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H. ASTER's FICTION GALLERY

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view post Posted on 13/11/2014, 19:29     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Terza puntata. La fine domani.

Il cicalino suonò: qualcuno chiedeva di poter entrare nel suo studio.
Zuril controllò chi fosse: Rubina…?
In genere la principessa lo considerava con la stessa simpatia che avrebbe dedicato alle blatte mucillaginose di Altair, e gli rivolgeva la parola solo se proprio non le era possibile farne a meno; e ora gli chiedeva di potergli parlare, e nel suo studio privato! Da non credere.
Premette il pulsante e le porte scivolarono di lato.
Rubina entrò nel suo campo visivo, e stavolta fu Zuril vittima dell’estroflessione oculare: la principessa indossava infatti un certo abito in pizzo, aderentissimo (e ridottissimo) che ben poco lasciava all’immaginazione. Per un attimo, lei fu sicura che il gelido e compassato Ministro delle Scienze avesse emesso un verso del genere teiera in ebollizione.
– Altezza, posso… uh… fare qualcosa per voi? – chiese il per una volta tutt’altro che gelido e compassato ministro.
– Volevo solo congratularmi con te – tubò lei, appoggiandosi alla scrivania di Zuril in una posa che sapientemente metteva in mostra il vestito, e soprattutto una buona parte del suo contenuto – Hai avuto un’idea geniale.
La glottide di Zuril ebbe un sussulto: – Vi… gh, ringrazio.
– Temo proprio d’averti sottovalutato, e me ne dispiace molto – frullata di ciglia, voce sui più sensuali toni medio-bassi – Quella tua… creatura ha davvero gettato lo scompiglio nel laboratorio di Procton.
– Glop – fu tutto ciò che riuscì a dire Zuril: perché la principessa si era seduta sul bordo della sua scrivania, e gli era arrivata alle narici una zaffata di un certo profumo che l’aveva sempre fatto impazzire.
– Ho appena saputo che quella cosa è riuscita a portarsi via il professore – continuò Rubina, sperando che non si sentisse acredine nella sua voce.
– Ah, sì? – rispose Zuril, che mai e poi mai avrebbe potuto percepire alcunché nella voce di lei dato che le orecchie gli stavano fischiando come vaporiere a pieno regime.
– Sì – vilmente, Rubina gli fece scorrere un dito lungo il braccio – Naturalmente, avevi previsto tutto, anche se mi domando… quella femmina avrebbe potuto rifiutarsi di irretire il professore, no?
– No – esalò lui, mentre lei gli titillava il pomo d’Adamo – Non può farlo.
– Perché no? – il dito risalì verso l’orecchio – Quella Macosa è pur sempre dotata di libero arbitrio, può rifiutarsi di eseguire un ordine. Voglio dire: data la sua natura diciamo socievole, se incontrasse un altro maschio che le piacesse… o magari anche più di uno…
– Impossibile – rantolò Zuril (e qui Rubina gli solleticò l’orecchio puntuto) – È stata condizionata, non può prendere iniziative…
– Ma davvero? – la principessa iniziò a lavorarsi anche l’altro orecchio – Condizionata? Ma che idea geniale… ma come puoi essere sicuro che ti obbedisca?
– Deve farlo, le ho impiantato un chip… magnifico, un po’ più a destra, grazie…
– Un chip, meraviglioso! Continua, caro: come fai ad essere sicuro che esegua esattamente i tuoi ordini?
– Ho… questo… telecomando – e Zuril fece quel che altrimenti mai avrebbe fatto: mostrò un minuscolo apparecchietto che fino ad allora aveva tenuto stretto in mano. Potenza della stimolazione auricolare.
– Ma che cosa fantastica – Rubina gli afferrò il viso tra le mani (voce bassissima, ciglia tutte uno sfarfallio): – Dobbiamo festeggiare. Perché non ci beviamo qualcosa e poi magari…?
Non disse altro, ma quel “magari” era tutto una lussuriosa promessa… e ormai Zuril era ridotto ad uno stadio prossimo a quello di una manciata di neve posta in una fornace. Con una specie di ululato di giubilo l’altrimenti ferreo scienziato si fiondò nella propria camera, lì adiacente, dove conservava un’eccellente bottiglia tenuta in serbo per le grandi occasioni; e Rubina si precipitò ad afferrare il telecomando.
Qualche istante dopo, quando Zuril fece la sua comparsa con una bottiglia in una mano e due calici nell’altra, trovò spariti sia il vestito supersexy che il suo strepitoso contenuto. Anche il telecomando era scomparso… tutto quel che restava era un leggero sentore di profumo.
Per vari, lunghissimi minuti il ministro rimase immobile, bottiglia in una mano, bicchieri nell’altra, profumo nelle narici e nell’animo la netta consapevolezza d’essere stato fatto scemo.
Restò a lungo immoto, mentre si sforzava di superare il trauma e soprattutto di calmare i fiumi di testosterone che gli ribollivano nelle vene.
Avrebbe potuto dare l’allarme, sventare il tentativo di boicottaggio di Rubina, denunciare il furto del suo apparecchio; non lo fece, lei era la principessa, la figlia di Re Vega, ed accusarla davanti al suo papino avrebbe potuto essere gravemente nocivo per la salute… e poi c’era il fatto che incolpare Rubina significava automaticamente far sapere a tutta Skarmoon che lui, il diabolico creatore di subdole trame, era stato giocato da una ragazzetta (molto curvilinea, certo, ma pur sempre una ragazzetta).
No. C’era solo una cosa da fare.
Sedette al tavolo, aprì la bottiglia, versò con mano fermissima il contenuto in un calice e diede il via ad una sbronza memorabile.


Chiusa nelle proprie stanze, Rubina esaminò il telecomando: c’era forse un pulsante per l’autodistruzione? No? Che peccato…
Cercò un qualche altro tasto utile: non vide né RESET, né MENU né SETUP.
Masticando qualche invero poco principesco VAFF, Rubina pigiò qualche tasto a caso, scosse il telecomando, lo sbatté contro il bordo della pettiniera e infine lo scaraventò a terra calpestandolo con gli imperiali piedini.
In un modo o nell’altro, qualcosa doveva averlo ottenuto.
Uscì dalla stanza e puntò verso la sala comando, da dove avrebbe potuto controllare di persona che cosa stesse accadendo.


Come risvegliata all’improvviso, Maluma considerò l’individuo con cui fino a poco prima si era abbondantemente sollazzata: un tizio simpatico, anche abbastanza gradevole, ma un po’ giù d’allenamento, visto che un’ora scarsa d’attività l’aveva stroncato. Mah. Gli umani non erano poi questo granché… e lui era carino, sì, ma non lo schianto che le era parso all’inizio.
Esausto (non si può ripassare impunemente l’intero kamasutra in meno d’un’ora), il professore russava beatamente, seminascosto tra le felci.
Maluma sbuffò: si sentiva come può sentirsi una persona di robusto appetito che ha solo spiluzzicato qualche stuzzichino… ci fosse stato qualche altro maschio disponibile…
Uno strano rumore, come un acciottolio, che proveniva dalla strada…?
Tenendosi nascosta tra le felci andò a guardare, ed ebbe un colpo al cuore: eccolo là, un vero maschio, proprio come piaceva a lei! Bellissimo, fantastico, virile, supersexy… un autentico principe sul suo nobile destriero. Schizzò fuori dai cespugli, decisa a non lasciarsi scappare quella meraviglia.
Banta, che stava caracollando sul suo ronzino in direzione laboratorio, nel trovarsi davanti quella favolosa fanciulla vestita solo dei suoi orecchini si ritrovò con i bulbi oculari delle dimensioni di due angurie.
Maluma non era ragazza da perdere tempo: acchiappò Banta per una mano, lo tirò giù dal ronzino, lo trascinò tra le felci e diede il via a un nuovo match.
Chi non si scompose fu il vecchio cavallo, che dopo aver scosso le orecchie con signorile disapprovazione andò a brucare un cespo di margherite.


Visto il professore ormai fuori gioco, Re Vega e i suoi accoliti avevano fatto per spegnere lo schermo; l’arrivo di Banta li fece nuovamente sedere, sempre in religioso silenzio. Altri salatini furono fatti passare.
Di attaccare la Terra, non ne parlò nessuno.
L’unico a non concentrarsi sull’avvincente spettacolo fu proprio il sire: Maluma era stata inviata con l’incarico di circuire il professore, incarico che appunto aveva portato a termine. Era un peccato che lei ora perdesse tempo con quel ragazzotto terrestre… chissà come sarebbe stata felice di fare la conoscenza con un vero uomo.
Quatto quatto, si alzò e raggiunse in punta di piedi la porta. Uscì. Poco dopo, un solitario minidisco sfrecciava nello spazio, direzione Terra.
Gli altri continuarono a masticare salatini, gli occhi sempre fissi sullo schermo.
Nemmeno s’accorsero dell’ingresso di Rubina, nonostante indossasse il suo vestito supersexy.
Fu invece la principessa ad accorgersi di qualcosa: dov’era finito papà?


Intontito, il professore si rialzò a sedere tra le felci: stava chiedendosi cosa fosse successo, quando improvvisamente ricordò tutto (“Oh”).
Un attimo dopo, un certo tafferuglio proveniente da un cespo di felci poco più in là lo fece schizzare in piedi e correre a vedere.
Maluma, la sua Maluma… con Banta!
Normalmente, Procton avrebbe accettato con signorile calma e grande dignità qualunque sconfitta in amore; al momento però era ancora sotto l’influsso dei feromoni di Maluma, per cui la sua reazione fu del tutto diversa, e decisamente poco elegante. Essere stato sedotto, abbandonato e pure tradito fu un po’ troppo anche per lui.
Meditando atroci vendette, Procton infilò alla bell’e meglio qualche vestito a casaccio, e poi andò a recuperare il ronzino che, terminate le margherite, aveva attaccato dei ranuncoli. Balzò in groppa, e poco dopo il nobile animale, lanciato a folli velocità (passo affrettato, di più non c’era stato verso), puntava in direzione della fattoria di Hara.


Troppo occupati com’erano, Banta e Maluma non s’accorsero di nulla. Non sentirono nemmeno un suono lieve scendere dall’alto… un po’ il ronzio che può fare un disco volante in fase d’atterraggio. Non sentirono nemmeno un rumore come di zoccoli di cavallo…
– BANTA!!!!! – questo sì, lo sentirono.
– M-mamma…? – rantolò l’interpellato.
– La conosci? – chiese Maluma.
– Purtroppo… cioè, sì, lei…
– MA NON TI VERGOGNI? – barrì sua madre – Razza di degenerato! Alla tua età! Sei troppo giovane, per quelle sconcezze!
– Ma mamma, io ho ventotto anni…
– E allora? Sei sempre il mio bimbone! E levati quella sporcacciona di dosso! – e acchiappata Maluma la scaraventò via – Che schifo! È tutta nuda, persino!
– Da voi terrestri si fa sesso vestiti? – chiese subito l’interessata.
– Che vergogna, che vergogna! – Hara afferrò il figliolone per un orecchio e lo rimise in piedi – Mettiti almeno le mutande, sciagurato! E poi, subito a casa! Docce fredde e molto bromuro, ecco cosa ti serve!
– Ma mammina… – piagnucolò Banta, rivestendosi (sentirsi estirpare un padiglione auricolare è un buon incentivo) – Io veramente vorrei…
– Lo so cosa vorresti, scostumato! A casa, e subito!
Maluma lo guardò di traverso: – Beh, se mamma te l’ordina…
Sotto quello sguardo non propriamente tenero, Banta drizzò orgogliosamente la testa. Strinse i pugni. Gonfiò il torace. Aprì la bocca, deciso ad affrontare finalmente mamma…
I cespugli s’aprirono e un individuo altissimo, con la faccia arancione e una barbaccia viola fece la sua comparsa, un mazzo di fiori in una mano e una scatola di cioccolatini nell’altra.
– Vostra Maestà…? – esclamò Maluma, sorpresa.
– Glop – rispose il sire, che contrariamente ad Hara non trovava affatto disdicevole la sua tenuta discinta.
– E questo chi sarebbe? – sbottò Hara.
– Un marziano! – gemette Banta – Dev’essere uno di quei mostri di cui parla Rigel…
– Marziano? – si scocciò il sire – Bamboccio, per tua norma e regola…
– Stai minacciando il mio cucciolo? – esclamò Hara, ergendosi pettoruta in difesa del pargolo – Vergogna! Grande e grosso come sei, prendertela con un bambino!
– Ma signora, veramente io non…
– E non minacciarmi con le tue armi spaziali, mostro! – strillò Hara, vedendosi puntare addosso il mazzo di fiori; quindi, tanto per spiegare meglio il suo punto di vista, si alzò in punta dei piedi e gli allungò una sberla in piena faccia.


Su Skarmoon, la scena del sire schiaffeggiato da quell’enorme contadina terrestre fu seguita da un profondo silenzio.
Poi, irrefrenabile, scoppiò l’applauso.


Trascinandosi dietro il figliolone frignante, Hara s’incamminò verso casa promettendo atroci rappresaglie (docce gelide, bidet ghiacciati e bromuro a chili).
Poco più in là Procton, che nascosto tra i cespugli aveva assistito ghignando alla disfatta del rivale, non resse più alla stanchezza e crollò esausto tra le ortiche.



- continua -


Link per indignarsi circa l'eccessiva scabrosità della faccenda: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2115#lastpost
 
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view post Posted on 14/11/2014, 19:49     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Ultima puntata... :via: :via: :via:

Il sire guardò Maluma, tendendo fiori e cioccolatini.
Maluma guardò il sire.
Un istante dopo, sotto alle felci riprese un’attività frenetica.


Nessuno si sarebbe mai aspettato un simile, sensazionale fuori programma… attentissimi, Gandal, Hydargos e Dantus, una volta tanto amici, si passarono l’un l’altro una bottiglia. Certi avvenimenti meritano di essere festeggiati.
Inorridita nel vedere il proprio genitore dare spettacolo di sé, Rubina schizzò fuori dalla sala comando. Doveva fare qualcosa… doveva fare qualcosa!
Si precipitò verso la propria stanza, incurante di star facendo una vera e propria strage tra i maschi, che molto poco rispettosamente le tributarono un coro di fischi e ululati d’ammirazione. Finalmente al sicuro nel suo alloggio, Rubina non perse tempo e contattò immediatamente l’unica persona che potesse risolvere il problema: Sua Maestà la regina Himika.
– Tutto bene? – esordì la sovrana, con un gran sorriso che si storse subito in una smorfia: – Cara! Ma come ti sei conciata?
– È una questione d’emergenza – disse in fretta Rubina – Mio padre…
Un duro colpo al tenero cuore della regina innamorata: – Yabarn…?
– Solo tu puoi salvarlo.
Himika si fece coraggio. Era una donna forte, non avrebbe avuto esitazioni nel compiere il suo dovere: – Dimmi tutto.


La regina Yamatai non era persona da avere esitazioni: quando c’era da agire, lei lo faceva senza por tempo in mezzo. Venuta a conoscenza del tremendo pericolo in cui si trovava il suo uomo, da vera donna forte fece tacere il suo povero cuore innamorato e palpitante e, brandita la fida bipenne, partì subito al salvataggio. Non c’era tempo da perdere.
Fu così che, un po’ di tempo dopo, la regina poté constatare con i suoi stessi occhi la verità di quanto le era stato riferito: Yabarn, il fiero Re di Vega, il suo fidanzato, il suo amore, caduto preda di una lurida seduttrice. Uno spettacolo deplorevole (su Skarmoon, tre uomini avrebbero dato una ben diversa definizione della faccenda).
La regina non si domandò nemmeno se il sire fosse poi davvero vittima di Maluma; anzi, avesse osservato un po’ meglio forse avrebbe avuto la sensazione che lui fosse ben felice di farsi spupazzare… ma Himika, quando era sicura di qualcosa, non era donna da farsi tante domande.
– Yabarn – disse.
Il trambusto tra le felci parve arrestarsi.
– Yabarn! – ripeté lei.
Fruscii vari. Poi una zucca ornata da barba e capelli viola spuntò tra le foglie: – Uh… Himika? Ma porc… ehm, cioè, come mai da queste parti?
Lei scosse la testa con riprovazione: – E me lo chiedi? Non capisci nemmeno perché sono qui? Povero Yabby, sei proprio fuori di te.
Maluma apparve improvvisamente tra le foglie, guardò Himika e poi si rivolse al sire: – Come ti ha chiamato? Yabby?
– Yabby, sì… lascia perdere, è una faccenda lunga – brontolò il sovrano.
Maluma passò con lo sguardo tra il sire e Himika: – Vi conoscete?
– Direi di sì, carina, visto che siamo fidanzati – Himika scosse la testa, guardando con riprovazione il suo uomo: – Yabby! Ma questa è totalmente scema! Potevi almeno trovarti qualcuna con un briciolo d’intelligenza!
A dire il vero, al sire il quoziente intellettivo di Maluma interessava pochino: – Ecco, sinceramente non avevo badato molto a questo…
– Oh, immagino – Himika strinse convulsamente il manico della bipenne – Adesso basta, Yabby. Ti sei coperto abbastanza di ridicolo. Torniamo a casa.
Il sovrano guardò Himika, poi guardò (molto a lungo) le curve procaci di Maluma e poi tornò a guardare la fidanzata: – No.
– No? – chiese Himika, dolce in maniera sospetta.
– No! Torna a casa tu! Io non mi muoverò di qui!


– Bravo! – gridarono a una sola voce i tre comandanti, solidali.


Himika scosse la testa: – Come temevo. Qui ci vogliono maniere drastiche.
Il sire deglutì: cosa voleva fare, quella pazza…? – Himika, non vorrai…?
– Sono venuta a salvarti da te stesso, Yabby, e lo farò. A qualunque costo – fattasi avanti, Himika brandì la bipenne e con un gesto colmo di signorilità suddivise la sua rivale in due parti perfettamente uguali. Poi, precisa ed accurata come sempre, procedette ad una seconda e pure ad una terza suddivisione delle fette.
Re Vega rimase attonito a fissare quel che restava ora di Maluma: erano dei pezzetti… no, pezzetti no, sarebbe meglio dire dei frammenti. Una sorta di ragù.
– Ecco fatto, Yabby – Himika si rigirò tra le mani la bipenne, l’aria soddisfatta di chi ha finalmente compiuto la sua opera – Quella brutta smorfiosa non ti darà più fastidio.
– M-ma… l’hai… – articolò il sire.
– Eliminata, sì. Era una donna cattiva, dovevo proteggerti da lei. Adesso alzati, rivestiti e torniamo a casa. – la bipenne gli scivolò sotto la barba, gli carezzò la carotide: – Però, Yabby, che sia l’ultima volta che ti pesco a fare il bricconcello, hm?


Vedendo il sire recuperato dalla sua amorevole fidanzata, e soprattutto vedendo Maluma ridotta a paté, Gandal, Hydargos e Dantus si scambiarono lunghe occhiate afflitte.
Una nuova mannaiata, e l’immagine saltò: evidentemente, la regina aveva centrato la microcamera.
Un lungo sospiro… oh beh, era stato bello, finché era durato.


EPILOGO


Rientrato a Skarmoon, Re Vega s’impose una precisa linea di condotta: far finta di nulla, tanto nessuno poteva sapere niente di quel che era accaduto tra lui e Maluma.
Gli bastò incontrare gli sguardi spudoratamente candidi dei suoi accoliti per capire che sapevano tutto.
Ma com’era possibile…?
Solo allora ricordò quel che avrebbe dovuto pensare fin da subito: la microcamera addosso a Maluma! Quei tre sciagurati dovevano aver seguito lo spettacolo in diretta, minuto per minuto!
A giudicare anche dalle occhiate sfacciatamente innocenti di Zuril, anche lui doveva aver visto tutto (e infatti era così, una volta superata la sbornia il ministro aveva requisito la registrazione e dopo averla accuratamente visionata l’aveva nascosta in un luogo sicuro. Non si sapeva mai, avrebbe sempre potuto tornare utile).
Il sovrano lanciò un’occhiataccia d’avvertimento ai suoi uomini.
Sette occhi lo guardarono con stupitissimo candore.
Vigliacchi, lo sanno…
Tentò d’incrociare lo sguardo di sua figlia, che arrossì pudicamente voltandosi altrove.
Lo sa anche lei, porc…!
In un istante, il sire cambiò drasticamente la sua linea di condotta: far finta di nulla, certo, e nel caso negare, negare sempre, anche l’evidenza più palese. Doveva ben salvare la regale faccia, che diamine!
Improvvisamente, si accorse di qualcosa di orribile: ma all’inizio di tutta quella faccenda, non si era parlato di un attacco alla Terra? Non gli risultava che i suoi generali si fossero impegnati in tal senso! Adesso l’avrebbero sentito!
– Ehi, voi! – sbottò.
– Sì? – chiesero quattro voci angeliche.
Il pensiero di Maluma, e soprattutto di quello che aveva combinato con lei, gli strozzò la voce. Nella mente gli frullò la domanda che avrebbe voluto fare ma, ahimè, gli si presentò pure la risposta che avrebbe ricevuto…
“Vili servi infingardi, perché non avete attaccato la Terra?”
“Perché eravamo troppo occupati ad ammirare le vostre amorose imprese, Sire”.
Il fiero cipiglio si sciolse subito in un’espressione di puro panico, mentre il sire veniva colto da un provvidenziale attacco di tosse.
– Possiamo fare qualcosa per voi, Maestà? – chiese soavemente Gandal, a nome dei colleghi.
– Ehm… – ultimi rimasugli di tosse – Sì, grazie. Qualcuno di voi potrebbe gentilmente portarmi un bicchiere d’acqua? Se non vi è di troppo disturbo, si capisce.


Per tornare a casa sua, Hara era costretta a passare davanti all’ingresso del ranch Makiba; fu proprio là che incontrò Rigel, che le chiese notizie di Banta.
– Povero caro, sta meglio – rispose la sua mamma; si guardò attorno e abbassò la voce: – A proposito: e il professore? Si è ripreso?
– Sì… quasi, cioè – anche Rigel abbassò la voce – Ha dormito una giornata intera, e quando si è svegliato…
– Si sarà tanto vergognato, poverino – disse Hara, comprensiva.
– No, cioè sì…Non vuol più uscire dalla sua stanza, Actarus l’ha sentito farneticare di harakiri. È proprio sconvolto. Ma c’è anche il fatto che quando è svenuto è caduto nelle ortiche. È tutto rosso e gonfio che sembra carne trita. Banta si è calmato?
– Oh, sì, le docce gelate funzionano sempre, in casi come questi… solo che ora ha la polmonite – mostrò il contenuto del sacchetto che aveva in mano: fiale e siringhe misura bisonte – Il dottore gli ha prescritto delle iniezioni, e io gli ho preso le dosi più massicce. Voglio che guarisca bene.
– Se non morirà, guarirà senz’altro – deglutì Rigel.



Nessuno disse nulla a Re Vega, nemmeno Rubina fece più riferimento a Maluma. I comandanti continuarono a non parlare, anche se il sire era sicuro che alle sue spalle scoppiasse qualche risatina… maledetti.
Comunque, quel che contava davvero era che tutto fosse finito e che lui non avesse subito conseguenze. Ecco.
Sì, questo era davvero importante. Nessuna conseguenza.


È davvero spiacevole, quando si è immersi nella propria lettura preferita, venir interrotti da una scocciatura; fu ciò che accadde al sire di Vega proprio mentre era occupato con il rapporto di Barendos sull’ultimo genocidio commesso. Fu allora che Himika, inaspettata e non annunciata, entrò nel regio studio col piglio deciso che le era solito.
– Ho sbagliato nei tuoi confronti, Yabby – esordì – Lo riconosco. Se sei rimasto vittima di quella smorfiosa, la responsabilità è solo mia.
Himika che si assume una colpa?, si chiese esterrefatto il sire, mentre la mascella gli ciondolava inerte.
– Il problema è che ti ho trascurato – continuò lei, mentre diversi soldati Haniwa cominciavano a portare all’interno delle regali stanze una quantità allarmante di bagagli – Ti ho lasciato solo troppo a lungo, ecco perché quella sporcacciona ti ha circuito, povero Yabby. Per questo ho deciso di trasferirmi qui, da te, per un certo periodo.
Il sire di Vega strabuzzò gli occhi: Himika… da lui? Armi, bipenne e bagagli? Spalancò la bocca per protestare, ma l’orrore gli strozzò le parolacce in gola – e fu una fortuna.
– Ghrmphhhiiii – fu tutto ciò che riuscì ad esalare.
– Sei felice che io rimanga con te? – Himika gli diede un bacetto sulla barbaccia viola – Come sei dolce.


Zuril lavorava alacremente sul suo computer, l’aria serafica di chi è in pace con sé stesso e con il mondo. Il suo piano era fallito, l’attacco non era avvenuto ed era stato fatto scemo da Rubina; lo spettacolo dato però dal sire di Vega, e soprattutto il possederne la registrazione, lo ripagava però di ogni cosa.
Peccato solo per il suo piano… se solo i suoi colleghi avessero pensato ad attaccare, invece di perdersi a guardare Maluma, e soprattutto la sua frenetica attività…
Dantus, Gandal e Hydargos lo occhieggiarono nervosamente: sembrava di buon umore, tanto valeva provare. Un veloce scambio di sguardi e infine Gandal si fece avanti. Non per nulla era il Comandante Supremo: avrebbe parlato lui. I suoi colleghi gli si misero ai fianchi.
– Hm… Zuril? – cominciò Gandal.
– Sì?
– Dicevi che quella… Maluma, sì… era una specie di sirena…
– Una sirenide medusiana. Il termine esatto è questo.
– Bene. Sbaglio, o hai detto che esiste un intero pianeta di sirenoidi… quelle creature?
– Un intero pianeta, sì.
Fremito tra i tre uomini.
– Tutte come Maluma? – chiese Dantus.
– Non esattamente… Maluma era un po’ particolare.
– Oh…
– Era considerata una specie di zitellina racchietta.
– Cosa? – esclamò Hydargos.
– Racchietta? Maluma? – ululò Dantus.
– Racchietta, noiosina, freddina – asserì Zuril.
I tre uomini si guardarono fregandosi le mani. Se Maluma, Maluma che era stata uno schianto, era racchietta e noiosina, le altre dovevano essere strepitose!
Gandal, il Comandante Supremo, con un gesto impose il silenzio. Avrebbe parlato lui.
– Insomma, questo significa che laggiù ci sono altre come lei – disse.
– Laggiù ci sono altre infinitamente meglio di lei, vuoi dire – corresse Zuril, senza alzare gli occhi dal suo schermo.
Meglio di…? ARF!!!, esclamarono silenziosamente Dantus e Hydargos.
Calma, impose altrettanto silenziosamente Gandal.
– Senti, Zuril… – il Comandante Supremo abbassò prudentemente la voce – Il pianeta da cui proveniva Maluma…
– Sì?
– Potresti darcene il nome e le coordinate?
Zuril sapeva davvero essere perfido, quando voleva: – Mai.


FINE


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Siamo in pieno tempo di buoni sentimenti... o meglio, dovremmo esserlo.
Come sempre, il mio protagonista favorito per Natale è uno e uno solo.
Yabby.


Prima parte...

VEGA’S CHRISTMAS CAROL
(che Dickens ci perdoni tutti)

C’erano poche cose che lo deprimessero come le feste natalizie.
Sempre la stessa noia… auguri, lucine, buoni sentimenti… un’insopportabile melassa grondante sdolcinatezza. L’unica cosa carina di tutta la faccenda sarebbero stati i regali: riceverne, per lui era sempre stato un vero piacere – molto più che farne, con buona pace degli insensati che sostengono il contrario. Peccato che quel che gli veniva donato fosse sempre una schifezza.
Yabarn, il sire di Vega, sbuffò facendo svolazzare la barba violacea: in genere, lui riceveva regolarmente cose poco interessanti. Il regalo migliore glielo facevano i suoi generali; si trattava però sempre della solita arma da distruzione di massa… molto grazioso, ma a lungo andare diventava una noia.
Rubina poi gli regalava sempre pantofole. L’unica incognita era il colore: ne aveva ricevute porpora, lilla, viola fegato… di una cosa però poteva star certo: si sarebbe sempre trattato di una tinta ripugnante.
Più fantasioso era invece il regalo di Himika, anche se regolarmente imbarazzante: boxer rosse a teschietti e una terrificante canottiera scarlatta con ricamato in oro un enorme TOY BOY. Abominevole, certo, ma almeno l’apertura del pacco gli dava un minimo di suspence.
Ma ormai, non ne poteva più di tutto: che noia, che noia… la vigilia poi era la parte che odiava di più: tutta Skarmoon sembrava in attesa di renne e slitte, una cosa veramente insopportabile… e tanta eccitazione solo per un vecchio panzone barbuto che scendeva per i camini! Peccato che non esistessero caminetti, sulla base: sarebbe stato divertente inserirvi una piccola carica al vegatron, così, tanto per vedere a che distanza si sarebbe potuto sparare Babbo! Sarebbe stato un simpatico diversivo.
Il sire sbuffò, andando a rinchiudersi nelle regali stanze: non sopportava il clima natalizio che albergava nella base… risatine, brindisi, qualcuno aveva messo dei festoni dorati nel corridoio centrale… per non parlare del buontempone che aveva osato cospargere la pelliccia del King Gori di glitter! Bleah!
Chiuse le porte dietro di sé, il sire ebbe un colpo al cuore: nel bel mezzo del salotto, Rubina aveva allestito un albero di Natale – ornato con bombette e un piccolo bengala luccicante in cima, ma pur sempre un albero di Natale. Orrore. Sicuramente, quella sconsiderata di Himika, che purtroppo avrebbe trascorso le feste con loro, aveva approvato. Le pareva di vederle, quelle due, disporre sull’albero le ghirlande argentate a forma di cartuccera e appendere i razzetti e i funghetti atomici decorativi…bleah due volte!
In preda al malumore, il sire andò a chiudersi in camera propria, e vi si asserragliò dentro prima che una Himika affamata d’amore tentasse di raggiungerlo. Incredibile come una donna pur di polso fermo come la regina yamatai pretendesse coccole e svenevolezze. Bleah per la terza volta.
In fretta, il sire si sbarazzò del mantello e dei vestiti, indossando il regale pigiama azzurro decorato con un sobrio motivo a tibie incrociate. S’infilò nel regale lettone, allungò una mano verso il comodino in cerca d’un buon videolibro… uh? Un pacchetto?
Lo esaminò: rosso, con un nastro dorato fermato da una piccola renna bianca e oro. Ma chi poteva averglielo donato? Non certo Rubina o Himika, quelle due avevano l’abitudine di mettere i loro regali sotto l’albero… strano, trovare un dono di Natale prima che fosse veramente Natale… e poi, era davvero sicuro che fosse per lui?
Re Vega non era uomo da perdersi nei dubbi: nell’incertezza, decise di schiantare la carta e vedere direttamente il contenuto. Un libro?
Lo rigirò tra le mani: proprio un libro, di quelli vecchi, di carta, con la copertina rigida in tela rossa. Lesse il titolo in lettere dorate: Canto di Natale? Suonava stucchevole.
Ma chi poteva essere così idiota da regalargli un simile, antiquato oggetto? Aprì le pagine, rabbioso, e subito i suoi occhi corsero alla prima riga: “Marley, prima di tutto, era morto”.
Morto? Prometteva bene. Scorse le righe successive: registro mortuario, pompe funebri, mortorio, cataletto… il libro sembrava davvero interessante, l’argomento lo stuzzicava.
Si mise più comodo e riprese a leggere: quello Scrooge gli metteva simpatia… peccato che avesse quel nipote impiccione… Proseguì con la lettura: spiriti, Natali passati, presenti e futuri, l’infelice impiegato, il piccolo, malato Tiny Tim e stampelle annesse… pentimento, espiazione, cambiamento di vita… richiesta finale di benedizione! Orrore!
Scaraventò via il volume, disgustato: possibile che una storia iniziata così bene, con un protagonista così simpatico, dovesse avere una simile, melensissima fine? Che schifo!
In preda a una certa curiosità, andò a recuperare il libro e lesse i dati sull’autore: morto da un bel pezzo. Meglio per lui, altrimenti gli sarebbe venuta voglia di andare ad acchiapparlo per farne dono al King Gori in qualità di giocattolo. Rovinare una storia così bella…!
Brontolando, andò ad infilarsi nel letto, si tirò le coperte fino al mento, spense la luce e cercò una posizione comoda per dormire.
Poco dopo, nella quiete della camera si levò un sonoro russare.


In uno scintillare di stelline, due figure apparvero accanto al regio lettone: più alta e decisamente panciuta la prima, piccola e secca la seconda.
– Adesso che dorme, sembra quasi una persona normale – osservò Babbo Natale.
– Sei un illuso – sbottò la Befana – Questo qui non è normale nemmeno come carogna. È un vero fetente senza speranza.
– Io devo provare – insisté Babbo, cocciuto – Non posso condannare qualcuno senza aver provato a redimerlo!
– Sentimi bene, questo tizio è quello che da infante ha infilato i petardi nel camino la notte del sei gennaio! Hai idea di cosa sia successo quando ho provato a scendere?
– Immagino – rispose Babbo, conciliante – Ma era un bambino…
– Infatti, era un bambino e si è limitato ai petardi. Anni dopo, aveva preparato una carica al vegatron; solo che io mi sono ben guardata dallo scendere dal camino. Oltretutto, perché avrei dovuto farlo? Per portargli tonnellate di carbone?
– Via, non esageriamo…
– Io non esagero! – sibilò la Befana – Dovessi portargli tanto carbone quanto lui è carogna, m’indebiterei per i secoli futuri! No, credimi, è un caso disperato. Non perderci tempo.
Dal regale lettone provenne un grugnito, poi il sire attaccò a russare ancora più energicamente.
– Ormai ho iniziato – insisté Babbo – Gli ho fatto avere il libro, lui l’ha letto. Forse riuscirò a fare una breccia nel suo cuore…
– Riuscirai solo a cacciarti nei guai – rispose la Befana, sparendo in uno scintillio di stelline.
Altra sonora russata, stavolta col fischio.
Guardalo come dorme beato… bene, adesso vediamo di vivacizzargli il sonno.
Un gesto di Babbo, e una pioggia di stelline ricadde sul regale lettone.


Re Vega balzò a sedere sul materasso: gli era parso di sentire qualcosa… un suono strano…
– Ooooohhhh…
Il sire gettò un’occhiata verso il comunicatore: un guasto, un’interferenza? Se il suo regale sonno era stato disturbato da questo, avrebbe fatto scuoiare vivo il tecnico addetto.
– Oooooohhh…
Batté sullo schermo: era spento. Nessuna interferenza… magari avrebbe potuto limitarsi a far frustare il tecnico, così, tanto per farsi passare il nervosismo. La sola idea gli parve promettente.
– Ooooohhhh… – uno scintillare di stelline, e una spettrale figura apparve nella stanza: un individuo alto, la testa dalle chiome fiammeggianti, un rettile drappeggiato a mo’ di sciarpa attorno alle spalle.
– E tu chi diamine saresti? – esplose il seccatissimo Re Vega, che per inciso non aveva proprio detto “diamine”.
– Sono l’Imperatore del Drago – rispose l’altro, con voce cavernosa – Sono venuto ad avvertirti…
– Avvertire me? – esclamò il sire, stavolta veramente arrabbiato – Ma come ti permetti? Piombi in camera mia, mi svegli bruscamente e vieni persino a minacciarmi? Ma io ti faccio gettare in pasto alle coccinelle carnivore galarite!
– Non sono venuto a minacciarti, ma ad ammonirti! – insisté l’Imperatore, tendendo verso di lui i polsi stretti da pesanti catene tintinnanti – Guarda come sono ridotto…
– Lo vedo, e lo sento, anche. Fai un chiasso infernale, con quegli aggeggi.
– Quello che sto patendo io è niente, in confronto a quello che toccherà a te! – insisté l’Imperatore – Se le mie catene sono grosse e pesanti, le tue saranno ben peggiori, perché ben peggiori dei miei sono i tuoi misfatti! Pentiti, sei ancora in tempo…
– Pentirmi? Io? Tu vaneggi!
– Presto verrà a trovarti lo Spirito del Natale: ascoltalo, è l’unica speranza che ti rimane, o patirai gli stessi tormenti cui sono sottoposto io…
Qualcosa sembrò tintinnare nel cervello del sire: l’Imperatore del Drago, aveva detto…? – Un momento! Tu non saresti quello che aveva cercato di far fuori Himika?
– In effetti sì, sono io, ma…
– Razza d’idiota! Come hai potuto fare una cosa simile?
– È vero, è qualcosa di cui sono pentito…
– Pentito? Sarai pentito di non averla ammazzata, se mai! Imbecille! Se tu avessi fatto bene il tuo lavoro, io non avrei quell’impiastra a perseguitarmi!
– Ma io veramente…
– Sparisci, deficiente! – il sovrano gli scaraventò addosso il regio guanciale, e l’Imperatore si dissolse in una nuvola di stelline.


Il ragazzo è un po’ tosto, si disse Babbo, osservando il sire mentre andava a recuperare il suo cuscino. Aveva sperato che l’apparizione dell’Imperatore lo avrebbe terrorizzato e indotto al pentimento, ma non era stato così… bene, adesso sarebbe entrato in scena lui, e allora si sarebbe visto.

- continua -

Link per accusarmi di sfregio a Dickens: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144
 
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view post Posted on 23/12/2014, 22:54     +1   -1
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Seconda parte.


Proprio mentre il sovrano, brontolando parole invero poco regali, s’infilava di nuovo nel letto, in un nugolo di stelline apparve ridendo (“Ho! Ho! Ho!”) un nuovo personaggio: barbone bianco, pancia, vestiti rossi.
Il sire guardò con scarsissima simpatia quell’emerito sconosciuto venuto a turbare il suo riposo notturno: – E tu chi saresti?
– Sono lo Spirito del Natale – rispose affabilmente l’omone.
– Cioè?
Il faccione dell’uomo si aprì in un largo, bonario sorriso. – Senti, figliolo… sono diciamo rotondetto, ho la barba bianca, rido facendo “Ho! Ho! Ho!” e vesto di rosso. Secondo te, chi mai potrei essere?
– Un obeso vecchio, ridanciano e che veste chiassoso?
– Sono Babbo Natale!
– Ah, quello cui ho bombardato la casa, tempo fa?
– Già – ringhiò Babbo, stavolta un po’ meno di buonumore – Sono venuto qui per ammonirti…
– Anche tu…! Decisamente, oggi non è giornata…
– Sei in grave pericolo, figliolo! I tuoi crimini… Tutti i tuoi misfatti… Non ne senti il peso, sulla coscienza?
Il sire ci pensò su: a dire il vero un certo peso lo sentiva, ma succedeva sempre, dopo aver sbafato varie abbondanti porzioni di pappadretti fritti in agrodolce… ma forse il vegliardo intendeva qualcos’altro, non certo l’imbarazzo di stomaco: – Cos’è che dovrei sentire?
– Dolore, rammarico, pentimento – l’aiutò Babbo.
Occhiata bovina.
– Dispiacere… “Non avrei dovuto farlo”… – insisté Babbo – Con tutto quel che hai combinato in vita tua…!
– E cos’è che avrei combinato, io? – chiese il sire, sinceramente interessato.
Babbo Natale s’impose di stare molto, ma molto, calmo. Contò fino a centoventitré. Prese fiato. Tornò a guardare l’individuo che lo stava fissando con autentica curiosità, e comprese che non aveva compreso nulla.
– Va bene – disse, predisponendosi a portare molta pazienza – Facciamo così: ti farò fare un viaggetto nei tuoi Natali passati, poi in quello presente e infine in quello futuro. Forse allora capirai.
Il sire fece per replicare, ma una pioggia di stelline cadde attorno a loro, e tutto sembrò per un attimo offuscarsi.
I suoi vecchi Natali… in un istante rivide sé stesso, fanciulletto di pochi anni, intento a sostituire le candeline dell’albero con petardi… provò un moto di commozione: com’era piccolo, com’era ingenuo!
Ma poi era cresciuto… si rivide appendere ai rami tante bombette che aveva verniciato di vari colori… e poi, il suo capolavoro, quando aveva collegato tra di loro le ghirlande dell’albero, trasformandolo in una specie di elettroshock a svariate migliaia di watt. Ricordava ancora cos’era successo quando uno schiavo tremebondo aveva premuto il pulsante d’accensione… perché gli schiavi di casa sapevano che alla reggia non poteva esserci un albero di Natale senza una letale sorpresa. Gli strilli di mamma, poi… il salotto devastato, l’albero incenerito, polveri di schiavo ovunque! Già, ma mamma era sempre stata fissata con l’ordine e la pulizia.
Si rivide anni dopo, grandicello, mentre s’aggirava per le regie stanze addobbate a festa: ghirlande di sempreverdi, nastri rossi e oro, palline e lucette colorate… era tutto un po’ deprimente. Meno male che aveva con sé un atomizzatore portatile costruito usando i componenti trovati nella scatola del Piccolo Sterminatore, regalo che aveva ricevuto a Natale. Era divertente: non appena incontrava uno schiavo, gli puntava addosso l’apparecchio, pigiava un bottoncino rosso e zap!, dello schiavo non restava che un mucchietto di polvere scura e puzzolente.
– Ya-barn!!! – questa era mamma – Ancora altri cinque schiavi!
Zap! – Sei.
– Devi smetterla! Ma guarda un po’, polvere dappertutto… il mio bel salotto! Le tappezzerie nuove, i cuscini di seta grigio perla!
– Adesso è grigio schiavo bruciato – osservò amabilmente lui – Ti ho rinnovato il salotto, non sei felice?
– Yabarn, passi per gli schiavi, con tutte le guerre che fa tuo padre di quelli ne trovi quanti ne vuoi… ma le tappezzerie di seta! Costano!
– Gli schiavi non costano cari?
– Ma no, con tutti i prigionieri di guerra… vai al mercato, e in pratica te li tirano dietro.
– Ah, beh, allora… – Zap!
– YABARN!!!
L’immagine si dissolse.
– Ero un bambino vivace – commentò Re Vega, asciugandosi una lacrimuccia.
– Vivace? Eri un mostro! – esclamò Babbo Natale, severo – E non è che crescendo tu sia migliorato.
Re Vega fece il broncio. Era un sovrano dedito allo sterminio e al genocidio; che si pretendeva, da lui?
– Vuoi che diamo un’occhiata a qualche Natale più recente, in modo da vedere in cosa si è trasformato il bambino vivace? – chiese Babbo.
Re Vega alzò le spalle, ostentando un’indifferenza che non provava affatto: in realtà, rivivere i suoi vecchi ricordi gli piaceva immensamente.
Un gesto di Babbo Natale, e apparve una nuova nube di stelline, che si condensò rapidamente in un’immagine che aveva dimenticato da troppo tempo…


La grande sala del palazzo reale di Vega, ancora una volta decorata con albero e lucette. Peccato che sua moglie Telonna avesse preteso di decorare i rami con vere palline e vere ghirlande… niente botti, niente esplosioni. Telonna non aveva mai avuto il minimo senso dell’umorismo, purtroppo.
Era il mattino di Natale: pacchetti colorati erano accatastati ai piedi dell’albero. Rubina, ancora in pigiamino rosa, un dito in bocca per l’emozione, si avvicinò cautamente verso quelle meraviglie. Telonna, avvolta nella sua morbida vestaglia di seta, le indicò quali fossero i suoi doni, e la bimba batté le manine, entusiasta. Poco più in là, Re Vega scorse sé stesso: un sé stesso più giovane e gagliardo.
– Avevi già un’aria criminaloide – osservò severamente Babbo.
– Grazie – si compiacque il sire.
Rubina stava lottando con nastri, fiocchi e carte da regalo, eccitatissima ed impaziente… e poco dopo si ritrovò a guardare desolatamente le minibombe, il piccolo mitra e il cannoncino mignon al plasma che aveva testé estratto da varie scatole colorate.
Più in là, la regina Telonna considerava con una certa diffidenza una fiala infiocchettata la cui etichetta, “Sterminio”, non chiariva molto il suo contenuto. Un profumo fatale, forse?
– Un virus letale – spiegò amabilmente il consorte – Lasciala cadere su un pianeta, e in pochissimo tempo avrai distrutto l’intera popolazione. Un genocidio istantaneo, insomma. Non ti piace?
– No! – sbottò seccamente la regina, riponendo, con molta cura, la fiala.
– Voialtre donne siete incontentabili! – si volse verso la figlia, e la sua più che una domanda fu un’intimidazione: – Tu sarai contenta, almeno!
Rubina trattenne con fatica i lacrimoni che le luccicavano negli occhi: – I-io v-veramente avevo chiesto a B-babbo Natale una b-bambola…!
– Una bambola? – esclamò disgustato il tenero padre – E che te ne fai, di una bambola?
– Ci giocherei…
– Ma che orrore! – Re Vega si volse verso Telonna, lo sguardo pieno di rimprovero: – Ti rendi conto che TUA figlia sta crescendo effemminata?
Le stelline si diradarono.
– …E infatti, così e cresciuta! – sbottò il tenero padre – Con la testa imbottita di sciocchezze come i sentimenti, la pace e la concordia tra i popoli! L’avevo detto a Telonna che quella ragazza sarebbe finita male!
– Immagino che ti abbia dato molti pensieri! – osservò acidamente Babbo.
– Un’infinità! Pensa che avrebbe voluto sposarsi con quel Duke Fleed… un mollaccione incredibile. Bel ragazzo, non si discute, ma non ha nerbo.
– Sbaglio, o quel mollaccione ha dato qualche problema alle tue invincibili armate? – chiese Babbo.
– Hhhhhrumph! …Non c’è altro da vedere? – tagliò corto il sire.
– Come no! – un gesto di Babbo Natale, altre stelline turbinarono… stavolta apparve qualcosa di completamente diverso: prati, fiori, un lago placido, cieli azzurri… un mondo bellissimo ed incontaminato.
– Fleed – borbottò il sire, che non amava molto certe scene bucoliche.
Un istante dopo, bombe, esplosioni, raggi energetici, un autentico inferno.
– Guarda! – Babbo Natale accennò a quel che era rimasto: un paesaggio desolato… rovine ovunque, desolazione spettrale, un silenzio ovviamente tombale – Questo è ciò che rimane di Fleed! L’hai fatto attaccare proprio a Natale! L’hai dimenticato?
– No, come potrei? – esclamò il sire, fregandosi le mani – Che Natale è stato, quello! Strepitoso!
– Strepitoso? – s’indignò Babbo – Ma guarda! Hai letteralmente distrutto un intero pianeta!
– Certo che l’ho distrutto! – si risentì Sua Maestà – Si trattava di un genocidio! E i genocidi, Babbo mio, significano morte e distruzione! …Non è che te ne intendi molto, vero?
– N-no, temo di no, ma… ma che sto dicendo? – si riprese – Tu hai commesso un’atrocità! E proprio a Natale!
Re Vega lo guardò come si guarda qualcuno particolarmente duro di comprendonio: – Certo che ho attaccato a Natale! È ovvio! A Natale, tutti sono occupati a festeggiare e rimpinzarsi: è il momento migliore, per un attacco a sorpresa!
– Ma è orribile…
– E chi ha sostenuto mai il contrario? – Re Vega scosse la testa: – Cambiamo argomento, Babbo. Scusa tanto, ma tu di genocidi non capisci proprio niente.
Babbo Natale non disse nulla: frugò in tasca, estrasse una scatolina, tirò fuori una pillola e l’inghiottì. Guardò meglio il turpe individuo che gli stava di fronte e decise che un solo calmante era un po’ pochino. Due.
– Veniamo al Natale attuale – riprese – Con tutto quel che hai combinato, ormai sei un tiranno odiato e temuto…
– Spero bene! Voglio dire, uno fatica tanto per farsi una reputazione…
Altra pillola.


Link per improperi, insulti eccetera (nessuno che si risenta per Dickens?): #entry567388951
 
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view post Posted on 24/12/2014, 20:45     +1   -1
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Gran finale.

A proposito, sapete cos'ho ricevuto stasera? Un pacco rosso, con una renna bianca e il nastro oro... e indovinate cosa c'è dentro?
Merito di K8-88 (:wub:)... ma mi chiedo se sia un larvato (non troppo) messaggio.


– Che opinione credi che la gente abbia di te? – insisté Babbo.
– Hai detto tu che sono odiato e temuto – gli fece notare il sire.
– Vero. Però preparati, potresti avere qualche sorpresa – un nugolo di stelline, e davanti a loro apparve la stanza da letto di Himika: lei e Rubina, entrambe in vestaglia, stavano chiacchierando amabilmente.
– …un vero imbecille, perdonami se lo dico, cara – disse la regina.
– Imbecille è un termine un po’ blando – sbottò la principessa.
– Ma come si permettono? – scattò il sire – Adesso mi sentono!
– No – gli tarpò le ali Babbo – Non possono sentirti. Non possono nemmeno vederti, o percepirti in qualsiasi altra maniera.
– Cos’hai usato? Un congegno di schermatura?
– Diciamo “Magia del Natale”? – sorrise Babbo.
– Stupidaggini. Non possono sentire me? E perché io dovrei sentire loro?
– Per sapere come la pensino su di te.
– Bah! – sbottò, indignato, ponendosi però in totale ascolto.
– …Voglio dire, è un cretino e un incivile, su questo non ci piove… vuoi un dolcetto, cara? – Himika offrì una scatola a Rubina prima di servirsi lei stessa – Tuttavia, ha un qualcosa di… come dire…
– “Stupido”? – l’aiutò la principessa.
– Volevo dire “tenero”. Non che non sia stupido, beninteso, ma c’è qualcosa in lui che mi ricorda un grosso orsacchiotto di peluche.
– Sarà effetto della barba.
– Può darsi – sorrise dolcemente Himika – Ma anche se è sempre ingrugnito, è così caro… un po’ come un bambino.
– Un bambino che fa i capricci, certo – aggiunse Rubina.
– Bambino? A me? – ululò il sire, mentre la scena spariva in una nube di stelline.
– Dovresti essere felice di quello che hai sentito – rispose Babbo, severo – Tu tratti vergognosamente quelle due donne, eppure loro sono capaci di volerti bene.
– Perché sono sceme!
Pillola.
– Davvero, hai molto più di quel che ti meriti! – sbottò Babbo – Adesso vediamo un poco come la pensano i tuoi uomini…
– Quegli incapaci?
– Quelli che sopportano pazientemente tutti i tuoi scatti di collera – rispose Babbo, facendo apparire la Sala Comando. Gandal, Hydargos e Zuril sedevano attorno al tavolo, una bottiglia in mezzo.
– Oggi era più insopportabile del normale – disse Gandal, versandosi da bere.
– Il che non è poco – osservò Hydargos.
– È l’effetto che gli fa il Natale – intervenne lady Gandal – Lo deprime sempre.
– È da molto che non si controlla la pressione? – chiese Zuril, facendosi passare la bottiglia – Lo vedo piuttosto colorito in faccia…
– Certo, quelle arrabbiature non gli fanno bene – osservò lady Gandal.
– Prima o poi farà un colpo – aggiunse Hydargos, che amava esprimere esattamente quel che pensava.
– Basta che non ci resti secco – tagliò corto Gandal – Avete presente che succederebbe? Ci ritroveremmo sul trono Rubina! Quella vorrebbe subito la pace! Che figura ci faremmo?
– Eh già, dopo tanti anni di onorata guerra… – rabbrividì Hydargos.
Zuril riempì i bicchieri dei colleghi: – Propongo un brindisi. Al nostro sovrano! Che si conservi in perfetta salute!
– Vediamo di non contrariarlo troppo! – esclamò Hydargos.
– Bisognerà portare molta pazienza – sospirò Gandal.
– E comunque, vedremo di consigliargli un controllo medico – concluse Zuril – Non si sa mai, alla sua età…
Nugolo di stelline. Il sire si asciugò di nascosto una lacrimuccia: quei tre lavativi erano in pena per lui… che cari!
– T’ho detto che hai più di quel che meriti! – sbottò Babbo – Adesso, diamo un’occhiata sulla Terra, a casa dei tuoi avversari.
– Beh, quelli mi odiano! – esclamò Re Vega – Ci mancherebbe altro!
– Lo credi davvero? – altro nugolo di stelline.
La sala da pranzo del ranch tutta addobbata con rami verdi e festoni… un grande albero di Natale, tutto luccicante… una tavolata di persone felici e festanti: Rigel che stonacchiava i canti di Natale, Actarus, Alcor e Tetsuya che tentavano inutilmente di evitare di fargli da coro… poi Venusia e Jun che portavano in tavola piatti colmi di delizie, Maria e Procton che chiacchieravano amabilmente. Ai piedi dell’albero erano accatastati tanti pacchetti aperti: Mizar, estatico, non sapeva se dedicare più attenzione a un’enorme scatola di colori, a un libro di mitologia o a dei nuovi pattini a rotelle. Poco più in là Shiro, in mezzo alle carte colorate, frignava disperatamente.
– Ma insomma, che succede? – gli chiese Tetsuya, esasperato – Babbo Natale non ti ha portato i regali?
– Certo che glieli ho portati, che diamine! – esclamò Babbo, risentito.
– Ma ha sbagliato! – singultò Shiro – Io gli avevo chiesto dei videogiochi…
– E questi che altro sono? – chiese Tetsuya, frugando tra le carte colorate e tirandone fuori diversi dischi.
– Io avevo chiesto Supermarco Galattico, ExtraDistruzione e Piccoli Mostri Biancoenero – Shiro tirò su col naso – Ma qui c’è Supermarco Extra Sport, Distruzione Suprema e Piccoli Mostri versione Piombo. Non è quel che volevo! Babbo Natale non ha capito niente! – ragli.
– Una volta era tutto più semplice – gemette Babbo Natale – I bambini chiedevano il trenino, la palla, il meccano, i colori… ma adesso, chi ci capisce qualcosa, con quei videogiochi del c… ehm.
– Ognuno ha le sue difficoltà – rispose Re Vega, comprensivo: stava osservando quella scena di pace e serenità, tutti i suoi avversari totalmente inermi ed impreparati ad un attacco… sarebbe bastata una sola bombetta nucleare…
– Facciamo un brindisi? – propose Procton, mentre Alcor e Jun allontanavano prudentemente Tetsuya dal piagnucolante Shiro.
– Certo! – Venusia prese a distribuire calici e Maria cominciò a riempirli – A che cosa brindiamo?
– Alla fine della guerra? – chiese Jun.
– A Re Vega, possa schiattare? – disse Tetsuya.
– Non è un brindisi molto natalizio – osservò Alcor.
– Però è sincero – rispose Tetsuya – Niente Re Vega, niente guerra.
– Questo è vero! – esclamò Maria.
– Però non è un bel pensiero – Actarus alzò il suo calice – A Re Vega, che viva sano e felice… e che possa comprendere che la guerra è qualcosa di orribile.
– A Re Vega – dissero tutti.
– Visto? – chiese Babbo all’allibito sire – Questi sono i tuoi avversari… e anche in questo momento, hanno pensato a te!
Stavolta, il sovrano era davvero colpito: questa proprio non se l’era aspettata.
Non disse una sola parola, mentre Babbo faceva sparire tutto in una miriade di stelline.
– Cosa succede, ora? – chiese.
– Hai visto il Natale presente – rispose Babbo – Adesso ti mostrerò quale potrebbe essere il tuo Natale futuro, se finalmente accetterai di ravvederti.
Altre stelline… altro Natale… rivide subito i visi radiosi di Himika e Rubina, intente entrambe ad aprire pacchetti colorati… un bellissimo vestito azzurro per Rubina, accompagnato da una collana d’oro… una parure di diamanti per Himika, con un bigliettino a forma di cuore “Vuoi sposarmi?”.
– Oh, amore mio! – Himika gli gettò le braccia al collo – Certo che voglio! Quando…?
– Decidi tu la data – rispose lui.
– Allora… presto?
– Molto presto sì! – e non poté dire più niente, perché lei aveva dato il via ad un bacio appassionatissimo e staccalabbra.
Nugolo di stelline… i suoi uomini tripudianti all’idea di quelle nozze. Brindisi, felicitazioni, Zuril gli strinse la mano, Gandal gli diede una pacca sulla spalla, Hydargos si cavò di tasca un fazzoletto e scoppiò in singhiozzi “i matrimoni mi emozionano sempre…”
– Ugh – gemette il sovrano.
– Commovente, vero? – disse Babbo, estatico – Adesso vediamo il Natale futuro di quelli che consideri i tuoi nemici.
Stelline… ancora la sala, l’albero, i festoni… tutti felici, tutti sorridenti, anche Shiro… e in mezzo lui stesso, con un calice tra le dita.
– Un brindisi al nostro carissimo ex avversario! – esclamò Alcor.
– Evviva la pace! – disse Actarus.
– Ti ho sempre ritenuto una vecchia carogna – gli disse Tetsuya, molto diplomatico come sempre – Sono felice di essermi sbagliato.
– Carogna? – s’indignò Rigel – Re Vega è il nostro più caro amico!
– Possiamo darti un bacio? – e Jun gli stampò un bacetto su una guancia, mentre Venusia gli baciava l’altra.
– Che Natale meraviglioso! – concluse Maria – Er… posso chiamarti zio Yabby, vero?
– …Zio Yabby…? – ansimò il sire, mentre Babbo Natale faceva sparire tutto attorno a loro – Ma… succederà tutto questo?
– Sicuramente – rispose Babbo – Avrai un futuro radioso, di cui questo è solo un piccolo saggio… ma bada bene, dovrai pentirti delle tue malefatte, e porvi rimedio! Pentiti… pentiti…
Un’ultima pioggia di stelline.


Si rialzò a sedere di scatto: la sua stanza, la regale trapunta, il suo pigiama azzurro a tibie incrociate… il libro…
Era stato tutto un sogno…?
SAPEVO che ieri non avrei dovuto mangiare tutti quei pappadretti fritti in agrodolce…
Un incubo, dunque? Si grattò pensosamente la zucca, tiracchiò la barbaccia, stirò le membra. Natale… ora dei regali.
Scese dal letto, infilò le regie pantofole, quelle color fegato che Rubina gli aveva donato uno o due Natali prima e ciabattò verso la sala, dove trovò figlia e fidanzata che l’avevano aspettato per dare il via all’apertura dei pacchi.
Saluti, auguri, richiesta di un bacetto da parte della fidanzata (“Manco morto!”). Senza una parola, il sire spinse con un piede una scatola verso Rubina; poi prese un pacchetto e lo scaraventò ad Himika, che mancò poco lo prendesse in faccia.
Occhiata rassegnata tra le due donne: sapevano che poche cose come il Natale mettevano di malumore il loro caro. Meglio passare all’operazione-doni.
Re Vega scartò subito i suoi pacchetti: a parte la solita arma da distruzione di massa preparatagli dai suoi uomini (che cari), trovò un paio di pantofole verde bile da parte di Rubina (bleah!) e una bottiglietta nera di profumo supersexy Macho-Macho da parte di Himika (bleah! due volte).
Rubina aprì la sua scatola e sospirò: un bazooka superleggero. Fantastico.
Una vera sorpresa fu il regalo per Himika: a dire il vero, fu già una sorpresa il fatto che il sire di Vega avesse preparato un dono per la sua fidanzata. Un pacchettino piccolo, incartato con cura… sembrava un regalo uscito da un negozio elegante. Trepidante, Himika scartò il pacchetto e ne estrasse un qualcosa in seta della miglior qualità, finissimamente ricamato, ornato da pizzi e nastri di raso… costosissima lingerie, forse…?
Un esame più approfondito le fece capire la vera natura dell’oggetto: un bavaglio. Di quelli che proprio tappano la bocca e impossibilitano a parlare e, perché no, pure a respirare.
– Ah-ha, molto spiritoso.
– Ero incerto tra quello e un bagnoschiuma al vetriolo – rispose il sire, acido – Ma il bavaglio mi è parso più originale. Adesso devo andare!
– Vai via? – esclamò Rubina – Ma papà, e il pranzo…?
– Non ho tempo! – uscì di corsa, lasciando le due donne allibite a guardarsi in faccia.
– Oh, che bel Natale! – sbottò Himika.
– Vedrai che poi torna, un buon pranzo non se lo perderebbe mai – la consolò Rubina.
– Magari, se siamo fortunate, ci si strozza, persino – concluse Himika.


In Sala Comando, Gandal e Zuril chiacchieravano amabilmente, un piattino di biscotti tra di loro, mentre Hydargos arrivava con un vassoio con tre tazze fumanti.
– Ma che succede, qui? – sbottò il sire, apparso improvvisamente sulla soglia – Dolci, bevande? Siamo impazziti? Al lavoro!
– Ma sire – pigolò Gandal – è Natale…!
– Appunto! Il momento migliore per programmare un attacco! Datevi da fare, pelandroni! – e uscì a tutta velocità.
Aveva qualcosa di urgentissimo da fare.


La sala del ranch, l’albero luccicante, i festoni… tutto come Babbo Natale gli aveva fatto vedere.
Rigel che stonacchiava, Venusia e Jun che servivano i dolci, Mizar intento a guardare i regali… e in un angolo sedeva l’infelice Shiro, che singhiozzava disperatamente. Re Vega non ebbe la minima esitazione: spalancò la portafinestra che dava sul giardino, entrò accompagnato da una folata di nevischio, raggiunse in due passi il singultante fanciullo e gli appioppò un manrovescio che gli fece voltare la faccia.
Poi pensò bene di allungargli un secondo ceffone anche sull’altra guancia, così, per riequilibrare il tutto.
Con la pace nel cuore andò verso la porta, sotto lo sguardo attonito ed inorridito dei presenti. Unico tra tutti, un uomo solo ardì pararsi tra il sovrano e l’uscita.
– Hai osato picchiare un bambino! – esclamò Actarus, indignato.
La bocca del sire di Vega si rialzò verso le orecchie in un sorriso beato: – Sì.
– Vergogna! Come hai potuto fare una simile mostruosità?
– Così – e sferrò il regale diretto; colpito alla mascella, Actarus barcollò e cadde all’indietro.
– Ehi, come ti permetti di picchiare mio fratello? – gridò Maria, andando ad affrontare impavida il sire; e questi, cui evidentemente non andava di compiere disparità tra parenti, le ammollò uno sberlone che la fece ruzzolare addosso ad Alcor.
A questo punto si fece avanti Tetsuya: – Ehi, quello è mio fratello Alcor. Solo io posso metterlo al tappeto!
Re Vega era un grande conoscitore di caratteri. Trovarsi davanti Tetsuya inferocito e comprendere d’aver di fronte un avversario ben più temibile dei precedenti fu un tutt’uno: fu per questo che senza por tempo in mezzo lo gratificò di una pochissimo elegante ginocchiata in piena area di rispetto.
Urli indignati dei presenti, strilli di Venusia e di Jun (quest’ultimo molto accorato), schiamazzi di Rigel: su tutto, echeggiò il pianto disperato di Shiro. Con un gesto colmo di grazia il sovrano si tolse la corona eseguendo un perfetto saluto, prima di uscire chiudendo accuratamente la porta dietro di sé.
Come si sentiva bene!


Rientrato su Skarmoon, il cuore che era tutto un canto di gioia, il sire ricordò d’avere qualcos’altro di molto, molto importante da fare.
Si precipitò nella Sala Centrale, rispose con un grugnito al saluto dei suoi accoliti e azionò dei comandi. Un cannone al vegatron venne puntato…
– Uh…? Vostra Maestà…? – disse Gandal, titubante.
– Sire! – esclamò Zuril – Ma state puntando…
– … il Polo Nord! – completò Hydargos.
– Appunto! – e il sovrano fece partire una cannonata, poi una seconda e già che c’era pure una terza e una quarta di rinforzo. Vecchio impiccione, avrebbe imparato a non portargli più certi libri dell’orrore!
Adesso sì che si sentiva davvero in pace.


Babbo Natale fissava attonito i resti di quella che era stata la sua casa… la fabbrica dei giocattoli… pezzi di slitta, renne ed elfetti erano sparpagliati tutt’attorno…
– Te l’avevo detto che era irrecuperabile – disse dietro di lui la Befana.
– Eeeeh – fu tutto ciò che Babbo riuscì ad articolare.
– Ma cosa t’è venuto in mente di mandargli quel libro e di fargli fare quel sogno!
– Ma… io credevo…
– Lo so cosa credevi, povero stupidone – la Befana sembrò raddolcirsi – Sempre a trovare il buono anche nelle carogne più incallite… ti sei convinto, ora?
– …Direi…!
– Non pensarci, su – la Befana lo prese per un braccio, tirandoselo dietro – Vieni. Ti faccio una tazza di cioccolata, hm? Con la panna. E magari, qualche biscottino speziato.

FINE


Link per contumelie destina<te dai pro-Dickens: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2145#lastpost
 
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Un vecchiume natalizio che risale al 2009 e che non mi parte d'aver postato - se non altro, non nella mia gallery.

Godz aveva chiesto di scrivere qualcosa sui telefilm anni '70-'80, possibilmente parlando del Natale, ed ecco la prima parte del risultato. Domani vedo di postare la seconda.


NATALE IN CASA ADDAMS

– Gomez, che idea meravigliosa hai avuto! – esclamò Morticia.
– Mi era parso carino invitare i nostri colleghi della TV per un party di Natale – rispose il marito – E che splendido lavoro hai fatto tu, querida… gli addobbi di questa stanza sono sensazionali! – pre-se una mano della moglie e la baciò focosamente, ricordandosi per fortuna di togliersi il sigaro di bocca.
Morticia alzò gli occhi verso il soffitto, da cui pendevano ghirlande e ghirlande di cipresso infioc-chettate con nastri neri bordati d’oro – Gomez, caro, ne sei sicuro? Pensi che queste decorazioni siano davvero appropriate?
– Querida, certo che sì! Cosa c’è, hai paura che il cipresso non vada bene?
Colta da un legittimo dubbio, Morticia corrugò la fronte: – Caro, forse i nostri ospiti avrebbero preferito l’abete. È più tradizionale.
– È banale e scontato, lo usano tutti! Ma in fondo, anche il cipresso è un sempreverde, no?
– Forse hai ragione – Morticia parve rasserenarsi: ma sì, i cipressi erano alberi che mettevano il buonumore solo a vederli… e poi, Gomez gliene aveva portato a casa intere bracciate, un paio di giorni prima. C’era stata una grande disponibilità di cipresso, visto che al vicino cimitero avevano appena cominciato la potatura. – Pensi però che i nastri vadano bene, caro?
Gomez parve molto sorpreso: – Credi che qualcuno abbia a ridire sul fatto che sono neri?
– No, il nero è un colore così elegante… il problema è il bordo d’oro. Non pensi che sia troppo frivolo?
– Forse sì – ammise Gomez – Ma ormai non è più il caso di pensarci, i nostri ospiti stanno per ar-rivare. Dov’è lo zio Fester?
– Eccomi qui! – Fester si fece avanti portando un enorme pupazzo vestito di rosso; ad un esame più approfondito, ci si accorse che rappresentava un fantasma vestito da Babbo Natale: – Ho portato anch’io la mia decorazione per la festa! Che ve ne pare?
– Molto bello, zio Fester – disse Morticia – Ma scusa… che cosa dovrebbe rappresentare?
Lo zio parve un po’ seccato da una simile domanda: – Morticia… ma è lo Spirito Natalizio!
– Stanno arrivando gli ospiti! – Pugsley e Mercoledì giunsero portando grandi vassoi colmi di ra-gni fritti e ali di pipistrello candite preparati personalmente da Mammà, che quel giorno stava fa-cendo gli straordinari in cucina.
Sul tavolo trasformato in buffet era stata posta una tovaglia nera ricamata in argento; candele viola gettavano una luce spettrale sui grandi volatili arrosto che facevano bella mostra di sé. Tutt’attorno, vassoi colmi di squisitezze che andavano dai grugni di tapiro farciti alle uova di coccodrillo glassate al miele.
Morticia e Gomez guardarono dalla finestra. Automobili, motociclette e persino qualche cavallo stavano posteggiando proprio dietro casa Addams; dal cielo scesero aquile lunari, astronavi, un robot gigantesco e persino un raggio teletrasportatore.
– Mi sembra che siano tutti – esclamò Morticia, soddisfatta.
La porta si spalancò e una vera e propria fiumana di gente irruppe all’interno; Lurch ebbe un gran daffare per strappare i cappelli dalle teste di tutti i loro ospiti, ma da quel lavoratore coscienzioso che era riuscì nell’impresa, anche se alcuni invitati ebbero di che ridire. Sentendosi sottrarre violen-temente il casco dalla testa Tetsuya esclamò qualcosa di poco parlamentare, e Kojak strappò di mano a Lurch il proprio cappello; impassibile, il maggiordomo agguantò il copricapo, il poliziotto tentò di resistere e dopo un breve tira tira il domestico ebbe partita vinta.
Per qualche istante fu tutto un susseguirsi di saluti e convenevoli, poi gli ospiti si riversarono nella sala. Con gran disappunto della moglie Mildred, George puntò deciso al divano di casa; Candy e Remi cominciarono da subito a guardarsi in cagnesco, mentre il capitano Kirk restava imbambolato a fissare le tre Charlie’s Angels, semplicemente sensazionali nei loro miniabiti natalizi rossi bordati di pelliccia bianca. Lupin, il terzo a portare un simile glorioso nome, s’aggirava tra gli ospiti, oc-chieggiando le signore presenti.
La porta s’aprì un’ultima volta e finalmente entrò lui: l’odioso degli odiosi, il più insopportabile cattivo del piccolo schermo, J.R. Ewing in persona, con tanto di stivaletti da cowboy, completo im-peccabile blu, sorriso di circostanza e stetson in testa – quest’ultimo scomparve subito, agguantato prontamente dall’inarrestabile Lurch.
In un angolo, Candy e Remi stavano elencando le proprie disavventure, enfatizzandole opportu-namente. Erano due orfanelli sventurati, tanto buoni, commoventi e strappalacrime: in quel momen-to, si odiavano a morte.
Non molto lontano da loro, anche due adulti stavano aprendo le ostilità.
– Le nostre avventure sono sensazionali, è innegabile – apparentemente, il capitano Kirk stava parlando ad un invitato, ma in realtà le sue parole erano dirette a John Koenig, comandante della Base Lunare Alpha, che poco più in là non perdeva una sillaba – Noi esploriamo pianeti, viaggiamo attraverso le galassie, giungiamo là dove nessun uomo è mai giunto prima…
– Non mi dire…! – esclamò il suo interlocutore.
– E noi, allora? – intervenne ruvidamente Koenig, che non ne poteva più di star zitto davanti a tanta provocazione – Anche noi viaggiamo nello spazio!
– Solo perché vi trovavate sulla Luna quando è stata bocciata via dall’orbita terrestre – rispose Kirk, condiscendente – Mentre noi…
– Appunto, noi siamo stati costretti a vivere le nostre avventure, che se mi permetti sono decisa-mente drammatiche…
– Non litigate – tentò di metter pace il loro interlocutore.
Kirk fece un sorrisetto di sufficienza: – Koenig, dici di vivere avventure drammatiche… e indossi quella specie di pigiamino con la manica colorata? Ma per piacere!
– Parli tu! – rispose Koenig, dardeggiando fiere occhiate sull’uniforme gialla di Kirk – Vi manca solo l’orsacchiotto, e siete pronti per andare a nanna!
Spazientito, Kirk afferrò l’avversario per il bavero del pigiamino… pardon, della tuta, Koenig fece altrettanto, e subito il loro interlocutore s’intromise, separandoli.
– Le uniformi non sono così importanti – esclamò – Non credo che sia il caso di litigare per questo.
– Infatti! Noi litighiamo per capire chi è il migliore! – puntualizzò Kirk.
– Comunque, quel che conta è chi ha avuto gli episodi più avventurosi! – sbottò Koenig.
– Ma… – cominciò l’altro, venendo subito zittito da entrambi i comandanti.
– Scusa, ma tu non puoi capire – disse Koenig.
– Noi abbiamo viaggiato nello spazio, sai – si premurò d’informarlo Kirk.
– Ce la vedremo tra noialtri navigatori del cosmo – concluse Koenig.
– Molto bene, allora è meglio che un profano come me lasci che discutano due viaggiatori interga-lattici come voi – e Harlock s’allontanò ghignando.


Tenendosi stretta al cuore la sua bambola senza testa, Mercoledì continuava a guardare una delle invitate, una bellissima donna alta e bionda. Alla fine la bambina non resistette e si fece avanti.
– Ciao, io sono Mercoledì – alzò il giocattolo – E questa è la mia bambola preferita.
La donna era un animo forte e non batté ciglio alla vista di quella pupattola senza testa – Ciao, Mercoledì. Che bella bambola… come si chiama?
– Maria Antonietta!
– Oh – rispose lady Oscar.


Quella festa stava rivelandosi una vera noia. J.R. girellò per la sala con fare scocciato, allentando qualche gomitata qua e là giusto per non smentire la meritata fama di colossale carogna; adocchiò poi una bottiglia posta su uno scaffale e vi puntò deciso. Chissà che non fosse un buon bourbon… o almeno un brandy d’annata.
Non c’era etichetta; J.R. tolse il tappo, e subito una nuvoletta rosa si sprigionò dalla bottiglia, condensandosi in Jeannie, con tanto di pantofoline orientali, pantaloni da odalisca e lunghissime ci-glia frementi.
– Grazie d’avermi aperto, padrone! – esclamò, giuliva.
– …Padrone…? – ripeté J.R., che non era sicuro d’aver capito bene.
– Ma sì… Tony! Ma che ti è successo? Sei così… così diverso…
– Diverso in che senso?
– Sembri più… più vecchio. Sì, molto più vecchio.
Vecchio… J.R. ebbe come un mancamento. Proprio in quel momento, Lupin lo urtò inavvertita-mente, pestandogli un piede.
– Ehi, sta’ un po’ attento! – sbottò J.R., risentito.
– Scusa, amico, non l’ho fatto apposta – Lupin fece un ampio sorriso canagliesco, prima di voltarsi per puntare verso il buffet.
– Fermo là, bello! – rapidissimo, Kojak afferrò Lupin per un polso e gli torse il braccio dietro la schiena: – Adesso sputa la grana!
– Quale grana? – chiese J.R.
– La tua grana, tesoro. Questo bel tipo ti ha fregato i verdoni sotto al naso.
– Ma io non ho fatto niente! – cominciò Lupin; s’interruppe vedendo arrivare come una sola donna i tre Angeli di Charlie.
Fu un attimo: Kelly e Jill lo afferrarono inchiodandolo al muro, e Sabrina cominciò a perquisirlo: impiegò pochi secondi per recuperare il portafogli, ancora pieno, che restituì allo scocciatissimo J.R.
– Ma come, bella, hai già finito di perquisirmi? – esclamò Lupin, profondamente deluso – Se vuoi continuare la caccia al tesoro, il premio migliore è ancora lì, al suo posto… basta che tu mi metta le mani addosso.
– Piantala, furbone – Kelly si fece dare da Kojak un paio di manette e bloccò i polsi di Lupin.
– Adesso andiamo a farci un giretto – disse Jill.
– Sono tutto vostro! – giubilò Lupin – Signore, fate di me quel che volete! Fatemi TUTTO!
– Tutto? – chiese Sabrina.
– Tutto tutto? – domandò Jill.
– Tutto tutto tutto? – chiese a sua volta Kelly, la voce che era un sussurratissimo invito.
L’immagine fuggevole di Fujiko passò rapidamente nella mente di Lupin… ma Fujiko era una bella donna, e queste erano tre. C’è una bella differenza.
– Tutto quel che volete! – esclamò, giulivo.
– Benissimo! – e con un unico movimento perfettamente sincronizzato, le tre angeliche creature spedirono Lupin dritto nelle grinfie di Kojak – È tutto suo, tenente.
– Grazie, bellezze! – Kojak l’afferrò e prese a tirarselo dietro – Andiamo, Manolesta! Ho giusto una cella vuota da riempire.
– No, un momento – cominciò Lupin – Io non intendevo…
– Avevi detto “tutto” – sorrisi radiosi e voce da Celeste Empireo, le tre Charlie’s Angels lo saluta-rono mentre Kojak, recuperato finalmente il suo cappello, lo strattonava bruscamente via.
Nessuno fece caso alla partenza di Kojak e relativo prigioniero, erano tutti troppo occupati a chiacchierare, litigare o semplicemente cercar di capire se le squisitezze preparate sul buffet fossero commestibili o meno.
In un angolo si ergeva un grande cipresso decorato con nastri neri e costellato da una miriade di candeline viola cupo; con certosina pazienza, Mano le stava accendendo una ad una, e le fiammelle gettavano una lugubre luce tutt’intorno.
– Quell’albero è molto resinoso – osservò Mildred – Con quelle candele potrebbe incendiarsi!
– Magari…! – esclamò festosamente Gomez.
– Con un po’ di fortuna… – aggiunse placidamente Morticia.
– Hai sentito, George? GEORGE! – ululò Mildred, furiosa nel vedere il pigrissimo marito spro-fondato in un divano, intento a guardare la TV. Era la televisione di casa Addams, cioè completa-mente priva di valvole, tubo catodico eccetera, ma per George andava benissimo pure quella.
– Hai urlato qualcosa, cara? – chiese lui, imperturbabile.
– Ma George, durante la festa non puoi stare a guardare la TV!
– Perché no? Mi rilassa. E poi è sempre meglio quello che dicono alla TV di quello che dici tu.
– Ma quella TV è rotta, non dicono niente…
– Appunto!
– GEORGE!!!

- continua -

Link per darmi della dissacratrice: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2160#lastpost
 
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Seconda ed ultima parte dell'orrendo party in casa Addams...

Nel loro angolo, Candy e Remi stavano frignando a più non posso, nell’evidente intenzione di stabilire chi tra loro due fosse meritevole del titolo “Cartone Più Lacrimevole”; J.R., che i bambini non li amava nemmeno in fotografia, allungò uno sberlone ciascuno: – Ecco. Così, almeno, piange-rete per qualcosa!
Compiuta una delle sue molte malefatte quotidiane, sentendosi in pace con la propria pelosa co-scienza J.R. provò il desiderio di fare qualcosa di veramente insolito, così, tanto per vincere la noia. Fu per questo che ebbe un rarissimo impulso di bontà (a Natale poteva capitare pure a lui!) e disse qualcosa di gentile alla padrona di casa: – Non erano male, quei tacchini.
Morticia sbarrò gli occhi, inorridita: – Tacchini?!
– Autentici condor delle Ande, farciti con erbe aromatiche – spiegò premurosamente Gomez.
– È una ricetta speciale di Mammà – aggiunse Morticia – Usa delle erbe che coglie personalmente.
– Oh sì, la palude ne è piena – completò Gomez.
– Dov’è il bagno? – rantolò J.R.


Ormai, Candy e Remi stavano rotolandosi a terra nel vano tentativo di distruggersi l’un l’altro; per quanto ce la mettessero tutta, entrambi appartenevano alla categoria Protagonista Rognato, per cui tutti i loro sforzi non approdarono ad un granché. Tutto quel che facevano era in pratica strillare e fare una gran confusione.
– Come dico sempre – commentò Cliff Robinson, guardandoli e scuotendo la testa – è infinita-mente meglio far nascere cento marmocchi che crescerne uno solo.
Andò poi alla finestra per dare un’occhiata fuori, scostò distrattamente le tendine di pizzo nero e notò qualcosa che decisamente non gli tornava: – Ehi, di chi è il Goldrake qua fuori?
– È mio – sbottò Tetsuya, seccato – E non è Goldrake, è il Grande Mazinga.
– A questo punto, Goldrake o Mazinga fa un po’ lo stesso – rispose Robinson.
– Lo stesso? – s’indignò Tetsuya.
– Io comunque non credo che fare i fanghi di bellezza migliori molto l’aspetto d’un robot.
– Quali fanghi? – colto da un orrendo sospetto Tetsuya si precipitò alla finestra e subito esplose in un’esclamazione decisamente non da fascia oraria protetta; corse fuori di casa, subito seguito da praticamente tutti i presenti.
Uno spaventoso spettacolo si presentò loro.
Il Grande Mazinga era sprofondato quasi per intero nella palude: solo la testa ne emergeva, ed era evidente che entro breve anche quella sarebbe scomparsa. Tetsuya prese a lanciare selvaggi ululati: gli era stato raccomandato di parcheggiare il robot proprio nella palude, e lui si era fidato! E ora…?
– Ma Gomez – disse Morticia – Sei stato tu a dirgli di mettere Mazinga nella palude?
– Certo, querida – rispose soddisfatto suo marito – È un robot molto ingombrante, nella palude c’è un sacco di spazio.
– Ma mio caro, la palude è composta di sabbie mobili!
Gomez parve considerare la cosa: – In effetti mi ero dimenticato di questo particolare.
– Il mio Mazinga! – urlò Tetsuya – Tra pochissimo sarà scomparso!
– Esattamente tra tre minuti e cinquantasei secondi – l’informò premurosamente Spock.
Normalmente, Tetsuya sarebbe esploso in termini invero poco gentili; in quel momento, si sentiva distrutto, e non poteva far altro che fissare il suo robot che spariva sempre più… sempre più…
Tutti erano immobili attorno a lui, costernati, osservando impotenti il gigante di metallo che af-fondava… e fu allora che si udì la voce tranquilla di Fonzie: – Ragazzi, invece di star qui a guardare io direi di tirare quel coso fuori dal fango.
– Sono perfettamente d’accordo, signore – rispose Spock – Forse voi siete in grado di estrarre il Grande Mazinga dalle sabbie mobili?
– Io no – Fonzie fece schioccare il pollice verso Jeannie – Ma lei sì.
Spock inarcò un sopracciglio: – Interessante.
– Davvero, puoi farlo? – chiese trepidante Tetsuya.
– Ma certo che posso – rispose Jeannie, che non s’aspettava tanta meraviglia: in fondo, lei era un genio, no? Battè le ciglia, e subito il Grande Mazinga guizzò fuori dal fango, restando sospeso a mezz’aria sulle loro teste.
– È molto sporco – osservò Morticia.
– Non potresti metterlo a nuovo? – chiese Gomez.
– Subito! – Jeannie battè ancora le ciglia: una pioggia di schizzi di fango ricadde sui presenti, e un istante dopo il Grande Mazinga era tornato perfettamente pulito e luccicante. Con un aggraziato vo-lo, il robot atterrò, posandosi stavolta sulla terraferma. Un nuovo battito di ciglia, e dalle braccia aperte del robot ricaddero ghirlande e ghirlande di lucette multicolori.
– Così è più natalizio – commentò soddisfatta Jeannie.
Tetsuya masticò amaro: non gli pareva serio che il suo mortale robot, funesta macchina da guerra, si fosse trasformato in una sorta di gigantesco albero di Natale, ma comunque non era il caso di guardar tanto per il sottile, e… e…
Vacillò, tese un dito tremante verso il robot: – Cosa… cosa gli hai fatto?
– L’ho rimesso a nuovo – rispose quell’incosciente di Jeannie – Adesso è lustro e scintillante.
– Troppo scintillante! – Tetsuya ebbe come un mancamento – Che hai fatto alla sua vernice?
– Niente. L’ho solo rivestita di glitter. Non vedi come luccica bene?
Tutti guardarono Mazinga: sembrava completamente cosparso di lustrini… al suo confronto, una livrea da circo sarebbe parsa sobria e discreta. Qualche sghignazzata cominciò a levarsi dal gruppo.
– Sei stata molto gentile – disse Tetsuya, sforzandosi di parlare ancora con voce umana – Ora però potresti togliere quei dannati glitter?
– Mi spiace – Jeannie si strinse nelle spalle – Non posso farlo.
S’allontanò con calma, ignara del fatto che Tetsuya era stato sul punto di commettere un genicidio. Quanto all’infelice pilota del Grande Mazinga, sospirò pensando che avrebbe passato i giorni successivi a ridipingere il suo robot… non avrebbe potuto presentarsi così in battaglia, non sarebbe stato serio! Se l’avessero visto così, i mostri di Micene sarebbero morti dal ridere – e uccidere dalle risate il proprio nemico non è degno d’un serio guerriero.


Rientrati che furono nella sala, gli invitati ripresero a ridere e chiacchierare; all’esterno erano ri-masti solo Pugsley e Mercoledì, che avevano cominciato a far scoppiare razzi e petardi.
Un’improvvisa esplosione spaventosa scosse la casa fin dalle fondamenta.
– Questa è Mammà – commentò dolcemente Morticia.
– Deve aver dato fondo alle mie scorte di dinamite – Gomez prese a sgranocchiare un’ala di pipi-strello.
– Poverina, ha tanto faticato per questa festa, è giusto che abbia i suoi piccoli divertimenti – con-cluse Morticia.
In un angolo s’era creato una sorta di complessino: Spock aveva cominciato a pizzicare la sua arpa vulcaniana, Harlock stava suonando la sua ocarina, Lurch si era messo al clavicembalo. Morticia non resistette e cominciò ad eseguire i suoi più spericolati gorgheggi. Stavano eseguendo una canzone natalizia… una diversa per ciascuno. L’insieme era melodioso ed incantevole – secondo il metro Addams, si capisce.
Il capitano Kirk e il comandante Koenig stavano continuando a confrontare le rispettive avventu-re, denigrando bassamente le imprese altrui ed esaltando le proprie. Candy e Remi, vista l’inutilità di cercare di sopprimersi l’un con l’altro, si voltavano ostentatamente le spalle tenendosi il muso. Fester girava per la sala tenendo in bocca la spina d’una collana di lucine, che scintillavano come un’aureola multicolore sul suo lucido cranio pelato. Lady Oscar, fatta segno di esplicita ammirazione da parte di J.R. (leggi: palpata sul fondo dei pantaloni) aveva estratto la spada ed affettato la cravatta dell’importuno. Accomodatosi accanto a George, Cliff Robinson continuava a sparare battute a raffica, ignorando le sarcastiche frecciate del suo interlocutore. Seduto in mezzo alle tre Charlie’s Angels, ignaro d’aver destato tanta ammirazione in quei cuori femminili, Tetsuya stava descrivendo, con abbondanza di particolari, lo scontro più cruento da lui sostenuto contro i mostri di Micene. Su tutto, di tanto in tanto svettava, inconfondibile e squillante, la voce di Mildred: – Oh, GEORGE!!!


Esasperata dall’insopprimibile pigrizia del consorte, Mildred si ritirò in un angolo. Era così afflitta… aveva tanto atteso quella festa, un invito degli Addams non si riceve certo tutti i giorni! Aveva anche studiato con tanta cura il look: si sentiva molto affascinante, con la camicetta in lamè dorato, la gonna color fiamma e gli orecchini a forma di enormi stelle di Natale… sperava che la sua mise avrebbe attizzato antiche, dimenticate braci… ma da George non c’era da aspettarsi le vampe della passione.
Nemmeno un misero focherello, che dico? un cerino. Niente.
Che tristezza…
– Hey! Un broncio simile alla festa di Natale? – Fonzie fece il pollice verso – Così non va bene, tesoro.
Mildred si soffiò il naso nel suo fazzoletto taglia lenzuolo: – È tutta colpa di George, mio marito… Mi trascura, non fa che starsene su quel dannato divano a guardare quella dannata Tv… una moglie ha bisogno di qualcos’altro, di tenerezza, complicità, sesso… ehm, attenzioni. Ma non c’è nulla che possa smuoverlo… nulla! Calma piatta. Tutto dorme, niente si sveglia. – tirò su col naso, rifletté un istante ed aggiunse: – Ammesso che poi ci sia ancora qualcosa che possa svegliarsi!
Fonzie, cuore d’oro di vero cavaliere sotto il rude aspetto da duro, non resistette: – Io un’idea ce l’avrei…
Cinque minuti dopo, George vide con profondo disgusto la moglie farsi avanti, un oggettino dora-to tra le mani: – Cosa vuoi, ancora?
– Solo darti questo – lei gli consegnò l’oggetto prima di voltarsi ed andare ostentatamente verso la porta d’ingresso, dove l’attendeva Fonzie; salutati i padroni di casa, i due uscirono.
Un rombo, e la Harley di Fonzie li portò via, verso un radioso futuro.
George, ammutolito, si guardò svagatamene in giro: – Ma che significa? Dov’è andata?
Cliff Robinson gli tolse di mano ciò che gli aveva dato Mildred: era un cerchietto con due corna dorate da renna. Senza una parola, le infilò sulla testa di George: – Posso sbagliarmi, ma queste sono un larvato messaggio.


Dopo aver vomitato con comodo ed essere riemerso finalmente dal bagno, e dopo aver inutilmente manifestato a Lady Oscar la propria ammirazione, J.R., con al collo quel che restava della sua costosa cravatta, cominciò a chiedersi perché avesse accettato l’invito.
C’erano tre cose sole che potessero interessarlo: il potere, i soldi e le donne.
Quel party natalizio e il potere avevano ben poco da spartire.
Circa il denaro, i presenti erano quasi tutti più o meno spiantati, per cui c’era ben poco da sperare anche in questo campo.
Quanto alle donne, la faccenda era diversa. La spadaccina alta e bionda era notevole, ma decisamente da prendere con le molle. I tre bocconcini vestite da Babbo Natale erano monopolizzate da quel tizio con la tuta spaziale, quel tal Tetsuya; restavano comunque altre femminucce interessanti… ad esempio, la genietta non era affatto male.
Deciso a darsi da fare, J.R. si guardò rapidamente in giro: seminascosta in un angolo, scorse una grande bara nera decorata da alcune violacee candele semisciolte. Per quanto J.R. fosse un tipo aperto ad ogni esperienza, non aveva mai pensato ad una bara come location per un amoroso téte-a-téte; e l’idea lo stuzzicò immediatamente. Puntò dritto su Jeannie, che stava mordicchiando con cau-tela uno scorpione inzuccherato, l’acchiappò per un braccio e, da vero uomo che non deve chiedere mai, la trascinò dentro nella bara chiudendo il coperchio.
Per qualche secondo vi fu un certo trambusto; poi lei schizzò fuori dalla cassa, guance in fiamme e vestiti in disordine. Jeannie si ricompose, assunse un’aria molto dignitosa e a testa alta tornò in mezzo alla folla.
Nella bara regnava il silenzio più completo.


Gli ultimi saluti s’intrecciarono, astronavi, motociclette, automobili e cavalli ripartirono riportando via tutti gli ospiti; finalmente soli nella loro casa così improvvisamente silenziosa, Morticia e Gomez caddero stremati su due poltrone.
– Una festa molto riuscita, anche se quest’anno non s’è incendiato l’albero – commentò Gomez, soddisfatto.
Morticia non rispose, corrugando la fronte.
– Querida! Che cosa succede? – si preoccupò lui.
– Ho l’impressione di non aver più visto uno dei nostri ospiti – mormorò lei, assorta – C'est étrange…
– Trishi! Hai parlato francese! – con un unico balzo Gomez raggiunse la moglie cadendo in ginocchio ai suoi piedi, le afferrò un braccio e cominciò a baciarle la mano, il polso, l’avambraccio, seguendo un percorso ormai abbondantemente collaudato; fu proprio allora che arrivò Lurch, con un oggetto in mano.
– Rimasto cappello – brontolò, mostrando lo stetson.
– Non era di quel cowboy? – domandò Gomez.
– J.R. Ewing – confermò Morticia – Lurch, sei sicuro che non sia qui in casa da qualche parte?
– Ho capito – Gomez si alzò aggiustandosi il vestito – Vado nello scantinato a controllare la vasca degli alligatori di Mammà. Non sarebbe il primo ospite che la scambia per una piscina.


Lo ritrovarono il sedici gennaio, quando Lurch aprì la bara per passare il battipanni sull’imbottitura.
Era un peluche a forma di porcellino rosa, alto un metro e ottanta e vestito con un distinto completo blu con la cravatta tagliuzzata.
Bastò un’occhiata agli stivaletti da cowboy per capire di chi si trattasse; ma come fosse finito lì dentro, e perché avesse assunto quell’inconsueto aspetto (“È migliorato!”, commentò Gomez, giuli-vo) rimase uno dei tanti misteri di Casa Addams.


FINE


Link per eccetera eccetera: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2160#lastpost
 
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Avrei voluto postare il tutto per S. Valentino, ma non ce l'ho fatta.

Martirio del Bardo Immortale, in otto puntate, dedicato a tutti gli innamorati del GNN. :wub:

PREFAZIONE DELL’AUTORE

Dopo che avevo massacrato Dante e schiantato Dickens, poteva Shakesperare sperare di salvarsi?
Ve lo dico subito: no.
Il macello del bardo immortale era solo questione di tempo: prima o poi, sapevo che la sua ora sarebbe giunta. Come è infatti accaduto.
Chi mi conosce potrà stupirsi per il fatto che io abbia deciso proprio per Giulietta e Romeo, personaggi per i quali non ho mai nascosto la mia antipatia (sono nata e vivo a Verona, qui è tutto un romeogiulietta, ormai sbuffo al solo sentirli nominare). Perché dunque ho scelto proprio i due mocciosi quali protagonisti di questo racconto?
Risposta più ovvia, più apprezzata da chi la sente e quindi non del tutto vera: perché l’ho scritto in pieno periodo di S. Valentino, volevo fare un omaggio romantico al forum.
Romantico. Seee…
Risposta più cerebrale, gradita ai dotti del forum: perché è notorio che Go Nagai abbia basato l’episodio pilota di Goldrake proprio su Giulietta e Romeo, col contrastato amore tra Duke Fleed e la figlia del suo nemico.
Ma certo, come no?
Risposta meno gradevole, e quindi più onesta: perché volevo togliermi lo sfizio di prendere per le natiche i due celeberrimi adolescenti brufolosi. E che Shakespeare mi perdoni – del resto, lui lo sa che gli voglio bene, nonostante abbia scritto Romeo e Giulietta…


RUBINETTA E DUKEO
(Racconto d’inverno)


Prologo

Quando fuori infuria una gelida tempesta invernale, è bello ritrovarsi nel calore della propria casa, seduti in poltrona in compagnia d’una buona lettura… è quel che pensavano Actarus e il professor Procton, in una fredda serata di gennaio.
Actarus alzò gli occhi dalla rivista che stava sfogliando. Aveva già trovato altre volte quei nomi, e si era sempre ripromesso di chiedere lumi: – Padre, chi sono Giulietta e Romeo?
Il professore parve illuminarsi in viso: – I protagonisti di una tragedia di Shakespeare.
– Chi?
Procton sussultò per tanta ignoranza ma si riprese subito: alle volte si dimenticava che Actarus non era terrestre, e che quindi era all’oscuro di certe cose… – È un inglese vissuto secoli fa, autore di alcune tra le migliori tragedie che siano mai state scritte. Se t’interessa, in studio puoi trovare l’intera collezione delle sue opere.
Poco dopo, Actarus scorreva rapidamente i titoli di una serie di libri. Amleto, Macbeth, Otello, Re Lear… che nomi strani… Giulio Cesare (ma non era un condottiero antico? Mah)… un re Giovanni, poi un paio di Riccardi, un Enrico quarto, poi un quinto e un sesto, e i primi tre chissà perché mancavano… poi non c’era il settimo, ma in compenso un tomo di rispettabili dimensioni era dedicato a un Enrico ottavo. Che altro? Timone d’Atene? Doveva essere un dramma d’ambientazione marina. Cimbelino? Non pareva davvero un titolo da tragedia, sembrava il nome di un personaggio dei cartoni animati… e infine eccolo, un libro rilegato in cuoio, piuttosto pesante, intitolato Romeo e Giulietta.
Dopo aver dato la buona notte al padre, aggiungendo di non aspettarlo, sedette in poltrona, aprì il libro e cominciò a leggere. Famiglie nemiche, una città teatro di drammi sanguinari… due adolescenti brufolosi perdutamente innamorati, e poi balconi, matrimoni segreti, duelli, veleni… gran finale con omicidio e un paio di suicidi. A quel punto aveva perso il conto di quanti personaggi fossero ancora vivi, ma aveva l’idea che a fine lavoro, a parte il suggeritore, sul palcoscenico dovessero essere defunti tutti, o quasi. I terrestri si divertivano ad andare a vedere una storia così piena di morti? Contenti loro…
Altro punto che destava la sua perplessità: il linguaggio. Lo trovava un po’ strano: d’accordo che si trattava del capolavoro di un autore antico, ma dubitava che due ragazzini dagli ormoni in subbuglio si esprimessero con frasi tanto fiorite. Oh beh, l’arte ha le sue esigenze, evidentemente.
Si alzò per andare a rimettere a posto il libro: lo spazio sullo scaffale sembrava scomparso, una cosa che succede spesso quando i volumi sono un po’ troppo stretti. Actarus cercò d’infilare il tomo, spinse… gli sfuggì di mano e gli piombò dritto in testa, stendendolo a terra come un tappetino. Tutto prese a girare, a girare, a confondersi… a trasformarsi in una sorta d’incubo d’una mezzanotte in pieno inverno…


LA DOLOROSA E LACRIMEVOLE TRAGEDIA DI DUKEO E RUBINETTA

DRAMATIS PERSONAE

Rigelio Fleedecchi
Dukeo Fleedecchi
Monna Maria Fleedecchi
Alcorolio
Tetsuzio
Venusalina
Yabarno Vegapuleti
Monna Imica Vegapuleti
Rubinetta Vegapuleti
Lady Gandbalia
Hydbaldo
Zurilide
Fra’ Proctenzo
Aiascio


SCENA PRIMA
(Via di Verona. Da una parte il palazzo Fleedecchio, dall’altra il palazzo Vegapuleti. Entrano da una parte Hydbaldo Vegapuleti, dall’altra Tetsuzio Fleedecchio, che come si vedono cominciano a guardarsi in cagnesco).

HYDBALDO: (sguainando la spada) Un Fleedecchio! Adesso ti faccio a pezzi!
TETSUZIO: Volgare ribaldo, recitiamo un’antica tragedia. Parti codesto il linguaggio acconcio?
HYDBALDO: Non lo è?
TETSUZIO: No.
HYDBALDO (riflette un attimo, poi si lancia): Come osi, vile Fleedecchio, comparirmi innanzi? (piano, a Tetsuzio) Così va bene?
TETSUZIO: Non c’è male. (Forte) Immondo Vegapuleti, il tuo grugno offende la mia vista. Fa’ luogo, rientra ne’ la fogna tua, o ch’io sia dannato se con questa mia spada non ti trapasso qual porchetta allo spiedo.
HYDBALDO (tra sé, suo malgrado ammirato): Ma come fa? Senza parolacce non riesco ad ottenere un insulto decente. (Tenta di rispondere, ma s’impappina subito) Razza di fetente… no… puzzone… nemmeno…
TETSUZIO: Maleodorante, immonda carogna, pàrtiti immantinente da costì, o quanto è vero il cielo inizierò a far di te fettine, gli alluci per primi. (Ghigna in faccia con superiorità ad Hydbaldo, che lo guarda con invidia per tanta disinvoltura).
HYDBALDO: Razza di… no… figlio di… nemmeno…
TETSUZIO (suggerendo): Vile marrano.
HYDBALDO: Grazie! (Forte) Vile marrano, adesso io… (si blocca: non gli viene altro) Adesso io… adesso io, cosa?
TETSUZIO (con l’aria da primo della classe): O malcreato figlio di malcreata stirpe, putrescente tumore umano, pendula escrescenza, immonda immondizia, verme d’un verme delle viscere, o tu che il nulla rechi tra le tue aguzze orecchie!
HYDBALDO (totalmente disorientato): Era un insulto?
TETSUZIO: Non esser riduttivo. Gli insulti erano ben sei.
HYDBALDO: Insomma, mi stai provocando.
TETSUZIO: Direi!
HYDBALDO (illuminandosi in viso) Allora sono autorizzato a farti fuori!
TETSUZIO (sguainando a sua volta la spada): Fatti avanti, turpe Vegapuleti, e vedrai s’io non ti ricaccio le offese in gola!
(Si battono. Entrano Monna Maria e lady Gandbalia, ciascuna uscendo dal proprio palazzo, e si mettono in mezzo interrompendo il duello).
MONNA MARIA: Insomma, basta! Non se ne può più! (Strapazza Tetsuzio spingendolo verso casa).
LADY GANDBALIA: Sempre a lottare, a cercare di uccidervi! Vergogna! (Tira Hydbaldo verso il palazzo Vegapuleti).
HYDBALDO (a Tetsuzio): Non è finita qui!
TETSUZIO: A piacer tuo, o putrescente cadavere.
HYDBALDO (perplesso): Ti spiace ripetere?
TETSUZIO: Scusa. Stiamo recitando un dramma antico, per cui ho adeguato il linguaggio. È “quando vuoi, carogna” detto in stile poetico.
HYDBALDO (rassicurato): Ah, ecco… adesso va bene. (Minaccioso): Ci rivedremo, vile… vile…
TETSUZIO: “Vile bifolco” ti va bene?
HYDBALDO: Avrei preferito qualcosa di più forte, ma può bastare.
TETSUZIO: Un giorno incroceremo ancora i ferri, lurido pezzo di escremento. (Entra in casa)
HYDBALDO: (vorrebbe rispondere, ma non gli viene nulla e resta impappinato. Tra sé): Inutile, gli insulti senza le parolacce non mi riescono proprio. (Entra in casa)
MONNA MARIA: Sempre a levare le spade!
LADY GANDBALIA: Sempre a scontrarsi!
MONNA MARIA: Sempre a cercare di sbudellarsi!
LADY GANDBALIA: E poi, a chi tocca pulire sangue e frattaglie? A noialtre!
MONNA MARIA: Che vita infame!
LADY GANDBALIA: Che lotta senza fine!
MONNA MARIA: Che orrore!
LADY GANDBALIA: Hai ragione, cara. Ci vediamo per chiacchiere e biscotti, più tardi?
MONNA MARIA: Ma certo! Se non ci sosteniamo un poco tra noi donne… (Entrano nelle rispettive case. Esce Rigelio dal palazzo).
RIGELIO: Come ardiscono i Vegapuleti insultare i parenti miei? È d’uopo ch’io abbia giustizia! Esci di costì, Yabarno Vegapuleti, mostra ‘l brutto muso tuo, ch’io t’acconci barba e sopracciglia!
(Yabarno schizza letteralmente fuori dal palazzo Vegapuleti, seguito da Monna Imica che tenta di trattenerlo).
YABARNO: Come osa il vile Fleedecchi presentarsi al mio cospetto? Mi si dia la mia spada, ch’io lo affetti seduta stante!
MONNA IMICA: Mio signor sposo, no!
RIGELIO: “Vile Fleedecchi” a me? Adesso ti faccio vedere io! (Sguaina la spada e la punta su Yabarno).
MONNA MARIA (cercando trattenerlo): Via, zietto Rigelio, non badare a quell’individuo…
YABARNO: Il mio brando! E subito! (un famiglio accorre portando la spada a Yabarno, che l’impugna nonostante Imica tenti d’impedirglielo).
MONNA IMICA: Mio venerato sposo, questa parmi imprudenza invero…
MONNA MARIA: (A Rigelio) Signor zio, ti supplico, desisti!
MONNA IMICA (a Yabarno): La lombaggine ancor oggi ti duole!
MONNA MARIA (a Rigelio): Ognora la sciatica le natiche ti martira!
MONNA IMICA: Desisti!
MONNA MARIA: Deh, cessa!
YABARNO: Mai!
RIGELIO: Mai!
(Si scagliano l’uno contro l’altro, alzano in contemporanea le spade e lanciano un urlo: sono stati bloccati dal colpo della strega).
YABARNO: Ahia… la schiena…
RIGELIO: Ohi ohi… che male…
MONNA IMICA (a Yabarno): Non ti dissi che d’imprudenza trattavasi?
MONNA MARIA (a Rigelio): Su, zietto Rigelio, torniamo a casa.
MONNA IMICA: Ti faccio il tuo solito impacchino, eh?
MONNA MARIA: Magari pure un clisterino.
MONNA IMICA: È un’idea! Uno anche a te!
YABARNO: Cosa?
RIGELIO: No! Il clistere no!!!
(Scambiandosi un’occhiata complice, le due donne conducono via i rispettivi uomini, che recalcitrano ma non possono resistere).

- continua -

Potete farmi notare che la gag tra Yabarno e Rigelio è sfacciatamente presa da Up! a questo link: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2190#lastpost
 
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Seconda puntata. Cominciamo a vedere i protagonisti del dramma.

SCENA SECONDA
(Sala nel palazzo Vegapuleti. Entrano Yabarno e Zurilide)

ZURILIDE: Come vi dissi, messere, amo a tal punto la vostra figliola da desiderare da subito di averla per sposa.
YABARNO (tra sé, soffrendo): Ahia… adesso comincerà a parlare di dote… sento già i miei forzieri vuotarsi…
ZURILIDE: Siccome vostra figlia è un tesoro che non ha prezzo…
YABARNO (tra sé, soffrendo atrocemente) Miei poveri ducati! Dovrò dunque separarmi da voi?
ZURILIDE: …sono disposto, anzi lieto, di offrirle la mia mano, il cuore, me stesso, i miei beni, ogni cosa che mi appartenga su questa Terra.
YABARNO (facendosi forza): E… quanto alla dote…
ZURILIDE: Non vi chieggo dote veruna.
YABARNO: Che cosa?
ZURILIDE: Vostra figlia è talmente preziosa da esser essa stessa dote e contraddote. Se volete concedermela, sarò felice di prenderla così com’è, con il solo vestito che indossa. (Stupore di Yabarno) Anche senza quello, per quel che m’importa.
YABARNO (tendendogli le braccia): Genero mio! Figliolo caro! Quale gioia, quale consolazione!
ZURILIDE: Posso pensare che la mia proposta abbia ottenuto grazia ai vostri occhi?
YABARNO (stritolandolo in un abbraccio): Mai avrei osato sperare per la mia diletta figliola un simile, convenientissimo partito! (A Imica e Gandbalia, che entrano) Venite, sentite quale meravigliosa novità: il nobile Zurilide ha chiesto la mano di Rubinetta!
LADY GANDBALIA (tra sé): Se quel taccagno ha accettato, Zurilide si sarà accontentato di una dote miserabile.
MONNA IMICA (tra sé): Un uomo non più nel fior dell’etade, e per giunta simile ad Adone come un gallinaccio somiglia all’aquila! Povera figlia mia! (Forte) Zurilide caro, sono lieta di darvi il benvenuto nella nostra famiglia!
ZURILIDE: Madonna, vi ringrazio.
MONNA IMICA: Davvero amate la mia cara figliola?
ZURILIDE: Venero la terra stessa su cui ella cammina.
YABARNO: Pensa, Imica: pur di sposarla, non vuol dote!
MONNA IMICA: Ah. (Scambio di occhiate con lady Gandbalia).
LADY GANDBALIA (brontolando tra sé): Il solito pitocco, che mai si smentisce!
MONNA IMICA (a Yabarno): Consorte mio diletto, anche se il nobile Zurilide non può che dar lustro alla già onorata famiglia Vegapuleti, faccio rispettosamente presente la giovanissima etade della figliola nostra. È ancor troppo bambina per esser sposa.
YABARNO: Questo è vero.
ZURILIDE: Ma veramente…
YABARNO: Ascolta, figliol caro: Rubinetta sarà tua sposa, questo è sicuro, ma celebreremo le nozze tra un anno o due, quand’ella sarà più matura. (Tra sé, sfregandosi le mani) Intanto, troverò il modo di accollargli tutte le spese della cerimonia. L’attesa lo renderà smanioso, sarà più facile che acconsenta a sborsar danari pur d’impalmare al più presto Rubinetta.
ZURILIDE (deluso): Come volete, padre mio.
YABARNO: Stasera daremo una festa e tu, carissimo Zurilide, sarai l’ospite più gradito. Potrai così corteggiare la mia figliola e cercar di conquiderne il cuore.
ZURILIDE (inchinandosi): Vi ringrazio, nobile Yabarno (esce).
MONNA IMICA: Vado subito a parlare a nostra figlia.
YABARNO (tra sé): Se Rubinetta capisce ch’io tengo a queste nozze, s’impunterà qual mulo cocciuto, e per Zurilide non vi sarà speranza. (Forte) Un istante, moglie mia. Non dirle di Zurilide, lasciamo che sia lui a conquistarla.
LADY GANDBALIA (sarcastica): E ci riuscirà sicuramente, affascinante com’è!
MONNA IMICA: La nostra figliola è fanciulla innocente qual angiolo privo d’ali! Vuoi dunque che del tutto ignara vada incontro agli sponsali?
LADY GANDBALIA: Eh sì, bisognerà prepararla, o non appena vedrà il suo promesso sposo, minimo minimo le verrà un colpo.
YABARNO: E sia, ma taci di Zurilide. Comincia a prepararla all’idea delle nozze, ma non dirle chi sia colui cui è destinata. (Entra Rubinetta) Figliola cara, tua madre deve parlarti. Io… ehm… ho importanti affari che m’attendono (esce frettolosamente).
MONNA IMICA (tra sé): Vigliacco!
RUBINETTA: Madre, mi volevate?
MONNA IMICA: Figliola sì, ho da dirti… o meglio, non è che si sia deciso nulla, ancora… ma ormai non sei più una bambina.
RUBINETTA: Signora sì.
MONNA IMICA: Anzi, sei grandicella. Alla tua età, molte fanciulle stanno per andar spose, o quantomeno vengono promesse.
RUBINETTA (mostrandosi molto calma): Il mio signor padre mi ha forse scelto uno sposo?
MONNA IMICA: Ma no! Che cosa dici!
LADY GANDBALIA: Ma come puoi immaginar simile cosa!
MONNA IMICA: È pur vero che il tuo signor padre ci stia pensando, non è vero, lady Gandbalia?
LADY GANDBALIA: Come no! E che fior fiore di partiti che sta esaminando! Giovani! Belli!
RUBINETTA (ostentando indifferenza, in realtà molto interessata): Giovani e belli? Davvero?
LADY GANDBALIA: Tesoro mio, credimi, non hai proprio idea di CHE COSA stia preparando tuo padre per te! (Tra sé) Povera figliola mia!
RUBINETTA (interessatissima): Un qualche bel giovanotto?
LADY GANDBALIA (che vorrebbe parlare e non può farlo): Ti posso dire solo una cosa, agnellino mio: mai nemmeno pensasti a un simil corteggiatore!
RUBINETTA (giubilante): Davvero? (Si riprende) Sono molto grata al mio signor padre.
MONNA IMICA: Guarda che non c’è nulla di deciso.
LADY GANDBALIA: E comunque le nozze, se vi saranno, avverranno tra molto tempo, un anno, forse due.
RUBINETTA: Ma il mio signor padre non ha ancora scelto il mio sposo?
MONNA IMICA (precipitosamente): Ma nooo, certo che no! Vero, balia?
LADY GANDBALIA: Ci deve pensare, stellina mia. Ci vuol tempo, per queste cose.
MONNA IMICA: Io volea solo accennarti all’idea, figliola cara. Ti so candida come un giglio, era mio compito di madre prepararti alla tua vita di sposa.
RUBINETTA: C’è altro?
MONNA IMICA: Ma no, angelo mio. Ti ho detto tutto. Che dovrei dirti di più?
RUBINETTA (tra sé): E io che pensavo m’avrebbe spiegato i misteri del sesso…
LADY GANDBALIA (piano, a Monna Imica): Signora, questa è appunto un angioletto, non sa nulla di quel che succede tra mogie e marito. Non dovreste dirle qualcosa?
MONNA IMICA (piano, a lady Gandbalia): Vuoi scherzare? Ci penserà suo marito. (A Rubinetta) Ora vai a scegliere il vestito per la festa di stasera.
RUBINETTA: Sì, madre. (Ostentando un’indifferenza che non prova) Ci saranno molti giovanotti, stasera?
MONNA IMICA: Certo, cara: di ottima famiglia, giovani e belli. (Esce)
LADY GANDBALIA (tra sé, quasi in lacrime): E aspetta solo di vedere che razza di gioiello ti toccherà… (si asciuga gli occhi con un fazzolettone ed esce di corsa).
RUBINETTA: Giovani… belli… uno sposo… YUM!!! (Esce saltellando).


SCENA TERZA
(Strada di Verona. Entra Dukeo, triste e solitario, seguito da Tetsuzio e Alcorolio)

TETSUZIO: Talmente mesto è Dukeo, che al confronto un funeral parrebbe festa di Carnevale.
ALCOROLIO: Potessimo discernere il mistero della sua anima! Ma l’infelice sospira e non rivela il tormento che l’affligge.
TETSUZIO: Sarà l’amore.
ALCOROLIO: Ancora?! Non è passato molto, da che sospirava per Naida la bella…
TETSUZIO: Conosci Dukeo: incostante come il vento di primavera. Scommetto ciò che vuoi – la mia spada, il mio cavallo, persino le beneamate gioie di famiglia mia – che è Amore a tormentar lo sventurato amico nostro.
ALCOROLIO: Parliamogli, buon Tetsuzio. Vediamo se finalmente schiuderemo il segreto di quel cuore. (Si avvicinano a Dukeo, che solo in un angolo sospira mestamente)
TETSUZIO: Perché così triste?
ALCOROLIO: Saresti forse innamorato?
DUKEO: Invero, amico mio, amo una donna.
TETSUZIO: Un uomo, spero bene di no.
DUKEO: Venusalina è il suo nome, bella, virtuosa e casta come Diana in persona.
TETSUZIO: Oh. Tra tante fanciulle appetitose, proprio la più cozzetta…
DUKEO: Cozzetta?
TETSUZIO: Cozzetta, confermo, e pure un tantino bisbetica, dato che nessun l’ha mai domata.
ALCOROLIO (dando a Tetsuzio una gomitata per farlo tacere): Invero colei ti parve bella perché nessun’altra donna le stava accanto, e sulla bilancia degli occhi tuoi non pesava che lei. Ma ponile a fianco altra beltade, e colei che ora ti par unica appena guardabile sembreratti.
DUKEO: …Scusa…?
TETSUZIO: Ha detto che non appena avrai visto la tua Venusalina vicino a qualche rigogliosa fanciulla, ella ti apparirà subito per la scarsetta che è.
DUKEO: Venusalina non è affatto scarsetta, lei…
TETSUZIO: Ti proveremo il contrario. Stasera c’è festa a casa Vegapuleti, e la tua Venusalina è stata invitata; andiamo pure noi, mascherati acciocché non siano noti i sembianti nostri, e vedremo se accanto a tant’altre bellezze il tuo bel cigno non ti parrà un corvo. (escono)


- continua -

Link per gentilmente inviarmi in loco degno: #entry570208849
 
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Primo incontro dei due colombi...

SCENA QUARTA
(Salone in casa Vegapuleti addobbato per la festa. Invitati in maschera e famigli vanno e vengono. Da una parte, Yabarno, Monna Imica, Hydbaldo e lady Gandbalia. Da un’altra, Rubinetta conversa con Venusalina).

RUBINETTA: Cara amica, davvero ti vuoi monacare?
VENUSALINA: In verità, questo è il mio desiderio.
RUBINETTA: Ma come? Io ti so ammirata e corteggiata, e tu vuoi chiuder la bellezza tua in un chiostro?
VENUSALINA: Ammirata e corteggiata sì, ma da importuno più d’un moscon noioso. Amica cara, s’io mi chiudo in convento è per evitare mal peggiore.
RUBINETTA: Forse l’innamorato tuo è di antica etade, tardo e lardelluto?
VENUSALINA: No, cara. Anzi è giovin, prestante e con tal viso che Apollo stesso gl’invidierebbe.
RUBINETTA: Giovin, bello e innamorato: ma che vuoi di più?
VENUSALINA: In verità egli è troppo innamorato: insistente, appiccicoso e che pensa solo a… la mia casta bocca nemmeno può profferir cotal parola, che mi brucia le labbra e mi fa salire il rossore al viso (si segna ripetutamente).
RUBINETTA (sognante) Un innamorato… focoso?
VENUSALINA: Fin troppo. Un focherello è cosa buona e bella, ma qui d’incendio si tratta. Ossessionata dal corteggiamento di tal amante, io non chiedo che pace e requie. Un convento sarà il rifugio mio.
RUBINETTA: In verità t’invidio, amica mia cara. Un innamorato giovin, bello e focoso… (trattiene a fatica un poco poetico yum! yum!) Sogno per me sarebbe simile amante: in realtà, temo che l’avaro genitore mio vorrà destinarmi anche a cadente vegliardo, purché poco esigente in fatto di dote.
(Entra Zurilide, che sta evidentemente cercando Rubinetta, e che le si avvicina subito).
ZURILIDE: Alfine vi ritrovo, dolce signora del mio cuore.
RUBINETTA (tra sé): Qual sventura, la mia! Di tanti bei giovani qui presenti, sempre io mi ritrovo attorno questo molesto seccatore!
ZURILIDE: Mi fareste l’onore di un’altra danza?
RUBINETTA: Vorreste dunque martoriarmi ancor i miseri piedi miei?
ZURILIDE: Vi chiedo subito perdono, se inavvertitamente il mio piede avesse calcato una volta il vostro.
RUBINETTA: Solo una volta? Magari… (s’allontana cercando di seminarlo, ma Zurilide non la molla). Signor mio, son stanca e per ora non intendo ballare.
ZURILIDE: Allora siederò con voi e farovvi compagnia.
RUBINETTA (tra sé): Ti colga un accidente!
(Entrano Dukeo, Alcorolio e Tetsuzio mascherati).
DUKEO: Davvero, rivedrò la bella Venusalina?
TETSUZIO: No, invero no. Tu vedrai la cozzetta Venusalina.
DUKEO (guardandosi in giro): Dove mai potria ella trovarsi?
ALCOROLIO (accennando ad alcune ragazze): Di certo, in quel gruppo di allegre comari.
VENUSALINA (riconoscendo Dukeo): L’importuno amante mio! (Si segna ripetutamente) Santi, proteggetemi! (Si eclissa tra la folla).
HYDBALDO (notando Dukeo): Che veggo? Non è quegli Dukeo, il rampollo degli odiati Fleedecchi? Con qual ardire osa presentarsi nelle sale dei Vegapuleti? È d’uopo ch’io lo faccia pentire di tanta temerarietà.
YABARNO: Placa la tua ira, Hydbaldo! In casa mia l’ospite è sacro.
HYDBALDO: Anche se trattasi d’un lurido e non invitato Fleedecchio?
YABARNO: Anche.
HYDBALDO (rabbioso): Dukeo Fleedecchio in questo augusto palagio, e non poterlo infilzare qual papero allo spiedo! Il rovello m’arrovella!
MONNA IMICA: Hydbaldo, non vorrai invero trasformare questa festa in bagno di sangue!
HYDBALDO: Perché no?
MONNA IMICA: Hydbaldo, no! Non nel mio bel salotto!
HYDBALDO: Oh, rabbia! L’ira mia si fa funesta. (Si avvicina Rubinetta, seguita da presso da Zurilide).
RUBINETTA: Perché così alterato, cugino?
YABARNO: Nulla d’importante, figliola mia cara. Suvvia, divertitevi, la festa è per voi giovani. (Piano, a Hydbaldo) E tu piantala di darmi problemi. Non voglio guai, stasera: pace e fratellanza, capisci? Per cui, o ti comporti pacificamente, o ti faccio scuoiare vivo.
HYDBALDO: Ho colto la vaga allusione, signor zio. (A Rubinetta) Mi concedi un ballo, cugina?
ZURILIDE: Veramente, sarebbe il turno mio.
YABARNO: Molto giusto, nobile Zurilide. (A Hydbaldo, che fa per protestare) Tocca a lui, nipote caro.
RUBINETTA: Ma, veramente…
YABARNO (sospingendola verso Zurilide): Su, cara, lo so che tu sei ritrosa qual colombella, e ben fai ad esserlo, ma hai il mio paterno permesso di danzare col nobile Zurilide.
(Rassegnata, Rubinetta dà la mano a Zurilide e balla con lui, mentre attorno fanno ala. Dukeo, rimasto in disparte in cerca di Venusalina, che continua a nascondersi tra la folla, guarda distrattamente Rubinetta, poi l’osserva meglio e rimane folgorato).
DUKEO: Oh, mirabil meraviglia! Chi è quella dama che lascia a quel cavaliere il tesoro della sua mano? Ella invero risplende tra le altre come colomba tra i corvi!
TETSUZIO: T’avevo detto che la tua Venusalina cozzetta ti sarebbe parsa…
DUKEO: Venusalina? Chi è Venusalina? Non conosco alcuna Venusalina! I miei occhi mai prima d’ora avevano veduto la vera bellezza!
ALCOROLIO: Oh, no! Questo pazzo una volta ancor s’è innamorato!
TETSUZIO: Stavolta, almeno, l’oggetto del suo amore è appetitoso invero.
ALCOROLIO: Sì, ma Dukeo innamorato è imbecille alquanto.
TETSUZIO: E Dukeo non innamorato è bietola, e tu il ben sai.
ALCOROLIO: Bietola o imbecille, la scelta è dura.
TETSUZIO (dà di gomito ad Alcorolio indicandogli Dukeo, che fissa Rubinetta senza nemmeno riuscire a parlare) Ottimista. Bietola E imbecille.
(Il ballo termina, e Rubinetta va subito a sedersi, sempre tallonata da Zurilide).
ZURILIDE: Ho offeso ancor i vostri divini piedi, mia dolce signora?
RUBINETTA (tra sé): Non un’offesa. Molte. (Forte) Non vorreste, gentile cavaliere, recarmi qualcosa che plachi l’arsura che m’ange?
ZURILIDE: …Scusate?
RUBINETTA: Mi portate qualcosa da bere, per favore? Muoio di sete.
ZURILIDE: Oh… certo. Subito. Parto volando e torno immantinente. (S’allontana tra la folla; Rubinetta scappa subito, andando a sbattere contro Dukeo, sempre imbambolato a guardarla).
RUBINETTA: Gentil cavaliere, perdonate s’io incocciai in voi, ma lo feci per sfuggir a scocciator noioso.
DUKEO: Sia benedetto dunque lo scocciator che causò un tal incocciare! In verità, madonna, mai prima d’ora i miei occhi ebbero a mirare un angelo. (Prendendo la mano di Rubinetta) È un gran peccato, se io profano con la mia mano indegna questo santo tesoro? Se ho offeso, allora sono pronto a riparare (bacia la mano di Rubinetta).
RUBINETTA: Caro penitente, mi tratti come una santa? (Tra sé) È un po’ bietola, ma è tanto carino.
DUKEO: Venerare i santi non è peccato. (Fa per baciarla)
RUBINETTA (tenendolo a distanza): Non sempre i santi si muovono per esaudire chi li prega.
DUKEO: Allora non muoverti, ché io mi esaudisco da solo (la bacia).
RUBINETTA: Ma così il tuo peccato rimane a me.
DUKEO: Allora dovrò riprendermelo (la bacia ancora).
(Rientra Zurilide con una coppa in mano, e si guarda attorno, cercando Rubinetta).
RUBINETTA: Sventura mia! Ancor l’importuno scocciatore! (Fa per nascondersi dietro Dukeo quando viene raggiunta da lady Gandbalia)
LADY GANDBALIA: Rubinetta, tua madre ti vuole.
DUKEO: Chi è sua madre?
LADY GANDBALIA: Non lo sai? È la padrona di questa casa. (Si allontana spingendo via Rubinetta).
DUKEO: Ella… una Vegapuleti? Ah, me misero, ch’io ho donato il cuore a una nemica!
RUBINETTA (mentre sta attraversando la sala con lady Gandbalia): Presto, lady Gandbalia, vanne e domanda il nome a quel cavaliere. Se già è sposato, per me non ci sarà che la tomba.
LADY GANDBALIA (va a scambiare due parole con Dukeo, che è sulla porta ma non vuol decidersi ad uscire, e torna): È il rampollo dei Fleedecchi, i mortali nemici della famiglia tua.
RUBINETTA: Un Fleedecchi? Me tapina, il mio unico amore scaturisce dal mio unico odio!
MONNA IMICA: Rubinetta! È tardi!
RUBINETTA (Scambia un ultimo sguardo con Dukeo, che finalmente esce, e poi corre dalla madre): Eccomi! (Passa davanti a Zurilide, che ha ancora la coppa in mano) Perdonate, messere. Mia madre mi aspetta (esce di corsa).
YABARNO (avvicinandosi a Zurilide): Com’è andata, Zurilide caro? Hai conquiso il cuor della figliola mia?
ZURILIDE: Io… uh… abbiamo ballato.
YABARNO: Capisco. La mia piccola timida è tanto, ma sono certo saprai domesticarla (esce).
ZURILIDE (tra sé): Domesticarla. Come no. (Getta uno sguardo alla coppa e la vuota d’un fiato, poi esce a sua volta. La festa è finita, gli invitati si allontanano poco a poco. Venusalina, rimasta fino ad ora seminascosta in disparte, si fa avanti).
VENUSALINA (seccatissima): Pensar che questo Dukeo per undici giorni m’ha talmente tampinata da farmi risolvere di monacarmi… e ora ch’è la dodicesima notte, rivolge teneri, beoti sguardi a Rubinetta! Volubilità, il tuo nome è uomo! (Esce, inferocita).


- Continua -


Link in cui addimandarmi in adatto loco: #entry570272033
 
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Scena del balcone, romanticissima... ehm.

SCENA QUINTA
(Giardino interno in casa Vegapuleti, cintato da un muro. In parte, un balcone ricoperto di edera. Dukeo scavalca il muro ed entra nel giardino).

DUKEO: Ha un bel dire, Tetsuzio: ma ride del dolore altrui solo chi non ha cicatrici. Ritrovate o perdute, le pene d’amore son sempre pene d’amore. (Si apre la finestra sul balcone) Ma che veggo? Là è l’Oriente, e Rubinetta è il sole! Sorgi, o sole bello, fai scomparire luna, stelle e firmamento intero, irradiami della tua luce… (esce lady Gandbalia, che scuote vigorosamente uno straccio, facendo cadere la polvere su Dukeo).
LADY GANDBALIA: Ma quanto è trascurata, quella bambina…
RUBINETTA (uscendo sul balcone): Cosa c’è, adesso?
LADY GANDBALIA: Quante volte t’ho detto di spolverare la tua stanza?
RUBINETTA: (dandole un bacio) Tante, è vero. Ma non rimproverarmi, ché sono così felice!
LADY GANDBALIA: Guarda che ormai è tardi, ora di andare a dormire.
RUBINETTA: Dormire? In una notte come questa?
LADY GANDBALIA: Dieci minuti, poi a letto! (Rientra brontolando. Rubinetta rimane sul balcone, estatica).
DUKEO (ripulendosi dalla polvere): Numi del cielo, è lei! Calmati, o mio povero cuore!
RUBINETTA (tra sé): Oh, Dukeo, Dukeo… perché sei tu Dukeo? Cangia nome, Dukeo… Una rosa è pur sempre una rosa anche se con altro nome. Cangia nome, Dukeo, ché tanto anche con altro nome tu per me resterai sempre la solita bietola.
DUKEO (fa per slanciarsi fuori dai cespugli, ma si arresta sentendo parlare di bietole): Oh.
RUBINETTA: E se proprio non vuoi mutar nome… basta che tu giuri d’amarmi, e non sarò più una Vegapuleti. Amami, dolce Dukeo, e avrai tutta me stessa!
DUKEO (non resistendo più e sbucando fuori): Ma io ti prendo in parola! Non sarò più Dukeo, e sarò ribattezzato! Chiamami come preferisci, Amoruccio, Tesorino, Puffolotto!
RUBINETTA (agitatissima): Ma chi sei, tu, che approfitti del buio della notte per appropriarti dei miei più segreti pensieri? (Gli scaraventa addosso un vaso di fiori, e lo manca di poco).
DUKEO: Io non ho più nome, angelo mio! Io odio il mio nome, perché è tuo nemico! (Arrampicandosi sull’edera, comincia a salire verso il balcone).
RUBINETTA (riconoscendolo): Oh, amabile Dukeo! Ma sei pazzo? Se ti trovano, ti uccidono! Come hai potuto arrivare fin qui?
DUKEO (faticando parecchio a salire): Ma con le ali dell’amore… puff… non esistono mura invalicabili… puff… (osserva in mezzo all’edera) Qui c’è qualcosa.
RUBINETTA: Fa’ attenzione, gentil Dukeo. Le vespe posero tra le fronde il loro nido, ed esse invero sono d’indole nervosa e carattere pugnace.
DUKEO (evitando accuratamente il nido e continuando a salire): Contro l’amore, nulla puote. Né vespe né parenti possono fermarmi! Però, se non mi ami, lascia pure che gli uni o le altre mi trovino.
RUBINETTA: Gentile Dukeo, davvero mi ami? Dimmelo francamente. Se pensi che troppo facilmente io abbia ceduto…
DUKEO (rischiando di cadere): Facilmente?
RUBINETTA: …io aggrotterò le ciglia e respingerotti, acciocché tu debba supplicarmi, e sappilo, se mi supplicherai io non saprò resisterti!
DUKEO (riuscendo finalmente ad aggrapparsi al bordo del balcone e ciondolando nel vuoto): Amor mio, io ti giuro…
RUBINETTA: Oh, non giurare! Non rovinar tutto con i giuramenti: la gioia che provo non è di questo mondo!
DUKEO (sempre penzolando): Manca poco, e nemmeno io sarò di questo mondo… (riesce finalmente a passare una gamba oltre il bordo del balcone e fa per issarsi di sopra, ma Rubinetta lo ferma).
RUBINETTA: Ma che fai? È tardi, amor mio! Buona notte!
DUKEO: E mi lasci andare così?
RUBINETTA: Così, come?
DUKEO (che è appena riuscito a mettere i piedi sul solido): Mah, così… insoddisfatto?
RUBINETTA: Dukeo birbante, che soddisfazione vorresti avere da me, stanotte?
DUKEO (candido): Quella di scambiarci un’eterna promessa d’amore.
RUBINETTA (tra sé, sospirando): Bietola mia… (A Dukeo): Io la mia promessa te l’ho data prima che tu me la chiedessi! (Gli dà un bacio da apnea).
LADY GANDBALIA (da dentro): Rubinetta!
RUBINETTA (forte): Arrivo! (A Dukeo, che stenta a riprendere fiato): Ancora una cosa. Se le tue intenzioni sono onorevoli, se stai pensando al matrimonio…
DUKEO: Eeeeh?
RUBINETTA: …fammi sapere domani, da una persona fidata che ti manderò, quando e dove compiremo il rito…
DUKEO: Rito? Ma io veramente…
RUBINETTA: …e allora sarò tua!
DUKEO: Oh. Insomma, se non ci sposiamo…
RUBINETTA: Niente anello al dito, niente… niente. È una prospettiva così spaventosa? (Nuovo bacio staccalabbra, ancora più lungo del precedente)
LADY GANDBALIA (da dentro): Rubinetta!
RUBINETTA (forte) Vengo subito! (A Dukeo, che sta boccheggiando) Ma se vuoi ingannarmi, abbi pietà di me: lasciami sola con il mio dolore e vattene! (Lo respinge e Dukeo, ancora in fase di iper respirazione, cade oltre il bordo del balcone aggrappandosi fortunosamente all’edera). Domani manderò qualcuno.
DUKEO (oscillando nel vuoto) Oh, fosse già domani!
RUBINETTA: Buona notte, dolce amor mio! Ah, dovermi separare da te! Pena crudele! (Vede che Dukeo sta ancora aggrappato con una mano al bordo del balcone) Ma vai via, idolo del mio cuore! Vuoi dunque che ti scoprano? Parti subito, o ti troveranno e allora sarai morto! (Gli stacca la mano, Dukeo cade nel rampicante, si sente un ronzio minaccioso. Dukeo salta a terra, scavalca velocissimo il muro del giardino e rimane in piedi sul bordo.) Dukeo, amore, che meraviglia! Sei veloce qual liopardo ed agile qual scimmiotto!
LADY GANDBALIA (da dentro): Ru-bi-net-ta!!!
RUBINETTA (forte): Sono qui! (A Dukeo) Buona notte, cucciolotto! Sono così fiera di te, sei tanto atletico! (Entra in casa).
DUKEO (compiaciuto) Forte, atletico… (si gratta) Meglio non ricordarle delle vespe e dei pungiglioni lor, allora. (Salta giù dall’altra parte del muro).


SCENA SESTA
(Mattino dopo, cella di Fra’ Proctenzo. Entrano Fra’ Proctenzo e Dukeo)

FRA’ PROCTENZO (severo): Pensar che tante volte ti rimproverai per il tuo folle amor per Venusalina… amore sciocco, dissennato che futuro aver non potea… ed or impalmar tu vuoi questa Rubinetta!
DUKEO: Buon padre, mi rimproveri d’esser innamorato?
FRA’ PROCTENZO (molto severo): Ti rimprovero d’esser sciocco, figliol mio bietolone. Fortuna volle che Venusalina, fanciulla avveduta, comprendesse la pochezza del tuo amore e non ti corrispondesse!
DUKEO: Vero, buon padre. Voi volevate ch’io seppellissi tal amore.
FRA’ PROCTENZO (severissimo): Sì, ma non in fossa da cui avresti estratto un amore nuovo! E ora, giovane pazzo, t’innamori della figlia del nemico di tua casa! Non contento, mi chiedi d’unirvi in sacro nodo!
DUKEO (balbettando): Lo farete, buon padre?
FRA’ PROCTENZO (sorridendo): Lo farò certo, figliol mio, e possano i vostri sponsali esser l’inizio di pace e fratellanza tra le vostre case. Presi accordi con la fida balia acciocché voi vi sposaste ora; stasera ti recherai non visto dalla sposa. (Bussano alla porta; Fra’ Proctenzo apre, ed entra Rubinetta). Benvenuta, madonna.
RUBINETTA: La mia buona balia che avea mandato per aver novelle mi disse che tutto è pronto per le nozze.
FRA’ PROCTENZO: Ciò corrisponde a verità.
RUBINETTA: Facciamo presto!
FRA’ PROCTENZO: Piano, quanta fretta.
RUBINETTA: È vero, buon padre, l’impazienza mi divora.
FRA’ PROCTENZO: Chi corre, inciampa.
DUKEO (facendosi avanti): Cuor mio, sei davvero lieta d’unire i nostri destini?
RUBINETTA (mani nelle mani e occhi negli occhi con Dukeo): Gentil Dukeo, il mio amore per te ha raggiunto una tal ricchezza che non potrei numerare nemmeno la metà dei miei beni.
DUKEO: Dolce anima benedetta!
RUBINETTA: Mi ami, Dukeo?
DUKEO: Oh, sì!
RUBINETTA: Ma quanto mi ami?
DUKEO: In tal misura che non si possa esprimere.
RUBINETTA: Mi pensi, Dukeo?
FRA’ PROCTENZO (spazientito): Figlioli, non avevate premura?
RUBINETTA: Buon padre, ma non rimproveraste la fretta nostra?
FRA’ PROCTENZO: In verità, sentir le ciance vostre mi fece mutar pensiero. Andiamo, presto, ch’io vi sposi e che sia finita. (Escono).

- continua -

Link in cui accusarmi di eresia: #entry570313028
 
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La tragedia incalza.

SCENA SETTIMA
(Pomeriggio. Piazza. Entrano Dukeo, Tetsuzio e Alcorolio)

ALCOROLIO (a Dukeo): In verità, amico, tante volte innamorato ti vidi…
TETSUZIO: “Innumerevoli” sarìa termine più corretto.
ALCOROLIO: Mai comunque ti mirai così… così…
TETSUZIO: Imbecille?
ALCOROLIO: Volea dir “privo di senno”, ma il termine tuo, pur grezzo, assai è più efficace.
DUKEO (sospirando): Dite bene. Privo di senno, pazzo, scriteriato, pur anco imbecille… ogni parola mi s’attaglia. Mia è la colpa, ché il mio pensiero sempre fisso è su Rubinetta.
TETSUZIO: Smetti di pensare a lei!
DUKEO: Sarebbe come dire: “smetti di pensare”.
TETSUZIO: Per te non è un problema. Quando mai pensasti? (entra Hydbaldo).
HYDBALDO: Alfin ti ritrovo, vil Dukeo! Non potei alla festa far di te scempio, ché lo zio non volle un suo ospite aggredito, e la zia non volle lo salotto suo sconquassato; ma ora, nessuno sottrarratti alla mia ira. Snuda il ferro!
TETSUZIO: Ma che bravo, il parlar tuo è migliorato alquanto. Prendesti forse lezioni?
HYDBALDO: No, linguacciuto messere, ma posso impartir io a voi la lezione che tanto vi meritate (sguaina la spada).
DUKEO: Mio buon Tetsuzio, lascialo dire.
TETSUZIO: Amico mio, un invito come il suo non può che essere accettato. (Estrae la spada e inizia a battersi con Hydbaldo).
ALCOROLIO: Bravo Tetsuzio, ricaccia gli insulti in gola a quel ribaldo!
DUKEO: No, basta! Buon Tetsuzio, Hydbaldo, cessate! (Si mette in mezzo, Hydbaldo colpisce Tetsuzio passando sotto al braccio di Dukeo e s’allontana subito, tenendosi in disparte).
TETSUZIO (a Dukeo): Metterti in mezzo, dovevi?
DUKEO: Credea di far bene.
TETSUZIO: È proprio quando il bene di far credi, che tu fai il peggior danno!
DUKEO: Tetsuzio, sei ferito?
ALCOROLIO: Macché ferito! È solo un graffio!
TETSUZIO (tenendosi la ferita): Chiamalo graffio… (si avvia barcollando verso una casa) Non sia ch’io defunga per strada… fatemi entrare in casa.
ALCOROLIO: Ma quante storie, fai! Per un taglietto!
TETSUZIO: Taglietto? Non è grande quanto la tua boccaccia; ma basterà. (Entra nella casa. Dukeo e Alcorolio si guardano in faccia, stupiti).
DUKEO: Sta scherzando, vero?
ALCOROLIO: Temo di no. Tetsuzio, stai bene? (Si affacciano alla porta da cui è sparito Tetsuzio. Si sente una risposta indistinta. I due si guardano in faccia).
DUKEO: Che ha detto?
ALCOROLIO: Non oso ripeterlo.
DUKEO: Se quelle erano le sue ultime parole, mediocri son assai. (Dalla casa esce l’Anima di Tetsuzio che spicca il volo per il cielo).
HYDBALDO (ridendo): Mediocri parole per uomo mediocre.
DUKEO (furibondo): Hydbaldo infame, tu il povero Tetsuzio trucidasti. Or ti restituirò quel che meriti, misura per misura! (Si battono, e Hydbaldo è ucciso. La sua Anima spicca il volo).
ALCOROLIO (spaventatissimo): Presto, fuggi, Dukeo! Anche se Hydbaldo gravemente ti provocò, nessun ti darà fede!
DUKEO: Ma tu dirai ciò che accadde, e ch’io uccisi Hydbaldo dopo ch’ei trucidato ebbe il povero Tetsuzio!
ALCOROLIO: Ch’io ti sia amico è cosa nota, nessuno crederà alla testimonianza mia! Fuggi, o pagherai ben caro ai Vegapuleti il fio!
DUKEO (tra sé): Da fra’ Proctenzo, subito! Ei saprà ben consigliarmi! (Esce correndo, e Alcorolio fugge dalla parte opposta).


SCENA OTTAVA

(Tardo pomeriggio. Camera di Rubinetta. Rubinetta, agitatissima, e lady Gandbalia)

RUBINETTA: Vero è dunque ciò che si dice? Mio cugino Hydbaldo defunse?
LADY GANDBALIA: Invero sì, colomba mia, e il tuo Dukeo fu colui che lo trafisse! Ah, sventura su di noi!
RUBINETTA: E che ne è dell’infelice mio sposo? Già fuggito è dalla cittade?
LADY GANDBALIA: No, trovò rifugio dal buon frate, laddove niuno penserà cercarlo, ché tutti lungi da Verona già il credono. Il buio della notte sarà per lui securo manto, ed egli col favor delle tenebre prenderà di Mantova la via.
RUBINETTA (tra sé, illuminandosi): Allor, pria ch’ei fugga potrà qui venire a trascorrere dolce un’ora d’amore con la sposa sua! Yum! (Scrive velocemente un biglietto).
LADY GANDBALIA: Ti par il momento di vergar sullo diario tuo?
RUBINETTA (piegando il biglietto e consegnandoglielo): Non è il diario ch’io scrivo, ma un foglio per l’adorato sposo. Oh, lady Gandbalia, va’, metti ai pié l’ali di Mercurio e reca all’amor mio la pergamena che gli porgerà l’alata espressione dei miei amorosi sensi. Possa tu volare più rapida e secura del dio medesmo, e tornar al più presto a racquetare l’esacerbato animo mio.
LADY GANDBALIA (che non ha capito niente): Eeeeh?
RUBINETTA: Va’, porta a Dukeo questo biglietto e torna con la risposta. E spicciati!
LADY GANDBALIA: Certo, certo. Basta spiegarsi… (esce)


SCENA NONA
(Sera. Cella di Fra’ Proctenzo. Dukeo, disperato, seduto in un angolo; entra Fra’ Proctenzo).

FRA’ PROCTENZO: Dirti fortunato puoi, mio povero Dukeo: per l’uccisione di Hydbaldo non ti si condanna a morte, ma all’esilio.
DUKEO: Fortunato sarei io? Esiliato, dover lasciar Verona e l’amor mio? Gran fortuna non parmi proprio! Fossi morto, piuttosto! (Batte una testata contro il muro).
FRA’ PROCTENZO: Fermo, incauto! Cessa di capocciar le mura mie, ché il convento vetusto è assai! (Bussano alla porta) Presto, celati, acciocché niun ti veda! (Lo sospinge verso un armadio).
DUKEO: Qual ironia, celarmi in armadio qual amante, io che amar l’amor mio non posso…
FRA’ PROCTENZO: Cessa i lai, e nasconditi, o qui assai mal finisce! (Lo spinge nell’armadio, chiude le ante e poi va ad aprire. Entra lady Gandbalia).
LADY GANDBALIA: Buon frate, si cela qui lo sposo della mia signora?
FRA’ PROCTENZO (spalancando le ante): Ne dubitavi, buona balia? Che notizie ci rechi della tua padrona?
DUKEO: Mi odia forse, la dolce Rubinetta, dopo che le trucidai il cugino suo?
LADY GANDBALIA: Quel cugino brigoso, sempre pronto provocar liti? No, signore, la mia padrona piange per voi, piange e si dispera, si dispera e piange, e m’incarica di consegnarvi questo biglietto (gli dà un foglio che Dukeo legge avidamente).
DUKEO (giubilante): Mi chiede di andare a salutarla un’ultima volta, pria ch’io parta!
LADY GANDBALIA: Verrete allora stasera, col favor delle tenebre, e ripartirete prima dell’alba.
FRA’ PROCTENZO: Intanto io predisporrò ogni cosa per la partenza tua. (Escono).


- continua -

Link mediante il quale ricoprirmi di contumelie ed improperi: #entry570369858
 
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La tragedia continua...

SCENA DECIMA
(Alba. Balcone di Rubinetta. Entrano Rubinetta e Dukeo, lui che vuole chiaramente andarsene, lei che lo abbraccia per impedirglielo. )

RUBINETTA: Amor mio, non partire, non è ancora l’alba… non odi questo cinguettio? È l’usignolo notturno…
DUKEO: (tentando inutilmente di sciogliersi da Rubinetta) Mia diletta, non è l’usignolo notturno, è l’allodola che annuncia l’alba. Devo andare.
RUBINETTA: Ma no, mio miele, resta ancora un poco… (Gli si aggrappa pervicacemente addosso).
DUKEO (tra sé): Eh no, otto volte bastano! Questa fanciulla è invero assatanata. È d’uopo che io mi ritempri: un paio di uova fresche mi ridaran le forze. (A Rubinetta): Dolce amor mio, lascia ch’io vada.
RUBINETTA: Ardo, son tutta un foco! Non andartene, l’alba è lontana, s’ode l’usignolo… (si sente cantare un gallo).
DUKEO: Questo non sarà certo un gallo nottambulo… devo andare, e tosto.
RUBINETTA: È tardi, non partire. Oggi resterai da lo frate celato, e stasera ancora ci vedremo.
DUKEO: Eeeh? Sì, sì, certo.
RUBINETTA: Conterò gli attimi che ci separano da stasera…
DUKEO (tra sé): Stasera? Ancora? Ma neanche una dozzina di uova mi basterebbe… (Forte) Ma certo, gioia della mia vita. A stasera.
RUBINETTA: Giurami che tornerai…
DUKEO: Non conosco ostacolo che m’impedirà di raggiungerti. (Tra sé) Visto che non lo conosco, questo ostacolo, bisognerà che me l’inventi.
RUBINETTA: Almeno un ultimo bacio! (Acchiappa Dukeo e lo bacia fino al limite dell’asfissia. Non appena libero, lui s’affretta a scendere dal balcone e allontanarsi).
DUKEO (Tra sé): Piedi, m’affido a voi. Conducetemi lontano da sì assatanata fanciulla (scompare tra i cespugli).


SCENA UNDICESIMA
(Cella di fra’ Proctenzo. Dukeo, esausto, siede a un tavolo, davanti a lui è posto un cesto di uova).

FRA’ PROCTENZO: Figliuol mio caro, codeste uova sono invero un poco troppe. Non solo mi stai distruggendo l’intera scorta, ma puoi guastar la salute tua.
DUKEO: Padre mio, ti scongiuro credermi: io abbisogno di tali uova. La dolce Rubinetta mi tolse fiato e forze. Mi reggo in piedi a stento, proprio ora, che devo ahimè fuggire dalla bella Verona.
FRA’ PROCTENZO: Ah, qual disgrazia è la tua! Esule, proprio nel di’ delle nozze! Pensar che ora, immantinente tu dovrai partire… Figliol mio caro, allontanarti dalla sposa ti sarà crudel assai.
DUKEO: Vuoi scherzare? (Si riprende subito) Ohimè, il mio cuore sanguina all’idea di lasciar Verona, perché non c’è mondo fuor da queste mura. Eppur, debbo farlo. L’infelice Rubinetta crede ch’io stasera a lei torni…
FRA’ PTOCTENZO: Figlio mio, grave imprudenza sarìa!
DUKEO: Non ebbi cuore disilluderla. (Scrive un biglietto e lo consegna a fra’ Proctenzo) Buon padre, fate ch’ella riceva questo mio scritto in cui le spiego che è d’uopo ch’io da Verona parta, e tosto.
FRA’ PROCTENZO: Lo farò, figliol mio caro. Tua intenzione, immagino, è cercar securo refugio e tornar poi a prender di nascosto la sposa.
DUKEO (deglutendo a fatica un uovo che gli è andato di traverso): Certo, buon padre. Certo. Rubinetta volea meco fuggire, ma io rifiutai: troppo pericoloso per una fragile donna. Parto solo, le dissi, e poi torno a prenderti… un giorno.
FRA’ PROCTENZO: Molto giusto, ciò denota senno e responsabilità. In qual loco pensi tu ricoverarti? (Dukeo esita) Figliol mio, io debbo saperlo, acciocché io possa inviarti notizie dell’amorosa sposa tua.
DUKEO: Eh, già… Mantova, buon padre. Troverò scampo a Mantova. (Tra sé) A Padova, vado! Altro che! (Escono)


SCENA DODICESIMA
(Stessa mattina, più tardi. Sala nel palazzo Vegapuleti. Entrano Yabarno, Monna Imica e Zurilide).

YABARNO: Qual funesto giorno si è levato oggi per noi! Hydbaldo, il diletto nipote, ucciso per mano del peggior nemico di nostra casa!
MONNA IMICA: Il dolore nostro è acerbo, e ben peggiore lo è per Rubinetta, ché tanto affezionata era al cugino suo. La poverina, come le dissi che Hydbaldo cadde per mano del vil Dukeo, pianse fino a non aver più lacrime.
ZURILIDE: Povero angelo, questo dolore testimonia una volta ancor la bontade del cuor suo. Troppo la cruda sorte l’ha afflitta e vorrei, se fosse in mio poter farlo, consolar le pene sue.
YABARNO: Ciò onor ti fa, diletto figliol mio. Vuoi tu consolar Rubinetta? E non sarebbero le nozze la miglior consolazione?
MONNA IMICA: Signor mio, come pensar a nozze, quando il lutto opprime la casa nostra?
YABARNO: Proprio la gioia nuziale fuggirà il dolor del lutto. Celebreremo sobri sponsali, cosicché non si pensi, vedendoci festeggiar con gran pompa, che Hydbaldo fosse poco caro al cuor nostro. (A Zurilide) Parche nozze, pochi invitati, semplice banchetto; e invece d’attender un anno o due, la sposa subito in casa tua. Ciò vi alletta, caro figliol mio?
ZURILIDE (trattenendo a fatica un ARF!): Molto m’alletta, padre amato. Sia come volete…
YABARNO (tra sé, fregandosi le mani): Parche nozze significano parca spesa! Yabarno, niuno è pari al genio tuo!
ZURILIDE: …sempreché ciò piaccia anche a Rubinetta.
YABARNO (tra sé): Ci mancherebbe che quella cretina mi mandasse a monte queste nozze a poco prezzo! (Forte) Conosco mia figlia, e certo sono ch’ella accetterà di farsi da me guidare. Consorte diletta, va’ chiamar la figliola, ché subito le diamo la lieta novella.
MONNA IMICA: Marito mio, securo siete che tal novella possa davvero “lieta” definirsi?
YABARNO: Lieta, lietissima! Non son forse gli sponsali il sogno d’ogni fanciulla?
MONNA IMICA: Sì, gli sponsali sogno sono; l’incubo semmai è lo sposo…
YABARNO: Poche storie, mandamela qui subito! (Monna Imica esce) Quando celebreremo le nozze? Domani t’aggrada?
ZURILIDE (non credendo alle proprie orecchie): Domani? Vi sarà tempo bastante per i preparativi?
YABARNO: Quali preparativi vuoi vi siano? Nozze parche, scarso banchetto, pochi invitati: ciò che avanzò dalla festa dell’altro giorno, servirà per il nuzial banchetto di domani. Economia, Zurilide, economia.
ZURILIDE: Allor, sia come vi piace.
(Entra Rubinetta. Zurilide rimane in disparte).
RUBINETTA: Padre, a chiamar mi mandaste?
YABARNO: Figliola, non ti disse la madre tua che di trovarti marito mi ero ripromesso?
RUBINETTA (preoccupata): Sì, però assicurò che alle nozze mancano ancor un anno o due.
YABARNO: L’uomo propone e il caso dispone, figlia mia. Preparati a bella sorpresa…
RUBINETTA (molto preoccupata): “Bella”…?
YABARNO: Già lo sposo trovai! Non solo…
RUBINETTA: Già…?
YABARNO: Il promesso tuo è di ricca e nobil famiglia, t’ama e spera d’averti presto qual sposa in sua casa.
RUBINETTA: Presto?
YABARNO: Non solo…
RUBINETTA (vacillando): Che mai altro ancor può esserci?
YABARNO: Doman stesso sarai sposa! La nuzial letizia caccerà il triste lutto! Non sei felice?
RUBINETTA (aggrappandosi a un tavolo per non finire a terra svenuta): Padre, sono emozionata oltre ogni dire.
YABARNO: Par che non sia bene una fanciulla conosca lo sposo suo prima del dì delle nozze; ma io, tenero padre che vuol contentar in tutto l’amata figlia, infrango quest’uso e ti presento fin d’ora colui che doman t’impalmerà.
RUBINETTA (tra sé, notando solo allora Zurilide): Lo scocciator molesto che fu il martirio dei piedi miei! (Forte) Padre, non sarà colui il prescelto tuo?
YABARNO: Indovinasti, gioia mia. (Presentando Zurilide) Eccoti, figlia diletta, colui che ti destinai qual sposo.
RUBINETTA (esaminando Zurilide): Padre, costui parmi di vetusta etade e aspetto invero assai poco conforme…
YABARNO: …Scusa…?
RUBINETTA: Vecchio e racchio, papà. Gli manca pure un occhio. Ma uno intero e magari un po’ più giovane non c’era proprio?
YABARNO: Figliola, il partito è buono ed invero conveniente.
ZURILIDE: Se a madamigella la mia persona fosse sgradita…
RUBINETTA: “Sgradita” è termine debole assai.
ZURILIDE: Posso assicurarvi che il mio cuore appartiene solo a voi.
RUBINETTA: Peccato che tal cuore si trovi in un individuo siffatto.
ZURILIDE: Avrete tutto il mio amore, la mia fedeltà e la mia devozione.
RUBINETTA: Purtroppo amore, fedeltà e devozione sono doti che vorremmo negli amanti, e che risiedono in genere negli scocciatori.
ZURILIDE (a Yabarno): Messere, vostra figlia parmi poco ben disposta nei confronti miei.
YABARNO: Posso garantire che la mia Rubinetta è solo timida. L’emozione le altera la favella.
ZURILIDE: Mi ha dato dello scocciatore.
YABARNO: Via, è solo una fanciulletta che non conosce lo bene suo… (a Rubinetta) Sciagurata, capisci che Zurilide ha accettato di sposarti anche senza dote? Dove lo trovi, un simile cretino… eh, un cotal partito?
RUBINETTA: Avrei preferito non trovarlo, padre mio.
YABARNO: Uno sposo che non vuol dote è merce rara.
RUBINETTA: E proprio a me dovea capitare?
YABARNO: Insomma, figlia ingrata, questi è lo sposo che io ti scelsi!
RUBINETTA: Morta, piuttosto! (Esce di corsa).
YABARNO: Non badare alla mia creatura, la perdita di Hydbaldo l’ha sconvolta.
ZURILIDE: Signor mio, la vostra creatura ha sconvolto pure me. Non sono sicuro che…
YABARNO: Vogliamo dar peso alle vuote parole d’una scioccherella, figliol mio caro? Suvvia, domani stesso avrò la consolazione di vedervi congiunti in matrimonio.
ZURILIDE (preoccupato, tra sé): E domani io avrò il timore che la mia amata sposa mi condisca la cena con un pizzico d’arsenico. (Escono).


- continua -

Link acciocché voi possiate affamandarmi: #entry570410576
 
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view post Posted on 26/2/2015, 19:07     +1   -1
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La tragedia tragedieggia.

SCENA TREDICESIMA
(Pomeriggio. Cella di fra’ Proctenzo. Entra Rubinetta, agitatissima).

RUBINETTA: Buon padre mio, tu solo puoi salvarmi. L’avido mio genitore mi promise a Zurilide, che io aborro. Le nozze son fissate per domani!
FRA’ PROCTENZO (prende una fiala da uno scaffale e gliela porge): Ecco la soluzione al tuo mal, mia povera figliola.
RUBINETTA (speranzosa): Che è? Mortal veleno che debbo propinare all’odiato Zurilide?
FRA’ PROCTENZO: No. Potente sonnifero che tu stessa berrai: per tre giorni morta ti farà apparire, cosicché ti piangeranno e nella familiar tomba ti porranno. Nel frattempo, io manderò il novizio mio Aiascio a Mantova, acciocché avverta Dukeo: lui verrà a prenderti, e insieme fuggirete.
RUBINETTA: Buon padre, non ch’io voglia dubitar, beninteso, ma… tal pozione, è secura?
FRA’ PROCTENZO: Figlia mia, posso dirti che mai per tal pozione alcun che la provò ebbe a lamentarsi.
RUBINETTA (mettendo una mano dietro la schiena e facendo le corna): Grazie. Ciò mi rassicura assai.
FRA’ PROCTENZO: Va’ dunque, infelice figliola, e bevi senza timor veruno. Presto, grazie a tal bevanda non vi sarà problema alcuno ad affliggerti.
RUBINETTA (battendo sul legno della porta della cella): Mio buon padre, son sempre più tranquillizzata.
FRA’ PROCTENZO: T’affretta, e stasera stessa bevi e poni fine ad ogni tua ambascia.
RUBINETTA: Porrò fine. Certo. (Esce, sempre facendo le corna).


SCENA QUATTORDICESIMA
(Mattino dopo. Camera di Rubinetta. Rubinetta giace sul letto, immobile. Entra lady Gandbalia)

LADY GANDBALIA: Su, su sposina, è ora di levarsi dal letto! Su, dormigliona, che oggi è un gran giorno… su, svegliati! (Le prende una mano) Ma è fredda come il ghiaccio! È morta! Aiuto! (Entra Monna Imica)
MONNA IMICA (affacciandosi alla porta) Cosa sono questi schiamazzi?
LADY GANDBALIA: È morta! La mia povera padroncina, è volata in cielo con gli angeli! (Scoppia in lacrime.)
MONNA IMICA: Che cosa? Creatura mia! Rubinetta mia cara! (Piange. Entra Yabarno.)
YABARNO: Zurilide è già arrivato e chiede della sposa… ma come? Rubinetta è ancora a letto? Adesso mi sente!
LADY GANDBALIA: Purtroppo non potrà più sentirvi, padrone!
YABARNO: Sciocchezze! Rubinetta, alzati subito!
MONNA IMICA (in lacrime): Ma non capisci, padre sciagurato, che nostra figlia non si alzerà da quel letto?
YABARNO: Che Rubinetta il sonno duro abbia è cosa ben nota, ma ti garantisco che da quel letto si alzerà, eccome!
MONNA IMICA: Voglio dire che non si alzerà mai più!
YABARNO (imbecillotto): Stai dicendomi che ha fatto una paresi?
MONNA IMICA (urlando): Voglio dire che è morta!
YABARNO: No! Morta? Rubinetta… morta? (Rivolgendosi al corpo di Rubinetta) Proprio oggi che dovevi sposarti? Che figura mi fai fare! E cosa gli dico, a Zurilide? (Zurilide si affaccia alla porta).
ZURILIDE: Ho sentito fare il mio nome?
YABARNO: No… sì. Figlio caro, non so come dirtelo…
ZURILIDE: Rubinetta forse rifiuta gli sponsali?
YABARNO: No, no, ci mancherebbe… no, vedi, è solo morta.
ZURILIDE: Morta? (Entra Fra’ Proctenzo)
FRA’ PROCTENZO: Morta?
YABARNO: Morta. Defunta. Deceduta. Crepata. Come volete che in altro modo possa dirlo? Ella fu.
MONNA IMICA: Yabarno, la tua paterna sensibilità non avvi pari.
ZURILIDE: Angelo mio… morta? Dunque, prima ancor che marito io son vedovo?
FRA’ PROCTENZO: Dobbiamo chinar il capo al volere del Cielo. Quella povera creatura ormai non più tra noi trovasi: sicuramente a miglior sorte era destinata, presto avrà la consolazione celeste e noi non possiamo che sperarla felice. (Tra sé) Già inviai il mio novizio Aiascio ad avvertir a Mantova Dukeo. Di certo, entro doman lo vedrò giungere, pronto a seco portar l’amata sposa.
ZURILIDE (sconvolto): Ahimé, che mai potrò far ora? Tutto parmi ostico e strano…
YABARNO (pratico): Invece non v’è problema veruno. Muteremo in funereo banchetto il pranzo nuziale, e i fiori di sposa cangeranno in funebri corone. Per buona fortuna, è già tutto pronto. (Tra sé) E pur pagato. E non dalle saccocce mie! (Escono).

- continua -

Link per eccetera: #entry570448199
 
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view post Posted on 27/2/2015, 19:14     +1   -1
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Conclusione drammaticissima della tragedia. Tutti morti. O quasi.

SCENA QUINDICESIMA
(Due notti dopo. Interno della tomba Vegapuleti. Rubinetta giace in un sarcofago. La porta viene scassinata ed entra Dukeo).

DUKEO: Persino a Padova, dove avevo trovato dimora, giunse la notizia della dipartita di Rubinetta; ma esser vedovo sembrami fortuna talmente insperata, da non potervi prestar fede. Chieder novelle avria potuto al buon frate, ma di fuggir a Mantova gli feci credere, e parmi imprudenza grave assai svelargli il mio vero rifugio. Ordunque, eccomi a Verona tornato per accertarmi s’ella sia veramente morta; e poiché su di me grava ancor il bando che mi condanna, porto con me un velen che non perdona. Se malasorte fa ch’io cada in man de’ nemici miei, un sorso solo mi sottrarrà alle grinfie loro. Vediamo. (Apre il sarcofago, guarda Rubinetta e ha un moto di sollievo) Dunque è vero, ella giace morta. Sono vedovo! Vedovo, e libero! (Si sente aprirsi la porta della tomba) Ma chi giunge? È d’uopo ch’io mi nasconda (va dietro al sarcofago. Entra Zurilide, con in mano dei fiori).
ZURILIDE (deponendo i fiori ai piedi di Rubinetta): Fiori per un fiore. Ahimé, speravo portarti nella mia casa qual sposa, e invece debbo piangerti. Già due giorni sono che… (s’interrompe, annusa l’aria) Già, due giorni ch’è morta e ancor non emana lezzo. Invero, ella par dormire, e la morte non ha lasciato il suo orrido segno su di lei. Ciò strano appare. (Si china su Rubinetta per osservarla meglio e nota Dukeo nascosto) Chi è là? Chi osa interrompere il mio funebre rito? Fatti riconoscere, ribaldo!
DUKEO: Veramente, spiacemi avervi disturbato, messere…
ZURILIDE: Tu? Dukeo? Ti si diceva esiliato, e qui ti scopro!
DUKEO: Non è il caso d’alterarsi…
ZURILIDE: Non è il caso d’alterarsi? Ti ritrovo notturno sulla tomba della promessa sposa mia! Quantomeno, ho diritto a sentirmi arbori fronzuti crescer sulla fronte.
DUKEO: …scusa?
ZURILIDE: Sentirmi un po’ cornuto.
DUKEO: In effetti, la cosa può dar quest’impressione, ma…
ZURILIDE: Cotal offesa va nel sangue lavata! Battiti, se sei uomo! (Impugna la spada. Sulla porta appare fra’ Proctenzo, che s’arresta vedendoli in procinto di scontrarsi).
DUKEO: Veramente, signor mio, non parmi il caso di sparger sangue…
ZURILIDE: Vile, cornifichi e non vuoi dar soddisfazione? Battiti, o ch’io sia dannato se non t’apro qual pollastro dalla gola fino alle gioie familiari.
DUKEO (impugnando la spada): E va bene, va bene, se proprio ci tieni… (si battono).
FRA’ PROCTENZO: Celesti numi, venni per salvar Rubinetta, e trovo costoro che si ammazzano! Corro chiamar aiuto. (Esce di corsa).
DUKEO (ferisce Zurilide, che cade morto. La sua Anima vola al cielo): Pure questa capitarmi dovea… lo lascerò qui, è morto e già in cimitero trovasi. Adesso, cominciamo a mettere molte miglia tra me e quest’infernal luogo… (Rubinetta si agita, comincia a svegliarsi) Ma che veggio? Ella risorge? Torna dall’oltretomba? Non avrai mai pace in questa terra, misero Dukeo!
RUBINETTA (ancora semiaddormentata): Dukeo? Sei tu?
DUKEO: Mia sventura! Ella è viva, ed io ancor son marito! (Fruga in tasca e ne cava la fiala di veleno) Se non avrò pace in terra, l’avrò in cielo! (Beve) Meglio defunto che legato a tal collosa fanciulla…
RUBINETTA (tirandosi a sedere): Amor mio dolce, alfin siamo uniti… ma, che veggo? Pallido e smorto, tu vacilli… (Dukeo s’accascia al suolo, gli cade di mano la fiala) Un veleno è dunque la fine tua? Ma come? Muori attossicato, proprio ora che io son viva e libera?
DUKEO: Appunto! E con un rantolo, io muoio. (Muore. La sua Anima comincia a librarsi verso l’alto).
RUBINETTA: Ah, me infelice! Avea finalmente trovato un marito, e il marito defunge! Morrò anch’io, così almeno nulla potrà separarci! (Afferra la fiala e fa per bere) Vuota. Brutto egoista! E io, allora? (Prende il pugnale di Dukeo)
ANIMA DI DUKEO: Che fai, pazza?
RUBINETTA: Fido pugnale, trova la tua via! (Si trafigge e muore).
ANIMA DI DUKEO: Nooooo! (Sparisce rapidamente verso l’alto. Entrano Fra’ Proctenzo, Yabarno e Rigelio, che s’arrestano vedendo Dukeo, Rubinetta e Zurilide morti).
FRA’ PROCTENZO: Ahimé, noi sventurati! Troppo tardi giungemmo!
YABARNO (singhiozzando): Rubinetta mia, come potesti abbandonar il tenero padre tuo?
RIGELIO (in lacrime): Dukeo mio, figlio senza creanza, come potesti preceder il genitor tuo nella tomba?
FRA’ PROCTENZO: Piangete, ora, disgraziati? Or, che il male è senza rimedio? Sciagura su voi, che per la vostra brama di sangue causaste la rovina di questi due innocenti! Si amavano, io stesso in matrimonio li unii, e a causa dell’odio che regna tra le vostre casate ora giacciono finalmente insieme, sì, ma senza vita.
YABARNO: Vuoi dire che quel mascalzone fetente di Dukeo ha sedotto la mia piccola?
RIGELIO: Ehi, modera i termini! Se mai, è quella sporcacciona di tua figlia che ha circuito il mio bambino!
FRA’ PROCTENZO: Scellerati! Nemmeno la vista di queste infelici vittime vi distoglie dal mordervi l’un l’altro? La follia vostra causò la dipartita loro! Dukeo credea morta Rubinetta, e non sopportando il viver senza lei, s’uccise; ed ella, non volendo separarsi dal suo amore, lo seguì colpendosi di sua mano. Malasorte ed equivoci portarono a tal risultato. Quale tremendo destino! Invero, questa è la tragedia degli errori.
RIGELIO: Ah, povero Dukeo mio! (Singhiozza, si soffia il naso e poi riflette) Spilorcio com’è Yabarno, si servirà dal più conveniente tra i becchini. Dovrò farmi dar lo nome, o ne soffriranno assai le finanze mie.
YABARNO (sinceramente addolorato): La tragedia è grande invero: appena sepolto Hydbaldo, e appena finito di pagare lo funeral suo, altro lutto s’approssima. Povera figlia mia! E poveri danari miei, ché tanti ahimé dovranno lasciar la borsa mia per pagare le funeree pompe! Figlia mia! Miei danari! (Singhiozza, accorato).
RIGELIO: Non solo la figlia ti tocca, o padre taccagno! Perse la vita anche lo fidanzato suo, Zurilide, ne rammenta? Anche lo suo seppellimento graverà sulla tua saccoccia.
YABARNO: Tu farnetichi! Se Zurilide morì, la cagion ne è lo nefasto rampollo tuo, che l’uccise. L’onere di tal spesa graverà sulle scarselle tue.
RIGELIO: Non sperar, o taccagno tra i taccagni, di rifilar a me gli obblighi tuoi!
YABARNO: Non creder sottrarti al tuo dover, infingardo Fleedecchi! (Si afferrano per il bavero, mentre Fra’ Proctenzo tenta inutilmente di separarli. Dal fondo avanza l’Anima di Rubinetta, che si ferma un attimo a guardare lo spettacolo).
FRA’ PROCTENZO (desolato): Pensar che quegl’innocenti speravano col legame loro conciliar le vostre due casate!
RIGELIO: Pitocco!
YABARNO: Profittatore!
ANIMA DI RUBINETTA (scuotendo la testa): Sono proprio due gentiluomini di Verona. (Spicca il volo verso l’alto, mentre Yabarno e Rigelio continuano a lottare).


SCENA ULTIMA
(Paradiso. Candide nuvolette ovunque. Su una Tetsuzio, su un’altra lì vicino Zurilide, su una terza là accanto Hydbaldo, tutti vestiti con lunghi camicioni bianchi e provvisti di aureola, ali e lira. Entra Dukeo, vestito esattamente come gli altri. I tre lo salutano cordialmente).

TETSUZIO: Ma chi si vede!
HYDBALDO: Oh, il mio caro nemico!
ZURILIDE: Il mio ex rivale in amore! Ma guarda!
DUKEO: (un po’ impacciato) Buongiorno… ehm… siete ancora in collera con me, immagino…
TETSUZIO: Ma no! Qui siamo in Paradiso!
HYDBALDO: Qui nessuno ce l’ha con nessuno.
ZURILIDE: È tutto perdonato, Dukeo. Quel che è stato, è stato. Amici?
DUKEO: Davvero?
TETSUZIO: Ma sì, il passato è passato. Certe miserie terrene non ci appartengono più.
DUKEO: Meno male!
HYDBALDO: Hai la tua lira? Adesso possiamo fare un quartetto.
DUKEO: Volentieri, ma… sapete suonare?
ZURILIDE: A dire la verità, no. Ma abbiamo un’infinità di tempo per imparare! (Tutti e quattro impugnano la lira. Dukeo batte il tempo col piede, stanno per attaccare… in quel momento entra Rubinetta, anche lei in bianco e con aureola, ali e lira).
RUBINETTA: Dolce Dukeo, mia anima, eccomi a te! Ora saremo finalmente uniti per sempre, e niuno mai potrà separarci… Dove sei? Il mio cuore arde…
DUKEO (sgattaiolando alle spalle dei tre compagni): Voi non mi avete visto, intesi? (Si allontana tra le nuvole, mentre cala il sipario)
VOCE DI HYDBALDO: È andato da quella parte!
VOCE DI RUBINETTA: Amoruccio!!!
VOCE DI DUKEO: Fetente! Questa me la paghi! (Sghignazzata di Hydbaldo, tafferuglio dietro il sipario).


FINE




Epilogo

Lo ritrovò il giorno dopo, bocconi ai piedi della libreria, un grosso tomo aperto sul cocuzzolo.
Angosciata, Venusia si precipitò in suo soccorso. Era venuta al Centro come tutte le mattine, giusto per trovare il professor Procton agitatissimo: Actarus era scomparso, il letto era intatto, lui nemmeno sapeva dove potesse trovarsi. Erano impazziti a cercarlo ovunque; ed eccolo lì, in studio, con sul cranio un bernoccolo grosso come una cipolla.
– Oh, Actarus! – esclamò Venusia, gettandosi in ginocchio accanto a lui – Actarus, ti prego, parlami! Dimmi qualcosa!
Una palpebra si sollevò, un occhio azzurro ruotò lentamente prima di fissarsi su di lei.
– Actarus! Mi riconosci? – trepidò Venusia.
– Oh, soave visione – si aprì anche l’altro occhio – Angelo luminoso, la luce del sole impallidisce di fronte al tuo bel viso!
– Actarus…? – Venusia deglutì – Stai… bene?
– Oh sì, sto bene, or che ti miro! Pria di vederti, il mio cuore mai ha amato!
– Actarus, tu non stai molto bene…
– Ah, fin’ora i miei occhi mai videro la vera bellezza!
– Actarus, tu non stai per niente bene!
– Ti ho forse offesa? Ti chiedo la grazia di riparare con un dolce bacio.
Da che lo conosceva, Venusia aveva sempre stramaledetto la bietolaggine di Actarus, che mai e poi mai si era permesso nemmeno un bacino sulla fronte, che dico? neanche una cordiale stretta di mano. Trovarselo adesso così intraprendente, diciamo pure lanciato dritto sull’obiettivo, le diede la misura esatta dello stato in cui doveva versare. Si liberò, piuttosto a fatica bisogna dire, dai tentacoli che l’avvinghiavano e s’allontanò a tutta velocità strillando, mentre lui le correva dietro, folle d’amore.


Debitamente impacchettato, sedato e per precauzione assicurato con cinghie al suo letto nell’ambulatorio del Centro, Actarus dormiva, un dolce sorriso stampato sulle labbra. Accanto a lui, Procton e Venusia ascoltavano ansiosamente il dottore che aveva appena terminato di visitarlo.
– Trauma cranico, nessuna frattura – spiegò il medico – Non c’è commozione cerebrale.
– Si riprenderà? – trepidò Venusia.
– Ma certo. Il ragazzo ha buona tempra.
Testa dura, tradusse mentalmente Procton. – Capisco, dottore.
– Comunque, per precauzione gli faremo un ciclo di queste punturine – il medico cominciò ad armeggiare con una siringa – Fanno miracoli. Vedete com’è calmo, ora?


Calmo, in effetti Actarus era calmo.
O meglio: sembrava esserlo. Perché i suoi sogni, di calmo avevano ben poco.
Perso nelle sue nebbie, gli pareva di svolazzare rapidamente da una nuvola all’altra, sempre inseguito da una dolce fanciulla affamata d’amore – e soprattutto di sesso – che non gli dava tregua (“Amoruccio! Aspettami!”).


Venusia osservò la siringa taglia elefante con cui il medico stava dandosi da fare, e s’allarmò subito: – Scusate, ma non è una dose troppo forte?
– Venusia – intervenne Procton – Stai tranquilla. Il dottore sa quello che sta facendo.
Lei ebbe un solo attimo d’esitazione: conosceva Procton, sapeva che ci si poteva fidare del suo giudizio. Se lui aveva fiducia in quel medico, bene, voleva dire che era giusto così: – Capisco, professore. Sia quel che volete.
E mentre il dottore procedeva con l’iniezione gigante, Venusia non disse appunto niente: non voleva fare certo molto rumore per nulla, tantopiù che in fondo tutto è bene quel che finisce bene.


FINE (per davvero)


Link per esporre sdegnati commenti sullo scempio inflitto al Bardo: #entry570522149
 
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