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H. ASTER's FICTION GALLERY

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view post Posted on 12/3/2017, 17:46     +1   +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Avviso: stavolta l'argomento della stria è, a dispetto della sua sostanza, davvero pesante. Tenetevi saldi.


ARIA DI TEMPESTA

Da sempre, la cucina di Skarmoon si era caratterizzata per la qualità dei pasti: che ciò che venisse servito alla truppa fosse spazzatura travestita da cibo, era un caso notorio. Il soldato di Vega era però considerato un uomo forte, poco incline alle mollezze, e quindi il fatto che dovesse ingurgitare porcherie era visto come un qualcosa di addirittura meritorio.
Ultimamente però la faccenda era degenerata: tutti sapevano che il cuoco speculava bassamente sulle scorte – santo cielo, niente cui non si fosse abituati, intendiamoci; la vera rarità sarebbe stato un cuoco onesto. Ma Gronk, questo il nome dell’individuo, rubava con una disonestà così sfacciata da meritarsi il biasimo dell’intera base.
L’uomo sarebbe stato rimosso seduta stante se la sua carica non fosse dipesa direttamente dal sovrano; e siccome il sire, chissà perché, si vedeva serviti pasti commestibili, quando non addirittura appetitosi, Gronk continuava a detenere il potere dei fornelli.
Ormai però la situazione si trascinava da troppo tempo, e i soldati non ne potevano più di pappine incolori, inodori e purtroppo non insapori. Quattro di loro decisero di andare in delegazione da Hydargos, che tra gli alti ufficiali era considerato il più alla mano, e gli recarono un campione del pranzo che era stato loro testé ammannito.
Hydargos, che come comandante usufruiva di pasti di qualità superiore a quelli della truppa, ascoltò benignamente le rimostranze; poi, dimostrando un coraggio non comune, provò ad assaggiare il manicaretto che gli era stato posto davanti.
Mezz’ora più tardi, dopo parecchi sciacqui e gargarismi, un Hydargos inferocito faceva il suo ingresso nelle cucine e dava il via a una delle sfuriate più terrificanti cui la base Skarmoon avesse mai assistito.
Gronk, il cui aspetto ricordava parecchio quello d’un maiale in versione bipede, del suino aveva pure la tranquilla imperturbabilità; zampe sui fianchi, tenne tenacemente testa al suo avversario ribattendogli punto su punto.
Finì com’era ovvio che finisse, con Hydargos che s’allontanava sconfitto e furente e Gronk che con porcellesco distacco riprendeva l’opera culinaria che aveva appena interrotto.
Il successivo tentativo i soldati lo fecero con Gandal: fu un fiasco, naturalmente, perché mai e poi mai il ferreo Comandante di Vega avrebbe mostrato nausee, disgusto o altre consimili debolezze. Inghiottito alla bell’e meglio il cibo (e intanto, nel segreto della sua intimità lady Gandal stava trattenendo penosi conati), il Comandante dichiarò che sì, sicuramente non si trattava di un esempio di alta gastronomia, ma era pur sempre cibo commestibile. Non vedeva perché dei rudi militi di Vega non potessero mangiarlo: erano delle deboli femminucce, forse?
Sconfitti, i soldati si allontanarono a testa bassa mentre Gandal s’asciugava i sudorini gelidi che avevano preso a ruscellargli sulla fronte.
Quasi a sfidare la già affamata e furibonda truppa, Gronk nei giorni successivi fece servire pietanze ancora più immonde di quelle già ripugnanti che aveva sfornato. Esasperati, i soldati decisero di tentare il tutto per tutto andando da Zuril: l’alternativa, a quel punto, era il suicidio di massa.
Il freddo e contenuto Ministro delle Scienze aveva sempre intimorito i soldati, che proprio per questo avevano esitato a lungo prima di rivolgersi a lui; Zuril comunque ascoltò i quattro uomini, controllò il campione di cibo che gli era stato posto davanti e con gran sprezzo nel pericolo ne assaggiò una cucchiaiata.
Zuril era pur sempre il controllatissimo Zuril: questo significa che non si precipitò in bagno a vomitare, ma che vi andò a passo normale.
Ne uscì poco dopo, pallido, lo stomaco in disordine e l’umore che virava verso la tempesta. Afferrato il proprio scanner esaminò il cibo, e vedendo i risultati mancò poco che non dovesse fare una nuova puntata verso il bagno; poco dopo, uno Zuril decisamente alterato faceva il suo ingresso nello studio privato del sovrano, seguito dai quattro soldati che non volevano perdersi lo spettacolo.
– Ho analizzato questo cibo – concluse lo scienziato, dopo aver spiegato al sire la situazione – e lo ritengo del tutto inadatto al consumo umano.
Re Vega batté le palpebre: – Cioè?
– Fa schifo, Maestà! – tradusse Zuril – Ho rilevato un 25% di acqua e un 75% di sostanze solide, tra cui lipidi, batteri, materiale inorganico, fibre non digerite… devo continuare?
– E allora?
– Maestà, dalle analisi questo cibo risulta essere composto da feci!
– Lo dicevamo, che quella roba era una m…! – esclamò il più robusto tra i soldati, mentre gli altri erano presi da forti conati.
– Per la precisione, feci del King Gori – continuò Zuril.
– Non è possibile! – tagliò corto il sovrano – Gronk mi ha sempre preparato di quei pranzetti…
– Li ha preparati a voi. Vi posso garantire che quel che arriva a noi ufficiali è a malapena commestibile… sempre meglio comunque di ciò che è stato servito alla truppa.
– Anche Rubina non si è mai lamentata.
– È vostra figlia! Ovviamente, il cuoco si fa dei riguardi anche con lei!
– Ma perché Gronk dovrebbe…
– Per intascarsi i soldi che gli date per le provviste! – niente da fare, oggi Sua Maestà è ancora più ottuso del normale… – Se avete presente King Gori, saprete che ogni giorno scodella una considerevole quantità di materiale organico assolutamente gratuito. È quel che usa Gronk per i suoi capolavori!
Re Vega lo fissò, lo sguardo che era tutto un “Ma va’…?”.
– Sire, per colpa del cuoco, i vostri uomini… i vostri fedelissimi soldati che vi servono con dedizione totale… vengono nutriti a suon di cacca! – sì, il correttissimo Ministro Zuril disse proprio “cacca”. Questo, per dare un’idea di quanto fosse fuori dai gangheri.
Un’occhiata bovina fu la risposta del sire. A onore dell’intelligenza del sovrano, bisogna dire che aveva compreso perfettamente la situazione; aveva capito però anche che senza quel sistema di riciclaggio i conti della cucina sarebbero saliti vertiginosamente.
– Oltretutto, si tratta di cibo assolutamente non sicuro – continuò Zuril – Pensate che i pasti di Gronk possono essere per i vostri uomini ancora più letali del combattere contro Goldrake!
– Beh, beh – tentò di prender tempo il Sire – Non è detto… vedremo… bisognerà verificare…
– Maestà, ho già verificato io! – Zuril stese sotto al naso del sovrano un dettagliatissimo rapporto – Questa è l’analisi che io, in qualità di Ministro delle Scienze, ho compiuto sul rancio che viene servito alle vostre truppe. Il cibo è dichiarato assolutamente non commestibile. Che vi serve di più?
Re Vega esitò ancora: in realtà, Gronk gli serviva certi spezzatini… l’idea di licenziarlo gli piaceva davvero poco. Però Zuril aveva ragione… e i soldati… ma gli spezzatini…
Fu proprio allora che le porte dello studio privato del Sire s’aprirono, lasciando passare un Barendos che incedeva col piglio del Salvatore della Patria: – Maestà, ho saputo dell’emergenza riguardo ai pasti delle nostre truppe, e invece di perder tempo – occhiata laterale a Zuril – sono prontamente accorso portando il mio modesto contributo per risolvere la situazione.
– Perder tempo…? – s’indignò Zuril, ma Barendos fu rapidissimo a sgomitarlo da parte per mettersi in bella mostra dinanzi al sovrano, e vuotò il sacco: dopo aver dichiarato di non essere insensibile al grido di dolore proveniente dagli stomaci dei loro eroici soldati (occhiata verso i quattro militi), dichiarò d’essersi sgraffign… cioè procurato un’abbondante quantità di stufato di cerlacco. Ovviamente, con fagioli blu siriani.
A tale annuncio, sei stomaci ebbero un sussulto: perché per un uomo di Vega lo stufato di cerlacco con i fagioli blu siriani è un qualcosa che parla all’anima, un piatto saporitissimo e squisito che ha il sapore di casa, famiglia e bei tempi andati, quando le nonne rimestavano sapientemente ingredienti vari in antiche pignatte. Si capisce che dopo innumerevoli pasti ributtanti la prospettiva d’una simile leccornia fosse un qualcosa d’irresistibile.
Chi non gioì affatto fu Zuril, che da scienziato vedeva i problemi costituiti da un tale manicaretto. Ora, la carne di cerlacco, è notorio, è sana, magra e nutriente, e i fagioli blu siriani sono una miniera di vitamine e sali minerali; è però altrettanto notorio che questi due pur eccellenti ingredienti, se associati tra di loro, provochino un notevole ed insopprimibile gonfiore… insomma, gas. E il gas, si sa, è incapace di starsene racchiuso. Deve uscire. Nel caso dello stufato di cui sopra, la fuoriuscita è sempre molto violenta, per non dire esplosiva.
Uomo pratico, Zuril ebbe una chiara visione di quel che sarebbe stato il futuro della base Skarmoon se tutti i suoi occupanti si fossero nutriti di quell’eccellente pietanza. Sollevò immediatamente la sua sacrosanta obiezione allo stufato, rendendosi però conto di una cosa: era completamente solo a combattere la sua battaglia. I soldati, che fino a poco prima l’avevano considerato il loro paladino difensore, ormai erano definitivamente schierati pro-stufato; quando lui tentò almeno di limitare i danni chiedendo che venisse servita la sola carne, senza il contorno di fagioli, mancò poco che le sue parole venissero coperte da una salve di fischi e pernacchie. Zuril tentò un’ultima volta di riportare tutti alla ragione (“Siamo quasi diecimila persone chiuse in una base! Il rischio asfissia è concreto!”); niente. Sconfitto, si ritirò nelle proprie stanze ben deciso a non lasciarle per nessun motivo per le successive ventiquattro ore… facciamo pure quarantotto. Meglio essere prudenti.


- continua -


Per lamentarsi circa la sconcezza dell'argomento: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2910#newpost
 
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view post Posted on 13/3/2017, 12:52     +1   -1
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Seconda e ultima parte del dramma... :via:


La faccenda dello stufato con fagioli si sparse con la velocità con cui in genere si diffondono solo le cattive notizie e i pettegolezzi piccanti; quel giorno le mense furono molto silenziose, essendo tutti troppo occupati a far muovere le ganasce. In effetti lo stufato era davvero delizioso; lo ammise, anche se di malavoglia, persino Gronk, che ne fece sparire un’abbondante razione. Tutti gli altri, dal Sire all’ultimo dei soldati, dichiararono apertamente che fosse il miglior stufato che avessero mai mangiato in vita loro, un capolavoro, una squisitezza. Barendos fu lodato e venerato, mancò poco che lo si portasse in trionfo per i corridoi di Skarmoon, mentre Zuril veniva tacciato d’essere il solito guastafeste. Con che coraggio avrebbe potuto negare stufato e fagioli alle truppe affamate? Eccetera.
A dire il vero, non tutti accolsero la pietanza con giubilo. La prima a mostrare qualche riserva fu la principessa Rubina, che abituata a cibi nutrienti ma molto leggeri e delicati mal vedeva quel piatto sostanzioso e saporito. Le bastò tuttavia annusarne il delizioso profumo per impugnare il cucchiaio e darsi da fare.
La seconda ad opporsi fu lady Gandal: suo marito naturalmente andava pazzo per stufato e fagioli, e in passato ne aveva fatto delle vere e proprie spanciate – che poi aveva dolorosamente pagato, si capisce. La signora, che ben ricordava i dolori, i crampi, il gonfiore e soprattutto quel che ne seguiva, tentò di porre il veto allo stufato (“Gandal! Non vorrai davvero mangiare quella roba!”). Il marito, che già aveva l’acquolina in bocca e il tovagliolo al collo, pensò bene di tacitarne premurosamente i legittimi timori (“Zitta e mangia!”). Ora, quando Gandal riusciva miracolosamente ad impuntarsi sulla moglie non c’era nulla da fare, vinceva lui; quella fu appunto una delle rarissime volte in cui lui la spuntò. Miracoli dello stufato con fagioli.
Pesta ma non doma, la signora attese che il consorte, ormai satollo dopo aver fatto sparire un’enorme porzione, fosse sprofondato nella consueta meditazione pomeridiana (leggi: pennica). Rapidissima, lady Gandal fece uso del neutralizzatore neurale: il marito sarebbe stato fuori gioco per almeno dodici ore, dopodiché un nuovo trattamento l’avrebbe sistemato per un altro bel po’. Ottenuta così una tregua, si barricò nel loro alloggio spedendo un messaggio in cui comunicava che a causa di un lieve malessere lei e il marito sarebbero stati assenti per almeno un giorno o due. Se non altro, quando lo stufato avesse sprigionato i suoi malefici effetti, lei non avrebbe avuto l’imbarazzo di ritrovarsi in mezzo agli altri essendo per così dire sofferente.
Donna pratica, lady Gandal decise che avrebbe impiegato tutto quel tempo libero che aveva davanti per farsi una maschera di bellezza, sistemarsi le unghie e i capelli e già che c’era curarsi pure i piedi. Magari avrebbe anche cucinato qualcosina di leggero per l’indomani, quando sapeva che il suo intestino avrebbe dato vigorosi segni di vita. Una bella crema di verdure, magari, leggera e nutriente… e forse sarebbe riuscita a prepararla senza le sfumature viola fluo dell’ultima volta e senza che sfrigolasse non appena vi si immergeva il cucchiaio.
Ultimo ad opporre resistenza fu proprio Zuril, che si chiuse lui pure nel proprio alloggio sfruttando il fatto di essere ancora in credito di parecchie ferie passate; almeno, quando la faccenda fosse diciamo esplosa, lui non sarebbe stato asfissiato. Inviò alle cucine un messaggio in cui dichiarava di non voler ricevere a pranzo il malefico stufato; gli mandassero qualcos’altro, qualsiasi cosa purché commestibile, grazie.
Naturalmente all’ora di pranzo, quando aprì il contenitore ermetico che un robodomestico gli aveva recato, si trovò al cospetto di carne, verdure e soprattutto fagioli blu. Un malinteso, un imprevisto o semplicemente uno scherzo malefico? Saperlo… ma intanto lui era lì, lo stomaco che urlava dalla fame, il delizioso stufato davanti ed un allettante profumino che gli s’insinuava perfidamente nelle narici.
Uomo tutto d’un pezzo, Zuril resistette esattamente un minuto e quarantasette secondi; poi scoprì a sue spese che lo stomaco ha ragioni che la ragione non conosce. Cedette, e inviò un messaggio in cui dichiarava di prendersi anche un secondo e pure un terzo giorno di ferie.


Quel giorno, il dopopranzo su Skarmoon fu particolarmente lieto e sonnolento: tutti, dal sire all’ultimo dei tecnici, si sentivano piacevolmente satolli, per non dire rimpinzati come da fin troppo tempo non era accaduto. Il pomeriggio trascorse tranquillamente; all’ora di sera, molti optarono per una cena leggera mentre altri, Re Vega e Barendos in primis, richiesero un’ulteriore abbondante dose di stufato con fagioli. Fastidi? Gonfiori? Macché! Non era successo proprio nulla, con buona pace di quella piaga di Zuril!
Anche il dopocena fu tranquillo. La notte si andò a dormire mandando un grato pensiero a Barendos, l’eroe della giornata; persino il sovrano, debitamente farcito di stufato e fagioli, si coricò di ottimo umore, pronto a rosei sogni di sterminio e conquista.
Verso mezzanotte i primi segni d’allarme: il sire, e gran parte dell’intera base Skarmoon con lui, si risvegliò provando una certa sensazione… una sensazione di… come dire… fastidio, ecco, un pochino di gonfiore, ma appunto solo un pochino
Mezz’ora dopo il fastidio era divenuto dolore, e il pochino di gonfiore aveva lasciato il posto alla netta sensazione di essersi dilatati come una mongolfiera. Lancinanti fitte provenivano da colon e duodeno, mentre minacciosi brontolii, forieri di più allarmanti problemi futuri, risalivano dalle viscere.
Un’ora più tardi, il sire si rotolava sul regale lettone implorando un minimo di sollievo dal supplizio che sì lo tormentava; avrebbe voluto chiamare il Centro Medico, ma lo frenò l’idea di far sapere che proprio lui, il monarca di Vega, era preda di un terrificante meteorismo. Resse quanto poté, mugolando disperatamente; alla fine, esasperato, cedette. Ridessero pure di lui, una volta guarito avrebbe fatto pagar caro agli incauti che l’avessero sbeffeggiato! Chiamò il Centro Medico: un istante dopo venne informato che era totalmente ingolfato di pazienti, e che la faccenda era seria dato che anche i medici erano piegati in due causa colica. Di soccorso da quelle parti c’era da sperare ben poco... senza contare che tutto sommato non gli andava affatto l’idea di farsi vedere in quelle condizioni. Fu così che il sovrano si ritrovò a mugolare sdraiato a letto, un cuscino termico premuto sull’addome e tanti pensieri non proprio amichevoli indirizzati a Barendos – il quale Barendos, detto per inciso, stava soffrendo anche più del sire dato che aveva avuto la pessima idea di accompagnare il pasto con una birra viola andromediana, notoriamente generatrice di gas.
Chiunque abbia mangiato stufato di cerlacco con fagioli blu siriani sa bene che, dopo la prima fase dilatatoria in cui ci si gonfia come palloni, avviene poi la non meno turbolenta fase espulsiva, altrettanto dolorosa ma assai più imbarazzante, per ovvi motivi.
Il mattino dopo, l’intera base Skarmoon versava appunto in queste condizioni. Chi aveva potuto rinchiudersi nelle proprie stanze almeno soffriva senza il minimo imbarazzo; ma ben peggio se la passava chi invece era costretto a stare con gli altri, condividere gli spazi e soprattutto l’atmosfera vitale. Per tutta la base era un gran trascinarsi stancamente di qua e di là nel vano tentativo di svolgere il proprio lavoro; di tanto in tanto qualcuno si piegava in due e si allontanava di corsa, precipitandosi in un qualsiasi posto dove poter star solo col proprio dolore. Ovunque, persone accasciate a terra, stroncate dal male; non si udivano altro che flebili gemiti – a dire il vero si poteva sentire anche qualcos’altro, ma non è il caso di parlarne.
Una vera epidemia.
La quasi totalità dell’élite di Vega brillava per la sua assenza. Unici presenti, Hydargos che per solidarietà aveva voluto soffrire assieme ai soldati, e Barendos, che proprio perché responsabile dello stufato di cerlacco voleva far vedere come in realtà la situazione non fosse così disperata: ignorando coraggiosamente le feroci fitte al basso ventre prese ad aggirarsi per la base con aria spavalda.
Gli andò male. Colto da un travolgente impulso tentò di raggiungere uno dei bagni, trovandolo naturalmente occupato e assediato da una coda di persone disperate. Sentendo un insopprimibile bisogno d’intimità corse subito in sala riunioni, là dove prevedeva di non trovar proprio nessuno, non in quella giornata.
Entrare e liberarsi del proprio sgradevole fardello fu un tutt’uno; un istante dopo, Barendos s’accorse che la sala riunioni non era affatto deserta come aveva immaginato, dato che almeno altre dieci persone dovevano aver avuto la sua stessa idea… e siccome uno dei dieci era Hydargos, impossibile da tacitare come avrebbe potuto fare con chiunque di grado inferiore al suo, c’era da essere sicuri che in brevissimo tempo l’intera base Skarmoon avrebbe avuto di che sghignazzare alle sue spalle. Il che in realtà non accadde, perché le sghignazzate le ricevette direttamente in faccia.
Il resto è presto detto. Qualche giorno dopo, ancora malconci, fecero la loro comparsa Rubina e tutto lo staff direttivo di Vega; Zuril era pallido, Hydargos pareva reggersi male sulle gambe, persino il ferreo Gandal sembrava duramente provato… ma nel suo caso forse c’entrava anche la crema di verdure fluo preparata dalla moglie. Unica ad apparire in forma smagliante fu lady Gandal, a riprova che le maschere di bellezza siano costose ma almeno funzionino.
Siccome il grande assente era proprio il sovrano stesso, ancora prostrato dalle recenti vicissitudini, a prendere in mano la situazione fu sua figlia: e il primo ordine che diede fu la sostituzione immediata di tutti i filtri dell’impianto di areazione. Approvazione generale del direttivo.
Il secondo ordine fu l’arresto immediato dei due colpevoli della chiamiamola pure pestilenza: Barendos e Gronk il cuoco furono rinchiusi in attesa del giudizio del loro sovrano.
Il giorno dopo restituì il Sire di Vega al suo amato popolo; i colpevoli furono immediatamente sottoposti alla sua attenzione.
La condanna fu immediata: gettati nella gabbia del King Gori.
Dopo aver servito allo scimmione gli ultimi abbondanti avanzi di stufato di cerlacco con i fagioli blu siriani, ovviamente.
E mentre l’urlante Barendos veniva condotto al supplizio, quell’animo gentile di Hydargos ebbe modo di osservare come il collega fosse “il solito pallone gonfiato”, e che comunque l’intera faccenda si era risolta in una bolla di sapone… peccato che non fosse stato proprio sapone.
Unico a non ridere, fu Zuril.
King Gori… stufato con fagioli… ehi, perché no?


EPILOGO

Allarmi suonavano a tutto volume all’Osservatorio del dottor Procton. Ai piani inferiori, il centro medico della base era in fermento, tutto lo staff medico era occupato a salvare l’eroico pilota di Goldrake, stroncato dall’ultimo attacco spietato di Vega. Quella volta, King Gori si era rivelato un avversario infinitamente peggiore del solito.
Fuori dalla Sala Rianimazione Alcor, Venusia e Maria attendevano trepidanti: possibile che Actarus, il loro invitto leader, fosse stato battuto da… da…?
Le porte si aprirono, lasciando uscire Procton.
– È fuori pericolo – annunciò – ma se l’è vista davvero brutta. Mostri disumani! Stavolta, l’hanno attaccato con i gas!


- FINE -

Link per rinchiudere ME col King: #entry605803433
 
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view post Posted on 17/3/2017, 12:33     +1   -1
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Altro ripescaggio di un vecchiume: questo racconto aveva concorso per il contest Jeeg/Grande Mazinga. Parlandone con Shooting, ho realizzato che non l'avevo messo in gallery.
Buona lettura.


CHI È PIÙ FORTE?


In piedi l’uno accanto all’altro, immobili, imperituri monumenti a loro stessi, i due robot domina-vano l’intero parco pubblico.
Jeeg e il Grande Mazinga.
La gente passava, osservava affascinata i colossi di metallo; qualche bimbo chiedeva, nonni rin-verdivano i loro ricordi rispondendo e citando nomi astrusi, alieni… l’Imperatore delle Tenebre, la Regina Himika… antichi avversari, ormai dimenticati.


Sulla panchina esattamente di fronte ai due giganti sedevano due anziani: più di centottant’anni in due, bastone l’uno e stampella l’altro. Occhi che avevano visto di tutto osservavano attraverso le spesse lenti quelle due immense vestigia d’un glorioso passato.
– C’è una cosa che mi sono sempre chiesto – borbottò uno dei due.
– Non dirmelo…
– Chi è più forte tra Jeeg e il Grande Mazinga?
– Ancora con questa storia? – sbuffò l’altro – Sono anni che ti fai sempre la stessa domanda, e…
– Perché, tu non te lo sei mai chiesto?
Troppo onesto per negare, l’altro assentì: – Certo. Molte volte. Ma ormai è un po’ troppo tardi per-ché possiamo provare a saperlo, no?
– Sai che ti dico, Hiroshi? Avremmo dovuto pensarci allora – ringhiò Tetsuya.
– Hai ragione! – esclamò improvvisamente Hiroshi, battendo a terra la stampella – Avremmo do-vuto farlo allora, così almeno con il mio Jeeg te le avrei suonate di santa ragione e adesso non staresti qui a scocciarmi con questa storia di chi è più forte!
Punto sul vivo, Tetsuya drizzò la schiena, occhiali baluginanti: – Stai insinuando che quel tuo ba-rattolo avrebbe battuto il Grande Mazinga? – profferì, e in quelle ultime due parole risuonavano gli alleluia.
– Io non insinuo – ribatté Hiroshi – Io ASSERISCO che il mio Jeeg con quel tuo Grande Mazin-coso avrebbe fatto scatolette per sardine!
Tetsuya serrò la dentiera, mentre la pressione cominciava a salirgli verso preoccupantissimi picchi: – Sei sempre stato un enorme sbruffone!
– E tu un insopportabile gradasso!
– Ma piantala, o ti scoppierà il pannolone!
– Parli tu, che hai il catetere fisso…
Ringhio. Uno a uno, fine del primo tempo.
Silenzio.
– Comunque – riprese Tetsuya, gli occhi fissi sui due robot – Vorrei davvero sapere chi è il più for-te tra Jeeg e Mazinga…
– Di nuovo! Tetsuya, ti stai rincitrullendo!
– Ah, io sarei rimbecillito? E chi è che ieri s’è infilato nel magazzino della biancheria convinto che fosse il bagno?
– Perché al pensionato le porte sono tutte uguali! – sbuffò Hiroshi – E poi, avevo dimenticato in camera gli occhiali.
– Al punto in cui sei, più che gli occhiali dovresti avere il cane guida!
– Ah, sì? E ti ricordi di quando credevi di dare un pizzicotto all’infermiera e hai beccato il fondo-schiena del garzone del macellaio?
– Capirai… camice bianco lei, camice bianco lui… – minimizzò Tetsuya.
– Sì, proprio la stessa cosa! – rimbeccò Hiroshi.
– Avevo gli occhiali a riparare dall’ottico – Tetsuya rabbrividì: mai avrebbe ammesso di essersela davvero vista brutta, quella volta… aveva adocchiato da un pezzo la graziosissima infermiera dai riccioli rossi, e quel giorno non aveva resistito… zac! Ed era il garzone del macellaio!
Sì, se l’era vista davvero brutta.
Soprattutto, quando si era reso conto che il garzone del macellaio aveva tentato di baciarlo.
– Per fortuna, sono intervenuto io in tempo per salvarti – asserì Hiroshi.
– Un momento – tagliò corto Tetsuya, pericolosamente calmo – Mettiamo bene in chiaro una cosa una volta per tutte: io avevo la situazione perfettamente sotto controllo, e me la sarei cavata benissi-mo da me.
– Ma se quel tizio t’aveva incantonato in un angolo…
– In realtà, tu hai salvato lui. Io stavo per…
– Tu stavi per perdere la tua virtù, caro mio.
– No, lui stava per perdere un po’ di premolari. Ripeto, anche senza di te io…
– Sei il solito testone! Cosa ti ci vuole per ammettere che eri nei guai?
– E tu, la vuoi capire o no che non ero affatto nei guai?
– Stai per dire che venire baciato dal garzone del macellaio non era un guaio? Scusami se quella volta ho interrotto qualcosa!
– …!!! – fu tutto ciò che riuscì ad esprimere Tetsuya, troppo allibito per riuscire a replicare in mo-do un pochino più concettoso.
– Non ho mai conosciuto un testone più ingrato di te! – continuò Hiroshi, furibondo – Perché devi sempre voler fare tutto da solo, piuttosto che chiedere aiuto a…
– Io NON HO bisogno d’aiuto da NESSUNO! – urlò Tetsuya.
– E chi vuoi che voglia aiutare uno zuccone fetente come te? Nessuno, appunto!
A questo punto, seguono insulti vari che, per quanto coloriti e vivaci, se riportati per intero risulte-rebbero insopportabilmente noiosi. Saltiamo perciò questa fase e veniamo a quando i due, abbando-nato ogni tentativo diplomatico, passarono alla fase successiva, cominciando cioè a suonarsele di santa ragione.
Esiste una legge non scritta, circa il pestarsi in un parco pubblico: si può star sicuri che qualcuno assisterà alla scena e, non sapendo proprio farsi i fatti propri, comincerà a strillare chiamando aiuto. A questo punto, è inevitabile che un qualche impiccione s’attacchi al cellulare per informare chi di dovere. Seguono sirene spiegate, spiegamento di forze dell’ordine e soprattutto un gran rifluire di folla richiamata da tanto trambusto.
Nel frattempo i due contendenti, perfettamente indisturbati, hanno avuto agio di continuare a pe-starsi come nulla fosse.


Dalla macchina scesero quattro poliziotti, che osservarono attentamente la scena (folla – due nonni che continuavano a suonarsele), prima di decidere il da farsi.
Yasuko, la poliziotta dal grado più alto presente in quel momento, era una donna pratica: avuto un chiaro quadro della situazione, e soprattutto riconosciuti i due contendenti, come prima cosa chiamò rinforzi.
Nessuno dei suoi compagni ebbe a far notare che loro erano in quattro e i due pugilatori erano due appunto: il fatto è che avevano i loro motivi per esitare ad intervenire.
Innanzitutto, i due erano molto anziani, e quindi degni di rispetto.
In secondo luogo, erano due eroi di fama mondiale, per cui degni d’un rispetto ancora maggiore.
Infine, nonostante l’età veneranda i due menavano, e di brutto: questo li rendeva degni della mas-sima considerazione.
Fu per questo che, accertatisi che la folla di curiosi fosse a distanza di sicurezza dai due, i poliziotti si limitarono ad aspettare l’arrivo dei loro compagni.


Altre sirene, luci baluginanti, frenate improvvise.
Poliziotti scesero dalle auto, disponendosi in cerchio attorno ai due contendenti, gli occhi fissi su Yasuko in attesa di ordini… e in quel momento, si udì un’altra sirena.
Una nuova auto arrivò a tutta velocità, eseguendo un’azzardata manovra e concludendo con una frenata di quelle, per capirci, che ti fanno lasciare un dito di battistrada sull’asfalto.
Un mormorio si levò dai poliziotti: quell’auto, e soprattutto quello stile di guida, era inconfondibi-le.
Era arrivato lui.
La portiera si aprì e ne emerse un uomo: il terrore della malavita, il poliziotto-Terminator, il più fa-moso (e famigerato) tra i tutori dell’ordine di quella città. In confronto a lui, l’ispettore Callaghan era la Vispa Teresa.
Si chiamava Bunjiro, ma era conosciuto con tanti altri nomi, molti dei quali decisamente irriferibili; è curioso notare che alcuni dei nomignoli meno gentili gli erano stati affibbiati non tanto dai delin-quenti, ma da qualche collega.
Yasuko fece una smorfia: era lei il poliziotto di grado maggiore, ma sicuramente quel tipo avreb-be…
– Qual è il problema? – sgridazzò infatti Bunjiro, che non era molto rispettoso con i suoi superiori, specie se donne – Non mi avrete fatto venire qui solo per quei due cadaveri che si pestano, spero!
– Io non ho fatto venire TE – puntualizzò Yasuko, con calma ammirevole – Io avevo chiesto dei rinforzi perché…
– Per quei due residuati dell’ospizio? – Bunjiro scoppiò a ridere – Ma per piacere!
Yasuko si eresse nel suo metro e sessanta, affrontando a testa alta il metro e novantacinque per centodieci chili che aveva davanti: differenza di corporatura o meno, il capo era lei. Punto.
– Forse non li hai riconosciuti – rispose seccamente – Quei due non sono due normali vecchietti… sono Tetsuya Tsurugi e Hiroshi Shiba.
– E con ciò? – rispose Bunjiro, strafottente.
Yasuko era una donna gentile, educata, generosa, altruista e fondamentalmente buona: se provoca-ta, raramente poteva però avere un guizzo di autentica cattiveria.
Questa fu appunto una di quelle volte.
– Molto bene, Bunjiro – rispose, zuccherosa – Se la pensi così, occupatene pure tu.
– E che ci vuole? – Bunjiro si batté contro il palmo il pugno pesante come un maglio; lanciò ai col-leghi un’occhiata di ammonimento (“Non osate intervenire! Quei due sono miei!”) e si fece avanti.
I colleghi si scambiarono un’occhiata speranzosa: che fosse finalmente la volta buona…?


Bunjiro fece una smorfia.
Vecchi.
Sputò, schifato.
Detestava le cose che riteneva inutili, e gli anziani erano ai primi posti della sua personale classifi-ca, assieme alle pulci, le zanzare e i libri.
A suo parere, una volta non più in grado di essere produttivi, bang! Una pallottola nella zucca, e morta lì.
Vedere ora quei due vecchietti intenti a tentare di distruggersi, lo incollerì.


– Bene, bene! – Che sta succedendo, qui? – esclamò con voce stentorea.
Bunjiro si fece avanti: era alto, il corpo talmente muscoloso che pareva scoppiare, e aveva l’aria si-curissima del macho super palestrato che con la sua semplice presenza ottiene subito calma e ordine.
Disgraziatamente per lui, sia Tetsuya che Hiroshi in vita loro avevano visto ben di peggio, e un semplice Mister Superfusto non era certo cosa da impressionarli. Impassibili, continuarono a pestarsi senza nemmeno degnarlo d’un’occhiata il che, si capisce, mandò in bestia il Muscolone. Non era cer-to tipo da accettare di passar inosservato, lui.
Furioso, Bunjiro si rimboccò le maniche, mettendo in mostra avambracci grossi come barilotti ed abbondantemente tatuati: – Allora, nonnetti! Vogliamo farla finita?
I suoi colleghi si tirarono immediatamente indietro, guardandolo come si guarda un perfetto defi-ciente.
– Io sarei un po’ più gentile, se fossi in te – si sentì in dovere d’avvertirlo Yasuko.
– Gentile con quei due che continuano a pestarsi e disturbano l’ordine pubblico? Ma vogliamo scherzare?
– Io t’ho avvisato – aggiunse Yasuko.
– Ma sono due vecchi fracichi! – rise il fustacchione, facendo schioccare le dita grosse come sal-sicce – Che volete che possano farmi?
Con una scrollata di spalle, Bunjiro si fece avanti ed afferrò per le collottole i due contendenti, se-parandoli immediatamente; poi li scosse fino a far ticchettare le dentiere e li batté con le teste l’uno contro l’altro: – Allora, la vogliamo far finita?
Si trattava di ossa decisamente stagionate, e il cozzo che produssero fu notevole.
Semisoffocati, intontiti, i due rivali smisero finalmente di pestarsi e rimasero in silenzio ad osserva-re quel loro nuovo, inaspettato avversario.
Il poliziotto scoppiò a ridere: ecco fatto, era finito tutto! Che c’era voluto? Possibile che i suoi col-leghi non avessero avuto nemmeno il coraggio di intervenire contro due ultranovantenni mezzi anda-ti?
Un’occhiata d’intesa, e i due ultranovantenni di cui sopra agirono in perfetta sincronia come una squadra magnificamente collaudata. Mentre Tetsuya, impugnato il bastone come una stecca da bi-liardo, sferrava al Bunjiro un terrificante colpo all’ombelico, Hiroshi, prontissimo, con un’unica stampellata mandava in frantumi uno dei più perfetti, candidi sorrisi di cui si fosse mai fregiato il Corpo di Polizia.
L’uomo finì a terra mentre i due rimanevano in piedi… appoggiati a bastone e stampella ma pur sempre in piedi… occhiali baluginanti, dentiere digrignanti e le facce feroci di chi è prontissimo ad agire ancora.
Folla e cordone di poliziotti fecero un istintivo passo indietro.
C’è qualcun altro che vuole provarci?, chiesero in silenzio Tetsuya e Hiroshi.
No-o-o!
, fu l’unanime risposta che ottennero.
Una specie di gorgoglio alle loro spalle informò i due combattenti che il loro avversario non era an-cora del tutto fuori combattimento.
Sputazzando sangue, denti e parolacce, il poliziotto si rimise in piedi, deciso a fare un macello.
Stavolta, non si sarebbe fermato a pensare che si trattava di fragili nonnini: stavolta, avrebbe pic-chiato duro.
Se poi ci fosse pure scappato il morto, tanto meglio. Un vecchio inutile in meno.
Balzò in avanti con un ruggito, mentre i suoi impressionabili colleghi si voltavano da una parte per non vedere quel che sarebbe accaduto…


Un paio di furgoncini candidi, con sui fianchi “Casa Serena” scritto in un tenue azzurro, arrivarono a tutta velocità, frenando bruscamente proprio sul limitare di un’aiola di petunie. Ne scesero subito il direttore, piccolo, tondo ed agitatissimo, e una dozzina d’infermieri alti e massicci.
Si fecero avanti fendendo la folla che ormai era davvero imponente, arrivarono al cordone di poli-ziotti che circondavano l’aiola in cui stazionavano i due giganti d’acciaio…
– Andate via, non è posto per voi! – gridò Yasuko.
– Quei due li conosco! – ansimò il direttore, allargandosi il colletto della camicia – Sono due dei miei ospiti… sono venuto a prenderli…
Fu un attimo. Visto che un altro si stava assumendo il compito di pelare la patata bollente, i poli-ziotti si fecero subito da parte, lasciando che il direttore e i suoi infermieri vedessero con i loro occhi quello che stava accadendo… e soprattutto, se la sbrigassero da soli.
La scena era orrenda. A terra, Bunjiro, Mister Supermacho, urlava a spaccapolmoni mentre i due indomabili combattenti gli azzannavano un polpaccio ciascuno, dando oltretutto prova dell’eccellenza delle rispettive dentiere.
– Lo sapevo, lo sapevo! – gemette il direttore, aprendo con mani tremanti una scatolina e cavan-done una pillola – Shiba e Tsurugi! Quei due mi faranno morire… – singhiozzò, la mente piena di atroci ricordi: battaglie spruzzando acqua con le perette dei clisteri, bolle di sapone gonfiate con le cannule dei cateteri… quei due ne avevano sempre una di nuova. Il più agguerrito era Tsurugi, che avendo avuto un’infanzia decisamente infelice, stava riprendendosi tutti gli arretrati.
Gli infermieri si erano arrestati a guardare quelle loro due vecchie conoscenze, e sorrisero dandosi di gomito l’un l’altro. Turbolenti o meno, a loro quei due indomabili nonni erano molto simpatici: vi-vaci, ribelli, pieni di vita e mai lamentosi. Tremendi, certo: ma bastava non dar loro troppo peso. Prenderli sul serio come faceva il direttore significava ridursi prima o poi come lui, costretto a ingol-lare pillole su pillole di calmanti assortiti.
Accanto a loro, il direttore s’asciugò il viso con un fazzolettone a bolli arancioni e sospirò. Adesso era costretto a riportarseli via, ma una volta tornati a Casa Serena, i suoi due indisciplinati ospiti sa-rebbero tornati liberi, pronti a nuocere.
Il fatto è che lui mai li avrebbe contrastati… mai.
L’aveva fatto, in passato. Una volta.
Li aveva beccati mentre facevano gare di velocità con i girelli, e li aveva rimproverati aspramente davanti a tutti, privandoli del dolce, della televisione e delle uscite per una settimana.
Qualche giorno dopo, mani ignote avevano cosparso di pepe bianco la sua carta igienica persona-le… il ricordo era ancora bruciante.
– Ci pensiamo noi, dottore? – chiese uno degli infermieri, un tipo dalla mascella quadra e il piglio calmo ma deciso.
– Buona fortuna, ragazzi – assentì l’uomo, distrutto.
– Andiamo! – l’infermiere aveva la stoffa del vero leader; balzò in avanti, e gli altri lo seguirono da presso.
La lotta fu durissima ma impari, e non durò a lungo. Alla fine, quando furono debitamente impac-chettati, inermi ma assolutamente non domi, con un sospiro il direttore li fece caricare sui furgoncini per riportarli a quella Casa che, da quando erano arrivati loro due, non era e non sarebbe mai stata Serena.
Ripensò ancora a quel che gli avevano combinato in quegli anni… duelli con le stampelle, gavetto-ni fatti con i pappagalli, corse sfrenate sulle poltrone a rotelle… e rabbrividì.
L’unica cosa che lo consolava, era il fatto che gli mancavano solo due anni alla pensione.
Poi, a quei due ci avrebbe pensato qualcun altro.


La folla si disperse, il poliziotto dagli stinchi masticati venne portato al Pronto Soccorso.
La vista di Bunjiro ululante portato via dagli infermieri diede un gran buonumore ai poliziotti; in pieno raptus di benevolenza, Yasuko pagò un gelato alla sua pattuglia.
Nel parco scese finalmente il silenzio.
Rimasero solo loro due: Jeeg e il Grande Mazinga.
Erano immobili, impassibili… pure, osservandoli bene si sarebbe potuto vedere qualcosa… una sorta di… possibile? sorriso…
Ancora con questa storia su chi è più forte tra noi due.
Possibile che in tutti questi anni non abbiate ancora capito che, per quanto sia potente un robot, per quanto siano micidiali le sue armi, la sua forza, la sua VERA forza è solo ed unicamente nel suo pilota?
Possibile che non abbiate ancora compreso che la domanda giusta è “Chi è più forte tra Hiroshi e Tetsuya”?
E… in fatto di forza, di coraggio, di determinazione…
…siete entrambi tostissimi…



Link per darmi della dissacratrice: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=2940#newpost
 
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Una one-shot dedicata a...
...lo dico alla fine...


METODO PSICOLOGICO


Da quando aveva conseguito un titolo, abbastanza oscuro bisogna dire, in psicologia, il Ministro della Difesa Dantus non aveva fatto che riempirsi la bocca con altisonanti paroloni quali il morale della popolazione, l’approccio psicologico e lo stato emozional-cognitivo delle truppe – concetto quest’ultimo che destò forti perplessità nei colleghi e nel sire, alla cui richiesta di spiegazioni fece seguito una disquisizione talmente esauriente da sollevare ancora più dubbi di quelli già esistenti.
Per spiegare meglio il suo punto di vista, Dantus ordinò uno screening psicologico a tutto il personale di Skarmoon, il che significò doversi sottoporre a complicati test vari e ad amichevoli colloqui psicologici (leggi: interrogatori al limite del terzo grado). Tutto questo permise al ministro Dantus di tracciare una sorta di profilo psicologico del veghiano medio, traendone le dovute conclusioni: e i risultati, come ebbe a dover esporre al sire, non erano certo incoraggianti.
Il monarca lo guardò con occhio da pecora bollita: il concetto non gli risultava chiarissimo – il che significava che non aveva capito proprio niente.
Vistosi incompreso, Dantus si trovò costretto ad esporre nuovamente le sue teorie usando stavolta termini elementari, adatti alla comprensione del sovrano, e cioè:
1. Dopo anni di sconfitte, il morale del personale di Skarmoon e delle truppe era ai minimi storici;
2. Era necessario trovare il modo di infondere sicurezza e buonumore;
3. Allo stesso tempo sarebbe stato salutare smitizzare il nemico, rendendolo oggetto di derisione;
4. Entrambi gli scopi si potevano ottenere esponendo l’odiato Duke Fleed al pubblico ludibrio.
– Cioè, cosa proponi? – chiese il sire, che non aveva compreso tutti i passaggi ma che voleva venire subito al sodo.
Dantus assunse un’aria compiaciuta: – L’ideale sarebbe poter disporre di Duke Fleed in persona…
– Puoi sempre invitarlo, magari viene – osservò dolcemente Zuril.
– Lo farà senz’altro, se glielo chiedi con gentilezza – rincarò Hydargos, mentre Gandal, che non voleva sghignazzare apertamente in faccia a Dantus, si faceva cogliere da un improvviso attacco di diplomatica tosse.
– Il vostro umorismo di bassa lega non mi tocca – rispose altezzosamente Dantus, voltando loro le terga per rivolgersi direttamente al sire – Maestà, intendo affiggere in sala ricreazione un’immagine di Duke Fleed, in modo che il personale possa… come dire…
– Spernacchiarlo? – l’aiutò Hydargos, mentre il per nulla impassibile Zuril si passava una mano sulla faccia per mascherare un ghigno malefico. Nuovo, fortissimo accesso di tosse per Gandal.
– Spernacchiarlo, imbrattarlo, coprirlo d’insulti! – Dantus si volse verso il perplesso sire e aggiunse la parola magica che tutto poteva: – Maestà, credetemi, è un mezzo efficace e soprattutto economico.
– Economico…? – chiese il sovrano, interessatissimo.
– Ma certo! Il costo di qualche manifesto…
Il sire si fece molto attento: ultimamente le spese erano state alte, il bilancio ne aveva sofferto. Anche lo screening, tanto caldeggiato da Dantus, si era rivelato davvero costoso. L’idea di risolvere il problema del personale facendo economia gli piaceva parecchio.
Zuril non resistette: – Maestà, perdonatemi, ma non credo che funzionerà.
– Al solito, se l’idea non è tua, allora non è valida! – lo rimbeccò Dantus.
– Non è così…
– Questo è metodo psicologico, Zuril! Me ne intendo, lo sai! Dato che ho conseguito un diploma in psicologia, ammetterai che sono qualificato per questo compito.
– Ma certo – rispose soavemente Zuril, che tra i suoi svariati titoli aveva pure un dottorato in Scienze Psicologiche conseguito alla Reale Università Scientifica – L’esperto sei tu. Come non detto. Vai avanti con la tua idea.


– Non capisco – disse poco dopo Hydargos, non appena Dantus si fu precipitato ad ordinare i manifesti – Perché non hai insistito?
– Dantus sembra ben deciso a cacciarsi nei guai – rispose Zuril – Io ho provato ad avvertirlo, ma lui non intende ragioni. Che altro avrei potuto fare?
C’era un’ampia aureola di lucine LED che brillava sulle ali di pipistrello di Zuril… Hydargos ghignò: – Va bene. Ho capito. Godiamoci lo spettacolo.


Dantus era un uomo d’azione: tanto fece e tanto insistette, che in breve tempo i manifesti furono pronti. Quel giorno stesso tre di essi fecero la loro comparsa sia nella sala ricreazione delle truppe, che in quella dei tecnici, che in quella dell’élite di Vega.
Si trattava di una fotografia a figura intera dell’odiato Duke Fleed, in piedi, slanciato nella sua tuta rossa e nera, il casco con la visiera alzata, gli occhi blu fieri e baluginanti, il viso aristocratico corrucciato. Una visione davvero insostenibile per qualsiasi veghiano dotato di sangue nelle vene… e sicuramente qualcuno non la sopportò, perché tutti e tre i manifesti scomparvero in breve tempo.
Nuova affissione; nuova scomparsa.
– Pensavo che avrebbero imbrattato e strappato i manifesti, non che li facessero sparire – osservò Hydargos, mentre Dantus affiggeva nuove immagini.
– Tu non capisci niente – rispose il collega – Il veghiano medio è introverso, non si abbandonerà mai a pubbliche manifestazioni di disprezzo. I manifesti vengono sottratti per essere dileggiati in privato.
– Non ne sono convinto…
– Perché sei un soldataccio. Che ne sai tu di psicologia? – rispose altezzosamente Dantus – Non resta da fare altro che fornire nuovi manifesti.
– Se lo dici tu…
– Certo che lo dico io! – stavolta, Dantus appese svariate immagini nelle sale ricreazione: se la gente le voleva, benissimo. Lui gliele avrebbe fatte avere.


La faccenda durò a lungo: i manifesti sparivano, Dantus ormai ne affiggeva decine ogni volta e sempre scomparivano tutti, nessuno escluso.
Unica eccezione, il poster nella sala ricreazione dell’élite di Vega: dopo che i primi due erano scomparsi, il terzo era rimasto al suo posto. Qualcuno a dire il vero l’aveva arricchito con un paio di corna e una barbaccia fatti col pennarello verde (Gandal) e un’accetta nera conficcata tra le costole (Hydargos), ma la cosa era finita lì.
Dantus ormai lasciava fasci interi di manifesti sui tavoli delle sale: inutile affiggerli… e i manifesti sparivano, sparivano, sparivano.


– …e quel cretino continua a portarne di nuovi! – osservò Hydargos, mentre Zuril gli serviva un bicchierino di Sputafuoco Argiliano invecchiato.
Zuril scosse la testa, mentre riempiva anche il proprio bicchiere: – Avrebbe fatto prima se avesse portato subito quattromilaseicentotrentasei manifesti. Oltretutto, l’intera ordinazione gli sarebbe costata molto meno che continuare a stamparne pochi per volta.
– Adesso mi vuoi spiegare, scusa? – disse Hydargos – Perché proprio quattromilaseicentotrentasei manifesti?
Zuril sorseggiò il liquore con una certa prudenza, dato che non per nulla si chiamava Sputafuoco: – Semplice. Perché quattromilaseicentotrentasei è il numero preciso delle donne presenti nella base.
– …? – disse Hydargos.


Nel segreto della propria camera, lady Gandal s’accertò che il neutralizzatore neurale avesse fatto il suo lavoro e che quell’impiastro di suo marito fosse finalmente fuori combattimento; poi andò al suo armadio, quello privato che si apriva solo al suono della sua voce, quello in cui conservava i suoi tubini, le minigonne, i vestiti da sera e tutte le meravigliose mises che quello scarto biologico del suo consorte si ostinava a vietarle di indossare in pubblico.
Incorniciato e appeso all’interno dello sportello, il manifesto di Duke Fleed sembrò illuminare tutta la stanza.
Lady Gandal ne contemplò le spalle larghe, i fianchi stretti, la figura muscolosa e slanciata… si beò dei suoi lineamenti regolari, dei suoi occhi blu come il mare, del suo profilo perfetto… non resistette, come non aveva mai resistito. Un bacio, due, tre… meno male che c’è il vetro, così potrò ripulire più facilmente il rossetto… un altro bacio… come sei sexy, tesoro… bacio-bacio-bacio… non posso resisterti, sono TUA!!! Bacio…


… esattamente come avevano fatto, stavano facendo o avrebbero fatto anche le altre quattromilaseicentotrentacinque donne di Skarmoon, dall’ultima delle inservienti fino alla principessa Rubina; e sì, il loro morale era decisamente alle stelle, anche se non per il motivo che Dantus si era aspettato. Ma che importava? Lui aveva avuto ragione e la psicologia aveva funzionato! Certo, c’era il piccolo particolare che i maschi di Skarmoon apparivano ancora depressi, un effetto collaterale che non aveva calcolato; ma lui aveva avuto ragione, e per merito suo il sire era contento.


Poco dopo, quando ebbe aperto il conto per tutti i manifesti stampati da Dantus, il sire non fu molto contento. Anzi.
E mentre lo trascinavano in Sala Torture, poco contento lo fu pure Dantus.
Chi invece gioì furono i suoi tre colleghi (brindisi a suon di Sputafuoco), e pure l’intera popolazione di Skarmoon, che non aveva certo dimenticato la faccenda dello screening… e ciò significò una cosa sola, e cioè che, psicologia o meno, Dantus ce l’aveva fatta.
Una volta tanto, aveva avuto ragione lui.


Dedicato a tutte le actarusmaniache, naturalmente. :innocent.gif:

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Mi scuso per la latitanza: tra PC e WIFI è incomprensione totale e da cel si fatica a partecipare. Riesco a postare (in colpevole ritardo, scusa Tez!) il racconto che vede protagonista appunto Tetsuya nelle vesti di infermiere... prima parte.


QUASI MORIBONDO


La tragedia cominciò come iniziano moltissime tragedie: in maniera del tutto normale.
Come ogni mattina feriale che il Cielo invia sulla terra, Tetsuya entrò alle sette in punto in camera di Shiro comunicandogli che il sole era sorto, gli uccellini cinguettavano ed era arrivato il momento di alzarsi per andare a scuola.
Una sorta di gemito inarticolato giunse dalle profondità del letto.
Tetsuya non vi fece caso: sapeva bene quante storie facesse il fratellino ogni mattina… semmai si sarebbe preoccupato, e molto, se l’avesse visto schizzar su vispo dal materasso, pronto per una dura giornata di studio.
– Avanti, pigrone! – esclamò allegramente, arrotolando le rumorosissime tapparelle.
– Ti prego, Tetsuya! – piagnucolò Shiro – Ho tanto mal di testa…
– Mal di testa? – questa era nuova, in genere doleva la pancia, in un punto non sempre definibile.
– Mi fa anche male a inghiottire – Shiro emerse da sotto al piumone: appariva molto pallido, gli occhi pesti e le guance che sembravano dipinte con due sbaffi di uno dei rossetti di Jun.
Tetsuya inarcò un sopracciglione. Gli toccò la fronte: inarcò anche l’altro e si fiondò in bagno, da dove tornò portando un termometro.
Il responso fu inconfutabile: trentotto e due. Febbre.
– Allora, sono malato! – esclamò Shiro, diviso tra autocompiacimento e apprensione – Non devo andare a scuola! Hai visto che non erano storie?
– Certo, certo – e Tetsuya riabbassò le tapparelle in modo da tenere la cameretta in penombra.
– Oh, no! – Shiro ricadde sui cuscini – Io sono ammalato, molto ammalato, e Jun non c’è!
Era esattamente quel che pensava anche Tetsuya: erano soli. Da mesi Sayaka insisteva perché Jun la raggiungesse per una vacanza di una ventina di giorni in America: lei, che aveva una grandissima voglia di partire, si era sempre schermita adducendo una scusa dopo l’altra. Chi si sarebbe occupato di Shiro e pure del suo fratellone? Alla fine proprio lui, Tetsuya, si era imposto: lei doveva andare, loro due uomini si sarebbero arrangiati benissimo, era tutto sotto controllo. Due giorni prima, lui e uno Shiro del tutto sano avevano accompagnato Jun all’aeroporto e l’avevano vista partire; e ora, lui si trovava solo in balìa d’un bimbo ammalato.
– Ce la caveremo! – esclamò Tetsuya, risoluto – Mi occuperò io di tutto, e quando Jun tornerà ti troverà in perfetta salute. Vedrai!
Andò con passo sicuro al bagno per lavare e riporre il termometro; una volta dentro, vi si chiuse in preda al panico e s’aggrappò al lavandino.
Shiro ammalato! Come avrebbe fatto, lui?
O meglio, che avrebbe fatto Jun?
Shiro non sta bene, telefono al dottor Nogura…
Quante volte aveva sentito quella frase? Tante. In effetti, chiamare il pediatra era la cosa più sensata da farsi.
Poco dopo, componeva un numero sul suo cellulare.


Alto, sottile e straordinariamente simile a una cicogna, il dottor Nogura era un medico della passata generazione: non per nulla era stato grande amico del nonno di Alcor e Shiro, il vecchio Juzo Kabuto.
Come pediatra, aveva curato orecchioni e varicella al dottor Kenzo prima, a Tetsuya, Alcor e Jun poi e a Shiro adesso. Sentendo delle condizioni del piccolo dichiarò che sarebbe venuto a visitarlo senz’altro in mattinata.
Un paio d’ore dopo il medico entrava nella cameretta oscillando un poco sulle sue magre gambe da trampoliere. Sedette sul letto, inforcò gli occhiali sul lungo naso a becco ed esaminò per benino il malato: guardo, palpò, auscultò, tamburellò. Quando gli fece spalancare la bocca per prendere visione delle fauci scoprì immediatamente l’origine del morbo: – Ah, ecco. Una tonsillite a placche della più bell’acqua.
– A placche…! – gemette Shiro. Allora, la faccenda era seria! – Dovrò fare le punture?
– No, stavolta no.
– Niente di grave, immagino – disse Tetsuya, affettando una calma che non provava affatto.
– No, certo che no. Però bisogna curarla bene, questa tonsillite, altrimenti c’è il rischio che degeneri in qualcosa di peggio – guardò Shiro da sopra gli occhialetti a mezzaluna: – Mi hai capito, signorino? Niente capricci per le medicine!
– Ma io non faccio mai capricci… – frignò il povero malato.
– Hmmm – rispose il dottore, che lo conosceva bene; tirò fuori ricettario e penna e si mise a scrivere, consegnando a Tetsuya un fascio di ricette: – Ripeto, questa tonsillite non è grave ma è un po’ rognosa, e va curata bene. Insisti con Jun perché gli faccia prendere tutte le medicine, specialmente lo sciroppo. Mi raccomando gli orari: sono molto importanti… ma Jun le sa, queste cose.
– Jun non c’è, è in America – disse Tetsuya, che già avvertiva un leggero capogiro.
– Ah sì? Beh, vorrà dire che penserai tu a tuo fratello, no?
Tetsuya si drizzò gonfiando il petto: – Ma certo!
– Bravo, bravo. – il dottore lo guardò come soppesandolo e preso un foglio preparò uno schema con un orario preciso per le medicine: – Ecco. Segui questo, e non potrai sbagliare. Se hai bisogno, chiamami – il dottore si rialzò, chiuse la sua valigetta e andò via, dopo aver messo in mano a Tetsuya l’orario e un fascio di ricette.
Il giovane andò subito in farmacia, tornandone poco dopo con un sacchetto pieno e il portafogli vuoto. Allineate le scatolette davanti a sé, prese a controllarle una per una confrontandole con l’orario.
La pillola rilassante andava presa la sera per favorire il sonno. La supposta antipiretica andava somministrata tre volte al giorno. Due volte, e negli stessi orari, le gocce sfiammanti e lo sciroppo. Mattina e sera, le caramelle vitaminiche. Tre volte al giorno, lo spray da spruzzare in gola. Quando c’era bisogno, le pastiglie per la tosse.
Tetsuya controllò l’orario: un paio di caramelline vitaminiche e una spruzzata di spray potevano anche starci.
Appese il foglio bene in vista sul frigorifero, collocò le medicine sulla credenza e si dispose a far del suo meglio per curare suo fratello.


– Shiro sta male? – esclamò Jun durante la loro consueta telefonata serale – Mi spiace tantissimo! Proprio adesso che non ci sono… come farai?
– Nessun problema, il dottor Nogura mi ha lasciato istruzioni precise – rispose lui.
– Torno a casa – propose Jun.
– No! Ce la faremo benissimo! Stai con Sayaka e divertiti! – e aggiunse baldanzosamente proprio la frase che ogni donna ha il terrore di dover sentire: – Tranquilla. È tutto sotto controllo.

- continua -

link per simpatizzare con Shiro (!!!): https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3015
 
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Seconda parte.

Se qualcuno avesse chiesto a Shiro la sua opinione sulle medicine, il giovane infermo avrebbe risposto che le caramelline gommose erano davvero buone, sembravano gelatine di frutta, peccato poterne prendere solo quattro al giorno. Anche le pastiglie per la tosse erano OK: sapevano di miele e limone. La pillola era una pillola: andava giù senza problemi. Lo spray era un po’ forte, ma sopportabile. La supposta non sarebbe stata tanto male; peccato che lui non fosse capace di mettersela da solo e dovesse pensarci Tetsuya, il che gli dava regolarmente la sensazione di essere impalato. Le gocce erano amarotiche; ma quello che faceva davvero schifo era lo sciroppo. Roseo, denso, aveva un forte profumo di fragola, e di fragola appunto avrebbe dovuto sapere: in effetti, come mettevi in bocca la cucchiaiata un dolcissimo aroma di frutta ti s’insinuava fin su nel cervello. Peccato che un istante dopo rimanesse un sapore amaro e disgustoso che oltretutto ti restava per un pezzo, dato che il maledetto sciroppo ti s’incollava a lingua e gola.
La prima volta che Shiro prese la schifezza, giurò a sé stesso che sarebbe stata anche l’ultima. Passi l’impalatura da supposta, passino le gocce amare: lo sciroppo, no!
Bisognava però agire d’astuzia: Tetsuya era molto attento a queste cose, per cui occorreva fargli pensare che la Schifezza Suprema fosse qualcos’altro, e non il dannato sciroppo.
Fu così che, quando quella sera il giovane arrivò col bicchiere delle gocce e il misurino di sciroppo, Shiro bevve eroicamente le prime, facendo poi mille smorfie: erano così amare! Gli avevano messo sottosopra lo stomaco… se avesse preso subito anche lo sciroppo avrebbe sicuramente vomitato. Aveva bisogno di una piccola pausa. Tetsuya non poteva lasciargli il misurino? Non appena si fosse sentito meglio, avrebbe trangugiato il tutto.
Tetsuya rimase incerto: si era sempre assicurato personalmente che Shiro prendesse i medicinali, e in effetti il fanciullo finora si era comportato bene. Le gocce avevano davvero un odore cattivo, mentre lo sciroppo alla fragola non doveva costituire alcun problema… e lui aveva davvero da fare, in quel momento. Depose la dose sul comodino, raccomandando di prenderlo entro cinque minuti, poi lui avrebbe controllato… e tornò in cucina, dove l’aspettava il duro e incomprensibile compito di far funzionare la lavatrice.
Trionfante, Shiro attese che il fratello fosse lontano prima di balzare in piedi e andare a vuotare il misurino nel bagno.
Ecco fatto. Adesso, il gabinetto non avrebbe sofferto di tonsillite.


Il giorno successivo scorse tranquillo: Tetsuya si barcamenava come meglio poteva tra l’accudimento del malato e i lavori domestici, Shiro prendeva le sue medicine e il gabinetto continuava la sua cura contro il mal di gola. Unica nota strana, il termometro non accennava a scendere: ormai puntava decisamente verso i 39°, e la cosa impensierì Tetsuya… ma forse ci sarebbe voluto un poco perché l’antibiotico facesse effetto. Il malato comunque appariva di buon umore ed eccellente appetito: e come si sa, quando c’è la voglia di mangiare, tutto va bene.
Il mattino dopo, quando però Tetsuya entrò nella stanza di Shiro per le medicine del buongiorno, per prima cosa sentì un odore strano che non riuscì ad identificare; poi, il bimbo gli apparve decisamente peggiorato, pallidissimo e con la bocca talmente rossa che sembrava si fosse impiastricciato con uno dei rossetti di Jun. Come il fanciullo ebbe aperto gli occhi, fece una smorfia di sofferenza e si precipitò in bagno, dove rimase con la testa incastrata nel water, intento a liberarsi di tutto quel che aveva mangiato la sera precedente.
Tetsuya arrivò di corsa con pigiama e biancheria puliti, raccolse e gettò in lavatrice i panni sporchi e pulì scrupolosamente il bagno; quindi tornò ad esaminare il fratellino. Febbre oltre i 39°, e ancora una zaffata di quello strano odore. Corse al telefono e disse al medico che Shiro aveva vomitato e puzzava come una poiana. No, non era odore di vomito, era qualcos’altro.
– Ti pare che sia acetone? – chiese il dottor Nogura.
– Non saprei… che odore è?
– Come quello del solvente dello smalto da unghie di Jun.
– Ma Shiro non avrà bevuto quella roba!
– Certo che no! Ma può avere la chetosi.
– È grave?
– No. Allora, sa o non sa di acetone?
– Dottore, ma che ne so io degli smalti di Jun? Non sono cose da uomini!
– Ho capito. Vengo – rispose il dottore, che lo conosceva bene.
Gli bastò entrare nella camera del malato per sentire un puzzo d’acetone che gli diede le vertigini. Dovette impedirsi di andare ad aprire la finestra: la giornata era bella ma troppo fredda per un povero ammalato. Visitò Shiro e constatò la chetosi appunto, oltre all’aumento di placche e temperatura.
– Prende tutte le sue medicine? – chiese severamente a Tetsuya.
– Dottore – pigolò l’eroico pilota del Great, che sotto quello sguardo filtrato dagli occhialetti a mezzaluna si sentiva come uno scolaretto colto in fallo – io gliele do tutte, regolarmente, agli orari giusti!
– Forse allora l’antibiotico non è adatto. Però è strano… Continuiamo ancora per oggi, poi domani vediamo il da farsi. Quanto alla chetosi… aveva fatto un pasto abbondante, ieri?
– Ha mangiato come un lupo, come sempre.
– E cosa ha mangiato?
– Un po’ di tutto… Jun ci aveva lasciato parecchie pentole di cibo, e lui ha fatto una vera e propria spanciata. Ma se un ammalato ha fame è un buon segno, no? – chiese ansiosamente.
Nogura non disse una parola: andò in cucina e spalancò il frigorifero.
Una colossale teglia di lasagne. Un’enorme pentola di spezzatino con patate. Un vasto tegame di scaloppine alla panna. Una gigantesca torta al cioccolato con panna e crema.
– Vuoi dire che Shiro ha mangiato queste cose? – chiese, gli occhialetti che mandavano lampi laser.
– Non avrebbe dovuto…? – gemette Tetsuya.
– Certo che no! Non sono cibi adatti a un bambino in quelle condizioni!
– Io non lo sapevo… – mancava poco che l’infelice si mettesse a piangere. Grande, grosso, pieno di buona volontà e disperato… Nogura ne ebbe compassione.
– Va bene, va bene – gli diede una pacca sulla spalla – Ti scriverò io che cosa puoi dargli da mangiare.
Poco dopo, Tetsuya ebbe un nuovo orario di medicine cui erano state aggiunte delle bustine di polverina all’arancia, e dei fogli con un severo regime alimentare da far seguire a Shiro.

CIBI PERMESSI
Riso, pasta e patate, bolliti e sconditi;
Pane, scondito;
Pesce o carne bianca, bolliti e sconditi;
Carote, finocchi e zucchine, bolliti e sconditi;
Mela o pera;
Camomilla con zucchero o miele;
Marmellata;
Caramelle di solo zucchero.

TRA DUE GIORNI, AGGIUNGERE
Prosciutto cotto magro
Formaggino magro
Uovo bollito
Banana

CIBI ASSOLUTAMENTE VIETATI
Grassi
Fritti
Sughi e salse
Carne rossa
Salumi
Formaggi stagionati
Cibi acidi
Cibi grassi
Dolci
Cioccolata

Tetsuya ebbe un brivido: sarebbe stato difficile far seguire a Shiro un sì severo regime alimentare… e infatti l’infermo, quando a mezzogiorno si vide porre davanti un vassoio con riso in bianco, patata lessa e pollo bollito, ebbe parecchio a ridire: a suo parere in quel pranzo v’era una gravissima carenza di ragù, formaggio, maionese, salame e soprattutto cioccolata, e poco contava che Tetsuya gli facesse notare che gli aveva messo per dessert delle pastigliette di zucchero colorato… con una smorfia, Shiro gli ribatté che le pastigliette erano colorate, sì, ma sapevano solo di dolcino. Senza una parola il fratellone lo lasciò alle prese con riso, pollo e patata lessi e andò in cucina dove lo aspettavano lasagne, scaloppina e torta.


Quella sera il menù fu pasta in bianco, pesce bollito e zucchine lesse.
In compenso, per dolce c’era un’abbondante razione di pastigliette di zucchero.
Con il muso lungo, Shiro guardò prima il lauto pasto che aveva davanti e poi il fratello, che dopo avergli augurato buon appetito si avviò verso la cucina e lo stufato con patate.
Furioso ma non domo, Shiro mandò un pensiero al water che presto avrebbe ricevuto la sua dose serale di antibiotico.
Credevi di fregarmi, vero, Tetsuya?


– E la febbre non scende? – chiese quella sera Jun.
– Trentanove e mezzo – rispose Tetsuya.
– Quell’antibiotico non funziona. Devi chiamare il dottor Nogura!
– Avevo già in mente di farlo domattina, tantopiù che Shiro ha iniziato anche a tossire.
– È una tosse tanto forte? Cavernosa?
– Sembra che gli venga su dalla pancia.
– Santo cielo! Domani prendo un aereo e torno a casa!
– No! Resta in America! A Shiro penso io! Ti ripeto che è tutto sotto controllo.

- continua -

Link per esprimere solidarietà col water: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3015#lastpost
 
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Terza parte. La conclusione domani.

Il giorno successivo vide uno Shiro che stava decisamente meglio: riso lesso e verdurine bollite avevano compiuto il miracolo. L’alito non puzzava più e il colorito era migliorato, però… però…
Però quel mattino il termometro segnava trentanove e sette, la gola appariva davvero gonfia e rossa… se da un lato il fratellino era migliorato, dall’altro la malattia progrediva.
Tetsuya andò subito a telefonare al dottore: cellulare spento o non raggiungibile.
Compose il numero di casa: la signora Nogura gli rispose gentilmente che il marito avrebbe trascorso l’intera giornata a Tokyo richiamato per un’urgenza, e sarebbe rientrato la sera molto tardi. Se Tetsuya credeva fosse il caso, l’indomani gli avrebbe telefonato senz’altro.
Tetsuya rispose che sì, era proprio il caso, e si raccomandò parecchio perché la signora non scordasse d’avvertire il marito circa lo stato di Shiro, anzi, meglio che il dottore venisse senz’altro a vedere il bambino, grazie.
Il resto della giornata fu un tormento per Tetsuya: Shiro appariva peggiorare sempre più, l’appetito calava e la febbre cresceva… quella sera, trentanove e nove. E tosse, tanta tosse che lasciava Shiro senza fiato.
Ma com’era possibile che il suo fratellino continuasse a star male, quando lui lo curava come ordinato dal medico? Doveva aver sbagliato qualcosa! Se Shiro fosse… ugh… non osava pensarlo… sarebbe stata colpa sua, sua, sua!
Andò a prendere tutte le medicine prescritte e le allineò sul tavolo di cucina; prese anche il foglio con l’orario e lo lesse con attenzione, controllando punto per punto.
Le pillole le prendeva… le supposte anche, gliele metteva lui! Le gocce, sì… lo sciroppo, le caramelline gommose…
Un momento.
Lo sciroppo…?
Improvvisamente, Tetsuya realizzò che in realtà quella era l’unica medicina che non aveva mai visto prendere a Shiro: gliela portava assieme alle gocce, che erano amare e Shiro diceva che subito dopo averle bevute gli veniva nausea… eh già, erano le gocce che erano cattive…
Ne sei davvero sicuro?, gli disse una vocetta interiore.
Ma sì, Shiro si è sempre lamentato che le gocce siano cattive, ma non ha mai detto una parola contro lo sciroppo.
Però tu non glielo hai mai visto bere.
No. Io però trovo sempre il misurino vuoto.
Ma sei proprio certo che non lo abbia invece gettato via?
Ma Shiro non si è mai lamentato dello sciroppo!
Appunto. E Shiro è una piaga. Non pensi che la cosa sia sospetta?
Beh…
Rifletti: se lo sciroppo fosse cattivo e Shiro non volesse berlo, pensi che frignerebbe?
N-no, ma…
E non pensi invece che si lamenterebbe delle gocce, per sviare i tuoi sospetti?
Ma lo sciroppo è buono, sa di fragola!
Come quello all’albicocca che prendevi tu?

Un’ondata di nausea. Quell’infernale sciroppo all’albicocca era ancora un ricordo ben vivo… l’aveva preso per curare la pertosse che l’aveva colpito a cinque anni, e gli pareva di vederne ancora l’odiosa scatoletta di cartone bianco a losanghine rosse, con disegnata sopra un’albicocca. Il professor Kabuto sosteneva che fosse buonissimo e che sapesse di frutta, ma Tetsuya ricordava bene che non era così… mettevi in bocca il cucchiaio, e un aroma disgustoso e dolciastro t’invadeva la bocca, lasciando subito dopo il posto a un gustaccio ripugnante e amaro che persisteva a lungo. Non importava che tu inghiottissi in fretta, non contava che dopo succhiassi una caramella… il saporaccio restava. Addirittura, quando ormai avevi la bocca tornata al suo status normale, il più delle volte dallo stomaco risaliva un ributtante ricordo dello sciroppo, tanto per farti capire che no, non era ancora finita… e naturalmente il professor Kabuto era sordo a qualsiasi protesta, “lo sciroppo è buonissimo, sa di albicocca, piantala di fare la femminuccia!”.
Tetsuya si rigirò tra le mani lo sciroppo di Shiro: se quell’affare apparteneva alla stessa categoria di quello che l’aveva funestato da bambino, non c’era da meravigliarsi se la piccola peste se ne era sbarazzato. L’avrebbe fatto anche lui all’epoca, se il professore non gli avesse cacciato a forza la cucchiaiata in bocca; lui invece era stato troppo buono, troppo fiducioso in Shiro… troppo stupido, ecco.
Comunque, c’era un solo modo per togliersi ogni dubbio.
Prese un cucchiaio e inghiottì una dose di delizia alla fragola.
Poco dopo, mentre si sciacquava la bocca, Tetsuya si disse che sì, quello sciroppo non era arrivato alle bassezze di quello all’albicocca, ma si batteva comunque bene.
Riguardò la bottiglietta: era l’antibiotico, caspita! Se Shiro non l’aveva preso, non c’era da meravigliarsi se continuava a peggiorare!
Per un istante fu sul punto di fiondarsi a far scempio del fratellino; si riprese subito, reprimendo i sanguinari istinti.
No. Voleva beccarlo sul fatto, in modo che Shiro non potesse negare.
Per una persona come Tetsuya, diretto come un pugno, non fu semplice simulare una calma che non provava affatto, ma ci riuscì; quella sera, quando portò al malato il bicchiere con le gocce e il misurino colmo di sciroppo, ostentò una serenità ammirevole.
Shiro inghiottì le gocce, facendo poi le smorfie del caso: – Come sono amare! Mi danno il voltastomaco!
– Devi prendere lo sciroppo – disse Tetsuya.
– Sì, sì… ma non subito. Ho lo stomaco sottosopra, vomiterei – Shiro ricadde artisticamente sul guanciale – Lasciamelo sul comodino, lo prenderò tra poco.
– Va bene. Mi raccomando. Io vado a preparare la cena – Tetsuya depose il misurino e uscì, andando poi ad accendere la radio e chiudere con forza la porta di cucina. Ritornò indietro in punta di piedi andando a nascondersi a fianco dell’armadio in corridoio: da là avrebbe potuto tener d’occhio il fratello, che giaceva ancora nel suo letto di dolore.
Shiro riaprì un occhio, si mise a sedere e restò in ascolto: dalla cucina arrivava il suono soffocato del notiziario che Tetsuya ascoltava mentre sbrigava le faccende domestiche. Bene.
Prese il misurino.
Lo portò alla bocca, fece una smorfia…
Con aria furbetta scese dal letto e corse in bagno, alzò il coperchio del gabinetto, fece per versare lo sciroppo…
– Ah-ha! – gridò Tetsuya, balzandogli alle spalle; Shiro mollò la tavoletta che gli cadde sulle dita, schiacciandole, mentre lo sciroppo gli si riversava addosso, ruscellandogli giù per il pigiama. Un istante dopo il piccolo delinquente ebbe altro da pensare, perché un fratello fuori dai gangheri gli espose esattamente quel che pensava di lui e della sua colossale stupidità. Fu un predicozzo di prim’ordine, rapido e violentissimo, di quelli che levano la pelle, corredato anche da un paio di sculaccioni a sottolineare il tutto. Quindi Tetsuya lo trascinò al lavandino, gli tolse il pigiama impiastricciato e lo lavò energicamente da ogni traccia di sciroppo. Poco dopo Shiro si ritrovò di nuovo a letto, pigiama pulito, pelle scorticata dalla vigorosa pulizia fraterna, natiche dolenti, dita doloranti e una cucchiaiata di sciroppo ad insaporirgli la vita.

- continua -

Link per... beh, fate voi. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3030#lastpost
 
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Conclusione.

Il dottor Nogura venne senz’altro il mattino dopo alle otto precise, dando a Shiro una seconda ripassata che lo lasciò a pezzi (e che non era nulla rispetto a quella via telefono che gli avrebbe fatto quella sera Jun, e che l’avrebbe polverizzato).
Con aria seria, il medico auscultò i polmoni del piccolo paziente, e scosse la testa: – Non andiamo bene.
– È grave? – s’informò premurosamente Tetsuya.
– Beh, una sciocchezza non è – il dottore lanciò a Shiro un’occhiata laser attraverso le lenti – Un focolaio di broncopolmonite. I miei complimenti, signorino!
– Morirò? – chiese Shiro, atterrito.
– No. Ma se stai così male, è solo perché non hai voluto prendere lo sciroppo.
– Ma io non pensavo… – piagnucolò Shiro – Non farò più i capricci, promesso, e prenderò tutto lo sciroppo!
– È un po’ tardi – il dottore prese a frugare nella valigetta – Se tu avessi fatto il bravo, adesso non sarebbero necessarie queste – e tirò fuori una siringa e una fiala.
– Punture! – strillò Shiro, atterrito. Il peggiore dei suoi incubi si era avverato.
– Punture – confermò il medico, riempiendo la siringa – Ecco quel che succede a fare gli stupidini. Forza! Su il fondoschiena e giù le mutande!
Shiro obbedì tremando: – M-mi farà male?
– Sì! – e conficcò l’ago. Un ululato del paziente fece eco: perché al dolore della trafittura si era aggiunto anche quella del farmaco stesso, che bruciava parecchio.
Fu uno Shiro coi lacrimoni agli occhi quello che rialzò tremando i pantaloni del pigiama; un istante dopo ebbe uno schianto al cuore sentendo il medico asserire: – Due al giorno, mattina e sera, per dieci giorni.
– Ma dottore – disse Tetsuya – è Jun che è capace di fare iniezioni… io no!
– Nessun problema. Stasera torno a vedere Shiro e t’insegno come fare.
Altro schianto al cuore del povero infermo: se una supposta messa da suo fratello ti faceva provare il gusto dell’impalamento, un’iniezione avrebbe significato esser messi allo spiedo, come minimo…
– È un ottimo antibiotico, stai tranquillo! – disse soddisfatto il dottor Nogura al timoroso Tetsuya – E soprattutto, questa volta non c’è pericolo che venga curato il gabinetto al posto di Shiro. Vedrai che in pochi giorni quel piccolo mascalzone sarà di nuovo in piedi!


Quella sera il dottore tornò come promesso, pronto ad insegnare a Tetsuya come praticare una perfetta iniezione (“Niente esitazioni, gesto deciso e perpendicolare: un po’ come piantare una freccetta!”); Tetsuya eseguì coscienziosamente, lasciando il fratello mugolante ma, appunto, ben curato.
Dopo cena vi fu la consueta telefonata di Jun: la sera prima, Tetsuya non l’aveva aggiornata circa la nuova prodezza di Shiro per non spaventarla. Ormai però non c’era più motivo di tacere, per cui il giovane raccontò ogni cosa per filo e per segno: com’era prevedibile Jun volle dire la sua a Shiro, che si beccò così la terza, e più spaventosa, ripassata, che lo lasciò con la netta sensazione di esser stato ridotto in atomi.
Il giorno dopo, altra iniezione: Tetsuya era coscienziosissimo, puntura ogni dodici ore precise, natica destra la mattina, natica sinistra alla sera, e guai a far storie! Il minimo lamento significava una nuova rampogna sui bambini decerebrati che gettano lo sciroppo nel gabinetto.
Come affermato dal dottore, l’antibiotico fu davvero efficace: la febbre calò subito, la tosse anche, il respiro si fece meno affannoso. Insomma, tempo un paio di giorni, Shiro stava decisamente meglio, se vogliamo escludere le pugnalate quotidiane e il bruciore.
Fu così che, quando venne finalmente il giorno del rientro di Jun, Shiro ebbe il permesso di andare anche lui all’aeroporto con Tetsuya; il bambino era al settimo cielo, la sorella gli era mancata tantissimo, sicuramente aveva un regalo per lui e in ogni caso la sera prima aveva fatto l’ultima iniezione! Se non era motivo di gioia, questo!
L’incontro fu davvero commovente: dopo ben venti giorni di separazione, Jun e Tetsuya si ritrovarono in pieno aeroporto a baciarsi come due ragazzini innamorati, mentre uno Shiro eccitatissimo saltava loro attorno a grandi balzi.
Uno schianto, un urlo… Shiro era andato a sbattere contro il bagaglio di Jun ed era rovinato a terra, pesto e dolorante… una gamba che si gonfiava a vista d’occhio, una botta in testa…
Corsa in ospedale, pronto soccorso: qui una gentile dottoressa rassicurò i due fratelli circa le condizioni del bambino. Una distorsione alla caviglia, molto dolorosa ma fortunatamente non grave: riposo, arto sollevato, ghiaccio, un po’ di gel specifico, e tutto sarebbe rientrato in qualche giorno.
C’era poi la botta alla testa… niente di serio, ma avrebbero tenuto Shiro in osservazione per dodici ore, tanto per sicurezza. Poi, una piccola terapia.
– Allora, non muoio nemmeno stavolta – osservò il malato, soddisfatto.
– Certo che no, caro – sorrise la dottoressa, facendo un cenno a un’infermiera che si fece avanti. Una piccola siringa s’avanzava, minacciosa.
– E… quella…? – gemette Shiro.
– Sai, hai preso una gran botta in testa, non vogliamo che ti venga un coagulo di sangue e che ti vada in circolo… una semplice precauzione. Eparina, per fluidificare il sangue – con un gesto deciso, l’infermiera gli praticò la puntura in zona ombelico. Ululato: l’eparina bruciava anche peggio del dannato antibiotico… – Si fa nella pancia. Una al giorno per dieci giorni.
– Nessun problema – ghignò Tetsuya – Ci penso io. Ormai, ho una certa pratica.

FINE

Link per mettersi in lista per bucare Shiro: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3045#lastpost
 
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view post Posted on 23/12/2017, 00:02     +1   +1   -1
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Natale è sempre Natale, e in questi casi il mio protagonista preferito è sempre lui.
Follia in quattro puntate. Conto di postarle giorno per giorno. Salvo imprevisti.
A tuttui, buona lettura.


BUONI PROPOSITI (PER L’ANNO NUOVO)


1 dicembre


Inforcati gli occhialetti ovali, Befana controllò sul monitor la sua casella di posta: contrariamente a quel giuggiolone imbranato di Babbo, che aveva i suoi problemi anche solo per pigiare il tasto di accensione del PC, lei sapeva districarsi perfettamente tra mail, password, server e consimili amenità. Il suo lavoro poi non prevedeva letterine da parte dei bambini, che da sempre accettavano più o meno di buon grado i giochi, i dolci e pure il carbone che lei lasciava loro nelle calze. Sogghignò pensando a Babbo, che sicuramente in quel momento aveva già la casella di posta totalmente intasata di mail – infatti, un Babbo ansimante proprio in quel momento chiamava con voce belante l’elfo Grigno, il suo vecchio e brontolone braccio destro, perché gli spiegasse ancora una volta come si faceva ad aprire una mail… ma perché quelle diavolerie moderne? Perché non usavano più letterine, buste e francobolli?
Befana ridacchiò tra sé, mandò giù un sorso di cioccolata e scorse la posta. Notiziario… Newsletter sui cibi sani, con tutti i bambini celiaci, vegetariani, frugivori, vegani eccetera doveva tenersi aggiornata… Ancora una dannata pubblicità di un centro di bellezza “spianeremo le vostre rughe”. Una Befana senza rughe si è mai vista? Ignoranti! Ci si vedeva proprio, pelle stiracchiata e bocca a canotti, portare doni ai bambini… una Befana che si rispetti è grinzosa e grigia! Cestinò la mail borbottando tra sé un paio di parole inadatte a orecchie minorili, non senza essersi lasciata l’appunto di portare un po’ di carbone a quei furboni.
Scorse ancora la mail: fattura del carbonaio… ahia… prese fiato prima d’aprirla ed ebbe il consueto schianto alle coronarie: nonostante sapesse perfettamente che si trattava di un conto salato, ogni anno rischiava il collasso.
Si riprese: era pur sempre la Befana, che diamine! Mandò giù un paio di sorsi di cioccolata, cui aveva aggiunto un goccetto di brandy, e andò avanti. Altra pubblicità… fornitore di dolci… uh? E questo?
Riguardò ancora la mail: controllò e ricontrollò il mittente. Esaminò con l’antivirus: niente, tutto a posto. Scansionò più approfonditamente: nulla. Si decise infine ad aprire, e lesse quel che mai si sarebbe aspettata di leggere.


Befana,

non giro attorno al problema. Non sono uomo da farlo. Ti basti sapere che mi arrendo.
Sì, hai letto bene: la nostra faida dura da anni, e da sempre ha visto solo una vincitrice (lo ammetto a fatica, come puoi immaginare). Nonostante io sia riuscito a segnare qualche colpo a mio favore (ti ho pur sempre abbattuta, non dimenticarlo!), alla fine hai regolarmente vinto tu.
Quest’anno non ho voglia di lottare. Sono stufo; pensa che ho persino fatto i buoni propositi di passare delle feste tranquille con quella scema di mia figlia e quella piaga collosa di Himika. Già questo mi basta e avanza: non voglio avere anche l’angoscia di qualche brutto tiro che tu possa giocarmi. Considerati vincitrice su tutta la linea, e bada bene che non è mia abitudine arrendermi facilmente: ma persino io so riconoscere quando un nemico è superiore.
Puoi vantarti d’avermi sconfitto.
Mi firmo perciò il vinto

Yabarn, il Sire di Vega, Imperatore della Nebulosa


P.S. Adesso che siamo in pace (parola raccapricciante… ma che ci trovate tutti, che l’amate tanto?), ti prego di considerare che quest’anno sono stato nel complesso buono: non ho sterminato popolazioni, non ho distrutto pianeti. Un anno noiosissimo… penso perciò che valga un regalo da parte tua. Lo aspetto. Ci conto.


– Cavolo! – esclamò infine.
Anzi, no: non fu esattamente “cavolo”, quel che le venne da dire.


5 dicembre

Due persone sedevano nel salottino, davanti al caminetto acceso.
– Che ne pensi? – chiese Befana, mentre Babbo Natale scorreva la stampata di quell’incredibile mail.
Babbo fischiò: – Non avrei mai creduto che quel lazzarone potesse pentirsi!
– Vuoi dire che lo ritieni sincero?
– Perché, tu no? – Babbo ripose gli occhiali in un taschino della sua giacca rossa – È un birbante, convengo…
– È un colossale fetente – corresse Befana, tagliandogli una fetta di torta – Un criminale, un genocida, un…
– Tutti hanno diritto a una seconda possibilità – disse Babbo, la cui indole mite lo portava a credere bene persino di un individuo esecrabile come il Sire di Vega – Non puoi condannarlo senza appello!
– Secondo te, cosa dovrei fare? – Befana gli versò una tazza di cioccolata, guarnendola poi con un paio di cucchiaiate di panna – Far finta di niente? Credergli? Dimenticarmi che mi ha presa a bombardate?
Babbo si strinse nelle spalle. Bonario com’era, faticava a portar rancore: – Beh…
– Stiamo parlando dello stesso delinquente che ti ha raso al suolo la casa – gli ricordò lei, accomodandosi sulla sua poltrona.
Vero… un ricordo orribile. Babbo si agitò un poco sulla sedia, poi in lui l’indulgenza ebbe la meglio: – Acqua passata… magari è davvero pentito.
– Hmmm – borbottò Befana, che aveva le sue idee in proposito.
– Io, un minimo di fiducia gliela concederei.
– Vuoi dire che devo far finta di niente?
– Direi…
– E magari dovrei pure portargli un regalo?
– Befana, se lui fosse davvero cambiato e tu non gli portassi nulla, saresti tu ad avere torto – le fece notare gentilmente Babbo.
– Vero – Befana si accomodò meglio contro lo schienale imbottito della sua poltrona, mescolando pensosamente la sua cioccolata – Forse hai ragione. Gli porterò un regalo.
– Ottimo! – esclamò Babbo, felice.
Befana spinse verso di lui un piattino di dolci, Babbo vi tuffò golosamente le dita… e fu così che non notò lo strano luccichio negli occhialetti ovali della sua amica.


23 dicembre

Fuori dalla finestra si vedeva soprattutto neve, neve in quantità massiccia che aveva ricoperto le case e i giardini dei vicini. Normalmente, quella visione avrebbe messo di malumore Gudrun, acuendole ancora di più il suo senso di solitudine; era però qualche tempo che le feste natalizie, in genere da lei vissute come lunghe, noiose e soprattutto solitarie, avevano acquisito un notevole fascino.
L’indomani era la vigilia… doveva controllare che tutto fosse a posto.
La casa era uno specchio. Albero, presepio, luci e decorazioni erano in perfetto ordine. I dolcetti appena sfornati mandavano un profumino delizioso.
Si guardò in giro, lisciando una piega qui e aggiustando un cuscino là.
Sotto l’albero, un pacco voluminoso amorosamente incartato in azzurro aspettava solo di essere aperto. Un altro pacchettino, stavolta rosso beneaugurante, era celato nell’armadio e sarebbe stato tirato fuori per Capodanno.
Accanto al camino acceso, il contenitore per la legna era colmo.
Gudrun diede una tastatina affettuosa al divano nuovo: il precedente, troppo vecchio, era stato definitivamente schiantato durante… ehm… il festeggiamento per l’anno nuovo, che si era concluso con un ruzzolone sul tappeto, fortunatamente morbido e pelosissimo, e una gran risata.
Donna dotata di teutonica pratica, andò a dare un a controllatina pure al letto. Forte e robusto, per fortuna, un mobile d’altri tempi, costruito per durare. Ottimo.
Già che c’era controllò pure la vasca da bagno, il tavolo di cucina, ogni sedia o poltrona e qualunque altro luogo della casa fosse possibile usare per, appunto, festeggiare.
Tutto era a posto.
Gudrun guardò ancora una volta l’orologio: ma quanto mancava, all’indomani…?


La robovaligia era aperta sul letto, pronta per essere riempita.
Per prima cosa, Zuril vi mise il regalo di Natale per Gudrun.
Poi mise anche la strenna di Capodanno che aveva preparato per lei.
Quindi, il dono per l’Epifania.
Ultima, la sorpresina di arrivederci che le lasciava sempre andandosene.
Sistemò poi una busta blu che conteneva tutto il necessario per la sua igiene personale.
Dopo una rapida riflessione decise di mettere anche un paio di ciabatte, utilissime per muoversi in casa, specie quando faceva la doccia.
Improvvisamente ricordò che in occasione del Natale Gudrun aveva sempre una telefonata con la sua logorroica zia, che come ogni anno le avrebbe rinfacciato il non essere andata a trascorrere le feste con lei, povera vecchia abbandonata… una telefonata che aveva il sapore dell’eternità. Meglio portarsi via un videolibro, in quell’occasione sarebbe stato utilissimo.
E poi? La valigia era singolarmente vuota; in genere, lui la riempiva da scoppiare… che altro gli occorreva? Cosa non aveva preso?
Un lampo gli illuminò la sua geniale mente di scienziato: vestiti. Non ne aveva presi.
In effetti, per il tipo di attività che lui e Gudrun avrebbero praticato a ben poco gli servivano… però, tra le tante altre cose, amavano anche fare qualche passeggiata nella neve. Meglio prendersi qualche abito, e pesante.
Ripose vari capi di vestiario nella valigia, tutti accuratamente piegati e tutti sistemati con rigore scientifico per guadagnare spazio.
Si ritrovò in mano degli indumenti che guardò con occhio assorto, prima di realizzare di cosa effettivamente si trattasse…
Un pigiama?
No, via! Questo davvero non gli sarebbe servito.


24 dicembre

Quell’anno, il ricevimento di Natale al ranch Betulla Bianca riuscì anche meglio del solito.
Gli invitati erano sempre gli stessi: Procton, naturalmente, poi Tetsuya, Jun e Shiro, Hara e Banta e infine Sayaka, arrivata a sorpresa dall’America. La sua presenza fu inizialmente causa di un certo imbarazzo per Alcor, che da anni si barcamenava come poteva tra lei e Maria… oltretutto, le due ragazze invece di odiarsi a morte si erano trovate simpatiche, avendo così l’una nell’altra l’alleata ideale contro di lui. Vedendo l’affetto con cui si salutavano, l’imbarazzo di Alcor prese a trasformarsi in panico.
Come al solito, mentre Jun e Venusia si affaccendavano in cucina gli altri ebbero tutti il loro daffare. Alcor e Tetsuya presero ad ornare la sala con festoni argentei e rami sempreverdi, il che significa che dopo qualche minuto ci fu la consueta zuffa attorno all’albero che Maria e Sayaka stavano tentando di decorare. Procton, Banta e Actarus fungevano da jolly, cioè dovevano occuparsi un po’ di tutto, dal portare legna per il camino ad apparecchiare la tavola, dal cogliere foglie, pigne e bacche per il centrotavola a separare Alcor e Tetsuya prima che si uccidessero. Hara andò in cucina per “dare una mano”, il che vuol dire che continuò a ciarlare con le due indaffaratissime cuoche, impacciandole regolarmente nel loro lavoro. Rigel ebbe il compito di maggior responsabilità: sovrintendere ad ogni operazione, in modo che sotto il suo occhio esperto ogni cosa risultasse assolutamente perfetta.
Mizar ebbe il compito più ingrato: intrattenere Shiro, che quell’anno smaniava solo ed unicamente per Mineblock, un videogame di costruzione che, a sentir lui, era bellissimo, unico, fantastico, impagabile. L’avevano tutti i suoi compagni di scuola; Mizar non l’aveva?
– No – dovette ammettere l’interpellato, mostrando i videogames che possedeva e che naturalmente furono qualificati tutti come vecchiumi – Ma che gioco sarebbe, Mineblock?
– Un gioco bellissimo, con una grafica stupenda! – si entusiasmò Shiro – È tutto disegnato a blocchi, capisci? Blocchi da costruzione! Puoi costruire qualsiasi cosa!
– Oh. Capisco.
– Se non ce l’hai, non puoi capire – tagliò corto Shiro – Comunque, lo vedrai. L’ho chiesto a Babbo Natale. Arriverà senz’altro… sono l’unico della mia classe a non averlo, pensa! L’ho detto a Tetsuya, ma non vuole comperarmelo… dice che ho già fin troppi videogames.
Mizar pensò allo scaffale in camera di Shiro che traboccava giochi assortiti per computer e per qualsiasi altra consolle possibile, e preferì tacere diplomaticamente.
– In realtà è una scusa, lo so – continuò Shiro – Tetsuya non vuole comprarmelo perché è taccagno. Così ho scritto a Babbo Natale che me lo porti, e domani farò schiattare mio fratello, così impara…! E tu cos’hai chiesto? Una nuova consolle?
– No…
– Il DVD del film Supereroi 5 - il Ri-ritorno?
– Neanche…
– Uno smartphone?
– Nemmeno – borbottò Mizar, che non aveva neppure il cellulare.
– E allora? Cos’altro potresti aver chiesto?
– Un libro sugli animali – rispose Mizar, un po’ vergognoso. Il libro che gli piaceva aveva illustrazioni splendide, ma costava parecchio. Papà era stato chiarissimo, su questo.
Occhi sbarrati da parte di Shiro.
– E una scatola di acquarelli... ma forse ho chiesto troppo – aggiunse, in fretta.
Shiro sbuffò. Mizar era senza speranza.


Su Skarmoon, il clima natalizio ferveva, anche se in maniera diversa da quel che succedeva sulla Terra.
Liberati dall’odioso ministro Zuril, andato chissà perché ancora una volta sulla Terra a studiare il tedesco, privi pure dei due insopportabili coniugi Gandal, costretti a passare ancora una volta le feste con la vecchia, sempiterna e noiosissima zia che non si decideva mai a schiattare, gli uomini di Skarmoon stavano preparando festeggiamenti vari. Vero che con loro rimaneva pur sempre il Vicecomandante Hydargos, che sicuramente non avrebbe permesso un eccessivo lassismo… niente cuscini scherzosi che producevano rumori corporei, quindi, e meglio evitare certi scherzi troppo pecorecci; meglio anche che l’ingegnere della Sezione Quattro rivedesse le imitazioni in cui si sarebbe prodotto, dato che proprio Hydargos stesso, in versione post sbornia, era uno dei suoi cavalli di battaglia. Il resto però avrebbe potuto andare: balli sfrenati, cori di canzoni scollacciate, sfide a braccio di ferro, barzellette zozze e soprattutto il tradizionale spogliarello di Boba la Grassona del Reparto Sette. Hydargos avrebbe sicuramente lasciato correre – specie se si fosse provveduto a corroborarlo con adeguate bevande ad alto tasso alcolico. Le feste sarebbero state un successo.
Chi invece soffriva sul serio era il sire di Vega: quell’anno aveva dovuto far di necessità virtù e aveva accontentato quella scema di Rubina, che aveva preteso delle feste tradizionali.
Aveva perciò invitato Himika (“Quella? Ma non fa parte della famiglia!” “Papà! È la tua fidanzata!” “Ma che c’entra, mi ha acchiappato lei, non l’ho certo voluta io!” “Papino, ti prego, non essere il solito mostro!” “Sgrunt!”).
Re Vega aveva masticato amaro: già la presenza dell’affettuosissima regina sarebbe stato un tormento non da poco; quel che l’aveva davvero seccato era stato scoprire che lei aveva condotto con sé Pucci, il rosso ed enorme gatto deraniano.
Ora, è doloroso dirlo, ma il sire di Vega detestava gli animali domestici in generale e Pucci in particolare: quella bestia con la sua semplice presenza lo metteva di pessimo umore. Sapere poi che avrebbe avuto libero accesso alle regali stanze, al salotto, alle poltrone, persino al letto, gli faceva digrignare le zanne.
S’impose di star calmo.
Aveva messo in preventivo di dover inghiottire qualche rospaccio, no? Tra Rubina e Himika, e pure Pucci, ci sarebbe stato di che farlo impazzire… ma doveva pensare al suo vero obiettivo.
La Befana.
Le aveva scritto che avrebbe fatto il bravo, che aveva fatto i buoni propositi e che avrebbe trascorso le feste in famiglia; sicuramente, quella vecchia scema ci era cascata. Ora non doveva far altro che portar pazienza, sopportare…
Himika gli giunse alle spalle, lo abbracciò e lo sottopose a un bacio staccalabbra. Con la coda dell’occhio, il sire scorse Pucci saltare sul divano in velluto e aggiustarsi con le zampotte uno dei pregiati cuscini di seta, acciambellandosi poi voluttuosamente.
Si costrinse a non reagire. Buoni propositi…
Coraggio. La notte del sei gennaio si avvicina.


Link per fare il tifo per il sire: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3060
 
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Seconda parte.


24 dicembre - mezzanotte

Babbo controllò sui suoi appunti, lesse l’elenco dei presenti in casa e i relativi desideri prima di deporre i pacchetti sotto l’albero. Un cannocchiale nuovo per Rigel. Un profumo per Venusia. Un libro di canzoni con testi e accordi per Actarus (“Così mio fratello la pianterà di suonare sempre la solita lagna”, gli aveva chiesto Maria nella sua lettera). Calzini, mutande e canottiere nuove per Alcor (regalo un po’ strano… ma sia Sayaka che Maria si erano espresse chiaramente su questo, a quanto pareva il ragazzo tendeva a non separarsi dai suoi vecchiumi). Camicia su misura per Procton. Braccialetto ultima moda per Sayaka. Orecchini per Jun. Set completo di docciaschiuma-shampoo-deodorante-schiuma da barba-dopobarba per Tetsuya, che lasciato a sé stesso avrebbe usato saponaccio da bucato e alcool, refrattario com’era a qualsiasi tentativo di civilizzazione. Guantoni da boxe per Maria… eh? Babbo lesse e rilesse: sì, Maria voleva proprio quelli. Niente di magari più femminile? C’era: una mazza da baseball. “Per far ragionare quello zuccone di Alcor”. Scherzava, senza dubbio… tuttavia Babbo la depose sotto all’albero con molto timore. Chi restava? Hara? Aveva chiesto della biancheria rossa, peccaminosa e di una taglia con almeno cinque X. Meglio sei. Sospirò, deponendo una scatola che conteneva ettari di guepière scarlatta. Banta? Aveva chiesto un trenino elettrico. Che dolce… nel sacco aveva un modello per bambini piccoli e un altro per più grandicelli, quanti anni aveva il pupo? …Quasi trenta? Agh…
C’erano poi due bambini, questi sì in età regolamentare. Controllò gli appunti: Libro di animali? Acquerelli? Niente videogames, consolle, UII, Nonintendo…? Possibile?
– Un bambino di gusti tradizionali, a quanto pare – brontolò Grigno, che aveva l’importantissimo compito di reggere il sacco dei doni e consigliare Babbo ogni volta che andava in confusione, il che accadeva dannatamente spesso.
– Ma che caro! – Babbo, intenerito, cavò fuori dal sacco il libro e i colori; poi ci ripensò, e al posto della scatoletta con otto pastiglie ne scelse una colossale formato valigetta che oltre agli acquerelli conteneva pennarelli, matite, colori a cera, tempere e gessetti. Aggiunse un enorme album da disegno. Un regalo tradizionale era un evento, andava premiato!
Controllò l’altro bambino: Mineblock? E che era?
– Un gioco di costruzioni – spiegò Grigno.
– E non specifica altro?
– No.
– Ah, bene – e Babbo cavò fuori dal sacco una gigantesca scatola di costruzioni di legno, in blocchi di varie forme, colori e misure. C’erano persino porte, finestre, colonne, comignoli e tegole per costruire una villa patrizia.
– Non sono sicuro che il bambino desiderasse proprio quello – brontolò Grigno, tirandosi pensosamente la barba bianca.
– Ma sì, le costruzioni di legno piacciono a tutti. Sarà felicissimo, vedrai – disse Babbo, fregandosi le mani soddisfatto.
Controllò il risultato finale, prima di scomparire in una nuvola di stelline assieme a Grigno e al sacco.
Ecco fatto. In quella casa, tutti sarebbero stati felici.


25 dicembre

Una specie di ululato scosse Mizar, facendolo saltare sul letto. Un’occhiata all’orologio gli comunicò che non erano nemmeno le sette… ma non avrebbe dovuto alzarsi così presto, era in vacanza… e la sera prima avevano festeggiato, erano andati a letto tardi… che stava succedendo…?
– È Natale! – strillò Shiro, sveglissimo e pieno di energia – Ci sono i regali!
Stavolta, Mizar scattò dal letto e corse col compagno giù in salotto: sotto all’albero di Natale erano accatastati i doni, tutti avvolti in luccicanti carte multicolori.
Shiro non era ragazzo da perder tempo: corse subito a battere sulla porta della camera di Alcor per comunicargli che era Natale.
Un grugnito inarticolato fu la risposta che ottenne.
Shiro provò ad aprire la porta: suo fratello, che lo conosceva bene, aveva chiuso a chiave. Vigliacco.
La porta accanto era quella della stanza di Tetsuya e Jun; Shiro cominciò a pestare sul legno, informando a voce altissima che era appunto il venticinque di dicembre, con quel che ne consegue.
Ne conseguì appunto una parola ben poco natalizia sgridazzatagli da Tetsuya.
– Shiro, è molto presto – osservò Mizar – Non credi che sia il caso di aspettare che…
– Nemmeno per sogno! – e Shiro prese a pestare insistentemente sulla porta di Maria – Ci sono i regali! Non si può aspettare!
La porta si aprì, e apparve Maria: la parola “regali” aveva fatto il suo effetto. Un attimo dopo, erano in due a bussare da Alcor.
Una Sayaka insonnolita apparve sbadigliando sulla porta della stanza che divideva con Maria: conosceva troppo bene Shiro per non sapere quando era meglio cedere subito… e poi l’idea dei regali metteva un certo fervore anche a lei, per cui andò a dare il suo personale contributo di pugni sulla porta di Alcor.
– Ma che succede? – berciò una voce incollerita. Rigel, camicia da notte, calzini di lana e berretto sulle ventitré, era apparso sulla soglia di camera sua.
– È arrivato Babbo Natale! – gridò subito Shiro.
– Che cosa? – improvvisamente sveglio, Rigel provvide subito a destare tutti gli altri: imbracciò lo schioppo e passò personalmente da una stanza all’altra a tirar giù dal letto chiunque non si fosse presentato spontaneamente al suo richiamo, pena una rosa di pallettoni contro la porta.
Quando anche Alcor fece la sua immusonita comparsa, Rigel avrebbe voluto fiondarsi subito a scartar regali, ma fu bloccato da Venusia: Babbo aveva portato dei doni anche per Procton, Banta e Hara, non sarebbe stata cortesia non aspettarli… Forse sarebbe stato meglio aspettare più tardi, quando…
Aspettare? – ululò Rigel – Ma scherzi?
Detto fatto, inviò immediatamente Actarus, ancora in pigiama (“Non star lì a ciondolare a vestirti, non c’è tempo da perdere! Muoviti!”) a prendere la jeep e correre al laboratorio dal professore; quanto a lui, si precipitò in scuderia. Poco dopo era a cavallo sulla strada del ranch dei suoi vicini, in camicia da notte, ciabatte, berretto e schioppo.
Fu così che, non molto dopo, un Procton d’aspetto molto meno inappuntabile del solito si unì al gruppo: era riuscito a vestirsi, ma aveva i capelli in disordine, la cravatta di traverso e i baffi che ricordavano un porcospino spettinato. Apparvero anche Hara e Banta, in pigiamone rosa lei e in tutone azzurra lui, ancora insonnoliti e di pessimo umore: Rigel sapeva essere davvero persuasivo. Specie quando imbracciava uno schioppo.
Davanti ai regali, i musi sparirono: Tetsuya prese signorilmente il suo set da toilette, Alcor un po’ meno mutande e calzini (“Ma che hanno quelli che ho? Non vanno bene? Sono i soliti…” “Appunto!”). Actarus prese a sfogliare con interesse il suo libro di canzoni: non avrebbe mai pensato che i terrestri avessero composto tanta musica! Ne trovò una dal titolo promettente e cominciò a cercare gli accordi sulla chitarra.
– Actarus, devi suonare proprio “Nella vecchia fattoria”? – chiese Venusia.
– Mi sembrava adatta, visto che viviamo appunto in una fattoria… Non ti piace? Vuoi che ne provi un’altra?
– Magari!
– Come desideri – e passò alla successiva, promettente pure lei.
Venusia gemette: I tre porcellini. Nooo…
Jun e Sayaka furono felicissime di orecchini e braccialetto, come lo fu Procton della sua camicia e Rigel del cannocchiale; un po’ meno felici invece i due padri lo furono delle pantofole ricevute dai figlioli, verde pistacchio per Rigel e rosso granatina per Procton. Venusia sospirò davanti a un set completo di padelle antiaderenti, regalo di Actarus, e si consolò col profumo. Maria fece mulinare la mazza da baseball, fissando insistentemente il cocuzzolo di Alcor. Hara mandò gridolini davanti alla guepière color fiamma e se la pose contro le ubertose forme, lanciando occhiate provocanti ai maschi presenti. Mizar rimase senza fiato davanti alla scatola dei colori; l’aprì con mano tremante e rimase immobile in adorazione, non osando nemmeno toccarla. Banta prese subito a controllare se il suo trenino avesse sufficienti binari, scambi e magari anche una stazione.
Un urlo disperato fece sobbalzare tutti: Shiro era scoppiato in lacrime, e balbettava parole sconnesse tra un singulto e l’altro. Subito Sayaka e Jun corsero a confortarlo, ma fu chiaro da subito che la faccenda fosse davvero grave. Disgraziatamente, lo sventurato fanciullo era così sconvolto da non riuscire nemmeno a spiegare il motivo di tanta angoscia.
– Il suo regalo non va bene – disse infine Mizar, che aveva capito.
Tutti lo guardarono: una faraonica scatola di stupende costruzioni in legno. Cos’aveva che non andava?
– Tutto – spiegò Mizar – lui voleva Mineblock.
– E cos’è? – chiese Jun.
– Un videogame.
Altri ragli da parte di Shiro.
Finì come doveva finire, con Venusia che lo portava in cucina a consolarsi con cioccolata calda e biscottini, mentre Alcor, Actarus e Tetsuya cominciavano a discutere su cosa costruire, se il Taji Mahal o la Torre Eiffel.


Sotto l’albero di Natale, decorato con piccoli missili argentei, i pacchetti non attendevano altro che essere scartati. In barba al galateo che avrebbe voluto che prima toccasse alle signore, il sire di Vega abbrancò un pacco che portava il suo nome: il regalo di Rubina. Schiantò la carta in un colpo solo: pantofole, neanche da immaginarsi che fosse qualcosa di diverso… ma fu il colore a farlo agghiacciare.
– È una sfumatura di ocra d’oro – spiegò Rubina.
– Ah sì? Quando King Gori ha la colite, la fa di questo colore – tagliò corto il sire, acchiappando un pacchetto incartato in violaceo e mettendoglielo in mano – Per te.
Rubina scartò il regalo con molta cautela: in genere papino le rifilava armi da distruzione di massa, mitragliette, bombe nucleari da borsetta… nel corso degli anni, coi doni natalizi del genitore aveva potuto crearsi una vera e propria armeria personale che teneva in una specie di bunker, ben chiuso e lontano dalla base, via via, in modo anche da dimenticarsene l’esistenza.
Dalla carta emerse un oggetto oblungo dal manico d’oro incrostato di gemme… sembrava… un pugnale? Lo rigirò tra le mani, perplessa.
– Un gingillino grazioso – le spiegò il sire – È uno stiletto antico, apparteneva nientemeno che alla regina Zamora.
Rubina deglutì. Quella sua antenata aveva una fama decisamente funesta: se non ricordava male, le si attribuivano non meno di nove omicidi grazie ai quali aveva potuto spazzar via gli altri eredi al trono, più almeno altri cinque o sei delitti, dato che i suoi vari mariti avevano sempre avuto vita piuttosto breve. Senza contare le stragi che aveva commesso come regina di Vega. E papino le aveva regalato un oggetto che le era appartenuto? Baah…
– Pensa – continuava intanto il tenero genitore – proprio con questo stiletto qui, Zamora ha tagliato il gargarozzo a non meno di una dozzina di persone…
– Grazie, papino! – tagliò corto Rubina, riavvolgendo in fretta lo stiletto nella carta. Nel bunker, presto! E prima, anche una bella lavata alle mani.
– Per me? – trepidò Himika, mentre il sire le piazzava in mano un pacchetto piuttosto pesante.
– Per te – confermò lui, gettando un’occhiata feroce a Pucci che aveva preso ad annusare con interesse il regalo.
– Oooh! – Himika fremette: sembrava un dono uscito da una profumeria, e piuttosto costosa, anche! Una rara essenza, forse? Yabby faceva il ruvidone, ma in fondo era così caro! E lei che aveva pensato male di lui! Gli tese a sua volta un pacchetto incartato di un rosso passionale.
Il sire stracciò la carta in un istante: un elegantissimo pigiama in seta blu scuro, ottima marca e molto sexy. Yech.
A sua volta, Himika scartò il dono.
Crema antirughe.
In un vaso da chilo.
Un silenzio terribile cadde nella sala; Rubina, che già era disgustata per lo stiletto tagliagole, si disse sgomenta che al peggio purtroppo non c’è mai fine.
Himika fissò il fidanzato: lo sciagurato stava ghignando, evidentemente compiaciuto della propria trovata.
Himika era però Himika, una donna capace di affrontare senza batter ciglio qualsiasi evenienza le fosse piombata addosso… anche perché aveva l’abitudine di prevedere quel che avrebbe potuto accadere e di non farsi quindi trovare impreparata.
Si alzò, uscì con la dignità della vera regina, rientrò poco dopo e senza profferir motto mise in mano a Re Vega un altro pacchetto, di considerevoli dimensioni pure questo.
Un altro regalo? Il sire svolse il nastro e stracciò la carta.
Una confezione king size di “Vigorin – rinfocola la passione appassita”.
Il sire dovette leggere un paio di volte per essere sicuro d’aver capito bene. Scoccò sulla fidanzata un’occhiata fulminante: – Alludi?
– Secondo te? – lo rimbeccò lei, sventolandogli davanti il vaso di crema antirughe.
Il sovrano gettò un’occhiata alla figlia, che aveva l’aria di voler essere dovunque, anche assieme ai coniugi Gandal a far compagnia alla sempiterna zia, ma non lì; aprì la bocca per sbottare, ma gli bastò uno sguardo ustorio di Himika per dirsi che fosse meglio tacere.
Pucci si avvicinò al vaso di crema, lo annusò; Himika aprì il coperchio e il micio diede una leccatina. Degustò, trovò il sapore gradevole e cominciò a darsi da fare a far sparire la crema.
– Se non altro, la bestiaccia non avrà mai le rughe sulla lingua – sbottò il sire.


- Continua -


Link per manifestare dubbi circa i gusti di Pucci: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3060#lastpost
 
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Terza parte


Un po’ stanchi dato che quella notte avevano dormito pochino, ma comunque euforici, Zuril e Gudrun sedettero sul tappeto in salotto disponendosi a scartare i rispettivi doni natalizi.
Trovandosi tra le mani un involto in carta metallica azzurra, Zuril provò a saggiarlo con metodo scientifico: morbido, non rumoroso, non troppo pesante… a scuoterlo, non si sentiva nulla.
Lo aprì: un maglione in morbida lana azzurro/verde a disegni bianchi di tipo finlandese che rivelava una notevole capacità da parte di Gudrun. Chissà quanto aveva impiegato per farlo… zittì il computer oculare che stava per fornirgli gelidi, precisissimi dati, e tese a Gudrun il proprio pacchetto, piccolo, incartato in vivido rosso.
Col fiato sospeso, Gudrun aprì il regalo: un ciondolo in oro con la catenina abbinata, con incastonata una pietra trasparente che non conosceva, d’uno scintillante rosa cangiante. Bastava un cambio di luce perché apparisse di una qualsiasi sfumatura tra il bianco rosato e lo scarlatto acceso… una gemma che non poteva certo conoscere, perché proveniva da Deneb – esattamente come certi dolcetti dagli sgradevoli effetti collaterali; ma quelli, Zuril non intendeva certo farglieli conoscere.
Lei rimase senza fiato, fissando la pietra.
Zuril la guardò: Gudrun continuava a stare lì, lo sguardo sulla gemma.
Lui ebbe un attimo di smarrimento: su Vega, sarebbe stato considerato un monile spettacolare e di grandissimo pregio (respinse immediatamente inopportuni pensieri circa il conto che aveva saldato al gioielliere), ma forse per il gusto terrestre era… inadeguato?
– Non… ti piace? – chiese, preoccupato.
Gudrun lanciò una specie di ululato e gli saltò al collo, tempestandolo di baci.
Finirono entrambi sul tappeto.
Le è piaciuto, si disse Zuril; poi, i suoi pensieri si fecero fortemente incoerenti.


Parecchio più tardi, Gudrun si mise ai fornelli: erano entrambi piuttosto affamati; del resto avevano avuto un notevole consumo di calorie, così almeno il computer oculare di Zuril aveva definito l’intensa attività fisica degli ultimi giorni.
Mentre lei era occupata a controllare arrosto e patate in forno, Zuril si guardò in giro: come avrebbe potuto rendersi utile? Vide che la pattumiera era piena, per cui chiuse il sacco sostituendolo con uno nuovo e si mise giacca e stivali: il cassonetto dei rifiuti era in fondo alla strada innevata, una boccata d’aria l’avrebbe presa volentieri.
Uscì.
Tornò pochi minuti dopo, con in mano un qualcosa di scuro… una specie di batuffolo che piangeva… un micino nero dagli occhietti gialli.
– Era nella spazzatura, chiuso in un sacchetto – sbottò Zuril, schifato.
Perché sì, lui poteva anche essere un gelido scienziato deciso a sterminare il genere umano, questo non lo negava di certo: ma mai e poi mai avrebbe maltrattato un cucciolo.
Gudrun si sciolse di tenerezza: prese in braccio il piccolo, massaggiandogli il pelo gelato. Al collo portava ancora un nastro rosso: un regalo di Natale poco gradito, evidentemente.
Benissimo: loro lo apprezzavano, invece.
Scambiò un bacio con Zuril, mentre il micino smetteva di piangere e cominciava a giocare con la pietra scintillante che lei aveva al collo.


Nel suo piatto campeggiava un’enorme fetta di filetto arrosto di cernuacchio pleiadiano, sugosa e fragrante: un profumino appetitoso gli s’insinuò nelle narici. Ora, per chi proprio non lo sapesse il filetto di cernuacchio pleiadiano, alto, morbidissimo e dal gusto delizioso, era considerato in assoluto uno dei migliori piatti della gastronomia interplanetaria dell’Impero di Vega; ovviamente era pure costosissimo, per cui il sire stesso se lo permetteva di rado… a Natale appunto – anche per digerire meglio figlia e fidanzata, che senza badar troppo alla meraviglia posata nei loro piatti stavano continuamente cicalando tra di loro.
Nemmeno il sire era tanto maleducato da arrotare forchetta e coltello, ma quella volta fu sul punto di farlo. Grande appetito e piatto squisito: un’accoppiata vincente che metteva di buon umore persino lui. Senza por tempo in mezzo partì all’assalto dell’arrosto…
Accanto a lui, sulla tovaglia immacolata apparve un naso rosa. Poi del pelo rosso. Quindi due occhioni verdi, intensissimi, che fissavano la carne con straordinaria attenzione.
– Che carino, ha fiutato il filetto! – esclamò Himika.
– Carino un accidente! – sbottò il sire – Non vorrai dare il cernuacchio pleiadiano a quella bestia, mi auguro!
– Papino, non chiamarlo così! – rimproverò Rubina – Sai che Pucci non lo sopporta!
– Beh, io non sopporto lui, e così siamo pari! – e il sire, tagliato un boccone di carne, se lo mise ostentatamente in bocca.
I baffi di Pucci fremettero, mentre gli occhi scintillavano come fanali.
Cuor di mamma, Himika tagliò un pezzetto dalla propria porzione e lo tese al gatto; niente da fare, il micio aveva puntato quello di Re Vega. A suo parere, una porzione di filetto doveva arrivargli proprio dal sire, come dono di pace.
– Yabby, devi darglielo tu – disse Himika.
– Cosa?
– Un pezzettino di carne.
– A quell’animale?
– Conosco Pucci: gli basterà un assaggio.
– Nemmeno per sogno!
– Non capisci? Vuol fare amicizia con te, e se tu gli darai un bocconcino, anche minuscolo…
– Non sprecherò per quella bestia il mio prezioso filetto di cernuacchio! Ma siamo impazziti?
– Prova a dargli questo che ho tagliato io, forse si accontenterà…
– No!
Pucci emise un mugolio. I baffi si afflosciarono, mentre gli occhi si facevano immensi e luccicanti.
– Guardalo, poverino! – si commosse Rubina – È tanto triste perché crede che tu non gli voglia bene…
– Crede giusto! – e Re Vega si dispose a tagliare un altro boccone di filetto.
– Yabby, come puoi essere così insensibile?
– Papino, ti prego! Guarda come è triste, poverino…
– Poverino un corno! E fatela finita, una buona volta! – sbottò il sire, dando una zampata sul tavolo.
Ovviamente, centrò il bordo del piatto.
Altrettanto ovviamente, il filetto decollò, prese quota, planò e infine atterrò sul pavimento proprio davanti a Pucci.
Mentre il gatto era impegnatissimo a far sparire la carne, Himika e Rubina ebbero motivo di rimproverare il sire per il linguaggio con cui aveva commentato l’evento: triviale, del tutto inadatto alle gentili orecchie di signore.


Mano nella mano, Gudrun e Zuril osservavano compunti il micino, intento a liquidare un’abbondante pranzetto a base di carne arrosto.


– È pronto! – annunciò Jun, affacciandosi alla porta della sala.
In genere, quelle due semplici parole scatenavano una vera e propria corsa alle sedie da parte dei maschi presenti: troppo occupati ad ultimare Buckingham Palace, Actarus, Tetsuya ed Alcor non si mossero dal pavimento. Ci volle tutta la buona grazia di Rigel per convincerli a lasciare il loro lavoro (“Insomma! Ho fame! Volete muovervi?”).
Il pranzo fu un successo: i piatti erano deliziosi, la compagnia affiatatissima. Unico a mugugnare fu naturalmente Shiro, ancora seccato per il regalo ricevuto; gli altri invece si godettero le portate e le amichevoli chiacchiere.
Fino al dolce, almeno: perché improvvisamente tutti ricordarono che secondo Rigel il pomeriggio di Natale va trascorso gorgheggiando lieti canti natalizi. Minacciosissimi Bianchi Natali incombevano sul loro futuro.
Fu subito uno scambiarsi occhiate con Venusia: forse lei aveva trovato il modo di far sparire la scatola con campanelle e musiche natalizie? Ovviamente, senza tali materiali non era possibile cantare.
Venusia assunse un’aria di scusa: aveva cercato disperatamente la scatola, ma papà aveva provveduto a nasconderla.
Raggelati, gli ospiti guardarono Mizar, che si strinse nelle spalle: niente nemmeno lui, papà era stato troppo furbo e aveva trovato un nascondiglio davvero valido.
Un’ondata di gelo percorse la tavolata fino a un attimo prima tanto serena: niente da fare, quell’anno non sarebbero riusciti a scamparla.
Fu allora che ci si accorse improvvisamente di qualcosa cui nessuno fino ad allora aveva badato: Alcor e Tetsuya apparivano stranamente calmi, anzi, avevano un’aria… come dire… complice? Invece di litigare come al solito, quei due sembravano in perfetta sintonia. Mah.
Oltretutto si erano seduti ai lati di Rigel, che a capotavola stava disfando un’enorme fettona di dolce… un Rigel particolarmente allegro e ciarliero, anche perché decisamente alticcio, visto che i due avevano provveduto durante tutto il pasto a riempirgli il bicchiere non appena veniva vuotato. L’aperitivo… il vino bianco… il rosso… lo spumante… un’abbondante dose di saké, poi un amaro digestivo che aiuta a mandar giù tutto…
Rigel crollò sul piatto e prese a russare, beato.
Alcor e Tetsuya si strinsero la mano.
Ecco fatto. Quell’anno, non ci sarebbero stati cori ad assassinar loro il Natale.


31 dicembre

La sera del Capodanno non presentò particolari momenti degni di nota.
Sulla Terra, al ranch tutti stavano ridendo e festeggiando in attesa della mezzanotte; Maria aveva messo dei dischi sull’antico stereo di Rigel e ora varie coppie si erano messe a ballare: lei e Mizar, Sayaka e Procton (Alcor, snobbato e immusonito, brontolava in un angolo assieme a Shiro e Banta), Tetsuya e Jun, persino Venusia era riuscita a farsi pestare i piedi da Actarus, che ballava con la disinvoltura di un aggraziato orso… poi giunse Hara, che acchiappò Rigel costringendolo a danzare un infuocatissimo tango.
Mezzanotte fu salutata dal saltar di tappi di spumante, e fu poi tutta una processione sotto al rametto di vischio – e quando Hara riuscì ad abbrancare e sbaciucchiare Procton, una volta tanto non così compassato, fu tutto un flash di telefonini.
Mentre il professore si svincolava dai tentacoli che l’avevano abbrancato, attorno a sé non vide che volti che irradiavano innocenza… vigliacchi.
Fu Hara stessa a vendicarlo, perché ovviamente pretese di trascinare sotto al vischio sia Tetsuya che Alcor, tenendosi come dulcis in fundo il suo amatissimo Actarus.
Grandi risate da parte delle fanciulle presenti; ma allora fu Banta a farsi avanti, e nessuna fu risparmiata: non la scampò Jun, troppo beneducata per protestare, e nemmeno Venusia e Sayaka, che avevano provato invano a defilarsi. Maria, che aveva tentato di approfittare della sventura altrui per guadagnare l’uscita, fu acchiappata, trascinata sotto al vischio e sottoposta a un romantico bacio con risucchio e schiocco finale che la lasciò senza fiato.
Le sventurate vittime si guardarono con aria mesta, ripetendosi mentalmente che il mezzo gaudio lo si ottiene dalle sventure condivise; quanto a Banta, si versò un’abbondante dose di spumante. Urlo accorato di mamma, preoccupata per la salute del suo cucciolo: tutto quell’alcool…!
Senza badarle, Banta vuotò il calice: una volta tanto, l’aveva avuta vinta lui. Se non era questo il momento di celebrare…


Nella lontana Baviera, Zuril e Gudrun si scambiarono un bacio sotto al vischio, alzarono i calici, brindarono… e poi rimasero incantati a guardare il micino nero che dormiva beato sul letto, in mezzo a loro.


- Continua -


Link per... beh, fate voi: #entry616718776
 
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Yabby vs. Befana scontro finale (fino al prossimo).


5 gennaio – notte

Asserragliato nella Sala Comando deserta, come unica compagnia le calze appese sotto al megaschermo, il sire di Vega fissava con occhio iniettato di sangue il monitor: ancora nulla… ma prima o poi i sensori gli avrebbero segnalato…
Guardò ancora le calze: la sua, purpurea, quella in pizzo rosa di Himika, quella velata turchese di Rubina, poi quella rossa di Gandal, quella nera a rete di lady Gandal e il calzerotto blu di Hydargos. Se tutto andava come doveva, presto sarebbero state colme di doni.
Un improvviso cicalino: un oggetto in avvicinamento.
Catturò l’immagine proiettandola sul megaschermo: una sagoma inconfondibile, un po’ curva sotto al peso di un grande sacco che portava in spalla… una vecchia su una scopa. Befana.
Il sire di Vega ghignò: quanto aveva aspettato quel momento! Pensare che aveva dovuto scrivere quella maledetta lettera in cui si era umiliato (lui!), in cui aveva persino detto d’aver fatto i buoni propositi per l’anno nuovo! Pensare che per tutte le feste si era sciroppato quelle lagne di figlia, fidanzata e relativo dannato gatto… ma la vendetta era vicinissima! Vendetta inaspettata, colta a freddo, per cui ancora più deliziosa!
Vedrai che sorpresina ho in serbo per te, vecchiaccia! Te la farò pagare per tutto!
Ignara, Befana si avvicinava con i suoi dolci e i suoi doni. Adesso poteva vederla chiaramente: era proprio lei, non c’erano dubbi! Pochi minuti, e nello spazio si sarebbero sparpagliati atomi di vecchia carogna.
Ti farò secca, Befana; ma prima voglio che tu porti i doni. Pensa un po’ che scherzetto: prima ti faccio saltare, e poi mi godo il regalo che tu, stupida sentimentale come sei, mi hai portato dato che sono tanto, taaanto pentito. Sarà divertentissimo… PER ME, cioè.
La Befana ormai era vicinissima: oziosamente, Re Vega si chiese come avrebbe fatto a scendere nella base che, com’era notorio, era carente in fatto di comignoli. Se non altro, vedere la vecchia in azione sarebbe stato interessante.
Sempre più vicina, più vicina… poteva vederla bene, benissimo, fino all’ultima ruga.
Una nube di stelline multicolori l’avvolse all’improvviso, e subito altre stelline apparvero in Sala Comando, attorno alle calze appese… un lieve suono di campanellini…
All’improvviso fu silenzio, e le stelline scomparvero. Le calze apparivano gonfie, ora. La vecchiaccia aveva fatto il suo dovere.
Corse a controllare: piene! La sua sembrava contenere un grosso oggetto… una scatola rossa chiusa con un fiocco d’oro. Allora gli aveva davvero portato il regalo! Vecchia ingenua, quanto era stupida!
Tornò alla sua postazione: sul megaschermo, una sagoma curva su una scopa si allontanava nel blu dello spazio stellato.
Re Vega mirò accuratamente; poi batté il pugno sul tasto.
Un missile speciale al vegatron triplo-rinforzato fulminattivo partì, centrando in pieno la figuretta esile sullo schermo.
Un’esplosione di luce devastante, una cascata di scintille radioattive… e sullo schermo non vi fu più nulla che volava nello spazio.
Ecco. Meglio dei botti di Capodanno!
Re Vega perse a quel punto ogni regale dignità, e improvvisò una danza selvaggia.
La vecchiaccia era crepata.


6 gennaio

Nel regio salotto, l’atmosfera era lugubre.
Nonostante avesse trovato nella sua calza turchese una trousse da trucco con le nuances di colore più in voga, Rubina aveva gli occhi lucidi e la voce che le tremava: – N-non posso credere che tu l’abbia fatto ancora!
Himika tolse svogliatamente dalla sua calza di pizzo rosa il suo regalo: un flacone di Hard Passion, un profumo lussurioso e costosissimo all’ultima moda, e lo mise da parte scuotendo il capo: – Colpire la Befana…!
Anche in Sala Comando il clima era cupo: nonostante i regali ricevuti (un videogame sparaspara per Gandal, raffinata lingerie di pizzo fucsia per lady Gandal e una bottiglia di ottimo Sputafuoco Argiliano per Hydargos), i musi erano lunghi. La Befana abbattuta… un’ondata di tristezza sembrava aver coperto l’intera base Skarmoon.
– La Befana abbattuta, sì! – confermò Re Vega, cacciando con malgarbo Pucci dalla sua poltrona preferita e accomodandovisi con soddisfazione – E stavolta, non c’è stato scampo per la vecchiaccia! Un missile di ultima generazione al vegatron triplo-rinforzato fulminattivo non perdona!
– Ma la Befana… – cominciò Rubina.
– La Befana ora non è che pulviscolo nello spazio! – concluse il sire, prendendosi sulle ginocchia la scatola incartata in rosso che aveva trovato nella sua calza.
– Mostro! – scattò sua figlia – L’hai uccisa, e ora apri il suo regalo!
– Certo che l’apro! Che dovrei farne, secondo te? Gettarlo via?
– Aspetta – disse Himika – prima di scartarlo, non sarebbe il caso…
Con dita impazienti, Re Vega sciolse il fiocco, strappò via la carta colorata, aprì il pacco…
Un getto di polvere grigiastra lo colpì in piena faccia, intasandogli naso, occhi, bocca e persino aguzze orecchie.
– … di controllare il contenuto con l’analizzatore? – completò Himika, esasperata.
Re Vega starnutì violentemente.
Il primo di una lunga serie.


– Polvere per starnutire? – chiese ansiosamente Himika.
– Sì, il veicolo è stato quello – rispose il dottore – Ma la polvere per starnutire non è nulla di preoccupante. Il problema sono i virus con cui era stata infettata.
– Virus? – trepidò Rubina.
– Bubbonite crostolosa di Altair. Malattia contagiosissima. Il paziente dovrà restare del tutto isolato per l’intero periodo infettivo… anche se consiglierei vivamente la quarantena fino alla totale guarigione.
Himika scambiò uno sguardo con Rubina, prima di porre la tremenda domanda che assillava entrambe: – È grave?
– No, affatto. Il problema è appunto l’altissimo livello infettivo. Il paziente rimarrà confinato in una stanza e potrà comunicare solo via schermo. Il robodomestico che si occuperà delle pulizie verrà sterilizzato ogni volta, e i medici che andranno a visitarlo potranno farlo solo indossando speciali tute protettive. Niente visite… ma potrete usare i comunicatori, naturalmente. A proposito, la polvere si era sparsa sul pavimento, per cui ho già provveduto a far disinfestare l’appartamento reale.
– Oltre a noi – disse Rubina.
– E a Pucci – sospirò Himika. Il micione era stato sottoposto a un bagno medicato e a una successiva sterilizzazione della pelliccia… non aveva affatto gradito. Le tappezzerie e i cuscini del regio salotto, e pure gli inservienti addetti al Reparto Decontaminazione, recavano evidentissime tracce del suo disappunto.
– La disinfezione era necessaria, signore, voi e il gatto eravate presenti al momento dell’apertura del pacco; fortunatamente non siete state colpite dal virus, e abbiamo potuto praticarvi la necessaria profilassi. Per il sovrano, purtroppo, non c’è stato nulla da fare. Un vile attentato, se posso permettermi.
Niente che non si sia andato a cercare, risposero gli eloquenti occhi delle due donne.
– Scusate – disse Himika, ponendo la domanda che più le premeva – ma questa… bubbonosi…
– Bubbonite crostolosa di Altair, Maestà.
– Bene, questa bubbonite… in cosa consiste?
– Essenzialmente, bubboni in tutto il corpo… e intendo in qualsiasi parte del corpo, in particolare vicino a bocca, orecchi e... hm… qualunque altro orifizio.
– Ugh – gemette Rubina.
– Bubboni… grossi? – chiese Himika, la voce tremante.
– Grossi e fastidiosi, Maestà. Successivamente si forma una sorta di crosta che si secca, e allora subentra un prurito intollerabile. Non bisogna però grattare, o il bubbone potrebbe esplodere, infettarsi e causare febbri anche molto elevate.
– E questa non sarebbe considerata una malattia grave? – esclamò Rubina.
– Basta non grattarsi, Altezza – spiegò il medico, serafico – Comunque si può alleviare il prurito spalmando il paziente con pomate specifiche. Se proprio dovesse grattarsi e far esplodere il bubbone… beh, posso assicurarvi che la faccenda è davvero sgradevole. Infatti, non ho mai visto un paziente grattarsi un bubbone per la seconda volta.
– Capisco – Himika inghiottì, riprese fiato – E a parte i bubboni… c’è altro?
– Tosse, mal di gola, un po’ di febbre, cefalea… una sorta di raffreddore continuo, per tutta la durata della malattia.
– Che sarebbe…?
– In genere, i pazienti in un paio di mesi se la cavano.
– Vuol dire… un paio di mesi d’isolamento? – gemette Himika, il cui tenero cuore di fidanzata sanguinava alla sola idea di una sì lunga separazione.
– Assolutamente. Si tratta di una malattia contagiosissima, in pochi giorni in questa base ci sarebbe un’epidemia totale.
– Avete ragione. Non possiamo rischiare – tagliò corto Rubina. Un paio di mesi senza papà tra i piedi! Fantastico.
– Giusto – dovette ammettere Himika, troppo razionale per non capire – Fate quel che è necessario, dottore.


Chiuso nella sua stanzetta con bagno annesso, il pigiama azzurro addosso, il corpo macchiettato dalla pomata verdastra con cui gli avevano spennellato i bubboni, il sire di Vega masticava amaro… o meglio, masticava di mala voglia una pappetta scipita che gli avevano portato come pranzo, e che, con la sua gola irritata, faticava parecchio a mandar giù. Una seconda pappina gli faceva da secondo, e per dessert aveva una immonda sbobba a base di frutta, addizionata con vitamine. Unica compagnia, un robottino che si aggirava per la stanza continuando a spruzzare disinfettante ovunque lui avesse toccato o calpestato. L’aria era tutta un miasmo insopportabile (“Aerosol decontaminante, così respirerete meglio, Sire”). Non poteva star sdraiato, perché i bubboni lo tormentavano. Non poteva camminare, perché i bubboni sotto ai piedi erano una tortura inenarrabile. Non poteva star seduto se non sull’orlo della poltroncina, perché i bubboni alle parti basse lo facevano morire… e lasciamo perdere cosa significava andare in bagno, dato che i maledetti bubboni sembravano essersi concentrati proprio nelle zone meno parlamentari del suo corpo.
Due mesi recluso lì dentro… almeno non avrebbe avuto Himika a tormentarlo con coccoline e carezzine, e gli sarebbe bastato chiudere il comunicatore per non sentire le sciocchezze sue e di Rubina.
Avrebbe potuto andarmi peggio, si disse il sire di Vega, che a dispetto di quel che si può credere di lui, sapeva essere molto filosofo. In effetti, tappare il comunicatore in faccia a Himika che gli parlava tutta trilli e gorgheggi era pur sempre un piacere.
Due mesi di reclusione…
Si spostò meglio sulla poltroncina, in modo da non irritare troppo un bubbone particolarmente molesto che gli era spuntato in piena area di rigore.
Mi avrai conciato, lo ammetto, ma almeno ti ho fatto fuori, dannata vecchia!!!
Proprio allora, suonò il cicalino dell’intercom: il dottore, col suo insopportabile tono giulivo.
– Allora, come andiamo, oggi?
– Male! – ruggì il sire.
– Ho una bella notizia per voi! Guardate! – l’immagine del medico scomparve, lasciando il posto allo spazio stellato… un’inconfondibile figura seduta su una scopa. Sui pinnacoli della base Skarmoon. A tutta velocità.
Befana.
– Non è meraviglioso? – esclamò il dottore, mentre il sire si azzannava con rabbia una mano (esplosione di un bubbone, dolore atroce, immediato intervento del robottino col suo spruzzatore di disinfettante).
– Maestà, non si fanno scoppiare i bubboni! – ammonì il medico, col tono con cui avrebbe rimproverato un bimbo cocciuto.
– Mvffnklhhh! – mugolò poco regalmente il sovrano. Il disinfettante bruciava parecchio.
– Comunque, la Befana sta bene! Una bellissima notizia, no? L’intera base sta festeggiando!
Il sire digrignò le zanne, fissando la figuretta sulla scopa che, dopo un ultimo giro della morte proprio sulla Sala Comando, sfrecciava via nel vuoto siderale.
Il sire ricadde sulla sua poltroncina (fitta ai bubboni su schiena e fondoschiena). La mano gli faceva un male da impazzire. Due mesi di malattia… bubboni… e Befana sana e salva. Dannata vecchiaccia… che altro avrebbe potuto capitargli, di peggio?
La porta scivolò di lato: un medico con addosso la solita tuta protettiva?
Re Vega si voltò: occhi verdi beffardi, folta pelliccia rossa… Pucci.
– Una sorpresa per te, amore! – trillò all’intercom Himika – Abbiamo contattato Zuril, che ci ha assicurato che i gatti deraniani sono del tutto immuni alla Bubbonite Crostolosa di Altair. Rubina ed io abbiamo pensato che Pucci ti avrebbe fatto compagnia. Non è stata una bella idea?
Il sire si accasciò sulla poltroncina, mentre il gatto prendeva ufficialmente possesso del suo letto.
Ecco. Immancabilmente, il peggio era arrivato.


7 gennaio

– Ma come hai fatto a salvarti? – chiese Babbo, mentre Befana gli porgeva la sua tazza di cioccolata con panna.
– Immaginavo che la vecchia canaglia volesse giocare sporco – rispose lei, servendosi di un biscottino – per cui ho preso le mie precauzioni. Intanto, ero sicura che non mi avrebbe colpita mai prima che gli portassi il regalo…
– Cinico individuo! – esclamò Babbo, sconcertato – Chi l’avrebbe mai immaginato capace di tanto?
– Io – rispose Befana – Ecco perché nel sacco mi ero portata un manichino vestito come me, una scopa simile alla mia e un drone che facesse volare il tutto…
– Un drone?
– Un drone, sì. Volevi che sprecassi la mia scopa magica?
– Ma… è una macchina… farla funzionare è difficile…
– Avevo letto le istruzioni, Babbino – gli fece presente lei; lo vide angosciato alla sola idea e sbuffò: – Insomma, sappiamo che tu sei il solito imbranato che si spaventa con la tecnologia! Ricordi come ci sei rimasto male, quando al posto delle tavolette d’argilla hai cominciato a ricevere i primi papiri? E le pergamene, poi! Quando hanno inventato il francobollo, sei rimasto sconvolto.
– Per me è troppo – gemette Babbo – Allora, sei andata alla base…
– Sì, ho messo i regali nelle calze e ho fatto partire il drone con scopa e manichino. Il fetente ci è cascato e ha sparato la sua bomba; a quel punto sono scomparsa e me ne sono andata via senza essere vista.
– E gli hai lasciato il… ehm… regalo.
– Ci teneva tanto – sorrise Befana.
Babbo intinse un biscottino nella cioccolata, lo mise in bocca… un’idea molesta lo colse: – Befana, tu gli avevi preparato il regalo alla Bubbonite.
– Malattia non grave, ma dannatamente fastidiosa – specificò lei, soddisfatta.
– Il punto è un altro. Tu avevi preparato il regalo punitivo…
– Non se lo meritava, forse?
– Sì. Ma se invece si fosse comportato bene?
– Non l’ha fatto.
– Ma, ragionando per assurdo, se l’avesse fatto? Se non avesse cercato di ucciderti? Se davvero fosse stato pentito?
– Non lo era.
– Ma avrebbe potuto esserlo! E tu gli avevi portato quel… regalo! Ti pare giusto?
– Babbino, piantala con gli scrupoli. Sapevo che era una trappola, e ho agito di conseguenza.
– E se non fosse stata una trappola? Come avresti giustificato il regalo alla Bubbonite?
Befana si permise un ghigno malefico: – Scherzo di Carnevale anticipato? Capiterebbe a proposito, dato che quando la Bubbonite guarirà sarà appunto Carnevale. Falla finita, Babbino: se l’è meritato. Vuoi un altro biscottino?


FINE



Link per simpatizzare col bubbonoso sire di Vega: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3075
 
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Quattro puntate di ff particolarmente scema, scaturita evidentemente dal gran caldo.


CHE BARBA…!


C’era una cosa che Yabarn, sire di Vega, proprio non sopportava: le telecomunicazioni con Sua Maestà Himika, la regina Yamatai cui era, molto suo malgrado, fidanzato.
Ancora peggio era quando lei gli preannunciava una sua imminente, e inevitabile, visita: trovarsi attorno l’appiccicosa femmina per il sovrano era davvero una dura condanna.
Esisteva però anche il peggio del peggio: ed era quando lei portava in visita anche il suo micetto Pucci, ventisette chili di pelo rosso, occhi verdi, denti e artigli. Se Re Vega mal tollerava Himika, Pucci non lo reggeva proprio; e quel giorno era appunto accaduto il peggio del peggio.
Sapendo d’avere fidanzata e bestiaccia rossa nel suo immediato futuro, Re Vega spense il comunicatore con un pugno, prorompendo in esclamazioni invero per nulla regali.
Himika tra i piedi! E pure il suo dannato gattaccio…!
Sofferte esperienze passate avevano insegnato al sire di Vega a trattare con un minimo di riguardo Pucci: un animale taglia lince, dotato di zanne ed artigli e che non si faceva troppi problemi ad usarli, meritava un certo rispetto.
Himika però era un’altra faccenda. Certo, si trattava pur sempre di una donna alta, energica ed armata di bipenne d’argento, ma era solo una donna appunto, e il maschilista sire di Vega era troppo imbufalito per riflettere.
Doveva fargliela pagare, e aveva già idea di cosa volesse combinarle.
Fece per convocare Zuril ma si arrestò con la mano a mezz’aria, senza premere il pulsante del comunicatore.
No, un momento.
Per incomprensibili motivi, il Ministro delle Scienze aveva sempre dimostrato simpatia e deferenza verso quella strega di Himika; Pucci, poi, godeva di tutta la sua ammirazione. Non avrebbe accettato mai di rendersi complice del perfido scherzo che aveva appena architettato… no.
Dantus! Ecco il candidato ideale: devoto e sempre pronto ad obbedire, privo di scrupoli, l’uomo era inoltre un ottimo chimico. Perfetto.
Poco dopo, un Dantus particolarmente ossequioso veniva introdotto nelle regali stanze.
– Mi volevate, Maestà? – chiese, inchinandosi.
– Certo. – il sire gli fece cenno d’avvicinarsi e, a voce bassa, gli spiegò dettagliatamente cos’aveva in mente.
– Agli ordini, mio sire – disse infine Dantus; si sprofondò in un inchino e strisciò via, andando ad asserragliarsi nel proprio laboratorio.
Lavorò senza fermarsi praticamente mai: pasti, riposo… niente! Il sire aveva detto che voleva essere accontentato subito, e Dantus sapeva bene che deluderlo avrebbe significato un biglietto d’ingresso per la Sala Torture.
Fu quindi un Dantus affamato, sfinito, distrutto dalla fatica ma trionfante quello che si presentò al regale appartamento portando in mano un contenitore ermeticamente chiuso.
– È quel che ti ho chiesto? – domandò Re Vega.
– Certamente – Dantus aprì il contenitore, cavandone un elegante vasetto di vetro a forma d’anfora, colmo di crema candida. Un’etichetta dagli svolazzanti caratteri dorati ne indicava il contenuto: “Crema idratante – restitutiva – agli ormoni”.
– Geniale! – esclamò il sire – Nessuna stupida donna può resistere a una crema di bellezza!
Dantus ricordava ancora molto bene in qual guisa la regina avesse accolto lo scorso Natale il dono di una crema antirughe, ma ebbe la saggezza di star zitto.
– E funziona? – chiese il sovrano, rigirandosi il vasetto bianco e oro tra le mani.
– Infallibilmente, sire – rispose Dantus – Basta un velo di crema. Effetto garantito.
Il sire ghignò, deponendo il vasetto sul cassettone di camera sua: – È la prima volta che non vedo l’ora che Himika arrivi!


Allontanandosi dal regale appartamento Dantus non notò Hydargos, che silenzioso come un’ombra gli scivolava dietro alle spalle e che lo seguì fino a che non lo ebbe visto chiudersi nel laboratorio.
– Allora? – chiese poco dopo lady Gandal.
– Ha avuto un incarico da Re Vega – rispose Hydargos – Ma non sono riuscito a sapere di cosa si tratti.
– Non mi piace – disse lady Gandal – Dantus ha un pessimo influsso sul nostro sovrano… ogni volta che si consiglia con lui, il nostro povero sire si mette sempre nei guai. Davvero, non hai nemmeno idea di cosa si siano detti?
Hydargos scosse il capo: – Mi spiace.
– Dantus parla col sovrano e non sappiamo di che… sono molto preoccupata.
– Sciocchezze! – intervenne improvvisamente Gandal – Non sei preoccupata, sei solo divorata dalla curiosità di sapere gli affari personali del nostro sovrano!
– Non è vero! Sono solo giustamente in pena per lui!
– No, sei solo la solita pettegola!
– Dantus è un idiota maligno, e il nostro povero sire è così ingenuo, così fiducioso, così candido…
– Ancora un po’ ne fai un angioletto! – sbottò Gandal.
– Oh, piantala! – ordinò la signora – Hydargos, dobbiamo salvare il sire da sé stesso. Occhi e orecchie spalancate: dobbiamo sapere tutto.


Nonostante fosse reduce da un peccaminosissimo week end in compagnia di uno splendido esemplare di sesso maschile, la principessa Rubina non mostrava la consueta amabilità: anzi, diciamo pure che appariva come se avesse avuto un mostriciattolo radioattivo per ciascuno dei suoi rossi capelli.
Il fatto è che era andato tutto malissimo. Erano appena partiti, direzione Nereis 4 con le sue spiagge dalle sabbie azzurre, che la navetta si era guastata lasciandoli in panne nello spazio profondo; il soccorso era arrivato dopo un tempo d’attesa vergognoso, e ancora più oltraggioso era stato il conto del meccanico. In più, l’albergo si era rifiutato di restituire la pingue caparra “Avete dato la disdetta troppo tardi”.
“Ma abbiamo avuto un incidente…”
“Siamo desolati per voi, ma le nostre regole sono queste e non ci permettono alcuna deroga”.
A questo punto, lei non ne aveva potuto più. Non le piaceva fare la figlia di papà, ma quando è troppo è troppo: “Ma io sono la principessa Rubina!”
“Lo sappiamo, Altezza” era stata l’adamantina risposta “Questo è l’unico motivo per cui non vi chiediamo di pagare l’intera somma. Speriamo che apprezziate il nostro riguardo”.
Rubina aveva troncato la conversazione esplodendo in una parola invero poco principesca che avrebbe fatto rizzare la barba al paparino. Proprio allora il fustacchione, che pur essendo invero decorativo fino a quel momento aveva brillato per la sua assoluta inutilità, aveva pensato bene di mostrare quale fosse il suo vero talento: la lamentela. La vacanza rovinata… i soldi persi (pagava lei, ma l’argomento lo ispirava ugualmente)… il guasto… il conto… una lagna tale da far sì che Rubina gli avesse chiesto, poco gentilmente bisogna dire, di piantarla.
Il che gli era andato benissimo, perché ebbe così nuovi argomenti di lamentela: lei lo trattava male… lui non se lo meritava… com’era sfortunato… eccetera.
Rubina aveva dovuto ricorrere a tutto il suo augusto autocontrollo per non espellerlo nello spazio; ecologista convinta, rifuggiva alla sola idea di inquinare il cosmo con una simile scoria tossica. Non appena la navetta fu in grado di ripartire, s’affrettò comunque a sbarazzarsi di lui riportandolo laddove l’aveva trovato, e tornò verso Skarmoon cancellando mentalmente il nome del tizio. Favoloso, ma insopportabile.
Era dunque una principessa molto stanca e nervosa quella che puntò al proprio alloggio: tutto quel che desiderava erano una doccia a ultrasuoni, un cambio di biancheria e una dormita di almeno dieci ore.
Fu comprensibilmente contrariata, quindi, nel constatare che la porta della sua abitazione non dava segni di vita.
Usò il telecomando: nulla. Forse si era scaricata la batteria… doveva essere così, senz’altro.
Compose il codice personale: niente.
Riconoscimento vocale? Zero.
Tentò anche il riconoscimento del viso, delle impronte digitali, della retina… nulla.
Guasta. Non c’erano altre parole.
Stavolta, l’esclamazione che proruppe dalle coralline labbra di Sua Altezza avrebbe fatto sussultare anche Hydargos, che in fatto di termini gergali poteva dare dei punti a qualsiasi elemento della bassa forza.
Chiamò subito la sezione tecnica, e nel giro di pochi istanti il capo ingegnere in persona stava esaminando la sua porta. Almeno su Skarmoon, non per nulla si era la Principessa Imperiale…
– Cosa non funziona? – sospirò Rubina, che ormai era nello stato d’animo di chi sa di non poter nulla contro il Fato.
– Si è guastato il microchip globulare – spiegò il tecnico, e si sarebbe sicuramente prodotto in una dettagliata spiegazione del problema se un verso del genere pentola a pressione non l’avesse informato dello stato di tensione in cui versava la principessa: – Devo sostituire l’intero pezzo, Altezza. Dopodiché devo reinstallare il software, eseguire tutti i controlli…
– Un lavoro lungo, insomma – tagliò corto lei.
– Cercherò di fare in fretta, Altezza – tentò di rabbonirla lui.
Rubina sospirò ancora. Inutile opporsi al Destino… – Non preoccupatevi, prendetevi tutto il tempo che occorre. Immagino che non sia possibile aprire la porta ed entrare.
– Mi spiace molto, Altezza.
– Va bene. Fate quel che dovete. Se mi cercate, io sono nell’alloggio di mio padre.


- continua -

Link per protestare per il rude trattamento riservato al fustacchione: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3090#newpost
 
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Seconda parte


– …e ci vorrà molto? – chiese il sire di Vega.
– Abbastanza – rispose Rubina, che aveva capito benissimo che l’ansia paterna non fosse originata dal fatto di sapere l’amata figlia nei guai, quanto dal volersi sbarazzare al più presto di lei – Nel frattempo, spero che non ti dispiacerà se resterò nel tuo alloggio.
– Nel mio…?
– Se la cosa ti scoccia – continuò lei, la voce vari gradi sottozero – puoi sempre farmi assegnare una branda nelle camerate della truppa. Immagino che i soldati gradirebbero.
– Ma che dici! – esclamò suo padre, che nonostante la propria ruvida scorza stava cominciando a sentirsi alquanto vermiforme – Certo che puoi restare da me, che diamine! Il mio alloggio è il tuo, fai come se fossi a casa tua.
– Grazie. Vedrò di non disturbare troppo.
– Ma non mi disturbi! Sei mia figlia.
– Allora, posso usare la doccia sonica?
Tenero cuor di padre, Re Vega non poteva negarle nulla: – Se proprio devi…


Aver fatto la doccia e lavato i capelli restituì a Rubina un minimo di buonumore: per ore si era sentita appiccicosa e lurida, ora era tornata un essere umano.
Avvolta in un grande asciugamano, prese a girellare oziosamente nelle stanze paterne: era davvero stanca, e avrebbe proprio avuto bisogno di una buona dormita; non se la sentiva però di sdraiarsi sul regale lettone, papino magari non avrebbe detto nulla ma non avrebbe apprezzato una simile confidenza.
Si diresse verso il salotto, dove ricordava esserci un divano a ottomana piuttosto comodo: non per nulla, durante le sue visite Pucci l’aveva eletto a sua proprietà personale.
Il divano c’era, e aveva davvero l’aria comoda. Rubina puntò sull’obiettivo, ma nel farlo passò davanti a una grande specchiera, che le rimandò un’immagine davvero desolante di sé stessa: un viso pallidissimo, tirato, gli occhi gonfi dalla stanchezza… si sentiva la pelle tesa, secca. Se solo avesse avuto sottomano una crema idratante! Ma il tubetto era nel bagaglio rimasto sulla nave, e il vasetto era nel suo alloggio, sulla mensola dello specchio.
Si passò le mani sul viso: la pelle era proprio inaridita, aveva persino l’impressione (orrore!) di sentire… come dei solchi… erano forse… rughe…?
L’orrenda parola sembrò marcarle il cervello. Ci voleva una crema, e al più presto!
Corse nel bagno del padre: macché, niente! A parte i prodotti per l’igiene personale, come saponette e dentifrici, papà non indulgeva certo in cosmetici.
Guardò meglio: l’unica cosa interessante che scoprì, accuratamente nascosta in fondo a un mobiletto, fu una bottiglia di lozione “per nascondere naturalmente i primi capelli grigi!”. Nuance viola. Uh-uh.
Papino si fa la tinta… questa non me la sarei aspettata. D’altra parte, alla sua età quella barba non dovrebbe essere più così viola.
Ghignando, passò nella camera da letto paterna, e proprio là vide quel che ormai disperava di trovare.
Sul grande cassettone, troneggiava un vasetto bianco e oro colmo di quella che non poteva essere altro che crema.
Rubina lesse l’etichetta: “Crema idratante – restitutiva – agli ormoni”.
Perfetto! Proprio quel che le occorreva.
Sapendo che mai e poi mai suo padre avrebbe fatto un dono ad Himika, e soprattutto mai niente di elegante e costoso, era evidente che doveva trattarsi di un regalo da parte della regina.
Crema per papino?
Rubina ripensò al volto del genitore: non proprio freschissimo, incorniciato da barba e capelli così viola, solcato da pieghe d’espressione… In effetti Himika non aveva torto, la crema gli era necessaria. Strano che papà l’avesse conservata: normalmente, un simile dono avrebbe scatenato le regali collere. Oh beh, evidentemente pure lui era capace di guardarsi allo specchio e trarne le debite conclusioni.
Papino non dirà niente, se ne prendo un poco. Non mi ha detto di fare come se fossi a casa mia?
Aprì il vasetto, prese un pochino di crema e se la mise sulle guance e il mento, dove sentiva la pelle particolarmente tesa e sensibile; quindi, esausta, tornò in sala e si lasciò cadere sull’ottomana, sprofondando subito nel sonno.


Sensazione di caldo al viso… qualcosa di morbido…
Rubina s’agitò nel sonno.
Pucci era venuto a farle visita, forse?
Riemerse lentamente alla coscienza: non poteva essere Pucci… dovevano esserle andati i capelli in faccia.
Se li scostò con la mano. Niente.
Rubina aprì gli occhi; ancora insonnolita, allontanò i capelli dal viso…
O meglio, tentò di allontanare.
Perché non si mossero.
Stavolta, Rubina spalancò gli occhi; afferrò i capelli, tirò… un dolore alle… guance…?
Sedette sull’ottomana. Si diede un pizzicotto: male. Sì, era ben sveglia.
Prese una manciata di capelli, tirò ancora…
Dolore alla guancia.
Balzò in piedi e schizzò in bagno con uno scatto degno d’una campionessa, si guardò nello specchio…
A questo punto, l’unico motivo per cui non urlò fu che non aveva nemmeno il fiato di respirare.
Pelame rosso, rosso come i suoi rossi capelli, era magicamente spuntato sul suo mento e le guance… una barba, non c’erano altre parole.
E non una barba qualsiasi: foltissima, superba, lievemente ondulata: una barba di cui qualsiasi uomo sarebbe stato orgoglioso.
Peccato che lei fosse una fanciulla, e principessa, per giunta. Barba e principessa sono due termini che in genere non si accostano tra di loro.
Nonostante fosse la figlia di suo padre, Rubina emise un comprensibilissimo gemito di angoscia; ma fu la sua unica manifestazione di sgomento. Donna forte, non scoppiò in singhiozzi, non strillò, non esplose nella crisi isterica cui tanto volentieri si sarebbe abbandonata. Ragionò, invece.
Una barba? Spuntata in fretta, oltretutto! Quanto aveva dormito? Un paio d’ore? E in un paio d’ore si era ritrovata con un barbone che le arrivava al petto? Ma come era potuto accadere…?
Alzò la mano per toccare quella straordinaria barba, e sussultò: sui polpastrelli di indice e medio erano spuntati lunghi peli rossi! Ma i peli non spuntano sui polpastrelli!
Non i peli normali, si disse Rubina.
Aveva usato quelle dita per darsi la crema… crema che aveva appunto spalmato su mento e guance, e non su naso e fronte dove, in effetti, non erano spuntati peli. La crema!
Ringhiò, furiosa: non le ci era voluto molto per capire come quella crema pilifera non fosse altro che un atroce scherzo di papà per Himika. Solo che la vittima era stata lei!
Maledetto mostro!, si disse, con scarsissimo rispetto filiale. Stavolta, non la passa liscia!
Atroci vendette s’imponevano; prima, però, quell’immondo pelame doveva sparire. Soprattutto, nessuno doveva sapere come era stata ridotta. Sai le prese in giro, altrimenti… “che barba di principessa”, e via simpaticamente scherzando. No.
Naturalmente, il modo più sicuro per liberarsi del fittume sarebbe stato sottoporsi a una seduta di depilazione al laser ultrasonico: indolore, preciso, non lasciava alcuna possibilità al pelo di ricrescere. Lasciate ogni speranza, o voi che cadete. Doveva fissare un appuntamento con l’estetista, e subito.
Tese la mano verso il comunicatore, arrestandosi a mezz’aria: il lato debole del piano le si era presentato implacabilmente agli occhi.
L’estetista l’avrebbe vista pelosa, e a meno di minacciarla avrebbe parlato; disgraziatamente, non aveva alcun’arma di ricatto in mano. Restava l’ovvia soluzione di ucciderla: papino non vi avrebbe trovato nulla da eccepire, ma lei sapeva bene quanto fosse difficile trovare una valida estetista. No.
Il pelame stava facendosi sempre più fastidioso. Era una sua impressione, o… sembrava proprio… stava crescendo…?
Corse allo specchio e controllò: ne era sicura, prima le punte dei peli le arrivavano a metà sterno; ora, erano allo stomaco.
Pelosa, e con ricrescita supersprint… il sogno di ogni donna!
Doveva eliminare la pelliccia, e doveva farlo in fretta. Fortunatamente, adesso sapeva come fare.
Digrignando i denti, Rubina attivò il comunicatore – senza videocamera! – e contattò l’hangar centrale; con un tono imperioso che avrebbe fatto scattare sull’attenti persino il comandante Gandal, ordinò che le fosse portato subito il suo bagaglio, che ancora era sulla navetta in attesa di venir scaricato.
Fu obbedita: poco dopo, mentre lei rimaneva prudentemente chiusa in bagno, sentì un paio di soldati entrare nell’appartamento e portare le valigie in camera da letto.
Non appena fu sicura che fossero usciti, si fiondò sulla borsetta in cui portava cosmetici e occorrente per la sua toilette personale; frugò affannosamente, e finalmente cavò fuori un tubetto di crema depilatoria, che portava sempre con sé nel caso avesse avuto bisogno di rifinire il lavoro dell’estetista.
Spalmò la crema, attese e finalmente sciacquò: la barba, ormai sui quaranta centimetri di lunghezza, cadde nel lavandino. Sotto, la sua pelle era bianca e liscia come sempre.
Rubina lanciò un grido di giubilo: era tornata ad essere lei, finalmente!
Adesso, non restava che far sparire il pelame. Raccolse fino all’ultimo rosso pelo, andò al tritarifiuti domestico, selezionò l’opzione “materiale biologico” e vi gettò dentro il tutto. Chiuse lo sportello: e con questo, fine di un incubo.
Si rivestì, tornò allo specchio: tutto a posto, per fortuna. Era tornata ad essere sé stessa.
Sciacquò ancora il viso, poi prese un po’ di crema idratante, di quella vera, se la passò sulla pelle…
Un momento!
Toccò ancora le guance: sembrava… possibile? Ruvido…?
Guardò meglio. Accese tutte le luci, controllò ancora…
Una rossa lanugine stava spuntandole su guance e mento, e pure sui polpastrelli.
Lanciò un ruggito strozzato.
Poi prese fiato, e andò al comunicatore.
C’era una sola persona che avrebbe potuto aiutarla.


- continua -


Link per offrire a Rubina l'uso di un decespugliatore: #entry622410073
 
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view post Posted on 27/6/2018, 20:48     +1   -1
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Terza parte

Il Ministro delle Scienze Zuril rimase non poco stupito sentendosi chiamare da Rubina: normalmente la principessa lo trattava come una tenia particolarmente ributtante, e non aveva certo l’abitudine di contattarlo. Strano.
In ogni caso, lei stava interrompendolo durante la stesura di un rapporto; lui era sempre molto grato a chi gli forniva un diversivo qualsiasi al lavoro burocratico. Accettò la comunicazione, e si sorprese ancora di più accorgendosi che lei non aveva attivato la sua videocamera. Bizzarro.
– Altezza, che piacere… posso esservi d’aiuto in qualche modo? …Ma certo che posso venire da voi… subito, naturalmente… se voleste dirmi qual è il problema… me lo direte dopo? D’accordo, ma… certo, in via confidenziale. Capisco. Non ne parlerò con nessuno… sapete che potete fidarvi… v’assicuro che non tradirò mai il vostro segreto… come dite? Ridervi in faccia? Altezza, io non mi permetterei mai… ma no, non riderò, ve l’assicuro… ma sì, avete la mia parola, non riderò… ma certo… giurarvelo? Se ci tenete, va bene, giuro che non riderò di voi…
Rubina si avvolse rabbiosamente una ciocca di barba attorno a un dito: – Giuramelo ancora!


Poco dopo, di fronte allo spettacolo di Sua Altezza la principessa Rubina in versione Barbarossa, Zuril dovette impiegare tutto il suo considerevolissimo self control per mantenere un aplomb degno d’un autentico maggiordomo inglese.
– Capisco – mormorò.
– Stai ridendo! – accusò lei, occhi incandescenti.
– No. Vi dico di no – rispose lui, l’unico occhio che scintillava e un angolo della bocca che puntava irresistibilmente verso l’alto.
– Zuril, avevi giurato…
– Scusate – si fiondò nel bagno, e vi rimase cinque buoni minuti. Quando finalmente rientrò, era tornato perfettamente padrone di sé stesso… a parte un luccichio canagliesco nello sguardo.
– Avevi dato la tua parola che non avresti riso! – accusò lei.
– Avevo dato la mia parola che non vi avrei riso in faccia – puntualizzò Zuril, mettendosi subito al lavoro; le puntò contro lo scanner e analizzò quei singolari peli – Molto particolari… ricrescita potenziata. Al momento, circa 0,06 millimetri al secondo, cioè 3,6 millimetri al minuto, per un totale di 21,6 centimetri all’ora…
– Sì, sì, sì! – scattò Rubina – E non serve tagliarli o rasarli, riprendono a crescere subito! Cosa posso fare?
– Vorrei analizzare anche la crema; dov’è?
– Eccola! – Rubina corse a prendere il vasetto; usando una spatolina, Zuril ne prese un campione e lo analizzò con lo scanner – Interessante. Crema capace di generare bulbi piliferi. Se consideriamo il tasso di ricrescita, il volume del bulbo pilifero, la struttura cheratinica…
– Lascia perdere i paroloni! – sbottò Rubina – Io voglio sapere come posso liberarmi definitivamente da questo pelame!
– Usando termini semplici, direi che sia solo questione di tempo – rispose Zuril, il cui computer oculare stava lavorando a pieno regime – La crema favorisce una crescita innaturale che finirà per distruggere il bulbo pilifero. In pratica, basta aspettare: a forza di crescere, i peli indeboliranno irrimediabilmente i bulbi. Prevedo una totale caduta entro… non posso fare un calcolo preciso, le variabili sono troppe… diciamo, approssimativamente in circa ventidue ore, diciassette minuti e quarantatré secondi.
– Ventidue ore?
– Diciassette minuti e quarantatré secondi. Circa.
– Beh, non posso aspettare tutto quel tempo! L’estetista potrebbe liberarmi facilmente da questi peli con il laser ultrasonico…
– E perché non lo fate?
– Bravo! E poi, chi farà star zitta l’estetista, che è notoriamente una delle più colossali pettegole di Skarmoon?
– È un problema, convengo…
– Potrei usare il vecchio sistema della ceretta – continuò Rubina – ma è un massacro… mi ridurrei la pelle a chiazze rosse.
– E allora?
Lei lo guardò con grandi occhioni stellanti: – Pensavo che avresti potuto farti venire tu qualche idea.
Ancora una volta, Zuril dovette faticare parecchio a restar serio: i grandi occhioni stellanti associati a una barba che sembrava la versione giovanile di quella di Babbo Natale, beh, non costituivano certo un richiamo sexy. Si passò una mano sul viso nel vago tentativo di nascondere il ghigno malefico che gli era venuto spontaneo.
– Temo che non sia così semplice – osservò – Ora che avrò escogitato e preparato un qualsiasi rimedio, quei peli saranno scomparsi spontaneamente.
– Vuoi dire che tu… il genio scientifico, il grande inventore… non puoi aiutarmi?
– Beh… Diciamo che non vedo il motivo di tanta fretta, quei peli cadranno presto, e…
– Stai ridendo di me!
– Non mi permetterei mai – assicurò lui, che stava sforzandosi disperatamente di restare serio.
– Non solo non mi aiuti, ma mi prendi in giro, pure…!
– Ma no… mmmmhpffffhhh… io non… mmmpfhihihi… non sto ridehehehendo!
– Vigliacco! – Rubina era pur sempre figlia di suo padre: offesissima, afferrò una manciata di crema e la sbatté sul viso di Zuril.
Un attimo dopo, una fitta peluria verde cominciò a spuntare su guance e mento dello scienziato, alla velocità appunto di 0,06 millimetri al secondo.
– Adesso vediamo se non ti metterai a cercare una soluzione! – esclamò lei, così tanto inviperita da non badare al nuovo pelame rosso che le spuntava sulle dita.
Per un istante, l’unico occhio di Zuril ebbe un’espressione tenera del genere bounty killer; ma fu un istante appunto, perché lo sguardo omicida si trasformò in occhiata carognesca: – Nessun problema. Adesso mi prendo un paio di giorni di tutte le ferie arretrate che mi spettano, mi chiudo nel mio alloggio e aspetto che i peli cadano.
– Non… non puoi farmi questo! – strillò Rubina – E io, allora?
– Potete fare altrettanto – le rispose amabilmente lui.
Rubina lanciò un’esclamazione che la sua severissima governante di un tempo avrebbe considerato “del tutto inadatta a una principessa”; e fu proprio allora che le porte scivolarono di lato lasciando entrare il sovrano di Vega.
– Ohibò! – fu la sua reazione all’esclamazione della figlia. Pensava che termini simili fossero usuali nella truppa, ma credeva che una principessa nemmeno li conoscesse; e figuriamoci usarli. Stava per sbottare un rimprovero, quando s’accorse del fitto pelame rosso che incorniciava il viso della figlia; un istante dopo s’accorse della barba verde smeraldo improvvisamente fiorita sul volto del suo Ministro delle Scienze, e con lo scarsissimo senso diplomatico che lo contraddistingueva esplose in una scrosciante risata.
Pa-pà! – strillò Rubina – Come osi ridere? La colpa di tutto è solo tua, che hai fatto preparare quella dannata crema agli ormoni!
– Io l’ho fatta preparare, ma non ti ho mai detto di usarla – la rimbeccò il sovrano.
– Già, tu l’avevi preparata per Himika, ci scommetto!
Re Vega si permise un largo ghigno malefico: – Mi conosci bene, figliola…
– Ma bravo! Fare uno scherzo simile a Himika, farla arrabbiare, scatenare una crisi diplomatica con gli Yamatai! Guai a te se ti azzardi a darle quell’infernale crema!
– Ma…
– O anche qualsiasi altro regalo che possa danneggiarla o offenderla!
– Rubina…
– Dato che non è stato Zuril a crearla, immagino si sia trattato di Dantus – continuò la principessa – Mandalo a chiamare subito! Deve trovare una soluzione al più presto!
– Tesoro…
– Ho detto subito!
Il sire era il sire: poteva comandare eserciti interi, ordinare attacchi e bombardamenti, decidere genocidi; allo stesso tempo, sapeva quando era il caso di obbedire senza fiatare. Quella era appunto una di quelle volte.


- continua -

Link per manifestare simpatia all'estetista: #entry622439399
 
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