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H. ASTER's FICTION GALLERY

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view post Posted on 28/10/2015, 18:49     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Conclusione del racconto di Halloween... ehm. :via:
Un ringraziamento speciale a Merlino, che mi ha dato l'idea per il finale. :thx:



– Non c’è più nessuno da spaventare? – si lamentò Shiro. La base di Vega era stata una vera delusione.
– Ma no, adesso andiamo da qualcun altro – rispose Rubina, incoraggiante; ma Shiro si era chiuso in un silenzio che prometteva niente di buono. Quello che era successo l’aveva messo di malumore, il che significava che presto avrebbe avuto bisogno di sfogarlo a suon di capricci.
Mentre la principessa e Mizar chiacchieravano amabilmente tra di loro, Shiro si sentì sempre più indispettito: oltretutto, stava pensando che l’idea di festeggiare Halloween era stata sua, lui era il capo, lui aveva il costume più bello e quindi lui avrebbe avuto diritto ad avere più dolci. Guardò Mizar, che appariva sempre tranquillo e sorridente, guardò il suo sacchetto pieno e si sentì davvero furioso.
Ci avrebbe pensato lui a rimettere a posto le cose.


Se non si trovava nella Sala Comando, il Ministro delle Scienze poteva essere in un posto solo: nel proprio studio. Fu lì che Rubina condusse i due bambini, sicura che almeno lui avrebbe riservato loro un’accoglienza migliore.
Le porte dello studio privato di Zuril scivolarono ai lati. Il goblin e il fantasmino si fecero avanti, tendendo i loro sacchetti: – Dolcetto o scherzetto?
Nonostante la sua imperturbabilità, il severo Ministro delle Scienze si lasciò scappare un sorriso: bambini… era padre, certe cose le capiva.
– Dolcetto – disse, aprendo un certo cassetto della sua scrivania. Vi frugò dentro e distribuì nei sacchetti due consistenti manciate di dolci siriani assortiti, che come tutti sanno sono tra i più pregiati e gustosi.
– Oh, quanti! – esclamò il fantasmino, entusiasta – Grazie, signore!
– Ehi, non è giusto! – intervenne il goblin, che aveva osservato attentamente i dolci ricevuti da lui, e soprattutto quelli dati a Mizar – Lui ne ha avuti quanto me!
– Certo – rispose Zuril – Parti uguali.
– Ma il capo sono io! A me ne spettano di più!
– Non vorrai dire che devo dartene dei miei? – esclamò Mizar, stupefatto.
– L’idea è stata mia! – la voce di Shiro stava virando pericolosamente verso i ben noti toni frignanti – Me li merito!
Questo non è giusto! – sbottò Mizar.
– Infatti! – intervenne Rubina – Su, bambini, salutate e andiamo.
Shiro prese fiato, un fiato molto lungo, pronto a dare il via alla lagna più eterna del suo vasto repertorio: in realtà, più che ai dolci di Mizar mirava a riceverne altri da quel tizio verdastro così generoso. Conosceva bene gli adulti: il pianto d’un piccino disperato li commuove sempre.
– Va bene, va bene – Zuril alzò una mano per fermare quel che altrimenti sarebbe stato inevitabile – Probabilmente hai ragione. Il capo sei tu, ti spetta qualcosa in più.
Le lacrime scomparvero e con grande rabbia di Mizar Shiro si fece avanti, tutto sorridente, il sacchetto proteso. Zuril frugò in un altro cassetto, ne cavò fuori dei dolci ancora più grossi, colorati e scintillanti dei precedenti, e li versò con gli altri: – Eccoti quel che ti meriti.
– Oh, grazie! – Shiro mancò poco che scoppiasse di gioia.
– Sono dolci speciali denebiani – spiegò Zuril – Molto rari e costosi. Degni di un vero capo.
– Magnifico! – Shiro li guardò, incantato: splendevano di mille colori… mandavano un profumino delizioso… ne avrebbe mangiato subito uno, non fosse stato per la maschera da goblin che indossava.
Mizar ci rimase male, naturalmente: un attimo dopo incontrò lo sguardo d’intesa di Zuril e istintivamente restò zitto. Però quei dolci denebiani facevano davvero voglia…!
– Va bene, adesso andiamo – disse Rubina.
– Certo! Grazie, signore! – e Shiro trotterellò verso l’uscita.
Mizar sospirò. Oh, beh, in fondo che contava se Shiro aveva avuto qualcosa in più? Quel signore gentile gli aveva comunque dato molto di più di quanto gli avesse regalato Alcor, ad esempio. O anche il professor Procton, notoriamente contrario ai dolci. Fece per andar via, ma Zuril lo fermò con un gesto.
– Un momento, ho una cosa per te – si alzò, andò a un armadietto e ne cavò un contenitore ermetico – Il tuo sacchetto sta per rompersi, metti i dolci qua dentro.
– Grazie, signore… ma il sacchetto sembra a posto…
– T’assicuro che questo contenitore ti servirà – Zuril gli prese dalle mani il sacchetto, lo chiuse ermeticamente e gli riconsegnò il tutto.
– Grazie, signore… ma non so quando potrò restituirlo.
– Puoi tenerlo. Vai, ora.
– Ancora grazie! – e anche Mizar s’allontanò di corsa, seguendo Rubina e Shiro nel corridoio.
Rimasto solo nel suo studio, Zuril tornò a sedersi e s’allungò contro lo schienale della poltrona; poi aprì nuovamente il secondo cassetto e riguardò la scatola di dolci denebiani che non molto tempo prima Dantus gli aveva regalato per il suo compleanno. Squisiti, certo… ma per i denebiani, appunto. Sull’organismo umano e veghiano l’effetto era ben diverso: lo svuotamento dell’intestino era immediato, dirompente e inarrestabile, con le conseguenze che si possono immaginare. Dantus lo sapeva, naturalmente; ma lo sapeva pure lui, che si era ben guardato dal toccare una sola di quelle delizie.
Ripensò a Shiro e alla lagna testé iniziata, e si permise un ghigno malefico.
Sapevo che quei dolci mi sarebbero stati utili, prima o poi…


La sala del trono appariva davvero grande, e incuteva rispetto. Il goblin e il fantasmino esitarono sulla soglia, e Rubina dovette sospingerli gentilmente all’interno: – Su, bambini, entrate pure. Papino è brutto e cattivo, ma non vi mangia.
Meno male, si disse Mizar, mentre seguiva timorosamente il compagno fino ai piedi del trono, là dove era assisa un’alta, terribile figura ammantata di porpora… quello sì che era brutto! Decisamente, se avesse girato sulla Terra in epoca di Halloween non avrebbe avuto bisogno di una maschera.
– Papino, cerca di non spaventarti troppo! – esclamò gaiamente Rubina – Ecco qui due mostri… due mostri terribili… un goblin e un fantasma.
Re Vega esaminò entrambi e rimase in silenzio.
Sotto quegli occhiacci, Mizar arretrò istintivamente; non Shiro, che reso audace dalla sua precedente vittoria si fece avanti e tese verso Re Vega il sacchetto dei dolci: – Dolcetto o scherzetto?
– Scherzetto! – il sire pigiò un pulsante sul bracciolo del regio trono. Una scarica elettrica a qualche centinaio di volt s’abbatté sul fanciullo, lasciandolo senza parole.
– Gh! – fu tutto ciò che disse, mentre scintille gli sprizzavano dai capelli.
– Ma papà! – strillò Rubina, risentita.
– Ha voluto lui lo scherzetto! – si giustificò il sovrano.
– Ma sei impazzito? È un bambino!
– E allora?
– Quella scarica avrebbe potuto ucciderlo!
– Beh, non l’ha fatto! In fondo volevo solo fargli appunto uno scherzo. Avessi voluto trucidarlo, non sarebbe ancora vivo!
– Adesso sentimi bene! – esclamò Rubina, mettendosi poco principescamente le mani sui fianchi e dando il via a una delle prediche più memorabili della sua vita.
Quando la figlia partiva con una delle sue tirate, Re Vega sapeva bene che l’unica cosa da farsi era tacere e non azzardarsi nemmeno a rispondere; tacque, mentre la figlia in qualche migliaio di parole gli faceva capire che si era comportato da quel tiranno odioso ed insopportabile che era sempre stato.
Ma è quello che sono, si tenne per sé lui, mentre Rubina, che aveva finalmente terminato, acchiappava per mano i bambini e li conduceva via.


Actarus vide tornare un Mizar sconvolto, uno Shiro totalmente annerito e dai capelli ritti e una Rubina profondamente mortificata che non fece altro che profondersi in scuse. Papà… lui capiva, era impossibile… lei mai si sarebbe aspettata… era desolata… il povero Shiro…
– Va bene, va bene, non è colpa tua – disse Actarus, che era dell’idea che quanto capitato al povero Shiro fosse ampiamente meritato – Non preoccuparti, l’incidente è chiuso.
Rubina si profuse in altre scuse; salutò affettuosamente i bambini, diede loro altri dolci extra e rimase a salutarli mentre risalivano su Goldrake e sedevano nell’abitacolo alle spalle di Actarus.
Poco dopo il robot sfrecciava nello spazio, puntando verso la Terra.


La scarica elettrica aveva zittito momentaneamente Shiro; poco per volta, però, il fanciullo riprese le proprie facoltà. Si mosse, sbatté le palpebre, sospirò; quando prese a lagnarsi, Actarus e Mizar seppero che lo shock era superato.
E infatti, Shiro stava proprio meglio; tanto meglio da cominciare a lamentarsi per il trattamento subito. Quel cattivo… come aveva potuto fargli una cosa simile?
– Sei fortunato che avesse solo voglia di scherzare – osservò Actarus, sforzandosi di restare serio quando in realtà avrebbe voluto ghignare malignamente.
– Proprio un bello scherzo! – sbottò Shiro. Gettò uno sguardo ostile a Mizar, rimasto incolume: perché non era stato colpito lui, invece? Che ingiustizia! Sempre a lui capitavano i guai… quindi, sentendo un insopprimibile bisogno di consolarsi, cominciò a frugare nel proprio sacchetto dei dolci.
– Mi fai assaggiare un dolce denebiano? – chiese Mizar.
– No, sono miei! – esclamò Shiro, stringendosi gelosamente il sacchetto al petto.
– Te ne do in cambio uno!
– No! Oltretutto, questi sono più grossi!
– Te ne do due, allora…
– No!
– Tre…?
– No, no e no! Sono miei e li mangio solo io!
Mizar s’accigliò, furioso: – Sei il solito egoista!
Per tutta risposta Shiro prese il dolce più grosso e più colorato, glielo fece vedere passandoglielo vicino al naso perché potesse sentirne il profumo e poi se lo pose ostentatamente in bocca…


Un istante dopo, i dolci denebiani tennero fede alla loro fama: l’effetto fu davvero devastante, immediato e soprattutto esplosivo.
In un attimo l’intero abitacolo di Goldrake, i due passeggeri, lo stesso Actarus si ritrovarono completamente ricoperti da una puzzolente poltiglia color marron.
– CAVOLO!!! – urlò Actarus… solo che non aveva detto proprio “cavolo”.


Più tardi, sulla Terra, mentre ripuliva l’intero abitacolo che aveva poc’anzi affrescato, Shiro si chiese se gli dolesse di più la pancia, squassata da dolori colici, o il fondoschiena, che aveva avuto un improvviso scontro con una mano principesca…


EPILOGO

Tetsuya era arrivato, aveva rilevato il fratellino ed era stato informato dell’accaduto: quel cattivo di Actarus… uno sculaccione… pulire tutto… gli era persino toccato fare una doccia fuori programma…
– Mi par giusto! – aveva commentato, insensibile alle sventure fraterne.
Shiro aveva virato allora sullo strappalacrime: lui aveva avuto mal di pancia… tanto… tutta colpa di quel dolce che aveva mangiato…
– Allora sarà meglio che non ne mangi altri, ti pare? – e caricato in macchina fratello frignante e costume da goblin (lercio, ben chiuso in un sacchetto assieme ai vestiti), Tetsuya aveva puntato l’automobile verso casa, sordo a lai e recriminazioni.
Alcor tirò un sospiro di sollievo, vedendoli allontanarsi: meno male che Halloween era finito… almeno per un po’ Shiro se ne sarebbe rimasto alla Fortezza delle Scienze.
Rientrò nel laboratorio: tutto era tornato calmo e tranquillo. Procton stava parlando con Actarus, Venusia e Maria erano chine su un computer, Hayashi, Yamada e Saeki erano presi dalle rispettive occupazioni…. Tutto era tornato alla normalità, grazie al Cielo.
Tirò un gran sospiro di sollievo. Proprio allora, scorse qualcosa di molto colorato su uno scaffale: i dolci di Shiro, o meglio, quelli che si erano salvati dal disastro, visto che il sacchetto di carta non era stato una gran protezione. Mizar, almeno, aveva potuto mantenere tutto il suo bottino grazie a quel contenitore ermetico che gli era stato regalato.
Dolcetto o scherzetto… altro che scherzetto! L’intero abitacolo di Goldrake ricoperto da… ehm… (e qui Alcor trattenne un ghigno: meno male che non era andato anche lui ad accompagnarli!). Certo che quell’improvviso attacco di mal di pancia era stato strano… effetti dello spazio, evidentemente.
Comunque i dolci erano rimasti lì, Shiro non aveva avuto il tempo di prenderli; c’era poi da immaginarsi che, visto quel che era successo, Tetsuya non glieli avrebbe lasciati mangiare.
Li guardò meglio: caramelle, cioccolatini, gelatine di frutta, liquerizie, confetti, gomme da masticare (senza zucchero)… poi dei dolci strani, grossi, coloratissimi, dall’aria davvero appetitosa.
Sono di Shiro, gli disse la coscienza.
Ma Shiro se li è dimenticati, e non potrà venire a riprenderseli, tagliò corto lui; e allungò una mano.


Il resto non è riferibile.





Per farmi notare che questo è un forum SERIO in cui non si parla di certe cose: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2460#lastpost
 
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view post Posted on 8/11/2015, 18:09     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Racconto dolorosamente autobiografico: quel che qui succede a Rigel è ESATTAMENTE quel che è successo (sta succedendo) a me. Non ho inventato nulla, mi sono limitata a raccontare le cose non in maniera drammatica... non troppo. :hate-wall.gif: :asd:


BOLLENTI BOLLETTE


La faccenda era cominciata parecchio tempo prima, all’incirca quando Mizar andava all’asilo e Venusia era una bimbetta con le treccine.
Da sempre, l’arrivo di una bolletta era stato per Rigel motivo di grandissima apprensione: non a torto, perché alcune, quelle del gas in particolare, tendevano a presentare ogni volta un preoccupante aumento nella quantità di cifre del totale da pagare. L’ultima, poi, era stata a dir poco esagerata: aprire la busta, leggere la fattura e sentirsi un calcio di mulo nello stomaco era stato un po’ un tutt’uno.
Rigel aveva pagato, naturalmente, ma l’aveva fatto dando fondo al suo pur vasto repertorio di parolacce.
Oltretutto, le dannate bollette non arrivavano mai on maniera costante: capitavano a intervalli irregolari e imprevedibili. Di certo c’era solo una cosa: la cifra da pagare, sempre fonte di atroci dolori al portafoglio.
Rigel era dunque nello stato d’animo giusto quando qualche giorno dopo l’ennesima salassata una graziosa biondina si presentò al ranch: era la rappresentante di una compagnia energetica nuova, molto conveniente che offriva gas e luce a prezzi davvero ribassati. Il signore era forse interessato? Certo che Rigel era interessato! Fece accomodare in casa la leggiadra creatura, le offrì un tè freddo e si fece spiegare ogni punto di quella vantaggiosissima offerta.
La signorina fu prodiga di spiegazioni. Mostrò tabelle di dati, fece rilevare a Rigel come i prezzi offerti fossero indubbiamente più bassi di quelli a lui imposti, e soprattutto garantì che avrebbe potuto ricevere la bolletta ogni mese: in effetti, molto meglio pagare regolarmente una certa sommetta piuttosto che venir rapinato a sorpresa in tempi più lunghi.
Rigel s’affrettò a compilare e firmare contratti: fornitura di luce e gas, bollette regolari (mensile per il gas, bimestrale per la luce) e soprattutto nessun problema per il cambio di gestore, “Pensiamo noi a tutto”.
Salutò la simpatica signorina e subito provò una gioia maligna all’idea d’aver abbandonato la vecchia azienda, odiosa non solo per i costi esorbitanti, ma anche per l’antipatia e la scortesia dei suoi dipendenti. Andare in quegli uffici significava sempre doversi trattenere dal prendere a ceffoni qualche impiegato.
Ovviamente, la vecchia azienda non era disposta a lasciar andar via così facilmente un cliente. La prima reazione fu fargli telefonare da un’impiegata, stavolta un tipo gentile, per chiedergli quale fosse il problema.
Il problema? Potrei fargliene un elenco! – rispose Rigel; l’altra comprese subito come stessero le cose e lasciò perdere.
L’azienda comunque gli fece avere un ultimo segno del proprio affetto inviandogli una bolletta a dir poco mostruosa. Come non bastasse, si trattava di un conguaglio su un periodo già abbondantemente conguagliato.
Ripresosi dal collasso, Rigel piombò negli uffici; l’odiosa, acidissima impiegata del Banco Informazioni gli rivolse un sorriso al cianuro e lo inviò verso uno sportello vuoto. L’impiegata sarebbe arrivata presto.
Quasi un’ora dopo giunse una signora esile, ma dal piglio gentile che hanno certi buttafuori. Esaminata la questione, tagliò subito corto: c’era da pagare, e basta – e intanto lo guardò come si guarda un viscido traditore passato al nemico.
– Ma scusi, si tratta di un conguaglio su un periodo già conguagliato! – Rigel tirò fuori le altre bollette riferibili al periodo.
Occhiata siderale: – Ma lei non deve badare a queste cose. Il periodo va pagato.
– Ma…
– È tutto!
Rigel ricadde contro lo schienale, sconfitto: – Almeno, fatemi una rateizzazione.
– Le rateizzazioni le facciamo solo ai nostri clienti – rispose lei, la voce che grondava vetriolo ad ogni sillaba.
– Beh, mi pare che finché vi pago, io sia un vostro cliente…
A quel punto, la signora rialzò la testa come un crotalo pronto a mordere.
– Scusi, sa, ma se tutti quelli che vengono qui fossero come lei, sarei proprio messa a posto! – man mano che parlava, la voce le si alzò di svariate ottave. Molte teste nel grande ufficio si voltarono verso Rigel, colpevole evidentemente d’aver fatto spazientire la loro collega – Non si vergogna? Venir qui a fare certe storie? E comunque, non ho più niente da dirle!
Rigel di cose da dire ne avrebbe avute moltissime; occhiate ostili tutte attorno gli consigliarono prudenza. Uscì, passò nell’atrio dove incrociò lo sguardo trionfante della Signora dell’Acido, e tornò a casa. Pagò, ripetendosi che almeno non avrebbe più avuto a che fare con quegli odiosi imbroglioni.
Meno male che aveva cambiato gestore…!
La prima bolletta della luce arrivò regolarmente: importo basso, come promesso. Rigel pagò sentendosi un canto sgorgargli nel cuore.
La seconda bolletta giunse puntualmente due mesi dopo, economica pure quella; intanto però non si vedevano fatture del gas. Rigel un giorno si decise a telefonare al numero verde, pronto a venir aggredito e svillaneggiato da qualche impiegato. Una voce flautata gli rispose: una signorina gentilissima, che l’assicurò che tutto era a posto e la bolletta sarebbe arrivata.
Sei mesi e parecchie telefonate dopo, un’impiegata ammise che sì, c’era un ritardo: per forza, la vecchia compagnia non aveva compiuto correttamente il passaggio di gestione, per cui lui pur ricevendo il gas non risultava ancora loro cliente.
– Non mi chiuderete il contatore…! – esclamò Rigel, allarmatissimo.
– Ma no-ooo, che dice, signore? – cinguettò l’angelica creatura – Solo, mi spiace molto ma devo dirle che le conviene andare di persona dal vecchio gestore a vedere che succede. Purtroppo, se loro non sbloccano noi non possiamo far nulla.
Così fu che Rigel si recò un mattino là dove aveva sperato di non dover mai più metter piede. Miss Acido del Banco delle Informazioni lo diresse subito verso una coda, “vada a mettersi in fila”.
– Ma io volevo solo sapere…
– Vada a mettersi in fila! – sbottò la gentildonna, gli occhiali che mandavano bagliori d’acciaio. Rigel non fiatò e obbedì. Otto persone prima di lui… arrivò all’impiegato quasi un’ora dopo. Fortunatamente l’uomo era gentile, ma quel che gli disse non gli piacque: – Ma non ha il modulo reclami?
– Avrei dovuto averlo? – chiese l’infelice.
– Sì… prima di venire da me doveva andare allo sportello quattro a ritirarlo. Non gliel’hanno detto, alle Informazioni?
– Veramente, no.
L’uomo gettò un’occhiata all’acidona che in quel momento stava strapazzando un altro cliente, e sospirò: – Capisco. Mi spiace.
– Vado a mettermi in fila allo sportello quattro e poi torno qui – disse Rigel.
– Non è così semplice – l’uomo assunse un’aria di scusa – Per andare allo sportello quattro, deve prima farsi dare il numero.
– E dove lo prendo?
– Al Banco Informazioni.
Così fu che Rigel, dopo una certa fila, fu costretto a bearsi nuovamente della vista della Regina dell’Acido, che gettatogli uno sguardo polare gli sbatté davanti un numero gracchiando di andare allo sportello quattro e mettersi in coda una buona volta. Dopo svariate file e la ripetuta esposizione del suo caso, Rigel venne finalmente a conoscenza della verità: loro non c’entravano affatto. A causare problemi era stata la nuova compagnia – e qui l’avevano guardato con rimprovero: visto cosa succede a tradirci con la concorrenza?
Altra telefonata, altro diniego (“Signore, le assicuro che la colpa è del vecchio gestore che non ci invia i codici… dovrebbe andare ad esporre il caso” “Ma ci sono già stato!” “Mi spiace tantissimo, ma deve tornarci”).
Impiegata acidissima, nuove file, nuova mattina persa: niente, loro non c’entravano.
Rigel ri-telefonò: niente da fare neanche lì, la faccenda non era di loro competenza. Di tornare agli uffici del vecchio gestore neanche parlarne, al solo rivederlo Sua Acidità sarebbe stata capace di centrargli un occhio con un timbro. Telefonò: guardi che il problema è del gestore nuovo.
Stessa solfa dall’altra parte: non ci mandano i codici.
Intanto il tempo passava… poi, una mattina, giunse una busta col logo giallo del nuovo gestore. Non poteva essere la bolletta della luce: quella arrivava regolarmente, l’aveva appena pagata! Che fosse finalmente…?


- continua -


Tutti insieme possiamo scagliare improperi contro i gestori del gas qui: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2460#newpost
 
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view post Posted on 9/11/2015, 19:21     +1   -1
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Seconda ed ultima parte del dramma... ehm, della FF.
Sempre totalmente autobiografico, a parte il finale che è un pio desiderio.


Era lei, giunta nelle sue mani per chissà quale miracolo celeste. Rigel non si fece domande: che importava cosa fosse successo? Finalmente, lui avrebbe avuto la bolletta del gas! Aprì la busta, e mancò poco che venisse stroncato da un infarto alle coronarie: per quanto economica fosse la compagnia, due anni di consumi di gas avevano maturato un totale a troppe cifre.
Ripresosi (a fatica), Rigel riguardò la bolletta: eh no, aveva letto giusto. Osservando meglio, scoprì in un angoletto una scritta interessante: importo rateizzabile.
Un secondo dopo era attaccato al telefono: una fata (non c’era altro modo per descrivere quella voce stillante miele) gli disse che non c’era nessun problema, avrebbe potuto pagare il tutto in dodici comode rate bimestrali. Bisognava solo badare di rispettare le scadenze, pena l’annullamento della rateizzazione. Gli avrebbero inviato al più presto la busta con i bollettini.
I bollettini arrivarono e cominciò la trafila: ogni due mesi bisognava recarsi in posta a pagare. Nel frattempo, arrivavano anche le altre bollette del gas: peccato fossero quadrimestrali invece che mensili, e che presentassero quindi degli importi considerevoli. Nuova telefonata: lui aveva chiesto di pagare le bollette ogni mese, perché arrivavano quadrimestrali?
Risposta: – Caro signore, non dipende da noi. La legge dice che le scadenze variano a seconda dei consumi: se lei consuma poco, paga ogni quadrimestre. Altrimenti, avrebbe dovuto chiedere fin dall’inizio il contratto mensile.
– Ma è esattamente quel che ho chiesto! Non può passarmi la bolletta da quadrimestrale a mensile?
– No.
Rigel ammutolì, e la linea venne interrotta.
Altro esame della bolletta: davvero lui consumava poco? Non avendo altri edifici attorno, casa sua aveva una forte dispersione di calore, gli pareva strano che… controllò: sui 1500 mc annuali. Se quello era poco!
Altra telefonata: stavolta rispose una voce un po’ saccente tipo maestrina.
Spiegazione della faccenda dei consumi e della bolletta quadrimestrale.
– Ma caro signore, per avere il diritto al bimestrale lei dovrebbe consumare più di 500 mc all’anno – gli fece rilevare la signorina.
– E io ne consumo 1500!
– Come fa a dirlo?
– C’è scritto qui! Sulla vostra bolletta.
Breve silenzio. – Beh, può fare un reclamo, naturalmente.
Il primo reclamo venne spedito il giorno dopo. Un secondo lo seguì tre mesi più tardi, il terzo dopo altri quattro mesi. Niente.
Poi, improvvisamente giunse una raccomandata: una pagina fitta fitta per dirgli che respingevano le sue obiezioni e avrebbero continuato a spedirgli le bollette quadrimestrali. Punto.
Nel frattempo aveva finito di pagare l’ultima rata della bollettona gigante, ogni quattro mesi riceveva la solita stangata e ogni bimestre, puntuale puntuale, arrivava la fattura della luce.
A quel punto Rigel sarebbe stato anche tentato dall’idea di cambiare gestore, se non l’avesse trattenuto l’agghiacciante pensiero di quanto avrebbe potuto succedergli ancora. Il terrore di nuove traversie lo bloccò, e l’infelice continuò a pagare le bollette che, bisogna dire, arrivavano ormai con una certa regolarità.
Aveva smesso con le rate da neanche un anno, quando improvvisamente non giunsero più bollette del gas: sempre quelle… passò un mese, ne passò un altro. Nulla. Rigel si decise a telefonare, e trovò un simpatico giovanotto che l’informò che sì, in effetti non riceveva bollette per colpa loro. Manutenzione al database, lei mi capisce… un piccolo disguido, di cui non c’era assolutamente da preoccuparsi. Le bollette sarebbero arrivate presto.
“Presto” fu un paio d’anni dopo: una megabolletta a davvero troppe cifre che lo fece stramazzare a terra, il cuore squassato dalla tachicardia.
Telefonata immediata: era possibile rateizzare?
Ma ceeerto… le mandiamo il piano tariffario e i bollettini, mi raccomando, rispetti le scadenze.
E via di nuovo: busta, bollettini, giri in posta.
Qualche mese dopo, sulle bollette regolari cominciarono a comparire cose strane: ogni volta era computato un certo quantitativo di mora, e sull’ultimo foglio era segnata una rata ancora da saldare “naturalmente, se avete già pagato non tenete conto di questo avviso”.
Rigel ci rimase male: in genere era molto preciso con i pagamenti… davvero aveva dimenticato una rata?
Andò a controllare: niente, c’erano tutte le fatture. E allora?
Nuovo giro di telefonate: il signore non doveva preoccuparsi, era tutto a posto. Un errore loro, avevano sbagliato la registrazione di un pagamento. Nessun problema.
Già, nessuno: peccato che sulle bollette successive risultassero non pagate ben due rate, con tanto di mora decisamente più consistente.
Altro giro di telefonate: certo, l’errore era loro… comunque, per sicurezza il signore avrebbe potuto mandare un fax all’Ufficio Reclami, chiedendo la cancellazione delle rate già pagate e la rifusione della mora.
Fax all’Ufficio reclami.
Risposta ben tre mesi dopo: non ci risulta il suo pagamento delle due rate.
Nuovo fax con copia delle ricevute.
Mesi di silenzio (e intanto sulle bollette normali la mora c’era sempre).
Poi, un bel giorno, quando l’ormai adolescente Venusia scese dal pulmino scolastico e rientrò a casa, trovò il padre intento a tentar di abbattere a capocciate una delle pareti. In terra giaceva una lettera: una diffida legale, in cui era dichiarato che lo sconsiderato comportamento del cliente aveva invalidato la rateizzazione, per cui era necessario pagare SUBITO l’intero ammontare del debito, pena atroci ritorsioni.
Telefonata imbufalita, cui dall’altra parte rispose una voce tutt’altro che amabile (Rigel avrebbe giurato che fosse la gemella di Madama Acida):
– Signore, è colpa sua. Ha sbagliato lei. Ha pagato un paio di rate in banca, quando avrebbe dovuto usare sempre i bollettini che le abbiamo inviato, come chiaramente specificato sulla lettera di rateizzazione.
– Ma sulla lettera si parlava solo delle scadenze, e io le ho rispettate…
– Non è vero, c’è anche scritto che vanno usati i bollettini, pena la chiusura della rateizzazione. Paghi. – e chiuse la comunicazione.
Rigel rilesse rapidamente la lettera: parlava dei bollettini, certo, ma non diceva che non usarli significava annullare tutto… solo il non rispettare le date era indicato come causa di chiusura della rateizzazione. Nient’altro.
Come non bastasse, proprio in quel momento giunse Mizar, con in mano la busta dell’ultima bolletta. Rigel l’aprì con mano tremante: conguaglio. Niente da pagare, evidentemente i mesi passati aveva sborsato fin troppo, questo lo riconoscevano pure loro.
Scritto in piccolino in un angolo trovò però la fregatura: siccome aveva pagato poco, aveva evidentemente consumato poco, il che significava che la bolletta successiva sarebbe stata semestrale, arrivando quindi dopo l’intero periodo invernale. Altro che salassata…!
Un ruggito esasperato sgorgò dalla strozza di quell’uomo che ormai troppo aveva sopportato e subìto…
Basta. Era ora di far giustizia.



(articolo apparso due giorni dopo sul giornale locale)
TERRORE NELL’AGENZIA DEL GAS
Ninja misterioso semina il panico

Ieri mattina, un ninja è piombato negli uffici dell’agenzia del gas seminando il terrore tra gli impiegati. L’assalitore, un individuo dal viso coperto, interamente vestito di nero, di bassa statura, subito battezzato Nano-ninja, katana alla mano ha distrutto il Banco Informazioni; ha poi aggredito l’impiegata, tagliandole i capelli a suon di fendenti. L’ha quindi letteralmente inchiodata al muro scagliandole addosso svariate shuriken, le classiche “stelle del ninja”: la donna è rimasta fortunatamente illesa, il suo costoso tailleur no. La donna, rapata e in gravissimo stato di shock, è stata comunque ricoverata in ospedale. Sotto shock sono rimasti anche altri impiegati, cui lo squilibrato ha letteralmente fatto a pezzi scrivanie, PC e schedari. Il pazzo si è poi scatenato persino nei bagni e sulle macchinette automatiche del caffè. Distrutta completamente la sede dell’agenzia, Nano-ninja si è volatilizzato.
Giunge ora la notizia del secondo colpo di Nano-ninja: stavolta ai danni dell’agenzia del gas concorrente. Stesso sistema: assalto alla katana, distruzione di mobili, schedari e computers, illesi gli impiegati. Nano-ninja si è poi dileguato; si temono nuovi assalti ad altre agenzie. Nessuna ipotesi sull’identità dell’individuo, evidentemente un disturbato.
La polizia brancola nel buio.




FINE


Per esprimere solidarietà a Nano-ninja: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2475#lastpost
 
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Nuova piccola follia, in attesa della gran follia natalizia... Oggi la prima parte, domani la conclusone.


ALL’ARREMBAGGIO!

Quando finalmente si trova il tempo – e la voglia – di andare a riordinare il classico armadio che-è-pieno-zeppo-ma-non-si-sa-più-di-che-cosa, la maggior parte delle volte si fanno straordinarie scoperte: ecco dov’era finito questo… e quello… e quell’altro… poi magari si trova un qualche raro tesoro di cui ci si era completamente dimenticati, e allora ci si tuffa in un viaggio sentimentale, dimenticandosi opportunamente il lavoro testé interrotto.
Fu ciò che successe a lady Gandal il giorno in cui decise finalmente di metter mano a un certo armadio che da anni avrebbe dovuto svuotare e riordinare, e che per un motivo o per l’altro non aveva mai potuto fare. Quel giorno aveva del tempo libero, lei stava bene e aveva pure la voglia di lavorare: niente scuse, dunque.
Aprì le ante e cominciò a frugare tra i vecchiumi: vestiti ormai decrepiti… una cassetta per il fai-da-te, ricordo di quando un giovane Gandal aveva voluto provare a riparare da solo il particolatore molecolare del gabinetto, con conseguente geyser di acqua diciamo sporca (e qui la signora nascose subito la cassetta tra il ciarpame da eliminare, presto, prima che il marito si rendesse conto di cosa stava facendo, si sa mai che gli fossero tornate certe velleità!)… vecchi giornalacci straboccanti poppute signorine discinte (“Ma è antiquariato, sono foto artistiche stampate su supporto cartaceo…” “Taci, zozzone!”)… poi uno scatolone pieno di cose-che-possono-sempre-servire, e che lei fece subito sparire. Fu la volta di un altro scatolone pieno di tesori di Gandal, il che significa un’intera collezione di sassi, dei tappi, gomitolini di spago accuratamente arrotolati, una serie di pupazzetti che venivano regalati con uno snack di cui il marito era golosissimo… spietata, lady Gandal eliminò tutto. Poi fu la volta di altri vecchiumi: un paio di romanzetti piccanti (via!), dei fumetti di argomento bellico (via!) e poi una specie di quaderno dalla copertina rigida a fiori, legato con un nastro rosa. Uh-uh.
Era lui… il suo vecchio diario!
Lady Gandal sciolse il fiocco, si mise un po’ più comoda e cominciò a scorrere le pagine: vecchie memorie di gioventù le si presentarono alla mente… lesse, di volta in volta commuovendosi o ridacchiando, mentre riviveva alcuni episodi del passato… e poi…
LUI.
Un mare di ricordi le tornò alla mente, e lei si ritrovò a sorridere, beata.
Zittito ogni senso di colpa (“Ma non dovevi riordinare l’armadio?”), si tuffò nella lettura rivivendo quello che era accaduto ormai un buon decennio prima…


– È tutta colpa tua! – esplose lady Gandal.
– E ti pareva… – brontolò il poco felice consorte.
– Te l’avrò detto mille volte! Prima di partire, fai il pieno! Ma tu, naturalmente…
– È un guasto! – ringhiò lui – T’assicuro che è un guasto!
Lady Gandal sbuffò. Essere sola col consorte era già di per sé sgradevole, ma ritrovarsi con lui in una navetta in panne in pieno spazio, beh, era qualcosa di decisamente preoccupante; quasi quasi avrebbe preferito affrontare il sire inferocito e bramoso di sangue.
– Ma l’avevi fatto, il pieno? – riprese.
– Ancora? Ti ho detto che il carburante c’è!
– Figuriamoci… come sempre, ne avrai messo uno sputacchio. Sei il solito taccagno! Quante volte devo dirti…
– Non devi dirmi niente! – barrì lui.
– …che quando si fa un viaggio interplanetario bisogna avere il serbatoio pieno? – insisté lei.
– È pieno! È pieno! Guarda! – Gandal accennò al monitor principale: l’indicatore del serbatoio non lasciava dubbi. Zeppo fino all’orlo.
– Ah, però – borbottò lei, contrariata di dovergli dare ragione.
– Vedi? È un guasto, come dico io!
– Sarà…
– Sarà? È!
– Io però non ho ricordi che tu sia andato a fare rifornimento…
– Ricominci?
– Ma scusa, se ieri non sei andato…
– Non sono andato perché era già pieno! Vuoi finirla?
– Non essere villano.
Gandal serrò le zanne: sapeva per sofferta esperienza personale che, per quanto avesse torto marcio, mai e poi mai la gentildonna gli avrebbe lasciato l’ultima parola. In pratica, se voleva porre fine al litigio, non doveva far altro che star zitto lui per primo. Oltretutto, sapeva bene quanto il restare in silenzio irritasse la signora…
– Gandal…?
Appunto. Fine della pausa. – Grumpf.
– Cosa credi che si sia guastato?
– Non sono un meccanico! Non ne ho idea!
– Scusa, funzionava tutto benissimo fino a poco fa. I motori sembrano in ordine.
– Bohf.
– Potrebbe essere il computer di bordo. Se si guasta quello…
– Non lo so. Se ci fosse Zuril, comincerebbe a smanettare e tac e tac metterebbe tutto a posto; ma io non sono lui, e non ci capisco niente.
Lady Gandal aveva un elenco intero di cose di cui non era capace il suo diletto sposo, ma ebbe la prudenza di tacere – e di tenerselo pronto per il successivo litigio, ovviamente.
– Comunque, non possiamo stare qui a non far niente! – esclamò.
– Accetto suggerimenti sul da farsi – rispose il marito, sarcastico.
– Beh, contatta Vega, chiedi aiuto…!
– Già fatto.
– E allora? Cosa ti hanno detto?
– Niente.
– Niente?
– Non hanno detto niente perché non è possibile mettersi in contatto. Non da qui. Siamo fuori dalle linee di comunicazione.
– Ma come? Siamo su una rotta tra le più comuni… o almeno, sulle tue carte è segnata come una rotta molto utilizzata.
– Ce l’hai con le mie carte, adesso?
– Certo! Sono decrepite! Quante volte t’ho detto di aggiornarle?
– Le mie carte vanno benissimo e questa è una rotta molto trafficata. Il problema è un altro.
– Cioè?
– Non c’è contatto.
– Ma…!
– Puoi sempre lamentartene con Re Vega quando torneremo… ammesso che possiamo tornare.
– Mi stai dicendo che siamo persi nello spazio, con la nave senza carburante e nell’impossibilità di chiamare il soccorso?
– No. Ti sto dicendo che siamo persi nello spazio, con la nave piena di carburante ma guasta e nell’impossibilità di chiamare il soccorso.
– Ma non è possibile…! Ci sarà qualcosa che potremo fare!
– Certo – rispose lui, che da quando aveva cominciato a lavorare assieme a quella linguaccia di Zuril aveva imparato a fare il sarcastico – Possiamo sempre scendere e spingere.


Passò un tempo che parve loro interminabile. La navetta continuava a restare inerte, anche se fortunatamente i supporti vitali funzionavano.
Avendo stabilito che quella in cui si trovavano fosse una rotta usata comunemente e che quindi presto o tardi qualche nave sarebbe comparsa, avevano deciso di risparmiare l’energia, riducendo al minimo le luci. Adesso, bastava solo aspettare. Qualcuno sarebbe passato, prima o poi…
Ore dopo, erano ancora a galleggiare nello spazio: sulla rotta trafficatissima, non era passato nessuno.
Si convenne che era solo questione di tempo, ormai non poteva mancare molto a che una nave passasse da quelle parti… e in effetti, finalmente una sagoma oblunga apparve sullo schermo.
– Una nave! – esclamò lady Gandal.
– Non riesco a capire di cosa si tratti – osservò il consorte – Non è un cargo, e non ha la sagoma delle nostre navi da guerra… non sembra nemmeno una nave fleediana, o deraniana…
– Non ricordo d’aver mai visto una nave come questa – rispose la signora – Forse è meglio se alzi la schermatura mimetica.
– Ma così non ci individueranno!
– E vuoi farti trovare da una nave sconosciuta?
– Visto quanto è praticata questa rotta, non abbiamo molto da scegliere, direi! E comunque ormai è troppo tardi, ci hanno sicuramente rilevati.
La grande nave stava infatti puntando verso di loro: sembrava una nave da battaglia, agile e potente. Un particolare sullo schermo attirò l’attenzione di lady Gandal, che subito lo ingrandì: a poppa, si potevano distinguere un’insegna nera recante teschio e tibie…
– Pirati! – esclamò la signora – Gandal, fai qualcosa!
– E cosa vuoi che faccia? Partire a razzo e seminarli?
– Tu scherzi, ma questi sono pirati! – gemette lady Gandal – Sono esseri spietati… non hanno rispetto per nessuno… e poi, quando ci sono donne…
– Ma qui non ci sono donne – osservò lui.
– E io che cosa sono, brutta bestia?
– Ma tu sei mia moglie, non sei una donna.
– Sei il solito mostro senza cuore…!



Link per parteggiare per Gandal o signora: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2490#lastpost
 
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Seconda ed ultima parte.


– Una navetta, capitano – disse il primo ufficiale al comandante pirata – È totalmente inerte, anche se registro vita a bordo.
– Magari è guasta – osservò il nostromo, che era un tipo pratico – Non credo che ne ricaveremmo un granché.
– Abbordatela – ordinò il capitano.


Un raggio traente piovve loro addosso, e subito furono trascinati verso il ventre della grande astronave. Un portellone si aprì, e la navetta scomparve nelle viscere metalliche della nave pirata.


Buio totale; poi le luci vennero accese e i due poterono vedere l’interno della nave che li aveva catturati.
Alcuni uomini si erano raccolti attorno alla loro navetta; non imbracciavano armi, ma erano parecchi. Resistere sarebbe stato insensato.
– Venite fuori! – ordinò quello che sembrava essere il capo.
– No…! – mormorò lady Gandal. Pirati… lei, fragile donna, stava per cadere in balìa di quegli spietati fuorilegge…
– Siamo soli contro tutti loro – le fece notare Gandal – Ti pare il caso di far tante storie?
– Ma non capisci… sono pirati!
– Capisco perfettamente, e capisco anche che, se avessero brutte intenzioni nei tuoi riguardi, cosa di cui dubito, non potremmo certo impedirgli niente. Resistere sarebbe stupido.
– Ma non vorrai davvero andare a consegnarci a quei… quei…
Gandal scosse le spalle e aprì il portello, scendendo poi dalla navetta. Una dozzina di uomini lo circondò, mentre quello che sembrava il capo… Gandal dovette guardarlo meglio perché non gli sembrava proprio un capo, piccolo, cicciotto e occhialuto com’era… il capo si faceva avanti.
– Il nostro capitano vi attende sul ponte – disse, senza tante cerimonie; si girò e Gandal gli tenne dietro, stupito nel sentirlo canterellare una specie di filastrocca infantile.
Quello era un capo pirata? Un ufficiale?
A dire la verità neanche gli altri avevano l’aspetto truce che si attribuisce ai pirati: uno era un biondino occhialuto con l’aria intellettuale, poi un tappetto con la barba e persino un ragazzino! Assurdo.
Mentre percorrevano i corridoi della nave, in Gandal stava avvenendo un vero e proprio psicodramma interiore di cui nessuno dei presenti ebbe il minimo sentore.
– Pirati…!
– Pirati. Ma non mi sembrano così tremendi.
– Lo so che cosa vogliono… Sono mostri! Tu non hai idea di cosa facciano alle donne…
– Ne ho idea, e continuo a pensare che tu non corra nessun pericolo. Sono pirati, ma hanno buon gusto.
– Sei un bruto insensibile!
– E tu sei un’illusa.



Le porte si aprirono davanti a loro, e furono sul ponte principale.
Gandal si guardò attorno: una giovane donna bionda era seduta alla consolle di comando, doveva trattarsi del primo ufficiale. Seduto in un angolo un uomo il cui viso appariva in ombra, e che aveva tutta l’aria di essere il capitano.
Coraggio, donna!,esclamò Gandal dentro di sé, Andiamo a conoscere il pirata che non aspetta altro che violentarti.
Sei un…!, e qui lady Gandal fu molto poco lady, perché rivolse al marito un epiteto che una vera gentildonna non dovrebbe nemmeno conoscere. L’altro incassò ghignando ma non rispose, perché il capitano si era alzato facendosi avanti.
Gandal ora poteva vederlo bene; lo vide anche la signora, e subito esplose in quello che non può essere descritto altro che come un colossale GARAGULP!, se ci viene passato il termine fumettistico. Fu un istante, e subito lady Gandal fece la sua comparsa, gli occhi stellanti e la bocca che era tutta un cuoricino.
Alto, longilineo, monocolo, il viso segnato da una cicatrice, il capitano pirata aveva lo sguardo di chi tutto ha visto e di nulla si stupisce; questo gli permise di restare perfettamente impassibile di fronte a quel gigante muscolosissimo dal cui viso apribile non spuntava un uccellino che fa cù-cù, ma un volto femminile dai fiammanti capelli.
– Buongiorno – esordì, e Gandal ebbe la netta sensazione che dentro di sé stesse divertendosi parecchio – Benvenuti sull’Alkadia. Io sono capitan Harlock.
– Io sarei… – cercò di dire Gandal, ma sua moglie non lo lasciò parlare.
– Felicissima di fare la sua conoscenza! – trillò – Sono lady Gandal, e sono davvero onorata, ecco sì, onorata, di essere sua ospite, anche se mi scuso di dover dare tanto disturbo, ma purtroppo la nostra nave è guasta, tutto per colpa di mio marit… ehm, di uno scioccherello poco previdente, e quindi… cioè… che altro posso dire?
– Che sei sposata con me! – intervenne Gandal, godendo malignamente nel rompere le uova, e pure qualcos’altro, alla sua garrula consorte – Scusate, capitano. Sono il comandante Gandal.
– Ooooh, un comandante e la sua signora! – esclamò il cicciotto occhialuto, che era andato a recuperare un modellino di nave posato su una consolle – Sarebbe un ricco riscatto, se la cosa c’interessasse.
– Ma non c’interessa – disse Harlock, che faticava parecchio a mantenere la compostezza che gli era propria: quel gigante il cui viso bluastro continuava a fare apri-chiudi con quello della moglie lo divertiva parecchio – Abbiamo rilevato la vostra navetta e abbiamo visto che era totalmente inerte. Un guasto, forse?
– Un guasto – confermò Gandal.
– Serbatoio vuoto! – esclamò la signora.
– Sarà il caso di verificare – Harlock si volse verso la giovane bionda – Yukie, dai ordine che controllino la navetta.
– Mando subito una squadra, capitano – Yukie digitò un comando sul suo schermo, mentre il cicciotto deponeva il modellino.
– Capitano, volete che vada pure io a dare un’occhiata?
– Certo, Yattaran – Harlock si volse verso Gandal – Non preoccupatevi, il mio nostromo Yattaran è un vero esperto. Il vostro mezzo è in ottime mani.
– Non so come ringraziarvi, capitano – cinguettò lady Gandal.
– Signora, il piacere è mio.
Gandal, che ne aveva abbastanza di quella conversazione galante, tantopiù che non riusciva a concepire che qualcuno potesse essere così cavaliere con quella strega di sua moglie, si fece subito avanti.
– Vi faccio i miei complimenti, capitano. Avete un ottimo equipaggio.
– Grazie. In effetti sono uomini molto abili. Mentre la vostra nave viene controllata, volete accomodarvi? – Harlock riprese posto sulla sua poltrona e fece cenno a Gandal di sedere accanto a lui – Magari gradite una coppa di vino e qualcosa da mangiare.
– Volentieri – stavolta non ci scappa neanche una violentatina, cara. Mi spiace tanto.
Sei un animale! E comunque, guarda che qualsiasi cosa succeda a me, non è che tu ne rimanga fuori! Diciamo che sei coinvolto in prima persona!
Ma non sono io a fare certi pensierini sul capitano…
Per forza, tu sei il solito mollusco lesso!

– Qualcosa che non va? – chiese Harlock, vedendo il suo ospite rimanere come assorto per qualche istante.
– Nulla. Diciamo… una sorta di discussione interiore?
– Capisco – rispose Harlock, che a dire il vero faticava un tantino a concepire una vita a due come quella del Comandante di Vega e signora.
– Il fatto è – continuò Gandal, perfido, mentre sua moglie lo faceva segno di molti altri epiteti che non avrebbero dovuto far parte del vocabolario di una dama – che qualcuno, vedendoci abbordati da dei pirati, aveva paura di venire… come dire… oltraggiata, ecco.
GANDAL, TI ODIO!!!
– Beh, è un timore comprensibile – rispose Harlock, che in vita sua era stato accusato d’essere un ribelle, un fuorilegge, un bandito, un delinquente, un sovversivo ma mai e poi mai d’essere un assatanato seduttore di donzelle – Comunque no, non siamo quel tipo di pirati, e le signore le rispettiamo.
T’è andata male, cara.
Vigliacco!

– La signora è forse offesa? – chiese Harlock, percependo una certa tensione nel suo ospite.
– Per niente – ghignò Gandal – Solo delusa.
Proprio allora si udì un cicalino; diplomaticamente, Harlock si fece passare da Yukie la comunicazione. Sul piccolo schermo incorporato nella sua poltrona apparve il viso gioviale del nostromo.
– Allora, Yattaran? Cos’ha la navetta? – chiese Harlock.
– C’è un guasto, capitano.
– Hah! – esclamò Gandal, trionfante, mentre la signora si tratteneva a fatica dall’urlargli stavolta pubblicamente tutti gli epiteti di cui avrebbe voluto farlo segno.
– Che genere di guasto? – chiese Harlock.
– Un virus aveva danneggiato il computer di bordo, che forniva dati sbagliati. In particolare, era sballato l’indicatore del carburante, che continuava a segnare pieno.
– Ah, sì? – chiese Gandal, spiazzato, mentre la signora drizzava le orecchie.
– E poi c’era il serbatoio completamente vuoto.
– L’avevo detto, io! – esplose lady Gandal, mentre il marito masticava un paio di frasi che per la loro crudezza avrebbero imbarazzato i rudi pirati che li circondavano.
– Riparate il guasto e riempite il serbatoio – ordinò Harlock, chiudendo la comunicazione.
– Siete troppo gentile! – esclamò Gandal – Non so nemmeno come ripagarvi… Naturalmente vi rifonderò il costo del carburante.
– Neanche da dire, ne abbiamo tantissimo – si schermì Harlock.
– Scusate la curiosità: come fate ad averne molto, con quel che costa?
– Lo rubiamo alle vostre navi – rispose Harlock, disarmante – Tra l’altro, sono molto meravigliato che vi trovaste su questa rotta: non lo sapete che ormai non ci passa più nessuno?
– Nessuno? Ma sulle mie carte è segnata come una rotta trafficatissima…
– Lo era, prima che noi cominciassimo con gli arrembaggi – rispose soavemente Harlock.
Le tue stupide carte decrepite! Te l’avevo detto di aggiornarle!
– Naturalmente, noi non facciamo mai del male agli equipaggi: ci limitiamo a rubare il carico e il carburante, lasciando quello che serve alle navi per arrivare al primo spazioporto – continuò Harlock.
– Siete dei pirati onesti – intervenne lady Gandal, guardandolo con grandi occhioni.
Tra un po’, vomito!
Piantala, cafone!

Respinto dalla consorte Gandal praticamente scomparve, e fu un bene, perché assente lui la conversazione rimase tutta su toni decisamente galanti. Harlock provava un’istintiva simpatia per quella donna così singolare: dentro di sé aveva comunque la certezza che con lei, dato l’inamovibile marito, mai e poi mai avrebbe potuto rischiare alcunché, non c’erano pericoli di garbugli sentimental-sessuali, insomma, per cui poteva permettersi di farle un po’ di corte. Quanto a lei, era semplicemente estasiata: non capitava spesso che qualche uomo le mostrasse un minimo d’apprezzamento, e Harlock era decisamente un uomo affascinante, nel suo genere… la sua conversazione fu tutta un ci-ci-ci. Quando Yattaran apparve nuovamente sullo schermo per annunciare che la navetta era stata riparata e rifornita, e che quindi i loro ospiti potevano ripartire, ne fu delusa. Anche le cose più belle hanno una fine, ahimé.
Harlock la riaccompagnò personalmente alla navetta. Gandal fece una sporadica apparizione, quel tanto da poter salutare e ringraziare quei pirati così gentili; la signora lo respinse subito, salutò Harlock con lo stesso spirito con cui Giulietta aveva detto addio all’esule Romeo e col cuore spezzato risalì sulla navetta, dove finalmente permise a Gandal di riprendere il comando e mettersi alla guida. Lei era troppo afflitta per occuparsi di cose vili come pilotare un mezzo… era disperata… era dilaniata tra il dolore e i propri romantici sogni, tantopiù che Harlock l’aveva fornita del proprio recapito. Avevano fatto amicizia, sarebbero rimasti in contatto.
Il grande portello dell’Alkadia si aprì e la navetta puntò verso l’esterno, riprendendo la rotta che avevano dovuto forzatamente interrompere ormai un bel po’ di tempo prima.


Attraverso lo schermo, Harlock seguì la navetta, finché non scomparve nello spazio.
Alle sue spalle sembrò materializzarsi Meet di Yura, la sua compagna aliena. Non era nella sua natura dolce essere gelosa e fare scenate, ma un minimo di sacrosanto dubbio l’aveva pure lei: – Harlock, non ti ho mai visto così galante con una donna…
– Ho solo fatto un’opera buona – si schermì lui.


– …Così gentile! – esclamò lady Gandal, la voce che era tutto un trillar di cinciallegre.
– Resta comunque un pirata – le fece notare Gandal – Cioè un bandito, un ladro, un fuorilegge…
– Sei un ingrato! Come puoi parlare così dell’uomo che ci ha salvati?
– Ci avrà salvati, ma sempre pirata rimane – tagliò corto Gandal – Del resto, lo ammette lui per primo.
– Questo è vero – dovette convenire la signora.
– E siccome è un pirata, rimane un bandito, un ladro, un fuorilegge…
– Bohf.
Gandal si permise un ghigno perfido: – Peccato che non sia anche un brutalone, eh?
– MOSTRO!!! – urlò lei, e l’unico motivo per cui non lo colpì con qualcosa di grosso, pesante e spigoloso fu il fatto che lui stava guidando la navetta, e non era saggio ammaccargli il cranio in quel momento.
Il resto, fu tutto un continuo litigio.


Lady Gandal chiuse il diario, persa ancora nei suoi rosei ricordi. In effetti con Harlock era nata una bella amicizia, visto che, purtroppo (sospiro), non era possibile che nascesse altro… poi, saputo che lui non era più legato a Meet, con grande generosità l’aveva presentato a Venusia, con cui aveva intrecciato una relazione torrida anche se intermittente. Cosa non si fa per le amiche (sospiro più grosso)…
Dal limbo in cui l’aveva relegato, Gandal sembrò riemergere improvvisamente: la pulizia dell’armadio non l’interessava particolarmente per cui aveva preferito isolarsi, ma percepire i vecchi ricordi della moglie, e pure qualche pensierino di contenuto decisamente piccante rivolto ad Harlock, lo aveva fatto risvegliare.
– Oh, stiamo riesumando vecchiumi! – sghignazzò – Ancora la faccenda dei pirati, eh? Di quando purtroppo la tua virtù non ha corso nessun rischio?
– Stavolta non stai guidando la navetta! – esclamò la signora; e lo colpì con la copertina rigida e puntuta del suo diario.


Più tardi, in osservazione al Centro Medico, il cranio accuratamente fasciato, lady Gandal si disse che sfondarsi il parietale può sembrare poco saggio a chi non condivide letteralmente l’esistenza con il proprio amato consorte. Per lei era stato un piccolo prezzo da pagare: adesso per un bel po’ il marito non avrebbe più potuto infastidirla, dato che i medici erano stati costretti a sedarlo, e sedato avrebbe dovuto rimanere per un bel po’ di tempo.
Nel frattempo, lei si sarebbe presa un periodo di riposo: era pur sempre malata, il cranio acciaccato era anche suo. Libera, e senza Gandal tra i piedi! Una vera vacanza, finalmente! Basta avere quell’impiccione tra i piedi! Avrebbe potuto mettersi i suoi vestiti, quelli che lui considerava con orrore perché troppo femminili, e poi avrebbe potuto truccarsi e acconciarsi senza avere sempre quell’impiastro a smontarla con le sue critiche… e poi, perfidia delle perfidie, ne avrebbe approfittato per sistemare anche gli altri armadi di casa e gettar via tutto il ciarpame che lui aveva accumulato in tutti quegli anni, “tanto lui non può protestare”. Che meravigliosa prospettiva!
La libertà val bene un mal di testa.




Link per parlare di piccoli dissidi coniugali: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2490#lastpost
 
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Mi scuso per il ritardo vergognoso con cui posto il racconto di Natale: proprio l'antivigilia mi si è bruciata la scheda madre del PC. Salvati i dati per fortuna, ma si è reso necessario l'acquisto di un PC nuovo, con cui ho cominciato a litigare da subito.
Recuperati i dati, posso finalmente postare la prima parte del racconto, che già dal titolo farà capire quanto mi sento buona... ma taaanto buona... e siccome il protagonista è LUI , potete star sicuri che di zucchero ce ne sarà pochino.^^
Buona lettura!


V PER VENDETTA (NATALIZIA)


Antefatto

Era fine novembre: Babbo Natale si trovava in periodo di stasi, quando ormai tutti i doni per i bambini erano pronti e le letterine non erano ancora giunte. In un pomeriggio particolarmente buio e ventoso, Babbo sentì bussare alla porta di casa: la Befana, venuta a trovarlo per vedere a che punto fosse con i preparativi.
– Tutto a posto! – disse lui, facendo accomodare la sua ospite presso il caminetto del salottino e servendole una tazza colma di cioccolata calda con panna – Non appena arriveranno le letterine cominceremo ad attribuire i doni per ogni bambino. Certo che una volta era tutto molto più semplice: i bimbi volevano il pallone, i colori, la bambola… confesso che adesso, con quelle diavolerie elettroniche, io non ci capisco niente. E tu come te la cavi?
– Oh, io me la cavo benissimo! – rispose la Befana, che in fatto di tecnologia era molto più esperta dell’impacciatissimo Babbo – Sono perfettamente in grado di distinguere tra i vari tipi di videogiochi…
– Beata te! – sospirò Babbo, immergendo un biscottino nella sua cioccolata.
– Non che le mie competenze mi servano – fece notare la Befana, scegliendosi un dolcino – Per mia fortuna io non ho la faccenda delle letterine. Nella calza io metto quel che ho sempre messo: dolci, qualche giocattolino, qualche arancia… e se occorre, carbone.
Babbo rabbrividì: bonario com’era, l’idea di punire un bambino con il carbone lo faceva inorridire. – Io non potrei mai…
– Caro mio, se un bambino fa la carognetta, va punito – rispose la Befana, decisa, addentando il suo biscottino – È una questione educativa.
– Certo, certo… ma io non credo che riuscirei…
– E come ti comporti con i cattivi, sentiamo – disse la Befana, occhieggiando gli altri dolcetti nel piatto.
– Mah… qualche dono in meno, magari…
La Befana lo guardò al di sopra degli occhialetti ovali: – E ti pare una punizione sufficiente?
– S-sì, suppongo…
– Per piacere, Babbo! Stiamo parlando di bambini davvero cattivi! Quegli odiosi marmocchi viziati e capricciosi, quelli che vogliono tutto e subito, quelli che…
Babbo scosse la grossa testa bianca: – Ma è Natale anche per loro, non posso deluderli!
La Befana serrò le labbra: – Facendo così, li renderai ancora più capricciosi.
– Eh…! – Babbo si strinse nelle spalle, sconsolato.
– Vediamo un po’ – la Befana si versò un altro po’ di panna montata nella tazza – Cosa pensi di fare con… lui?
Mancò poco che a Babbo andasse la cioccolata di traverso: – Lui, chi?
– Mi hai capita benissimo. Lui. Yabarn, Re Vega. Come pensi di comportarti?
Babbo s’accorse d’essersi macchiato di cioccolata la barba candida e prese a pulirsi con un tovagliolino: – Veramente, per lui pensavo di fare un’eccezione…
– Meno male! Un simile fetente non merita certo regali! Considerato quel che ti ha combinato l’anno scorso, dopo che per lui avevi messo su tutta quella messinscena alla Dickens…
– Beh…
– Non dirmelo – la Befana si aggrappò con una mano al bracciolo della poltrona – Vuoi regalargli qualcosa?
– Una cosuccia, a dire il vero…
– Cioè?
– Dei cioccolatini…
– Cioccolatini? – trasecolò la Befana – A quella carogna?
– Ma si tratta di cioccolatini speciali!
– Fammi indovinare: cioccolatini purgativi?
– Denebiani, a dire il vero – ecco, ora che l’aveva confessato Babbo poteva procedere più spedito – Non so se conosci l’effetto dei dolci denebiani sull’intestino di un umano, veghiano, fleediano o terrestre che sia…
– Lo conosco, lo conosco – sbottò la Befana – Svuotamento immediato.
– Pensi che sia… come dire… troppo? – chiese ansiosamente Babbo.
– Penso che sia penosamente troppo poco! – sbottò la Befana – Dolci purgativi! Babbo, è roba che farebbe l’alunno più bigotto della classe di catechismo!
Babbo la guardò, smarrito. Pensava d’essere stato anche troppo cattivo, ma…
– Se vuoi dargli una lezione, e hai tutti i tuoi buoni motivi per farlo, che sia una lezione INDIMENTICABILE!
– Vuoi dire…
– Voglio dire che ci penserò io, naturalmente – gli occhialetti della Befana ebbero un sinistro luccichio – E ti garantisco che sarà una vendetta atroce.
– Befana! Ma è Natale! Non vorrai…?
– Niente di letale, te l’assicuro – sorrise lei – Voglio solo fargli pagare in un colpo tutte le porcherie che ci ha combinato, dal bombardamento di casa tua, a quando mi ha abbattuta a suon di vegatron, al resto.
– Ma stai parlando di vendetta… noi siamo i buoni, non possiamo…
Vendetta è una brutta parola, hai ragione. Parliamo allora di un regalo personale che facciamo a noi stessi – rispose lei – Basta con gli scrupoli, Babbino, e lascia fare a me.


23 Dicembre

Vedere il proprio agguerrito robot affettato dalle Lame Rotanti ed arrostito a suon di Tuono Spaziale era un classico, per Re Vega: diciamo pure che non sarebbe stato questo a farlo arrabbiare. Non più di tanto, almeno.
Vedere però il proprio letale mostro bersagliare l’avversario con fuochi d’artificio invece che con mortali raggi protonici e scaraventare bombette puzzolenti al posto di micidiali ordigni al vegatron, il tutto suonando irritanti canzoncine infantili a base di lasagne della nonna, beh, era stato davvero un po’ troppo. Non appena si era ripreso dallo stupore l’odioso Duke Fleed dapprima si era mezzo soffocato dal ridere dopodiché, a maggior onta, si era sbarazzato rapidamente del suo tutt’altro che bellicoso avversario.
Chiuso lo schermo, il sire aveva sbraitato di volere subito il proprio Ministro delle Scienze; quindi aveva dato il via ad una delle più memorabili tra le sue scenate. Se la prese con l’intera Sezione Scientifica, rea a suo parere d’averlo ridicolizzato davanti ai nemici (in quel momento, sulla Terra, Alcor stava facendo sarcasmi piuttosto pesantucci circa le bombette puzzolenti sparate dal mostro, finendo inevitabilmente sul gastro-gassoso-intestinale e facendo fremere d’orrore i baffi del compassatissimo Procton).
Quello che tutti sapevano, e che nessuno ebbe il coraggio di far notare, era il fatto che il sovrano stesso aveva imposto di sottoporre qualunque progetto proveniente dalla Sezione Scientifica alla supervisione del Ministro della Difesa, vale a dire quella sant’anima di Dantus. Ora, anche un nonnino reso un po’ tocco dall’Alzheimer avrebbe compreso che il robot di Zuril aveva subìto evidenti rimaneggiamenti di pura marca Dantus; Re Vega, che non era un nonnino, non era tocco e tantomeno aveva l’Alzheimer, non ebbe il minimo dubbio e scaricò ogni colpa sul suo Ministro delle Scienze.
Zuril fece per protestare, di difendersi: gli fu imposto il silenzio.
Furibondo, cercò con lo sguardo i colleghi: spaventati dalle funeste ire del sovrano, Gandal ed Hydargos stavano guardando il pavimento, le pareti, il soffitto, tutto insomma, ma non lui. Vigliacchi.
Poco più in là, Dantus e Barendos non si stavano perdendo una sillaba; anzi il generale, non volendo privare il resto della base di un simile spettacolo, aveva nascostamente azionato l’interfono ed ora l’intera Skarmoon poteva sentire che il sovrano aveva perso le regali staffe e stava esibendosi in un monologo invero alquanto colorito.
Rubina invece appariva un po’ annoiata: le collere paterne non erano certo una novità, per lei. Vederne fatto segno Zuril, persona a lei invisa come pochi, era a suo parere l’unico elemento divertente della faccenda. Nemmeno da quella parte ci sarebbe stato aiuto.
– Molto bene, sire – disse Zuril, quando il sovrano finalmente tacque per poter riprendere fiato – Se il mio lavoro non vi soddisfa, rassegno le mie dimissioni.
Dantus rizzò subito le aguzze orecchie: il rivale stava dunque lasciando quel posto di Capo della Sezione Scientifica cui lui ambiva da anni? Il suo scherzo era riuscito anche meglio di quanto non avesse preventivato.
A quel punto, fu il sire a fare retromarcia. Aveva voluto rimproverare il suo sottoposto, questo sì, ma non intendeva licenziarlo: sapeva bene che nel cranio di Zuril si celava il cervello migliore dell’intera Skarmoon… oltretutto, vedere Dantus fare la faccia del cane che punta l’osso lo fece rabbrividire. Chissà cosa avrebbe potuto combinare, quel cretino… ricordava ancora troppo bene quel che era successo tempo prima, quando aveva camuffato il King Gori da enorme coniglio di Pasqua con tanto di cestello colmo d’uova al vegatron. No.
Non volendo rischiare di perdere il suo più geniale scienziato, Re Vega decise di virare sul diplomatico: – Non dire imbecillate. Niente dimissioni.
– Visto che il mio lavoro non sembra soddisfarvi, sire…
– Soddisfarmi? Un mostro che spara bombette puzzolenti e canta canzoncine infantili? Ma stiamo scherzando? – ululò il sire.
– Papino, non agitarti, o ti salirà la pressione – intervenne Rubina.
– E vuoi che non mi salga, con questo… questo…? – il sovrano annaspò cercando un termine sufficientemente oltraggioso per definire il suo sottoposto, e non trovandolo ripiegò per un versaccio disgustato.
– Visto che la mia presenza vi è sgradita, sire, torno a presentarvi le mie dimissioni – disse Zuril, sostenuto. Dantus sembrò quasi saltellare sul posto, gettando al sire occhiate imploranti.
– No! – tagliò corto il sovrano, liquidando con un cenno il suo speranzoso Ministro della Difesa – Ti sei dimostrato un idiota, ma non arriverai mai agli abissi cui può arrivare quello là. Dimissioni respinte, e non parliamone più. E adesso, togliti di torno.
– Molto bene, sire. Credo sia arrivato il momento che io mi prenda un periodo di ferie – intercettò una regale occhiata animosa ed aggiunse: – Se ben ricordate, ho parecchi arretrati di cui non ho usufruito.
Vero. Se ne avesse accumulate ancora, avrebbe dovuto essere ripagato con un congruo rimborso sullo stipendio. Per il bene delle regie casse del Tesoro, bisognava rinunciare per un poco di tempo all’opera del Ministro delle Scienze: – Va bene, prenditi le tue ferie e vai all’infer… hm, vai in vacanza, e cerca di tornare con in testa qualche buona idea per un nuovo mostro.
– Benissimo, sire – s’inchinò davanti al sovrano, non degnò d’un’occhiata né la principessa che l’aveva snobbato, né gli amici che non l’avevano sostenuto e men che meno gli avversari che gongolavano della sua disfatta; uscì dignitosamente, andò a farsi un minimo di bagaglio e senza perder tempo salì sulla sua navetta personale, sfrecciando poi verso lo spazio.


Benissimo. E ora?
Irritato, Zuril impostò il pilota automatico della navetta e fece vagare lo sguardo sulle stelle innanzi a lui.
Le assurde accuse del Sire l’avevano spinto ad andarsene; il guaio era che, impulsivo una volta tanto in vita sua, aveva fatto il classico colpo di testa di partire senza aver progettato nulla. Ora, davanti a sé aveva un lungo periodo di ferie e nessuna idea di come trascorrerlo… dove sarebbe potuto andare? A fare che? Con chi?
In genere, le rare volte in cui si concedeva una vacanza lui programmava sempre dove andare e cosa fare, ma ora…
Un lieve suono come di lontani campanellini, una sensazione di… come dire… una pioggia di stelline caduta su di lui… ed ecco l’idea! Oltretutto, improvvisamente si sentiva bene come non mai, carico d’energie e pronto all’azione.
Senza esitazione impostò la rotta e virò la navetta.


Babbo Natale seguì con interesse la navetta che stava dirigendosi in un punto preciso sulla Terra.
– Dove l’hai mandato? – chiese.
– A fare del bene – rispose soddisfatta la Befana; e per quanto Babbo tentasse di strapparle la verità, non aprì più bocca, preferendo cambiare invece argomento: – Vediamo ora di preparare un bel regalo di Natale per il nostro beneamato sovrano…


- continua -

Link per cominciare a preoccuparsi per Yabby: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144
 
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view post Posted on 31/12/2015, 17:03     +1   -1
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Seconda parte. Inizio delle sofferenze per il povero Yabby.



24 Dicembre – Mattina

Neve ovunque.
L’uomo percorreva a fatica la strada, facendosi largo tra mucchi e mucchi candidi; sotto quella coltre immacolata, le casette e i giardini apparivano tutti uguali l’uno all’altro. Nulla e nessuno si muoveva, a parte quella solitaria figura che procedeva nonostante la neve continuasse a cadere e un vento gelido gl’intirizzisse le ossa… non c’era da meravigliarsi, comunque. Con un tempo simile, chiunque se ne sarebbe rimasto comodamente a casa propria, al caldo.
Pur sentendosi gelare l’uomo proseguì, fissando i numeri civici che spiccavano sulle casette.


Accoccolata nella sua poltrona favorita, una tazza di tè bollente in mano e l’animo ridotto a una sorta di contorto surgelato, Gudrun fissava mestamente le fiamme che danzavano nel caminetto.
Un altro Natale schifoso… sola come un cane, tanto per cambiare. Mamma era ai tropici con il suo ultimo compagno, papà… beh, erano anni che non sapeva più nulla di lui, ed era meglio così… le amiche, tutte impegnate con fidanzati e famiglie varie… quasi quasi avrebbe fatto bene ad accettare l’invito dell’odiosa zia Helga, che si faceva sempre viva a Natale visto che aveva la badante in ferie. Almeno, non sarebbe rimasta sola…
Gettò uno sguardo sconsolato alla stanza: in un angolo aveva preparato l’albero, pronto per essere decorato, e sul tavolo c’erano palline colorate e fili di lucette; ma chi aveva voglia di fare quel lavoro? Tanto, sarebbe stato l’ennesimo Natale da passare in solitudine… e allora…?
La scampanellata la fece sussultare. Qualcuno venuto a trovare lei? Possibile?
Sarà il solito Herr Schmitt, il seccatore della via, che avrà trovato qualche altro motivo per infastidire pure alla vigilia di Natale…
Stringendosi attorno alle spalle lo scialletto rosa bigiognolo Gudrun infilò le pantofolone di peluche a forma di panda e ciabattò fino alla porta. Aprì, e un refolo di vento gelido portò in casa alcuni fiocchi candidi.
– Sì, Herr Schmitt, cosa vuole ancora…? – le parole le morirono in gola: davanti a lei, intirizzito dal gelo, c’era un individuo alto e grifagno che la guardava con nell’unico occhio un’espressione da cucciolo smarrito.
– Non sono Herr Schmitt. È un problema? – chiese Zuril, cercando di non battere troppo i denti.
Per un attimo, Gudrun considerò d’essere infagottata in una tutona da casa, con ciabattone pelose e scialletto da zitellina; poi, la mentalità pratica tedesca ebbe il sopravvento. I vestiti sono cose che possono essere tolte, no?
Acchiappò il semicongelato Zuril, lo tirò dentro e chiuse la porta.
Mezzo minuto dopo il clima in casa si era già fatto rovente. Zuril non correva decisamente più pericolo di assideramento.


– Non capisco perché a lui tu abbia fatto andare bene le cose! – sbottò Babbo Natale – È un carognone, o sbaglio?
– È un carognone – confermò la Befana – Ma aveva l’occasione per un’opera buona e l’ha compiuta, per cui l’ho premiato.
Dall’alto della loro nuvoletta di stelline, Babbo gettò un’occhiata verso la casetta di Gudrun: – Mai saputo che fare quello potesse essere considerata un’opera buona!
La Befana lo guardò con compatimento: – Babbino, mi diventi bigotto, adesso?
– Insomma, lo hai mandato a… a fare…
– Sesso. Si dice sesso.
– Fare… quella cosa là… non mi pare molto morale! Voglio dire, noi siamo i buoni, quelli che portano regali ai bambini…
– Certo, esaudiamo i desideri dei bimbi; ed io ho fatto lo stesso con quella poverina. Non mi pare troppo diverso. Le bambine vogliono il bambolotto, le grandi il giovanotto. L’unica differenza è che non l’ha trovato nella calza.
– Ma…!
– Del resto, sarebbe stato problematico appendergliela al caminetto.
– Insomma…!
– E piantala di farmi il predicozzo, proprio tu, che volevi mandare a Re Vega i cioccolatini purgativi!
– A proposito di Re Vega – disse Babbo, che saggiamente aveva capito di dover lasciar perdere – dicevi che l’avresti punito atrocemente. Finora non gli hai fatto niente di così terribile.
Finora – un gesto della Befana e i due sparirono in una nube di stelline, riapparendo poi, perfettamente invisibili, nelle regali stanze su Skarmoon.


24 Dicembre – Sera

Era ormai la sera di Natale: sotto l’albero decorato con le solite bombette e i soliti teschietti erano accatastati i regali, tra cui sicuramente si sarebbero trovate le solite armi da distruzione di massa per Rubina e le solite pantofole per il sire.
Uno scatolone però calamitava lo sguardo di tutti. Era così grande da non poter stare sotto l’albero di Natale, così rosso e dorato, così luccicante… un biglietto a forma di renna indicava il destinatario: Re Vega, ovviamente.
– Per me! – giubilò il sire, che sembrava non stare nella pelle dalla gioia – Chi ha avuto questo pensiero così gentile?
– Io, no! – esclamò subito Rubina, le cui pantofole color zafferano, accuratamente incartate in viola, attendevano sotto all’albero.
– Siete stati voi? – chiese il sovrano ai suoi accoliti.
– No, sire! – risposero subito Gandal e Hydargos.
Barendos fece per attribuirsi la paternità del dono, ma una gomitata di Dantus lo dissuase: in fondo non sapevano cosa contenesse quel pacco, no? Meglio essere prudenti.
– I biglietti a forma di renna non sono di Babbo Natale? – osservò Rubina – Sarà un suo dono.


– Ma io non gli ho mandato niente! – esclamò Babbo.
– Infatti, caro – sorrise la Befana – Gliel’ho mandato io.


– Babbo Natale? Ma che carino! – il sire girò attorno allo scatolone fregandosi le mani – Chissà cosa c’è dentro…
– C’è solo un modo per scoprirlo, sire – osservò rispettosamente Dantus.
– Giusto! – il sovrano acchiappò il nastro dorato e prese a tirarlo.
– Sire, vi prego! – intervenne Gandal – Non mi sembra una buona idea.
– Una volta tanto che non c’è quello scocciatore di Zuril, ti ci metti tu? – sbottò Re Vega, che stava litigando col fiocco che non voleva sciogliersi.
– Ma sire, lo dico solo perché sono preoccupato per la vostra incolumità!
– Odio dirlo, ma mio marito ha ragione – intervenne lady Gandal – Prudenza, Maestà. Lasciateci analizzare il contenuto di questo pacco.
– E comunque, non è ancora Natale – intervenne Rubina, che amava venissero seguite le tradizioni – Dovresti aprirlo domattina, o almeno dopo la mezzanotte…
– Aspettare? Io? Mai! – strappò via il nastro, schiantò la carta rossa metallizzata, svelse il coperchio…
– SORPRESA!!! – urlarono varie voci giulive.
La signora Pasqua schizzò fuori dallo scatolone, seguita da donna Nora, che emerse maestosamente. Seguirono la Desolina, con la sua aria sempiterna, e la signora Celestina con annesso lavoro a maglia. Tutte le vecchiette che l’avevano tiranneggiato durante le vacanze al mare… non era possibile… mancava solo…
Un calcione nello stinco. Il sire abbassò lo sguardo: capelli rossi, lentiggini, faccia da gangster…
– Ciao, te. Giochiamo alla playstation?
Eustachio, ovviamente. C’era pure lui.
Le vecchiette cicalavano a tutto volume, esponendo le dentiere in ampi sorrisi; Rubina rimase immobile a fissarle, agghiacciata, ed altrettanto stupefatti erano pure Gandal e Hydargos (Ma come? Quelle terrestri non avevano paura di loro, terribili veghiani?). Uomo d’azione, Barendos guadagnò l’uscita, tirandosi dietro il proprio compare Dantus. Le porte si chiusero dietro di loro, e giusto in tempo: un gesto della Befana, e le ante automatiche per incanto furono sigillate.
– Diamo il via alla festa! – esclamò la Befana, schioccando le dita. Magiche melodie natalizie invasero le truci camere del Sire di Vega…
– Ma… ma…! – esclamò il sovrano, incapace di dire qualcosa di più concettoso – Che sta succedendo?
– Siete stati così gentili ad invitarci! – esclamò la signora Pasqua, acchiappando l’allibita Rubina e stampandole su entrambe le guance un bacione con lo schiocco.
Re Vega si sentì soffocare: – Che cosa…?
– Passerete il Natale con noi? – gemette Rubina, che era ormai stata acciuffata dalla Desolina per i due bacioni di rito.
– Non solo il Natale: tutte le feste! – precisò donna Nora.
– Ma io non vi ho mai… – cominciò il Sire.
– Sempre così modesto! – la signora Pasqua lo abbrancò, lo tirò giù alla propria altezza e lo sbaciucchiò affettuosamente sulla barba – Ci invita a trascorrere Natale, Capodanno ed Epifania tutti insieme, e non vuole nemmeno essere ringraziato!
Un coro di proteste seguì tale affermazione e il Sire scomparve, sommerso da quattro vecchiette colme di gratitudine.


Quella notte Babbo Natale compì il suo giro col cuore colmo di letizia. Entrò in case, distribuì regali, seminò gioia e felicità: ma più felice di tutti era lui, al solo pensiero di Yabarn, Sire di Vega, in balìa di quattro anziane signore e un bambino.


25 Dicembre

Natale sorse radioso.
Colme d’energia, le signore coinvolsero subito il sire in uno dei loro passatempi preferiti: la canasta.
Nel pieno di un combattuto torneo, mentre stringeva convulsamente le carte (neanche un jolly, una pinella! E non riusciva ad aprire il gioco! Se non era rogna questa…), il tutto mentre la signora Celestina sferruzzava e cicalava e donna Nora pontificava su come si deve giocare, il sire mandò un pensiero colmo d’ira al suo Ministro delle Scienze, che andandosene in ferie s’era salvato dalle vecchiette… poi si disse che sicuramente l’individuo s’era dato alle vacanze intelligenti, e tornò alle sue carte.
Con ogni probabilità, s’era trasferito su Antares 4 a studiare la vita sociale degli scarafaggi carnivori.


Nello stesso tempo, Zuril e Gudrun urlavano e ridevano come bambini perché erano nel bel mezzo di una combattutissima battaglia a suon di palle di neve.


Il resto della giornata di Natale trascorse come da copione: a mezzogiorno ci fu il pranzo, tutto preparato dalle amorevoli mani di lady Gandal, il che significa che il pomeriggio passò nel tentativo, piuttosto vano bisogna dire, di digerire il tutto. A sera, le signore ed Eustachio erano tornati in perfetta efficienza: si decise perciò di intrattenersi intonando tutti insieme i tradizionali canti natalizi – o meglio, lo decise donna Nora, il che vuol dire che nessuno poté esimersi, tantopiù che le regali stanze erano ancora misteriosamente sigillate, e l’interfono si era fatto stranamente muto. Erano tagliati fuori dalla base, esclusi da tutto… si ritrovarono così a cantare in coro, la Desolina e la Celestina con le loro voci sopranili, chiocce e penetranti, Rubina soprano pure lei anche se non sicura come le due vecchiette, lo strillo di Eustachio, le tre voci basse di Hydargos, Gandal e Re Vega e su tutte, svettanti, i possenti contralto di donna Nora e della Pasqua.
C’era da chiedersi se, udendo un simile canto, il Re del Cielo sarebbe davvero sceso dalle stelle.


Sulla Terra, dopo un ben più gustoso pranzo natalizio, Rigel propose come sempre di cantare tutti insieme… magari qualcosa di semplice, come deck dé alls (così si pronunciava laggiù, nel Texas). I commensali, tutti poco amanti del canto, rabbrividirono, qualcuno cercò di sottrarsi, Venusia accampò scuse varie (“Ma dobbiamo sparecchiare, papà…”). A salvar tutti fu Tetsuya, che furbescamente versò un bicchierino a Rigel “per brindare al Natale”. Un altro paio di brindisi, e Rigel si ritrovò in poltrona accanto all’albero di Natale, intento a russare talmente forte da far sussultare le palline appese ai rami. Mizar fece rapidamente sparire i testi dei canti, e tutti si rilassarono: per quell’anno, erano salvi. Ripresero a chiacchierare amabilmente mentre Venusia distribuiva tazze di cioccolata fumante e Actarus, presa la sua chitarra, suonava un dolce sottofondo natalizio; liberati da certi obblighi tradizionali erano tutti felici – tranne Shiro, naturalmente, imbronciato perché non aveva avuto l’ultimo modello di playstation e perché il cellulare che aveva ricevuto in dono faceva semplicemente schifo. Ma già, nessuno si preoccupava di lui…


Nella lontana Baviera due persone avevano decorato la casa per il Natale, avevano fatto qualcos’altro, avevano pranzato, avevano fatto qualcos’altro, avevano fatto una passeggiata nella neve mano nella mano, avevano fatto qualcos’altro, avevano preso una tazza di cioccolata davanti al caminetto, avevano fatto qualcos’altro, avevano cenato e fatto una partita a carte, e poi si erano finalmente ritirati… per fare qualcos’altro.


Assordato dagli acuti delle signore, mezzo avvelenato dai manicaretti di lady Gandal, gli stinchi ormai pieni di lividi per i calci ricevuti dal piccolo Eustachio che chiedeva attenzione, Re Vega tentò un’ultima volta di aprire le porte delle regali stanze… niente. E il comunicatore non funzionava…
Poco più in là, Gandal era stato catturato da donna Nora, che aveva preso a pontificare praticamente su qualunque argomento, un Hydargos stremato teneva la rosea matassa alla Celestina che stava preparandosi i gomitoli, Rubina era stata accalappiata dalla Desolina, che voleva raccontarle tutti, ma proprio tutti, gli interventi che aveva subìto in vita sua, ed Eustachio giocava a mosca cieca con la signora Pasqua. Lady Gandal, che non era scema, si guardava bene dal farsi viva. Il divertimento era alle stelle.
Il sire tentò di nuovo la porta: niente. Non c’era modo di evadere…
– Dov’è il nostro ospite? – donna Nora, ovviamente. Il sire sarebbe sgattaiolato volentieri via, ma la signora Pasqua lo acchiappò per ricondurlo in sala, e sfuggirle era praticamente impossibile.
Mentre veniva fatto sedere in salotto, una vecchietta per lato, il sire si disse che sicuramente, là fuori, qualcuno stava cercando il modo di entrare per poterli salvare… era solo questione di tempo, e poi i suoi fedeli uomini l’avrebbero liberato da quelle streghe. Solo questione di tempo…


All’esterno, era tutto un fermento: Re Vega, Rubina, Gandal e Hydargos erano tagliati fuori… Dantus e Barendos non ebbero la minima esitazione, ed agirono. Ordini vennero dati e prontamente eseguiti, materiale fu procurato, ci si mosse, nessuno rimase con le mani in mano…
Fu l’inizio della festa più sfrenata e selvaggia che la storia di Skarmoon possa ricordare.

- continua -

Link per dirmi che sto esagerando col povero Yabby: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2520#lastpost
 
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Terza ed ultima parte del tragico Natale di Yabby... :via:


26 Dicembre – 5 Gennaio

Il resto dei giorni trascorse tra un sollazzo e l’altro: uno dei passatempi favoriti erano le interminabili chiacchierate che vertevano generalmente sull’artrite (o la flebite, o le coliche o il ginocchio della lavandaia) della Desolina, autentico miracolo del genere umano che, pur affetta da tutto, si ostinava pervicacemente a restare viva. Alle volte la conversazione si faceva più culturale: era tutto allora un parlare di vip pressoché sconosciuti a qualsivoglia veghiano, oppure ci si fiondava nello specialistico dissertando degli ultimi avvenimenti accaduti in qualche soap opera. Ci si meravigliò della crassa ignoranza del sire in materia (“Biùtiful? Che è? Si mangia?”): donna Nora e la signora Pasqua provvidero subito ad istruirlo, descrivendogli personaggi principali e non e raccontandogli per sommi capi l’intreccio – il che occupò un intero pomeriggio. Ammutolito dall’orrore, il sovrano continuava a pensare al piccolo napalm portatile che aveva regalato a sua figlia quel Natale e che misteriosamente era scomparso da sotto l’albero.
Non sempre si faceva conversazione: spesso si riprendevano le carte e i cori natalizi, e comunque le signore dimostrarono da subito un’allarmante amore per il ballo, specie se liscio. I tre cavalieri disponibili erano però assai ignoranti in materia, per cui le dame, con la cortese gentilezza che le caratterizzava, provvidero ad insegnar loro i rudimenti del valzer, la polka, la mazurka e soprattutto il peccaminosissimo tango. Donna Nora in particolare amava istruire il sovrano, in assoluto il meno portato dei tre all’arte tersicorea: il sire andava avanti quando doveva andare indietro, non capiva mai come fare a “girare”, i suoi piedi finivano sempre sotto quelli della signora e si spezzava regolarmente la schiena al momento del casquet. Donna Nora comunque portava pazienza, da quella gran dama che era; il sire, ammaccato per l’ennesimo pestone ricevuto, non aveva ormai più il fiato nemmeno per protestare. Lo stesso accadeva a Gandal e Hydargos, che ormai abbrutiti, non erano che cera molle nelle mani delle gentildonne.
C’era poi Eustachio che aveva le sue esigenze: in genere il fanciullo stava appiccicato a Rubina, che pur amando i bambini cominciava ad avere frequenti pensieri infanticidi. Alle volte però il bimbo s’impuntava: bisognava giocare tutti insieme. E allora era la volta di nascondino, mosca cieca e girogirotondo.
La sera dell’Ultimo dell’Anno trascorse tra una tombolata e un bacio sotto al vischio (tutte le signore trascinarono l’ormai inerme sire a subire il rito del buon augurio); poi, via con le danze e soprattutto l’immancabile trenino (A-E-I-O-U-Y!).
Capodanno iniziò con un pranzone luculliano, stavolta ammannito dalle gentili mani della signora Pasqua e di donna Nora: il che significa che tutti rimpiansero le specialità di lady Gandal, che almeno se dovevano ucciderti lo facevano subito. Tutto buono e gustoso, per carità: ma tra quel pasto e le razioni raccomandate giornaliere c’era un divario di parecchie migliaia di calorie.
E poi ancora chiacchiere, danze, giochi.
Insomma, un autentico spasso.


Fuori, nella Sala Comando della base Skarmoon, il Ministro della Difesa Dantus e il generale Barendos, in piedi sul tavolo di riunione, tra scrosci d’applausi e urla d’incoraggiamento stavano eseguendo una sorta di danza dei sette veli, il tutto tenendo in equilibrio sul cranio una coppa colma di liquore.


Nella lontana Baviera, Gudrun infornò una lastra di lebkuchen, prima di raggiungere Zuril sul divano del salotto per un qualcos’altro – rapido, o i dolcetti si sarebbero carbonizzati. Seguì un tè, un qualcos’altro, un po’ di chiacchiere, qualcos’altro, cena e visione di uno di quei film stupidi ma che fanno ridere molto… e chiusura della giornata con qualcos’altro, si capisce.


– Lascia stare quel che succede in Baviera! – sbottò la Befana, mettendo in mano a Babbo una tazza colma – Mi diventi guardone, adesso?
– Sono solo stupefatto. Voglio dire… quel tizio non è un giovanotto, ma… insomma…
– Oh, quello – la Befana sedette nella propria poltrona e si riempì una tazza – Gli ho… come dire… dato un aiutino.
– Ma… Befana! – Babbo quasi si strozzò con la cioccolata – Ma non ti vergogni?
– Quella povera ragazza aveva tanti arretrati – rispose candidamente lei.
– Bohf, bohf – Babbo si ripulì la barba – Tra l’altro, ho trovato molto vivaci anche le vecchiette. Alla loro età, tutte quelle danze… Dimmi la verità: hai dato un aiutino anche a loro?
– Solo un piccolo surplus d’energia. Poverine, anche loro si stanno divertendo molto.
– Il sovrano invece non sembra troppo felice.
– Certa gente non è mai contenta…
– A proposito: non avevi detto che gli avresti dato una lezione indimenticabile? – chiese Babbo, mescolando la sua cioccolata.
– Ti pare che fargli ritrovare le sue amiche del mare sia stato troppo poco? – domandò la Befana, cacciandosi in bocca un cucchiaino di panna.
– Beh… – Babbo ripensò alle signore, alle loro voci sopracute, al loro entusiasmo travolgente – In effetti, è stata una vendetta terrificante.
La Befana bevve un sorso di cioccolata: – Guarda che non ho ancora fatto niente.
Babbo la fissò, gli occhi che erano tutto un unico punto interrogativo: – Ma… ma se…
– Qual è il mio giorno? – chiese dolcemente la Befana.
– Il sei Gennaio… ma…
– Credimi, Babbino: non hai ancora visto nulla.


6 Gennaio

Appese in salotto, tante calze colorate e piene di doni ricordarono a tutti che era arrivata l’Epifania. Le signore batterono le mani squittendo la loro gioia, mentre estraevano dolci e caramelle dalle rispettive calze; la più grande era per il sire, ovviamente, ma con grande stupore di tutti conteneva solo grossi pezzi neri.
– Ooooh, il carbone! – esclamò donna Nora.
– Sei stato cattivaccio, quest’anno, allora! – rise la signora Pasqua.
Il sovrano non ebbe nemmeno la forza di reagire: stroncato da danze e chiacchiere, non poté far altro che limitarsi ad alzare le spalle. Poi la signora Celestina fece osservare che quel giorno era appunto l’Epifania, che tutte le feste si porta via: era necessaria una gran festa d’addio.
Le signore non persero tempo, spostarono poltrone e fecero spazio: poco dopo, si aprirono ancora una volta le danze.


– Bene, siamo in piena orgia – commentò la Befana – Vogliamo vivacizzare il tutto?
– Ho persino paura a guardare – mormorò Babbo.
– Fai bene ad averne – un gesto della Befana, altre stelline ricaddero su Skarmoon…


La festa era al suo culmine: la musica suonava a tutto volume, vecchiette scatenate si dimenavano incuranti di sciatiche ed artriti, trascinando i malcapitati veghiani nel vortice delle danze. Sotto lo sguardo indulgente della sferruzzante Celestina Gandal ballava con la Pasqua, Hydargos era stato abbrancato dalla Desolina, vecchia ma pervicace, Eustachio pestava i piedi a Rubina e Re Vega, avvinto alla formosissima donna Nora, stava incespicando nel pieno di un tango passionale…
Le porte si spalancarono come per incanto e una figura apparve sulla soglia.
– YABBY!!! – Himika si fece avanti, occhi lampeggianti, denti digrignanti e bipenne pronta all’uso – T’AVEVO AVVERTITO!!!
Gandal e Hydargos si liberarono in fretta delle loro dame e sgattaiolarono fuori, Rubina andò a chiudersi nelle proprie stanze, le tre signore ed Eustachio furono avvolti in una nube di luccicanti stelline, ritrovandosi un istante dopo nelle rispettive case.
Re Vega rimase esattamente lì dov’era, facendosi piccino piccino sotto lo sguardo al fulmicotone della sua fidanzata.
– Himika… – pigolò – Non è come credi…
La regina non era donna da parlare: agì.
La bipenne saettò fulminea, e la barbaccia viola del sire finì all’aria.


– Eccetera eccetera – la Befana, che non amava le scene violente, sfumò la scena in un nugolo di stelline.


Su Skarmoon, dopo giorni e giorni di orgia selvaggia gli animi si erano molto calmati: venendo a sapere che la principessa Rubina, il comandante Gandal e il Vicecomandante Hydargos erano usciti dalle regali stanze, insomma, che si doveva tornare alla normalità, tutti accettarono la cosa quasi con sollievo. Nonostante i due comandanti e la principessa si fossero chiusi nei rispettivi alloggi si ricominciò a fare un po’ d’ordine, si eliminarono avanzi e rimasugli, quelli che riuscivano a stare in piedi ricondussero via chi era ancora a tasso alcolico troppo alto.
La calma regnò finalmente nella base.
Proprio mentre controllava che la Sala Comando non recasse più tracce dei passati bagordi, e soprattutto del famoso spogliarello, Barendos s’accorse che in un angolo erano appese due calze colorate con le targhette che recavano i loro nomi.
– È arrivata la Befana! – esclamò.
Dantus, che stava sorvegliando che alcuni soldati pulissero a dovere il pavimento, si girò verso il collega giusto in tempo per vedergli estrarre un paio di dolci dalla propria calza. Dolci grossi, coloratissimi… dolci inconfondibili…
– NO! – urlò, precipitandosi verso Barendos.
L’altro non gli badò, e si gettò in bocca un paio di quelle delizie.


– Quelli erano i miei dolci denebiani! – esclamò Babbo.
– Sarebbe stato un peccato non usarli, ti pare? – osservò la Befana.
– E ne ha mangiati due!
La Befana scosse il capo: – Barendos è sempre stato molto goloso.
– E Dantus era proprio lì vicino…
– Diciamo a un passo?
– Oltretutto, proprio in quel momento aveva la bocca aperta! – esclamò Babbo Natale, che tanto rideva da essere sul punto di rovesciare la propria cioccolata.
– Di’ pure spalancata – puntualizzò la Befana, con un ghigno perfido.


Epilogo – 10 dicembre

Fu uno Zuril calmo, sereno e pieno di gioia di vivere quello che fece ritorno alla base Skarmoon: salutò tutti con un bel sorriso e andò a prendere il suo posto in Sala Comando canterellando tra sé.
Gli ci volle un poco per comprendere che l’umore generale non corrispondeva al suo. Gandal e Hydargos avevano gli occhi fondi e l’aria aggrondata di chi è stravolto dalla stanchezza, e anche tecnici e soldati sembravano trascinarsi stancamente in giro. Quanto al sire, alla principessa e agli altri comandanti, brillavano per la loro assenza.
– Uh? È successo qualcosa, mentre ero via? – chiese.
Gli altri due si guardarono in faccia: in pieno post-Eustachio, Rubina non era più uscita dal suo appartamento. Barendos era al Centro Medico, a curare la colite esplosiva che gli era rimasta in conseguenza dall’aver mangiato ben due dolci denebiani. Dantus era il suo vicino di letto: era stato sottoposto a lavanda gastrica, ma gli era venuta una forma d’intossicazione da ingerimento di… ehm… che l’aveva riempito di macchie purpuree in tutto il corpo. Quanto al Sire, era al Centro Medico pure lui: dopo lo scontro con l’inviperita (e gelosissima) fidanzata, era stato necessario ricucirlo e rimetterlo in sesto. Ne avrebbe avuto per un bel po’. Comunque, dopo averlo affettato a dovere Himika l’aveva generosamente perdonato, il che significava che il fidanzamento era ancora in piedi. Il sovrano che avrebbe potuto volere di più?
Quanto a loro, avevano ancora mal di testa pulsante da chiacchiere e i garretti massacrati dalle danze, ma non l’avrebbero ammesso mai, a costo di morire.
– No-ooo – dissero, in coro – Perché, avrebbe dovuto essere successo qualcosa?


– E come non bastasse, Himika l'ama ancora! – esclamò Babbo.
– Noi donne sappiamo avere una gran pazienza, con voialtri maschiacci – commentò la Befana.
– Pazienza…! L’ha mandato al Centro Medico, in prognosi riservata!
– Devi capirla: l’ha trovato abbracciato a un’altra donna. Poverina, ci è rimasta male – la Befana s’accomodò meglio sulla sua poltrona – Comunque, l’ha perdonato.
– Oh. Sarebbe un bene?
– Certo! Perché adesso lei l’assiste, rimanendo tutto il tempo al suo capezzale. Immagino che Yabarn ne sarà felice.
– Come no – Babbo rabbrividì – Befana, ti conosco da sempre ma ora devo dirtelo: mi fai persino paura.
– Avevo parlato di vendetta atroce, non è così? – rispose lei in tono pratico – E comunque, tu stesso m’avevi definita un genio del male.
– S-sì, ma…
– E piantala di far storie, Babbino! Dovevamo fargliela pagare, no? Adesso siamo pari. Quasi. …Un’altra tazza di cioccolata?


FINE


Link per parlare di dissenterie e lavante gastriche: #entry585473488
 
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Nuova follia in due parti. La conclusione domani.


TEMPO DI LIQUIDAZIONI


Saldi – disse Venusia.
– Saldi? – cinguettò lady Gandal – Arrivo!
Si misero d'accordo molto in fretta: era bastato che Venusia accennasse al grande magazzino che liquidava tutto a prezzi ridicoli perché la signora sentisse il sangue frullarle nelle vene. Dopo essersi data appuntamento per l'indomani con la sua amica terrestre, lady Gandal spense lo schermo e rimase a sognare ad occhi aperti.
Da quanto tempo non si era permessa un'uscita con le amiche? Troppo, decisamente. La sua vita era restare appiccicata a quello squallido individuo che era suo marito… che, proprio perché era appunto un marito, per lei non aveva che critiche, sarcasmi e brontolate. Mai una parola gentile, mai un pensiero… meno male che c'erano le amiche! Uscire in gruppo per darsi allo shopping era quanto di più divertente le fosse capitato negli ultimi tempi, se vogliamo escludere la volta in cui il comandante Barendos era rimasto accidentalmente chiuso nella gabbia del King Gori quando l'animale era piuttosto nervoso a causa d'un canino cariato. Un incidente rimasto senza alcuna spiegazione possibile, almeno a sentir Zuril.
Ripensando alla vacanza che le si prospettava, lady Gandal prese la decisione di non dir nulla al marito fino all'ultimo minuto: lui avrebbe fatto di tutto per guastarle la festa, e questo lei non era disposta a sopportarlo. Poi, ci avrebbe pensato lei a sistemarlo.


– Liquidazione? – ululò Gandal – Così andrà a finire che ti comprerai qualcun altro dei tuoi ridicoli vestiti! Te lo proibisco!
– Da quando in qua tu puoi proibirmi qualcosa? – chiese lei, con un tono dolce pericolosissimo.
– Voglio dire, non puoi pretendere di… Insomma, quegli abiti! Io sono un uomo!
– E io sono una donna! – gli ricordò lei – Una donna condannata a vivere con un bruto insensibile incapace di comprendere che anch'io ho i miei diritti!
– Cerchiamo di essere ragionevoli – disse Gandal, conciliante – Non puoi pensare di comprarti gonne e vestitini fru-fru…
– Certo che posso pensarlo!
– Ma se li compri, poi pretenderai d'indossarli!
– Naturale!
– Ma io mi vergogno!
– Senti, Gandal, io passo la mia intera vita vestita da maschio…
– Vuoi dire che io dovrei mettermi un abito da femmina? – inorridì lui – Ma io sono il Comandante Supremo! Che direbbero i miei sottoposti se io… se mi vedessero… ugh…
– Ne abbiamo già parlato – sbottò lei – e infatti, va sempre a finire che io posso indossare i miei bei vestiti solo quando siamo chiusi nel nostro alloggio. Sai che gioia.
Gandal, che nel segreto della loro abitazione era costretto a sopportare di dover indossare tubini, vestitini tutti pizzi e volant e soprattutto sandaletti e scarpe con tacchi vertiginosi, il tutto chiedendosi con vergogna cosa avrebbero detto i suoi sottoposti se l'avessero visto così agghindato, ebbe un soprassalto di orgoglio maschile: – Insomma, anch'io ho una mia dignità, e ne ho abbastanza di scollature, spacchi e sottane! Cerca di capirmi!
– Va bene – disse lei dopo un attimo di riflessione – Va bene. Hai ragione anche tu.
– Meno male…!
– Non comprerò vestiti nuovi, promesso.
– Nemmeno scarpe? – chiese lui, che aveva ancora i garretti dolenti dall'ultima passeggiata in casa con tacco quindici.
– Nemmeno scarpe. Nulla che possa metterti in imbarazzo. Promesso.
Gandal respirò, sollevato… talmente sollevato da non rendersi nemmeno conto del fatto che lei appariva accondiscendente in maniera sospetta.


Liquidazione? – esclamò Rigel – Non vorrai andare a spendere un sacco di soldi!
– Proprio perché è una liquidazione, risparmierò un bel po' di denaro – rispose Venusia.
– Ma se non hai bisogno di comperarti niente…!
– Papà, tra un paio di settimane c'è quella cerimonia al laboratorio; l'hai dimenticato?
Rigel si grattò la zucca: in effetti, sarebbero arrivati un po' di pezzi grossi assortiti per consegnare un qualche premio per il ruolo avuto dal centro Spaziale nella lotta contro Vega. Sarebbe stata una cerimonia d'una certa importanza, ci sarebbe stato un cocktail party… e sì, sua figlia non poteva certo andarci in camicetta e gonna di jeans.
– Beh, hai il tuo vestito bello, no? Quello elegante, che hai usato per andare a teatro – osservò.
– Papà, quello è un abito da sera – spiegò pazientemente Venusia – Qui invece si tratta di qualcosa di completamente diverso. Non posso andarci in lungo!
– Allora, è fatta! – esclamò allegramente Rigel – Basta che tu ti metta il vestito della domenica, quello rosso…
– Papà, ti prego! Non metto altro da anni! Vuoi farmi morire di vergogna?
– Ma è un vestito bello, alla moda…
– Alla moda di anni fa! E poi l'ho portato così tanto che il tessuto è una ragnatela!
– Il vestito che hai messo per fare da damigella al matrimonio della tua amica… Yasuko, o come si chiamava...
– Papà, Yasuko si è sposata a giugno! È un vestito leggerissimo! Adesso siamo in febbraio! Vuoi che mi prenda una polmonite?
– Ci sono! Il vestito che hai usato per il matrimonio di tuo cugino Tatsumi, che si è sposato in quest'epoca…
– Papà, ma allora io avevo tredici anni! Nemmeno ci entro più, in quell'abito!
– Ma non mi sembra che tu sia ingrassata…
– Non sono ingrassata! – scattò Venusia, spazientita – Sono semplicemente cresciuta!
– Oh… ah, è vero. Hm. Allora?
– Allora, mi pare evidente che mi serva un vestito nuovo! – concluse lei, trionfante.
– Va bene, va bene – ammise suo padre – Probabilmente hai ragione. Un vestito nuovo potrebbe servirti.
– Certo! E già che ci siamo – Venusia si voltò verso Maria – potresti venire ai grandi magazzini anche tu.
– In effetti, ci pensavo – fu la risposta che ottenne – Ho giusto voglia di dare un'occhiata al reparto sportivo, hanno certe tute da motociclista che…
– Macché tute da motociclista! Sto parlando del vestito per la cerimonia! Cosa pensi di metterti?
– Oh… ah – Maria controllò quel che aveva addosso: jeans inzaccherati e una maglietta sdrucita. – Immagino di dovermi mettere qualcos'altro, vero?
– Immagini giusto.
– Beh, ho il mio vestito rosa…
– Vuoi dire quella specie di grembiule con i pizzetti?
– Perché, non va bene?
– No. Non va bene.
– Perché? – insisté la sciagurata, che l'aveva acquistato in un momento in cui si era sentita molto femminile e aveva continuato ad indossarlo nonostante gli affettuosi tentativi di dissuasione da parte di Venusia e di Procton. C'era poco da fare, si trattava di un vestito semplicemente brutto: ma farlo capire a Maria, era impossibile. Aveva avuto l'avallo di Actarus e si sentiva a posto; ma in fatto di eleganza Actarus era Actarus… ma anche questo Maria non era in grado di capirlo.
– Lascia perdere – disse Venusia – Diciamo solo che non va bene per la cerimonia, e basta.
– Va bene, prenderò qualcosa di nuovo – rispose Maria, la mente rivolta alle attrezzature sportive.
– Bene, problema risolto – sospirò Venusia.
– Beh, nemmeno con me ci sono problemi – disse Mizar.
– Certo – rispose sua sorella – Ti metti il vestito blu, quello bello.
Mizar inorridì: detestava quell'affare. Giacca, pantaloni, camicia, persino un'abominevole cravatta… ugh! Già gli era toccato metterlo alla festa di fine anno, quando lui assieme a un altro paio di ragazzi era stato premiato per un concorso vinto… ma anche alla cerimonia del laboratorio… no, era davvero troppo!
– Ma Venusia, sono un ragazzino! – protestò – Nessuno si aspetta che un ragazzino vesta come un… un…
– Un ragazzino elegante? – l'aiutò lei.
– Un pinguino! Insomma, se mi metto i jeans puliti e la camicia nuova sono a posto, no?
– No! Falla finita, Mizar! Ti metti il tuo completo blu e basta!
– Scusate una domanda – intervenne Alcor, con un bagliore malefico nello sguardo – Mizar ha appunto quel completo…
– Ti ci metti anche tu, adesso? – brontolò il ragazzino.
– Mettiamo che succeda qualcosa… – continuò Alcor – Qualcosa di inaspettato, beninteso… immagina, ad esempio, che gli si rovesci addosso dell'aranciata, o qualcosa di simile: i ragazzi sono ragazzi, no?
– Cosa vuoi dire? – chiese Venusia, pronta alla battaglia.
– Solo che se, diciamo casualmente, quel vestito dovesse macchiarsi, Mizar sarebbe costretto a...
– Alcor!|
– Poi, immagino che smacchiare quel tipo di vestito sia una vera impresa.
– Senti, tu! Stai provando a ricattare?
Lui fece un sorrisone tiraschiaffi: – Sì!
Spazientita, Venusia si voltò di scatto verso Mizar, pronta a redarguirlo: fortunatamente era un gran bravo ragazzo, mai e poi mai avrebbe accettato un simile, basso suggerimento… inorridì scorgendo scintille di rivolta negli occhi del fratello: – Mizar… non oserai!
– Non avrei mai nemmeno pensato di fare una cosa simile – rispose lui, serio – Ma se proprio fossi costretto…
– Mizar! Ma cosa dici… è orribile!
– Anche quel vestito è orribile! – rispose lui, con ineccepibile logica.
– Oh, fa' un po' come ti pare! – sbottò lei, voltandosi verso l'altro maschio di casa la cui vestizione, lo sapeva, avrebbe dato ancora più problemi.
– Nessun problema! – assicurò invece Rigel – Indosserò il mio vestito, naturalmente. Quello bello.
Venusia si preparò alla battaglia: – Papà, non puoi!
– Perché? È un vestito bellissimo, molto elegante!
– Certo. Ma è il tuo abito da sposo, accomodato, rivoltato, allargato…
– Come, “allargato”? Vuoi insinuare che sono ingrassato?
– Papà, quel vestito ha più di vent'anni. La struttura fisica cambia…
– Ma se il mio peso forma è perfetto!
– È perfetto ora, papà. Da giovane eri asciutto come una lucertola; è naturale che…
– Sciocchezze! Adesso vado a mettermi il vestito, così vedrai che mi starà benissimo!
Salì in camera, andò a frugare nell'armadio e ne cavò fuori l'abito, protetto da una custodia. Indossarlo fu relativamente semplice, allacciarlo fu impossibile.
– Basta solo spostare qualche bottone! – disse Rigel, ottimista come sempre.
– Di quanto lo sposto? Dieci centimetri? – sbottò Venusia.
Rigel si osservò allo specchio: la giacca gli stava strizzata addosso, e tra le due falde mancava un buon palmo di stoffa; quanto ai pantaloni, far incontrare bottone ed asola era un'impresa irrealizzabile, a meno di non aprire un poco dignitoso setto sul didietro… che sarebbe rimasto spalancato, ovviamente, lasciandogli le mutande en plein air.
Era vero, da giovane lui era pelle e ossa, mentre ora aveva acquisito una struttura più robusta, consona alla sua età e dignità… c'era persino un minimo di imbottitura a livello dell'ombelico, e… ed era vero, in quell'abito non ci stava più.
– Ci vuole un vestito nuovo, papà – disse gentilmente Venusia.
– Temo di sì – mormorò Rigel, sconfitto.
– Ti serve anche una camicia, non puoi certo mettertene una da cowboy.
– Va bene, va bene – disse suo padre – Sarò un vero figurino, vedrai.
– Io ho già un vestito! – disse subito Alcor, quando Venusia si rivolse a lui con aria inquisitiva – Quello che avevo quando siamo stati in Svizzera ad accompagnare il professore al congresso, ricordi?
– Va bene – Venusia passò ad Actarus.
– Ho un vestito anch'io! – si schermì subito il giovane.
– Non sarà quell'orrore di doppiopetto verde che avevi appunto in Svizzera?
– No – chinò la testa, un po' confuso – Ne ho uno blu che mi ha regalato mio padre dopo che ha visto il vestito verde.
– Ah. – Meno male… se l'abito glielo aveva regalato il professore, si poteva star tranquilli.
Quella sera, su suggerimento di Venusia, si andò a letto presto: l'indomani sarebbe stato giorno di battaglia… cioè, di assalto ai grandi magazzini.


- continua -


Link per parlare del famoso doppiopetto verde con cravatta azzurra: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2550#lastpost

Edited by H. Aster - 19/2/2016, 17:46
 
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Seconda ed ultima parte.

Lady Gandal arrivò puntuale, facendo planare il suo disco nel bosco presso la fattoria; il sole non era ancora sorto, il che era stato utile per mascherare meglio l'arrivo dell'UFO… e poi i grandi magazzini aprivano alle 8,30, bisognava arrivare giù in città e comunque, essendoci la liquidazione, era meglio arrivare presto.
Per l'occasione lady Gandal aveva assunto un'aria molto terrestre, apparendo come una signora dai fulvi capelli, non più giovanissima ma attraente; unica cosa che non era stato possibile mascherare era la statura, e la cosa forse si sarebbe notata… ma pazienza, chi avrebbe fatto caso a una pertica di due metri nel bel mezzo del caos dei saldi?
Ad attenderla c'era Venusia, che la condusse alla jeep che aveva lasciato parcheggiata sulla strada a breve distanza. Rigel e Maria erano seduti in macchina, ancora mezzo addormentato lui e perfettamente sveglia lei, eccitata com'era al pensiero delle fantastiche attrezzature sportive che l'aspettavano, giù ai magazzini. Venusia si mise al volante, lady Gandal s'incastrò sul sedile davanti, trovandosi con le ginocchia quasi sotto al mento ma pazienza, e ci si mise in viaggio. Rigel trovò una posizione più comoda per schiacciare un pisolino, mentre le tre signore chiacchieravano tra di loro.
Venusia appariva di ottimo umore: l'ultimo capo di vestiario che si era concessa era stato un paio di stivalacci verdi di gomma, utilissimi per sguazzare nel fango. Ora si sarebbe permessa un vestito nuovo, e in più stava uscendo finalmente con le amiche. La giornata non avrebbe potuto prospettarsi meglio.
Lady Gandal appariva radiosa: un intero giorno di libertà, lontana dal pesantissimo consorte! Si sentiva in vacanza. Oltretutto, nonostante lui le avesse giurato e spergiurato che l'avrebbe lasciata stare, non si sarebbe intromesso, nemmeno si sarebbe mai fatto vedere o sentire eccetera, lei sapeva che, non appena si fosse avvicinata a un qualche bel vestitino, lui avrebbe cominciato a brontolare, creando un insopportabile rumore di fondo che le avrebbe guastato tutto il divertimento; così, alla partenza da Skarmoon, quando lui aveva appunto assicurato che non l'avrebbe infastidita, lei aveva solo risposto un “Ne sono certa, caro”.
Il neutralizzatore neurale aveva fatto il resto.
Maria era la più garrula, anche perché era quella che aveva il borsellino più fornito: cuor di padre, il professor Procton le aveva dato una bella sommetta dicendole di comperarsi quel che le fosse più piaciuto. Suo fratello Actarus aveva aggiunto un suo personale contributo perché si scegliesse un vestito davvero elegante per il ricevimento. Persino Alcor le aveva allungato di nascosto un paio di banconote, sussurrando di spenderle in qualcosa (così lui si era espresso) di “veramente hot”.
L'arrivo in città e il parcheggio si svolsero senza intoppi; poco dopo i quattro si ritrovarono davanti ai grandi magazzini. Era presto, mancava ancora una buona mezz'ora all'orario di apertura… e c'era già una coda niente male davanti alle porte.
Il grosso della folla era costituito soprattutto da donne: ragazzine arrampicate su trampoli dal tacco a spillo e signore più solide e mature, tutte dall'aria molto decisa. La lotta sarebbe stata dura.
I commessi tirarono a sorte: il perdente avrebbe aperto le porte, affrontando l'assalto delle gentildonne. La fiumana che si riversò all'interno quasi travolse l'infelice, e cominciò subito a disperdersi tra i vari reparti.
Fin dall'inizio i quattro avevano deciso di restare in gruppo, ma fu subito evidente che la cosa avrebbe costituito un vero problema. Rigel fu il primo a sganciarsi: il grosso delle signore sembrava attratto dal reparto abbigliamento femminile e calzature, per cui lui puntò subito alle confezioni maschili, a suo parere più sicure perché meno attraenti agli occhi delle dame.
Maria fu la seconda ad andarsene: le bastò vedere un cartello che indicava le attrezzature sportive al piano superiore… infilò la scala mobile, e si perse subito tra sci, racchette da tennis e guantoni da boxe.
Lady Gandal e Venusia guadagnarono il reparto abbigliamento femminile, e per un poco trascorsero del tempo piacevolmente, guardando vestiti, cappelli e scarpe; poi realizzarono che le ore stavano passando un po' troppo velocemente, e nessuna delle due aveva trovato quel che le interessava. Si salutarono, mettendosi ciascuna in caccia. Tra tutti si erano dati appuntamento alle casse per mezzogiorno, bisognava sbrigarsi.


Arrivato più o meno felicemente ai reparti maschili, Rigel ebbe la soddisfazione di trovarli deserti: ottimo, avrebbe potuto guardare e scegliere con calma.
Aveva appena trovato la sezione “Abiti da cerimonia”, stava giusto prendendo in mano un completo per esaminarlo, quando dal nulla sembrò sbucare una sorta di canea urlante: fu così che Rigel fu edotto dal fatto che tutte o quasi le gentildonne erano in possesso di un marito, un figlio, un fratello o anche un padre da vestire. Fu un vero assalto a giacche e calzoni: Rigel si trovò spintonato, il vestito che stava guardando gli fu strappato di mano. Si ritrovò spinto via dagli abiti e finì contro un espositore carico di cravatte di ogni foggia e colore.
Liberatosi (una delle cravatte, d'un verde serpente, gli si era abbarbicata al collo e sembrava intenzionata a strangolarlo), Rigel dovette prendere atto che tra lui e i vestiti si era frapposto un muro di posteriori femminili. Tutti inamovibili, naturalmente.
Tentò gentilmente di chiedere di lasciarlo passare: fu ignorato.
Pregò con maggior insistenza: niente.
Alzò la voce, dicendo che in fondo lui era arrivato per primo ed era stato spintonato via: un paio di dame gli urlarono addosso che era un maleducato e un cafone, e che se ne andasse subito o avrebbero chiamato la sicurezza. Agghiacciato, Rigel corse via imboccando per errore un camerino la cui tenda era semichiusa: echeggiò immediatamente un urlo disintegratimpani. Una signora mezzo discinta l'accusò di essere uno sporcaccione e un pervertito: nuova fuga, che stavolta terminò con uno scivolone e una caduta a capofitto in un gran cestone metallico colmo di mutande. Lì Rigel rimase a lungo, in attesa che le signore si calmassero; quando osò riemergere, la prima cosa che dovette constatare fu che era piuttosto tardi. E non aveva ancora potuto vedere un vestito!
– Serve qualcosa, signore?
Un angelo salvatore, condensatosi nella forma di un gentile commesso. Che fortuna!
– Avrei bisogno di un abito da cerimonia – spiegò – Ma non è che io m'intenda molto di queste cose…
– Nessun problema, signore – rispose subito il commesso, la voce di miele e un pericoloso scintillio nello sguardo – L'aiuterò io a trovare qualcosa di adatto.
– Grazie, lei è davvero gentile! – rispose Rigel, lasciandosi condurre in una zona del reparto maschile dove, a sentire il commesso, si trovavano abiti di altissima qualità e gran gusto, “ma che la gente comune non è in grado di apprezzare… ma naturalmente, un gentiluomo di gusto come voi...”, eccetera, eccetera.
E il furbo commesso, che aveva fiutato il pollo, ebbe buon gioco a dirottarlo verso il reparto di merce invendibile.

Maria, che aveva ormai visto in lungo e in largo l'intero reparto sportivo, e aveva già compiuto una notevole serie d'acquisti, realizzò improvvisamente che fosse tardi: e non si era comperata un vestito per la cerimonia! Scese in fretta, guadagnò il reparto abbigliamento femminile… donne ovunque… poi adocchiò dei grandi cesti pieni di abiti multicolori, oltretutto con grandi cartelli che annunciavano prezzi bassissimi: ottimo, visto che aveva speso praticamente tutto! Ma per un vestituccio, non occorreva certo una gran somma!
Si tuffò nei cestoni e cominciò a frugare.


Venusia e lady Gandal si trovarono alle casse, entrambe con vari pacchetti tra le mani.
Rigel le raggiunse poco dopo, l'aria trionfante dell'uomo che ha fatto grandi affari.
Maria giunse per ultima, spingendo un enorme carrello da cui spuntavano pacchi che non sembravano proprio contenere vestiti.
– Maria, ma non dovevi comperarti un abito? – chiese Venusia.
– Fatto! – assicurò l'incosciente.
Andarono a mangiare, poi rientrarono a casa, arrivando a metà pomeriggio. Venusia accompagnò lady Gandal al suo disco; saluti, baci ed abbracci e la signora partì verso Skarmoon con al seguito svariati pacchetti. Gli altri risalirono in macchina e tornarono al ranch.


Finalmente i pacchetti furono disfatti e si poterono ammirare gli acquisti.
Venusia aveva trovato per sé un delizioso tubino d'un raffinato color rosa pesca, con sciarpa di seta coordinata. Aveva comprato anche un soprabito d'una sfumatura crema, con scarpe e borsetta in tinta. Alcor fece un fischio ammirato, il professore si complimentò per la sua scelta, chiaro indice di ottimo gusto. Persino quella bietola di Actarus sgranò gli occhi dicendole che sarebbe stata bellissima.
Fu poi la volta di Rigel, che aprì pomposamente i suoi pacchetti: tre dozzine di mutande (“Papà, ne avrai per almeno dieci anni!”), bretelle e giarrettiere maschili, di varie fogge e colori (“Ma se non le hai mai portate!” “Che importa? Era un'occasione!”) e poi un intero assortimento di calzini a righe dalle tonalità spaventose. Alle esclamazioni di raccapriccio che seguirono, l'incosciente si premurò di far notare che si era comperato pure delle più sobrie calze in tinta unita.
Infatti, le calze c'erano: gialle, arancio, verdi, rosa, tutte in accesissime sfumature fluo.
– Costavano pochissimo! – esclamò trionfalmente Rigel.
– Non mi meraviglia! – esclamò Venusia, mentre Mizar emetteva un poco educato verso tipo vomito imminente. Procton, troppo signore per fare altrettanto, si voltò discretamente da una parte perché quei toni così accesi sembravano ferirgli le cornee.
– Hai trovato un vestito per il ricevimento? – chiese diplomaticamente Actarus, cercando di non guardare quei colori osceni.
– Certo! Sono andato ai grandi magazzini proprio per quello, no? – e Rigel, trionfante, tirò fuori una giacca scura e un paio di pantaloni grigi a righine.
– Oh – disse Venusia, l'unica che ebbe il coraggio di commentare.
– Cosa c'è che non va? È un completo spezzato, come si dice! – esclamò Rigel.
– Papà, il problema non è quello – dovette spiegare lei – Il fatto è che quella giacca è troppo piccola, andrebbe bene a un ragazzino… E quei pantaloni sono enormi!
– Ma li vendevano insieme, ti dico che è un completo!
– Guarda bene, devono aver scambiato le taglie. Se indossi quel vestito sembrerai… sembrerai…
– Charlot – le venne in aiuto Alcor.
In effetti mancavano solo una bombetta e un bastone… Tutti ebbero un'agghiacciante visione di Rigel infagottato in quegli abiti allontanarsi camminando a pié di papera.
– Vuoi dire che questo vestito non va bene? – mormorò il poverino, guardando tutto afflitto i suoi acquisti.
– Solo per partecipare al veglione di Carnevale, papà – disse gentilmente Venusia – Forse è meglio se domani torniamo tu ed io, così ti aiuto a scegliere, che ne dici?
– Carnevale! Forte! – gridò Mizar – Me lo presti per la festa della scuola?
– Mmmh. E se poi me lo macchi d'aranciata? – chiese suo padre guardandolo storto. Ma ormai aveva accettato il fatto che il suo favoloso vestito non fosse poi così favoloso.
Finalmente toccò a Maria, che del gruppo era quella tornata a casa la più carica di pacchi e scatole. Subito dai vari sacchetti apparvero una tuta da motociclista rossa fiammante, una racchetta da tennis, tre paia di scarpe sportive, un'intera collezione di pesi per body-building (“Ma vuoi farti venire i muscoli come Schwarzenegger?” “No, Alcor, voglio solo tirarteli in testa ogni volta che farai una battuta cretina, cioè spesso”), un costume olimpionico con annessi pinne, maschera e boccaglio (“Ma se non sai nuotare!” “Bene, è la volta che imparo!”) e infine una tuta da ginnastica in tessuto ipertecnologico antimacchia, antisudore, antipuzza, antitutto.
– Ma non dovevi comperarti un vestito per il ricevimento? – chiese Actarus.
– Certo. Eccolo! – e Maria fece apparire una specie d'informe casacca indiana sui toni del rosso tuorlo, giallo senape e verde acido, una gonna zingaresca tipo raccattapulci, nera ricamata in oro, una borsetta in plastica simil coccodrillo bluette e, a completare la mise, un enorme cappellone di paglia alla pastorella ornato di fiore di seta gialla e nastro lilla.
Era persino peggio delle calze di Rigel. L'emozione lasciò tutti senza parole.
– Qualcosa non va? – chiese l'incosciente, stupita.


Spiegare a Maria che il suo bel vestito non solo non era affatto bello, anzi, era addirittura terrificante, non fu semplice; finì come doveva finire, con Venusia che annunciò che il giorno dopo avrebbe accompagnato Maria e Rigel ai Grandi Magazzini e stavolta li avrebbe aiutati a scegliere degli abiti decenti. Quanto agli acquisti di Maria, li chiese Mizar: sarebbero serviti per la recita scolastica, per una delle sue compagne.
– Certo! – disse Maria, consegnandogli il tutto – Che parte deve fare, la tua amica? Una signora? Una regina?
– No, una zitella pazza – e Mizar sparì in fretta, mentre lei esplodeva in una serie di improperi che fecero sobbalzare il suo pudico fratello.


Finalmente, Alcor ebbe l'occasione di chiederle, loro due soli, se lei avesse usato i soldi che le aveva dato per prendersi qualcosa di hot.
– Certo! – e Maria aprì l'ultimo pacco, quello che gli altri non avevano visto, estraendone un pigiamone in peluche rosa confetto con sul davanti un'applicazione a forma di ranocchia smeraldina – Questo è davvero hot, non credi? Tiene un caldo meraviglioso!
– Non è quel che avevo in mente – gemette lui.
Niente da fare… Quella specie di scafandro peloso avrebbe placato persino gli ardori di Casanova.


EPILOGO (TRAGICO, MA NON SERIO)

Non ne posso più!, si lagnò Gandal.
La smetti di lamentarti?, lo riprese sua moglie. Andrà a finire che qualcuno si accorgerà che stiamo discutendo!
Ma se stiamo parlando a livello telepatico…
Ma tu sei sempre il solito! Non sei capace di star tranquillo, di discutere senza farti notare… tu devi agitarti, devi gesticolare! E sta' un po' fermo!
Non posso…
Sì, che puoi! Piantala!

Gandal strinse le zanne. Dura, litigare con la propria consorte quando ci si trova in Sala Riunioni, intenti ad ascoltare l'ultimo, corposo e noiosissimo rapporto del Ministro della Difesa Dantus… accanto a lui, Hydargos giocava di nascosto a far saltare bombette colorate sul suo dispositivo portatile. Zuril fingeva di prendere appunti, mentre in realtà stava eseguendo equazioni a sette incognite, così, tanto per far passare il tempo. Barendos teneva sotto al tavolo il suo lettore olografico tascabile e stava seguendo un filmetto di genere decisamente scollacciato… persino il Sire, immobile, irrigidito nell'ascolto, dava l'idea di essere nel pieno di un sonnellino ad occhi aperti. Come dargli torto, con un relatore noioso ed inarrestabile come Dantus?
Quanto a lui… beh, era un vero inferno.
Piantala di agitarti sulla sedia!, lo riprese la signora.
È tutta colpa tua. Colpa tua, e dei tuoi maledetti acquisti! T'avevo detto…
Sentimi bene, Gandal: avevamo fatto un patto, ricordi?
Sì, ma…
Io avevo promesso che non avrei preso nulla che potesse metterti in imbarazzo; giusto?
S-sì, però…
E l'ho fatto. Non ho comprato vestiti, scarpe col tacco, cappellini, gioielli: niente! Niente che non sia visibile! Per cui, FALLA FINITA!

E Gandal, strizzato da una guepière tutta merletti, le gambe tormentate da pruriginosissime calze a rete e certe parti molto intime spremute da un tanga di pizzo il cui laccetto posteriore gli si era dolorosamente insinuato, per così dire, in un recondito anfratto, Gandal, che non poteva dire nulla alla consorte dato che lei era stata di parola e i suoi acquisti erano totalmente nascosti dalla sua solita tuta scura, non poté far altro che cercare una posizione più comoda sulla sua poltroncina.
E soffrire.


FINE


Link per solidarizzare con il Comandante Supremo: #entry588156638
 
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view post Posted on 4/3/2016, 17:29     +1   -1
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Reduce dall'iscrizione scolastica telematica del figlio, ovviamente rapida e semplice, ho trascritto fedelmente tutte le mie vicissitudini, mettendo ancora una volta Rigel al mio posto. A parte l'ultimo pezzetto, considerate il tutto assolutamente autobiografico e per nulla esagerato.

Particolare penoso: una mia amica con figli della stessa età dei miei, che come me smanetta tranquillamente nel PC e tre anni fa aveva iscritto telematicamente i pargoli, mi ha assicurato che l'iscrizione per lei è stata rapida e semplice.
Per lei, appunto. :hate-wall.gif: :hate-wall.gif: :hate-wall.gif:


INFERNO INFORMATICO 2 – LA VENDETTA


Si sa che, quando qualcosa viene fatto “per il nostro bene” o “per semplificare, rendere più agevole, più veloce eccetera”, ben nascosta da qualche parte c'è sempre la fregatura. Neanche da dirlo.
Qualche anno prima, Rigel aveva dovuto compilare i moduli informatici (Veloci! Pratici! Moderni!) per iscrivere Mizar a quello che lui continuava a chiamare asilo, ma che in realtà, pur essendo sostanzialmente rimasto un asilo appunto, aveva cambiato almeno due o tre nomi diversi. All'epoca, l'operazione gli aveva richiesto un certo tempo ma era comunque andata a buon porto, per cui lui non aveva avuto nulla da eccepire.
Ora, quando Mizar gli portò a casa la comunicazione che per quell'anno l'iscrizione andava rinnovata tramite mezzi informatici, Rigel non batté ciglio: aveva visto ben di peggio quando era nel west, lui!
Fu così che, pieno di baldanza, si mise al computer e digitò l'indirizzo del portale dell'Istruzione Pubblica, sezione iscrizioni: la schermata d'inizio gli chiese subito se avesse un precedente account, o se dovesse registrarsi.
Rigel rifletté un istante: account…? Ah già, l'identità. Certo che ce l'aveva: non aveva forse già iscritto suo figlio qualche anno prima?
Tirò quindi fuori un quadernetto in cui teneva scrupolosamente annotate tutte le password di tutti i vari siti in cui si era registrato: sito della banca, della compagnia del gas (e qui Rigel masticò qualche parolaccia), dell'Associazione Allevatori di Cavalli, del sito Amici degli Extraterrestri da lui stesso aperto con l'aiuto di Mizar e di Alcor… sito della scuola, registro elettronico… no… sito per l'Iscrizione Scolastica. Ecco.
Come immaginava, segnati aveva username (l'account, già) e un'astrusa password tutta lettere e numeri. Perfetto. Poi, occorreva inserire l'indirizzo mail.
Trascrisse diligentemente ogni cosa, premette invio: niente.
Una scritta rossa l'avvertì che l'abbinamento dei codici non era corretto, controllare username, password e mail.
Rigel rilesse attentamente sul quadernetto, copiò con cura, controllò lettera per lettera: quadrava. Premette invio.
Nuova scritta rossa: username già in uso, non utilizzabile.
Rigel rimase perplesso: ma come? Era il suo username, l'altra volta non c'erano stati problemi… che stava succedendo?
Continuò ad inserire username, password e mail: niente, non c'era verso di uscire da quella schermata.
Cercò se vi fosse una sezione d'aiuto per capire cosa fare in questi casi: certo, bastava consultare le FAQ.
FAQ…? E che erano?
Domande frequenti cui era già stata data risposta. Ecco.
Scorse l'elenco: niente, il suo caso non era contemplato.
Forse poteva risolvere cambiando account; anzi, di sicuro il suo vecchio account era scaduto.
Tornò alla schermata principale, stavolta scelse registrazione di un nuovo account.
Inserì un nuovo username, una nuova password, la mail. Premette invio.
Un'odiosa scritta rossa l'informò che quella mail era già in uso con un altro account, per cui non poteva essere ritenuta valida.
Rigel si lasciò sfuggire una parola che avrebbe certo ottenuto la disapprovazione della figlia; poi rifletté che se la sua mail era considerata in uso, allora il suo vecchio account era ancora valido.
Tornò alla schermata iniziale, scelse l'opzione di account già in uso: username, password, mail.
Niente da fare.
Bene, era arrivato il momento di riconoscere la sconfitta e chiedere aiuto.
Acchiappò il telefono e chiamò la segreteria della scuola: una voce robotica gli fece sapere che era aperta tutti i giorni dalle 8.30 alle 11.00, eccetto il martedì, giorno in cui apriva al pomeriggio. Ma quel giorno era mercoledì… l'orologio gli disse che erano le 11, sì, ma già da qualche minuto. Chiuso. Bisognava aspettare l'indomani.
Il giorno dopo, alle 8.30, era già al telefono: un'incerta voce femminile prese la linea, e alla sua domanda rispose che non ne sapeva nulla.
– Ma come, non ne sa nulla? – chiese Rigel – Lei non è la segretaria?
– No, sono la bidella. La segreteria oggi è chiusa.
– Ma se è mercoledì! Dovrebbe essere aperto stamattina, no?
– Sì, ma la segretaria oggi è assente. Provi domani.
Il giorno dopo, nuova telefonata: stavolta rispose una voce femminile dal piglio efficiente. Rigel espose il problema, e lei subito trovò la soluzione: – Ma caro signore, per forza non funziona! Lei ha già iscritto suo figlio a nome suo, per questo non accetta l'account. Deve aprirne uno a nome dell'altro genitore.
– Che cosa?
– Deve iscrivere suo figlio a nome di sua moglie – spiegò con pazienza.
– Ma mia moglie… insomma, io sono vedovo da anni!
– Ah – breve silenzio – Beh, provi a cambiare almeno la mail, magari lo accetta. Al limite, apra una nuova mail apposta.
– Ma mi scusi – disse Rigel, che cominciava a sentirsi scaldare le orecchie – lei vuol dirmi che non posso riutilizzare il mio account?
– A volte il sistema non lo accetta, specie se si tratta dell'iscrizione del secondo figlio. Basta che un figlio lo iscriva il papà e uno la mamma. Semplice.
– E se i figli sono tre? Chi lo iscrive il terzo? L'amante?
– Beh, lei provi a cambiare mail – e la donna chiuse la comunicazione.
Rigel borbottò un paio di parole in texano purissimo, rimettendosi al PC: aprire un'altra mail! Ci mancava anche questa… beh, avrebbe potuto magari inserire quella di Venusia, lei non avrebbe avuto nulla in contrario dato che si trattava della scuola di suo fratello.
Riaprì la schermata: username, password, mail… errore.
Già, avrebbe dovuto immaginarselo: doveva crearsi un nuovo account.
Ripartì da capo, schermata iniziale. Registrazione.
Inserì username (nuovo!), nuova password, la mail di Venusia.
Stavolta gli fu permesso entrare, ma gli fu chiaro da subito che per il sistema lui era appunto Venusia, che in quanto sorella maggiorenne stava iscrivendo il fratellino.
Davanti a lui, s'aprì una nuova schermata piena di caselle da riempire.
Punto primo: codice meccanografico della scuola di appartenenza.
Rigel batté le palpebre: e questo che era?
Una rapida ricerca sul web gli permise d'appurare che si trattava del codice identificativo della scuola, disponibile sempre sui siti internet delle scuole stesse. Ah.
Aprì il sito della scuola: il codice brillava per la sua assenza.
In alto a destra c'era la solita finestrella per la ricerca nel sito: inserì la scritta “codice meccanogr”, perché il “afico” non ci stava. Premette invio.
Nessun risultato trovato.
Ma come? Non doveva esserci in ogni sito internet?
Tentò un'altra ricerca, magari esisteva un elenco dei codici scolastici… niente.
Tornò alla pagina per l'iscrizione: una piccola scritta gli diceva che, cliccando il pulsante apposito, si poteva arrivare a un sito che avrebbe potuto fornire il codice di qualsiasi scuola. Meno male.
Entrò nel sito, digitò il nome della scuola: un astruso codice alfanumerico apparve. Rigel lo copiò andando subito ad incollarlo nella casella apposita sulla domanda d'iscrizione.
A questo punto dovette compilare tutte le caselle della domanda: dati e codici dell'alunno, dati e codici di chi lo stava iscrivendo… Venusia, accidenti! Rigel inserì subito i dati della figlia, selezionandola come sorella dell'alunno. Meno male che non si era sbagliato… poi bisognava compilare l'elenco delle altre persone facenti parte la famiglia. Lui, cioè. Infine, occorreva specificare la lingua straniera studiata dal ragazzo.
Bene, ora bisognava rileggere tutto. Partì dall'alto, e subito s'accorse che accanto al codice meccanografico era apparso un nome diverso da quello della scuola di Mizar. Doveva aver sbagliato qualcosa.
Tornò al sito che forniva i codici, digitò con attenzione il nome della scuola: ancora lo stesso codice di prima.
Provò ad inserirlo nella domanda: il nome che risultava non corrispondeva. E allora?
Allora, l'indomani avrebbe dovuto ri-telefonare alla scuola, ecco tutto. Non c'era altro da fare. Fortuna che la segreteria era aperta anche il sabato.
– Ma quello non è il nostro codice – disse il giorno dopo la segretaria.
– Lo so, ma è il codice che mi appare quando digito nel sito il nome della vostra scuola – rispose Rigel, che a volte sapeva essere davvero paziente.
– Se sapeva che il codice era sbagliato, perché non l'ha cercato sul nostro sito? – gli fece presente lei.
– L'ho fatto – rispose soavemente lui – Ma il codice non c'è.
Un attimo imbarazzato di pausa: – Ma che strano…!
– Non c'è – insisté.
– Uh. Oh. Beh, se vuole le detto il codice corretto – e prese a compitargli la successione di lettere e numeri, che in effetti era completamente diversa da quella in possesso di Rigel.
Tornato alla schermata, Rigel corresse finalmente il codice; a quel punto, c'era da salvare la domanda e poi inoltrarla.
Premette salva e subito apparve una scritta, stavolta azzurra: una domanda era già presente a nome di quell'account. Si pregava di presentarsi alla scuola di appartenenza dell'alunno per risolvere la questione.
Rigel guardò l'orologio: le undici e cinque. Segreteria chiusa.
Stavolta, le esclamazioni in texano furono molto più numerose.
Il lunedì mattina alle 8.30 Rigel era già pronto allo sportello. La segretaria, che lui s'era immaginato acida e zitellesca e invece si era rivelata gentile e gradevole, comprese il problema e gli chiese se avesse con sé i codici di accesso; avuta risposta affermativa lo fece accomodare in ufficio, aprì la schermata del Ministero dell'Istruzione Pubblica, entrò rapidamente nel suo account, scelse l'opzione “controlla lo stato della domanda” e con un clic l'annullò.
– Ecco. Adesso basta rifare la domanda inserendo il codice corretto – spiegò, con un sorriso.
Rigel, annientato nel vedere come fosse stato semplice eliminare l'ostacolo che tanti problemi gli aveva dato, ebbe appena il fiato per ringraziare e tornò subito a casa, deciso a venire a capo della questione una volta per tutte.
Aprì la schermata, codici, codice della scuola (corretto!), re-incasellamento di TUTTI i dati: per fortuna c'era l'inserimento automatico, bastava scrivere la prima lettera per veder apparire le parole intere. Almeno si guadagnava un po' di tempo – e date le ore che aveva perso, trovò la cosa ferocemente ironica.
Salvò, apparve la schermata di controllo per l'approvazione definitiva. Consigliavano di verificare scrupolosamente tutti i dati.
Rilesse tutto: ansioso com'era di farla finita aveva dimenticato d'inserire l'ultimo dato, la lingua studiata da Mizar. Fece per selezionare “inglese”, quando con orrore s'accorse che non era possibile farlo. Tentò e ritentò: niente. La schermata di controllo non permetteva correzioni.
E che accidenti di controllo era, allora?
Nuovi improperi in texano strettissimo rivolti al Ministero, all'Istruzione e soprattutto alla Pubblica, che in quel momento chissà perché calamitava la maggior parte del suo odio.
Dovette scrivere ANCORA tutto, controllare per l'ennesima volta, salvare, ri-controllare sapendo di non poter correggere e finalmente salvare definitivamente la domanda.
Poi occorreva scegliere l'opzione “inoltra”: una mail di conferma sarebbe arrivata in breve tempo.
Controllò trepidante: la mail c'era, Mizar risultava iscritto.
Fu allora che accadde quel che non s'era aspettato e che mai e poi mai avrebbe immaginato di doversi trovare: una schermata gli chiedeva di votare l'iscrizione on line, esprimendo il proprio gradimento soprattutto per quanto riguardava la praticità e la velocità dell'operazione.
Lesse la prima domanda: avete avuto problemi con l'iscrizione online?
Nel ranch echeggiò un barrito che d'umano non aveva più nulla.


(articolo apparso due giorni dopo sul giornale locale)
TERRORE AL MINISTERO DELL' ISTRUZIONE PUBBLICA
Una nuova impresa criminale del misterioso Nano-Ninja?

Ieri mattina, un ninja è piombato negli uffici Ministero dell'Istruzione Pubblica seminando il panico tra gli impiegati. L’assalitore risulta essere un individuo dal viso coperto, interamente vestito di nero, di bassa statura, molto simile per aspetto e modus operandi al misterioso individuo, subito ribattezzato Nano-Ninja, che qualche mese fa ha fatto scempio della sede dell'agenzia del gas.
Lo squilibrato ha subito distrutto a colpi di katana il Banco Informazioni; sempre armato di katana si è fatto largo tra i terrorizzati impiegati, arrivando all'Ufficio preposto alle Relazioni con il Pubblico. Qui il pazzo ha dapprima aggredito gli impiegati, scagliando loro addosso alcune shuriken, le cosiddette “stelle del ninja”: bisogna dire che le vittime sono state tutte colpite in parti non vitali, per cui, data l'abilità di lanciatore dimostrata dal folle, si ritiene che non abbia voluto uccidere. Gli impiegati sono tutti attualmente in ospedale per controlli; stanno complessivamente bene, ma per almeno un paio di settimane non potranno tornare al lavoro data l'assoluta impossibilità di sedersi a causa delle ferite.
Nano-Ninja si è poi accanito sui computers presenti nell'ufficio, distruggendoli a colpi di katana; l'opera di devastazione è poi continuata negli uffici adiacenti, dove il folle ha casualmente scoperto l'identità dell'ingegnere ideatore e responsabile del sito internet del Ministero. L'uomo è stato assalito con inaudita ferocia. Nano-Ninja, secondo una tecnica già collaudata durante l'assalto all'agenzia del gas, lo ha letteralmente inchiodato alla scrivania a suon di shuriken: ancora una volta, l'uomo è rimasto totalmente illeso, il suo costoso abito firmato, no. Dopo aver passato la cravatta dell'ingegnere nel tritadocumenti, il folle si è fatto largo tra i terrorizzati impiegati e si è dileguato.
A questo punto, il panico si è sparso anche all'Agenzia delle Entrate, l'Agenzia dell'Elettricità, il Ministero della Salute: il timore di un nuovo assalto del misterioso Nano-Ninja sembra farsi concreto.
Ancora una volta, la polizia brancola nel buio.



Per simpatizzare con l'eroico Nano-Ninja: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2595#lastpost
 
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view post Posted on 14/4/2016, 21:58     +1   -1
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Sciocchezza che-non-ho-potuto-fare-a-meno-di-scrivere.


SCAMBIO D'OPINIONI


Vedere Gandal entrare con aria immusonita nella Sala Comando era un qualcosa di già visto e rivisto: soprattutto di primo mattino, difficilmente il Comandante Supremo era di quell'umore gioioso e scintillante che fa di un uomo l'anima della festa.
Ma vederlo arrivare con un'artigliata che gli attraversava metà del viso destro deturpandone la maschia avvenenza, e con una specie di indistinto gonfiore livido là dove normalmente avrebbe dovuto esserci l'occhio sinistro, bene, questo era decisamente inusuale.
Hydargos e Zuril si scambiarono un'occhiata perplessa; poi, come su comando, si alzarono andando a sedersi vicino al loro imbronciatissimo collega.
Silenzio.
– Tutto bene? – chiese infine Hydargos, pieno di buona volontà ma scarsino nel trovare frasi poco scontate.
– Mbohf – fu la risposta che ottenne.
– Naturalmente, non va bene – osservò Zuril, che aveva optato per un approccio più diretto – Hai voglia di parlarcene, o dobbiamo passare subito alle torture?
Gandal dardeggiò sui colleghi uno sguardo che sarebbe stato feroce se l'occhio simile ad una specie di panettone blu non avesse reso il tutto molto meno efficace; poi si decise. Non aveva timore delle torture – sapeva bene che Zuril non parlava tanto per parlare – ma aveva un gran bisogno di sfogarsi, per cui cedette subito.
– Mia moglie – brontolò.
C'era da aspettarselo, fu l'occhiata che si scambiarono i suoi due colleghi.
– Sì? – disse Zuril.
– Davvero? – fece eco Hydargos.
– Sapete com'è fatta mia moglie… vuol sempre intervenire su tutto, dire la sua su tutto… non ne posso più!
– Ci credo! – rispose Hydargos, tutto solidarietà maschile.
Zuril prese un gran respiro: – E… che è successo?
– Beh, dovevo andare a dare un'occhiata al nuovo mostro, giù alla Sezione Tecnica – rispose Gandal, fissando bieco un bruscolino sulla lucida superficie del tavolo di riunione – Mentre sono lì che sto parlando con l'ingegnere capo, che succede? Lei vuol farsi avanti! Capacissima poi d'insultarmi davanti a tutti…
Altro scambio d'occhiate tra Hydargos e Zuril: già, nulla che non avessero visto.
– Ma io, niente! – proseguì fieramente Gandal – Le tengo testa! Lei fa di tutto per aprirmi la faccia e sbucar fuori, ma no! Tengo duro e non apro! Sento che è furiosa ma non c'è niente da fare, io termino il mio discorso con l'ingegnere e continuo a tenere la faccia chiusa, che diamine!
– Così fa un vero uomo! – approvò Hydargos, mentre Zuril cominciava a sentire un certo disagio serpeggiargli per le viscere. Trattare così la signora? Ahi...
– Poi, dovevo parlare con i miei soldati – continuò intanto Gandal – Sapete, quei discorsi che si fanno per incoraggiare le truppe…
I due annuirono: Gandal era sempre stato formidabile nell'infiammare gli animi, questo glielo dovevano riconoscere anche i suoi più feroci detrattori. Tante volte era riuscito a trasformare uomini incerti o addirittura tremebondi in feroci guerrieri assetati di vittoria. Niente da dire, l'uomo aveva carisma.
– Bene, dovevo tenere appunto un discorsetto… nulla di particolare, solo qualche parola d'incoraggiamento – riprese Gandal – E quando ormai sento d'avere i soldati in pugno, mentre sono nel bel mezzo di una frase ad effetto, mi accorgo che la mia faccia sta per aprirsi: lei stava cercando di interrompermi per dire la sua! Nel pieno del discorso! Davanti ai soldati! Ma stiamo scherzando?
– Non è possibile! – rispose Hydargos, comprensivo, scuotendo la testa.
– E allora? – chiese Zuril, che si sentiva le budelle attorcigliate.
– Allora tengo duro, ma non è facile! Anche stavolta lei fa di tutto per aprirmi la faccia e tagliarmi la parola di bocca, ma io no! Niente! Riesco a finire il discorso, anche se dentro di me le faccio capire chiaramente che sono davvero arrabbiato. E lei, che fa? L'offesa. Lei!
Hydargos scosse ancora la testa. Senza darlo troppo a vedere, Zuril si aggrappò al bordo del tavolo: la puzza di rogne era sempre più forte.
– Poi, dovevo andare a conferire col Sire – sì, Gandal disse proprio “Sire” con la maiuscola. Probabilmente, su Skarmoon era l'unico a farlo – Stiamo parlando dei nuovi piani per l'invasione della Terra, e quasi subito sento che sta per aprirmisi la faccia: quella là stava cercando di mettersi in mezzo!
– E tu hai resistito? – chiese Hydargos.
– Certo! – rispose fieramente Gandal, mentre Zuril si sentiva cogliere da una leggera vertigine – Io tengo duro! Lei fa di tutto per aprirmi la faccia e spuntar fuori, ma niente! Io resisto!
– Bravo! – esclamò Hydargos, mentre la vertigine di Zuril si faceva più marcata.
– Lei continua e continua a cercar d'interrompere, ma niente! Non le permetto neanche di mettere fuori il naso! Ma vogliamo scherzare?
– Un uomo deve farsi valere – commentò Hydargos, convinto.
– È esattamente quel che le ho detto! – esclamò Gandal.
Un attimo di agghiacciato silenzio: persino Hydargos si era improvvisamente reso conto che assumere un atteggiamento autoritario con lady Gandal non fosse propriamente un'idea salutare.
– Gliel'hai… detto? – chiese Zuril, che sperava vivamente d'aver capito male.
– Certo! A quel punto non ne potevo più, e gliel'ho detto in faccia!
– Davanti al sire? – si meravigliò Zuril.
– Certo che no! Appena il sovrano mi ha congedato ho fatto ritorno nel mio… nostro… alloggio. E qui, le ho detto tutto quel che pensavo.
Hydargos assentì. Su Skarmoon erano ben noti i teatrini coniugali dei signori Gandal: insulti, veleni ed improperi, il tutto accompagnato da un continuo apri-e-chiudi di faccia.
– Spero che tu non abbia detto proprio tutto – osservò Zuril. Altro che puzzo di rogne… Tanfo nauseabondo, sentiva!
– Tutto, ti dico! Una volta tanto ho voluto sfogarmi sul serio!
Occhiata piena di panico tra Zuril e Hydargos.
– Le ho detto che è una strega impicciona – continuò Gandal, ormai lanciato – E che è insopportabile, bisbetica, comandona, una vera virago! E poi le ho anche detto che non deve permettersi mai più d'interrompermi mentre sto parlando! Il Comandante Supremo sono io! Non lei! Lei è solo una stupida femmina, e non deve neanche fiatare quando parlo io, che sono l'uomo! Soprattutto, le ho detto che avrebbe passato un guaio colossale, se avesse osato ancora tentare di aprirmi la faccia mentre io sto parlando! Anzi, quando io parlo, lei deve starsene buona buona, zitta e nascosta, e soprattutto deve tenere la faccia chiusa! Chiusa! Chiu-sa!!!
Sotto la tavola, un terrificato Hydargos strinse la mano dell'agghiacciato Zuril.
– E allora, lei mi ha fatto questo – continuò Gandal, accennando all'artigliata che gli solcava il lato destro del viso.
Zuril deglutì: – E... tu?
– Io? Le ho tirato un pugno, naturalmente! Dritto all'occhio, vedi? – e accennò al panettone livido sulla sinistra.
Hydargos e Zuril osservarono quel che restava dell'occhio, poi si guardarono in viso e infine tornarono a dedicare la loro attenzione al collega: – Veramente, quello sarebbe il tuo occhio…
– Per forza! Mentre facevo partire il pugno, quella strega ha subito chiuso la faccia!


Link per esprimersi circa le mogli che obbediscono ai loro mariti: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2610#newpost
 
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Finalmente ho ultimato una storia che avevo in ballo da un mese circa.
Quattro puntate in cui Yabby si trova a dover affrontare qualcosa di totalmente incomprensibile - almeno per lui.

GATTO (DA PELARE)


È proprio quando si è rilassati, in pace con sé stessi e con il resto dell'universo, che ti piombano addosso le peggiori sventure.
Prendete ad esempio Yabarn, sire di Vega: che motivo avrebbe avuto di preoccuparsi? Era un sovrano rispettato e temuto. Compiva regolarmente le sue epurazioni e i suoi eccidi. Aveva da poco ordinato un nuovo genocidio, visto che aveva inflitto la giusta punizione ad un pianeta che si ostinava a ribellarsi al controllo di Vega… in effetti, era da troppo tempo che quegli stolti facevano resistenza, avrebbe dovuto punirli prima. Ma, si sa, lui aveva il cuore tenero.
Insomma, Re Vega si sentiva perfettamente a posto, la coscienza tranquilla di chi sa di aver compiuto il proprio dovere; e fu allora che il fulmine lo colpì, sotto forma della regina Himika che gli piombò inaspettatamente nei regali appartamenti giusto mentre lui stava godendosi il meritato relax.
– Ah, Yabby – Himika si fece avanti con la tranquilla sicurezza della padrona di casa, la bipenne d'argento tra le mani e una pelliccia color fiamma drappeggiata sulle spalle – Ho giusto bisogno di te.
– Ma che…!!! – esclamò Re Vega, aggiungendo un termine invero poco adatto alle gentili orecchie d'una signora; a parziale discolpa del sire, bisogna dire che non s'era affatto aspettato l'irruzione della gentildonna nelle sue stanze private. Oltretutto, non aspettandosi visite il sovrano indossava un poco regale tutone azzurro da casa, vecchio, sformato, un po' scolorito ma che è-troppo-comodo-per buttarlo-via.
– Fingerò di non aver sentito – e Himika giocherellò con la bipenne, facendola baluginare sinistramente – Mi serve il tuo aiuto, Yabby.
Il sire boccheggiò, cercando di trovare il fiato di protestare. Non solo l'appiccicosa femmina continuava a considerarlo il suo fidanzato, non solo gli piombava del tutto inaspettata nel sancta sanctorum della sua casa beccandolo oltretutto spaparanzato in poltrona e con le pantofole (color senape, dono natalizio di quella sciagurata di Rubina) ai piedi, ma osava anche chiedergli aiuto per qualcosa? La sfacciataggine della signora non aveva davvero limiti!
– Ho in programma una serie di visite diplomatiche, e naturalmente non posso portare con me il mio piccolo Pucci – stava intanto continuando lei, imperturbabile – Ovviamente potrei lasciarlo a casa, ma soffrirebbe troppo, poverino. I miei ministri non sanno trattarlo. Ho pensato di portartelo qui, così te ne occuperai tu durante la mia assenza.
– Occuparmi? Io? – ripeté il sire, sicuro di non aver capito bene – Himika, ma io non…
– Pucci non ti darà fastidio, è talmente dolce! – ovviamente lei diede alle proteste del regale fidanzato il peso che a suo parere meritavano, cioè zero – Devi promettermi che avrai cura di lui, lo nutrirai e lo coccolerai. Ho già provveduto a farti portare le sue pappe, i suoi giocattoli, il tiragraffi e una scorta di sabbia per la lettiera. Sono sicura che voi due andrete molto d'accordo.
– Pappe? Giocattoli? – sbottò il sire, un po' imbecillotto – Vuoi ammollarmi un dannato neonato?
– Ho parlato di lettiera, Yabby – rispose lei, con la dolce pazienza di chi sa di avere a che fare con qualcuno non propriamente sveglio – Da quando in qua i pupi usano la cassettina per fare le loro cosine?
– Lettiera? – finalmente il sire ebbe un quadro chiaro della situazione – Himika, non vorrai dire che vuoi affibbiarmi un qualche animale!
– Non strillare, Yabby – ammonì la regina – Non vorrai innervosirlo. È così sensibile…
– Sensibile? – solo allora, il sovrano s'accorse che proprio in mezzo al fulvo della pelliccia che copriva le candide spalle di Himika erano spuntati due grandi occhi verdi; un agile balzo, e un enorme gattone rosso sembrò materializzarsi sul pavimento, la coda che frustava nervosamente i fianchi e uno sguardo tutt'altro che amichevole puntato sul sovrano.
– Ecco, questo è il mio piccolo Pucci – Himika carezzò l'animale che subito inarcò la schiena facendo le fusa e strusciandosi contro il suo vestito – So che il mio piccolino sentirà la mancanza di mamma, ma qui c'è papà che si prenderà cura di lui…
– No, un momento! – disse papà, col tono imperioso che ben si conveniva al Sire di Vega; si alzò drizzandosi in tutti i suoi due metri e venti di statura, deciso a torreggiare sull'incauta femmina che osava cercare d'imporglisi – Tu non puoi pretendere che io mi occupi di… di quella belva! Oltretutto, io detesto gli animali, specie quelli domestici!
– Davvero, Yabby, io non parlerei così. Non davanti a lui – ammonì Himika, per nulla impressionata.
– E perché non dovrei? È solo una bestia! E fammi il piacere di portartela via!
– Non credo che lui sia d'accordo – osservò dolcemente la regina, mentre il gattone saltava agilmente sulla regale poltrona acciambellandosi sul regio cuscino di velluto – Anzi, direi che Pucci si trovi davvero bene, qui. Non capita spesso, sai? Sei fortunato, in genere non si ambienta molto facilmente. Sono sicura che voi due diventerete ottimi amici – e prima che il sire potesse profferir verbo la regina uscì dalla stanza, lasciandolo in balìa di un micio della taglia di una grossa lince.


Per vari minuti il sovrano rimase immobile, incredulo della sventura che gli era piombata addosso; poi realizzò che ormai il danno era fatto, Himika se ne era andata affibbiandogli la belva. Tanto valeva accettare la situazione ed affrontarla con la necessaria fermezza.
Il sire guardò con palese antipatia l'animale che, da solo, occupava per intero la sua poltrona. Quella bestiaccia credeva davvero di poter fare i propri comodi? Adesso avrebbe visto chi era a comandare!
– Scendi immediatamente! – esclamò.
Aveva usato il suo tono più imperioso, quello che faceva scattare tutti i suoi sottoposti e che gelava loro il sangue nelle vene; impressionatissimo, il gatto si acciambellò meglio sul cuscino, voltando le terga al sovrano.
– Maledetta bestia! Giù!
Il gatto gli gettò uno sguardo annoiato, muovendo pensierosamente un baffo.
Ormai fuori di sé, il sovrano l'afferrò per la folta pelliccia rossa, deciso a sfrattarlo dalla poltrona: subito l'animale, che tutto sommato era dotato di grande pazienza, si limitò ad esprimere la sua opinione scoprendo i denti e rivelando canini lunghi svariati centimetri.
Re Vega era un uomo audace ma prudente: perché affrontare un simile pericolo quando aveva le sue guardie speciali pronte a combattere, e pure a morire, per lui? Suonò il campanello.
Pochi minuti dopo le guardie speciali erano al Centro Medico intente a farsi rammendare quel po' di pelle che era rimasto loro, un paio di robodomestici stavano riordinando il regio soggiorno raccogliendo sangue e rimasugli vari e Pucci tornava ad acciambellarsi sul cuscino, deciso a riprendere il sonno interrotto.
Quanto al sire, era spalmato contro la parete, del tutto illeso ma agghiacciato dal terrore.
Naturalmente non avrebbe tenuto con sé quella belva feroce, nemmeno Himika poteva pretendere una cosa simile! Quando ebbe la certezza che la fiera era ormai sprofondata nel sonno, tese una mano verso l'intercom e chiamò il suo Ministro delle Scienze. Avrebbe pensato lui a quel mostro.


Zuril arrivò poco dopo, e subito si mostrò entusiasta del micione.
– Oh, un gatto domestico deraniano! – Zuril passò la mano sulla testa di Pucci, che socchiuse gli occhi emettendo forti fusa – Complimenti, Maestà! È un esemplare magnifico.
– Non è mio! – sbottò il sovrano, furioso – È di Himika, che me l'ha ammollato!
– Siete fortunato, i gatti domestici deraniani sono animali rari e molto intelligenti. Avete l'opportunità di studiare una creatura davvero interessante, sire! Confesso che v'invidio l'esperienza.
– Davvero? – esclamò il sovrano, cogliendo la palla al balzo – Allora sarai contento di sapere che l'esperienza interessante toccherà a te.
– Ma Maestà, io non credo che…
– Ma certo! Ti tieni il gattone, te ne occupi tu fino al ritorno di Himika e così avrai modo di studiarlo a dovere. Anzi, arrivo a dire che se ti venisse anche voglia di vivisezionarlo, non sarò certo io ad oppormi.
Zuril lo guardò con rimprovero: – Sire, io non credo che sia il caso che diciate una cosa simile.
– Perchè? T'importa di questa bestiaccia? Certo, Himika farà poi un po' di storie, ma...
– Maestà! – nonostante il rispetto che, almeno teoricamente, provava per il suo sovrano, Zuril gli fece cenno di tacere – Non dite queste cose. Non davanti a lui!
– Ti ci metti anche tu? Già quella cretina di Himika pretende che l'animalaccio sia sensibile…
– E ha ragione. Lo è. Ed è molto intelligente, anche.
– Ma per piacere…!
– Sire, parlo sul serio! V'invito alla prudenza. I gatti domestici deraniani sono conosciuti per la straordinaria intelligenza, la grande sensibilità e il carattere caparbio e irriducibile. Vi prego di credermi se vi dico che farlo arrabbiare non è una grande idea.
– Non vorrai dirmi che questa bestiaccia capisce quel che stiamo dicendo!
– Le singole parole no… forse. Ma sicuramente comprende le intenzioni. Ha già percepito la vostra ostilità. Credetemi, è molto meglio se vi mostrate amichevole.
– Non vorrai dirmi che dovrei aver paura di questo… questo animale!
– Sì – rispose Zuril – I gatti deraniani sono animali fieri, cocciuti e combattivi. Se vi comporterete da nemico, lui vi ripagherà della stessa moneta.
– Ma stiamo scherzando? – sbottò il sovrano – Io dovrei aver timore di questa bestia? Io, Yabarn il Grande, Re di Vega? Ma è lui che deve aver paura di me!
Zuril scosse la testa: – Cominciamo malissimo…


- continua -

Link per parlare di gatti e non solo: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2655#lastpost
 
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Secondo round Yabby vs. Pucci.


Quella sera, Pucci fu obbligato a dare una prima lezione d'educazione all'umano.
Naturalmente lui avrebbe voluto evitare di far ricorso alle maniere forti, ma l'individuo con cui era costretto a convivere si stava dimostrando poco collaborativo e soprattutto privo di buon senso. In particolare, il gatto aveva la netta sensazione che l'umano non avesse capito proprio niente.
Ad esempio, all'ora di cena non gli era ancora stato versato nulla nella ciotola – a dire il vero, non gli era nemmeno stata posta per terra una qualsivoglia stoviglia. Niente acqua, niente pappa, niente crocchette. Come non bastasse, niente tiragraffi e niente giocattoli, fatti sparire dall'infuriato sire in uno sgabuzzino.
Invece l'umano si era seduto a tavola, un piatto davanti a sé mentre un delizioso profumino di carne stava diffondendosi nell'aria… come non bastasse, il tizio l'aveva persino guardato con un'espressione, spiace a dirlo ma è così, davvero strafottente, e fissandolo in faccia si era ostentatamente messo in bocca un grosso pezzo di carne sugosa.
– Tu mangerai dopo, e solo se farai il bravo! – gli disse – È ora che tu capisca che il padrone sono io, e tu sei solo una bestia!
Di fronte a tanto errore che altro può fare un gatto di buon senso, se non mostrare amorevolmente all'umano quanto stia sbagliando? Pucci sospirò (cosa gli toccava fare!) e saltò sul tavolo, deciso ad ispezionare il contenuto del piatto per controllare che fosse commestibile.
Ululato dell'umano: a quanto pareva, la carne era una fetta di filetto di bovide muschiato deltico, molto pregiato e costoso. Bene, sembrava che fosse adatto a soddisfare il delicato palato di un gatto deraniano… acchiappò un boccone, lo masticò. Delizioso…
Nuovi strilli dell'umano, che cercò di cacciarlo con gesti scomposti.
Pucci piantò il naso contro quello dell'individuo, scoprì le zanne e ringhiò la sua opinione in proposito.
Pochi istanti dopo il tizio rimase a fissarlo, annientato, mentre lui provvedeva a far sparire tutto quel che restava della carne. Si leccò le labbra e guardò con commiserazione l'individuo: era colpa sua, naturalmente. Gli avesse dato la sua pappa, e naturalmente anche qualche assaggino di bistecca, tutto sarebbe andato bene… beh, siccome si sentiva generoso decise che gli avrebbe lasciato mangiare le sue crocchette, in cambio del filetto.
Finì come doveva finire, con il sire costretto a masticare rabbiosamente qualche avanzo assortito del giorno prima mentre il gatto, debitamente farcito di pregiata carne di bovide muschiato deltico, pisolava sulla più comoda delle seggiole disponibili.


Quella sera, Pucci girellò pensierosamente nel regio appartamento: oltre alle pappe mancate l'umano si era mostrato molto poco ospitale, non facendogli trovare una cuccia adatta alle sue esigenze. Che noia… ancora una volta, avrebbe dovuto provvedere lui stesso.
Annusati via via il regio trono, le regali poltrone e il regio sofà, il gattone puntò deciso verso la camera da letto.
Accomodato nel regale lettone, appoggiato a svariati cuscini, il sovrano di Vega era intento alla lettura serale; scorgendo l'animale che lo guardava con aria interrogativa, il sovrano si permise un ghigno: – Tu, puoi dormire sul pavimento! – e tornò a dedicarsi all'istruttiva lettura di un giornalettaccio scandaloso passatogli da Barendos.
Pucci non era tipo da lasciarsi deprimere dall'ostilità altrui: oltretutto, si era ormai prefisso di togliere dall'ignoranza quello zotico umano. La sua era una sorta di santa crociata. Senza esitazione, balzò sul letto.
Re Vega lo cacciò giù con un calcio.
Pucci saltò sul letto.
Re Vega lo cacciò giù.
Pucci saltò sul letto.
Re Vega lo cacciò giù.
Pucci saltò sul letto.
Re Vega, imbufalito, l'afferrò e lo scaraventò contro una parete; Pucci rimbalzò come una palla di gomma e piombò in faccia al sovrano, le unghie per prime.
Mentre il sire, nel regale bagno, era intento ad asciugare il sangue e rabberciarsi la faccia, Pucci s'accomodò voluttuosamente nel mezzo del regio piumone; gettata un'occhiata al giornale lo trovò offensivo per il proprio senso estetico e provvide diligentemente a trasformarlo in qualcosa di più interessante.
Rientrato dal bagno, il muso pieno di cerotti, Re Vega scorse subito un mucchio di coriandoli multicolori sul tappeto; riconoscendo quel che restava del giornalettaccio esplose in una serie di termini invero per nulla regali. Oltretutto, non era nemmeno riuscito a leggerlo tutto – se “leggerlo” è il verbo adatto per un simile stampato.
Pucci, olimpico, lo guardò con dignitosa disapprovazione. Tutto quell'agitarsi, quel baccano… mah. È così che si invecchia precocemente.
Furioso, il sire s'infilò nel lettone e si girò su un fianco, voltando le spalle al gatto. Pucci, desideroso di comunicargli che in fondo non ce l'aveva con lui, gli si acciambellò voluttuosamente contro la schiena. Re Vega tentò di respingerlo, e così s'accorse di alcuni principi di cui qualunque proprietario di gatti è perfettamente cosciente:
1. un gatto che dorme sembra pesare almeno il doppio del normale;
2. una volta sdraiato al suo posto, il gatto è totalmente inamovibile;
3. se proprio deve muoversi, il gatto lo fa spingendo contro l'umano, mai il contrario;
4. un gatto addormentato diviene un cuneo efficientissimo.
Il risultato di tutto questo fu che il sovrano, com'è come non è, si trovò in equilibrio sull'orlo del materasso, mentre Pucci gli gravava contro la schiena. Re Vega gettò un'occhiata rabbiosa all'animale ed ebbe un tuffo al cuore notando ettari di materasso sgombro che giacevano oltre la groppa pelosa del gatto. C'era solo una cosa da fare: alzarsi, girare attorno al letto e sdraiarsi dall'altra parte, e così fece il sire, accorgendosi però che sì, lo spazio c'era, ma purtroppo le coperte scarseggiavano, dato che si erano misteriosamente ammonticchiate sotto a Pucci.
Sua Maestà afferrò il bordo delle coperte, tirò: il gatto soffiò, aprendo istintivamente gli artigli.
Il messaggio era chiarissimo.
Così fu che il sire dovette accontentarsi di coprirsi col volant laterale della regia trapunta; quanto a Pucci, si mostrò comprensivo. Visto infreddolito l'umano, si alzò e andò a sdraiarglisi contro alla schiena, per scaldarlo.
Altro giro del letto, e stavolta conquista delle coperte. Re Vega vi si avvoltolò ben benino e finalmente sprofondò nel sonno.


Incombente sopra di lui, Goldrake gli premeva sul petto uno dei suoi enormi piedoni, mentre l'odioso Duke Fleed scoppiava in una risata maligna. Sarebbe stato schiantato, quel peso immane l'avrebbe appiattito come una decalcomania! Re Vega s'agitò, disperato, ma non poteva liberarsi da quel carico opprimente… e quel sadico che continuava a ridere… lui stava morendo spiaccicato, e quell'assassino rideva! S'agitò ancora… non era giusto, non voleva morire! Aprì la bocca in un urlo silenzioso, strabuzzò gli occhi…


Si ritrovò nel suo letto, naso a naso con Pucci.
Mentre dormiva, il gatto gli si era acciambellato sul petto gravandogli addosso con tutto il suo dolce peso; la bestiaccia doveva pure trovarsi comoda, perché nel sonno ronfava beatamente (Ecco cos'era la risata diabolica di Duke Fleed).
Re Vega afferrò l'animale per la pelliccia e lo scaraventò via, dimenticandosi il piccolo particolare che un gatto, quando si sente instabile, d'istinto s'aggrappa con le unghie a quel che trova più vicino. In quel caso, lui.
Rientrato dal bagno dopo essersi medicato le ferite sul petto ed essersi cambiato il pigiama squarciato, Re Vega trovò il gatto che ronfava beatamente in mezzo al letto. Tutte le coperte erano avvolte come un nido attorno a lui.
Il sire era un uomo forte; ma quella volta, pianse.


- continua -


Link in cui discutere della superiorità felina: #entry593013515
 
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view post Posted on 2/6/2016, 18:49     +1   -1
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Terzo round dello scontro Yabby vs. Pucci.


Il giorno dopo, un insonnolito sovrano era intento a fare colazione – meglio dire, evitare che Pucci gli controllasse il contenuto di piatto e tazza – quando una Rubina appena tornata da un viaggio diplomatico-shoppingaro su Azoth-3 irruppe letteralmente nei regali appartamenti.
– Papino, mi hanno detto che hai qui… oh, ma è vero! – e subito, adocchiato Pucci, emise un gridolino deliziato cui seguì un profluvio di quelle che il sire avrebbe definito come smancerie idiote: – Ma è meraviglioso! È bellissimo! È nostro?
– Ci mancherebbe! – ruggì il sire, sottraendo la propria tazza all'ennesimo tentativo di ispezione da parte di Pucci – È di Himika, accidenti a lei! E spero bene che si spicci a venirselo a riprendere!
Rubina prese a grattare la testa di Pucci, che parve gradire molto: – È splendido! Papà, sai che ho sempre desiderato una bestiolina…
– Chiamalo !bestiolina! – barrì il sire, mentre Pucci, per andare a ricevere le coccole di Rubina, gli passava davanti pestandogli una mano con una delle sue zampotte.
– È così carino… – Rubina grattò la schiena a Pucci che subito s'inarcò, deliziato, emettendo fusa forza cinque – E poi, sono così rari! Himika è fortunata ad averlo!
Il Sire ripensò al suo filetto, alle guardie scorticate vive e alla sofferta condivisione del regale lettone, ed espresse il suo parere circa tanta fortuna.
– Pa-pà!!! – strillò Rubina, inorridita – Dovresti vergognarti ad usare parole simili! E per una bestiola così dolce! – grattatina dietro le orecchie, fusa forza sette.
Nonostante l'intontimento causa notte in bianco, il sire si rese conto che un grande amore stava sbocciando proprio sotto ai suoi occhi: Rubina e il gattaccio sembravano intendersela davvero. Poteva essere una soluzione…
– Vedo che andate molto d'accordo – cominciò.
– E come si fa a non andare d'accordo con questo tesoro? – chiese la principessa, mentre Pucci le sfregava affettuosamente il muso contro al viso e le dava delle leccatine sul naso – È talmente carino…!
– Allora, potresti occuparti tu di lui! Te lo porti nel tuo appartamento…
– Papino, purtroppo non è possibile – rispose lei, con rammarico – Conosco i gatti deraniani e so quel che dico. Lui sa di essere stato affidato a te, per cui vorrà che sia tu a prenderti cura di lui.
– Lui sa…? Ne parli come se fosse intelligente!
– Ma lo è! E molto! Anche se io sarei più che felice di occuparmene, lui si sentirebbe cacciato via da te, e s'arrabbierebbe molto.
– Che s'arrabbi! S'arrabbi pure!
– Papino, non è prudente far incollerire un gatto deraniano…
– Sciocchezze!
– Se non vuoi credere a me, puoi sempre sentire che ne dice Zuril – Rubina andò all'intercom e chiamò il Ministro delle Scienze, che poco dopo si presentò alla porta; alle sue spalle, Hydargos e Gandal occhieggiavano curiosi all'interno dell'appartamento. La notizia del gatto deraniano aveva naturalmente fatto chiacchierare l'intera base lunare.
Pucci fu subito il centro dell'attenzione: oh e ah di meraviglia, e “che nagnifico animale, sire!” e naturalmente “come siete fortunato ad avere con voi questa creatura”.
Re Vega, sul punto d'esplodere, digrignò i denti. Gandal ammirò la prestanza fisica del gatto, Hydargos considerò la lunghezza delle zanne e degli artigli, lady Gandal ammirò lo splendore degli occhi e il meraviglioso colore della pelliccia. Mancò poco che si congratulassero per il lieto evento.
A dare il definitivo colpo di grazia al buonumore del sire fu Zuril, che messo davanti alla possibilità del trasferimento dell'animale nelle stanze della principessa, scosse il capo: – Ve lo sconsiglio caldamente, sire. Il gatto potrebbe reagire in maniera imprevedibile.
– Cosa vuoi dire, con “imprevedibile”?
– Esattamente quel che ho detto, Maestà. Non è possibile immaginare cosa potrebbe compiere un gatto deraniano offeso… nulla di piacevole, comunque.
– Non prendertela, papino – tentò di consolarlo Rubina – Se il micio deve restare qui con te, vorrà dire che verrò io ad occuparmi di lui.
Oltre al gatto, anche Rubina tra i piedi! Il sire ebbe un attimo di sconforto che ebbe come conseguenza far sloggiare molto in fretta i suoi comandanti.


– Capisco che fosse alterato – brontolò Gandal poco dopo, quando furono ben lontani dalle regali orecchie – Ma parole del genere… voglio dire, nemmeno fossimo stati in caserma…!
– In caserma, nemmeno conoscono termini simili! – rispose Hydargos, che aveva frequentato i più incalliti veterani e mai li aveva sentiti profferire vocaboli siffatti.
– Dire certe cose davanti a delle signore…! – osservò lady Gandal, le guance ancora pudicamente arrossate.
– Oh, non credo che la principessa Rubina badi a certe cose – rispose sarcastico suo marito – Lei è sicuramente abituata.
– Beh, Rubina non era la sola signora presente! – scattò lady Gandal.
– Davvero?
Hydargos e Zuril si scostarono dai due: tra moglie e marito, con quel che segue.
– Sinceramente, Zuril: come credi che andrà a finire? – chiese Hydargos.
– O il sire si rassegna…
– Impossibile!
– È quel che credo anch'io. Prevedo il gatto vincente. Vuoi scommettere?
– Non ci penso nemmeno, punto anch'io sul gatto – Hydargos gli diede di gomito – Andiamo a scommettere con Barendos. Vedrai che quello punta sul sovrano.
– Ma per piacere! Nemmeno lui può essere così idiota!
– Scommettiamo?
S'allontanarono, lasciando dietro di loro i coniugi Gandal in pieno bisticcio.


Rubina fu di parola: aveva promesso che si sarebbe occupata di Pucci, e così fu.
Ogni giorno si presentò nelle regie stanze, pronta a distrarre, coccolare e vezzeggiare il micione, che pareva gradire moltissimo. Subito, la principessa andò a recuperare dallo sgabuzzino pappe, ciotole e giocattoli: Re Vega digrignò le zanne, ma non profferì verbo.
Si oppose solo quando la principessa volle portar fuori dallo sgabuzzino il tiragraffi di Pucci, un aggeggio alto un metro e mezzo e ricoperto di corda, utile perché l'animale si affilasse le unghie.
– Non voglio quell'affare tra i piedi! – esplose il sovrano – Riportalo subito nello sgabuzzino!
– Ma papino, un gatto ha bisogno…
– Non m'interessa! Obbedisci!
Rubina si strinse nelle spalle. Conosceva papà… ma conosceva anche i gatti, per cui era sicura che ci avrebbe pensato Pucci a fargli capire l'importanza di un buon tiragraffi.
Fu esaudita: il giorno dopo il sovrano andò nel proprio studio, fece per accomodarsi nella sua pregiatissima poltrona ergonomica in pura pelle di kirilbecco liryano quando trovò la medesima sventrata da artigli irrequieti. Pucci aveva avuto un momento di nervosismo, evidentemente.
Ululati ed improperi del sovrano, che subito avrebbe fatto scempio dell'animale se Rubina non si fosse interposta “È tutta colpa tua, papà!”.
Finì con la poltrona mandata a riparare, la previsione di una forte spesa dato che le pelli di kirilbecco non sono propriamente economiche e il tiragraffi esposto in pieno soggiorno a disposizione di Pucci.
Quanto al sire, andò in bagno a buttar giù una pastiglia di Tranquillin.
E Himika ancora non dava segno di voler tornare...


Si sa che i gatti sono animali naturalmente dotati di buon gusto, attratti soprattutto da oggetti preziosi e di gran costo.
Pucci, che non faceva eccezione, dimostrò subito la propria predilezione per il regale salotto, che di tutto il regio appartamento otteneva il massimo della sua approvazione. Tutto gli piaceva, là: il folto tappeto in vera lana di alpaca klamariana, tinto a delicati disegni… le tende in pesante broccato galarita, ricamate in filo d'oro… il lampadario a gocciole in purissimo cristallo lavorato a mano da mastri vetrai di Ruby… i mobili, la cui raffinata eleganza era testimone del gran gusto della compianta regina Telonna. Soprattutto, ad interessare maggiormente Pucci furono un meraviglioso servizio in finissima porcellana e una serie di calici in vetro soffiato e decorato in oro, a suo tempo pagati una vera fortuna. Tali preziosi oggetti erano stati disposti con gusto su una pregevole credenza; Pucci trovò perfettamente naturale saltare sul mobile per andare ad ammirare da vicino tali meraviglie. Un gatto, è noto, sa apprezzare le cose belle.
Fu proprio così che lo trovò poco dopo Re Vega: in piedi esattamente tra tazzine e bicchieri, intento a curiosare dentro uno dei fragilissimi calici.
Ora, c'è una cosa che qualunque proprietario di gatti sa, se non altro per sofferta esperienza personale: quando la bestiola passeggia tra oggetti fragili la cosa più saggia è lasciarlo fare o, se proprio lo si vuole allontanare in fretta, bisogna chiamarlo dolcemente magari offrendogli un prelibato bocconcino. Urli, strepiti e improperi invece spaventano il gatto, il cui sensibile sistema nervoso mal tollera simili brutalità: il risultato è che in questo caso l'animale sobbalza e fugge, ovviamente seminando morte e distruzione ovunque.
Vedendo quindi Pucci camminare con la grazia di una danzatrice tra le delicatissime porcellane e i fragilissimi cristalli che erano stati l'orgoglio della regina Telonna, Re Vega agì in maniera del tutto spontanea, lanciando un barrito schiantatimpani; un istante dopo Pucci, inerpicatosi sui costosi tendoni di broccato galarita che ornavano le finestre della sala, si trovava in cima al lampadario a gocciole di cristallo in centro della stanza, mentre il sire improvvisava una sorta di danza selvaggia sui cocci di porcellana e cristallo, il tutto sgridazzando termini che la bassa truppa avrebbe trovato invero triviali.
– Papà! – strillò inorridita Rubina, entrata proprio allora nella sala.
– Guarda cos'ha combinato quella bestia! – ululò il sire, accennando ai rimasugli del servizio di tazze e bicchieri, alle tende mezzo strappate e tristemente penzolanti dalle finestre e al lampadario che oscillava sotto al peso dell'impaurito Pucci, le gocciole di cristallo che tintinnavano sinistramente.
– Oh, ma… ma… – esclamò la principessa.
– Adesso capisci anche tu quanto sia malefica quella bestia? – ruggì suo padre.
– Ma POVERINO! L'hai terrorizzato con le tue manieracce da bruto! – Rubina corse a chiamare i soldati della guardia scelta – Bisogna tirarlo subito giù da quel lampadario, prima che si faccia del male!
Non molto dopo, un paio di robodomestici presero a raccogliere cocci e gocciole, altri due si occuparono della riparazione delle tende, le guardie scelte andarono al Centro Medico a farsi rabberciare le scorticature e Pucci, ancora agitato dalla brutta avventura capitatagli, ronfava beatamente in braccio a Rubina, che dopo avergli allungato qualche bocconcino consolatorio gli stava titillando ben bene le orecchie chiamandolo con i più teneri nomi.
Quanto al Sire, andò al Centro Medico pure lui: a farsi prescrivere un calmante più forte del Tranquillin, onde placare la furia felinicida che l'aveva colto.


Link per solidarizzare con le guardie di Yabby: #entry593046497
 
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