricordarmene.
– Con questa capsula ti costringevano ad obbedire ai loro ordini – continuò Procton – Ora non possono più farlo, non devi avere paura.
– Volete dire… che sono libera? – esclamò Naida.
– Abbiamo rimosso quel congegno – Procton tese la mano aperta: sul palmo, un minuscolo oggetto metallico dall’aria inoffensiva. Pure, Naida lo guardò con orrore.
– Era… questo…?
– Era con questo che ti governavano – spiegò gravemente il professore – Ora però non hanno più alcun potere su di te: non possono più dominare la tua mente – tolse di tasca un contenitore di plastica foderato di uno spesso strato di materiale isolante e vi chiuse dentro la capsula – e ormai non possono nemmeno più vedere né sentire nulla. Adesso Venusia ed io ti lasciamo riposare.
Il professore aprì la porta, fece uscire per prima Venusia; poi si girò a guardare un’ultima volta la giovane donna che giaceva nel letto e aggiunse, con uno dei suoi lievi sorrisi: – Coraggio, Naida. È tutto finito.
Naida trasalì come se avesse ricevuto una scossa, ma il professore era ormai uscito e non se ne accorse. Lei ricadde sul cuscino tirandosi le coperte fin sulla bocca, gli occhi fissi nello sforzo di ricordare…
“Coraggio, Naida. È tutto finito.”
Aveva già sentito quelle parole… le aveva sentite poco tempo prima, dette da un’altra voce.
Il ricordo esplose nella sua mente, inarrestabile e devastante…


…Le luci s’affievolirono, i suoni si spensero.
Appesa per i polsi ai ceppi, Naida si reggeva in piedi a malapena: le ginocchia le si piegavano, un tremito violento la scuoteva tutta.
– Coraggio, Naida. È tutto finito. – Zuril spense il display di controllo; s’avvicinò alla giovane donna, le liberò le caviglie. Quando aprì l’anello che le stringeva un polso lei si accasciò su sé stessa, e lui fu costretto ad afferrarla per impedirle di cadere; aprì anche l’ultimo anello e Naida gli crollò addosso, mezzo svenuta.
– Sta bene? – la voce profonda di Re Vega tradiva una certa preoccupazione: se Naida fosse morta il piano di colpire a tradimento Duke Fleed sarebbe sfumato.
Zuril esaminò rapidamente la giovane donna: – Si riprenderà presto.
– Ha resistito alla sonda mentale più di quanto mi aspettassi – osservò Sua Maestà.
Lo scienziato assentì. Incapace di accettare l’odio per Duke Fleed che volevano inculcarle, lei s’era ribellata, e il condizionamento era stato lungo e doloroso. Teoricamente non avrebbero dovuto esserci problemi, ma…
Di colpo Naida trasalì, spalancando a dismisura gli occhi: un dolore lacerante al basso ventre, come una coltellata… in preda agli spasimi Naida si piegò in due, lanciando un urlo strozzato.
– Che le succede? – sbottò Re Vega.
– Non dovrebbe fare così! A meno che… – Zuril tacque, mentre un atroce sospetto si faceva strada in lui; Naida urlò ancora, divincolandosi, e lui non poté fare altro che adagiarla sul pavimento.
Il dolore era sempre più violento, vivo, pulsante… poi improvvisamente Naida sentì il sangue, la sua stessa vita fluire da lei. Con orrore s’accorse d’essere immersa in una pozza rosso vivo.
– Sta’ calma, andrà tutto bene – Zuril balzò in piedi e scattò verso l’intercom, mentre Re Vega si faceva avanti.
– Che cos’ha? – chiese il sovrano, allarmato.
– Un aborto – con un pugno Zuril accese il display – Non potevo sapere che era incinta!
– …Cosa…? – allibito, Sua Maestà tornò a guardare la straziata creatura che si torceva nel suo stesso sangue. In vita sua, Re Vega aveva ordinato e visto la morte d’innumerevoli esseri; la fine di quell’esistenza appena iniziata lo scosse profondamente.
Sullo schermo apparve il viso d’un giovane tecnico; in tono reciso Zuril ordinò che venisse mandata subito un’unità di pronto soccorso. Spense lo schermo prima che il giovane potesse replicare e tornò ad inginocchiarsi accanto a Naida, incurante del sangue che lo lordava. Se fosse morta, lui sarebbe stato ritenuto responsabile, e non voleva pensare alle conseguenze…!
Lei lo fissò, gli occhi resi folli dal terrore, e si aggrappò alla sua mano. Zuril le prese anche l’altra, gliele strinse nelle proprie come per trasmetterle la propria forza: – Stanno arrivando, Naida. Devi resistere. Devi farcela…!
Poi, fu il buio.


Riemerse lentamente dall’oblio. Non poteva vedere nulla, ma sentiva parlare attorno a sé… una voce femminile… la primaria, Koyra.
– …Un aborto, sì.
– Non sapevo che fosse incinta – questo era Zuril – Naida non me l’aveva detto!
– Perché di sicuro non lo sapeva nemmeno lei – rispose la dottoressa – La gravidanza era appena iniziata. L’embrione era esattamente di quattro settimane e un giorno.
Embrione…?, si disse Naida. Gravidanza… io?
– Non è proprio stato possibile salvare il bambino? – chiese la voce di Zuril.
– È stato ucciso dalle scariche elettriche dovute al condizionamento – rispose seccamente Koyra – L’aborto è stato solo la naturale espulsione, non la causa del decesso.
– Capisco – rispose Zuril, e per una volta tanto la sua voce non suonava certo fredda ed indifferente – Cos’era?
– Un maschio.
Mio… figlio…?, pensò Naida.
Un attimo di silenzio; poi la Koyra aggiunse: – Qualcuno dovrà dirlo al comandante Hydargos.
– Me ne incarico io – rispose piano Zuril – Naida sta bene?
– Abbiamo fermato l’emorragia. Si riprenderà.
Mio figlio…! Il mio bambino…
Le voci s’allontanarono, s’affievolirono e l’oscurità benedetta l’inghiottì portandola via dal dolore, dalla disperazione, dalla morte.


Naida si rizzò a sedere sul letto, le mani sul ventre.
Il suo bambino!
Ora, solo ora ricordava… in tutto il tempo in cui era rimasta sotto il controllo del chip di Vega, era vissuta come in un incubo, alcune parti della sua mente erano state sopite, la sua memoria era rimasta in parte bloccata, chiusa… ma ora ricordava, il dolore, il sangue… e poi i discorsi della dottoressa e di Zuril. Un aborto.
Per un breve periodo era stata madre, e senza saperlo.
Un maschio… quattro settimane e un giorno…
Non sarebbe mai nato.
Naida lanciò un urlo da animale ferito a morte e ricadde sul letto, scoppiando in un pianto dirotto.


La mano di Procton e il coperchio che si chiudeva fu l’ultima cosa che videro, la sua voce l’ultima cosa che sentirono.
– Avreste dovuto immaginare che i terrestri avrebbero capito che Naida era condizionata – osservò Zuril, asciutto – Ora che le hanno tolto la nostra sonda, abbiamo perso ogni contatto.
– Sapevamo che sarebbe accaduto – ringhiò Gandal, sedendosi sulla sua poltrona di comandante – Solo, pensavamo che prima d’essere scoperta lei sarebbe riuscita ad uccidere Duke Fleed o a danneggiare Goldrake. Comunque, al momento Duke Fleed non è in grado di reagire, il che è un vantaggio – ruotò la sua poltrona verso Hydargos, seduto alla sua postazione: – Fai partire il mostro Dari Dari e i minidischi e attacca il laboratorio. Vedremo se riusciranno a salvarsi, senza quel dannato robot.
Hydargos esitò un istante solo: Naida era laggiù, avrebbe potuto morire durante l’attacco.
Impassibile, la voce fermissima, diede gli ordini necessari, prima d’alzarsi e avviarsi frettolosamente verso la porta.
Gandal si voltò verso di lui: – Vuoi essere tu a pilotare il mostro?
Hydargos sostenne il suo sguardo: – Voglio seguire personalmente l’attacco dalla mia astronave – e voglio tentare di riprendermi quello che è mio.
Il Comandante di Vega fece un cenno d’assenso e tornò a fissare lo schermo, mentre Zuril si poneva al suo fianco.
Le porte si chiusero dietro Hydargos.


Gli occhi ormai asciutti – non sapeva quanto tempo fosse passato – Naida si rialzò faticosamente, mettendosi a sedere sul letto.
Il pensiero del suo bambino era ancora orribile, ma aveva sfogato il suo dolore, pianto tutte le sue lacrime. Per il momento si sentiva un po’ meno peggio.
Naida si portò le mani alla fronte, toccò la fasciatura che le avevano fatto per medicarle la ferita; e in quel momento le tornò in mente Duke, il suo Duke, e come lei l’avesse colpito selvaggiamente. Il dolore si rinnovò in lei: come aveva potuto arrivare a tanto? Come aveva potuto fare del male all’uomo che amava?
Naida serrò i denti. Il condizionamento mentale. Maledetti…!
Tutto, le avevano tolto i veghiani, tutto… la libertà, la dignità, suo figlio, il suo amore. Avevano fatto di lei una furia omicida.
Procton aveva detto che Duke era vivo, ma non aveva detto che stava bene…
Oh, amore mio! Se solo potessi… potessi…
In preda allo sconforto, Naida ricadde sul letto.
Se solo avesse potuto andare da Duke, vederlo un istante, magari digli…
Cosa potrei dirgli? Che in tutti questi anni sono stata la schiava del suo peggior nemico?
In preda alla vergogna, Naida si coprì gli occhi con le mani. Ricordava quando aveva urlato in faccia a Duke quella che era stata la sua vita dopo la caduta di Fleed. Allora l’aveva accusato di tradimento e si era sentita fiera del suo passato perché aveva voluto fargli del male, ferirlo; adesso, tornata in sé, il rimorso la tormentava. Come aveva potuto parlare così a Duke… trattarlo da vigliacco, traditore… e gettargli in faccia la relazione che aveva avuto con Hydargos?
Trasalì al ricordo di Hydargos, e sentì bruciarle le guance.
Quando era divenuta la sua schiava, anni prima, si era sentita confortata dal fatto che lui fosse abbastanza gentile con lei; ora, sentiva la vergogna lacerarle l’animo. Se lui fosse stato un padrone crudele e violento, ora lei sarebbe stata una vittima degna di rispetto e comprensione; ma non era stato così. Lui l’aveva protetta, nutrita, aveva avuto cura di lei. Non le aveva mai fatto del male.
Come poteva ora sostenere lo sguardo di Duke, sapendo di essersi salvata perché aveva accettato di essere il giocattolo del suo peggior nemico? Lui avrebbe avuto tutti i motivi per disprezzarla, e avrebbe avuto ragione. Lei aveva calpestato la sua dignità per quel veghiano…
Un pensiero improvviso la lasciò senza fiato: era un’ingrata. Hydargos era davvero stato buono con lei, e lei lo stava disprezzando.
I ricordi le si affollarono alla mente… Hydargos che la strappava a quell’orrenda prigione, che le dava una casa, cibo, vestiti… quando l’aveva condotta alla biblioteca… quando le aveva donato il bulbo… quando aveva rischiato in prima persona tentando di difenderla davanti a Re Vega… arrossì violentemente pensando all’ultima notte che avevano trascorso assieme. No, con quello che era successo allora non poteva certo pensare che fosse stata solo la paura a legarla a lui. Quella notte lei non era stata semplicemente il suo giocattolo: erano stati davvero un uomo e una donna che si erano amati. E per poco non avevano avuto anche un figlio.
Naida si gettò ancora sul letto, stringendo tra le braccia il cuscino. Amava Duke, l’aveva sempre amato e nonostante tutto non avrebbe mai cessato d’amarlo; come poteva allora sentirsi legata ad un altro uomo? Cosa provava davvero per Hydargos?
Come poteva essere attratta da due uomini? Cos’era diventata…?
Duke. Hydargos. Il bimbo…
In preda alla più totale confusione, Naida affondò il viso nel cuscino.
Se fossi morta…!

- Continua -
 
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