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H. ASTER's FICTION GALLERY

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view post Posted on 18/7/2014, 21:02     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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29 – GALAR

– Holdh sta scappando! – ringhiò Rigr – Vedi di aprire subito quella porta!
– Datemi il mio comando, e vi apro tutte le porte che volete! – esclamò Borg’n.
Raska stavolta non ebbe esitazioni e glielo porse: Borg’n digitò un codice, e la porta si spalancò.
– Andate via di qui! – Rigr si rivolse a Yai: – Portali alla nave e andatevene.
– Tu non vieni? – esclamò Maria.
Lui si voltò a guardarla, sembrò restare un attimo sospeso come se avesse avuto qualcosa d’importante da dirle; poi scosse la testa e tornò a rivolgersi a Yai: – Pensa tu a loro.
– Non preoccuparti – rispose Yai.
– Ma… Rigr! – gridò Maria.
– Ho una promessa da mantenere – e Rigr s’allontanò, con la velocità straordinaria della sua specie.
– Avanti, truppa, non c’è tempo da perdere! – Yai spianò il proprio laser – Adesso avremo addosso tutta la Fortezza!
– Te l’ho detto, posso pensare io a creare un diversivo per fuggire – Borg’n digitò un ordine sul suo telecomando, aggiungendovi il codice di sicurezza: non per nulla, era lui il Direttore della Fortezza. Disattivare completamente tutti i sistemi di allarme e contenzione era una sua facoltà.
– Cosa stai facendo? – esclamò Yai, allarmato.
Borg’n lo guardò con aria feroce: – Sto tenendo impegnate tutte le guardie.
Inserì il codice finale.
Giù, negli altri sotterranei della Fortezza, tutti i cancelli vennero spalancati.


L’urlo selvaggio di centinaia di prigionieri improvvisamente liberi sembrò scuotere la Fortezza fin nelle sue fondamenta.


Nah’ma sussultò, balzando a sedere sulla sua poltroncina: cos’era stato quel boato?
Con un ordine vocale spense la musica e le luci biodinamiche, e si mise in ascolto: sembrava… un ruggito…? Urla…?
Corse alla finestra e guardò giù: non si vedeva nulla di speciale, ma si sentiva quell’urlo farsi sempre più forte, come un’ondata di marea…
– Stanno scappando! – urlò una voce impazzita sugli spalti, dalle parti del cortile principale – I prigionieri si sono liberati!
Vedere le guardie fuggire invece di affrontare i detenuti diede a Nah’ma l’idea esatta di quanto tragica fosse la situazione… centinaia di uomini abbrutiti, poco più che bestie, liberi.
Si guardò in giro: Holdh non c’era.
Bastardo schifoso, mi ha piantata!
Pur terrorizzata, ebbe la presenza di spirito di prendere con sé il telecomando d’apertura: senza quello non avrebbe mai potuto salire sulla navetta. Si precipitò fuori del suo lussuoso appartamento, corse giù per le scale incespicando nelle sue lunghe gonne ricamate d’oro, arrivò nel cortile. Là ancora non c’era confusione, ma dal cortile principale venivano le voci concitate della guardie. Già da là dov’era lei il rumore era infernale, dal sotterraneo provenivano urla, spari e soprattutto quel terribile boato, il ruggito furibondo di centinaia di prigionieri che stavano lottando per riavere la loro libertà.
Doveva raggiungere lo spiazzo esterno, quello in cui erano parcheggiate le navette, e doveva far presto, prestissimo…


– Li hai liberati tutti? – esclamò Yai, furibondo – Adesso dovremo vedercela anche con i prigionieri…!
– Per niente – Borg’n aveva assunto il piglio del vero comandante, ora – C’è un’altra uscita, e noi useremo quella. Seguitemi!


Holdh attraversò di corsa il cortile principale: quei maledetti Uru! Ma come avevano fatto ad arrivare alla Fortezza?
Imprecando mentalmente, si precipitò verso l’imboccatura del corridoio in pietra che dava nel secondo cortile.


Guidati da Borg’n, che conosceva perfettamente la Fortezza, invece di precipitarsi fuori nei cortili s’infilarono in fondo alle prigioni, in una zona dimenticata da fin troppo tempo e non più usata. Borg’n aprì una porticina metallica che dava su una scaletta buia: imboccarono un passaggio sotterraneo stretto, umido e oscuro, piuttosto sporco, praticamente semidimenticato. Come unico lume avevano un paio di torce d’emergenza che Borg’n aveva preso da un armadietto.
– Borg’n, ma sei sicuro…? – chiese Irghiz, allarmata. Nemmeno lei conosceva quel corridoio, non sapeva neppure della sua esistenza.
– T’avverto, se è una trappola, tu sei morto – ringhiò Yai, che teneva la pistola puntata contro la schiena di Borg’n.
Continuando a tirarsi dietro Irghiz, che teneva per un braccio, Borg’n proseguì senza esitazioni: – Questo passaggio non è usato da quando il montacarichi non è più l’unica via d’accesso alla Fortezza – spiegò – Ormai si arriva con le navi, per cui non ha più motivo di essere. Ecco perché l’hanno dimenticato; io lo conosco solo perché amo la storia e mi piace guardarmi in giro.
– Vuoi dire che porta al montacarichi? – chiese Zuril, che faticava a tener dietro agli altri, ma che stava cercando di non darlo a vedere.
– Porta all’interno della Torre Est – rispose Borg’n – T’avevo detto che le celle d’isolamento un tempo erano l’appartamento reale. Questa è una scappatoia che si erano creati i sovrani antichi: la Fortezza non è mai caduta, quindi non mi risulta sia mai stato usato. Per questo lo conosce forse il solo Holdh, e non credo che sappia che lo conosco pure io. Dovremo solo stare attenti a quel che troveremo quando usciremo di qui.
Proseguirono, Borg’n davanti con Irghiz, Yai subito dietro, poi Maria e Zuril ed infine Raska, che continuava a voltarsi per controllare che nessuno li seguisse. Clem fluttuava morbidamente sulle loro teste.


Estenuata, Nah’ma imboccò il portale che dava nel passaggio che conduceva al piazzale in cui erano parcheggiate le navette… e infatti eccole, le sarebbe bastato prenderne una per…
Imprecò, furiosa: quello era lo spiazzo destinato ai mezzi delle guardie, lei non aveva il telecomando per salire su una qualsiasi di quelle navi… lei poteva solo salire su quella di Holdh, e la famiglia reale aveva un cortile riservato, più lontano… si rimise a correre.
Alle sue spalle, il frastuono si faceva sempre più possente.


Holdh barcollò, udendo quel caos infernale: sentì le urla delle guardie, il rumore secco degli spari, ma l’urlo disumano dei prigionieri in rivolta parve sormontare ogni cosa, crebbe come una marea incontenibile.
Holdh vide le guardie rimaste sugli spalti fare l’atto di precipitarsi in soccorso dei compagni, arrestarsi udendo il frastuono e poi fuggire disperatamente; e comprese che la Fortezza era irrimediabilmente perduta.
Doveva mettersi in salvo pure lui.
Uscì dal cortile principale chiudendo i cancelli dietro di sé, senza il minimo pensiero per le guardie cui stava tagliando ogni via di fuga, poi si precipitò verso il cortile in cui si trovava la sua navetta. Percorse il secondo cortile, e mentre passava di corsa davanti alla porta della Torre Est fu colto da un pensiero: il montacarichi… ecco come quei dannati Uru avevano fatto a entrare!
– Maestà, che succede? – gridò una voce dietro di lui.
Holdh si girò di scatto: una decina di uomini, mezzo svestiti ma armati fino ai denti. Dovevano essersi appena alzati dal letto, allertati dal frastuono… uomini, lo sapeva, che gli erano molto fedeli.
– Una rivolta! – esclamò – È stata Irghiz, vuole uccidermi per prendere il trono. Hanno fatto tutto lei e Borg’n, mi stanno dando la caccia!
Un ufficiale si fece avanti, spianando un fucile laser: – Dove sono?
– Dietro di me… credo. Hanno fallito e cercheranno di raggiungere il montacarichi per fuggire.
– Ci pensiamo noi – l’ufficiale diede ordine ai suoi uomini di appostarsi attorno all’ingresso della Torre Est – Voi mettetevi in salvo!
Altre urla disperate provenienti dal cortile principale… la rivolta sembrava inarrestabile.
– Chiamate rinforzi! – urlò Holdh, allontanandosi – Sono troppi!
L’ufficiale prese il suo comunicatore, si mise in contatto col Comando Generale per chiedere aiuto, e Holdh ripartì di corsa, in direzione del cortile riservato alla famiglia reale. La sua navetta era là, in tasca aveva la sua copia del telecomando, da cui non si separava mai. Ce l’avrebbe fatta.


– Ci siamo, ormai! – esclamò Borg’n; alzò il fascio di luce della torcia, illuminando una porta metallica. – Può essere aperta solo da questa parte, ecco perché vi ho detto che non esistevano altri modi per entrare nelle prigioni.
– È chiusa? – domandò Yai.
– Non per molto – Borg’n azionò il suo telecomando, e la serratura della porta scattò.
Raska riconobbe subito l’interno della Torre Est: stavano uscendo da una porticina seminascosta sotto la rampa della scala in pietra. Raska si chiese come avesse potuto non notarla, ma le bastò un’occhiata per capirlo: all’esterno, la porta metallica era rivestita in pietra identica a quella con cui era stato costruito il muro. Una volta chiusa, era impossibile notare l’apertura.
– Gli antichi re volevano essere sicuri di poter fuggire – spiegò Borg’n.
Fece per andare al pannello di comando per azionare il montacarichi ma venne bloccato da una voce fredda: – Non muoverti!


La sua navetta era parcheggiata nel cortile più in basso, quello riservato alla famiglia reale; Holdh corse a perdifiato, deciso ad allontanarsi al più presto dalla rivolta. Per sua fortuna, il grosso della battaglia tra i prigionieri e le guardie stava svolgendosi nel cortile principale, piuttosto distante da dove era diretto lui.
Pistola in pugno, corse continuando a voltarsi per controllare di non essere seguito: per sua fortuna aveva un certo vantaggio, ma non poteva certo perdere tempo. Attraversò i cortili, sempre correndo e sempre continuando a voltarsi: aveva la netta sensazione d’avere qualcuno alle calcagna, ma non aveva mai scorto il minimo movimento alle sue spalle. L’agitazione evidentemente giocava strani scherzi.
La navetta era davanti a lui. Estrasse di tasca il comando d’apertura e lo azionò, facendo calare al suolo la passerella, cominciò a salire…
Una fitta fortissima alla gamba, e capitombolò a terra. Per un attimo vide tutto nero, poi fu il dolore stesso a risvegliarlo: doveva far presto, sentiva il boato aumentare, presto i prigionieri avrebbero invaso l’intera Fortezza.
Si rimise in piedi zoppicando, senza notare il piccolo oggetto metallico al suolo qualche metro più in là: non sapeva spiegarsi il perché fosse caduto, con ogni probabilità doveva aver messo un piede in fallo ed era rotolato a terra. Non rifletté sul fatto che a dolergli fosse un punto della coscia e non la caviglia, attribuì il dolore alla caduta e riprese a salire la passerella.
Doveva far presto… pochi passi e sarebbe stato in salvo.
Alle sue spalle sentì un grido acuto di richiamo.
Si voltò a guardare: Nah’ma.


Erano almeno una decina di uomini, e puntarono loro contro i fucili laser: – Fermi dove siete!
Yai e Raska si scambiarono un’occhiata: due contro dieci guardie ben armate… niente effetto sorpresa… pericolosissimo, ma forse non impossibile.
– Un momento! – esclamò Irghiz, facendosi avanti – Sono la vostra regina. Non potete…
– Abbiamo i nostri ordini – una delle guardie le puntò il fucile addosso – Vi siete ribellata a Sua Maestà Holdh. State scappando con questi… animali. Siete una traditrice, e dobbiamo spararvi a vista se farete resistenza. E anche a te, Borg’n.
– Ma non è possibile, io non ho… – cominciò lei, ma Borg’n l’afferrò per un braccio tirandola dietro di sé, facendole scudo con sé stesso; i fucili puntarono su di lui, le dita si contrassero sui grilletti…
Un ordine secco di Maria e Clem schizzò in avanti, fulmineo, falciando con una raffica di raggi energetici le attonite guardie che vennero colpite senza che nemmeno si fossero rese conto di quanto stava succedendo. Poi il robot oscillò morbidamente a mezz’aria, prima di sparare una seconda raffica su altre guardie che stavano sopraggiungendo dall’esterno.
– Via! – ordinò Zuril, spingendo Maria sul montacarichi.
Borg’n fece altrettanto con Irghiz e i due Uru li seguirono a loro volta, mentre Clem sparava contro chiunque si fosse fatto avanti. Il montacarichi scese, con una lentezza esasperante; sopra di loro, le continue raffiche facevano loro capire che il robot stava battendosi valorosamente per proteggere la loro fuga.
Finalmente, dopo un tempo che parve interminabile, il montacarichi fu a terra; Yai e Raska spalancarono le porte uscendo per primi, pronti al combattimento, ma non v’era nessuno ad aspettarli. Gli altri tennero loro dietro; Borg’n si fermò ad aprire il pannello di controllo per mettere fuori uso il montacarichi, e Yai, che era un tipo spiccio, sparò un colpo sul quadro comandi.
– Volevi renderlo inservibile, no? – disse, rivolto a Borg’n, rimasto senza fiato; quindi si precipitò all’esterno, verso il canalone da cui erano venuti, e gli altri gli tennero dietro.
– Clem…! – gridò Maria, guardando verso l’alto.
– Andiamo! – Zuril la trascinò via, mentre lei continuava a voltarsi indietro. Il suo robot…


– Holdh! – urlò ancora Nah’ma, mentre correva verso di lui.
Sei troppo distante, non posso aspettarti, si disse Holdh. Mi spiace, bimba.
Chiuse il portello, senza badare minimamente a quel che sarebbe accaduto a quella che era stata la sua favorita e che avrebbe dovuto diventare la sua regina.
Andò a sedersi al posto di comando, facendo una smorfia di dolore: la gamba continuava a dolergli, doveva essersi fatto più male di quel che avesse creduto. Maledetta sfortuna… da che aveva avuto a che fare con quel dannato veghiano, gli era sempre andato tutto storto. Ma gli avrebbe fatto pagare anche questo.
Mise in moto, e i motori ronzarono; la navetta si sollevò dolcemente dal suolo proprio mentre all’imboccatura del cortile apparivano i primi detenuti, che urlarono di rabbia vedendolo sfuggir loro. La navetta oscillò mentre i motori giungevano al massimo della potenza e poi sfrecciò via, nel cielo rossastro della sera.


– Aspettami! Holdh! – Nah’ma raccolse con le mani le lunghe vesti che le impacciavano i movimenti, e corse per il grande cortile, cercando di raggiungere Holdh, che stava ormai per salire sulla sua navetta – Aspettami!
Holdh era ormai con un piede sulla passerella; si voltò verso di lei per valutare quanto fosse distante, scosse il capo e salì in fretta sulla navetta. Non l’avrebbe aspettata.
– Nooo! – Nah’ma cercò di correre più in fretta, ma indossava come suo solito dei vestiti dai pesanti ricami d’oro, e quelle stoffe preziose le gravavano sulle spalle, le si attorcigliavano attorno alle gambe. Corse e corse, ormai senza fiato: lui non poteva abbandonarla… non poteva!
I motori ronzarono, la navetta s’innalzò in verticale proprio quando Nah’ma ormai avrebbe potuto raggiungerla, salire sulla passerella.
– Non puoi lasciarmi qui! – urlò, disperata, agitando i pugni; la navetta s’allontanò silenziosamente, sfrecciando lontano, verso la salvezza.
Nah’ma urlò e urlò, furiosa e terrorizzata al tempo stesso; il pensiero improvviso di doversi salvare le percorse la mente. Doveva raggiungere un mezzo, uno qualsiasi, e doveva far presto. Holdh aveva portato la sua navetta nel cortile principale della Fortezza, le altre erano nel vasto spiazzo apposito, sul retro. Doveva correre, doveva far presto.
Proprio allora, sentì un rumore che non aveva mai sentito prima d’allora, e che la fece raggelare: non riusciva a capire che fosse, sembrava… un branco in avvicinamento…?
Devo andarmene SUBITO da qui!
Tentò di strapparsi di dosso la stoffa preziosa, ma era troppo resistente per lacerarsi; raccolse le ampie, pesanti pieghe dorate e si precipitò verso il passaggio, nell’angolo in fondo al cortile… già lo vedeva…
Il rumore aumentò d’intensità, dalla porta che dava agli altri cortili eruppe una fiumana oscura: visi duri, ossuti, occhi allucinati, una marea di figure da incubo, uomini che da un’infinità di tempo non vedevano una donna.
Mani simili ad artigli la brancicarono, corpi affamati si gettarono su di lei, da quella gente eruppe un ruggito selvaggio talmente forte da soffocare il suo urlo disperato; e Nah’ma scomparve sotto quella massa bramosa e frenetica.


Di sopra, Clem continuava a sparare, spostandosi così velocemente che le guardie non riuscivano a vedere altro che un bagliore argenteo in continuo movimento; poi il computer gli indicò che la sua padrona era quasi fuori del raggio d’azione dei suoi sensori, il che contrastava con la sua programmazione. Clem sparò un’ultima raffica prima d’infilare la tromba del montacarichi e precipitarsi giù a tutta velocità. Davanti a lui, il soffitto della cabina era un ostacolo; Clem sparò perforandolo, vi passò attraverso e volò all’esterno, raggiungendo in breve la sua padrona e i suoi cinque compagni. Ritrovandosi a breve distanza da lei emise un ticchettio per segnalare la propria presenza: era tornato in servizio.
– Clem! – gridò gioiosamente Maria, voltandosi istintivamente verso di lui.
Zuril la sospinse in avanti: dovevano far presto, presto… le ginocchia gli cedettero e lui crollò nella polvere, colto da una vertigine improvvisa.
Maria lanciò un urlo, slanciandosi in suo soccorso; Borg’n, che era un po’ più avanti assieme ad Irghiz, tornò subito indietro, afferrò Zuril e cercò di farlo rimettere in piedi, ma le gambe gli tremavano, incapaci di sostenerlo. Scappare dalla cella prima, e quella breve corsa poi, gli aveva tolto quel poco fiato che aveva.
– Andate avanti! – Yai corse indietro a sua volta, puntò al montacarichi: un ronzio gli comunicò che dall’alto stavano per metterlo in funzione. Dovevano essere riusciti a ripararlo, o più probabilmente esisteva un comando ausiliare. Aveva fatto bene a tornare. Si staccò dalla cintura un paio di bombe, le attivò e le gettò nella cabina ancora aperta, allontanandosi con un paio di balzi.
L’esplosione scosse l’intera montagna fin nelle profondità rocciose del terreno.
Yai ghignò: dubitava che adesso le guardie avrebbero avuto molta voglia di seguirli.
Raggiunse i compagni, spinse da parte Maria che non riusciva ad aiutare il marito e assieme a Borg’n lo sostenne facendolo rialzare; Zuril si sentiva girare la testa, aveva lo stomaco scosso dalla nausea e le gambe pesanti come piombo, ma si sforzò di far muovere i muscoli, un passo, un altro… non ce l’avrebbe mai fatta…
– Andiamo! – Raska afferrò per un polso Irghiz tirandosela dietro, mentre Maria esitava, gli occhi fissi in quello del marito.
Se non ti salvi, non mi salverò nemmeno io.
Fu come se tra di loro fosse passata una sorta di comunicazione telepatica: Zuril comprese che per garantire la sicurezza di sua moglie avrebbe dovuto impegnarsi al massimo per salvare sé stesso. Strinse i denti e riprese a muoversi, un passo, un altro…
Borg’n guardò ansiosamente Yai: mancava molto?
L’uomo accennò col capo a delle rocce a una cinquantina di metri da loro: – Qua dietro.


Venusia sussultò, sentendo il bip bip del comunicatore: era il segnale convenuto, i suoi compagni stavano per arrivare. Accese subito i motori, che ronzarono dolcemente, e li tenne al minimo mantenendo la nave ancora sotto mimetizzazione.
Fu allora che li vide: nel suo schermo erano entrati tre mezzi, uno piccolo e due molto grandi, e risultavano essere in avvicinamento.
Rinforzi per la Fortezza, si disse Venusia, sentendosi gelare.
Avevano scoperto i suoi compagni, forse…?
Li guardò: erano due navi da trasporto, grosse e pesanti, scortate da un piccolo incrociatore, molto agile e veloce.
Venusia esitò un istante solo: doveva essere rapidissima, basare tutto sulla sorpresa.
Spinse al massimo i motori e fece partire all’improvviso la nave, raggiungendo in pochi decimi di secondo un’accelerazione che sarebbe stata impossibile per il Delfino Spaziale, e puntò dritta verso il primo cargo, sparando un grappolo di bombe protoniche.
La fiancata esplose e il cargo fu scaraventato contro il gemello, che precipitò in una scia di fuoco. Venusia spinse la nave in avanti puntando sull’incrociatore, piombandogli addosso di sorpresa e colpendolo subito con un altro grappolo di bombe. Non ci fu possibilità di reagire, non ci fu nemmeno il tempo per l’equipaggio di capire quel che era successo: la nave esplose con un boato assordante.
In pochi secondi, un cargo era esploso, un altro era precipitato in una colonna di denso fumo nero e l’incrociatore era stato completamente spazzato via.


– Quella è la fidanzata di Duke Fleed? – esclamò Yai, stupefatto, mentre accanto a lui Raska non riusciva a spiccicare parola.
– Sì – rispose Maria, con un gran sorriso – Quella è la mia amica Venusia.


- continua -
 
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Arriva il re...

FUTURO

30 – GALAR

Lo stallo continuava, snervante.
Navi della Coalizione contro navi galarite, tutti come raggelati, pronti a un attacco che sembrava sempre più prossimo ad ogni istante che passava.
In mezzo a tutto quell’immobilismo, Duke Fleed era l’unico ad agire: instancabile, aveva dapprima contattato Holdh, poi aveva parlato con il comandante supremo dell’esercito di Galar ed infine col primo ministro Plasion, con cui stava tutt’ora conferendo. Sapeva bene che il suo compito era continuare a parlare, minacciare, blandire, tenere l’attenzione appuntata su di sé e sulle navi, per cui s’era messo d’impegno a recitare la parte del comandante che non vorrebbe assolutamente attaccare, ma che non avrà altra scelta se costretto.
All’inizio, Actarus aveva parlato a lungo con Holdh, che ad un tratto aveva tolto bruscamente la comunicazione confermando, se ancora ce ne fosse stato bisogno, la sua idea personale di diplomazia. Era toccato poi al comandante supremo dell’esercito far fronte ad un incollerito ed indignatissimo Duke Fleed, che aveva continuato a tempestare – e a quel punto si era inserita Sua Maestà D’reeth, che aveva esposto tutte le sue molte lagnanze circa quel che stava accadendo. Accanto a lei, Procton aveva trattenuto un sorriso: suo figlio e la regina di Dera stavano usando la tecnica che sulla terra era chiamata “il poliziotto buono e il poliziotto cattivo”… e D’reeth nel ruolo di cattiva era davvero efficace. Una sovrana che era un bene avere come amica.
Il comandante supremo aveva tenuto testa come aveva potuto: non era un diplomatico, lui, si capiva benissimo che avrebbe risolto la questione a modo suo. Era riuscito miracolosamente a non lasciarsi scappare nemmeno un termine gergale, ed era un uomo esasperato e nervosissimo quello che aveva passato la parola al ministro Plasion, lui sì un vero diplomatico.
Hydargos, che come chiunque altro stava seguendo la vicenda in tempo reale, era ormai arrivato allo stato d’animo del divertimento puro. Sentire come Duke Fleed e D’reeth agissero in perfetta sincronia alternando invettive e tentativi di riappacificazione, minacce e preghiere, lo riempì di ammirazione per tanta abilità: lui non sarebbe riuscito a tanto, questo lo sapeva fin troppo bene.
Sentiva ora D’reeth, invelenita, profferire minacce e promettere atroci rappresaglie, mentre Duke Fleed, al contrario, tentava di ricomporre, far ragionare, cercare una via di mezzo, il tutto facendo però intuire che, suo malgrado, lui era più che pronto ad attaccare. In mezzo l’infelice Plasion, che doveva barcamenarsi nel difficilissimo compito di tener duro come gli aveva ordinato Holdh, e non peggiorare la situazione come gli suggeriva il buonsenso. E la cosa andava avanti da un’infinità, o così almeno pareva ad Hydargos, che non ne poteva più – e come lui, non ne potevano più anche assedianti ed assediati. La tensione era in continuo aumento, questo era ormai chiaramente percepibile.
– …Non può esserci alcuna scusante per un simile comportamento! – stava esclamando D’reeth – Holdh dovrà rispondere di ogni sua azione, non è tollerabile lasciar correre una simile scorrettezza!
– In realtà, noi non possiamo imputare al primo ministro Plasion le responsabilità di Holdh – intervenne Actarus, conciliante – È lui e solo lui che dovrebbe rispondere del suo crimine, questo lo comprendiamo…
– Si è comportato come un bandito, e ora rifiuta persino di parlare! – sbottò D’reeth – Nemmeno si prende la responsabilità delle proprie malefatte! Esigo di conferire con lui!
– Signora – questo era Plasion, calmo ma sul limite di esplodere anche lui – vi ho già detto che non mi è possibile mettervi in comunicazione col nostro sovrano, vi prego di comprendere…
Eccetera eccetera, si disse Hydargos.
Per quel che gli suggeriva il suo istinto di soldato lo scontro era ormai inevitabile, e sarebbe stato tanto più violento quanto più fosse stato differito.
Ormai Actarus, D’reeth e pure Plasion apparivano stremati: era da un’infinità che andavano avanti, sempre recitando ciascuno la propria parte, ed evidentemente erano sul punto di crollare. Prima o poi uno di loro tre non avrebbe retto, sarebbe uscito di ruolo dicendo qualcosa di profondamente vero, e quindi oltraggiosamente offensivo, e sarebbe stato l’inferno.
No. Meglio che l’inizio del conflitto non avvenga per caso, si disse Hydargos. Vediamo di pilotarlo.
– Primo ufficiale – chiamò.
Shaneth sembrò materializzarsi accanto alla sua postazione di comando: – Sì, signore?
– Un vostro parere sulla situazione.
– Prego, signore? – Shaneth batté le palpebre, stupita – Intendete un rapporto?
Un gesto nervoso con la mano. – Non mi serve un rapporto, vedo da me che siamo in stallo. Voglio proprio la vostra opinione personale.
Shaneth si schiarì la voce: – Galar non sembra voler attaccare, lascia che a fare la prima mossa siamo noi, presumo che questo sia per poi addossarci la colpa di un eventuale scontro.
– E Duke Fleed e la regina D’reeth?
– Sono al limite, signore.
– È esattamente quel che penso anch’io – Hydargos si tirò indietro sulla poltrona, lo sguardo fisso sul grande schermo che occupava l’intera parete di fronte a lui: contro il nero dello spazio le navi sembravano scintillare. In mezzo a quelle strutture argentee ed oblunghe Goldrake, con i suoi colori vivi, spiccava come un gioiello.
– Il vostro parere su quanto farà Duke Fleed – disse Hydargos – Ritenete possibile che attacchi?
– Non direi, signore, ma è solo una mia opinione personale…
– Che è appunto quel che vi ho chiesto.
– Allora, non credo che Duke Fleed passerà mai a vie di fatto, a meno che non sia gravemente provocato…
– …e Galar non ha alcun interesse a provocare – completò Hydargos. Guardò poi il cronometro sul suo monitor ed abbassò la voce: – Nessuna notizia?
Shaneth scosse il capo, avvicinandosi ancora di più alla postazione di Hydargos. La missione del gruppo di Rigr era segreta, non potevano parlarne liberamente.
– Ammettendo che sia andato tutto secondo i piani, a che punto pensate che possano essere?
Shaneth rifletté: – Ormai dovrebbero star per andarsene dalla zona della Fortezza, ammesso però che non abbiano avuto intoppi.
– È quel che pensavo – Hydargos si drizzò nella persona – Allora, è il momento di creare un po’ di confusione per coprirli meglio.
Shaneth si sentì mancare il fiato: – Intendete attaccare…? Ma Duke Fleed ha ordinato…
– Conosco gli ordini, primo ufficiale – rispose Hydargos, con un lampo mascalzone nello sguardo – Vi garantisco che non faremo nulla che ci sia stato proibito.
Da tempo aveva tenuto d’occhio un piccolo incrociatore nella formazione avversaria: l’istinto, perché solo di istinto si trattava, gli diceva che il comandante di quella nave fosse molto giovane e molto insicuro. Hydargos stesso non avrebbe saputo spiegare il perché di questa sua idea, ma da ufficiale esperto qual era sapeva riconoscere le buone ispirazioni.
Diede ordine di puntare a velocità media contro quell’incrociatore, senza fare fuoco e tenendo gli scudi alla massima potenza.
Era un trucco vecchio come l’universo: punti il novellino, assumi l’aria di volerlo aggredire, quello si spaventa ed attacca a sua volta scatenando il putiferio.
L’istinto di Hydargos si rivelò esatto: l’incrociatore fece fuoco sull’ammiraglia, un raggio energetico s’infranse contro gli scudi andando poi a colpire di rimbalzo lo scafo di Goldrake, che ne fu scosso pur essendo rimasto illeso.
Ancora meglio di quanto mi fossi aspettato, si disse Hydargos.
– Ci attaccano! – urlò Duke Fleed – Rispondete al fuoco!
Un istante dopo, lo spazio sembrò esplodere.


La reazione fu immediata: dalle navi della Coalizione partì una bordata di raggi energetici cui subito risposero i mezzi di Galar. Proprio Goldrake divenne il bersaglio principale: fu un errore, e grave, perché a quel punto Actarus si trovò costretto ad attaccare a sua volta, e a quel punto era talmente esasperato da scaricare tutta la potenza distruttiva del suo robot contro gli avversari.
– Io sfondo – la voce decisa di Actarus aveva una nota feroce che Hydargos non gli aveva mai sentito – Tu coprimi!
Il comandante di Vega rimase un istante in silenzio, impressionato: erano stati nemici per tanto tempo, e ora Duke Fleed si fidava di lui al punto di chiedergli di coprirgli le spalle? Sarebbe stato un niente tirarsi indietro, tardare, e il giovane sarebbe morto.
Vide Goldrake scagliarsi a tutta velocità contro le navi nemiche, sparando a raffica.
Il ragazzo ha davvero fegato…
Shaneth sembrò materializzarglisi alle spalle: – Signore…?
– Fuoco a volontà, primo ufficiale – rispose Hydargos – Goldrake non deve farsi nemmeno un graffio.


– Comandante! – esclamò il primo ufficiale dell’Ammiraglia di Dera – Abbiamo rilevato una serie di almeno tre esplosioni sulla superficie di Galar, proprio nella zona della Fortezza!
Procton guardò le coordinate: corrispondevano con la posizione presunta della nave pilotata da Venusia. Sentì un brivido gelido scendergli giù per la schiena.
– Ovviamente, non c’è modo di sapere se sia coinvolta o meno la nostra nave – Ma sono proprio io che parlo con questa voce distaccata…?
– No, professore. Non possiamo comunicare con loro ed interrompere il silenzio – rispose il comandante in tono di scusa – Abbiamo appena intercettato delle comunicazioni dalla Fortezza… richieste di aiuto. Pare che sia scoppiata una rivolta.
– Una… rivolta? – ripeté D’reeth, incredula.
– Sì, signora. E tre esplosioni a brevissima distanza.
Procton tacque, gli occhi fissi sulle cifre delle coordinate. Accanto a lui, la regina D’reeth trattenne il fiato.
– Vostra Maestà – la richiamò il comandante – dobbiamo riferire dell’esplosione a Duke Fleed?
D’reeth guardò Procton, che scosse il capo: – Sarebbe meglio di no, Maestà. Magari è solo un falso allarme, finché non siamo sicuri io non gli direi nulla.
– Perdonate, Maestà – fece presente il comandante – La notizia si sta già diffondendo e giungerà sicuramente a Duke Fleed. Si tratta solo di scegliere se dirglielo noi, o lasciare che lo scopra da solo.
Procton chinò il capo e rimase in silenzio.
D’reeth sedette sulla sua poltroncina, le ginocchia che le si piegavano. Quando parlò riuscì comunque a mantenere la consueta impassibilità: – Certo. Avete ragione. Fategli sapere che… diteglielo.
Le porte del ponte di comando scivolarono di lato.
– Ehilà, Procton! – esclamò allegramente la voce di Rigel – Ci sono finalmente notizie di Venusia? Li ha già riportati tutti indietro, non è vero?


Superata la barriera degli psicosensori, e dei loro temibilissimi cannoni laser, Yai raggiunse in fretta Venusia mettendosi al posto del secondo pilota. La nave sfrecciava a tutta velocità giù per il canalone, le cui pareti sembravano incombere su di loro; non appena le rocce sembrarono aprirsi Venusia eseguì una rapida impennata, puntando verso l’alto a tutta velocità.
Fu allora che videro scendere dall’alto un gruppo di caccia, evidentemente inviati a verificare la situazione della Fortezza. Erano mezzi piccoli, piuttosto veloci, e scendevano a sciame.
– Teniamoci a distanza – disse Yai, mentre Venusia aveva già i pollici pronti sui pulsanti dei cannoni laser, in cima alle cloches – Non possono rilevarci. Non attaccare, o saremo scoperti.
– Ma…! – esclamò lei. Venivano proprio verso di loro, erano così vicini…
– Non attaccare – ripeté Yai.
I caccia scendevano in picchiata, puntando verso la zona della Fortezza. Venusia continuò a tenere i pollici sui pulsanti, tesissima, ma i caccia sembravano scorrere verso il basso, così vicini, così vicini… pareva impossibile che non potessero scorgerli, sentirli, visualizzarli sui loro schermi…
Lo sciame di caccia li superò: li avevano praticamente sfiorati, e non erano stati visti.
Venusia riprese a respirare normalmente e spinse la navetta verso l’alto.


La Fortezza era ormai lontana.
Holdh inserì il pilota automatico, mentre rifletteva febbrilmente: aveva dato l’allarme e richiamato truppe per far fronte alla ribellione nella Fortezza e possibilmente catturare di nuovo il re di Vega, ma era rimasto scioccato nel sentire le notizie che gli erano giunte via radio: sapeva dell’assedio della Coalizione, naturalmente, ma ignorava che manifestazioni popolari stavano avvenendo ovunque sul pianeta… manifestazioni contro di lui e contro la sua politica da parte di quei maledetti smidollati che non volevano la guerra.
Avrebbe pensato anche a loro.
Intanto avrebbe potuto dirigersi sulla capitale, dove poteva contare sull’appoggio dei nobili e dell’esercito; avrebbe raccolto le sue forze, avrebbe reagito al dannato Duke Fleed, che si era messo a fare il paladino dei veghiani, si sarebbe battuto fino all’ultimo uomo, avrebbe…
Un lievissimo movimento alle sue spalle, poi un colpo potente, una vera mazzata, gli piombò in mezzo alla schiena, stordendolo e facendolo accasciare sui comandi.
Rigr ghignò vedendolo inerte; quindi l’afferrò e senza molti riguardi lo scaraventò di lato, prendendo il suo posto ai comandi.
Stargli alle calcagna mentre scappava era stato un giochetto: naturalmente Holdh aveva temuto di essere seguito, ma aveva fatto l’errore di aspettarsi un inseguitore umano. Un guerriero di Upuaut era tutta un’altra faccenda.
Imbarcarsi senza farsi scorgere era stato addirittura divertente: gli aveva scagliato un peso da lancio contro la gamba, mirando il punto dolorosissimo di lato della coscia appena sopra al ginocchio. Holdh era crollato, e lui ne aveva approfittato per salire a bordo. Persino troppo facile.
Bene, togliamoci di mezzo, si disse Rigr.
Puntò subito la navetta verso l’alto, mettendosi in comunicazione con le navi che stavano assediando Galar. Un rapido scambio di dati gli permise di identificarsi e di ottenere di essere lasciato passare, e poco dopo la navetta sfrecciava nel buio dello spazio.


Accasciato sulla sua poltroncina, l’occhio chiuso e il viso grigiastro, Zuril respirava a pieni polmoni cercando di riprendersi: sapeva che la sua stanchezza era effetto del vegatron, ma come tutte le persone che pretendono troppo da loro stesse si sentiva colpevole di essere un peso per i suoi compagni. Non sopportava l’idea di essere così debole, così inerte…
Percepì un lieve movimento accanto a sé: Maria, che gli si era seduta a fianco e lo guardava, preoccupata.
– Non sono un bello spettacolo – disse lui, muovendo appena le labbra.
Maria non ebbe il coraggio di negare. Appariva fortemente smagrito, il viso tirato e pallido, l’occhio arrossato, le mani scosse da un lieve tremito… l’uomo che aveva sempre visto come forte e vigoroso le sembrò ora improvvisamente debole e fragile.
Sembra… anziano, si disse Maria, sentendosi il gelo scenderle giù per la schiena. Adesso sapeva come lui sarebbe stato, in futuro.
Ancora una volta fu come se si fossero letti nel pensiero: Zuril la guardò, e lei riconobbe lo scintillio grigio che ben conosceva. Nonostante l’avessero torturato, lo spirito di suo marito era sempre lo stesso.
Mi riprenderò, vedrai.
Ne sono sicura.
Avrebbero avuto infinite cose da dirsi; preferirono tacere, almeno per il momento. Maria si raggomitolò contro Zuril, si strinsero l’un l’altra tra le braccia e rimasero in quel silenzio sereno che può regnare solo tra due persone in perfetta sintonia.


La notizia fu come un colpo inferto alla schiena, un colpo che sembrò trapassarlo e dilaniargli i visceri.
Nonostante stesse combattendo, il senso della comunicazione gli fu chiarissimo: era stata rilevata una serie di esplosioni, almeno tre, a livello della Fortezza. Da quel che si era potuto comprendere doveva esserci stato un combattimento, e la distruzione totale di almeno tre mezzi.
Maria… Venusia…
Lanciò un urlo di dolore assoluto, quasi un ruggito disumano, che fece sobbalzare persino il ferreo Hydargos sulla sua poltrona di comandante. Dopo tanto tempo, tanta sofferenza, quando finalmente era stato sul punto di coronare il suo sogno… la sua Venusia… e Maria, poi…
Non era possibile! Non era giusto.
Come impazzito si scagliò contro i nemici scaricando loro addosso tutta la potenza distruttiva di Goldrake: Lame Rotanti, Pioggia di Fuoco, Tuono Spaziale… Goldrake si era trasformato in una sorta di macchina infernale che attaccava ed attaccava, senza la minima esitazione, senza pietà.


Shaneth emise un’esclamazione soffocata, e persino Hydargos rimase attonito: aveva visto Duke Fleed combattere, l’aveva visto molte volte, ma mai aveva notato in lui una simile ferocia… in quel momento non voleva vincere, voleva distruggere.
Hydargos deglutì: se a suo tempo Duke Fleed avesse combattuto così contro di loro, di Vega non sarebbe rimasto nemmeno lo sparuto gruppo di sopravvissuti su Moru.
Si riprese: era il comandante, aveva un compito da svolgere.
Fece portare la nave nella scia di Goldrake e ordinò di falciare i nemici, o almeno quel che ne restava. Continuarono a procedere, Goldrake che sfondava le linee nemiche, Hydargos che spazzava i superstiti; non c’era salvezza contro di loro, questo i comandanti di Galar lo compresero subito. Qualcuno esitò, alcuni cominciarono a cercare di tirare indietro, fuggire da quella furia devastatrice che stava distruggendo e distruggendo… poi, all’improvviso, le navi sembrarono aprirsi per lasciar passare qualcosa che Actarus non si sarebbe mai immaginato di dover affrontare.
Un mostro di Vega.

- continua -
 
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view post Posted on 20/7/2014, 21:22     +1   -1
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Per non so quale miracolo, la linea del PC ha ripreso a funzionare. Adesso posso formattare il testo.

FUTURO

31 – GALAR

Sopra alle loro teste lo spazio sembrava impazzito: la battaglia era nel pieno della sua furia, cercare di farsi strada tra quel caos di scafi metallici e raggi energetici sarebbe stato impossibile anche per una nave fantasma di Dera.
– Non possiamo farcela! – esclamò Venusia.
Calmo come sempre, Yai le disse di tenersi bassa rispetto allo scontro: avrebbero orbitato attorno a Galar in cerca di un punto in cui fosse possibile oltrepassare le navi, o almeno si potesse attendere la fine dello scontro.


– Venusia… morta? – gemette Rigel.
– Non ne siamo sicuri – tagliò corto Procton, nascondendo il proprio dolore dietro la consueta maschera efficiente – Ti prego, Rigel. Non è il momento.
– Vieni, papà – pratico come sempre Mizar condusse via il padre, che sembrava impietrito. Un attimo prima di uscire, scambiò un’occhiata d’intesa con Procton: a dispetto dell’aria ancora infantile, lo sguardo era quello deciso e sicuro di un uomo.
Procton tornò a guardare lo schermo. Accanto a lui, la regina D’reeth sembrava una statua di ghiaccio.


Un mostro di Vega… non c’era da meravigliarsene, in fondo. Holdh non aveva detto che su Galar erano rimasti alcuni mostri abbandonati da Markus? Poco tempo prima Actarus aveva dovuto farne a pezzi uno in forma di diabolico cavallo nero, ora c’era questo… sembrava un carnivoro, una bestia robusta dalla corporatura forte, le zanne possenti, una cresta dorsale irta di punte… una sorta d’immensa, orribile iena nera.
Tante volte Actarus aveva combattuto contro i mostri di Vega, tante volte aveva sperato di non essere costretto ad uccidere il suo avversario: quella volta non ebbe esitazioni, si scagliò contro il mostro scaraventandogli addosso Lame Rotanti e Pioggia di Fuoco insieme.
La iena scartò di lato evitando i raggi e una delle due lame, mentre l’altra le tranciava di netto una parte della cresta di punte; rapido, il mostro scaricò su Actarus i propri raggi ottici, abbagliando il giovane che si trovò improvvisamente accecato.
Subito Hydargos fece puntare la nave contro il mostro, colpendolo a sua volta.
– Non dategli tregua! – ordinò – Mirate agli occhi.
Il mostro vomitò un raggio al plasma contro la nave, seguito poi da un nuovo raggio ottico che abbagliò i due piloti; furono Hydargos e Shaneth stessi a mettersi ai comandi, e fu una scarica precisa del comandante di Vega a centrare uno dei due occhi della iena.
– Ehi, Fleed, tutto bene? – chiese Hydargos, mentre Shaneth guidava nuovamente la nave all’attacco.
– Sto tornando a vederci – rispose Actarus, che ancora aveva grandi macchie scure nel suo campo visivo – Fai attenzione ai suoi occhi!
– Starò attento – un’altra scarica di Hydargos colpì al muso il mostro, che si rivoltò di scatto sparando una fila di punte dalla sua cresta dorsale. Colpita al fianco, la nave venne scossa bruscamente.
– Bombe al vegatron! – esclamò Shaneth.
– Certo che sono bombe, quello è uno dei nostri mostri! – osservò Hydargos – Credevate che li caricassimo a sassolini?
Actarus, che ormai ci vedeva meglio, si scagliò a sua volta sulla iena tendendo le braccia di Goldrake e facendone scaturire i Raggi Paralleli; il mostro scartò di lato schivando, e venendo così colpito da una nuova scarica di Pioggia di Fuoco che lo colse in pieno muso. L’acido corrose anche l’occhio rimasto integro, rendendolo inutilizzabile.
– Bel colpo – ammise Hydargos.
Alle spalle del mostro le navi di Galar stavano facendo il vuoto, in una fuga tanto ignominiosa quanto celere.


– Vai! – esclamò Yai.
Obbediente, Venusia infilò la navetta nello spazio che si stava creando alle spalle del mostro: le navi di Galar sembravano in rotta, le altre navi della Coalizione stavano per lanciarsi al loro inseguimento, bisognava essere rapidissimi e precisi. La navetta puntò a tutta velocità verso lo spazio esterno, schivando alcuni raggi energetici che il mostro era riuscito ad evitare.
– Ma quello è Actarus! – disse Venusia, fissando la sagoma bianca e rossa del robot che attaccava – Forse ha bisogno del nostro aiuto!
– Direi che abbia più bisogno d’aiuto il mostro – osservò Yai.
– Ma non possiamo…
– Vuoi scherzare? Qui a bordo abbiamo il re e la regina di Vega, la regina di Galar e a quanto sembra, pure la futura regina di Fleed. Un carico un po’ troppo importante per metterlo in pericolo, ti sembra?
Certo, Yai aveva ragione, tuttavia…
– Per favore, Venusia. Non vorrei dover arrivare allo scontro fisico. – la voce di Yai era molto calma, e fu proprio questo a farle capire quanto avesse ragione. Doveva mettere in salvo i passeggeri, erano troppo importanti… obbedì, puntando verso lo spazio esterno.
– Molto bene – inaspettatamente, lui le rivolse un sorriso gentile: – Ce la farà, vedrai. Da quel che ho visto, t’assicuro che non vorrei essere nei panni di quel mostro di Vega.


La iena sembrò arretrare e subito Goldrake l’incalzò, sparando una nuova scarica di Pioggia di Fuoco. Fulmineo, il mostro balzò addosso a Goldrake evitando di stretta misura i raggi, e con le quattro zampe artigliate s’aggrappò al disco, trovandosi così col muso proprio di fronte al volto del robot; spalancò le fauci e un nuovo getto al plasma investì Goldrake, giungendo anche a colpire l’abitacolo posto in cima al disco e strappando un urlo di dolore ad Actarus, che ebbe l’impressione di bruciare vivo.


– Comandante, fate fuoco! – esclamò Shaneth.
– Sono troppo vicini – ringhiò Hydargos – Colpirei anche Goldrake.
Shaneth si morse le labbra: aveva ragione, naturalmente… però non sopportava l’idea di non far nulla…
– Fleed! – gridò Hydargos nel comunicatore – Io non posso aiutarti, adesso! Devi scrollarti di dosso quella bestia!


Actarus si torceva dal dolore: aveva sentito quel che gli aveva detto Hydargos, ma non poteva far altro che urlare, il dolore era troppo forte…


– Actarus! – visto il figlio nei guai, il professore intervenne subito: – Devi allontanare quel mostro. Usa i Boomerang Elettronici di Goldrake, lo colpirai e sarà costretto a mollare la presa!
– Non… posso…
– Devi! Avanti, colpiscilo ora!


Come era successo infinite volte, la voce pacata di suo padre gli diede la forza di riprendersi nonostante la sofferenza: facendo appello a tutta la sua forza di volontà, Actarus riuscì a tendere una mano verso il comando dei Boomerang Elettronici, mancavano pochi centimetri… pochissimi… ormai le dita stavano sfiorando il pulsante… ecco!
I Boomerang partirono a tutta velocità dalle spalle del robot conficcandosi direttamente ai due lati del collo della iena, sbalzandola all’indietro: le zampe metalliche artigliarono la superficie del disco nel vano tentativo di restare aggrappate e il mostro fu scaraventato con violenza all’indietro, il collo quasi staccato dalle spalle.
– Goldrake, fuori! – Actarus tirò la leva, il suo seggiolino venne spinto nell’abitacolo all’interno della testa: un attimo dopo il robot fu nello spazio, pronto a continuare la lotta.


– Ma che fa? – esclamò Shaneth, stupita – Non credevo che Goldrake potesse volare, senza disco!
– Non può farlo – ghignò Hydargos, che conosceva troppo bene Duke Fleed per non aver capito cos’avesse in mente – Preparatevi, adesso vedremo il mostro fatto a pezzi.
– Possiamo aiutarlo…
– Chi, Goldrake? – Hydargos si sistemò meglio sulla sua poltrona, pronto a godersi lo spettacolo – Credete forse che quel povero mostro non ne abbia abbastanza?


Ormai erano nello spazio esterno, in rotta verso Moru, al sicuro.
Yai prese i comandi e Venusia fu ben felice di cedergli il posto: nonostante la sua abilità, guidare una nave nello spazio le dava un senso di vertigine, la faceva sentire minuscola ed insignificante.
Passò nell’abitacolo passeggeri, guardandosi attorno con aria incerta.
Raska sedeva in un angolo, gli occhi chiusi: non dormiva, Venusia era sicura che fosse totalmente all’erta, ma si stava riprendendo dallo sforzo sostenuto scalando la parete rocciosa. Passò oltre facendo il minimo rumore, non voleva disturbarla.
Poco avanti sedevano due sconosciuti: secondo quel che le aveva detto Yai, doveva trattarsi della regina di Galar e del suo ufficiale. Venusia incrociò lo sguardo chiaro di Irghiz, le rivolse un educato inchino ricordandosi solo all’ultimo istante che anche lei, in fondo, presto sarebbe stata regina; ebbe in risposta un sorriso luminoso e gentile. La sovrana di Galar non sembrava certo una superba arrogante come suo marito… meglio così.
Magari un giorno saremo amiche, si disse Venusia, stupendosi lei stessa di quel che stava pensando… avere per amiche delle sovrane! Lei, figlia di contadini! Pareva incredibile…
Irghiz appariva molto stanca: era pallida, gli occhi cerchiati che le si chiudevano. Accanto a lei, l’ufficiale, Borg’n le pareva si chiamasse, le fece segno di non disturbarla; Venusia passò oltre, e sentì il respiro mancarle vedendo, nell’ultima fila di sedili, Maria con Zuril che le aveva appoggiato la testa sulla spalla e sembrava addormentato.
Per un attimo Venusia rimase immobile a fissare quella scena, cercando di convincersi che quanto stava vedendo era proprio vero: un uomo che era stato uno dei più irriducibili nemici della Terra ora dormiva, totalmente indifeso, tra le braccia di una ragazza che era stata una sua implacabile avversaria… Actarus le aveva detto che Maria era molto felice con Zuril, ma vederli, beh, era una faccenda completamente differente.
In realtà non è da meravigliarsene troppo, le disse una voce interiore, mentre le tornavano alla mente vecchi ricordi in realtà mai dimenticati… una certa serata d’estate, la veranda, il profumo del caprifoglio… e lui…
Venusia deglutì, scacciando in fretta quelle memorie. Ritrovarsi davanti proprio Zuril non sarebbe stato facilissimo, dopo quel che era successo.
In quel momento Maria alzò lo sguardo, incrociò quello dell’amica; tra le due donne intercorse tutto un dialogo silenzioso, in cui si compresero perfettamente. Maria le sorrise e Venusia, nonostante l’imbarazzo, si ritrovò a risponderle; poi sedette su una delle poltroncine, si allungò come poté e chiuse gli occhi.


Un comando di Actarus, e il disco volò obbediente sotto Goldrake, che vi atterrò sopra con una leggerezza impensabile per un robot così possente. Un nuovo comando e l’Alabarda Spaziale balenò nell’aria, venendo poi impugnata saldamente dal robot.
La iena si era preparata per fronteggiare un nuovo attacco, ed Actarus le spinse il disco addosso.


Maria continuava a guardare il viso di Zuril vicinissimo al suo.
Fino ad allora suo marito si era preoccupato per lei, l’aveva circondata di premure, si era sempre interessato al suo benessere, e lei aveva accettato tutto con naturalezza. In fondo, ora Maria se ne stava rendendo conto, nella sua vita c’era sempre stato chi l’aveva accudita: prima il nonno, poi Actarus e ora Zuril. Del resto, fino a quel momento lei era stata piccola, una bimba prima, poi una ragazzina. Era naturale che qualcuno si fosse occupato di lei.
Ma non sono più una ragazzina, si disse, con una nuova consapevolezza.
Era vero, non lo era più, e non solo perché si era sposata ed era divenuta regina: in quel periodo era stata lei a prendere finalmente in mano la propria vita, lei ad imporsi ad Actarus e Rigr, lei a voler andare a salvare suo marito. Era stata finalmente pronta a dare, quando fino ad allora aveva solo ricevuto: dentro di sé sentì che questo segnava una sorta di spartiacque, che niente sarebbe stato più come prima, ma la cosa non la rattristò, anzi. L’idea di essere finalmente una persona adulta, di essere in grado di essere utile a qualcuno, le diede un tranquillo senso di euforia, come se finalmente si fosse compiuto qualcosa che aveva atteso da tanto tempo.
Guardò il profilo di Zuril, che riposava con la testa sulla sua spalla: un’ondata di tenerezza le invase il petto, e per un attimo Maria si sentì come se il cuore avesse potuto traboccarle.
Lui si mosse, e il suo sguardo incontrò subito quello azzurro di lei.
– Mi hai salvato – disse Zuril.
– Al mio posto avresti fatto lo stesso – rispose Maria.


Venusia si rialzò dal suo posto: Zuril si era svegliato, preferì lasciarli soli, sicuramente avevano un’infinità di cose da dirsi… o forse sarebbe loro bastato restare in silenzio assieme. Apparivano talmente uniti…
Tornò verso la cabina di pilotaggio; ormai si erano lasciati alle spalle Galar e la battaglia tra le astronavi e Yai stava facendo puntare la nave verso l’Ammiraglia di D’reeth.
– Direi che siamo sufficientemente al sicuro – disse Yai – Possiamo metterci in comunicazione con l’Ammiraglia ed informarli che ce l’abbiamo fatta.


In piedi sul disco, Goldrake vibrò un gran fendente con l’alabarda, colpendo la iena ad una spalla; un altro colpo tranciò di netto la zampa metallica dai lunghi artigli.
Il mostro tentò una nuova scarica al plasma, ma il colpo fu molto più debole, e Actarus spostò rapidamente di lato il disco, evitandolo. Poi brandì l’Alabarda e ripartì all’attacco.


– Lo sta facendo a pezzi – mormorò Shaneth, sconvolta – Ma si batteva così anche contro di voi?
– No – Hydargos deglutì, impressionato pure lui – Fortunatamente, no. Non così.


Nonostante la sua naturale impassibilità, il professor Procton sussultò violentemente: – Cosa?
– Una comunicazione dalla nave fantasma – gli ripeté il comandante.
– Passatela subito! – ordinò D’reeth.
– Ammiraglia, qui Venusia dalla nave fan…
– Venusia! – mai, in nessun’altra occasione l’educatissimo Procton avrebbe commesso la scorrettezza d’interrompere qualcuno – Siete tutti salvi? State bene?
– Sì, professore – rispose lei, un po’ stupita – La missione è riuscita, abbiamo recuperato Zuril. Stiamo tutti bene, ve l’assicuro.
– Avevamo rilevato delle esplosioni – rispose lui, che dopo essersi lasciato andare stava recuperando la sua normale compostezza – Abbiamo temuto il peggio.
– Mi dispiace, professore, temo che sia stata colpa mia: ho attaccato e distrutto tre navi che stavano per andare a dar manforte alla Fortezza.
Tre navi! D’reeth inarcò le sopracciglia, sorpresa: quella semplice ragazza terrestre stava rivelando doti davvero inaspettate.
Procton fu colto da un pensiero improvviso e si rivolse all’ufficiale alle comunicazioni: – Mettetevi subito in contatto con Duke Fleed e ditegli che la missione della nave fantasma è riuscita.
L’ufficiale obbedì prontamente, ma dovette rinunciare quasi subito: – Non posso farlo, professore. Duke Fleed non accetta la comunicazione.
– Volete dire che non riuscite a contattarlo?
– No, signore, l’ho contattato. È lui che non risponde… credo che nemmeno mi ascolti.
Procton provò a sua volta: Actarus avrebbe ascoltato lui, almeno! – Actarus, mi senti? La nave fantasma è incolume, Venusia e Maria sono vive e stanno bene! Actarus!


Incapace di badare a qualsiasi altra cosa che non fosse la sua lotta, Actarus colpì ancora una volta la iena, troncandole l’ultima parte della cresta dorsale.


– Non mi sente! – Procton era stupefatto: mai prima d’allora Actarus era stato così fuori di sé…
– Bisogna fermarlo! – decise D’reeth – Dite a Venusia di mettersi lei in contatto con Duke! Sentire la sua voce forse basterà a scuoterlo!
– Avete ragione – Procton richiamò Venusia: – Non riesce nemmeno a sentire quello che gli diciamo, è completamente fuori di sé. Parlagli tu, almeno a te darà ascolto!


La iena tentò di sottrarsi ancora una volta alla furia di Goldrake, e ancora una volta l’Alabarda s’abbatté sul suo corpo robotico straziato, staccando un altro piede artigliato. Il mostro sembrò sussultare, scosso da una serie di esplosioni interne.
– Basta! – urlò il pilota – Ti prego, basta! Mi arrendo!
Per tutta risposta, Goldrake gli conficcò l’Alabarda nella schiena. Il mostro si contorse, come un vero animale in agonia.


Actarus non sentiva nulla, non vedeva nulla, continuava a colpire e colpire, deciso a fare a pezzi, peggio, ridurre il pulviscolo quell’avversario, come se distruggerlo avesse potuto portare un minimo di sollievo al suo dolore.


– Actarus! – fu una semplice parola, una sola, ma detta dall’unica voce che aveva il potere di scuoterlo.
– …Venusia…? – mormorò, incredulo.
– Fermati! Siamo salvi, siamo tutti salvi! Fermati! – gridò lei. Percepì una presenza alle sue spalle e si voltò: era Zuril, grigiastro in viso e malfermo sulle gambe, ma con una luce decisa nello sguardo.
– Actarus, sono io – disse – Mi hanno liberato, sto bene, è tutto a posto.
– Ma…
– Fermati! – ordinò, con un tono che non ammetteva repliche – La guerra è finita.


- continua -


Link con il quale eccetera: #entry560377937
 
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FUTURO

32 – GALAR

Come Zuril aveva immaginato, la sua apparizione improvvisa scatenò un autentico pandemonio. Se i popoli della Coalizione gioirono nel vederlo vivo e libero, la reazione di Galar fu totalmente diversa: pur non essendo presente Holdh dal governo arrivò un immediato segnale di chiusura e gelo, mentre la popolazione, a partire dagli strati più bassi, cominciava a dare segni inequivocabili di nervosismo, e le manifestazioni contro la guerra si facevano più violente. La reazione del governo fu di ulteriore irrigidimento; subito arrivarono notizie di scontri tra la folla, che stava rovesciandosi nelle vie e nelle piazze per urlare il proprio dissenso alla guerra, e le forze dell’ordine, che cercavano in qualunque maniera d’imporre la disciplina. Immediatamente arrivarono le reazioni sdegnate dagli altri mondi, disgustati dal veder impiegare le maniere forti contro gente che altro non chiedeva che la fine della guerra; parole dure vennero da una parte e dall’altra, frasi sferzanti di sfida furono contrapposte ad intimazioni minacciose. Fu in quel caos che si udì quel che nessuno si sarebbe mai immaginato di udire, la voce del Re di Vega (il Re di Vega!) parlare di pace e di cessazione delle ostilità.
A volte succede che, nel pieno di una discussione, tutti improvvisamente tacciano nell’udire parole di buon senso arrivare proprio dall’ultima persona da cui sarebbe lecito aspettarsele. La reazione al discorso di Zuril fu la medesima: lo stupore generale fu tale che il sovrano ebbe la possibilità di continuare a farsi sentire, deplorando l’accaduto, dichiarando di non trovar giusto che un intero popolo pagasse per la follia di un uomo solo e soprattutto rivolgendosi a tutti indistintamente perché le ostilità cessassero immediatamente: tutto era stato causato dalla sua cattura, ora lui era tornato libero e non v’era motivo che gli scontri continuassero.
Stupefatta, Maria osservò suo marito – il sovrano di un popolo che era stato il terrore della galassia – parlare di pace: era stato costretto a sedersi perché le gambe non lo reggevano, era scosso da brividi, era grigiastro in viso, ma la sua voce suonava ferma e decisa e le sue parole erano scarne, ma secche e inequivocabili. Così era sempre stato Zuril nei suoi discorsi, rapido, concreto ed efficace: fu così anche allora, e sentirlo parlare di pace, lui, così chiaramente provato dalle torture, fu qualcosa che colpì alleati ed avversari.
La prima a reagire fu la gente di Galar, la stessa gente che si era rivoltata all’idea di dover sacrificare ancora una volta i propri figli alla guerra voluta da Holdh: le parole di Zuril scatenarono una reazione entusiastica. Quando lui concluse il suo intervento dichiarando che non avrebbe chiesto alcuna soddisfazione e considerava l’incidente chiuso proprio perché già troppi giovani di Galar erano morti in guerra contro Vega, la gente gli tributò un’autentica ovazione.
Ora che il sire di Vega aveva parlato, si aspettavano i discorsi degli altri regnanti.
La prima ad intervenire fu Lauer, che come tutti si erano aspettati si mostrò perfettamente in linea con Zuril.
Seconda fu Catressia: non solo Galar, tutti i popoli avevano sofferto fin troppo per la guerra, cessare i combattimenti subito era quanto lei stessa e la sua gente auspicavano.
Duke Fleed si espresse con fermezza: era stato orribile dover combattere quando sarebbe stato interesse di tutti vivere in pace. Era dispiaciuto d’aver dovuto battersi ma non gli era stata lasciata altra scelta. Che Galar traesse le conseguenze di quanto avvenuto, e che si scegliesse un sovrano più adatto di Holdh, questo era quanto si augurava: non fosse stato così, se un uomo inaffidabile come Holdh avesse continuato a regnare, sarebbe stato un pericolo per tutti (e qui la folla di Galar prese a scandire il nome di Irghiz Reel).
D’reeth fu molto meno morbida: ebbe parole di durissima condanna per Holdh e per chiunque l’avesse appoggiato, deplorò che fosse stata necessaria un’azione di forza e sottolineò il fatto che a subire i torti peggiori erano stati Vega appunto, nella persona del suo sovrano, e il popolo di Upuaut, che si era visto invaso proditoriamente e che contava delle vittime innocenti. Ora, il pensiero di Vega era palese; qual era invece l’opinione di Upuaut?
A quel punto, la videoconferenza ebbe un attimo di gelo: Rigr non era presente, e a quanto pareva non era neppure reperibile. Vennero scambiate domande inquiete: nessuno sapeva dove si trovasse, cosa stesse facendo? E comunque, non c’era nessuno che avesse l’autorità di parlare in tua assenza?
– Tu puoi farlo – disse Yai a Raska.
Lei sembrò tirarsi indietro, quasi spaventata: – No…!
– Sei l’unica che può parlare al posto di Rigr! – insisté Yai, quasi strattonandola fino al terminale del computer. Tutti la guardarono con sorpresa, ma nessuno disse una sola parola; Zuril si fece da parte e Raska, pur avendo l’aria frastornata, prese posto accanto a lui.
– Il sovrano di Upuaut non può essere presente a questa videoconferenza – disse Zuril – Fortunatamente, abbiamo con noi una persona che ha l’autorità per parlare in sua vece.
Raska gettò uno sguardo a Yai, che annuì con fare incoraggiante; e si decise. Rapida ed efficiente come suo solito si presentò, dichiarando di essere qualificata per parlare in assenza del legittimo sovrano di Upuaut.
Nessuno poté contestare quel che stava dicendo: in realtà, gli Uru erano sempre stati estremamente riservati, e al di fuori di Upuaut non si sapeva praticamente nulla di loro. Tuttavia la regina D’reeth, che amava essere precisa, fece osservare appunto questo: che nessuno aveva modo di sapere se quanto Raska stesse dichiarando fosse vero o meno.
– Mi assumo qualsiasi responsabilità circa quanto sto dichiarando – rispose Raska.
– Mentire non è abitudine della gente di Upuaut – intervenne Yai.
– Questo è vero, se mai il vostro problema è che non siete per nulla diplomatici – l’osservazione di Zuril fatta in tono leggero ebbe il potere di rasserenare l’atmosfera.
Raska poté proseguire. Il loro popolo era profondamente addolorato per la morte dei cinque innocenti scienziati, ma non avrebbe certo incolpato la gente di Galar per questo: il colpevole era Holdh, lui aveva ordinato quell’azione indegna, lui avrebbe dovuto risponderne. Upuaut avrebbe smesso immediatamente le ostilità a patto che Holdh fosse sconfessato come sovrano e che, una volta preso prigioniero, fosse processato e condannato per i suoi crimini. Quanto alla guerra, anche gli Uru desideravano che finisse, e al più presto.
A quel punto, Irghiz avrebbe voluto parlare a sua volta, ma Borg’n la dissuase: a breve distanza da loro si trovavano incrociatori stellari di enorme potenza distruttiva. Non sarebbe stato prudente far sapere che lei, la regina legittima di Galar, si trovasse in quella navetta le cui armi sarebbero state ben poca cosa contro le potenti astronavi schierate là attorno… suo malgrado, Irghiz dovette dargli ragione. Meglio non far ancora sapere della sua presenza.
Abbandonato quindi a sé stesso, il Consiglio di Galar, nella persona del Primo Ministro Plasion, si trovò a dover compiere una scelta odiosa ma necessaria: mantenere la propria fedeltà ad Holdh, sostenendo quelle che in fondo erano le loro stesse opinioni e proseguendo caparbiamente con la guerra, o cogliere l’occasione che era stata loro presentata di rovesciare tutta la responsabilità su di lui – un re scomparso, fuggito chissà dove – e dichiararsi felici di cessare immediatamente le ostilità.
La decisione fu presa all’unanimità, e il Consiglio di Galar dichiarò immediatamente la propria divergenza d’opinioni con quello che ormai non consideravano più il loro legittimo sovrano.
– In pratica, un calcio nel didietro – commentò Yai, che amava dire le cose come stavano.
– Gentaglia schifosa – brontolò Borg’n.
– Dovremo cambiare radicalmente il Consiglio, non appena tornati su Galar – commentò Irghiz, che dietro la sua aria fragile nascondeva una mente logica e uno spirito fermo – Il Primo Ministro in particolare.
Yai la guardò con sorpresa: s’era aspettato che lei fosse una donna insicura e bisognosa di protezione, ora cominciava a dirsi che non avrebbe voluto essere nei panni dei membri del Consiglio… e soprattutto, non in quelli del primo Ministro.
Nel frattempo la videoconferenza aveva proseguito: i sovrani avevano ripreso a discutere, decisioni vennero prese, priorità furono stabilite. Intanto, comunque, basta con le ostilità, questo fu detto e ribadito da tutti.
Galar si dimostrò prontissimo a collaborare, Catressia e soprattutto D’reeth dichiararono che avrebbero inviato delle truppe “per mantenere l’ordine” in attesa che si avessero notizie sia di Holdh che della regina Irghiz, ormai considerata la sovrana di Galar a tutti gli effetti (e qui la folla esplose in urla di gioia, un vero delirio).
Lauer dichiarò subito che Zuul appoggiava in pieno la regina Irghiz, sconfessando Holdh.
Duke Fleed intervenne, dichiarando che anche per lui la guerra era da considerarsi conclusa a patto che fosse Irghiz la nuova sovrana di Galar: in questo lui era pienamente d’accordo con Raska e il popolo di Upuaut, se Holdh avesse avuto nuovamente il potere sarebbe stato considerato un pericolo per tutti e si sarebbe agito di conseguenza.
Zuril parlò per ultimo, concludendo la videoconferenza: riconfermò ancora la sua volontà di non richiedere alcun tipo di risarcimento a Galar, si disse pienamente d’accordo con Duke Fleed e gli altri sovrani. Per ora comunque le ostilità erano terminate, la guerra era durata anche troppo, era tempo di ricominciare a vivere in pace.
Il contatto venne tolto e Zuril ricadde contro lo schienale, sfinito.
Maria gli sedette accanto, gli prese una mano; lui si voltò appena a guardarla, e lei azzardò un sorriso: – Ehi, che ne è stato del perfido veghiano che avevo sposato?
– Ti sembra che io abbia parlato bene? – mormorò.
Maria lo abbracciò, e i suoi occhi brillavano di vera ammirazione: – Sei stato magnifico.


– È finita – mentre gli altri nella sala comando esultavano, Procton si lasciò cadere contro lo schienale della sua poltrona e chiuse gli occhi. In anni e anni di scontri con Vega, non aveva mai avuto tanta paura come quella volta… aveva davvero temuto…
– Ce l’abbiamo fatta! – urlò accanto a lui Mizar, esultante.
– Certo, cosa credevi? – esclamò Rigel, imperturbabile – C’era Venusia, a combattere. Non potevamo perdere!
– Papà! Ma per piacere…! – esclamò Mizar.
– Cosa c’è? Cos’ho detto, di così assurdo? Possibile che tu non abbia un minimo di rispetto per tuo padre?


- continua -

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E vediamo che succede ad Holdh...


FUTURO

33 – SPAZIO e GALAR

Fu il dolore a destarlo, un dolore sordo alla schiena: si sentiva come paralizzato, e non riusciva a ricordare cosa fosse successo. Aprì un occhio, poi l’altro.
Gli ci volle un poco per dare un senso a quel che stava vedendo: era sdraiato a terra, e c’era qualcuno… qualcuno accosciato davanti a lui, due occhi gialli fissi nei suoi…
– Era ora che ti svegliassi – osservò amabilmente Rigr, un sorriso che metteva in mostra le zanne.
– C-cosa…? – Holdh fece per rialzarsi ma una fitta alla schiena gli bloccò collo e spalle, strappandogli un gemito.
– Temo che sia colpa mia – continuò Rigr, con un tono leggero e per nulla dispiaciuto – Non preoccuparti di fingere di star bene, so quanto sia doloroso quel colpo. Te l’ho dato apposta, si può dire.
Holdh riuscì a mettersi seduto; fece per massaggiarsi il collo, ma anche alzare un braccio fu penoso: – Perché…?
Rigr scosse il capo: – Se me lo chiedi vuol dire che sei ancora più idiota di quel che pensassi, e bada che ti ho sempre ritenuto un fuoriclasse.
– Devi essere impazzito! – sbottò Holdh, che stava ritrovando la sua aggressività – Sono il sovrano di Galar! Assalirmi in questo modo…
– Se permetti, non sono stato io a cominciare – gli fece osservare Rigr, sempre con la massima gentilezza – Chi è stato a scendere senza autorizzazione su Upuaut, sterminare cinque dei miei uomini e portar via Zuril?
Holdh armeggiò per rimettersi in piedi: – Sciocchezze. Si tratta di un veghiano.
– Un veghiano che era mio ospite – puntualizzò Rigr, afferrandolo sotto ai gomiti ed aiutandolo a rialzarsi.
– Un porco veghiano resta sempre un porco veghiano – asserì Holdh – A parer mio, con gentaglia come quella non è il caso di farsi tanti riguardi.
– Un’opinione come un’altra – disse Rigr – Resta il piccolo particolare dei miei uomini uccisi.
– Beh, non so che farci – sbottò Holdh – Io avevo dato ordine di prendere il bastardo, non di far fuori la tua gente.
– Uno di loro era un ragazzo.
– Vedrò di far punire il colpevole, va bene? – tagliò corto Holdh – Siamo in guerra, e tu stai a farmi tante storie per cinque persone…!
– La guerra è già finita – l’informò Rigr – E, se proprio vuoi saperlo, a farla finire è stato proprio quello che tu hai definito un bastardo.
Era cambiato qualcosa nel modo di fare del suo interlocutore, questo Holdh lo percepì benissimo; sentì un lieve brivido lungo la schiena, anche se lui stesso non avrebbe saputo spiegarne il motivo. Rigr continuava a parlargli con gentilezza, eppure…
Guardò fuori dai finestrini. E vide lo spazio.
– Dove stiamo andando?
– In nessun posto speciale – gli occhi di Rigr non lo lasciavano un istante – Diciamo che anche qui va benissimo, per quel che ho da fare.
Stavolta il brivido fu molto più forte: – Non ti capisco…
– Eppure, dovresti. Ti ricordi cosa ti ho detto, non molto tempo fa? No? Allora te lo ripeto. T’avevo dato la mia parola che se tu avessi tentato qualcosa contro Zuril o Maria, io ti sarei venuto a cercare.
Un nuovo brivido lo scosse da capo a piedi.
– E ti avrei ucciso – concluse dolcemente Rigr.
Holdh sbarrò gli occhi.
– Purtroppo per te, io mantengo sempre la mia parola – Rigr aprì e chiuse le mani, facendo scintillare gli artigli – Sarebbe poco serio non farlo, non trovi?
– No – esalò Holdh. Arretrò, andando a sbattere con le spalle contro una parete.
– T’avevo avvertito – Rigr si fece lentamente avanti, fissandolo col suo sguardo da lupo.
– Non avvicinarti… io… – Holdh armeggiò disperatamente con la pistola che aveva al fianco, l’estrasse… Rigr agì con la rapidità del pensiero. Uno scatto secco del polso, un bagliore nell’aria e Holdh lanciò un urlo strozzato, guardando incredulo la lama che gli si era conficcata nel braccio.
– Certe cose non si fanno – osservò Rigr, scuotendo la testa con riprovazione.
Holdh barcollò, ricadde contro la parete, mentre dal braccio gli colava il sangue a fiotti.
– Questa la prendo io – Rigr gli tolse di mano la pistola, riponendola in un vano contenitore.
– Fai qualcosa… sanguino…! – urlò Holdh, disperato.
– Devo aver colpito una vena, in effetti – Rigr gli afferrò la manica, lacerandogliela; quindi sfilò rapidamente la lama, tamponando subito la ferita con la stoffa e legando strettamente il braccio in modo da arrestare il sangue.
Holdh rimase a fissare la fasciatura: sembrava tenere, ma era legata strettissima.
– Non posso restare così, il sangue non circola…! – esclamò.
Rigr non rispose; sempre senza perderlo d’occhio andò al posto di pilotaggio, controllando la rotta impostata sul pilota automatico.
– Hai capito cos’ho detto? – si spazientì Holdh, che stava riprendendo il consueto modo di fare arrogante – Devi allentare la fasciatura, o mi verrà la cancrena!
– Credo che la cancrena sia l’ultimo dei tuoi problemi – rispose Rigr. Non aveva alzato la voce, non aveva nemmeno ringhiato, ma Holdh sentì un nuovo brivido scorrergli giù per la schiena.
– Cosa stai dicendo? – lo vide chiudere tutti i canali di comunicazione, e un nuovo tremito lo percorse da capo a piedi: – Ma che fai…?
– Ho isolato la nave – Rigr parlava in tono gentile e gli sorrideva, ma non era certo un bel sorriso: – Siamo soli nello spazio. Non può sentirci nessuno. Puoi urlare quanto vuoi.
Holdh aprì la bocca per dire qualcosa, ma le parole gli si spensero in gola.
– Abbiamo un conto in sospeso, ricordi? – continuò Rigr, sempre con quello spaventoso tono sommesso.
– Ma… ma… – Holdh era cadaverico in volto, e gli occhi sembravano schizzargli dalle orbite – Tu mi hai appena medicato…!
– Solo per impedirti di morire troppo in fretta – Rigr non lo perdeva di vista un istante, una vera belva pronta a scattare – T’avevo detto che mi sarei divertito molto, con un bastardo come te.
– No, non… non puoi!
– Perché non posso? – domandò Rigr, quasi con dolcezza – Pensi che farti a pezzi sia disumano? Ma io non sono umano. Sono una specie di animale, non è così?
– No! – Holdh fece per tirarsi indietro, inciampò e ricadde in un angolo della cabina di comando – Io sono un sovrano… se tu… se… capiranno che sei stato tu! Io… quando sapranno che mi hai ucciso…
– E come lo sapranno? – sussurrò Rigr – Per sapere che sei morto, dovrebbero vedere il tuo cadavere; e non lo vedranno. Quando avrò finito con te, getterò quel poco che sarà rimasto nello spazio. Per tutti, tu sarai fuggito chissà dove.
– No… – le ginocchia gli si piegarono, e Holdh scivolò a terra, totalmente incapace di reagire.
Rigr si accosciò davanti a lui, gli occhi gialli che continuavano a fissarlo.
– Allora? – tese una mano, gli passò delicatamente un artiglio sulla gola – Da dove vogliamo cominciare?


Tempo dopo, Rigr ebbe l’occasione di mettersi in contatto con Duke Fleed per annunciargli la definitiva scomparsa dell’uomo che era stato il sovrano di Galar.
– Peccato non averlo potuto prendere vivo – commentò il giovane – Sarebbe stato giusto processarlo per fargli pagare per i suoi delitti.
– Chi ti dice che non abbia pagato? – chiese di rimando Rigr, un lampo ferino nello sguardo.
Actarus sbarrò gli occhi, ma non disse nulla: aveva capito. Deglutì, disse a Rigr che si sarebbero rivisti su Moru e chiuse la comunicazione.
Era sicuro che piuttosto che la sorte che gli era toccata, Holdh avrebbe preferito mille volte venire catturato e processato.


La fuga di Holdh, perché questa fu la versione ufficiale data da Duke Fleed, gettò nel panico il primo ministro Plasion, che si trovò nell’impossibilità di gestire la situazione. Fino ad allora, pur di cessare quella guerra che si era rivelata rovinosa aveva scaricato ogni colpa sullo scomparso sovrano, ma la casta dei nobili, fedelissima a Holdh, aveva ripreso a premere per ricominciare le ostilità, qualche parola di troppo era stata detta ed il risultato era che l’intero paese era sul limite della guerra civile. Nobiltà ed alti gradi dell’esercito rifiutavano di sottomettersi alla Coalizione, il popolo era sul punto di far scoppiare una rivoluzione, e Plasion ormai non sapeva più come barcamenarsi.
Nemmeno le notizie che gli scorrevano sul monitor servirono ad aiutarlo a prendere una decisione: nessuna novità sul sovrano in fuga, la regina scomparsa, rivolte in tutte le città, il popolo si ribellava all’idea che si volesse far proseguire quella nuova, insostenibile guerra… ormai, anche buona parte delle forze dell’ordine stavano unendosi alla rivolta, e intanto i nobili rinfocolavano gli animi continuando a sostenere che mai e poi mai ci si sarebbe dovuti piegare alla Coalizione… addirittura alcuni stavano parlando di domare la folla anche usando le armi, e per uccidere… si era sull’orlo della sconfitta totale, forze avversarie, ma che fino a poco prima erano state loro alleate, pronte ad invadere Galar, che era in pieno caos… e in tutto questo non v’era nessuno a dare ordini, a decidere una linea di comportamento, a…
– Signore, una comunicazione dalla nave ammiraglia della Coalizione – annunciò l’addetto alle comunicazioni.
Plasion fece un gesto quasi rassegnato: – Passatela sullo schermo.


Un istante dopo, l’immagine della regina di Dera apparve sul megaschermo.
– Ministro Plasion – come sempre, D’reeth appariva fredda e perfettamente controllata – siamo a conoscenza della difficilissima situazione che state attraversando. Purtroppo non posso darvi notizie del vostro sovrano, che tutt’ora rimane irreperibile. A quanto ci risulta, ha preso una nave per fuggire nello spazio.
– È quello che sappiamo anche noi, Maestà – rispose Plasion, riluttante. L’idea di Holdh fuggito invece di affrontare le sue responsabilità minava parecchio la sua sicurezza, tuttavia cercò di mitigare la pessima figura fatta dal suo re: – Sappiamo che all’interno della Fortezza è scoppiata una rivolta dei prigionieri, sicuramente le guardie hanno voluto mettere al sicuro il nostro sovrano. Non abbiamo nemmeno notizie della regina Irghiz, che si trovava a sua volta alla Fortezza…
– Allora sarete lieto di sapere che Sua Maestà la regina Irghiz è salva, ed in perfetta salute – D’reeth si fece un po’ da parte, e accanto a lei apparve la figura minuta di Irghiz. Era piuttosto pallida e provata, ma appariva perfettamente padrona di sé stessa.
– Vostra Maestà! – Plasion era trasecolato – Siete prigioniera della Coalizione? Ma come…?
– No, primo ministro, io ero prigioniera prima – rispose Irghiz – Sono stata liberata da agenti della Coalizione.
– Prigioniera…? Ma…
– Ministro Plasion, sono stata tenuta prigioniera da mio marito, il sire Holdh, che accuso formalmente d’aver attentato alla mia persona. Lo accuso inoltre d’aver indebitamente sequestrato e torturato il sovrano di Vega, Zuril, al quale devo la mia salvezza e libertà.
Plasion sembrava sul punto di soffocare: – Signora…!
– Non interrompetemi, ministro Plasion – fu un vero ordine da regina che fece annuire vigorosamente Borg’n, che poco più indietro non perdeva una sola parola – Le mie sono accuse fondate e precise, ho dei testimoni autorevoli al riguardo, tra cui lo stesso sovrano di Vega; se in questo momento accuso formalmente l’uomo che è mio marito, è perché è giusto che il popolo di Galar sappia di cosa si sia macchiato il suo sovrano… un sovrano fuggito ed irreperibile.
Attorno a Plasion i ministri apparivano attoniti, quasi avessero ricevuto un colpo mortale; Plasion stesso chinò la testa: – Maestà, aspettiamo i vostri ordini.
– Molto bene – nonostante la voce dolce e i modi gentili si poteva percepire chiaramente l’acciaio, in Irghiz… una vera regina, senza dubbio: – Ordino che siano cessate le ostilità, immediatamente. Ordino che non vi sia alcuna conseguenza contro il popolo che si è rivoltato, popolo che ha sofferto anche troppo e che non merita il trattamento che volevano riservargli alcuni individui che non esito a definire inqualificabili.
– Sì, Maestà – rispose Plasion; e a questo punto, le folle di Galar esplosero in un forsennato urlo di gioia, acclamando il nome della loro regina.


Fu allora che Actarus stesso si mise in contatto con il governo di Galar: dichiarò di non aver alcuna intenzione di muovere rappresaglie contro Galar, con cui del resto fino ad allora i rapporti erano stati buoni, e manifestò tutta la sua simpatia e solidarietà per Irghiz, che si apprestava ad assumere il suo ruolo di regina. Altre manifestazioni d’amicizia verso la sovrana vennero subito anche da Catressia e Lauer, che dalle loro astronavi avevano seguito la battaglia, e che ora auspicavano che finalmente la pace tornasse a regnare tra i vari mondi.
D’reeth intervenne a sua volta: ebbe parole gentili per Irghiz, cui promise da subito tutto il suo appoggio e la sua amicizia. Concretamente, mise a disposizione della regina di Galar delle milizie che l’aiutassero e la sostenessero nel processo di pace (e qui la classe dei nobili, avversa ad Irghiz, comprese che non sarebbe stato così semplice rovesciare la nuova sovrana).
Una certa tensione la si ebbe quando prese la parola Raska, che dichiarò di parlare a nome di Rigr, sovrano di Upuaut. Ancora una volta, la giovane Uru confermò il non voler chiedere alcun risarcimento per i morti di Upuaut, visto che nulla avrebbe potuto riportarli in vita: aggiunse che l’unico responsabile di quel delitto era Holdh, che era comunque scomparso senza lasciare traccia, e fece i suoi auguri alla nuova regina di Galar, con cui auspicava in futuro rapporti migliori di quelli avuti con il suo sgradevole predecessore.
Ultimo a parlare fu Zuril. Nonostante il suo precedente discorso da lui ci si erano aspettate parole dure di odio e vendetta; ancora una volta, la gente rimase attonita sentendolo dichiarare da subito la sua amicizia e solidarietà nei confronti della regina Irghiz.
Le ultime parole di Zuril diedero il via ad una sorta di delirio da parte del popolo di Galar, che manifestò tutta la sua gioia con una forza ed una compattezza tali da far comprendere all’élite quanto saldo fosse il potere di Irghiz. Ora, quella donna dall’aria fragile che per tanto tempo era stata snobbata e dimenticata avrebbe avuto pieni poteri e tutto l’appoggio di popolo ed alleati… tutti compresero che a questo punto occorreva fare viso quantomeno passabile a pessimo gioco, tantopiù che aveva cominciato a serpeggiare la notizia della morte di Holdh.
A questo punto, la guerra era davvero finita.


Hydargos esitò un lungo istante; poi, quasi con riluttanza si rialzò dalla sua poltrona di Comandante. Ormai aveva fatto quel che doveva fare.
– I miei complimenti, signore – disse Shaneth, rivolgendogli un saluto – Siete stato davvero grande.
Lui mascherò la soddisfazione dietro la sua aria ironica: – Direi d’avervi sorpresa.
– Sapevo che eravate un abile comandante – rispose lei – Ma non avrei mai pensato che lo foste a questi livelli.
Grazie tante, non ero proprio l’ultimo degli ufficialetti… s’accorse che lei appariva incerta, ed aggiunse: – Cos’altro c’è?
– Io… – Shaneth prese fiato – Adesso posso dirvelo: avevo degli ordini, riguardo voi.
– Cioè?
– Dovete capire che è notorio che tra voi e Duke Fleed… voglio dire… I vostri rapporti sono sempre stati…
– Dite pure che ci odiavamo – disse lui, che non amava i giri di parole – Allora?
– Se voi non vi foste comportato lealmente, se aveste cercato di danneggiare Duke Fleed… io avevo l’ordine di prendere il comando.
– Capisco – rispose lentamente Hydargos – Però io avrei potuto non essere d’accordo a lasciare il mio posto. Ci avevate pensato?
– Certo – rispose Shaneth – In quel caso, ero stata autorizzata anche ad uccidervi.
Una leggera vertigine… – Ordini della regina di Dera, suppongo.
– Sì, signore.
Hydargos rifletté un istante, cupo in volto; quando parlò di nuovo, il suo viso sembrò schiarirsi: – Data la situazione, non posso darle torto.
E, prima che Shaneth potesse rispondere, si girò allontanandosi a grandi passi.


Mai, da che la gente di Galar avesse ricordi, la Fortezza era stata violata prima d’allora.
Ormai la rivolta era stata placata nel sangue, l’intera costruzione era stata devastata ma era tornata un luogo sicuro, e nonostante tutto restava il palazzo principale dei regnanti di Galar.
La prima azione di Irghiz fu recarsi nuovamente alla Fortezza per vedere lo stato in cui versava e rendere omaggio ai morti, guardie o prigionieri che fossero. Accompagnata da un gruppo di soldati galariti e deraniani, e con Borg’n che non l’abbandonava un istante, Irghiz ritornò da regina tra quelle mura in cui fino a pochissimo prima s’era sentita una condannata in attesa dell’esecuzione.
Dovunque devastazione, tracce di lotta, macchie di sangue… la lotta doveva essere stata spaventosa, e lo si poteva comprendere nonostante tutti i cadaveri fossero stati portati via.
No, non tutti.
Una zaffata di tanfo di putrefazione proveniva da un angolo di cortile in cui era gettato un qualcosa che a prima vista si sarebbe preso per spazzatura; del resto, l’intera Fortezza era totalmente devastata, l’ordine perfetto che vi aveva regnato non era più che un ricordo.
Irghiz si guardò in giro, gettò uno sguardo a quel che giaceva in un angolo… sabbia impastata di rosso ormai divenuto bruno, membra contorte ed irriconoscibili, lunghi capelli neri insudiciati di sabbia e sangue. Qualcosa luccicava nella polvere, a breve distanza dal cadavere: un brandello di stoffa ricamata in oro, tutto quel che rimaneva delle ricche vesti e dei gioielli di Nah’ma.
Irghiz fece una smorfia e si voltò da una parte, accennando con un gesto a quei miseri resti: – Fatela portar via.
– Meriterebbe d’essere gettata in pasto alle bestie – brontolò Borg’n.
– No. Voglio che abbia una sepoltura decente.
– Al vostro posto, signora, lei non si sarebbe fatta tanti scrupoli – obiettò seccamente Borg’n – Ho sentito io gli ordini che ha dato, in passato… quei prigionieri hanno fatto solo giustizia, credetemi.
– Va bene. Ma io non sono lei – Irghiz si strinse nel suo mantello e fece scivolare una mano sul braccio di Borg’n – Falla seppellire da qualche parte, e cominciamo finalmente a dimenticarci di lei e di quel che ha fatto.


- continua -

Link in cui parlare di ragù di carne: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=1965#lastpost
 
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Quartultimo capitolo...

FUTURO

34 – MORU

D’reeth in persona fece dirigere l’Ammiraglia verso Moru, in modo da riaccompagnare Zuril e Maria dal loro popolo; l’accoglienza della gente di Vega fu a dir poco trionfale, i due sovrani vennero circondati da una massa di gente frenetica e festante che poco o nulla aveva in comune col popolo intruppato ed intimorito che a suo tempo aveva acclamato il sire Yabarn. Fu un vero bagno di folla anche per Venusia, Yai e Raska, che Zuril aveva invitato su Moru; anche Procton, Rigel e Mizar, che si erano tenuti un po’ in disparte, vennero accolti festosamente. La stessa regina D’reeth, generalmente poco incline a mostrarsi emozionata, ebbe un lieve sorriso nel vedere tanto entusiasmo; quindi, salutato Zuril con un calore che prima d’allora non aveva mai avuto per lui o per qualsiasi altro veghiano, la regina si congedò, portando con sé anche le sue truppe.
Unico rimasto dei deraniani fu T’pher, che per motivi suoi personali aveva chiesto un permesso. La comunità di Vega era tutt’altro che pettegola: non ci furono chiacchiere sul motivo di quel permesso, anche perché era perfettamente noto a tutti.
L’unico che non fosse ancora rientrato fu Hydargos, come spiegò personalmente Zuril a Naida. Lui e Maria si erano premurati d’andare subito a salutarla e la trovarono sdraiata sul divano, un po’ pallida, le caviglie gonfie tenute alte da terra. Accanto a lei, su un tavolino, un mazzetto di piumosi fiori giallo oro e un piatto di dolcetti, doni di Arbogast e Neela, i due custodi del vecchio re, che assieme alla dottoressa Koyra le erano stati vicini in quel periodo.
– Mi hanno letteralmente coccolata – disse Naida, chiedendo subito poi di Hydargos.
– Lui e mio fratello sono rimasti su Galar per supervisionare l’insediamento ufficiale della regina – spiegò Maria, tenendole affettuosamente una mano – Ormai Irghiz è stata incoronata, per cui verranno qui al più presto. Come stai?
– Non ne posso più – confidò Naida – Non vedo l’ora che la bambina nasca.
– E quando sarà nata, credi che sarai tranquilla? – sbuffò Koyra – Credi a me, goditi i tuoi ultimi momenti di libertà…


Subito dopo aver visto Naida Zuril ricevette la visita di lady Gandal, che avrebbe dovuto riferirgli quanto accaduto in sua assenza. In realtà lei l’aveva già messo al corrente d’ogni avvenimento ancora mentre Zuril era sull’Ammiraglia di D’reeth; quella visita, al di là del rapporto d’amicizia che esisteva tra di loro, era più che altro una sorta di riconsegna del testimone tra il sovrano e colei che ne aveva fatto temporaneamente le veci.
Zuril ricevette lady Gandal in casa propria, come se loro due fossero stati persone qualsiasi che si scambiano una normale visita; ma quella visita non fui affatto normale, come fu evidente fin da subito.
Vedere lady Gandal un po’ imbarazzata fu già notevole, ma vederla arrivare tenendosi per mano con un enorme deraniano fu un vero spettacolo. Zuril s’impose di mantenersi serio, represse qualunque espressione stupefatta e fece accomodare gli ospiti nel soggiorno, limitandosi a guardare il gigante con aria vagamente interrogativa.
– Questo… hm… è T’pher – disse un po’ in fretta lady Gandal – È… era il comandante del distaccamento delle truppe di Dera inviate qui a proteggerci…
– Sono lieto di conoscervi, comandante – continuano a tenersi per mano… la faccenda è seria, allora. – Immagino… spero, voglio dire, che vi siate trovato bene, su Moru.
– Magnificamente – T’pher sorrise a lady Gandal, che nonostante l’imbarazzo gli rispose.
La faccenda è serissima.
– Ho avuto occasione di dare un’occhiata alle serre – continuò T’pher – Spero che non vi dispiaccia se ho insegnato un paio di cose ai vostri uomini. Non voglio passare per presuntuoso, cioè, so che sono scienziati di grande istruzione, ma…
– T’pher conosce tutto circa le colture! – esclamò subito lady Gandal.
– Tutto… andiamo… – si schermì lui.
– Certo! – lady Gandal si voltò verso Zuril, la voce che divenne un sussurro colmo d’ammirazione: – È un vero esperto, sai? Pensa… è un contadino.
Quella semplice parola produsse un effetto notevole. Zuril, che fino ad allora aveva considerato il colosso con un certo divertimento (un uomo capace di far capitolare lady Gandal!!!), lo guardò come un fedele avrebbe guardato un profeta: – Davvero?
– Sì – ammise lui, alzando la testa con un’aria a metà tra l’orgoglio e la sfida – vengo da una famiglia di coltivatori.
– Ma è magnifico!
– T’pher pensava di fermarsi un poco qui, su Moru – disse lady Gandal.
– Se non disturbo – puntualizzò il gigante.
– Così potrebbe seguire meglio le colture – aggiunse lei.
– In fondo, avrei un periodo di permesso che mi spetta – concluse lui.
Ma per me potresti trasferirtici, qui da noi… – Ma certo, certo. Fermatevi quanto volete, per noi sarà un piacere.
Due paia d’occhi lo guardarono, raggianti.


Zuril aveva appena potuto riprendere contatto con la sua gente che giunse la notizia dell’arrivo di Goldrake: si era appena inserito nell’orbita di Moru e stava chiedendo il permesso di planare.
Non molto dopo, il grande disco bianco e rosso scendeva dolcemente nel vasto spiazzo destinato ai mezzi spaziali, lo stesso in cui un tempo era stata posata l’immensa Grande Ammiraglia di Re Vega. Actarus non fece nemmeno in tempo a scendere dal mezzo che si trovò tra le braccia fidanzata e sorella. Rimasero stretti a lungo, mentre lui faticava persino a respirare: aveva davvero creduto… aveva pensato… ritrovarle entrambe vive, sentirle, fu un’emozione che rischiò di sopraffarlo. Solo quando riuscì a ritrovare una parvenza di controllo poté alzare il viso e finalmente sorridere a Procton, che assieme a Rigel e Mizar stava aspettando pazientemente il suo turno per poterlo salutare – a dire il vero, Rigel non era affatto paziente. Però aspettava.
Dietro di loro c’era Zuril, che gli diede calorosamente il benvenuto a nome di tutta la comunità di Vega. Alle spalle del sovrano, una folla piuttosto consistente espresse tutta la sua gioia. Incapace di parlare, la gola stretta, Actarus strinse la mano a Zuril, rivolse un cenno di saluto alla folla che poi fendette, tenendo strette a sé Venusia e Maria, una per parte.
Fu deciso che Actarus, Venusia, Procton, Rigel e Mizar sarebbero rimasti qualche giorno su Moru: Actarus appariva piuttosto provato dalla battaglia, e comunque desiderava molto salutare sia Hydargos che Rigr, che erano attesi a loro volta da un momento all’altro. Nel frattempo, Zuril e Maria li avrebbero ospitati a casa loro: dopo quel che era accaduto sentivano tutti il bisogno di restare uniti, parlarsi, raccontarsi le rispettive esperienze.
Hydargos arrivò praticamente subito dopo, su una navetta deraniana che D’reeth aveva gentilmente messo a sua disposizione.
La notizia del ritorno del comandante di Vega giunse immediatamente anche a Naida, e Koyra dovette usare tutta la sua autorità per impedirle di precipitarsi incontro al marito: nelle sue condizioni, non era veramente il caso… e Naida, che cominciava a sentire qualche dolore al basso ventre, dovette darle ragione. Avrebbe atteso il marito… ma il dolore era sempre più forte…


Hydargos scese dalla navetta, gli occhi fissi su Duke Fleed che da solo l’aspettava ai piedi della passerella.
Erano stati avversari per anni, adesso avevano appena combattuto assieme. Actarus sapeva che senza Hydargos a coprirgli le spalle difficilmente avrebbe potuto farcela contro tutte le navi di Galar; da parte sua, il comandante di Vega era cosciente del fatto che senza la potenza di sfondamento di Goldrake, quasi di sicuro lui e la sua flotta non se la sarebbero cavata così a buon mercato.
Rimasero a guardarsi, in silenzio: erano entrambi uomini chiusi e taciturni, si capirono al volo.
Actarus batté sulla spalla di Hydargos, Hydargos gli rivolse uno dei suoi rari sorrisi.
Poi s’avviarono assieme verso il fondo dello spiazzo di parcheggio, dove li attendevano i loro amici.


Erano tutti là, tutti per lui… dopo anni e anni di sconfitte brucianti, quel trionfo fu un balsamo per l’animo di Hydargos, che considerò con una certa ironia il fatto che proprio l’uomo che aveva causato un tempo la sua rovina era stato ora il primo ad accoglierlo… e comunque, quella vittoria era d’entrambi.
Semisoffocato dalla calca urlante Hydargos ebbe a malapena il tempo di pensare di non aver ancora visto Naida quando si trovò davanti Zuril, il cui viso teso gli fece subito correre un brivido giù per la schiena: – È… successo qualcosa…?
– Come ha saputo che stavi tornando, Naida è entrata in travaglio… l’emozione, sai – disse in fretta lui – Devi correre al Centro Medico.
– Co-cosa…? – articolò Hydargos.
– Sta per avere la bambina. Muoviti!
In vita sua, Hydargos aveva più volte combattuto ed affrontato la morte, testa alta e animo fermo. Anche pochissimo tempo prima aveva combattuto come i suoi stessi alleati mai pensavano di veder combattere; all’idea della nascita di sua figlia, un’espressione di panico totale gli si dipinse in viso.
Non seppe come raggiunse il Centro Medico, non ebbe coscienza di aver attraversato la città accompagnato praticamente da tutta la popolazione, in seguito non ricordò nemmeno della moltitudine di gente asserragliata fuori dal Centro Medico in attesa della notizia della nascita della prima bimba di Moru… agghiacciato dal terrore, si ritrovò accanto al letto su cui giaceva Naida, pallidissima e col viso contratto dalla sofferenza. Nel momento stesso in cui lo vide lei gli sorrise, gli tese le braccia, e immediatamente lui dimenticò i suoi terrori, le sue angosce, i suoi dubbi. Abbracciò sua moglie, baciandola con la passione di sempre: – Te l’avevo promesso che sarei tornato in tempo. Come ti senti?
Nonostante il dolore, lei gli sorrise: – Meglio, ora che sei qui.


Sembrò che su Moru fosse calato il più totale silenzio: non solo il popolo di Vega, l’intero pianeta sembrava attendere che quella nuova creatura venisse al mondo. Nella sala d’aspetto, appena fuori dal reparto s’erano accalcati Zuril e Maria, Actarus e Venusia, lady Gandal e T’pher, persino Arbogast, che continuava a tenersi in contatto con sua moglie Neela, rimasta a casa a badare al vecchio Yabarn, per tenerla aggiornata sulla situazione. Fuori, quella che praticamente era l’intera popolazione di Moru si era assiepata in silenzio, attendendo.
Il sole percorse il cielo nel breve giorno di Moru, tramontò, si levò ancora.
Tutti continuavano ad attendere, in silenzio.


Hydargos si fece avanti, il viso stravolto, il mento che gli tremava; tra le braccia stringeva un fagottino immobile.
Un silenzio terribile cadde nella stanza, mentre tutti i presenti si dicevano che qualcosa era andato male e la bimba non era sopravvissuta… Zuril sentì una fitta al petto. Lui aveva causato involontariamente la morte del primo figlio di Hydargos; adesso, gli era insopportabile sapere che anche con la seconda le cose erano andate male.
Nessuno ebbe il coraggio di farsi avanti, di chiedere; inaspettatamente, fu proprio Maria ad agire. Si avvicinò ad Hydargos, che la guardò come se nemmeno la stesse vedendo, e gli posò una mano sul braccio: – Naida… sta bene…?
Lui aprì la bocca per parlare, ma non riuscendoci chinò la testa in segno d’assenso.
Grazie al cielo, almeno Naida è salva!, pensò Maria.
Cercò disperatamente il modo di formulare la seconda, terribile domanda… ma come si può chiedere ad un uomo perché sia morto suo figlio…?
Un lieve suono, dolce e sommesso, sembrò infrangere il gelo piombato nella sala.
Tutti si guardarono con aria interrogativa: ma…?
Un altro suono… un vagito, inconfondibile.
Una manina sbucò improvvisamente tra la stoffa…
– Ma… ma allora…? – articolò Maria, stupefatta; subito, Zuril le corse in aiuto.
– È nata la piccola! – esclamò, prima che lei si lasciasse scappare una frase sbagliata.
– …Eccola…! – fu tutto ciò che Hydargos riuscì a dire; e subito tutti gli furono attorno, in un tripudio generale di felicitazioni e auguri.
Quasi spaventato d’avere in consegna un esserino tanto fragile, Hydargos la mise subito tra le braccia di Maria; lei sentì mancarsi il fiato, visto che prima o poi…
Si chinò a guardare la bambina, aspettandosi in cuor suo una mostriciattola bluastra e dal cranio allungato, come il papà.
Aveva la pelle azzurrina, un ciuffo di capelli blu e le orecchiette erano appena appuntite; la testolina aveva una curiosa forma leggermente oblunga, ma che non risultava affatto spiacevole. Il viso… i lineamenti erano quelli di Naida, per fortuna.
– Ma… è bellissima! – esclamò Maria, e fortunatamente nessuno a parte Zuril in quel momento notò l’incredulità che vibrava nella sua voce.
E bella lo era davvero, la bimba, una bellezza insolita, fuori dagli schemi; nessuno, Hydargos per primo, si sarebbe aspettato che da lui potesse nascere una creaturina così graziosa.


La notizia della nascita della bambina causò un vero boato da parte della folla che si era assiepata fuori dal Centro Medico. Era la prima creatura che nasceva su Moru, infiniti sogni e speranze si erano appuntati su di lei, che veniva al mondo desiderata disperatamente da un popolo intero. Quando fu dato l’annuncio che era nata, che era in perfetta salute e che il parto era avvenuto senza difficoltà, la gente si abbandonò ad un vero delirio. Vega non era morta, allora!
La notizia fu detta, ripetuta e commentata, fu riferita immediatamente anche a quei pochi che non avevano potuto essere presenti fuori dal Centro Medico. Persino lo stesso Yabarn, che in quel momento sedeva nel suo solitario giardino a fissare le Rubine ormai sfiorite, sentì da due festanti Arbogast e Neela della piccola appena nata, e per un attimo il suo sguardo sembrò scintillare di consapevolezza; poi il sire sprofondò nuovamente nelle sue nebbie e tornò a guardare le foglie oblunghe e verdissime ai suoi piedi.


- continua -


Link, e non dico altro: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=1965#lastpost

Edited by H. Aster - 23/7/2014, 23:13
 
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Stasera il web continua a saltare, speriamo... :via:
Terzultima puntata.

FUTURO

35 – MORU

Maria avrebbe voluto che Zuril si sottoponesse immediatamente ad un controllo medico, ma il trambusto causato dalla nascita della bambina unito a tutti gli inevitabili impegni che erano piombati loro addosso, non ultimo avere la casa piena di ospiti, avevano reso la cosa impossibile, almeno per il momento. In ogni caso, che lui stesse meglio era evidente. L’uomo tornato su Moru era ben diverso da quello che era stato liberato dalla Fortezza: i pasti nutrienti, il riposo e soprattutto la vicinanza con Maria avevano fatto miracoli su Zuril, che era meno pallido e aveva il viso meno segnato, più disteso. Restava ancora piuttosto magro e non era certo nel pieno delle forze, ma aveva lo sguardo brillante e lo spirito vivo di sempre. Era solo questione di tempo e sarebbe tornato ad essere quello di prima, di questo sua moglie era più che sicura.


Erano finalmente insieme, dopo un tempo che era parso ad entrambi un’infinità… insieme, in un letto che non era il loro, in una stanza che non era la loro su un mondo che non era il loro, ma pur sempre insieme.
– Io… credevo che tu fossi morta – nonostante la tenesse tra le braccia, Actarus sembrava incredulo che lei fosse lì, con lui. Era così poco abituato ad essere felice… – È stato orribile, io…
– Ti capisco – lei gli prese una mano, se la premette contro la guancia – Io l’ho provato per tre anni.
Actarus la guardò con orrore: solo in quel momento aveva l’esatta coscienza di quanto lei avesse sofferto. – Venusia, mi dispiace. Giuro che mi dispiace.
Venusia gli si rannicchiò tra le braccia, guardandolo con occhi luminosi; s’accorse di un’ombra che gli era scesa sul viso, e si fece seria: – Cosa c’è, Actarus?
– È successa… una cosa – si sdraiò sulla schiena continuando a tenerla stretta a sé, ma i suoi occhi erano fissi su un punto impreciso della parete di fronte – Una cosa che non mi è piaciuta affatto. Ho creduto d’impazzire, quando mi è stato detto che tu e Maria… beh… ero totalmente fuori di me.
– Caro, eri sconvolto, si capisce che tu…
– Io ho perso il controllo – disse lui – Ero come folle, volevo sfogare la mia rabbia, il dolore… Venusia, non volevo sconfiggere i nemici: volevo annientarli. Quel mostro… l’ho fatto a pezzi. Altre volte ho dovuto distruggere i mostri di Vega, ma vi ero costretto, perché i piloti combattevano fino alla morte; questo invece si era arreso, continuava a chiedermi pietà, e io nemmeno lo sentivo. Lui supplicava, e io continuavo a colpirlo! Ma che razza di uomo sono? Cosa sono diventato?
S’era aspettato che lei gli dicesse qualche frase ovvia: che lui aveva sofferto troppo, che non c’era da meravigliarsi se per una volta in vita sua aveva perso il controllo… invece Venusia lo sorprese.
– Sei un uomo che sbaglia – rispose lei, dopo un attimo – e che se ne rende conto, se ne pente e s’interroga per quello che è successo. Tutti sbagliamo, capita; ma non tutti sono capaci di accorgersene. Tu l'hai fatto.
Lui la guardò, stupito: non c’era condanna, in lei, Venusia lo conosceva troppo bene per non comprendere a che livello di disperazione lui doveva essersi trovato per ridursi a quel modo. No, lei lo capiva perfettamente, sapeva che se avesse tentato di giustificare col dolore le sue azioni lui avrebbe respinto tutto e gli stava dicendo l’unica cosa che lui non avrebbe potuto mai controbattere.
– Io ho la responsabilità di Goldrake – mormorò, incerto – Non dovrei fare errori simili…
– Actarus, siamo esseri umani – gli fece notare lei – e gli esseri umani sbagliano. È la loro natura. Quello che davvero conta, è il capire l’errore e non ricascarci.
Fu come sentirsi versare una medicina fresca su una piaga: Actarus sentì alleviarsi il peso che gli opprimeva il petto e strinse a sé quella sua meravigliosa donna, l’unica capace di trovare le parole giuste da dirgli anche in un momento simile.
– Il pilota sta bene? – chiese inaspettatamente lei.
– Sì, solo qualche graffio… ehi, come sapevi che mi ero informato della sua salute?
– Oh, Actarus! – rise Venusia – Ti conosco bene, vuoi che non lo sappia?
– Non sarà che stando con Maria stai diventando telepate anche tu? – scherzò lui.
Venusia si fece un istante seria, sentendogli nominare Maria; poi scosse la testa, gli sorrise: – Dobbiamo proprio parlare di tua sorella?
– Dobbiamo proprio parlare? – chiese di rimando lui.
– Direi proprio di no – rispose Venusia, chinandosi a baciarlo.


Moru l’accolse col suo sole splendente e col suo cielo azzurro e terso.
Un paio di lenti scure a proteggere gli occhi, Rigr scese dalla nave e rivolse un lieve sorriso all’inserviente che gli era venuto incontro: – Mi spiace, temo che ci sarà bisogno di dare una pulita, là dentro.
L’uomo entrò nella navetta, e un istante dopo echeggiò un’esclamazione inorridita.
Rigr alzò le spalle: eppure, lui aveva già rimesso abbastanza in ordine… che avrebbe detto, quell’impressionabile inserviente, se avesse visto com’era ridotta la nave prima che lui avesse dato una sistemata?
– Qualche problema? – chiese Zuril, arrivato in quel momento a salutarlo assieme a Maria.
Rigr gli rivolse un sorriso luminoso: – Nessuno.


Quello stesso pomeriggio, Zuril e Maria diedero un ricevimento per i loro ospiti. Si trattò di una riunione molto informale che più che un avvenimento mondano ricordava molto una festa in famiglia, cosa questa graditissima agli Uru, per nulla inclini alle convenzioni; organizzarla aveva comunque dato vari problemi, i mezzi di cui la comunità di Vega disponeva erano davvero pochi. Fortunatamente nessuno parve far caso ai mobili assortiti alla bell’e meglio o alle stoviglie differenti tra di loro. I terrestri in particolar modo furono coloro che badarono meno ai dettagli: ai loro occhi tutto era nuovo, incredibile e meraviglioso. Se Procton appariva comunque il pacato uomo di scienza di sempre, Mizar non faceva che guardarsi attorno con gli occhi sgranati, ripetendosi incredulo di trovarsi in un altro pianeta e in compagnia di extraterrestri… l’avessero visto, i suoi compagni di scuola…!
Il più su di giri era Rigel: socievolissimo, amava molto le feste, e soprattutto i relativi buffet. Come non bastasse a quel ricevimento erano presenti una straordinaria quantità di alieni, alieni veri, e di diverse provenienze! La bocca piena, un bicchiere in una mano e un piatto nell’altra non faceva quindi che passare da un ospite all’altro, cianciando a ruota libera e facendo morire di vergogna sua figlia, che dopo averlo più volte redarguito decise di lasciar perdere e tentò disperatamente d’ignorarlo. Fortunatamente i vari ospiti dimostrarono molta urbanità, e nessuno di loro gli spaccò un piatto in testa – anche se indubbiamente qualcuno il pensiero l’aveva avuto. Persino lady Gandal sorrise amabilmente ad una delle goffe uscite di Rigel; bisogna dire che accanto a lei c’era T’pher che la teneva per mano, e la vicinanza di lui aveva un indubbio effetto benefico sul carattere della signora.
A dispetto della loro fama di individui asociali, i tre Uru apparivano perfettamente a loro agio – un po’ meno lo erano gli altri ospiti, intimoriti dal loro aspetto ferino. In un angolo, Yai stava raccontando come avessero raggiunto la Fortezza e salvato Zuril; attorno a lui si era raccolto un gruppetto di persone, tra cui Mizar, talmente preso dal racconto da non accorgersi che dentro la coppetta che aveva in mano la crema fredda stava inesorabilmente squagliandosi.
Naida sedeva su un divano, un po’ stanca ma radiosa; teneva in braccio la piccola e aveva attorno un capannello di donne, Maria, Venusia e Koyra per prime. Hydargos, un po’ in disparte, appariva serio e taciturno come sempre ma aveva una luce nello sguardo che non gli si era mai vista prima d’allora, e non faceva che covarsi con gli occhi le sue due donne.
Rigr stava scambiando qualche parola con Raska, quando improvvisamente lei si guardò attorno: – Vorrei conoscere Duke Fleed.
Actarus si fece subito avanti: – Sono io.
Lei lo guardò, gli occhi socchiusi come se stesse valutandolo, e lui ebbe la netta sensazione di non esserle precisamente simpatico… si sentì soppesato, valutato e, per un qualche motivo che gli sfuggiva, trovato sgradevole. Maria, che aveva percepito la tensione del fratello, gli si affiancò subito.
– Raska – Rigr stava parlando in tono tranquillo, ma Maria avvertì chiaramente il suo nervosismo – Duke Fleed non è semplicemente un alleato… è un amico.
Gli occhi di Raska, chiari ed inquietanti, non abbandonarono un istante quelli di Actarus: – Stai dicendomi che è un amico del nostro popolo?
– Anche… ma è soprattutto un amico mio.
Stavolta lei si volse verso Rigr, una muta domanda nello sguardo.
– Ci siamo aiutati, ci siamo battuti assieme – continuò Rigr, sempre tesissimo sotto la calma apparente – Io mi fido di lui.
– Anche se…?
Rigr scosse la testa: – Lo conosco abbastanza da sapere che quel che è successo non è colpa sua.
Ma di che stanno parlando?, si chiese Actarus, che distingueva un pericolo oscuro gravargli addosso ma non riusciva a comprenderne la natura.
Per un attimo, la piccola Raska sembrò tener testa al più possente Rigr; poi lei chinò la testa e scosse il capo: – Hai ragione. Non è lui il colpevole.
Actarus percepì nettamente il pericolo allontanarsi da lui; stupefatto, osservò Rigr mettere un braccio attorno alle spalle di Raska e stringerla a sé, un po’ come avrebbe fatto lui con Maria… era sua sorella…?
Lei scambiò con Rigr un’occhiata d’intesa, poi si volse verso Actarus: aveva l’aria stanca, ora, ma non sembrava più ostile: – Non capisci di cosa stiamo parlando.
– No – ammise Actarus.
– Ti ricordi Gauss? – pronunciando quel nome la sua voce ebbe un tremito… un dolore mai sopito.
– Come potrei averlo dimenticato? – rispose Actarus, a disagio. Era stato uno dei combattimenti più difficili, per lui, Gauss era stato due volte sul punto di ucciderlo, e poi si era tirato indietro… si era sacrificato per lasciarlo vivere, per permettergli di portare a termine la guerra contro Vega – Io gli devo la vita.
Raska assentì: – Se lui fosse sopravvissuto, io sarei divenuta sua moglie.
Fu come ricevere uno schiaffo… ricordò improvvisamente Gauss gettato a terra, mentre stringeva dei fiori tra le mani come per chiedergli di salvarli dalla follia distruttrice di Yabarn…
– Mi dispiace – era una frase stupida, ma che altro avrebbe potuto dire?
Gli occhi di Raska lo fissarono, penetranti ed imperscrutabili, e lui si lasciò esaminare: si sentiva talmente in torto nei suoi confronti, che gli parve il minimo che potesse fare per lei. Per un attimo si sentì scrutato e soppesato; poi lei sembrò rilassarsi, farsi più amichevole: – Doveva succedere, Fleed. Se Gauss ha preso quella decisione, so che l’ha fatto a ragion veduta.
– Ma io…
– Non sentirti in colpa – Raska gli strinse il braccio – È stata una sua scelta.
Proprio allora, successe quel che Venusia aveva tanto sperato non accadesse: suo padre, poco pratico di bevande aliene, invece di un inoffensivo bicchiere di takeeth aveva provato una coppa di vino anduriano. Gli era parso squisito, ma per esserne davvero sicuro si era servito di una seconda coppa, e stava sorseggiandone una terza quando si trovò a chiedere a gran voce ad Actarus quando sarebbero avvenute le nozze con Venusia: lui era un appassionato di matrimoni, lo commuovevano sempre, specie quando era l’ora del banchetto nuziale.
Venusia si sentì morire, e Actarus lo acchiappò e lo trascinò fuori della sala “perché sei stanco e hai bisogno di una rinfrescata”. Da fuori vennero gli schiamazzi di Rigel, che urlava di non essere affatto stanco e di non aver alcun bisogno di rinfrescarsi, poi fu silenzio: Actarus doveva essere riuscito a farlo finalmente tacere. Venusia non resse più e scivolò a sua volta fuori dalla sala, il viso rosso di vergogna.
Zuril la trovò casualmente poco dopo. Era sola, appoggiata alla ringhiera della loggia; davanti a lei, il mare scintillava pigramente sotto al sole. Zuril si fece avanti e andò ad affacciarsi a sua volta: – È sempre uno spettacolo meraviglioso.
– Sì – convenne Venusia – Specie per me, che sono cresciuta in campagna. Non sono abituata.
Cadde un silenzio un po’ imbarazzato.
– Mio padre… – cominciò lei, a testa bassa.
– Suppongo che sia molto felice – rispose lui, in tono leggero – Sua figlia si è appena comportata da eroina e sta per sposare l’uomo che ama. Se tuo padre ha voluto festeggiare, beh, è comprensibile.
Venusia arrossì, ma sorrise: – Grazie…
– Immagino che tu venendo su Fleed abbia trovato un bel po’ di novità – disse Zuril, tanto per cambiare argomento.
– A dire il vero ho a malapena messo piede, su Fleed.
– Capisco. Ti sei trovata in piena emergenza. Mi spiace esserne stata la causa; ne avrei fatto volentieri a meno, credimi.
Lei sembrò respirare meglio: – Sei sposato con Maria.
– La cosa ti sorprende?
– Beh… sì, molto. Actarus mi ha raccontato cos’è successo in tutto questo tempo, e non avrei mai pensato che… che tu… – annaspò, cercando disperatamente le parole. Ma perché doveva sentirsi così impacciata?
– A dirti il vero, non l’avrei mai pensato nemmeno io, è stata un’idea sua – rispose lui – Da come sono andate poi le cose, devo dire che è stata una grande idea.
– Ho visto Maria… è felice.
– Non è la sola.
Venusia sorrise ancora, ma poi il suo sguardo sembrò oscurarsi: le era tornata in mente una certa serata, anni prima… la veranda di casa sua, il dondolo, il profumo dei caprifogli, e poi… Vagò con gli occhi sul mare, irrequieta, e poi quasi controvoglia incrociò lo sguardo di Zuril, e capì che anche lui stava ricordando le stesse cose.
– Eravamo entrambi molto soli – le fece presente lui – Le cose sono cambiate, e in meglio, per tutti e due.
– Vero – finalmente Venusia sentì sciogliersi la tensione; tornò a guardare la pigra danza delle onde e sentì come se un peso, non troppo molesto ma persistente, le fosse scivolato via dall’anima lasciandola finalmente libera, sollevata.


Rientrarono insieme nella sala, e subito Zuril venne chiamato da Maria, che aveva bisogno di parlargli; Venusia cercò Actarus e quasi andò a sbattere in Rigr, che la salutò con più rispetto di quanto non ne avesse avuto quando si erano conosciuti. Averla vista in azione aveva fatto aumentare di molto la sua stima nei suoi confronti. Arrivò persino ad offrirle una bibita, un atto di grandissima gentilezza da parte di un Uru.
Da anni Venusia aveva in sé un dubbio, e solo lui avrebbe potuto scioglierlo… decise di provare: – Posso farti una domanda?
– Certo – rispose Rigr, celando la sua sorpresa. Non s’era aspettato che lei, spaventata come gli era parsa, avrebbe trovato il coraggio di parlargli.
– Ti avverto, è una domanda personale…
– Non è un problema.
– Chi è Runan?
Rigr sussultò: – Cosa sai di lei?
Venusia lo guardò con aria di scusa: – Tuo fratello Gauss l’ha chiamata, prima di morire.
– Come lo sai? – chiese lui, il viso improvvisamente fosco.
– Io ero là – mormorò Venusia – Lui mi aveva scambiata per lei…
– Capisco – Rigr si voltò a guardare lontano; quando Venusia ormai stava pensando che non le avrebbe mai risposto, lui parlò quasi in un sussurro: – Runan era la nostra sorellina. Lei ed io siamo stati catturati per ordine di Re Vega che ci ha usati come ostaggi per ricattare Gauss, che altrimenti non si sarebbe mai piegato a… beh, sai anche tu com’è andata a finire, per mio fratello. Io ero ancora vivo, quando Vega è caduta, e sono stato liberato; Runan… era ancora piccola, e le prigioni di Vega non sono posti adatti ai cuccioli. Ti lascio immaginare cosa possono averle fatto. Non è sopravvissuta.
Venusia si coprì la bocca con le mani: – Mi dispiace…
Rigr abbassò gli occhi su di lei: vide il viso contratto, gli occhi che brillavano di lacrime, e comprese la sincerità di Venusia, che piangeva in silenzio quella piccola vita stroncata. Le mise una mano su una spalla e gliela strinse in una ruvida carezza: – Grazie.


- continua -

Link grazie al quale eccetera: #entry560568238
 
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Ancora rogne col web, grrrr!!!!

FUTURO

36 – MORU

Nonostante certe uscite poco felici di Rigel la festa era stata un successo, e a renderla tale era stato il fatto che i partecipanti erano persone che avevano finalmente trovato l’occasione per parlarsi. Il risultato fu che gli invitati rimasero molto più del previsto, e quando finalmente Zuril e Maria, ormai stanchissimi, poterono rientrare nella loro camera crollarono sul letto e s’addormentarono immediatamente.
Maria fu svegliata da un profumino delizioso: avendo la casa piena di ospiti, ospiti che ancora stavano riposando nelle loro stanze, Zuril aveva ordinato a Dexter di portare in camera la colazione, che ora attendeva sul tavolino davanti alla finestra. Maria s’accorse improvvisamente d’avere molta fame: balzò in piedi e sedette di fronte al marito, e per un poco commentarono il ricevimento del giorno prima. Risero assieme pensando agli effetti che il vino anduriano avrebbe avuto quel giorno su Rigel: secondo Zuril, come minimo gli sarebbe venuto un gran mal di testa. Succedeva sempre, a chi aveva provato a berne un po’ troppo... era squisito, ma non perdonava.
– Mi spiace tanto per Raska – mormorò infine Maria, raccogliendo sul vassoio piatti e tazze sporchi – Aver perso il proprio compagno dev’essere orribile…
– Devastante – assicurò Zuril.
– È ancora molto giovane – continuò lei – Magari più avanti, forse…
– Non credo proprio – tagliò corto suo marito, in un tono reciso che la sorprese.
Maria lo guardò con stupore: proprio Zuril, che era vissuto per anni e anni da solo dopo aver perso la sua adorata prima moglie, e che poi si era rifatto una vita con lei, trovava difficile che per Raska accadesse la stessa cosa?
– Non ti capisco. Ma se tu…
– Io non sono un uomo di Upuaut – Zuril si voltò a guardarla – Loro sono monogami. In maniera ferrea.
– Cosa…?
– È la loro natura. Se perdono il compagno, restano soli. Per questo per loro è così importante vivere in gruppi.
– Oh… – Maria rimase attonita, sentendosi stringere il cuore all’idea di Raska, ancora così giovane ed attraente… poi, un altro pensiero si fece rapidamente largo in lei: – Vuoi dire…?
– Sì, è come pensi. – rispose Zuril, guardandola con un’espressione che lei non riuscì a decifrare – Possono innamorarsi una volta sola.
Maria trattenne il fiato.
– Se stai chiedendoti se sarà lo stesso per Rigr – continuò Zuril – sì, penso proprio che sia anche il suo caso. Mi ero accorto ancora l’altra volta, qui su Moru, che ti amava.
Maria sentì le guance avvamparle: – Ma… ma io non…
– Tu non lo sapevi – rispose Zuril, sempre molto ragionevole – e devo dire che non hai fatto nulla per farlo innamorare. Ma è successo.
– Io… io pensavo che col tempo avrebbe dimenticato…
Zuril scosse la testa.
– Ma non è giusto! – esclamò Maria – Io non ho mai voluto una cosa simile!
– Maria, le cose accadono – le fece notare lui – e in casi come questi, chiedersi il perché è inutile e dannoso. Parlo io, che come scienziato mi sono sempre interrogato su tutto – aggiunse, con una certa amarezza.
Maria si lasciò cadere seduta sul letto: – Avrei preferito non sapere…!
– Invece è giusto che tu sappia qual è l’esatta situazione – Zuril sedette accanto a lei, ma non troppo vicino.
Maria ebbe un brivido: – Che cosa vuoi dire?
– Che forse tu potresti aver cambiato idea – Zuril parlava in tono serio, un po’ triste, ma non c’era cattiveria in lui – Mi riferisco a Rigr, naturalmente.
– Ma… – cominciò Maria, ma lui alzò una mano perché lei lo lasciasse finire.
– Non ti sto accusando, ma ovviamente non sono cieco.
Maria sentì le guance diventarle scarlatte: – Mi dispiace…
Zuril trattenne il fiato: aveva sperato che lei negasse dicendogli di non provare nulla per Rigr, e invece… l’aveva persa? Possibile?
Sei sfigurato e potresti essere suo padre, disse un’odiosa voce interiore. Si capisce che lei preferisca un uomo più giovane, forte e coraggioso…
– Beh, posso capirti – disse infine.
– Credo di sì… Irghiz è una donna molto bella – osservò inaspettatamente Maria. Non stava accusando, ma solo considerando un dato di fatto.
Zuril ebbe un sussulto. Ancora quei suoi poteri telepatici… aveva percepito la fuggevole attrazione che lui aveva provato per Irghiz, avrebbe dovuto aspettarselo. – È vero. Non te ne ho parlato solo perché la cosa per me non ha la minima importanza. Mi credi?
– Certo che ti credo, ma non capisco…
– Noi avevamo un patto, ricordi? Se tu avessi cambiato idea sul nostro matrimonio, io ti avrei lasciata andare. Se adesso vuoi riprendere la tua libertà, devi solo chiedermelo. Nient’altro.
Non la toccava, non la guardava nemmeno, stava un po’ voltato da una parte, in attesa.
Ferita, Maria batté le palpebre per ricacciare le lacrime: non si era aspettata di essere respinta a quel modo, non dopo tutto quello che avevano passato… e poi, improvvisamente, capì.
Lui non la stava respingendo: temeva che lei fosse indecisa tra lui e Rigr e voleva che scegliesse nella più completa libertà, non voleva influenzarla in alcun modo.
Un’ondata calda sembrò traboccarle nel petto, togliendo in lei ogni residuo di gelo; Maria prese per un braccio il marito, facendolo voltare verso di sé.
– Ma io ho già scelto, ancora tempo fa – esclamò, il viso che sembrava irraggiare luce – Pensi davvero che abbia cambiato idea? Credi che io non ti ami più, dopo che in questi giorni, ogni volta che ti facevano del male, io soffrivo con te?
Zuril sbarrò l’occhio: – Che cosa?
– Quando ti hanno torturato, io sentivo tutto – spiegò lei – Ho sentito quando ti hanno picchiato, e anche quando ti hanno irradiato col vegatron.
Lui fece per parlare, ma ci riuscì solo dopo vari tentativi: – I… tuoi poteri ESP…?
– Sì – Maria si rannicchiò contro di lui e gli raccontò ogni cosa: la pena, il dolore, il tormento… ma anche la gioia di sapere così vivo ed autentico il loro legame, se non fosse stato così lei non avrebbe potuto condividere con lui la sofferenza. Zuril non disse nulla, limitandosi a stringerla a sé, mentre Maria terminava la sua narrazione. Pensare che durante la sua prigionia lui si era fatto forza proprio pensando che lei fosse lontana da simili orrori…!
– Io… mi dispiace – erano parole così deboli, così banali… ma che altro avrebbe potuto dirle? Fortunatamente, ormai si comprendevano ben oltre il semplice linguaggio.
– Capisci adesso perché non ha senso che tu mi chieda di scegliere? – domandò infine lei, gli occhi che le brillavano.
Zuril si sforzò di rimanere impassibile: – Non avevo tutti i torti a domandartelo. Rigr è un uomo… beh, interessante, presumo… se tu…
– Certo che è interessante! – esclamò vivacemente Maria, mettendogli le braccia attorno al collo – È molto interessante, e se dicessi il contrario non mi crederesti.
– Proprio per niente – sorrise lui, buttando poi sullo scherzoso quel che gli faceva più male: – Comunque, lui è più giovane, mentre io…
– Tu, cosa? – chiese Maria, guardandolo un po’ di traverso.
– Beh, diciamo le cose come stanno… con quel che mi hanno fatto, sono una specie di rottame.
– Ma a me piacciono i catorci – Maria lo baciò prima che le rispondesse con qualche altra sciocchezza dello stesso tenore, e lui le rispose con un entusiasmo notevole, per un uomo non più giovanissimo e non in perfette condizioni fisiche… poi, all’improvviso, lui si tirò indietro: – No.
– Perché…? – lei era disorientata. Cosa c’era ancora che non andasse?
– Mi hanno irradiato col vegatron – rispose lui – Borg’n mi ha curato come ha potuto, ma non vorrei… devo far controllare il mio livello di radiazioni, non posso rischiare di farti del male. Credo di non essere più radioattivo, non penso che un bacio, un semplice contatto fisico siano pericolosi, ma se noi… beh, non voglio che tu corra rischi.
Maria lo fissò, gli occhi colmi d’orrore: – Certo… hai ragione.
Zuril rimase un po’ sorpreso: s’era aspettato resistenza, un tentativo di dare poca importanza alla cosa; lei invece sembrava davvero preoccupata ed ansiosa. Tanto valeva togliersi subito il dubbio.
– Dove vai? – chiese lei, vedendolo alzarsi e rimettersi a posto i vestiti.
– Da Koyra, a farmi dare un’occhiata.
Maria fu subito in piedi: – Vengo con te.


– Allora? – chiese Zuril, fissando Koyra dritto in volto. Erano nell’ambulatorio privato della dottoressa… un ambulatorio ora decorato da una splendida scultura, un fiore in vetro sui toni del bianco, del rosa e dell’argento, un dono di Hydargos e Naida.
– C’è un problema – cominciò Koyra, facendo una smorfia come se avesse dovuto fare uno sforzo per parlare – Anche se ormai sei stato interamente decontaminato, non è il caso che tu… hm… generi un figlio. Non ora.
Zuril sembrò farsi di pietra. – In che senso? Rischio d’avere un figlio anormale, sono diventato sterile o sono addirittura pericoloso per mia moglie?
Nonostante lo conoscesse ormai molto bene, Maria rimase colpita sentendogli formulare in un tono così calmo tre domande che erano una più tremenda dell’altra.
Koyra si passò nervosamente una mano tra i capelli.
– Pericoloso per tua moglie, lo escludo – rispose, scegliendo le parole con cura – Ti ho analizzato a fondo, ti posso garantire che non costituisci un rischio per Maria.
– Sono diventato sterile – quella di lui non fu una domanda.
– Sì e no – Koyra intrecciò tra di loro le dita – Sicuramente, il tuo grado di fertilità è drasticamente calato, rispetto ai tuoi normali parametri; la notizia buona è che l’esposizione al vegatron porta una sterilità temporanea, come ben sappiamo dallo studio della nostra popolazione. La decontaminazione e il trascorrere del tempo ti faranno migliorare senz’altro. Ho buone speranze che tornerai ai livelli di prima.
Zuril assentì, il viso impenetrabile: – Pensi che potrò avere figli sani, nonostante l’esposizione?
– Più avanti, senz’altro – rispose la dottoressa – Adesso, sei semplicemente impossibilitato ad averne, come lo è stato per la stragrande maggioranza della popolazione. Il vegatron inibisce la fertilità, ma non causa un aumento di anomalie fetali. Quando potrai nuovamente avere figli, ho la ragionevole certezza che si tratterà di creature sane.
– Ho capito – Zuril si rivolse a Maria, che sedeva immobile accanto a lui, e le strinse una mano: – Mi dispiace, so che ci tenevi molto, ma temo che per il piccolo dovremo aspettare.
– Fortuna che ci abbiamo già pensato, allora – disse lei, in fretta.
Un silenzio attonito piombò nel laboratorio.
Zuril deglutì, prese fiato: – Forse ho capito male.
– Credo di no, hai capito benissimo – Maria aveva le guance rosse, ma gli occhi azzurri brillavano come non mai: – Ne sono sicura solo adesso, ecco perché non te l’avevo detto prima.
Zuril scambiò un’occhiata con Koyra, prima di voltarsi ancora verso la moglie: – Un… bambino…?
– Sì – Maria era esterrefatta: possibile che lui accogliesse con tanta freddezza una notizia simile?
Un istante dopo, accadde qualcosa che lei mai e poi mai si sarebbe aspettata.
Suo marito, il freddo, compassato scienziato, il regale sovrano di Vega, l’abbracciò con un trasporto da ventenne lanciando un urlo che Rigel avrebbe definito “da vero cowboy”.
– Vacci piano – ammonì Maria, rossa e confusa.
– È una notizia meravigliosa! – esclamò lui, festante.
– Meravigliosa, davvero! – gli fece eco Koyra, con un gran sorriso – E ora, Maria, fammi il piacere di entrare subito nell’analizzatore.


– Adesso capisci perché ero così preoccupata? – chiese Maria, mentre rientravano in casa – Non avevo certo paura che tu facessi male a me, ma…
– Al bambino – assentì Zuril, che sembrava ancora incapace di credere che un simile miracolo stesse per avvenire di nuovo per lui… un figlio! Prima di sposarsi con Maria, nemmeno nei suoi sogni più folli aveva mai immaginato di poter essere ancora padre; poi, molto realisticamente si era detto che, dato l’altissimo tasso di infertilità del popolo di Vega, sarebbe stato improbabile avere un bimbo… e invece…
Un maschio, aveva detto Koyra. Un altro… dentro di sé gli parve di sentire la risata gioiosa di Fritz, sentì la voce dolce di Shaya e gli parve di scorgere uno dei rari, pallidi sorrisi di Kein…
Era talmente soprappensiero che nemmeno s’accorse che sua moglie l’aveva pilotato in camera da letto; riemerse dalle sue fantasticherie solo quando vide Maria chiudere la porta dietro di sé e guardarlo, gli occhi brillanti.
– Stavamo parlando di catorci, qualche tempo fa – disse lei – Catorci che a quanto pare funzionano.
– Possiamo verificarlo ancora – lui era serissimo, anche se aveva uno sguardo canagliesco che smentiva tanta gravità.
Maria sorrise, facendosi seria un attimo dopo: – Un momento… non ci sono problemi per il piccolo…?
Zuril scosse la testa, mentre l’abbracciava: – Posso assicurarti che se sono felici mamma e papà, lo è anche il bambino.
Maria s’alzò in punta di piedi, gli diede un bacio: – Allora, facciamolo molto felice.


- continua -

Link e vi dico per la penultima volta a che serve: #entry560612839
 
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L'ora degli addii.

FUTURO

37 – MORU

– Maria… cosa? – esclamò più tardi Actarus, incredulo. Sua sorella… la sua sorellina… possibile?
– Aspetta un bimbo! – confermò Venusia, raggiante. Era stata la stessa Maria a dirglielo, o meglio, a dirle di non tenere più il segreto e anzi diffondere la notizia.
– Un momento, tu non mi sembri affatto sorpresa…
– Beh, è da un po’ che lo so – rispose Venusia.
– Come facevi a saperlo? Te l’ha detto Maria? – era un po’ contrariato: perché non era stato con lui, che sua sorella si era confidato?
– No, non me l’ha detto. L’ho capito io.
– Ma come…?
– Oh, Actarus! – esclamò Venusia, ridendo – Ma era così evidente!
– Evidente…? – era sbalestrato; poi un pensiero sgradevole si fece strada in lui: – Tu lo sapevi, e l’hai lasciata andare alla Fortezza? Ma non avresti dovuto permetterglielo!
– E con che autorità potevo impedirglielo? – obiettò lei, calmissima – Nemmeno tu ci sei riuscito, ricordi?
– Ma io non sapevo che aspettasse un bambino… l’avessi saputo, io…
Lei scosse la testa, guardandolo con commiserazione: – Actarus, quando mai Maria ha ascoltato qualcuno?
Vero… Maria aveva sempre fatto di testa sua, il matrimonio con Zuril era stata appunto una delle sue alzate d’ingegno. Meno male che poi era riuscito bene… e ora c’era un piccolo in arrivo…
– Sembri sorpreso – osservò Venusia.
– In effetti… è mia sorella, l’ho sempre considerata poco più che una bambina, io… hm…
– Invece la bambina è cresciuta, caro, ed è felicemente sposata. Con queste premesse, che Maria aspetti un bimbo è una cosa che non dovrebbe sorprendere. Sarà bello diventare zii.
Aveva ragione, naturalmente… lei aveva il dono di fargli apparire le cose nella giusta luce.
– È vero, sarà bellissimo, zia Venusia – rispose.


– Sei contento che sia un maschietto? – chiese Maria, allungandosi pigramente contro il suo fianco.
Zuril, che stava giocherellando distrattamente con una ciocca dei capelli castani di lei, riemerse dai suoi pensieri: – Certo che sono contento!
– Hai già avuto due ragazzi, magari avresti preferito una bambina – osservò sua moglie, rimanendo sorpresa, e un po’ seccata, vedendolo scoppiare a ridere: – Cos’ho detto di così ridicolo?
– Proprio niente, non sto ridendo di te – rispose lui, faticando a tornare serio – Il fatto è che quando ti ho sposata, pensavo… beh, ti vedevo come una ragazzina, e mi chiedevo se dopo aver avuto dei maschi sarei riuscito ad essere un buon padre anche per una femmina… avevo capito proprio tutto, ti pare?
Risero insieme; poi lui parve incupirsi: – Quando hai saputo di aspettare il bambino?
– Ti ricordi quando non sono venuta con te alle serre?
– Ricordo, eccome. Per me, quella è una giornata indimenticabile.
– T’ho detto che mi sentivo stanca, ed era vero. Ma in realtà avevo anche un po’ di nausea. Allora credevo davvero che fosse un malessere passeggero, ma subito dopo ho capito che non era esattamente così.
– Insomma – lui parlava con molta calma – quando sei venuta alla Fortezza, sapevi di essere incinta?
– Sì.
– E Rigr, lo sapeva?
– Ti pare che gliel’avrei detto? Non mi avrebbe permesso di venire, e tutto sommato mi sembra di essere stata utile. Lo so, sono pazza e incosciente – aggiunse, mettendogli un dito sulle labbra – questo lo dico io prima che tu sbotti qualcosa di cui poi ti pentiresti sicuramente. Ma non lo capisci che sapevo che non sarebbe successo niente?
Lo sapeva… ancora quei poteri ESP… esasperato, le prese una ciocca di capelli e gliela girò attorno al collo: – Credo che dovrei strozzarti.
– Faresti questo alla madre di tuo figlio? – esclamò lei, prontissima.
Zuril non resistette, scoppiarono a ridere entrambi: – E va bene, ne riparleremo quando sarà nato. Ma cerca di non allungare troppo la lista dei conti che dovremo regolare tra nove mesi, d’accordo?
– Farò la brava bambina, promesso – rispose lei, angelica.
– Adesso mi sento proprio tranquillo – brontolò Zuril.


Gli Uru furono i primi ad andarsene. Zuril e Maria tentarono di trattenerli ancora un poco ma furono irremovibili, dovevano tornare al loro mondo; se da un lato lei ne fu dispiaciuta, dall’altro provava sollievo. Dentro di sé aveva un certo timore all’idea di ritrovarsi da sola con Rigr; fino ad allora la presenza degli altri l’aveva impedito, ma… beh, indubbiamente un giorno le avrebbe fatto piacere incontrarlo ancora. Ma non adesso.
La più dispiaciuta fu Venusia: in quel poco tempo aveva stretto una forte amicizia con Yai, che per lei era stato un insegnante paterno e gentile. Salutarlo le diede una gran pena… ma allo stesso tempo sapeva che si sarebbero rivisti presto, su Fleed. Si strinsero le mani con calore e lei s’alzò in punta di piedi per scoccargli un bacio sulla guancia pelosa.
È legge di Natura che se qualcosa deve accadere, accada: per quanto Maria si fosse sforzata di evitare qualunque occasione di incontro, al momento della partenza quasi andò a sbattere proprio in Rigr. Gli altri si erano già avviati tutti verso la pista di parcheggio, lei si era attardata e… stupida, stupida! Assunse un’aria molto indifferente, mentre camminava al suo fianco giù per il giardino. Bisognava prendere un viale tra le siepi per giungere allo spiazzo destinato al loro parcheggio privato. La navetta che un tempo era stata di Holdh era là, debitamente ripulita e disinfettata, pronta per riportare i tre Uru su Upuaut.
Rigr camminava in silenzio; erano ormai nel viale di siepi e Maria stava quasi respirando di sollievo, quando lui si fermò e tese un braccio davanti a lei impedendole di proseguire. Gli altri erano a breve distanza, ma i cespugli li nascondevano alla loro vista.
– Ho sentito che avrai un bambino – disse Rigr.
Lei abbassò gli occhi, mentre un lieve rossore le saliva alle guance: – Le notizie corrono, a quanto pare.
– Galoppano – Rigr tese una mano, le passò le dita sul viso in una carezza lieve e lei alzò gli occhi a guardarlo, stupita – Un bambino. Avrebbe potuto essere un cucciolo.
Maria sussultò ma non si tirò indietro, non ebbe paura: ormai conosceva Rigr, era cosciente di quanto potesse essere letale ma sapeva anche quanto fosse d’animo retto, e non lo temeva più.
– Ti prego – mormorò – non dire cose che possono solo fare male.
– Fare male… a te?
Lei scosse il capo, sempre sostenendo il suo sguardo. Per qualche istante Rigr rimase in silenzio, il viso tirato e le dita che continuavano a sfiorarle il mento e la gola, là dove un tempo l’aveva graffiata con i suoi artigli; poi si tirò indietro, drizzò la testa e i suoi occhi ebbero lo scintillio di sempre.
– Stammi bene, regina Maria. – fece l’atto di allontanarsi, e lei provò una fitta di dolore: le sembrava così solo, così…
– Rigr, io… mi dispiace – le parole le sfuggirono d’impulso.
Lui si voltò a metà, guardandola da sopra la spalla: – Di cosa, ti dispiace?
– Di tutto… io… voglio dire, in tutto quello che è successo tu non hai avuto che… – “dolore”, avrebbe voluto aggiungere, ma la parola le morì sulle labbra.
Rigr comunque comprese, e scosse il capo: – Non direi proprio.
Maria lo guardò, interrogativa.
– Posso garantirti – continuò lentamente lui, mentre gli si dipingeva sul viso l’espressione soddisfatta del predatore che ha fatto buona caccia – che ho avuto anch’io le mie soddisfazioni.
Gli tornarono in mente un paio di espressioni di Holdh… impagabili… e come avesse urlato e supplicato, e poi ripensò a tante altre cose che era decisamente meglio che Maria ignorasse.
Abbassò lo sguardo su di lei: dubitava che sarebbe stata così tranquilla davanti a lui, se avesse saputo… no, meglio così.
– Va tutto bene. Te l’assicuro – affermò.
Poi drizzò orgogliosamente la testa e s’allontanò con passo deciso, senza più voltarsi indietro.


Nonostante non fosse stato presente a quel breve colloquio con Rigr, Zuril doveva aver percepito qualcosa, perché per il resto della giornata le parve strano, differente. Maria prese a chiedersi se non avesse pure lui qualche potere ESP.
– Continuo a pensare che se tu avessi voluto tornare libera… – borbottò Zuril quella sera, quando furono finalmente soli nella loro camera.
Maria lo guardò, quel suo marito che parlava in tono tanto ragionevole per nascondere un’agitazione che lei percepiva perfettamente… quel suo marito così corretto da non volerla far sentire vincolata, e che proprio per quel suo volerla lasciar libera l’aveva legata indissolubilmente a sé… e sentì d’amarlo come non mai.
– Invece ho preferito rimanere con te, brontolone – gli mise le braccia attorno al collo e gli sorrise.
Lui parve finalmente rasserenarsi; rimase serissimo, di quella serietà di cui sono capaci solo le persone dotate di grande senso dell’umorismo: – Immagino che adesso dovrò provarti che hai fatto bene a restare.
– Bravo, hai vinto il primo premio – lei si alzò in punta dei piedi e lui diede il via alla sua dimostrazione baciandola.
Un po’ di tempo dopo, il bambino ebbe ancora motivo di essere molto felice.


Il giorno successivo partirono anche gli ospiti di Fleed.
Salutarsi fu difficile, ma non troppo: presto si sarebbero di nuovo incontrati, e questa volta per un’occasione gioiosa.
Zuril strinse la mano ad Actarus: – Grazie.
Actarus contraccambiò la stretta: non rispose, guardandosi si erano già detti tutto. Un tempo avrebbe ritenuto impossibile una simile intesa con un uomo di Vega… come ci si sbaglia, a volte. Poi abbracciò forte sua sorella: anche se separarsi da lei gli era sempre penoso, almeno adesso non sarebbe più rimasto da solo, su Fleed.
– Ci rivedremo presto – gli sussurrò Maria.
– Presto – confermò. Gettò uno sguardo a Zuril, che era rimasto discretamente un passo indietro: un tempo aveva provato una vera angoscia lasciandola sola con lui, ora… beh, le cose erano davvero cambiate. Indubbiamente Maria era felice, e lui lo era altrettanto per lei.
Mentre Procton, Rigel e Mizar si dirigevano verso la nave fleediana che li avrebbe condotti su quel mondo che sarebbe divenuto la loro nuova casa, Actarus e Venusia con un ultimo cenno di saluto a Zuril e Maria salirono su Goldrake, che pochi istanti dopo s’innalzò silenziosamente in cielo. Venusia continuò a guardare in giù: voleva vedere fino all’ultimo Zuril e Maria, che ormai sembravano minuscoli… due puntini vicinissimi tra loro contro il fondo rossiccio della pista in terra battuta… poi più nulla. Venusia si asciugò rapidamente le lacrime.
– Ti è andata un po’ di polvere negli occhi? – chiese Actarus, che non aveva perso quel gesto nonostante stesse guidando Goldrake.
– Sto piangendo – mentire non aveva senso.
– Cosa c’è che non va? – si preoccupò subito lui. Era pentita della sua scelta, forse…?
– Non c’è niente che non vada! – rise Venusia – Va tutto come meglio non potrebbe!
Un tempo Actarus non avrebbe capito proprio: per lui, piangere aveva sempre significato solo dolore… era stata lei ad insegnargli che non sempre era così. Già, ma lei gli aveva insegnato un’infinità di cose… a parlare, ad esempio. Prima di conoscerla, lui aveva comunicato, al limite chiacchierato, ma veramente parlato, mai. Ma Venusia era speciale, questo l’aveva sempre saputo.
– Sarà bello tornare su Fleed – disse lui – In pratica, non hai ancora visto nulla.
– Sono sicura che mi farai conoscere tutto – sorrise lei.
– Non aspettarti troppo. Sai che t’ho avvertita che c’è molto, moltissimo da fare…
– Vuoi dire che saremo sempre indaffarati? – Venusia si protese in avanti sul suo seggiolino, gli mise le braccia attorno al collo: – Che ne dici? Pensi che tra un impegno e l’altro riusciremo finalmente a sposarci?
Lui sembrava serio, ma gli occhi blu sorridevano: – Abbiamo rovesciato un tiranno, abbiamo scatenato una rivoluzione, abbiamo scongiurato una guerra interplanetaria, abbiamo persino visto nascere la prima bambina di Vega… con un po’ di fortuna, sì, vedrai che riusciremo anche a celebrare questo matrimonio.





FINE




Link in cui affamandarmi visto che non c'è stato il matrimonio tra Actarus e Venusia (e vi pare che mi gioco tutte le carte? :lol:) #entry560668908
 
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Ripesco Shiro, tanto caro al mio cuore ( :face15.gif: , notare il coltello dietro la schiena, please).

Racconto in tre puntate, protagonista il lacrimevole fanciullo.


TRAGICHE VACANZE


CHE COSA? – ululò Alcor.
– Ho detto – rispose Tetsuya, calmissimo, a cavallo della sua motocicletta – che ti ho portato Shiro, che passerà qui con te i prossimi quindici giorni.
Alcor fissò il fratello con autentico orrore: non era possibile, non poteva fargli una carognata simile… quindici giorni di vita in comune con quella piattola di suo fratello Shiro? Non aveva commesso nulla che giustificasse un simile castigo!
– Ciao, Alcor! – esclamò una vocina.
Solo allora il giovane s’accorse che dietro la schiena di Tetsuya stava spuntando proprio Shiro, con la sua faccetta, la sua vocetta e le sue mossette… Shiro, con al seguito una sacca con i vestiti e i libri per i compiti… Shiro venuto a stare con lui… Alcor ebbe un capogiro.
– Ma cosa…?
– Semplice – rispose Tetsuya – Io vivo con nostro fratello per trecentocinquanta giorni all’anno. Mi pare giusto che per gli altri quindici sia tu a godere della sua compagnia.
– Non sei contento, Alcor? – esclamò il ragazzino – Vengo a passare le vacanze da te!
Alcor si sentì soffocare e gli mancarono le parole; fu un bene, perché sicuramente quel che avrebbe potuto dire non sarebbe stato consono ad un bravo fratello maggiore.
Tetsuya nemmeno scese dalla motocicletta; tese una mano a Shiro per farlo smontare e gli allungò la sacca dei vestiti: – Ricordati di lavarti i denti, di fare i compiti, di prendere il ricostituente…
– Ma fa schifo!
– …e di lavarti dietro alle orecchie, quando fai la doccia. Guarda che ti controllerò, quando verrò a prenderti.
– Uff! Va bene…
– Un momento – intervenne Alcor – Un momento. Io non ne sapevo nulla; potrei avere qualche problema per…
– Non sei contento di avermi con te? – la voce di Shiro virò pericolosamente verso il frigno e Alcor ebbe uno spasimo allo stomaco: perché era notorio che i piagnistei di suo fratello avessero un inizio, ma non si poteva mai essere sicuri che avrebbero avuto anche una fine.
– Shiro, ti ricordi cosa mi avevi promesso? – disse severamente Tetsuya.
– Di non piagnucolare. Va bene – rispose il ragazzino.
– Adesso vai in casa a disfare la tua sacca, noialtri dobbiamo parlare – continuò Tetsuya, e Shiro scomparve all’interno dell’alloggio di Alcor, lasciando i suoi fratelli a fronteggiarsi nel cortile.
– Senti un po’, cos’è questa storia? – esplose Alcor non appena fu sicuro che le orecchie di Shiro, e soprattutto il suo impianto fonatorio, fossero fuori portata – Io non ne sapevo nulla, avevo progettato di farmi una vacanza con Mar… ehm, volevo prendermi qualche giorno di relax. Avresti dovuto avvertirmi!
– Come l’anno scorso, quando ho provato a telefonarti per chiederti se potevi tenere per un poco nostro fratello? – chiese dolcemente Tetsuya.
– Oh… ah, sì, ecco, l’anno scorso, se ricordi, avevo il cellulare che non funzionava bene…
– Ricordo. Non prendeva il segnale, e non trovavi mai tutti i messaggi che ti lasciavo in segreteria... senza contare il fatto che non ricevevi nemmeno i miei SMS.
– T’ho detto che il mio telefono non funzionava bene – mormorò in fretta Alcor.
– Me ne sono accorto. L’anno scorso poi non ti funzionava neanche la posta elettronica, tant’è vero che non hai nemmeno risposto a tutte le mails che ti ho inviato.
– È stata colpa di un virus, che non ha…
– Lo so – rispose Tetsuya, la voce che ad ogni parola sembrava aumentare il suo tasso di glucosio – Non te ne faccio una colpa… tantopiù che eri molto impegnato. Ogni volta che ho provato a cercarti al laboratorio del dottor Procton, mi veniva detto che eri sempre in missione.
Alcor ebbe la netta sensazione che il colletto gli stringesse un po’ troppo la gola: – In effetti…
– Se ricordi, è andata a finire che Shiro, come al solito, ce lo siamo tenuti Jun ed io. Una gioia che non puoi nemmeno immaginare.
– Capisco…
– Mi fa piacere che tu comprenda. Adesso capirai anche perché io quest’anno invece di usare mail o telefonate ti abbia inviato una tradizionalissima lettera…
– Non l’ho ricevuta! – esclamò Alcor, il tono convinto di chi sta finalmente dicendo la verità.
– Lo so – Tetsuya si frugò in tasca – perché non te l’ho spedita. Le poste sono così inaffidabili, so per certo che non sarebbe arrivata… e così, eccotela! – gli cacciò in mano una busta chiusa, affrancata ed indirizzata indubbiamente a lui – Leggila, lì ti ho spiegato tutto – e avviò la motocicletta.
– Un momento, io non…
– Scusa, Alcor, ma devo proprio andare. Tra l’altro è inutile che provi a chiamarmi, perché parto immediatamente per l’estero: il tempo di prendere Jun, e dobbiamo correre in aeroporto.
– In aeroporto? – Alcor si sentì come se avesse ricevuto un diretto in pieno fegato: dunque, Shiro sarebbe davvero rimasto con lui per i successivi quindici giorni? – Ma non puoi andartene! E se io avessi bisogno di…
– Sono sicuro che saprai cavartela egregiamente – Tetsuya fece voltare la moto.
– Un momento! Metti caso che succedesse qualcosa… insomma, dove andate? Dove posso cercarvi?
– In Irlanda, Jun vuole che miglioriamo l’inglese – rispose prontissimo Tetsuya, che aveva in tasca i biglietti per un’incantevole isoletta nell’Egeo; e sparì in una nuvola di polvere che fece tossire e lacrimare il suo affezionato congiunto.
Quindici giorni di Shiro, quando aveva preventivato una fuga romantica con Maria… porc…!
Si riprese, dicendosi che in fondo non aveva ancora detto nulla a Maria per farle una sorpresa, e che quindici giorni sono solo quindici giorni… avrebbe rimandato la fuga, in fondo aveva ben un mese di ferie davanti a sé… però che rabbia! Quel dannato Tetsuya l’aveva fregato.
Stracciò la busta e lesse la lettera:
Mi sono dimenticato di dirti che siccome l’anno scorso disgraziatamente Shiro non è potuto restare con te, è giusto che quest’anno tu recuperi il tempo perduto. Sono certo che sarai felice di goderti tuo fratello per un intero mese. Divertitevi.
Un termine invero gergale esplose dalla strozza di Alcor, che appallottolò il foglio, lo gettò a terra e lo sparò via con un calcio da bomber (sulla strada del ritorno Tetsuya stava dicendosi che ormai Alcor doveva aver letto la lettera, e stava ghignando perfidamente).
– Alcor…?
Il giovane si girò di scatto: di fronte a lui, grandi occhi colmi di lacrime e labbruzze frementi di pianto, stava Shiro.
– Va tutto bene, Shiro – cominciò il giovane, ma l’altro non si lasciò incantare.
– Tu non sei contento che io rimanga con te!
– Ehi, un momento, non è così… e poi, non piangere! Ricordi che avevi promesso a Tetsuya che non avresti frignato?
– No. Avevo promesso che non avrei frignato finché lui non fosse partito! – e diede il via a un pianto con i ragli.
Il primo di una lunga serie.


Non avendo altra scelta, Alcor si trovò costretto ad installare suo fratello in casa: gli preparò il divano letto del soggiorno (“Ma come? Non avrò una camera mia?”), gli assegnò una zona in un armadio per i vestiti (“Ma è pochissimo spazio!”) e gli fece sistemare in bagno il suo occorrente per la toilette (“Non c’è la doccia con idromassaggio?”).
La cena fu causa di nuovi problemi.
Alcor aveva in casa un paio di pizze congelate, ma erano senza prosciutto, e comunque non della marca che a parere di Shiro fosse l’unica commestibile. Alcor frugò nella dispensa: tonno in scatola, carne in gelatina? Orrore, cibi conservati… Tetsuya gli aveva inculcato i sani principi della corretta alimentazione, mai Shiro avrebbe acconsentito ad introdurre in corpo simili veleni. Un controllo in frigo: verdure varie, una zuppa? Shiro storse la bocca: col caldo che faceva, com’era possibile mangiare una minestra?
Finì come doveva finire, con Alcor che dovette andare a comprare hamburger grassi e patatine bisunte, e rimase a fissare il proprio salutistico fratellino ingozzarsi di calorie “tanto, Tetsuya non lo saprà mai”.
Il resto della serata trascorse tra bassi e bassi, con Shiro che frignò perché alla Tv non c’era niente d’interessante, e altrettanto poco interessanti erano i DVD del fratello. Alcor propose una partita a carte o a scacchi; finì con Shiro che tirò fuori dalla sacca una consolle, la collegò al televisore e impegnò il fratello in un’interminabile partita a base di idraulici baffuti che recuperavano stelle dorate saltellando tra pianeti coloratissimi e mostriciattoli. Una delizia.
Un volta spedito in branda il fratello, Alcor andò finalmente a letto pure lui: era furioso con Tetsuya (che in quel momento era assieme a Jun in volo verso le isole greche, avendo davanti a sé un mese intero di libertà) e soprattutto era furioso con sé stesso, che non riusciva ad accettare di doversi occupare del proprio fratellino.
Possibile che io sia così egoista? Shiro non è che un bambino, in fondo, e ha solo me… sì, ci sono anche Tetsuya e Jun, certo, ma loro sono solo fratelli adottivi. In realtà, il fratello VERO sono io.
Preso dal sacro amor fraterno, decise che avrebbe fatto di tutto perché le vacanze di Shiro fossero un momento speciale per entrambi.


- continua -

Link per scaraventarmi Shiro in testa: #entry563179929
 
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TRAGICHE VACANZE - 2

Il giorno dopo, un Alcor pieno di entusiasmo chiese a Shiro cos’avrebbe voluto fare in quella giornata; mugugni in risposta, la notte era stata tremenda, non era riuscito a dormire bene in quel letto nuovo.
Incoraggiante, Alcor provò ad insistere: il tempo era bellissimo, si sarebbe potuti andare allo zoo o in piscina. Cos’avrebbe preferito?
Andare al circo, fu la riposta.
Alcor fece notare che per vedere un circo era necessario appunto il medesimo, e non gli risultava che ci fossero circhi in zona.
Occhiata da triste orfanello: era dunque così complicato controllare su internet…?
Ovviamente il circo c’era, ed era pure un circo tra i migliori, di quelli che sarebbe davvero un peccato non andare a vedere; altrettanto ovviamente, aveva piantato il tendone in una affollatissima località balneare a un centinaio di chilometri di distanza.
Alcor fece subito notare i problemi che derivavano: la distanza, il traffico, che sarebbe stato imponente essendo un giorno festivo, il caldo…
– Tutte queste scuse… Dillo, che non vuoi portarmi al circo! – piagnucolò Shiro.
Fu così che tempo dopo Alcor si ritrovò a stringere convulsamente il volante, cercando di non pensare a quanto avrebbe invece voluto serrare il collo del fratellino: era incolonnato in autostrada, cinque ore per percorrere cento chilometri, con il sole che picchiava impietosamente sulle loro teste e Shiro che frignottava accanto a lui perché era stanco, era stufo, aveva caldo, aveva fame e aveva sete, e oltretutto da bere aveva solo una bottiglietta di acqua quando avrebbe voluto una coca.
Arrivarono al circo giusto in tempo per sentirsi dire che lo spettacolo del pomeriggio era già iniziato e quindi non era possibile entrare, e che i biglietti per quella sera erano tutti esauriti. A quel punto Alcor acchiappò il fratellino singhiozzante, comprò a un chiosco dei panini e delle bibite e si rimise subito in viaggio verso casa, sperando di non incocciare nella stessa colonna di macchine che gli aveva funestato l’andata… ma per fortuna così non fu, e infatti per il ritorno impiegarono solo tre ore e mezza. Con Shiro che piagnucolava che non gli piaceva il panino col salame e che non voleva la coca dato che avrebbe preferito un’aranciata.
Alcor batté furiosamente la testa contro il volante, ripetendosi non-devo-trucidare-mio-fratello, e così fu che una volta a casa il nervosismo accumulato, e pure un certo dolore alla fronte, gli fecero passare la notte in bianco.
Il giorno dopo, uno Shiro pieno d’entusiasmo chiese ad Alcor come avrebbero potuto impiegare quella bellissima giornata: l’altro, distrutto dopo il viaggio del giorno prima, era ridotto ad una specie di gelatina colante, e recarsi alle giostre o a un parco tematico era proprio l’ultima cosa che avrebbe voluto. Oltretutto, il giovane si sentiva particolarmente depresso dato che quella mattina Maria gli aveva inviato un SMS in cui gli annunciava di star per partire in vacanza assieme a Sayaka, meta una spiaggia fa-vo-lo-sa e presumibilmente popolata da fauna maschile piuttosto interessante.
Shiro però insistette: in una giornata simile non potevano restare in casa. Finirono per accordarsi per andare a pescare al fiume, attività rilassante e poco impegnativa; naturalmente successe che, troppo stanco per tenere gli occhi aperti, il giovane s’appisolò scivolando a faccia in avanti in acqua. Fu necessario tornare a casa perché l’infelice si cambiasse i vestiti zuppi, e naturalmente Shiro non fece altro che frignare perché la giornata era stata irrimediabilmente rovinata.
Il mattino successivo ci fu un temporale, e per tutta la giornata Alcor fu deliziato dai lamenti del fratello che avrebbe tanto voluto andare a nuotare in piscina, ma ohimè…
Provò allora a convincere Shiro a smettere di piangere: non aveva senso farlo, visto che non poteva certo influire sul tempo… “Vuoi togliermi anche questo sfogo?”, gli chiese l’infelice, aumentando i singulti. Quando Alcor, esasperato da quel continuo piagnucolio, gli disse piuttosto seccamente di piantarla, il tristo fanciullo sembrò allungare il viso verso il basso: nemmeno lamentarsi della propria maligna sorte gli era concesso… che fratello crudele gli era toccato …
Adesso comincio a capire come mai Tetsuya sia dotato di nervi d’acciaio, si disse Alcor, che stava trattenendosi a fatica da far scempio del nefasto infante (a mezzo mondo di distanza, l’uomo dai nervi d’acciaio e la sua bellissima compagna stavano festeggiando la ritrovata libertà nuotando, e pure facendo anche qualcos’altro, nelle acque cristalline di una baia solitaria).


Reduce da un’intera giornata di piagnucolii e lamentosi lai, il giorno dopo Alcor piombò come una furia all’Osservatorio.
– Professore, dovete aiutarmi o giuro che lo massacro! – esordì, tanto per non lasciar adito a dubbi.
– Via, è solo un bambino – disse Procton, indulgente.
– Macché bambino! È insopportabile! – urlò Alcor, le mani scosse da un tremito convulso – Professore, io ho affrontato i mostri del Dottor Hell prima e quelli di Vega poi; ma mio fratello è davvero troppo. Non ce la faccio più!
Il professore scambiò un’occhiata con Actarus: – Vedo che sei davvero stanco. Va bene, facciamo così: domani porti Shiro al laboratorio e intanto ti riposi un poco, va bene?
– Non preoccuparti per tuo fratello – aggiunse Actarus – vedrai che penseremo noi a lui.
– Vi ringrazio – disse Alcor – ma devo avvertirvi che lo state sottovalutando: non è semplicemente un bambino, è una peste insopportabile! Non fa che piangere e piangere!
Altra occhiata indulgente tra Actarus e il professore: Alcor era davvero esaurito, poverino.
– Non preoccuparti, ci penseremo noi – concluse il giovane – Tu, bada a riposarti.


Il giorno dopo, un Alcor nervosissimo depose Shiro davanti al laboratorio e ripartì sgommando sulla sua motocicletta; il bimbo venne subito accolto amichevolmente da Procton, che si dispose a fargli visitare l’osservatorio rimanendo compiaciuto nel vedere come il piccolo sembrasse interessarsi a tutto formulando domande intelligenti. Altro che peste insopportabile! Alcor doveva essere davvero stanco, poveretto.
Anche i tre collaboratori di Procton furono molto gentili con Shiro: tutti e tre amavano profondamente i bambini. Saeki e Hayashi lo fecero ridere, Yamada rispose pazientemente ad ogni sua domanda, tutto sembrava andare nel migliore dei modi.
L’allarme suonò all’improvviso: un mostro di Vega era apparso sugli schermi. Actarus doveva entrare in azione, e subito.
Il giovane si precipitò nel corridoio che portava allo sportello da cui avrebbe dovuto saltare per raggiungere la monorotaia che portava a Goldrake; corse e corse puntando verso lo sportello, una figuretta s’interpose all’improvviso e Actarus inciampò e cadde a faccia in avanti, spatafasciandosi contro la parete.
– Mi hai fatto male! – frignò Shiro, che da sempre aveva il dono di cacciarsi tra i piedi di chiunque in qualunque momento.
– Togliti di meffo! – Actarus si risistemò in qualche maniera gli incisivi, che sembravano dell’idea di traslocare dai consueti alloggiamenti.
– Actarus, il mostro sta devastando Tokio! Devi muoverti! – gridò nell’interfono la voce di Procton.
– Fto andando! – e il giovane finalmente si buttò giù dallo sportello, verso la monorotaia che eccetera.
– Ma cos’ha detto? – chiese Procton, perplesso.
– Ha detto “sto andando” – disse Hayashi.
– Non è esatto – intervenne Yamada, che amava essere preciso – Non ha detto “sto”. Ha detto “fto”.
In quel momento la porta si aprì e Shiro fece la sua piagnucolosa comparsa: – Actarus è cattivo, mi ha fatto cadere, e mi ha pure rimproverato.
– Rimproverato? – si stupì Procton.
– Mi ha detto “raffa di ftupido” – Shiro smise di piagnucolare per riflettere meglio: – A proposito, ma parla sempre così male?
– No, ha sempre avuto una dizione chiarissima – rispose il professore, venendo colto però da un’idea spaventosa. Guardò in viso i suoi assistenti e comprese che stavano avendo lo stesso orrido pensiero che l’aveva gelato.
Oh-oh…


Non molto tempo dopo, il professore ebbe occasione di dover trattenere il figlio che avrebbe voluto mettere le mani addosso a Shiro (“Io lo ammaffo!”). Del resto, un certo nervosismo era comprensibile: a causa degli incisivi molli la dizione di Actarus aveva sofferto parecchio, e gli ordini vocali erano risultati molto meno efficaci del solito. Sta di fatto che mentre il giovane si era sgolato urlando “Alabarda fpafiale!” e “Miffili perforanti!” Goldrake non aveva recepito gli ordini, e il mostro di Vega ne aveva approfittato per suonargliele, e con gli interessi. Cosa che adesso l’irato Actarus avrebbe voluto fare con Shiro.
– Rifletti, non è che un bambino! – tentò di rabbonirlo Procton, mentre al sicuro dietro le sue spalle Shiro singhiozzava disperatamente.
– Macchè bambino, è un moftriciattolo impiccione! Una fculacciata non gliela leva neffuno!
Procton faticò non poco per riportare l’infuriato giovane alla calma e compostezza consuete; alla fine, dopo che Actarus se ne fu andato sbattendo la porta (“Tenetemi lontano quella pefte o giuro che lo ftroffo!”), il professore e i suoi assistenti si guardarono in faccia: in fondo, Shiro non era che un bambino… un po’ frignosetto e noiosino, certo, ma che male avrebbe potuto fare?

- continua -

Link per uccidermi a colpi di Shiro: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2040#lastpost
 
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TRAGICHE VACANZE- 3

Il giorno dopo, Actarus non volle saperne di farsi vedere al laboratorio, anche perché era andato a farsi rimettere a posto gli incisivi da un buon dentista. Furono Saeki ed Hayashi ad occuparsi di Shiro, compito che avrebbero eseguito volentieri dato il loro grande amore per i bambini.
Quella sera, come fu e come non fu Saeki prese una settimana di ferie e se ne andò sbattendo la porta, e Hayashi dichiarò che se l’indomani avesse incontrato Shiro, l’avrebbe trucidato seduta stante.
Procton sospirò: ad occuparsi del piccino sarebbe stato Yamada, sempre calmo, controllatissimo e dotato di sovrumana pazienza.
Due giorni dopo, mentre era occupato a trattenere il generalmente calmissimo Yamada, che bava alla bocca e occhiali allucinati stava cercando di ghermire il piagnucolante Shiro (“Io lo uccido!!!”), Procton comprese che era ora che lo sconsiderato fanciullo venisse allontanato al più presto dal laboratorio… tantopiù che lui stesso ormai sentiva di non poter più contare nemmeno sul proprio self-control. Sapeva che prima o poi non avrebbe più potuto trattenersi e gli avrebbe appioppato sul muso un buon paio di sberle.
Di riconsegnare il frugoletto al fratello non era il caso di parlarne: al solo sentir ventilare l’ipotesi, Alcor lanciò un urlo viscerale da martire in agonia. E pensare che mancavano quasi tre settimane al rientro di Tetsuya…!
La soluzione c’era, ovvia ed evidente: Shiro sarebbe andato alla fattoria di Rigel. Venusia aveva la pazienza di una santa, Rigel era strambo ma amava i ragazzi e poi c’era Mizar, coetaneo di Shiro: sicuramente avrebbero trovato modo di giocare tra di loro. Pieno di rosei pensieri, il mattino dopo Procton scaricò il fanciullo alla fattoria, allontanandosi subito (“Scusate, ho tanto lavoro”).
Come previsto, Mizar fu più che felice d’aver un nuovo compagno di giochi: da quel ragazzino meraviglioso che era cominciò subito a portare Shiro in giro per la fattoria, mostrandogli gli animali, le caprette, i conigli, le mucche, i cavalli… ovviamente Shiro come sempre fu sé stesso, col risultato che nell’arco della mattinata fu incornato da una capretta, si fece azzannare un dito dal più pacifico dei coniglietti e dovette correre a perdifiato per seminare una mucca che aveva puntato il fondo dei suoi pantaloncini. Quando fu la volta di vedere i cavalli, la faccenda si fece seria: Shiro s’era intestardito di montare Diablo, un morello piuttosto nervosetto che solo Actarus era riuscito a cavalcare (e Diablo, adocchiato Shiro, e soprattutto udita la vocetta querula con cui chiedeva di montarlo, aveva preso ad azzannare una traversa dello steccato, l’occhio bieco).
Mizar tentò di dissuaderlo: Diablo era davvero uno stallone selvaggio, qualunque altro cavallo sarebbe stato più adatto. Erano tutti talmente tranquilli e ben addestrati… ma Shiro s’impuntò, frignò, pestò i piedi. Fu convocato Rigel, che appoggiò subito il figlio: che Shiro scegliesse un qualsiasi altro cavallo, ma Diablo proprio no.
– Ce l’avete tutti con me! – fu l’ululato di Shiro, che riprese a versare fiumi di lacrime sul suo triste destino di fanciullo privo di cavallo.
Actarus, che poco più in là stava spalando il letame, venne convocato a sua volta: naturalmente, non era proprio il caso che Shiro cavalcasse Diablo, no?
Reduce dalla visita dal dentista, e col portafogli notevolmente alleggerito, Actarus nutriva nei confronti di Shiro pensieri ben poco benevoli: – Se proprio ci tiene a rompersi l’osso del collo, che faccia pure.
Così fu che un giubilante Shiro provò a montare in sella a Diablo, venendone sbalzato esattamente tre decimi di secondi dopo; e mentre il cavallo se ne andava via sgroppando furiosamente, il fanciullo strillava a pieni polmoni di essere ferito, ferito grave, sicuramente stava morendo.
Venusia accorse, portò in casa l’infortunato e gli applicò una borsa del ghiaccio sulla zona offesa, mentre Shiro frignava un po’ per il male e parecchio perché avere dei lividi in pieno retrosud è doloroso, certo, ma assai poco dignitoso. Se solo Tetsuya l’avesse saputo, chissà quanto l’avrebbe preso in giro…!
– Sta’ tranquillo, non glielo diremo – lo rassicurò Venusia.
– Ma glielo dirà Alcor, lo so! – frignò Shiro – Non gli sembrerà vero di prendermi in giro…
– Non lo diremo nemmeno a lui, va bene?
– Vuoi scherzare? – esclamò Shiro, guardando Venusia come si guarda chi l’ha appena sparata enorme – È mio fratello! Devo dirglielo!
– Allora, non lamentarti se…
– Ecco, adesso è colpa mia!
– Non ho detto questo…
– Ma lo stavi pensando! Oh, povero me… – gemiti.
Venusia uscì di corsa dalla stanza sbattendo la porta dietro di sé: per la prima volta in vita sua avrebbe fatto qualcosa che mai avrebbe pensato di dover fare. Puntò al mobile del salotto, si versò un bicchierino e lo tracannò d’un fiato. Incrociò gli occhi attoniti di padre, fratello e Actarus, e li fulminò con una sola occhiata: – Il primo che dice una sola parola…
I tre non aprirono nemmeno bocca. Mica scemi.
Il resto della giornata andò, se possibile, anche peggio. Per il pranzo, Shiro fu fatto accomodare su una sedia fornita di cuscino morbidissimo, ma questo non gl’impedì di frignare sulle proprie pietose condizioni fisiche. Anche il pasto non fu semplice: per quanto Venusia fosse un’eccellente cuoca, le polpettine di riso, il pesce, le verdure non incontrarono i gusti dell’ospite (“Ma una pizza con wurstel, patatine fritte, peperoni, salame piccante e doppio ketchup, no?”). Nemmeno il gelato come dessert parve rabbonirlo (“Non ci sono lo sciroppo di cioccolato e le praline da metterci sopra?”). Per tutto il pasto non fece che lamentarsi della crudeltà di Alcor e di Procton e dei suoi assistenti, incomprensibilmente severissimi con lui. Dopo pranzo, Mizar provò a proporgli di giocare (“Ma se non posso correre!”), ovviamente un gioco da tavolo (“Sono noiosissimi”), oppure avrebbero potuto guardare dei cartoni alla TV (“Quel programma fa schifo”), o forse un film in DVD? (“Li ho già visti al cinema e li conosco a memoria”).
Nemmeno l’arrivo di Banta e sua madre, venuti a prendere un tè a metà pomeriggio, bastò a dargli un minimo di buonumore: tempo mezz’ora, e Venusia e Rigel dovettero difenderlo dagli inferociti ospiti, che lasciati a sé stessi avrebbero sicuramente provveduto a gonfiarlo di sganassoni.
Mentre guardava gli irati vicini allontanarsi a gran carriera, e sentendo Shiro continuare il suo interminabile piagnucolio, Venusia cominciò a domandarsi se non avessero fatto male a trattenerli.
La sera andò anche peggio: Shiro dichiarò di sentirsi depresso dato che era stato abbandonato dai suoi fratelli, rei d’esserselo palleggiato l’un l’altro come una seccatura (e qui Rigel aprì la bocca per dire qualcosa e Venusia lo zittì con un potente calcio nello stinco).
Spesso, chi è giù di morale tende al silenzio: non Shiro, che la malinconia rendeva ancora più loquace e sospiroso, e stranamente quella sera tutti avvertirono l’esigenza di andare a letto prestissimo.
Il giorno seguente, Shiro apparve perfettamente riposato, e quindi nelle condizioni ideali per riprendere il piagnisteo testé interrotto; e la giornata trascorse, eterna, tra un sospiro e una lamentela.


– Non possiamo continuare così! – esclamò Venusia – Non lo sopporto!
– Stai esagerando – esclamò Rigel, indulgente – È solo un bambino…
– Papà, nemmeno io riesco a reggerlo – ammise Mizar.
– Va bene, è un bambino un po’ difficile…
– Non è difficile – tagliò corto Venusia – E insostenibile. È diverso.
– Beh, ma cosa ci vuole per occuparsi di lui? – esclamò Rigel.
– Io ne ho avuto abbastanza! – asserì Venusia.
– Io, non voglio nemmeno più sentirlo nominare! – dichiarò Mizar.
– Non guardare me – mise le mani avanti Actarus – Ho da dare il letame all’orto, devo ripulire la stalla, aggiustare lo steccato e spaccare la legna… e non vorrei proprio trovarmi quel marmocchio attorno, quando avrò in mano l’accetta – aggiunse, ripensando al conto del dentista.
– E va bene, ho capito! – esplose Rigel – Come al solito dovrò fare tutto io! Mi occuperò io di lui!


Portare Shiro al ruscello a pescare fu molto semplice.
Trattenersi dallo spaccargli la canna in testa e conficcargli gli ami nel fondoschiena fu un’impresa ai limiti del fantascientifico, ma Rigel, discendente d’una ferrea stirpe di samurai, superò eroicamente la prova.
Quando però Shiro lo seguì sulla torretta per avvistare gli UFO, e tra un lagno e un frigno gli fece cadere il telescopio a terra schiantandolo completamente, anche la forte tempra di samurai cedette, e Actarus fu costretto ad intervenire subito, prima che Rigel l’impiombasse con il suo schioppo.
A questo punto, la domanda era a dir poco ovvia: che ne avrebbero fatto di Shiro, dal momento che mancavano ancora più di quindici giorni al rientro di Tetsuya?
– Io avrei un’idea – disse Procton, che quando voleva sapeva essere davvero perfido.


Lo scatolone era piuttosto grande, avvolto in carta celeste chiaro e decorato da un enorme fiocco rosso.
– Per me? – trepidò il sire Yabarn, tiranno di Vega.
Rubina controllò il biglietto che l’accompagnava: – Certo, papà, è indirizzato a te, però…
– Magnifico! – Re Vega balzò in piedi fregandosi le mani. Adorava ricevere regali…
– Papà, non c’è scritto chi te lo ha inviato – lo bloccò la principessa.
– Sarà un ignoto ammiratore – e il sire tese le dita adunche verso il fiocco.
– Insomma, non sappiamo chi te lo mandi e perché! – tentò di farlo ragionare Rubina – Non mi risulta che tu abbia dei fans, e non è nemmeno il tuo compleanno! E poi ricordi cos’è successo l’altra volta, quando ti sono arrivate in dono quelle scarpe pestilenziali? Per me è un a trappola.
– Insomma, non appena ricevo un regalo, tu devi subito vedere problemi!
– Papà, non è che tu sia molto popolare: gli ultimi sondaggi ti davano tra la peste bubbonica e i pidocchi saltellanti di Orione. Trovo difficile che qualcuno ti mandi un dono. Io lo farei analizzare da Zuril, prima d’aprirlo.
Dando prova d’essere un tiranno straordinariamente accomodante, il sire acconsentì graziosamente alla richiesta della figlia (“Se proprio ci tieni, ma per me è una stupidaggine”). Zuril accorse, seguito dagli incuriositi Gandal e Hydargos, e subito il verdetto che emise fu nefasto: – Maestà, non solo io non aprirei questo pacco sospetto, ma ne ordinerei l’immediata distruzione.
– Una volta tanto siamo d’accordo – osservò Rubina, mentre il sovrano faceva il broncio.
– Ma perché? È solo un regalo per me, che pericoli volete che ci siano?
– Maestà, vi prego. A parte il fatto che non sappiamo chi sia stato ad inviarvelo, vi imploro di notare che questo scatolone presenta dei fori di areazione.
Gandal e Hydargos si scambiarono un’occhiata preoccupata: fori? Uh-uh…
– E allora? – chiese il sire, cocciuto.
Bene, si disse Zuril, è una di quelle giornata in cui fa i capricci, s’impunta e capisce ancora meno del solito.
Contò mentalmente fino a ventitré, imponendosi di spiegarsi con termini molto semplici: – Se sono stati praticati dei fori, vuol dire che all’interno della scatola si trova un qualche essere vivente che ha bisogno di respirare.
– Un animaletto per me? – giubilò il sire, che quando voleva sapeva essere incredibilmente ottuso – Magari è Dantus che mi manda una delle sue ultime creazioni! Apriamolo subito!
– Sire, non credo che sia il caso – disse Zuril, interponendosi tra le mani avide del sovrano e il pacco – Anzi, se lo aprirete declino fin d’ora ogni responsabilità per quel che vi potrà accadere.
– Odio dirlo, ma ha ragione – aggiunse Rubina.
– Declina quel che ti pare e levati di mezzo! – esclamò il sovrano.
– Allora, prima che compiate l’irreparabile vi informo che mi prendo a partire da ora tutte le ferie arretrate che ho accumulato – avvertì Zuril.
– Ma sì, prenditi le ferie, fai quel che ti pare ma levati finalmente dai…! – e qui, siamo spiacenti di doverlo riferire, il sovrano profferì una parola invero per nulla regale che fece sobbalzare la principessa: – Ma papà…!
Senza fare una piega, Zuril si fece da parte e guadagnò l’uscita: per quel che lo riguardava, da quel momento era in ferie. A giudicare dalle analisi che il suo computer oculare aveva compiuto sulla scatola, al momento dell’apertura sarebbe stato saggio da parte sua trovarsi piuttosto distante da lì.
Finalmente libero, Re Vega strappò via il nastro, spaccò la carta a grandi manate, gettò via il coperchio della scatola.
Gandal e Hydargos si fecero avanti, la curiosità l’aveva avuta vinta sul timore… anche Rubina non poté impedirsi di guardare…
– Ciao! – Shiro emerse dall’imballaggio – Vi ricordate di me?
Certo che se ne ricordavano… Hydargos lanciò un ululato selvaggio, mentre Gandal stramazzava a terra ridotto ad una specie di gelatina tremolante, nel pieno di una ricaduta della crisi isterico-depresso-convulsiva che l’aveva colto tempi addietro, quando avevano avuto la sconsiderata idea di usare il nefasto fanciullo come ostaggio.
Padre e figlia si guardarono in faccia, attoniti: ancora non avevano idea della pericolosità di ciò che avevano davanti, ma intuivano che presto, fin troppo presto, l’avrebbero saputo… il fatto poi che la notizia dell’arrivo di Shiro fosse già uscita da quella stanza, riportata dalle voci angosciate dei soldati, era stata un’ulteriore campanella d’allarme.
Shiro saltò fuori dallo scatolone, guardò Gandal che tremava convulsamente in un angolo, Hydargos che batteva furiosamente la fronte contro una parete, udì provenire dal corridoio il suono delle fucilate che annunciavano i primi suicidi preventivi dei soldati e si rigirò verso l’allibito sovrano: – Sono venuto qui a trascorrere le mie vacanze. Quindici giorni! Sei contento?


Un paio di giorni dopo, la regina Himika ebbe occasione di scartare un pacco piuttosto scalcagnato, chiuso da un nastro verde vegatron.
Successivamente, lo stesso pacco ri-incartato venne indirizzato all’Imperatore del Drago, che lo rigirò a Raflesia, che lo ammollò ad Harlock che lo riconsegnò a Venusia che lo restituì al legittimo proprietario, cioè Alcor.
Ma intanto, i quindici giorni erano passati e Tetsuya e Jun sarebbero finalmente tornati.


– Allora? – chiese Tetsuya a Shiro, mentre lo riportava a casa – Come hai passato le tue vacanze?
Shiro non ebbe esitazioni: – In giro.


FINE

Per lamentele visto che Shiro è sopravvissuto: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2055#lastpost
 
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view post Posted on 27/10/2014, 22:57     +1   -1
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Siccome non mi va di fare la cornacchia con le penne del pavone, dico subito che l'idea di questa storia non è mia: si tratta di un vecchissimo fumetto con protagonista Paperina. Solo che, quando dopo tanti anni mi è tornato in mente, ci ho visto Venusia. Buona lettura.


GRANDI SODDISFAZIONI


C’è solo una cosa più micidiale di una donna decisa a fare qualcosa: una donna decisa, e dotata di mezzi e possibilità di fare quel qualcosa.
Quando poi tutte queste condizioni sono presenti, qualunque uomo di buon senso sa che c’è un’unica cosa da fare: accettare di buon grado l’inevitabile.
Venusia era appunto in questo stato d’animo (piena di voglia di fare, con tanto tempo libero e una certa sommetta a sua disposizione da poter spendere), quando ebbe la ventura di ritrovarsi completamente sola per il fine settimana: Actarus avrebbe accompagnato Rigel a vedere certi cavalli e Mizar sarebbe andato con loro, mentre Alcor e Maria avrebbero trascorso il weekend a compiere una lunga gita in moto assieme a Tetsuya e Jun.
Lei era quindi libera, piena d’energia, con la casa sgombra e il portafogli pieno: era il momento ideale per fare finalmente quello che da tanto, troppo tempo aveva sognato… rivoluzionare il soggiorno, che da anni costituiva la spina nel suo fianco. Non ne poteva più di quei mobili maldisposti, delle tende logore, di quelle tappezzerie decrepite e che, corrispondendo ai gusti di Rigel, non erano propriamente una bellezza… basta, insomma.
Venusia esaminò il soggiorno: a parte l’enorme, pesantissima credenza di legno che dominava la stanza, e che nulla e nessuno avrebbe mai spostato dalla parete di fondo, restava il tavolo piazzato in mezzo, perché secondo Rigel un tavolo andava tenuto nel centro, e poco importava se il divano e le poltrone erano sistemati male… il sofà, poi, con la sua orrenda tappezzeria ruvida, a fondo bigiognolo e con dei rettangoli verdastri e rosa… ugh! E le orribili tende, grigiastre, lise e a cerchietti arancio e lilla…Vedeva da anni quell’orrore, e a dispetto di chi sostiene che a tutto ci si abitua, continuava a ritenerlo esteticamente offensivo.
Tolse le tende dalle finestre: erano talmente decrepite che praticamente le si sbriciolarono in mano.
Ottimo, si disse, gettandole senza il minimo rimpianto nella spazzatura (“Papà, volevo lavarle e si sono rotte. Che peccato”).
Aveva sperato per anni che il divano cedesse alle usure del tempo: non era successo, nemmeno gli scontri a cuscinate tra Alcor e Maria avevano fatto cedere quel mobile, solidissimo retaggio di tempi antichi, quando i sofà erano costruiti per durare in eterno.
Bene, se non si poteva cambiare il divano, si poteva però ricoprirlo.
Fu così che Venusia si ritrovò a guidare la jeep verso la città, in direzione di un grande magazzino di scampoli e biancheria per la casa.
Trattandosi di un negozio rifornitissimo, Venusia temette di dover trascorrere l’intero pomeriggio tra stoffe varie; le bastò entrare nel reparto tappezzerie per trovare subito quel che stava cercando.
Da un lato, le commesse avevano allestito un angolo di salotto: divano, poltrona, sedia… tutti foderati con coperture elastiche ed universali (“Si adattano a qualunque modello!”), facilmente sfoderabili, lavabili in lavatrice eccetera (Venusia mandò un pensiero all’enorme macchia di gelato al cioccolato che da anni campeggiava tra riquadri rosa e verdi). Il colore, poi, le piacque immensamente da subito: azzurro cielo, con un disegno di tre gabbiani bianchi stilizzati… bastava guardarlo per sentire l’aria fresca del mattino, il fruscio del mare.
C’era la possibilità di rivestire in azzurro divano e poltrone; per i cuscini e le sedie, un tono di blu più scuro, tinta unita. C’erano anche le tende coordinate, bianche e con ricamati i gabbiani in azzurro.
Venusia non ebbe esitazioni: poco dopo usciva dal magazzino con un’enorme borsa piena – e il portafogli considerevolmente vuoto.
Rientrò in casa portando i suoi tesori, e subito scoprì quello che fino ad allora si era sempre rifiutata di considerare: cioè lo stridore che si sarebbe creato tra le nuove tappezzerie azzurre e il vecchio color verdolino pistacchio delle pareti. Insopportabile, anche per un daltonico piuttosto miope.
Venusia era una donna dalle rapide decisioni. Si fiondò nella rimessa e trovò subito quel che stava cercando: rullo, vaschetta, pennelli, latte di vernice bianca… aveva acquistato tutto ancora l’anno prima, ma suo padre aveva sempre avuto motivi validissimi per non mettersi al lavoro.
L’ora successiva, Venusia la trascorse spostando tutto quel che si poteva spostare, spingendo i mobili in centro della stanza, pulendo l’orrore trovato sotto al divano (aspirapolvere, presto!), coprendo di giornali l’intero pavimento: un lavoraccio, ma poi avrebbe avuto finalmente una sala bella, ordinata e rinnovata… valeva bene la pena faticare un poco! Sai che soddisfazione, poi…!
Per sua fortuna aveva una certa pratica di lavori di pittura, per cui una volta preparata la stanza, messo lo scotch protettivo e coperto i mobili con vecchi teloni, il lavoro procedette speditamente. Doveva assolutamente dare la prima mano quella sera, per poter avere il tempo di dare le altre due entro l’indomani, in modo che le pareti fossero ben asciutte per la domenica. Dipinse e dipinse, e quando ebbe terminato era talmente stanca che stramazzò sul letto senza nemmeno cenare.
Il mattino dopo si svegliò piuttosto presto: era ancora indolenzita per la lavorata del giorno precedente, ma non poteva perdere tempo, doveva dare la seconda mano di bianco. Indossò gli abiti vecchi da lavoro, ingollò in fretta un tè e qualche biscotto e si rimise bravamente all’opera: il color pistacchio non avrebbe ceduto facilmente il campo, ma lei era ben decisa a seppellirlo sotto mani e mani di bianco. Impiegò un buon paio d’ore per ridipingere tutto; spalancò le finestre per favorire l’asciugatura delle pareti, fortunatamente il tempo era bello e la temperatura piuttosto calda… solo allora vide quel che sperava di non voler vedere.
Adesso che le pareti apparivano ridipinte di fresco, risultava evidente che anche gli infissi avessero necessità di una rinfrescata.
Per un attimo, Venusia considerò l’ipotesi di lasciar perdere, ma fu un attimo appunto: il suo bel soggiorno, nuovo e ridipinto di fresco… con gli infissi rovinati? Mai!
Altra spedizione in rimessa, da dove uscì con altri pennelli e la vernice incolore per il legno (Rigel era stato sempre troppo occupato anche per pensare agli infissi, naturalmente).
Trascorse le successive due ore rinfrescando finestre e persiane: fortunatamente la vernice vecchia non scrostava, per cui bastava darle solo una scartavetrata per poi ridipingere tutto. Una fatica… ma poi avrebbe avuto il suo bellissimo soggiorno nuovo. Sai che soddisfazione?
Una fitta spaventosa allo stomaco le ricordò che l’ora di pranzo era trascorsa da un pezzo: inghiottì un pezzo di pizza scongelata in microonde, e quindi della consistenza di un chewing-gum, dandosi poi a un nuovo tête a tête con il rullo e i pennelli.
Alla fine controllò il risultato: il bianco l’aveva avuta finalmente vinta sul pistacchio.
Si trascinò stancamente in cucina, mangiò qualche avanzo misto fresco di frigorifero e stramazzò ancora vestita sul letto.
Il giorno dopo si rialzò a fatica: sentiva muscoli e ossa dolerle, per cui fu contenta di scoprire che s’era addormentata ancora vestita. Meglio, non avrebbe dovuto faticare ad indossare gli abiti da lavoro.
Buttato giù tè e biscotti, andò a controllare il lavoro: la vernice era ormai asciutta, era tempo di riordinare tutto. Doveva far presto, prima che i suoi cari tornassero: avrebbero avuto una sorpresa…!
E lei, avrebbe avuto una grande soddisfazione.
Rimosse i teli, i giornali, lo scotch. Lavò i vetri. Pulì il pavimento.
Dispose poi i mobili come da tempo aveva deciso di fare: il tavolo e le sedie da una parte, vicino alla porta di cucina, e divano e poltrone verso le finestre, in modo da formare un grazioso angolo soggiorno.
Cominciò a ricoprire divano e poltrone, appese tende, sistemò sedie, dispose cuscini; fece appena in tempo a fare qualche passo indietro per ammirare il risultato, quando sentì una jeep fermarsi in cortile. Actarus, papà e Mizar erano tornati.
Sorrise: le pareva già di sentire i loro commenti… “Venusia, che meraviglia! Tutto da sola? Ma che brava!”
Sarebbe stata una soddisfazione grandissima…
Aprì la portafinestra del soggiorno e rivolse ad Actarus un cenno di saluto: lui le rivolse un gran sorriso, mentre Rigel e Mizar scaricavano i bagagli dalla jeep.
– Actarus! Vieni a vedere!
Obbediente, il giovane si fece subito avanti, e lei l’introdusse nel soggiorno, mentre sentiva batterle il cuore dall’emozione. Sarebbe stata una soddisfazione enorme.
Venusia allargò le braccia accennando al suo lavoro: la stanza immacolata, le finestre splendenti, le tendine fresche e leggere, le nuove tappezzerie azzurre e blu… – Allora? Che te ne pare?
Actarus guardò Venusia, la sua aria sfatta, i vestiti sporchi, i capelli spettinati, una macchia di bianco su una guancia… era un giovane abituato a dire quel che pensava, e così fece anche quella volta: – Ti trovo malissimo, Venusia. Ma da quanto è che non vai dall’estetista?
Venusia rimase per un attimo immobile a fissarlo.
Poi, fulminea, la sua mano corse a un grosso vaso da fiori di porcellana, vetusto ed orrendo, che da sempre stazionava sulla grande credenza…


Poco dopo, mentre gli fasciava la testa (ferita lacero-contusa – trauma cranico da impatto con vaso), Procton rivolse al figlio la domanda di rito: – Ma cos’hai detto da farla arrabbiare a quel modo?
– Non ne ho idea – rispose Actarus.
Ed era la verità.


Link per coprirmi di contumelie per l'infelice destino del povero bietolone: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2085#lastpost
 
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Prima di quattro puntate di un racconto un po'... beh... uh...
Insomma, la saga di ARF! continua.^^

Avvertimento: stavolta, la vittim... ehm, il protagonista, non è Actarus. Un po' per uno...


CURVE PERICOLOSE
Arf! 2 – la vendetta

Era stato già di per sé strano vedere il Ministro delle Scienze Zuril partire per le ferie: ligio al lavoro com’era, nessuno ricordava mai d’avergli sentito chiedere un permesso per riposo o per malattia. Qualcuno sosteneva addirittura che fosse divenuto un elemento inscindibile con la base Skarmoon.
Vederlo rientrare, fu un qualcosa che diede ad ognuno una gradevole impressione di ritorno alla normalità.
Accorgersi però che era accompagnato nientepopodimeno che da una sirenide medusiana, beh, questo lasciò tutti esterrefatti… per la precisione, la popolazione maschile dell’intera base Skarmoon più che esterrefatta rimase letteralmente, inevitabilmente e soprattutto ormonalmente sconvolta.
C’era un pensiero preciso che una sirenide medusiana poteva ispirare in un qualsiasi maschio di razza umana, e non era precisamente un carme sentimentale… la parola esatta era “sesso”. E infatti, bastò che lei entrasse col suo passo ancheggiante nella Sala Comando di Skarmoon per ottenere l’immediata estroflessione oculare da parte dei signori presenti: ben quattro paia d’occhi uscirono temporaneamente dai loro alloggiamenti consueti. I più erratici furono senz’altro quelli del sire di Vega.
– Arf!!! – fu tutto ciò che i vari uomini riuscirono ad articolare.
– Questa è Maluma – la presentò Zuril, evidentemente soddisfatto. Reazione normale. Perfetto.
Lei agitò morbidamente una mano in cenno di saluto: – Ciao a tutti.
Anche la voce, bassa e carezzevole, era tutto un inno a… beh, non certo alla spiritualità e alla trascendenza, diciamo pure che era il genere di voce che fa immediatamente sorgere peccaminosi pensieri.
– Vergognati! – sibilò per l’appunto lady Gandal al marito.
Maluma si fece avanti, morbida e sinuosa: ad ogni movimento sembrava che la sua aderentissima tuta bianca fosse sul punto di scoppiare, cosa questa che i vari uomini non mancarono d’augurarsi.
Sotto una vaporosa cascata di riccioli color rame il viso, bellissimo, era quello di una bambola. Aveva la pelle di porcellana bianca, guance rosee e labbra che sembravano ciliegie; gli occhi, immensi e d’un blu violaceo ai limiti dell’impossibile, erano frangiati da lunghissime ciglia, i cui palpiti erano altrettanti colpi al cuore, e a qualcos’altro, dei maschi presenti. Il corpo poi era strepitoso, tanto per usare un eufemismo: Tetsuya avrebbe detto che al suo confronto Jun sarebbe sembrata piatta ed incolore, Alcor avrebbe affermato che lei avesse più curve di una strada di montagna e i maschi di Vega non dissero altro che, appunto, arf! In quel momento non erano in grado di profferire alcunché di più concettoso – santo cielo, non che normalmente la loro conversazione raggiungesse livelli ben più elevati.
Silenzio attonito. Maluma da una parte, occupata ad aggiustarsi i riccioli, e quattro maschi adoranti, se così possiamo dire, dall’altra.
In mezzo, Zuril prese appunti nel suo computer oculare: reazione ancora una volta normale. Ottimo.
Le porte s’aprirono lasciando entrare la principessa Rubina, che scorgendo Zuril ebbe un fremito alle aristocratiche narici: – Oh, siete già tornato dalle ferie.
– Percepisco dal vostro brio quanto io vi sia mancato – rispose lui, rivolgendole un inchino.
– Sì, come un attacco di colite spastica siriana – sbuffò lei, notando solo allora la fascinosa curvilinea e i relativi maschi veneranti: – Chi è quella?
– È una… hm… signora che ho, diciamo conosciuto, durante le mie ferie. Si tratta di una sirenide medusiana, una specie di cui finora sapevamo molto poco e che presenta interessantissime caratteristiche…
– Posso intuirle – rispose Rubina, scagliando un’occhiata di fuoco all’élite maschile di Vega: occhi sbarrati e lingue penzolanti, sovrano e relativi accoliti erano intenti a fissare Maluma, che con molta nonchalance stava aggiustandosi l’acconciatura – Ma cos’ha quella là da renderli così imbecilli?
– È un’interessante caratteristica della specie delle sirenidi medusiane – s’affrettò a spiegare Zuril – si tratta dei loro feromoni, infinitamente più potenti di quelli di qualsiasi altra femmina di qualunque altra specie.
– Volete dire che quella… specie di animalessa… attira gli uomini molto più di quanto possa fare una donna?
– A quanto mi risulta, sì.
– Che schifo!
– Sarei io l’animalessa? – chiese Maluma, che non era ben sicura d’aver capito bene.
– Oh, è capace di parlare? – sbottò Rubina, guardando con sommo disprezzo Maluma e ricevendone in cambio l’occhiata di sufficienza della femmina fatale che si trova davanti la racchietta di turno.
– Sì, carina, so parlare – l’informò dolcemente Maluma – So anche fare molte altre cose…
– Me l’immagino!
Maluma si limitò a fare spallucce: qualunque comportamento provocatorio o aggressivo era totalmente contrario alla natura della sua specie che anzi tendeva a mostrarsi molto, fin troppo, amichevole con chiunque. Capiva che per qualche motivo la zitellina non la trovava molto simpatica, ma questo era un problema che non la riguardava; preferì voltarsi verso i suoi adoratori, gratificando il sire di Vega di una grattatina sotto alla barbaccia viola. Occhiate gelose da parte degli altri.
– Si può sapere perché avete portato qui quella… bestia? – sbottò seccamente Rubina.
Una ridacchiata: Maluma aveva lisciato la zucca a pera di Hydargos. Nuovi sguardi feroci.
– Perché intendo sfruttare le sue doti, ovviamente – rispose Zuril.
– Quali doti? Quello di rimbecillire tutti i maschi di Skarmoon?
Un “uuuuuhhhh!” colmo di goduria: Maluma stava grattando la schiena a Gandal.
– Ma sei impazzito? – esclamò lady Gandal, facendo una rapida quanto inopportuna comparsa – Di’ subito a quella svergognata di tenere giù le mani! Non sopporto che mi tocchi la mia schiena!
Gandal non mosse ciglio: tirò fuori di tasca il neutralizzatore neuronico istantaneo, quello che vari Natali prima Zuril gli aveva regalato. Un istante dopo lady Gandal scomparve, per non far più ritorno.
Impassibile, Maluma riprese la sua opera di grattamento.
– Ehi, non ci sei solo tu! – esclamò Hydargos.
– Aspetta il tuo turno – rispose Gandal – Un po’ più in alto… a sinistra… oooohhhh…
– Tocca a me, adesso! – sbottò Dantus.
– Ma io sono il Comandante Supremo, io…
– Sempre la solita storia! – brontolò Hydargos.
– Appunto. Io sono quello col grado più alto, per cui…
– E io cosa dovrei dire, allora? – esclamò Re Vega.
– È il solito prepotente! Non è giusto! – gridò Dantus.
Prudente, Maluma smise di grattare e si fece da parte, in attesa che i signori sistemassero le loro vertenze.
– Io sono di grado superiore al vostro! – s’inalberò Gandal – Prima io!
– Insomma, piantala! – esclamò rabbiosamente Hydargos, fiondandosi verso Maluma e le sue prorompenti curve – Tu sei sposato!
– Appunto! – e Gandal si tuffò in avanti afferrandolo alle ginocchia e gettandolo a terra, mentre poco più in là il sire di Vega si scontrava con Dantus.
– Sono il tuo sovrano, tocca a me per primo! – sgridazzò il sire.
– Verissimo, siete il mio sovrano ed io sono il vostro ministro della difesa – rispose Dantus fissando Maluma, ma non certo negli occhi – Come tale, devo accertarmi che quella donna non costituisca un pericolo per voi. Il primo sarò io.
– Non se ne parla! – e il sire lo scostò bruscamente, facendosi avanti.
– Sire! Lo faccio per voi! – Dantus gli si abbarbicò al mantello, trattenendolo – Io mi sacrifico per la vostra incolumità…!
Rubina guardò disgustata lo spettacolo offerto dall’élite di Vega: Gandal ed Hydargos si stavano ormai prendendo a cazzotti, Dantus stava pervicacemente placcando il suo sovrano… che schifo.
Più che un’orgia, la faccenda stava assumendo una pericolosa somiglianza con un incontro di rugby.
Più in là Maluma sedeva sul bordo del tavolo di riunione, le lunghissime gambe sensualmente accavallate, osservando con olimpica indifferenza i maschi che si scannavano per lei: – Che sciocchi. Non potrebbero semplicemente aspettare il loro turno?
– Co-cosa? – articolò Rubina – Il loro turno? Ma…
– Ma certo – rispose Maluma, che non poteva concepire il fatto che un maschio potesse pretendere l’esclusiva su di lei – Un po’ di pazienza, e prima o poi si è tutti accontentati.
– Eh già, basta mettersi in fila…! – esclamò Rubina, acida.
– Diciamo che le abitudini dei sirenidi medusiani sono un po’ diverse dalle nostre – spiegò Zuril, cercando accuratamente le parole per non offendere le delicate orecchie della principessa – La loro vita sociale è… come dire… differente.
– Intendete una sorta di ammucchiata continua? – chiese Rubina, che era un tipo spiccio e per nulla portata a scandalizzarsi.
– Il concetto è un po’ quello, in effetti.
– Che schifo!
– Beh, la cosa presenta diversi lati interessanti: i sirenidi medusiani ignorano totalmente certe emozioni cosiddette negative, come la gelosia e la possessività, e sono del tutto privi di aggressività…
– Ci credo, visto che hanno altre attività che li tengono occupati!
– Non troppo occupati – spiegò amabilmente Maluma – Solo quelle sei/sette volte al giorno… anche dieci/dodici… a meno che non sia una di quelle grandi giornate, in cui allora…
– Ti prego, risparmiami i particolari! – sbottò la principessa.
Un ululato: Hydargos aveva azzannato Gandal ad un polpaccio, ricevendone in cambio un calcio nelle gengive. Poco più in là Dantus quasi strozzò il suo sire nel tentativo di placcarlo, e il sovrano gli piantò un dito in un occhio. La lotta feroce continuava, tutti e quattro volevano assolutamente essere il primo, e pure l’unico, ad assaggiare quel meraviglioso bocconcino.
Zuril non batté ciglio. A dire il vero lui quel bocconcino se l’era abbondantemente pappato, diciamo pure che ne aveva fatto addirittura indigestione e che quindi ora ne era del tutto immune. Del resto, è notorio che l’unico modo per evitare di prendere una malattia sia vaccinarsi, no? Lui, prudente, aveva provveduto anzitempo.
– Che spettacolo disdicevole – commentò.
– A proposito – chiese Rubina – si può sapere perché quella… femmina… ha quell’effetto su tutti i maschi di Skarmoon eccetto voi?
– Totale autocontrollo e ferrea disciplina? – suggerì lui.
– Direi più verve da lumaca bollita, se mai – rispose la principessa – Ma dove avete trovato quella… cosa?
– Su un pianeta che ho visitato nel corso delle mie ferie – rispose Zuril, cercando d’inghiottire la faccenda della verve.
– Suppongo che saranno state ferie piuttosto impegnative! – sbottò Rubina.
Zuril assunse un’aria da santo martirizzando: – Cosa non si fa per amore della scienza…
– Lasciate perdere. Perché avete portato qui quell’animale, a parte l’evidente scopo di rimbecillire la popolazione maschile di Skarmoon?
– Per rimbecillire la popolazione maschile del laboratorio del professor Procton – rispose Zuril – Incaricherò Maluma di irretire il professore: niente professore, niente mente strategica del gruppo. Sconfiggere Goldrake a quel punto sarà molto più semplice.
– E non potevate mandare quella Macosa addirittura sulla Terra, in modo da evitare quest’indecente spettacolo? – sbottò Rubina, mentre suo padre faceva lo sgambetto a Gandal gettandolo a terra ed impedendogli di raggiungere l’agognata preda.
– Volevo fare una prova del fascino di Maluma – rispose Zuril, ghignando nello scorgere Dantus camminare sopra Gandal e spintonare via Re Vega solo per venire atterrato da Hydargos.
– Non l’avevate provato su di voi?
– Abbondantemente provato, ma come scienziato volevo avere un ulteriore riscontro – e volevo farmi due risate, aggiunse mentre il regale diretto del sire di Vega stendeva secco Dantus.
– Beh, i vostri riscontri li avete avuti… e anche pure gli scontri – esclamò Rubina, andando a bloccare con gentile fermezza il padre prima che si azzuffasse anche con Gandal e con Hydargos – Adesso mettete subito fine a questa… oscenità.
– Posso procedere con il piano?
– Fate quel che vi pare, purché portiate via quella femmina dalla base. Non voglio più vedere scene indecorose!
Zuril pensò alla minuscola videocamera che aveva installato in mezzo alla vaporosa chioma fulva di Maluma, pronta per riprendere la disfatta dei loro nemici, e trattenne un ghigno: – Come Vostra Altezza desidera. Farò in modo che non avvenga più nulla di sconveniente… non su questa base, almeno.


- continua -


Link in cui lamentarsi per la sconcezza del tema trattato: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2100#lastpost
 
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Seconda puntata.

A dispetto delle maldicenze sul loro conto, non era vero che i sirenidi medusiani eccellessero in un unico, ben specifico campo; quando non erano impegnati nella loro occupazione primaria erano anche capaci di altre azioni, come ad esempio guidare un disco, scendere sulla Terra non visti, atterrare nel folto di una pineta ed avviarsi a piedi verso il Centro Spaziale del professor Procton.
Fu ciò che appunto fece Maluma, grazie anche alle istruzioni che Zuril le aveva inviato di volta in volta attraverso il microchip che le aveva impiantato – altrimenti, c’era da scommettere che la fanciulla avrebbe capito ben poco di quel che le era stato richiesto di fare. In fondo, la poverina era da parecchie ore che non esercitava la sua attività precipua, e questo fatto la stava disturbando non poco.
Fu dunque una Maluma particolarmente pronta all’azione, se così si può definire, quella che piombò in piena sala centrale.
Al suo semplice apparire, sei mascelle crollarono in perfetta sincronia.
Un silenzio attonito piombò nella sala, mentre lei passava in rassegna i maschi presenti uno per uno, lo sguardo scrutatore della cacciatrice esperta, prima di farsi avanti, ciglia frullanti e anche dondolanti: – Chi di voi è il professor Procton?
– Io!!! – urlarono in cinque.
– Ehm, veramente sarei io – disse il professore.
– L’avevo immaginato – lei si fece sinuosamente avanti, e con fascinosa decisione puntò su Procton, piazzandoglisi di fronte e passandogli un dito lungo la chiusura del camice, bottone per bottone: – Ciao, tesoro. Mi chiamo Maluma.
Mugugni dei tre assistenti. Aria parecchio scocciata di Alcor. Persino Actarus aveva perso la sua normalmente bietolesca espressione: spiace dirlo, ma aveva tutta l’aria di un giovane pronto a battersi i pugni sul petto lanciando selvaggi ululati.
Intanto, il dito affusolato di Maluma aveva preso a giocherellare col colletto di Procton – e improvvisamente, chissà perché, lo scienziato ebbe la sgradevole impressione che gli stringesse, e parecchio.
Raramente il compassato professor Procton si lasciava ammaliare dal fascino muliebre; quando e se ciò accadeva, lui era portato a comportarsi da vero cavaliere nei confronti della sua dama. Era il genere di uomo che avrebbe voluto difenderla dai mostri, venerare la terra su cui lei aveva posato i fatati piedini e, massimo dell’ardire, baciarla dolcemente sulla fronte.
Bene, questo genere di sentimenti era esattamente ciò che Maluma non avrebbe mai ispirato.
A Procton bastò lanciarle un’occhiata per rendersi conto che i propri normali valori pressori avevano subito una brusca impennata verso altezze impensate. Un istante dopo, con autentico orrore si rese conto del genere decisamente basso che avevano preso i suoi normalmente elevati pensieri.
C’era solo una parola che campeggiava nella sua mente, rossa e baluginante: sesso.
Vedendosi snobbati in favore del più maturo professore, i giovani cominciarono a sbuffare, a farsi avanti, a mettere in mostra i bicipiti, insomma, a cercar di far vedere a quella meravigliosa creatura di essere loro i proprietari della mercanzia migliore.
– Lascia perdere il prof! – esclamò Saeki.
– È un lesso – si premurò d’informarla il serissimo Yamada.
– Non vorresti farti un giro in moto con un vero uomo? – esclamò Alcor.
– Cioè con me! – asserì Hayashi.
– Ma se sei impegnato con Stella! – osservò vilmente Actarus.
– Quella sciacquetta? Vuoi scherzare? – ribatté Hayashi, che normalmente era il classico fidanzato barbosamente fedele.
– Ragazzi, vi prego – esclamò Maluma, ottenendo così cinque giovani maschi adoranti in aggiunta al sesto, più maturo e totalmente rimbecillito – Non voglio che litighiate per me.
– Allora scegli uno di noi! – esclamò Saeki.
– Cioè, me! – gridò Yamada.
– Ha già scelto! – tagliò corto Alcor – Vuole me!
– Perché proprio te, tappo? – chiese Actarus.
– Ehi, tappo a chi?
– Beh, io sono più alto.
– Solo perché hai quelle gambe da trampoliere… – Alcor fletté i muscoli sotto gli occhi di Maluma – Tesoro, quello lì sarà anche alto ma è solo una specie di cicognone, l’ho steso a pugni non so quante volte…
– Non è vero! Sono sempre stato io a suonartele!
– Basta così! – esclamò Maluma – Vi ho già detto che non voglio che litighiate!
– Ma noi non stiamo litigando – osservò candido Actarus, allungando un calcio nello stinco di Alcor, che gli aveva appena pestato un piede. Alle loro spalle, Saeki e Yamada erano ormai venuti alle mani, Hayashi aveva provato a fermarli ottenendo il risultato di venir pestato da entrambi.
– Detesto gli uomini violenti – bastarono quelle quattro parole per far cessare subito le ostilità. Cinque giovani maschi la guardarono con aria speranzosa: – Chi vuoi di noi?
– A me piace lui – Maluma tornò a girarsi verso l’inallocchito Procton e prese a titillargli il pomo d’Adamo – Qual è il tuo nome, tesoro?
– Ghf – fu tutto ciò che uscì dalle labbra dello scienziato.
– Ghf? Insolito, ma non è male – tubò – Che ne diresti di farci un giretto, bellezza? Noi due soli, huh?
– Perché lui? – esclamò Actarus, facendosi avanti e spingendo di lato il professore – Ma ci siamo noi! Siamo più giovani!
Molto più giovani! – e Alcor sgomitò via l’amico.
– Siamo più belli! – e Hayashi si frappose tra Alcor e Maluma, gonfiando il petto e cercando di far rientrare la protuberanza addominale.
– Siamo più forti! – e scaraventato il collega all'indietro, Yamada fletté gli scarni bicipiti.
– Non puoi preferire quel fossile! – concluse il normalmente rispettosissimo Saeki, allentando un calcio nel magro posteriore di Yamada.
– Ho detto che voglio lui! – Maluma acchiappò a braccetto Procton, passando con lo sguardo su ciascuno dei presenti: – Non disperate, ragazzi. Sarà per un’altra volta.
Uscì portandosi via il professore, che la seguiva totalmente imbambolato; dietro di loro, occhiate colme di concupiscenza da parte dei giovani invidiosi. Ma lei, come aveva potuto preferire quel dinosauro surgelato…?


– Eccetera eccetera – disse Zuril spegnendo lo schermo e troncando così l’immagine di Procton che seguiva Maluma fuori del Centro – Non è difficile immaginare cosa stia per accadere.
– Oh, certo – rispose per tutti Re Vega, mentre con Gandal, Hydargos e Dantus lanciava occhiate colme di rammarico verso lo schermo (spegnere proprio adesso che stava facendosi interessante!).
– Non ci resta che lasciar lavorare Maluma – continuò Zuril, raccogliendo le proprie cose – In poco tempo, credo che il professore sarà… come dire… completamente fuori gioco.
– Ah, sì? – esclamò Rubina, guardandolo di traverso.
– Una sirenide medusiana è praticamente infallibile – assicurò Zuril – Una volta, hm, eliminato il professore, potremo attaccare la Terra senza correre rischi.
Occhiata tra il sire e gli altri tre comandanti: – Splendido.
– E gli altri? – chiese la principessa.
– L’effetto dei feromoni di una sirenide medusiana dura parecchio, come avete potuto provare voi stessi – rispose Zuril, la voce tutta uno sciroppo al miele – Immagino che resteranno per un poco… come dire… alterati.


– Come mi hai chiamato, poco fa? – esclamò in quel momento Alcor, voltandosi verso quello che a tutti gli effetti era il suo miglior amico.
– Tappo – ribadì Actarus.
– Cicognone – sibilò Alcor, velenoso.
Poco più in là, Yamada e Hayashi stavano scambiandosi sanguinose ingiurie (“Ciccione!” “Stecchino!”), mentre Saeki faceva commenti sarcastici.
Finì come doveva finire, in una sorta di zuffa generale, molto diversa dal tipo di corpo a corpo che stava nel frattempo avvenendo fuori, nella pineta.


Veder uscire dalla Sala Comando quell’impiastro di Zuril e fiondarsi a riaccendere lo schermo fu affare di un nanosecondo e mezzo.
La microcamera impiantata su Maluma, e soprattutto le immagini in tempo reale da lei inviate, fece sì che l’intera elite (maschile) di Vega potesse godere d’un inaspettato, e graditissimo, spettacolo. Messe momentaneamente da parte le rivalità, Re Vega, Gandal, Dantus e Hydargos si erano seduti in circolo, zitti zitti, gli occhi fissi sullo schermo da cui si poteva comodamente assistere alla presa diretta di quanto stessero combinando Procton e Maluma, che usciti dal laboratorio si erano infrattati nella pineta circostante e avevano cominciato a darsi da fare. Qualcuno fece passare dei salatini.
Ovviamente, assistendo ad uno spettacolo così avvincente, nessuno pensò più ad attaccare la Terra.
Disgustata, Rubina uscì rapidamente dalla sala, un mostriciattolo per ognuno dei suoi rossi capelli: vedere una persona matura ed intelligente come Procton ridotto come cera molle negli artigli di quella strega era davvero troppo.
Rubina aveva avuto un passato trascorso col professore. Era finito tutto, naturalmente, ma il ricordo restava, e provava ancora un certo affetto per lui. Sapere che ciò che era stato un tempo suo era ora preda di quella… quella…
Preda… cera molle…
Colta da un’idea improvvisa, Rubina corse nel proprio alloggio, aprì l’armadio e ne estrasse un vestito che praticamente non aveva indossato mai – papà nemmeno sapeva che lei lo possedesse, figuriamoci! Altrimenti, da genitore all’antica com’era avrebbe sbottato (“Così aderente! E quella scollatura! Copriti, sciagurata! E la gonna? Dov’è la gonna? Avevano forse finito la stoffa? Quello non è un vestito, è una camicetta, e corta per giunta! Figlia svergognata, vai subito a cambiarti!”, eccetera).
In un attimo, Rubina tolse la sua castigatissima tuta di tutti i giorni ed indossò quei pochi centimetri quadrati di vestito. Si pettinò, sistemò il trucco, si avvolse in una nuvola di profumo e andò allo specchio: bene, se niente niente conosceva il suo pollo, ci sarebbe stata ben presto altra cera molle nelle mani di una donna…


- continua -

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