Altro ripescaggio di un vecchiume: questo racconto aveva concorso per il contest Jeeg/Grande Mazinga. Parlandone con Shooting, ho realizzato che non l'avevo messo in gallery.
Buona lettura.
CHI È PIÙ FORTE?In piedi l’uno accanto all’altro, immobili, imperituri monumenti a loro stessi, i due robot domina-vano l’intero parco pubblico.
Jeeg e il Grande Mazinga.
La gente passava, osservava affascinata i colossi di metallo; qualche bimbo chiedeva, nonni rin-verdivano i loro ricordi rispondendo e citando nomi astrusi, alieni… l’Imperatore delle Tenebre, la Regina Himika… antichi avversari, ormai dimenticati.
Sulla panchina esattamente di fronte ai due giganti sedevano due anziani: più di centottant’anni in due, bastone l’uno e stampella l’altro. Occhi che avevano visto di tutto osservavano attraverso le spesse lenti quelle due immense vestigia d’un glorioso passato.
– C’è una cosa che mi sono sempre chiesto – borbottò uno dei due.
– Non dirmelo…
– Chi è più forte tra Jeeg e il Grande Mazinga?
– Ancora con questa storia? – sbuffò l’altro – Sono anni che ti fai sempre la stessa domanda, e…
– Perché, tu non te lo sei mai chiesto?
Troppo onesto per negare, l’altro assentì: – Certo. Molte volte. Ma ormai è un po’ troppo tardi per-ché possiamo provare a saperlo, no?
– Sai che ti dico, Hiroshi? Avremmo dovuto pensarci allora – ringhiò Tetsuya.
– Hai ragione! – esclamò improvvisamente Hiroshi, battendo a terra la stampella – Avremmo do-vuto farlo allora, così almeno con il mio Jeeg te le avrei suonate di santa ragione e adesso non staresti qui a scocciarmi con questa storia di chi è più forte!
Punto sul vivo, Tetsuya drizzò la schiena, occhiali baluginanti: – Stai insinuando che quel tuo ba-rattolo avrebbe battuto il Grande Mazinga? – profferì, e in quelle ultime due parole risuonavano gli alleluia.
– Io non
insinuo – ribatté Hiroshi – Io ASSERISCO che il mio Jeeg con quel tuo Grande Mazin-coso avrebbe fatto scatolette per sardine!
Tetsuya serrò la dentiera, mentre la pressione cominciava a salirgli verso preoccupantissimi picchi: – Sei sempre stato un enorme sbruffone!
– E tu un insopportabile gradasso!
– Ma piantala, o ti scoppierà il pannolone!
– Parli tu, che hai il catetere fisso…
Ringhio. Uno a uno, fine del primo tempo.
Silenzio.
– Comunque – riprese Tetsuya, gli occhi fissi sui due robot – Vorrei davvero sapere chi è il più for-te tra Jeeg e Mazinga…
– Di nuovo! Tetsuya, ti stai rincitrullendo!
– Ah, io sarei rimbecillito? E chi è che ieri s’è infilato nel magazzino della biancheria convinto che fosse il bagno?
– Perché al pensionato le porte sono tutte uguali! – sbuffò Hiroshi – E poi, avevo dimenticato in camera gli occhiali.
– Al punto in cui sei, più che gli occhiali dovresti avere il cane guida!
– Ah, sì? E ti ricordi di quando credevi di dare un pizzicotto all’infermiera e hai beccato il fondo-schiena del garzone del macellaio?
– Capirai… camice bianco lei, camice bianco lui… – minimizzò Tetsuya.
– Sì, proprio la stessa cosa! – rimbeccò Hiroshi.
– Avevo gli occhiali a riparare dall’ottico – Tetsuya rabbrividì: mai avrebbe ammesso di essersela davvero vista brutta, quella volta… aveva adocchiato da un pezzo la graziosissima infermiera dai riccioli rossi, e quel giorno non aveva resistito… zac! Ed era il garzone del macellaio!
Sì, se l’era vista davvero brutta.
Soprattutto, quando si era reso conto che il garzone del macellaio aveva tentato di baciarlo.
– Per fortuna, sono intervenuto io in tempo per salvarti – asserì Hiroshi.
– Un momento – tagliò corto Tetsuya, pericolosamente calmo – Mettiamo bene in chiaro una cosa una volta per tutte: io avevo la situazione perfettamente sotto controllo, e me la sarei cavata benissi-mo da me.
– Ma se quel tizio t’aveva incantonato in un angolo…
– In realtà, tu hai salvato
lui. Io stavo per…
– Tu stavi per perdere la tua virtù, caro mio.
– No, lui stava per perdere un po’ di premolari. Ripeto, anche senza di te io…
– Sei il solito testone! Cosa ti ci vuole per ammettere che eri nei guai?
– E tu, la vuoi capire o no che non ero affatto nei guai?
– Stai per dire che venire baciato dal garzone del macellaio non era un guaio? Scusami se quella volta ho interrotto qualcosa!
– …!!! – fu tutto ciò che riuscì ad esprimere Tetsuya, troppo allibito per riuscire a replicare in mo-do un pochino più concettoso.
– Non ho mai conosciuto un testone più ingrato di te! – continuò Hiroshi, furibondo – Perché devi sempre voler fare tutto da solo, piuttosto che chiedere aiuto a…
– Io NON HO bisogno d’aiuto da NESSUNO! – urlò Tetsuya.
– E chi vuoi che voglia aiutare uno zuccone fetente come te? Nessuno, appunto!
A questo punto, seguono insulti vari che, per quanto coloriti e vivaci, se riportati per intero risulte-rebbero insopportabilmente noiosi. Saltiamo perciò questa fase e veniamo a quando i due, abbando-nato ogni tentativo diplomatico, passarono alla fase successiva, cominciando cioè a suonarsele di santa ragione.
Esiste una legge non scritta, circa il pestarsi in un parco pubblico: si può star sicuri che qualcuno assisterà alla scena e, non sapendo proprio farsi i fatti propri, comincerà a strillare chiamando aiuto. A questo punto, è inevitabile che un qualche impiccione s’attacchi al cellulare per informare chi di dovere. Seguono sirene spiegate, spiegamento di forze dell’ordine e soprattutto un gran rifluire di folla richiamata da tanto trambusto.
Nel frattempo i due contendenti, perfettamente indisturbati, hanno avuto agio di continuare a pe-starsi come nulla fosse.
Dalla macchina scesero quattro poliziotti, che osservarono attentamente la scena (folla – due nonni che continuavano a suonarsele), prima di decidere il da farsi.
Yasuko, la poliziotta dal grado più alto presente in quel momento, era una donna pratica: avuto un chiaro quadro della situazione, e soprattutto riconosciuti i due contendenti, come prima cosa chiamò rinforzi.
Nessuno dei suoi compagni ebbe a far notare che loro erano in quattro e i due pugilatori erano due appunto: il fatto è che avevano i loro motivi per esitare ad intervenire.
Innanzitutto, i due erano molto anziani, e quindi degni di rispetto.
In secondo luogo, erano due eroi di fama mondiale, per cui degni d’un rispetto ancora maggiore.
Infine, nonostante l’età veneranda i due menavano, e di brutto: questo li rendeva degni della mas-sima considerazione.
Fu per questo che, accertatisi che la folla di curiosi fosse a distanza di sicurezza dai due, i poliziotti si limitarono ad aspettare l’arrivo dei loro compagni.
Altre sirene, luci baluginanti, frenate improvvise.
Poliziotti scesero dalle auto, disponendosi in cerchio attorno ai due contendenti, gli occhi fissi su Yasuko in attesa di ordini… e in quel momento, si udì un’altra sirena.
Una nuova auto arrivò a tutta velocità, eseguendo un’azzardata manovra e concludendo con una frenata di quelle, per capirci, che ti fanno lasciare un dito di battistrada sull’asfalto.
Un mormorio si levò dai poliziotti: quell’auto, e soprattutto quello stile di guida, era inconfondibi-le.
Era arrivato
lui.
La portiera si aprì e ne emerse un uomo: il terrore della malavita, il poliziotto-Terminator, il più fa-moso (e famigerato) tra i tutori dell’ordine di quella città. In confronto a lui, l’ispettore Callaghan era la Vispa Teresa.
Si chiamava Bunjiro, ma era conosciuto con tanti altri nomi, molti dei quali decisamente irriferibili; è curioso notare che alcuni dei nomignoli meno gentili gli erano stati affibbiati non tanto dai delin-quenti, ma da qualche collega.
Yasuko fece una smorfia: era lei il poliziotto di grado maggiore, ma sicuramente quel tipo avreb-be…
– Qual è il problema? – sgridazzò infatti Bunjiro, che non era molto rispettoso con i suoi superiori, specie se donne – Non mi avrete fatto venire qui solo per quei due cadaveri che si pestano, spero!
– Io non ho fatto venire TE – puntualizzò Yasuko, con calma ammirevole – Io avevo chiesto dei rinforzi perché…
– Per quei due residuati dell’ospizio? – Bunjiro scoppiò a ridere – Ma per piacere!
Yasuko si eresse nel suo metro e sessanta, affrontando a testa alta il metro e novantacinque per centodieci chili che aveva davanti: differenza di corporatura o meno, il capo era lei. Punto.
– Forse non li hai riconosciuti – rispose seccamente – Quei due non sono due normali vecchietti… sono Tetsuya Tsurugi e Hiroshi Shiba.
– E con ciò? – rispose Bunjiro, strafottente.
Yasuko era una donna gentile, educata, generosa, altruista e fondamentalmente buona: se provoca-ta, raramente poteva però avere un guizzo di autentica cattiveria.
Questa fu appunto una di quelle volte.
– Molto bene, Bunjiro – rispose, zuccherosa – Se la pensi così, occupatene pure tu.
– E che ci vuole? – Bunjiro si batté contro il palmo il pugno pesante come un maglio; lanciò ai col-leghi un’occhiata di ammonimento (“Non osate intervenire! Quei due sono miei!”) e si fece avanti.
I colleghi si scambiarono un’occhiata speranzosa: che fosse finalmente la volta buona…?
Bunjiro fece una smorfia.
Vecchi.
Sputò, schifato.
Detestava le cose che riteneva inutili, e gli anziani erano ai primi posti della sua personale classifi-ca, assieme alle pulci, le zanzare e i libri.
A suo parere, una volta non più in grado di essere produttivi, bang! Una pallottola nella zucca, e morta lì.
Vedere ora quei due vecchietti intenti a tentare di distruggersi, lo incollerì.
– Bene, bene! – Che sta succedendo, qui? – esclamò con voce stentorea.
Bunjiro si fece avanti: era alto, il corpo talmente muscoloso che pareva scoppiare, e aveva l’aria si-curissima del macho super palestrato che con la sua semplice presenza ottiene subito calma e ordine.
Disgraziatamente per lui, sia Tetsuya che Hiroshi in vita loro avevano visto ben di peggio, e un semplice Mister Superfusto non era certo cosa da impressionarli. Impassibili, continuarono a pestarsi senza nemmeno degnarlo d’un’occhiata il che, si capisce, mandò in bestia il Muscolone. Non era cer-to tipo da accettare di passar inosservato, lui.
Furioso, Bunjiro si rimboccò le maniche, mettendo in mostra avambracci grossi come barilotti ed abbondantemente tatuati: – Allora, nonnetti! Vogliamo farla finita?
I suoi colleghi si tirarono immediatamente indietro, guardandolo come si guarda un perfetto defi-ciente.
– Io sarei un po’ più gentile, se fossi in te – si sentì in dovere d’avvertirlo Yasuko.
– Gentile con quei due che continuano a pestarsi e disturbano l’ordine pubblico? Ma vogliamo scherzare?
– Io t’ho avvisato – aggiunse Yasuko.
– Ma sono due vecchi fracichi! – rise il fustacchione, facendo schioccare le dita grosse come sal-sicce – Che volete che possano farmi?
Con una scrollata di spalle, Bunjiro si fece avanti ed afferrò per le collottole i due contendenti, se-parandoli immediatamente; poi li scosse fino a far ticchettare le dentiere e li batté con le teste l’uno contro l’altro: – Allora, la vogliamo far finita?
Si trattava di ossa decisamente stagionate, e il cozzo che produssero fu notevole.
Semisoffocati, intontiti, i due rivali smisero finalmente di pestarsi e rimasero in silenzio ad osserva-re quel loro nuovo, inaspettato avversario.
Il poliziotto scoppiò a ridere: ecco fatto, era finito tutto! Che c’era voluto? Possibile che i suoi col-leghi non avessero avuto nemmeno il coraggio di intervenire contro due ultranovantenni mezzi anda-ti?
Un’occhiata d’intesa, e i due ultranovantenni di cui sopra agirono in perfetta sincronia come una squadra magnificamente collaudata. Mentre Tetsuya, impugnato il bastone come una stecca da bi-liardo, sferrava al Bunjiro un terrificante colpo all’ombelico, Hiroshi, prontissimo, con un’unica stampellata mandava in frantumi uno dei più perfetti, candidi sorrisi di cui si fosse mai fregiato il Corpo di Polizia.
L’uomo finì a terra mentre i due rimanevano in piedi… appoggiati a bastone e stampella ma pur sempre in piedi… occhiali baluginanti, dentiere digrignanti e le facce feroci di chi è prontissimo ad agire ancora.
Folla e cordone di poliziotti fecero un istintivo passo indietro.
C’è qualcun altro che vuole provarci?, chiesero in silenzio Tetsuya e Hiroshi.
No-o-o!, fu l’unanime risposta che ottennero.
Una specie di gorgoglio alle loro spalle informò i due combattenti che il loro avversario non era an-cora del tutto fuori combattimento.
Sputazzando sangue, denti e parolacce, il poliziotto si rimise in piedi, deciso a fare un macello.
Stavolta, non si sarebbe fermato a pensare che si trattava di fragili nonnini: stavolta, avrebbe pic-chiato duro.
Se poi ci fosse pure scappato il morto, tanto meglio. Un vecchio inutile in meno.
Balzò in avanti con un ruggito, mentre i suoi impressionabili colleghi si voltavano da una parte per non vedere quel che sarebbe accaduto…
Un paio di furgoncini candidi, con sui fianchi “Casa Serena” scritto in un tenue azzurro, arrivarono a tutta velocità, frenando bruscamente proprio sul limitare di un’aiola di petunie. Ne scesero subito il direttore, piccolo, tondo ed agitatissimo, e una dozzina d’infermieri alti e massicci.
Si fecero avanti fendendo la folla che ormai era davvero imponente, arrivarono al cordone di poli-ziotti che circondavano l’aiola in cui stazionavano i due giganti d’acciaio…
– Andate via, non è posto per voi! – gridò Yasuko.
– Quei due li conosco! – ansimò il direttore, allargandosi il colletto della camicia – Sono due dei miei ospiti… sono venuto a prenderli…
Fu un attimo. Visto che un altro si stava assumendo il compito di pelare la patata bollente, i poli-ziotti si fecero subito da parte, lasciando che il direttore e i suoi infermieri vedessero con i loro occhi quello che stava accadendo… e soprattutto, se la sbrigassero da soli.
La scena era orrenda. A terra, Bunjiro, Mister Supermacho, urlava a spaccapolmoni mentre i due indomabili combattenti gli azzannavano un polpaccio ciascuno, dando oltretutto prova dell’eccellenza delle rispettive dentiere.
– Lo sapevo, lo sapevo! – gemette il direttore, aprendo con mani tremanti una scatolina e cavan-done una pillola – Shiba e Tsurugi! Quei due mi faranno morire… – singhiozzò, la mente piena di atroci ricordi: battaglie spruzzando acqua con le perette dei clisteri, bolle di sapone gonfiate con le cannule dei cateteri… quei due ne avevano sempre una di nuova. Il più agguerrito era Tsurugi, che avendo avuto un’infanzia decisamente infelice, stava riprendendosi tutti gli arretrati.
Gli infermieri si erano arrestati a guardare quelle loro due vecchie conoscenze, e sorrisero dandosi di gomito l’un l’altro. Turbolenti o meno, a loro quei due indomabili nonni erano molto simpatici: vi-vaci, ribelli, pieni di vita e mai lamentosi. Tremendi, certo: ma bastava non dar loro troppo peso. Prenderli sul serio come faceva il direttore significava ridursi prima o poi come lui, costretto a ingol-lare pillole su pillole di calmanti assortiti.
Accanto a loro, il direttore s’asciugò il viso con un fazzolettone a bolli arancioni e sospirò. Adesso era costretto a riportarseli via, ma una volta tornati a Casa Serena, i suoi due indisciplinati ospiti sa-rebbero tornati liberi, pronti a nuocere.
Il fatto è che lui mai li avrebbe contrastati… mai.
L’aveva fatto, in passato. Una volta.
Li aveva beccati mentre facevano gare di velocità con i girelli, e li aveva rimproverati aspramente davanti a tutti, privandoli del dolce, della televisione e delle uscite per una settimana.
Qualche giorno dopo, mani ignote avevano cosparso di pepe bianco la sua carta igienica persona-le… il ricordo era ancora bruciante.
– Ci pensiamo noi, dottore? – chiese uno degli infermieri, un tipo dalla mascella quadra e il piglio calmo ma deciso.
– Buona fortuna, ragazzi – assentì l’uomo, distrutto.
– Andiamo! – l’infermiere aveva la stoffa del vero leader; balzò in avanti, e gli altri lo seguirono da presso.
La lotta fu durissima ma impari, e non durò a lungo. Alla fine, quando furono debitamente impac-chettati, inermi ma assolutamente non domi, con un sospiro il direttore li fece caricare sui furgoncini per riportarli a quella Casa che, da quando erano arrivati loro due, non era e non sarebbe mai stata Serena.
Ripensò ancora a quel che gli avevano combinato in quegli anni… duelli con le stampelle, gavetto-ni fatti con i pappagalli, corse sfrenate sulle poltrone a rotelle… e rabbrividì.
L’unica cosa che lo consolava, era il fatto che gli mancavano solo due anni alla pensione.
Poi, a quei due ci avrebbe pensato qualcun altro.
La folla si disperse, il poliziotto dagli stinchi masticati venne portato al Pronto Soccorso.
La vista di Bunjiro ululante portato via dagli infermieri diede un gran buonumore ai poliziotti; in pieno raptus di benevolenza, Yasuko pagò un gelato alla sua pattuglia.
Nel parco scese finalmente il silenzio.
Rimasero solo loro due: Jeeg e il Grande Mazinga.
Erano immobili, impassibili… pure, osservandoli bene si sarebbe potuto vedere qualcosa… una sorta di… possibile? sorriso…
Ancora con questa storia su chi è più forte tra noi due.
Possibile che in tutti questi anni non abbiate ancora capito che, per quanto sia potente un robot, per quanto siano micidiali le sue armi, la sua forza, la sua VERA forza è solo ed unicamente nel suo pilota?
Possibile che non abbiate ancora compreso che la domanda giusta è “Chi è più forte tra Hiroshi e Tetsuya”?
E… in fatto di forza, di coraggio, di determinazione…
…siete entrambi tostissimi…Link per darmi della dissacratrice:
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2940#newpost