Realizzo che non avevo postato questo racconto con protagonisti Tez e Jun, che dovevo aver scritto per il libro sul Great. Scusate, ero convinta d'averla postata.
SU MISURA– Ti prego, dimmi ancora una volta che diavolo siamo venuti a fare qui – gemette Tetsuya.
Jun ripose nella borsetta le chiavi dell’auto e spiegò pazientemente: – Dobbiamo fare acquisti. Tu hai bisogno di un vestito nuovo, molto elegante, per accompagnarmi a teatro.
– Ma a me non piace andare a teatro – brontolò Tetsuya.
– Non ci sei mai stato, come fai a dire che non ti piace? – gli fece notare Jun, avvicinandosi alle vetrine di un grande negozio di sartoria.
– Posso immaginarmelo, però – bofonchiò lui, imbronciato. Aveva temuto fortemente che Jun volesse trascinarlo a vedere una di quelle noiosissime tragedie in costume con intere frotte di personaggi; fortunatamente, lei gli aveva assicurato che non si trattava di nulla di simile. Beh, l’idea di assistere ad uno spettacolo divertente era decisamente molto meglio... – Jun, cos’hai detto che andiamo a vedere? Una commedia?
Lei non gli badava nemmeno: – Guarda che bei vestiti!
Tetsuya gettò un’occhiata agli abiti, e subito uno spasmo gli torse il duodeno: impeccabili giacche, pantaloni dal taglio perfetto, camicie su misura, cravatte all’ultima moda...
– Jun! – esclamò, inorridito – Non vorrai che mi metta quella roba!
Lei gli gettò uno sguardo spazientito: – Pensi di venire a teatro in jeans e maglietta?
Tetsuya guardò ancora gli abiti esposti e sentì la fronte cospargerglisi di gelidi sudorini: – Quando mi vedrà conciato come un becchino, Kabuto mi farà morire!
– Ma tuo fratello non ti vedrà – rispose Jun – Andiamo a teatro con Actarus e Venusia. Alcor non viene.
La prospettiva di non venir visto – e debitamente sbertucciato – dal fratello parve rendere a Tetsuya il futuro un po’ meno fosco: – Non viene...?
– Ha un altro impegno – preferì non dirgli che Alcor aveva rifiutato sdegnosamente la serata elegante a teatro (“Per carità! Poi, mi toccherebbe vestirmi come un beccamorto!”) per optare per un più rilassante film con alieni cattivi, sparatorie a raffica e gran spargimento di sangue e budella.
Tetsuya parve respirare, sollevato; subito, Jun approfittò del suo momentaneo sollievo per acchiapparlo per un polso e trascinarlo dentro al negozio, là dove gli sarebbe stato ben più difficile sfuggirle.
Essendo finalmente riuscita ad imporre al compagno un cambio di look, anche se temporaneo, Jun aveva fatto le cose in grande: il negozio in cui l’aveva trascinato era una sartoria molto elegante, un po’ vecchio stile, con impeccabili commessi in giacca e cravatta, arredamento piacevolmente rétro e un clima silenzioso ed austero che faceva pensare più a una cattedrale che non ad un frivolo negozio di confezioni maschili. Mancava solo qualche effluvio di incenso perché l’illusione fosse perfetta.
Tetsuya fece appena in tempo a guardarsi attorno con aria smarrita, che subito un individuo alto e sparuto che sembrava un maggiordomo inglese si fece avanti, chiedendo con voce sommessa in che modo avrebbe potuto essere utile ai signori.
– Vorremmo un vestito scuro, elegante – rispose Jun, radiosa, mentre serrava con forza il polso di Tetsuya per evitare inopportune fughe.
– Ma certamente, signora – rispose il maggiordomo con la sua voce dolente – Se i signori volessero accomodarsi da questa parte...
Di quel che successe dopo, Tetsuya ebbe solo una vaga idea: il vestito era per lui, ma era evidente che circa la scelta del modello e del colore il maggiordomo si sarebbe rivolto solo a lei; un paio di volte Tetsuya tentò d’intervenire, venendo regolarmente ignorato. Tentò infine la ribellione (“Non lo voglio grigio!!!”); mentre il maggiordomo lo guardava con palese disapprovazione, Jun gli spiegò in tono secco che un abito da sera doveva essere per forza nero.
Momentaneamente zittito, Tetsuya tacque mentre i due definivano gli ultimi particolari; e finalmente, venne il momento di passare alla prova.
Il maggiordomo fece scorrere rapidamente lo sguardo su Tetsuya, percorrendolo da capo a piedi in silenzio, un po’ come si fa quando si osserva qualcosa di particolarmente viscido e ripugnante; dilatò lievemente le narici e si rivolse a Jun sempre parlando con quel suo tono di voce basso e dolente che faceva molto impresario di pompe funebri: – Penso che sarà opportuno prendere le misure del signore.
– Ma io non voglio un abito su misura! – scattò subito Tetsuya – Con quel che costa! Non avete qualcosa di già pronto?
Jun si sentì morire; quanto al maggiordomo, le sue narici si dilatarono ulteriormente, mentre lo guardava con disgusto ancor più palese.
– Ma certamente, signore – più che “signore”, sembrò che avesse detto “pidocchio” – Prendere le misure è però necessario per aver la certezza di scegliere la taglia più adatta.
Tetsuya sospirò, rassegnato; il maggiordomo schioccò le dita, e subito si fece avanti un azzimato giovanottello in impeccabile completo grigio. Non uno dei suoi aurei capelli era fuori di posto, la camicia appariva immacolata e il
papillon richiamava il ceruleo intenso dei suoi occhi.
Tetsuya lo odiò selvaggiamente da subito.
Mentre Jun restava in disparte a parlare col maggiordomo, il sorridente giovanotto, totalmente ignaro dell’astio del suo cliente, fece apparire un lungo metro a nastro con cui si accinse a compiere il suo lavoro.
Jun stava appunto chiedendo lumi al maggiordomo circa il tipo di scarpe adatto a un sì meraviglioso completo, quando un certo trambusto li richiamò immediatamente. Tetsuya aveva afferrato per il bavero il giovanotto, scuotendolo con tal forza da fargli sbattere i perfettissimi denti: – Non ci provare, amico!
– Tetsuya! – esclamò Jun – Smettila subito!
– Questo maiale ha cercato d’abbracciarmi! – ringhiò lui.
– Signore – s’intromise il maggiordomo – la prego di credere che nessuno dei miei commessi, prima d’ora...
– Prima d’ora, appunto! – sbottò Tetsuya.
– Ma non è mai successo che abbiano mancato di rispetto ad un cliente...
– Adesso sì!
– Insomma, basta! – Jun s’intromise costringendo l’incollerito compagno a lasciare la sua vittima – Lascia andare quel poverino!
– E va bene – rispose Tetsuya, mollando finalmente la presa – Ma se questo furbone ci riprova, darò del lavoro al suo dentista.
Abbandonato a sé stesso il giovanotto, il cui aspetto non era più così impeccabile, s’afflosciò sul bancone e si rivolse con voce tremante al maggiordomo: – D-direttore, io v-volevo solo prendergli la misura del torace...
– Mi ha messo le braccia attorno! – sbottò Tetsuya, schifato – Che altro potevo pensare? Con l’aspetto che ha, poi...
– La vuoi piantare? – sibilò Jun, furiosa – Mi farai morire di vergogna!
– Scusa, ma quella specie di finocchietto mi ha...
– Tetsuya! BASTA!
Quando Jun usava il tono delle grandi occasioni, l’unica cosa sensata da fare era starsene ben zitti, a meno di non voler sopportare le inevitabili conseguenze; Tetsuya ammutolì, e finalmente il giovanottello poté nuovamente avvicinarsi con il suo metro.
– Posso... continuare...? – domandò, guardando Tetsuya come si guarda una tigre nervosetta e dall’azzannatina facile.
– Prego – e con un’occhiata d’ammonimento al compagno, Jun tornò dal maggiordomo a discutere di calzature.
Dandosi una sistemata alle scomposte chiome, il commesso riprese a misurare Tetsuya: distanza spalla-polso... punto vita... adesso bisognava passare alle misure dei pantaloni. Il commesso inspirò, prese fiato, si fece avanti con aria decisa...
Nuovo, infernale trambusto. Jun piombò sul posto proprio mentre Tetsuya stava stringendo il metro a nastro attorno al collo del malcapitato giovanottello.
– Non ti dico dove voleva toccarmi, stavolta! – ruggì, inferocito.
L’infelice commesso appariva di un intenso color paonazzo, e gli occhi avevano ormai assunto il colore e le dimensioni di due grossi pomodori. Jun intervenne prontamente, sottraendolo ad una rapidissima morte per asfissia.
– Non puoi prendertela con me! – esclamò Tetsuya – Quel porco! L’ho fermato in tempo, ma mi aveva già messo le mani addosso!
– Dovevo p-prendergli la m-misura della gamba – rantolava intanto l’infelice, piegato in due su una sedia – E quando sono arrivato al cavallo... oooh!
Il direttore prese una mano del commesso e vi batté sopra continuando a ripetere “su, su”; quanto a Jun, si piantò di fronte a Tetsuya e gli sibilò svariate dozzine di parole con un tono così secco da fargli raggricciare i peli. “Pezzo d’idiota” fu uno degli epiteti più gentili che gli indirizzò.
Quindi, con immensi occhi colmi di rammarico si rivolse al commesso, flautandogli quanto era spiacente, come era costernata per il comportamento da buzzurro di certe persone (e qui scoccò a Tetsuya un’occhiata-laser) e infine gli chiese con voce da sirena se si sarebbe sentito di ultimare il suo lavoro.
Il giovanottello, che nonostante fosse fin troppo azzimato era persona da apprezzare parecchio i grandi occhi, il delizioso viso e i rotondi annessi e connessi di Jun, balzò subito in piedi e brandì nuovamente il metro, pronto a portare a termine la sua pericolosissima missione; nemmeno l’occhiataccia bieca rivoltagli da Tetsuya lo distolse dalla sua decisione.
Con gran sprezzo del pericolo, il commesso prese infine l’ultima, pericolosissima misura; la taglia fu correttamente stabilita, giacca e pantaloni vennero scelti e finalmente indossati. Dieci minuti dopo, Tetsuya guardava con palese disgusto la propria immagine riflessa nello specchio.
– Non provarti a dire che sembri un becchino! – l’ammonì Jun, che lo conosceva bene.
– Sembro pronto per finire nella cassa – corresse Tetsuya – Ho visto parecchi cadaveri conciati così.
Il giovanottello ridacchiò: – Il signore ha un gran senso dell’umorismo!
– Proprio per niente, invece – Jun allungò un calcetto a Tetsuya che stava aprendo bocca per protestare e si rivolse al commesso: – Con questo vestito, che tipo di cravatta mi consiglia? Tradizionale, o a
papillon?
– A
papillon, senza dubbio! – esclamò il commesso, stupito da una simile, ovvia domanda.
– Vuoi dire uno di quei cosi a farfalla? – scattò Tetsuya – Mai!
– Signore, il
papillon è essenziale, per l’uomo elegante – cominciò il commesso.
Tetsuya prese fiato; quando parlò, si espresse con molta calma e chiarezza: – Non metterò mai quella specie di fiocchetto dall’aria equivoca. Spero sia ben chiaro. Se provi ad avvicinarti con uno di quei cosi, giuro che te lo faccio mangiare.
Il commesso si voltò verso Jun: – Lo farebbe davvero?
– Certo – sospirò lei.
– Capisco – il giovanottello si rivolse a Tetsuya: – Ripensandoci, signore, un uomo veramente elegante può permettersi anche una cravatta tradizionale.
Sorvoliamo ora sulla sofferta scelta della cravatta: basti sapere che culminò con un nuovo assalto di Tetsuya al commesso, reo d’aver cercato di strangolarlo con il suddetto capo d’abbigliamento (“Volevo solo fargli il nodo”, si sarebbe giustificato l’infelice, una volta sottratto alle grinfie dell’incollerito cliente).
Anche la scelta della camicia non fu indolore (“Seta? Roba da smidollati!” “Taci, imbecille!”).
– Dimenticavo – esclamò infine Jun – Avremo bisogno anche di calzini neri.
– Perché? – si stupì Tetsuya – Quelli che ho, bianchi, non vanno bene?
– No! – scattò Jun, esasperata.
– Ma il bianco sta con tutto – osservò lui, serafico.
Nuovo ruggito di Jun, ammutolimento di Tetsuya, e alcune paia di calzini neri vennero aggiunte al già congruo conto.
Fu poi la volta della biancheria: più volte Jun aveva lamentato lo stato di mutande e canottiere del compagno (“Non vorrai portare
ancora quegli slipponi ascellari!”). La scelta delle canottiere fu semplice; un po’ meno quella delle mutande, dato che l’azzimato commesso ebbe l’ardire di chiedere se il signore volesse gli slip o le boxer. Subito Tetsuya prese a guardare storto quel sedicente maschio tanto interessato a particolari intimi della vita di altri maschi; ignaro del pericolo, il commesso prese a magnificare la comodità delle boxer, osando infine proporre al signore di provarne un paio per rendersi conto del comfort che esse fornivano.
Oltretutto, ebbe la dabbenaggine di aggiungere l’incosciente, le boxer erano disponibili in un vasto assortimento di colori e fantasie: azzurre, verdi, gialle, persino rosa... a quest’ultima, equivoca offerta cromatica, Jun fu rapidissima ad intervenire, salvando l’incauto giovanottello da un nuovo tentativo di strangolamento. Svariate paia di mutande a slip, tutte rigorosamente bianche, vennero aggiunte al mucchio. Il conto lievitò ulteriormente, ma che importava? Tetsuya sarebbe stato elegantissimo.
Gli acquisti vennero accumulati alla cassa – e a questo punto, l’azzimato commesso non poté trattenere un ghigno malefico all’idea di quanto avrebbe dovuto sborsare quel suo intrattabile cliente. La cassiera digitò lo scontrino, e subito il maggiordomo, che era improvvisamente riapparso come dal nulla, con voce tutta rosolio flautò la cifra.
Tetsuya boccheggiò, stroncato dallo shock. Jun fu rapidissima a pagare, acchiappare il suo compagno, cacciargli in mano la borsa con gli acquisti e dirottarlo verso l’uscita; disgraziatamente per lei, Tetsuya era uomo da riprendersi molto in fretta: – Ma sono pazzi! Tutti quei soldi!!!
– Smettila! – sotto gli sguardi colmi di disapprovazione del maggiordomo, le cui narici si erano ulteriormente dilatate, lei lo pilotò verso la porta.
– Che razza di ladri! – continuò Tetsuya, inferocito – Adesso mi sentiranno, io non... Jun, perché mi hai tirato un calcio?
– Per evitare di strozzarti! – ringhiò lei, rivolgendo nel contempo un gran sorriso al maggiordomo e all’azzimato commesso: – Arrivederci. È... è stato un piacere...
Solo per lei, signora, fu ciò che NON dissero i due, rivolgendole invece un compito inchino.
– Macchè piacere! – ruggì Tetsuya – Col cavolo che questi qui mi rivedono!
Grazie a Dio, dissero le occhiate che si scambiarono maggiordomo e commesso.
– Gente avida e viscida, ecco cosa sono! – brontolò lui, mentre Jun lo spingeva fuori.
– Insomma, vuoi stare un po’ zitto? – sibilò lei.
– Perché? – trasecolò lui – Sto dicendo solo la verità!
Jun sentì le lacrime salirle agli occhi: – Sei il solito selvaggio, rozzo e incivile! E io che speravo di insegnarti un po’ di buone maniere... tempo perso!
A quel punto, persino un uomo come Tetsuya capì d’averla fatta grossa; mogio, seguì la seccatissima compagna verso l’automobile parcheggiata lì vicino.
– Non mi sono mai vergognata tanto in vita mia! – esclamò Jun, mettendosi al volante.
Imbarazzato, Tetsuya chinò la testa e rimase in silenzio per tutto il viaggio.
Di tanto in tanto gettò un’occhiata a Jun, che guidava in silenzio senza degnarlo d’uno sguardo: era veramente arrabbiata, non c’è che dire.
Ci teneva tanto a questa serata elegante, si disse Tetsuya, che sentiva rimordergli la coscienza.
In fondo, Jun non mi ha mai chiesto molto... un piccolo sforzo per lei potrei anche farlo... il peggio ormai è fatto, il vestito è comperato; tanto vale che lo metta e cerchi di fare bella figura perché lei sia contenta.Da quell’uomo tutto d’un pezzo che era, prese la sua decisione: avrebbe indossato quel vestito. Avrebbe accompagnato Jun, sarebbe stato impeccabile, avrebbe persino sopportato il tutto con il sorriso sulle labbra, pur di farsi perdonare... e comunque, non si trattava poi di nulla di drammatico: l’indomani sarebbero usciti con i loro amici per passare una serata divertente vedendo una commedia.
E Jun sarebbe stata finalmente orgogliosa di lui.
Non appena Alcor (in jeans e maglietta, beato lui!) fu uscito per andare verso il suo filmone tutto spari e sangue, Tetsuya uscì dalla doccia e s’infilò i nuovi vestiti.
Sorpreso, si guardò allo specchio: l’abito gli stava a pennello. La camicia, pur di seta, non gli dava certo quell’aria un po’ equivoca che lui aveva tanto temuto. L’azzurro chiaro della cravatta s’intonava perfettamente con i suoi occhi.
Ma guarda se non faccio anch’io la mia porca figura!, si disse, sbalordito.
Jun, splendida nel suo vestito da sera color oro, rimase senza fiato: abituata a vedere il compagno in tuta da combattimento, magari sudato e sanguinante, stentava a riconoscerlo in quell’elegantissimo, distinto gentiluomo. Con il cuore che le scoppiava dalla felicità salì con lui in macchina: la serata sarebbe stata un successone, ne era sicura!
Si trovarono con i loro amici proprio nel
foyer tutto specchi, velluti e stucchi dorati del teatro. Venusia appariva molto elegante e femminile nel suo vestito rosa; con il suo inappuntabile abito da sera Actarus naturalmente era molto distinto ed attraente, ma (e qui Jun non potè trattenere un moto di gioia) accanto a lui Tetsuya non sfigurava affatto, anzi!
Fu con infinito orgoglio che Jun fece il suo ingresso in teatro al braccio di Tetsuya, che stava comportandosi davvero come un perfetto gentiluomo... chi avrebbe mai potuto riconoscere in lui il rude pilota del Grande Mazinga?
Una volta seduti ai loro posti in attesa che il sipario si alzasse, Tetsuya si guardò rapidamente attorno: la felicità di Jun l’aveva messo d’ottimo umore.
Ma sì, in fondo non era affatto spiacevole essere eleganti, andare in un lussuoso teatro in mezzo ad altra gente ben vestita per vedere una divertente commedia...
– ...Commedia...? – esclamò Jun, attonita.
– Ma come...? – Actarus era sinceramente sorpreso – Tetsuya, quale commedia? Siamo venuti a vedere un balletto!
– Il Lago dei Cigni – aggiunse Venusia – Danza classica. Una storia molto romantica.
Tutti, tra i presenti che gremivano la sala, sono concordi nell’affermare che l’ululato che echeggiò a quel punto nel teatro non aveva più nulla d’umano.
Link per prendere a legnate Tez o me, a seconda: SU MISURA
– Ti prego, dimmi ancora una volta che diavolo siamo venuti a fare qui – gemette Tetsuya.
Jun ripose nella borsetta le chiavi dell’auto e spiegò pazientemente: – Dobbiamo fare acquisti. Tu hai bisogno di un vestito nuovo, molto elegante, per accompagnarmi a teatro.
– Ma a me non piace andare a teatro – brontolò Tetsuya.
– Non ci sei mai stato, come fai a dire che non ti piace? – gli fece notare Jun, avvicinandosi alle vetrine di un grande negozio di sartoria.
– Posso immaginarmelo, però – bofonchiò lui, imbronciato. Aveva temuto fortemente che Jun volesse trascinarlo a vedere una di quelle noiosissime tragedie in costume con intere frotte di personaggi; fortunatamente, lei gli aveva assicurato che non si trattava di nulla di simile. Beh, l’idea di assistere ad uno spettacolo divertente era decisamente molto meglio... – Jun, cos’hai detto che andiamo a vedere? Una commedia?
Lei non gli badava nemmeno: – Guarda che bei vestiti!
Tetsuya gettò un’occhiata agli abiti, e subito uno spasmo gli torse il duodeno: impeccabili giacche, pantaloni dal taglio perfetto, camicie su misura, cravatte all’ultima moda...
– Jun! – esclamò, inorridito – Non vorrai che mi metta quella roba!
Lei gli gettò uno sguardo spazientito: – Pensi di venire a teatro in jeans e maglietta?
Tetsuya guardò ancora gli abiti esposti e sentì la fronte cospargerglisi di gelidi sudorini: – Quando mi vedrà conciato come un becchino, Kabuto mi farà morire!
– Ma tuo fratello non ti vedrà – rispose Jun – Andiamo a teatro con Actarus e Venusia. Alcor non viene.
La prospettiva di non venir visto – e debitamente sbertucciato – dal fratello parve rendere a Tetsuya il futuro un po’ meno fosco: – Non viene...?
– Ha un altro impegno – preferì non dirgli che Alcor aveva rifiutato sdegnosamente la serata elegante a teatro (“Per carità! Poi, mi toccherebbe vestirmi come un beccamorto!”) per optare per un più rilassante film con alieni cattivi, sparatorie a raffica e gran spargimento di sangue e budella.
Tetsuya parve respirare, sollevato; subito, Jun approfittò del suo momentaneo sollievo per acchiapparlo per un polso e trascinarlo dentro al negozio, là dove gli sarebbe stato ben più difficile sfuggirle.
Essendo finalmente riuscita ad imporre al compagno un cambio di look, anche se temporaneo, Jun aveva fatto le cose in grande: il negozio in cui l’aveva trascinato era una sartoria molto elegante, un po’ vecchio stile, con impeccabili commessi in giacca e cravatta, arredamento piacevolmente rétro e un clima silenzioso ed austero che faceva pensare più a una cattedrale che non ad un frivolo negozio di confezioni maschili. Mancava solo qualche effluvio di incenso perché l’illusione fosse perfetta.
Tetsuya fece appena in tempo a guardarsi attorno con aria smarrita, che subito un individuo alto e sparuto che sembrava un maggiordomo inglese si fece avanti, chiedendo con voce sommessa in che modo avrebbe potuto essere utile ai signori.
– Vorremmo un vestito scuro, elegante – rispose Jun, radiosa, mentre serrava con forza il polso di Tetsuya per evitare inopportune fughe.
– Ma certamente, signora – rispose il maggiordomo con la sua voce dolente – Se i signori volessero accomodarsi da questa parte...
Di quel che successe dopo, Tetsuya ebbe solo una vaga idea: il vestito era per lui, ma era evidente che circa la scelta del modello e del colore il maggiordomo si sarebbe rivolto solo a lei; un paio di volte Tetsuya tentò d’intervenire, venendo regolarmente ignorato. Tentò infine la ribellione (“Non lo voglio grigio!!!”); mentre il maggiordomo lo guardava con palese disapprovazione, Jun gli spiegò in tono secco che un abito da sera doveva essere per forza nero.
Momentaneamente zittito, Tetsuya tacque mentre i due definivano gli ultimi particolari; e finalmente, venne il momento di passare alla prova.
Il maggiordomo fece scorrere rapidamente lo sguardo su Tetsuya, percorrendolo da capo a piedi in silenzio, un po’ come si fa quando si osserva qualcosa di particolarmente viscido e ripugnante; dilatò lievemente le narici e si rivolse a Jun sempre parlando con quel suo tono di voce basso e dolente che faceva molto impresario di pompe funebri: – Penso che sarà opportuno prendere le misure del signore.
– Ma io non voglio un abito su misura! – scattò subito Tetsuya – Con quel che costa! Non avete qualcosa di già pronto?
Jun si sentì morire; quanto al maggiordomo, le sue narici si dilatarono ulteriormente, mentre lo guardava con disgusto ancor più palese.
– Ma certamente, signore – più che “signore”, sembrò che avesse detto “pidocchio” – Prendere le misure è però necessario per aver la certezza di scegliere la taglia più adatta.
Tetsuya sospirò, rassegnato; il maggiordomo schioccò le dita, e subito si fece avanti un azzimato giovanottello in impeccabile completo grigio. Non uno dei suoi aurei capelli era fuori di posto, la camicia appariva immacolata e il papillon richiamava il ceruleo intenso dei suoi occhi.
Tetsuya lo odiò selvaggiamente da subito.
Mentre Jun restava in disparte a parlare col maggiordomo, il sorridente giovanotto, totalmente ignaro dell’astio del suo cliente, fece apparire un lungo metro a nastro con cui si accinse a compiere il suo lavoro.
Jun stava appunto chiedendo lumi al maggiordomo circa il tipo di scarpe adatto a un sì meraviglioso completo, quando un certo trambusto li richiamò immediatamente. Tetsuya aveva afferrato per il bavero il giovanotto, scuotendolo con tal forza da fargli sbattere i perfettissimi denti: – Non ci provare, amico!
– Tetsuya! – esclamò Jun – Smettila subito!
– Questo maiale ha cercato d’abbracciarmi! – ringhiò lui.
– Signore – s’intromise il maggiordomo – la prego di credere che nessuno dei miei commessi, prima d’ora...
– Prima d’ora, appunto! – sbottò Tetsuya.
– Ma non è mai successo che abbiano mancato di rispetto ad un cliente...
– Adesso sì!
– Insomma, basta! – Jun s’intromise costringendo l’incollerito compagno a lasciare la sua vittima – Lascia andare quel poverino!
– E va bene – rispose Tetsuya, mollando finalmente la presa – Ma se questo furbone ci riprova, darò del lavoro al suo dentista.
Abbandonato a sé stesso il giovanotto, il cui aspetto non era più così impeccabile, s’afflosciò sul bancone e si rivolse con voce tremante al maggiordomo: – D-direttore, io v-volevo solo prendergli la misura del torace...
– Mi ha messo le braccia attorno! – sbottò Tetsuya, schifato – Che altro potevo pensare? Con l’aspetto che ha, poi...
– La vuoi piantare? – sibilò Jun, furiosa – Mi farai morire di vergogna!
– Scusa, ma quella specie di finocchietto mi ha...
– Tetsuya! BASTA!
Quando Jun usava il tono delle grandi occasioni, l’unica cosa sensata da fare era starsene ben zitti, a meno di non voler sopportare le inevitabili conseguenze; Tetsuya ammutolì, e finalmente il giovanottello poté nuovamente avvicinarsi con il suo metro.
– Posso... continuare...? – domandò, guardando Tetsuya come si guarda una tigre nervosetta e dall’azzannatina facile.
– Prego – e con un’occhiata d’ammonimento al compagno, Jun tornò dal maggiordomo a discutere di calzature.
Dandosi una sistemata alle scomposte chiome, il commesso riprese a misurare Tetsuya: distanza spalla-polso... punto vita... adesso bisognava passare alle misure dei pantaloni. Il commesso inspirò, prese fiato, si fece avanti con aria decisa...
Nuovo, infernale trambusto. Jun piombò sul posto proprio mentre Tetsuya stava stringendo il metro a nastro attorno al collo del malcapitato giovanottello.
– Non ti dico dove voleva toccarmi, stavolta! – ruggì, inferocito.
L’infelice commesso appariva di un intenso color paonazzo, e gli occhi avevano ormai assunto il colore e le dimensioni di due grossi pomodori. Jun intervenne prontamente, sottraendolo ad una rapidissima morte per asfissia.
– Non puoi prendertela con me! – esclamò Tetsuya – Quel porco! L’ho fermato in tempo, ma mi aveva già messo le mani addosso!
– Dovevo p-prendergli la m-misura della gamba – rantolava intanto l’infelice, piegato in due su una sedia – E quando sono arrivato al cavallo... oooh!
Il direttore prese una mano del commesso e vi batté sopra continuando a ripetere “su, su”; quanto a Jun, si piantò di fronte a Tetsuya e gli sibilò svariate dozzine di parole con un tono così secco da fargli raggricciare i peli. “Pezzo d’idiota” fu uno degli epiteti più gentili che gli indirizzò.
Quindi, con immensi occhi colmi di rammarico si rivolse al commesso, flautandogli quanto era spiacente, come era costernata per il comportamento da buzzurro di certe persone (e qui scoccò a Tetsuya un’occhiata-laser) e infine gli chiese con voce da sirena se si sarebbe sentito di ultimare il suo lavoro.
Il giovanottello, che nonostante fosse fin troppo azzimato era persona da apprezzare parecchio i grandi occhi, il delizioso viso e i rotondi annessi e connessi di Jun, balzò subito in piedi e brandì nuovamente il metro, pronto a portare a termine la sua pericolosissima missione; nemmeno l’occhiataccia bieca rivoltagli da Tetsuya lo distolse dalla sua decisione.
Con gran sprezzo del pericolo, il commesso prese infine l’ultima, pericolosissima misura; la taglia fu correttamente stabilita, giacca e pantaloni vennero scelti e finalmente indossati. Dieci minuti dopo, Tetsuya guardava con palese disgusto la propria immagine riflessa nello specchio.
– Non provarti a dire che sembri un becchino! – l’ammonì Jun, che lo conosceva bene.
– Sembro pronto per finire nella cassa – corresse Tetsuya – Ho visto parecchi cadaveri conciati così.
Il giovanottello ridacchiò: – Il signore ha un gran senso dell’umorismo!
– Proprio per niente, invece – Jun allungò un calcetto a Tetsuya che stava aprendo bocca per protestare e si rivolse al commesso: – Con questo vestito, che tipo di cravatta mi consiglia? Tradizionale, o a papillon?
– A papillon, senza dubbio! – esclamò il commesso, stupito da una simile, ovvia domanda.
– Vuoi dire uno di quei cosi a farfalla? – scattò Tetsuya – Mai!
– Signore, il papillon è essenziale, per l’uomo elegante – cominciò il commesso.
Tetsuya prese fiato; quando parlò, si espresse con molta calma e chiarezza: – Non metterò mai quella specie di fiocchetto dall’aria equivoca. Spero sia ben chiaro. Se provi ad avvicinarti con uno di quei cosi, giuro che te lo faccio mangiare.
Il commesso si voltò verso Jun: – Lo farebbe davvero?
– Certo – sospirò lei.
– Capisco – il giovanottello si rivolse a Tetsuya: – Ripensandoci, signore, un uomo veramente elegante può permettersi anche una cravatta tradizionale.
Sorvoliamo ora sulla sofferta scelta della cravatta: basti sapere che culminò con un nuovo assalto di Tetsuya al commesso, reo d’aver cercato di strangolarlo con il suddetto capo d’abbigliamento (“Volevo solo fargli il nodo”, si sarebbe giustificato l’infelice, una volta sottratto alle grinfie dell’incollerito cliente).
Anche la scelta della camicia non fu indolore (“Seta? Roba da smidollati!” “Taci, imbecille!”).
– Dimenticavo – esclamò infine Jun – Avremo bisogno anche di calzini neri.
– Perché? – si stupì Tetsuya – Quelli che ho, bianchi, non vanno bene?
– No! – scattò Jun, esasperata.
– Ma il bianco sta con tutto – osservò lui, serafico.
Nuovo ruggito di Jun, ammutolimento di Tetsuya, e alcune paia di calzini neri vennero aggiunte al già congruo conto.
Fu poi la volta della biancheria: più volte Jun aveva lamentato lo stato di mutande e canottiere del compagno (“Non vorrai portare ancora quegli slipponi ascellari!”). La scelta delle canottiere fu semplice; un po’ meno quella delle mutande, dato che l’azzimato commesso ebbe l’ardire di chiedere se il signore volesse gli slip o le boxer. Subito Tetsuya prese a guardare storto quel sedicente maschio tanto interessato a particolari intimi della vita di altri maschi; ignaro del pericolo, il commesso prese a magnificare la comodità delle boxer, osando infine proporre al signore di provarne un paio per rendersi conto del comfort che esse fornivano.
Oltretutto, ebbe la dabbenaggine di aggiungere l’incosciente, le boxer erano disponibili in un vasto assortimento di colori e fantasie: azzurre, verdi, gialle, persino rosa... a quest’ultima, equivoca offerta cromatica, Jun fu rapidissima ad intervenire, salvando l’incauto giovanottello da un nuovo tentativo di strangolamento. Svariate paia di mutande a slip, tutte rigorosamente bianche, vennero aggiunte al mucchio. Il conto lievitò ulteriormente, ma che importava? Tetsuya sarebbe stato elegantissimo.
Gli acquisti vennero accumulati alla cassa – e a questo punto, l’azzimato commesso non poté trattenere un ghigno malefico all’idea di quanto avrebbe dovuto sborsare quel suo intrattabile cliente. La cassiera digitò lo scontrino, e subito il maggiordomo, che era improvvisamente riapparso come dal nulla, con voce tutta rosolio flautò la cifra.
Tetsuya boccheggiò, stroncato dallo shock. Jun fu rapidissima a pagare, acchiappare il suo compagno, cacciargli in mano la borsa con gli acquisti e dirottarlo verso l’uscita; disgraziatamente per lei, Tetsuya era uomo da riprendersi molto in fretta: – Ma sono pazzi! Tutti quei soldi!!!
– Smettila! – sotto gli sguardi colmi di disapprovazione del maggiordomo, le cui narici si erano ulteriormente dilatate, lei lo pilotò verso la porta.
– Che razza di ladri! – continuò Tetsuya, inferocito – Adesso mi sentiranno, io non... Jun, perché mi hai tirato un calcio?
– Per evitare di strozzarti! – ringhiò lei, rivolgendo nel contempo un gran sorriso al maggiordomo e all’azzimato commesso: – Arrivederci. È... è stato un piacere...
Solo per lei, signora, fu ciò che NON dissero i due, rivolgendole invece un compito inchino.
– Macchè piacere! – ruggì Tetsuya – Col cavolo che questi qui mi rivedono!
Grazie a Dio, dissero le occhiate che si scambiarono maggiordomo e commesso.
– Gente avida e viscida, ecco cosa sono! – brontolò lui, mentre Jun lo spingeva fuori.
– Insomma, vuoi stare un po’ zitto? – sibilò lei.
– Perché? – trasecolò lui – Sto dicendo solo la verità!
Jun sentì le lacrime salirle agli occhi: – Sei il solito selvaggio, rozzo e incivile! E io che speravo di insegnarti un po’ di buone maniere... tempo perso!
A quel punto, persino un uomo come Tetsuya capì d’averla fatta grossa; mogio, seguì la seccatissima compagna verso l’automobile parcheggiata lì vicino.
– Non mi sono mai vergognata tanto in vita mia! – esclamò Jun, mettendosi al volante.
Imbarazzato, Tetsuya chinò la testa e rimase in silenzio per tutto il viaggio.
Di tanto in tanto gettò un’occhiata a Jun, che guidava in silenzio senza degnarlo d’uno sguardo: era veramente arrabbiata, non c’è che dire.
Ci teneva tanto a questa serata elegante, si disse Tetsuya, che sentiva rimordergli la coscienza. In fondo, Jun non mi ha mai chiesto molto... un piccolo sforzo per lei potrei anche farlo... il peggio ormai è fatto, il vestito è comperato; tanto vale che lo metta e cerchi di fare bella figura perché lei sia contenta.
Da quell’uomo tutto d’un pezzo che era, prese la sua decisione: avrebbe indossato quel vestito. Avrebbe accompagnato Jun, sarebbe stato impeccabile, avrebbe persino sopportato il tutto con il sorriso sulle labbra, pur di farsi perdonare... e comunque, non si trattava poi di nulla di drammatico: l’indomani sarebbero usciti con i loro amici per passare una serata divertente vedendo una commedia.
E Jun sarebbe stata finalmente orgogliosa di lui.
Non appena Alcor (in jeans e maglietta, beato lui!) fu uscito per andare verso il suo filmone tutto spari e sangue, Tetsuya uscì dalla doccia e s’infilò i nuovi vestiti.
Sorpreso, si guardò allo specchio: l’abito gli stava a pennello. La camicia, pur di seta, non gli dava certo quell’aria un po’ equivoca che lui aveva tanto temuto. L’azzurro chiaro della cravatta s’intonava perfettamente con i suoi occhi.
Ma guarda se non faccio anch’io la mia porca figura!, si disse, sbalordito.
Jun, splendida nel suo vestito da sera color oro, rimase senza fiato: abituata a vedere il compagno in tuta da combattimento, magari sudato e sanguinante, stentava a riconoscerlo in quell’elegantissimo, distinto gentiluomo. Con il cuore che le scoppiava dalla felicità salì con lui in macchina: la serata sarebbe stata un successone, ne era sicura!
Si trovarono con i loro amici proprio nel foyer tutto specchi, velluti e stucchi dorati del teatro. Venusia appariva molto elegante e femminile nel suo vestito rosa; con il suo inappuntabile abito da sera Actarus naturalmente era molto distinto ed attraente, ma (e qui Jun non potè trattenere un moto di gioia) accanto a lui Tetsuya non sfigurava affatto, anzi!
Fu con infinito orgoglio che Jun fece il suo ingresso in teatro al braccio di Tetsuya, che stava comportandosi davvero come un perfetto gentiluomo... chi avrebbe mai potuto riconoscere in lui il rude pilota del Grande Mazinga?
Una volta seduti ai loro posti in attesa che il sipario si alzasse, Tetsuya si guardò rapidamente attorno: la felicità di Jun l’aveva messo d’ottimo umore.
Ma sì, in fondo non era affatto spiacevole essere eleganti, andare in un lussuoso teatro in mezzo ad altra gente ben vestita per vedere una divertente commedia...
– ...Commedia...? – esclamò Jun, attonita.
– Ma come...? – Actarus era sinceramente sorpreso – Tetsuya, quale commedia? Siamo venuti a vedere un balletto!
– Il Lago dei Cigni – aggiunse Venusia – Danza classica. Una storia molto romantica.
Tutti, tra i presenti che gremivano la sala, sono concordi nell’affermare che l’ululato che echeggiò a quel punto nel teatro non aveva più nulla d’umano.
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