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H. ASTER's FICTION GALLERY

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view post Posted on 8/12/2023, 18:21     +2   +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Nuova follia: idea di Merlino, stesura mia. Per la cronaca, è strettamente collegato a quello che sarà il racconto di Natale, e che spero vivamente di riuscire a terminare in tempo. Prima di tre parti.

WARGAMES
Auri sacra fames

Attonito, Procton fissava l’estratto conto intestato al Centro di Ricerche Spaziali: un totale ormai a troppo pochi zeri.
Il professore ebbe un attimo di vertigine e si appoggiò allo schienale della poltrona, mentre nella testa gli frullavano le fatture che aveva dovuto saldare: i metalli usati per creare il gren… il materiale elettronico… il materiale meccanico… il materiale chimico, per ripulire tutte le superfici intaccate dal formaggio… le ore e ore di lavoro degli operai…
Un buco del diametro di duecentotrentatrè centimetri e ventisette, si disse il professore, passandosi un fazzoletto sulla fronte, cosparsa di gelidi sudorini. Perfettamente riparato, certo, ma… a che prezzo?
Riguardò l’estratto conto: no, il piatto non piangeva.
Ululava, proprio.
Bisognerebbe trovare un nuovo finanziatore… un filantropo… un miliardario deciso a fare il bene dell’umanità…
Come avrebbe detto Rigel, serviva la grana.
Già, ma dove trovarla? Dove?


– …e l’hanno aggiustato – concluse Gandal.
Tutti i presenti seduti al tavolo di riunione tacquero.
La notizia di Goldrake tornato in perfetta efficienza era stata un duro colpo. Avevano tanto sperato che il formaggio di lady Gandal avrebbe posto fine alla carriera del più tenace robot da battaglia in cui l’esercito di Vega fosse mai incappato; invece, niente. Nemmeno i manicaretti della signora avevano avuto ragione di quel maledetto arnese.
Oltretutto, le riparazioni di Skarmoon avevano preso più tempo del previsto, e non si era potuto sfruttare il vantaggio: ed eccoli daccapo, come niente fosse accaduto. E stavolta, non avevano nemmeno un frammento di quel formaggio.
Ingrugnito, il sire passò con lo sguardo sui suoi uomini: Gandal appariva depresso, Hydargos taceva con aria cupa, Zuril sembrava macchinasse qualche nefandezza… ma lui aveva sempre quell’espressione lì, e non era detto che poi tirasse effettivamente fuori qualcosa di buono… Dantus aveva gli occhi chiusi e sembrava sotto sforzo. Pensava? Al sire, chissà perché, venne in mente che soffrisse di stitichezza. La faccia, era quella.
Barendos? Era su Ruby, a procacciare nuovi materiali. Rubina? In visita diplomatica da Himika. Doveva contare solo sui cervelli presenti, il che non era tutta questa gran cosa.
– Beh? Qualche idea? – sbottò, battendo una manata sul tavolo.
Silenzio generale. Lady Gandal, dopo la faccenda del formaggio, si faceva vedere poco, del che le erano tutti molto grati. Zuril serrò le labbra. Hydargos chinò la testa. Dantus continuava a stare lì, gli occhi chiusi. Gandal… beh, ma quando mai aveva avuto una buona idea, quel testone? Al massimo, si guardava in giro con aria “che-volete-da-me”. Desolante.
– Insomma! – manata numero due – Parlate!
– Maestà, c’è poco da dire – stranamente, a parlare fu proprio Gandal – Goldrake, lo sappiamo, è potentissimo. Duke Fleed, come dicono i soldati, mena, e tosto. Oltretutto, quei terrestri hanno pure il professore, che è un geniaccio di tattica… non vi ricordate che ce le ha suonate persino ai videogiochi? Che speranze abbiamo?
Re Vega assentì, mentre carezzava distrattamente la pelliccia color perla di Stella, che gli si era accoccolata sulle ginocchia.
In effetti, già il loro nemico era un ostacolo non da poco… se poi si aggiungeva il professore, che sì, era davvero in gamba, bisognava ammetterlo… ricordava bene che razza di avversario micidiale si era rivelato…
Micidiale?
– Ehi! – esclamò, saltando sulla poltrona e costringendo Stella ad aggrapparsi con le unghiette alle sue ginocchia, per non cadere – È un’idea!
Gandal si guardò attorno, ma vide solo stupore sui visi dei suoi colleghi: – Cos’ho detto…?
– Mi hai dato un’idea, Gandal! – esclamò il sire, tamponandosi distrattamente il sangue che gli ruscellava giù per lo stinco. – Adesso zitti tutti, che devo pensare.
Stella balzò sul tavolo con aria offesa, e cominciò a leccarsi una zampina.
Nel silenzio generale, il sire chiuse gli occhi, mentre le meningi gli lavoravano a peno regime.
Un piccolo robomedico si avvicinò, spruzzò disinfettante, medicò gli squarci.
Nella sala riunioni si sentiva a malapena respirare, mentre il sovrano continuava la sua meditazione… poi, alzò il viso, un barbaglio negli occhi rossi: – Ci siamo!
Zuril e Hydargos si scambiarono un’occhiata: conoscevano quel ghigno malefico, era quello delle grandi occasioni.
Yabarn il Grande stava per dare il via a una solenne carognata.
– Ricordate tutti quando abbiamo partecipato al torneo di videogiochi? – Re Vega scorse con lo sguardo sui presenti, che annuirono – E ricordate anche quanto era in gamba quel maledetto Procton?
– Difficile dimenticarselo – rispose Zuril, mentre gli altri annuivano.
– Bene – il sovrano si permise una larga esposizione di zanne – Lo sfrutteremo a nostro vantaggio. State a sentire…
E spiegò quel che aveva in mente.
– Grande idea, sire! – esclamò Dantus, sempre il primo a parlare quando si trattava d’incensare Sua Maestà – Eccellente, geniale idea! Ma, se permettete, avrei una proposta…
Esposizione della proposta di Dantus.
– Un’idea non male – dovette ammettere infine Zuril, che stava mandando giù il dispetto per il fatto che la trovata non fosse sua – Tuttavia, se posso dare un piccolo suggerimento…
– Ecco, naturalmente il grande ministro Zuril deve subito mettere il becco! – esclamò Dantus – Quando le idee non sono sue, non possono essere perfette!
– Io volevo solo far presente…
– Vorresti forse migliorare il progetto personalmente ideato da Sua Maestà? – insinuò Dantus.
Zuril gettò un’occhiata al sire. Aveva sempre pensato al rosso come a un colore caldo; in quel momento, scoprì come uno sguardo scarlatto potesse essere polare, per non dire siderale.
– Non mi permetterei mai di cercar di cambiare un piano che ritenete perfetto – e le conseguenze saranno affari tuoi, Dantus.


La scampanellata scosse il professore: era solo in casa, a godersi una volta tanto una mattinata libera. Era un periodo morto: da tempo, di Vega non si vedeva nemmeno un bullone. Niente dischi. Nessun mostro. Nemmeno una traccia di stranezze, fenomeni atmosferici insoliti, terremoti assurdi, strani accadimenti idrogeologici… nulla di nulla. In quel momento Actarus era alla fattoria a spalar fieno e letame, e lui si era rilassato in poltrona, in compagnia della sua pipa e di un buon libro.
Fino, appunto, alla scampanellata.
Andò ad aprire: davanti a lui, un tizio alto e magro, valigetta in pelle e un completo blu che faceva molto uomo d’affari. In faccia, un sorriso tutto brilluccichii. Chissà perché, Procton pensò a un piazzista di dentifrici.
Dantus, perché ovviamente era lui camuffato da terrestre, sembrò emettere ancora più barbaglii dalle candide zanne: – Buongiorno!
– Non compro niente, grazie – cominciò il professore, ma il tizio gli mise davanti al naso il suo biglietto da visita.
– Non vendo nulla, sono qui per una proposta vantaggiosa…
Procton fece per chiudere la porta: – Non sono interessato a un finanziamento da rifondere in comode rate mensili, grazie.
– E a un finanziamento da non rifondere affatto?
La porta si arrestò a mezzo percorso: – Come dice?
– Sono della ditta V.G.Atom, di cui avrà sicuramente sentito parlare… la famosissima ditta di videogiochi, sa.
Un’occhiata al biglietto: il logo V.G.Atom in dinamici caratteri rossi e gialli; in parte, e in più sobrie lettere blu scuro, nome e titolo del tizio, che risultò essere il dottor T. Sunda.
– Vedo – disse Procton – Ma, veramente, non m’intendo molto di…
– Oh, lei è troppo modesto! – T. Sunda ridacchiò – Crede che non sappiamo che lei è stato il vincitore del Torneo Interplanetario di Supercorsa Stellare? …Sì, anche se la nostra è una ditta terrestre siamo in contatto con i colleghi di Vega. Gli affari, lei capisce… sì, è vero, per lei Vega significa nemici e guerra, ma per una ditta come la nostra, Vega significa affari, business, soldi. L’economia, lei m’insegna, è ciò che fa muovere l’universo; e io sono qui per chiederle una consulenza, in quanto campione di videogiochi. Una consulenza, s’intende, pagata.
– Ma io non so se sia una cosa ben fatta… voglio dire, Vega è il nemico, noi non…
– Ma da quando in qua una piccolezza come una guerra basta a fermare la ruota dell’economia? – altro sorriso tutto barbaglii – Prima o poi ci sarà finalmente la pace, e allora cominceremo a fare gli affari con Vega. A questo punto, caro professore, non crede che sia meglio porre già adesso le basi per una proficua collaborazione futura? E io sono qui a parlarle di videogiochi, non di traffico di armi! E, ripeto, noi siamo disposti a pagare per la sua consulenza.
– Beh…
– Dato che si tratta di una consulenza data da un campione, cioè uno specialista, s’intende che il compenso sarà adeguato. Molto, molto adeguato.
Un rapido pensiero al conto striminzito… la porta si spalancò: – Si accomodi.


Procton depose sul tavolino la sua tazza da tè, vuota.
– Vediamo se ho capito bene – disse – Io dovrei provare per voi un videogioco…
– Nelle sue ore libere, s’intende! – esclamò T. Sunda, dottore – Sappiamo bene quanto sia importante il suo lavoro, e non vorremmo mai sottrarle del tempo prezioso! Una volta finiti i suoi turni al laboratorio, magari potrà rilassarsi con una partitella… ed è allora che entriamo noi in gioco – e ridacchiò, sentendosi molto spiritoso.
Procton gli diede un’occhiata incerta: era una battuta, avrebbe dovuto ridere…?
Sunda dottor T. si ricompose: – A noi basta che lei provi il nostro videogioco. È sufficiente che lo carichi sulla consolle… quella che ha vinto al torneo, dubito che le consolle terrestri siano compatibili… e faccia la sua partita.
– Capisco – Procton si diede una grattatina pensosa al baffo sinistro: – Che genere di gioco è? Una corsa, uno sparaspara…?
– Sono sicuro che lei troverà il nostro gioco… molto familiare, diciamo – T. dottor Sunda fece un largo sorriso conciliante – Vede, professore, noi pensiamo al futuro: abbiamo ideato un gioco che sia coinvolgente sia per i terrestri che i veghiani. Provi a pensare: i nemici di ieri impegnati insieme in partite multigiocatore…
– Sì, capisco – tagliò corto Procton, che cominciava a non poterne più delle lunghe disquisizioni del dottor Sunda T. – Ma che gioco è?
– Goldrake contro Vega, s’intende – ogni sillaba sembrò stillare come miele dal favo – I ragazzi lo adoreranno! Potranno impersonare il grande Duke Fleed, intento a combattere contro i terribili nemici; oppure, potranno interpretare il formidabile comandante Dantus…
– Chi?
– Dantus – e la voce del dottor Sunda T. calò parecchio il tasso di glicemia – Il grande Ministro della Difesa di Vega! Sarà lui a pilotare il mostro!
– Oh – Procton si diede un’altra grattatina – Pensavo sarebbe stato più adatto usare Hydargos… come direbbe Maria, è più iconico. O anche Zuril.
– Ma professore, vuole mettere…?
– Anche Gandal farebbe la sua figura – aggiunse Procton, in tono di scusa – Ma Dantus, mi creda, è pochissimo conosciuto. I ragazzi non capirebbero.
– Beh, beh – borbottò Sunda dottor T. – Vedremo. Quel che importa è che lei, professore, dovrà inizialmente giocare la partita come Goldrake: noi ci collegheremo alla sua consolle e potremo studiare ogni sua mossa. Vedremo come affronterà il mostro, e come lo sconfiggerà: questo, ci permetterà di calibrare meglio il gioco, per così dire. Lei fungerebbe da Beta Tester.
– Va bene.
– In un secondo tempo, dovrà giocare come mostro di Vega.
Procton si agitò un poco sulla poltrona: – E dovrei sconfiggere Goldrake?
– È solo un gioco, professore – di nuovo le sillabe sembrarono miele, e sciroppato per giunta.
– Sì, capisco… ma confesso che mi fa un poco impressione…
– Proprio così, è un’impressione – T. Sunda, dottore, allungò al professore il suo biglietto da visita, assieme a un assegno: – Per lei, per l’ora che le ho fatto perdere.
– Cosa? – Procton sbarrò gli occhi, davanti alla cifra – Ma è troppo! Io non posso accettare…
– Lei è troppo modesto: i pareri degli esperti valgono oro. Dovrebbe saperlo.
– Ma… io non so che dire…
– Bravo, non dica niente – e Sunda T., dottore, balzò in piedi, acchiappando la valigetta: – Ci faremo vivi al più presto, per stabilire il collegamento con la sua consolle. Nel pomeriggio, le invierò una mail. L’indirizzo è quello sul biglietto da visita.
– Io… gh… – mormorò Procton, gli occhi sempre fissi sui vari zeri stampigliati sull’assegno.
– E si ricordi che quella che ha in mano sarà sempre la tariffa che le sarà versata.
– Ma… mi creda, è davvero troppo…
– Tariffa oraria, s’intende – e il dottor Sunda, nonché T., sparì fuori dalla porta, lasciando uno stupefatto Procton ancora intento a fissare l’assegno che aveva in mano.
Le riparazioni… il costo dei materiali, delle ore di lavoro… con un simile compenso avrebbe colmato la voragine scavata nel conto e avrebbe avuto anche un bel po’ di fondi per spese future, altroché!

Link per andare a dare un'occhiata al biglietto da visita del dottor T, Sunda, dottore mi raccomando: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338
 
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view post Posted on 9/12/2023, 18:12     +1   +1   -1
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Seconda parte, domani il finale.

Nel pomeriggio, arrivò una mail da [email protected]. Tra ringraziamenti e raccomandazioni, era compreso il link per scaricare la versione beta del gioco sulla consolle. Procton seguì diligentemente le istruzioni e poco dopo si aprì la sigla, un breve filmato accompagnato da una musichetta marziale: Goldrake che pesticciava un mostro. Un mostro che frantumava Goldrake. Goldrake che dava un calcio nel bullonato fondoschiena di un mostro. Mostro che asfaltava Goldrake. Goldrake che tirava un pugno al mostro. Mostro che schiantava Goldrake. Eccetera.
Ed eccolo sullo schermo davanti a lui, il pannello comandi di Goldrake, perfettamente ricostruito: incredibile come quelli della V.G.Atom fossero riusciti a ottenere un simile grado di verosimiglianza! Mancava solo la macchia d’unto sul sedile passeggero, causata da una salsiccia scivolata dal panino di Rigel durante un memorabile giro nell’esosfera, e l’illusione sarebbe stata perfetta.
Davanti a lui, si parò il primo mostro: una specie di grosso scarabeo stercorario dall’aria non troppo furba. Procton impiegò esattamente venti secondi e due decimi per farne farina.
Mostro numero due: un classico lucertolone sbavante veleno. Trentasei secondi e cinque decimi per arrivare allo schianto.
Mostro numero tre: una sorta di suino dall’aria stolida, stavolta decisamente più tosto. Il professore impiegò un minuto e tre secondi per farne polpette.
Eccetera.


– Beh, accidenti! – esclamò Gandal. La presenza del sire l’aveva costretto a ripiegare su quell’innocua esclamazione, ben diversa da quella di genere genitale che gli sarebbe venuta spontanea.
– Il professore mena – osservò Hydargos, che aveva il dono della sintesi.
– Sapevamo che fosse un avversario molto forte – ammise il sire, impressionato.
– Diciamo la verità – intervenne lady Gandal – Siamo fortunati che a guidare Goldrake sia Duke Fleed, e non lui!
– Che vi avevo detto? – Dantus sembrava scoppiare di soddisfazione – Grazie agli attacchi di Procton possiamo studiare nuove strategie da applicare ai nostri mostri, in modo da renderli invincibili… e poi, lanceremo l’attacco definitivo, quello vero!
– Lo sappiamo, Sua Maestà ci ha già spiegato il suo progetto – rispose Zuril, sottolineando molto quel suo.
– Ma certo, il progetto è di Sua Maestà, naturale – disse in fretta Dantus, che si era lasciato trasportare.
Il sire staccò gli occhi dal video, rifletté; una luce scarlatta di comprensione gli si accese nelle pupille: – È vero, l’idea è mia.
Non era saggio contrariare Yabarn di Vega, e ancora peggio era appropriarsi delle sue idee… Dantus ebbe un’agghiacciante visione della Stanza delle Torture, deglutì e si affrettò a correggersi: – Una trovata assolutamente geniale, Vostra Maestà, di cui io sono solo l’umile esecutore… un esecutore entusiasta. Solo voi potevate escogitare un simile, diabolico piano!
– Beh, in effetti è piuttosto buono – ammise il sire, compiaciuto.
– Buono? Oserei dire ottimo! Superlativo! – esclamò Dantus, deciso a coprire la Sala delle Torture a suon di aggettivi – Sublime! Eccellente! Eccelso!
– Beh, beh, non esageriamo – si schermì il sire, che sapeva essere molto modesto.
– Oh, sono sicuro che il ministro Dantus pensi davvero quel che sta dicendo – osservò Zuril, con aria molto pia.
– Certamente! – Dantus lo guardò con la stessa tenerezza che può avere un sicario che sta per prendere la mira – Ne dubiti?
– Non sia mai!
Attacco respinto, si disse Dantus. Meglio provare un’altra strategia.
– Tu non sembri prendere molto sul serio quel che sta accadendo – cominciò – Stiamo per sconfiggere definitivamente Goldrake.
– So di avere un’intelligenza limitata – rispose soavemente Zuril – Tuttavia, a questo, ci ero arrivato.
– Ah. Grunt. Ma forse non hai capito il vero colpo di genio – esclamò Dantus, seccato dalla scarsa considerazione del collega – Quando attaccheremo Goldrake, sarà Procton, senza saperlo, a guidare il mostro.
Un occhio si alzò verso il soffitto: – Sappiamo anche questo. Ce l’hai spiegato, e non una volta sola.
– Sei invidioso perché l’idea non è tua!
– No – questa era una menzogna – Sono solo stufo delle tue vanterie – questo era verissimo – Sulla Terra, dicono che i cattivi dei film di serie B non fanno che ridere e ripetere il loro piano. E sai come finiscono, i cattivi di serie B?
– Ma per piacere! – e Dantus si concesse una risata degna appunto di un antagonista di filmaccio di serie C – Maestà, vedete che il mio piano, cioè il vostro, fila alla perfezione?
– Per ora, senz’altro – rispose Re Vega, guardando Procton mentre riduceva in dadi e rivetti il mostro numero dodici – Basta che funzioni anche quando sarà il momento di far fuori Goldrake.
– Ne dubitate, sire? – Dantus si chinò sulla consolle e diede il comando per inviare al macello il mostro numero tredici.
– Fortuna che si tratta di mostri virtuali – gemette il sire, mandando un pensiero alle casse di stato.
– Per fortuna, appunto – intervenne Zuril, pronto – Perché, se i mostri fossero reali…
– Ma non lo sono, per cui la spesa è irrisoria! – lo prevenne Dantus.
– La spesa per i mostri, senz’altro – rispose Zuril – Però…
– Sei il solito geloso! – Dantus si girò verso Sua Maestà, che stava osservando la distruzione totale del mostro numero tredici – Sire, vi prego: ho il vostro appoggio? Ho carta bianca?
Re Vega non distolse lo sguardo dallo schermo: trovava affascinante la tecnica infallibile del professore, capace di polverizzare in poche decine di secondi il più duro dei mostri – Ma certo. Procedi come credi. Hai la mia fiducia.
– Ecco! – e Dantus, trionfante, si voltò a guardare Zuril.
– Molto bene – e il Ministro delle Scienze non disse altro.
Hydargos e Gandal, rimasti in silenzio fino ad allora, si scambiarono un’occhiata.
Chissà perché, sentivano un gran fetore di rogne.


Quella sera, il professore si vide arrivare una mail entusiasta da Sunda T. (dottore): encomi solenni per la perizia distruttiva, lodi e plausi, ringraziamenti per aver fornito alla V.G.Atom tanto materiale di studio. Adesso avrebbero sfruttato le conoscenze appena acquisite per migliorare il loro prodotto, e poi il professore avrebbe potuto pilotare dei mostri, ovviamente virtuali, che avrebbero affrontato Goldrake (altrettanto virtuale, certo). Intanto, la ditta aveva provveduto a versare il compenso per le preziose ore di consulenza. Sperando che la cosa fosse gradita, eccetera.
Procton andò a controllare il conto bancario: la mascella cadde, mentre gli occhi assumevano le dimensioni di due poponi.
Altro che riparazioni… con quella cifra, avrebbe potuto far placcare in oro zecchino non solo le corna di Goldrake, ma pure l’intero hangar e tutte le uscite segrete.
Decisamente, quella collaborazione era una sorta di manna celeste.
Si sarebbe impegnato a fondo, e avrebbe dato il meglio di sé stesso.
Al prossimo collaudo, avrebbe trasformato Goldrake in una massa di materiale pronto per la raccolta differenziata.


La mail arrivò qualche giorno dopo: Sunda T., che per chi non l’avesse ancora capito, era un dottore, lo pregava di mettersi immediatamente alla consolle: avevano preparato tutta una serie di attacchi contro Goldrake, e avevano davvero bisogno che il professore collaudasse il gioco. La data prevista per il rilascio si avvicinava, inesorabile. Non c’era tempo da perdere, il professore sicuramente capiva.
Procton s’accertò che il radar non segnalasse nulla di sospetto. Controllò condizioni atmosferiche, elenco dei terremoti, notiziario mondiale: niente che potesse far sospettare un attacco imminente di Vega.
– Ho, uhm, un impegno inderogabile – disse a Yamada – Lascio tutto nelle tue mani, io… ecco, non sarò disponibile per un’oretta… forse due.
– Nessun problema, professore – rispose il giovane assistente.
Il professore uscì, e i tre giovani scienziati si scambiarono degli sguardi perplessi.
– Ultimamente, non vi sembra che sparisca spesso? – chiese Hamon, il più pettegolo dei tre.
– Beh, avrà anche lui una sua vita privata, no? – Hayashi s’allungò contro lo schienale della sua poltrona e cavò dal suo cassetto privato uno snack (ipocalorico! Era a dieta ferrea, causa repentino restringimento dei vestiti).
– Non è così – rispose Yamada – Il professore sta facendo gli straordinari. Il conto del centro… beh, sapete com’è.
– Oh… certo, capiamo – e Hayashi addentò la sua barretta sostitutiva di un pasto (tapioca, crusca, farina di lupini, cocco, aroma di limone eccetera, solo duecentodue calorie).
– Straordinari? – Hamon ridacchiò. Chissà perché, gli venne l’idea del professore intento a correggere le tesi dei dottorandi, o a controllare le bozze di qualche ponderoso tomo di astrofisica applicata.


Alla guida del mostro virtuale, il professore impiegò esattamente due minuti e tre secondi per trasformare Goldrake in striscioline di gren.
Avvitate a cavatappi, certo.


– Grande! – esclamò il sire balzando in piedi, e facendo crollare a terra Stella, che fino a un secondo prima gli aveva pisolato sulle ginocchia.
Scocciata, la gattina guardò con disapprovazione il suo umano; quindi saltò su una poltrona libera e cominciò a leccarsi dagli artigli i rimasugli dei regi calzoni, della regale pelle e del reale sangue.
– Faccio partire il mostro autentico, Maestà? – chiese Dantus.
– Sì, sì! – esclamò il sire, al settimo cielo.
Hydargos e Gandal si scambiarono uno sguardo: vuoi vedere che questa era la volta buona? Pensare che il merito sarebbe andato al sire e a Dantus…!
Zuril sbuffò lievemente.
Il solito robomedico andò a medicare gli squarci sulle nobili ginocchia.
Un secondo robodomestico, pronto a riparare le regali brache, si mise in attesa.
Stella voltò le terga al sire, alzò sdegnata la coda e si acciambellò con grazia sulla poltrona.


Dall’hangar di Skarmoon un mostro particolarmente racchio, simile a una sorta di facocero poco sveglio, spiccò il volo, direzione Terra.


Col suo mostro a forma di granchio, Procton ridusse Goldrake in coriandoli nel tempo record di un minuto e cinque secondi.
A ogni combattimento, gli cambiavano il mostro: bisognava ben vedere quale modello fosse più efficiente. Per ora il granchio era stato il migliore, anche se quello a forma di scorpione era stato lì lì per soffiargli il primato. Più scadenti il montone e il toro, meno maneggevoli. Comunque, il professore lavorava con la consueta competenza, e anche il mostro meno efficiente, sotto ai suoi comandi, si era trasformato in una diabolica macchina da guerra.
Ora, era la volta di una sorta di medusa, o forse era una seppia…? Mah.
Comunque, lo scontro sarebbe stato interessante.
Cominciò a leggere le caratteristiche del nuovo mostro.


Il facocero planò sulle campagne, sparando fuoco dalle fauci e trasformando le sottostanti coltivazioni di mais in una sorta di immensa distesa di pop corn.


– Allarme! – gridò Hayashi – Un mostro di Vega!
Yamada prese in pugno la situazione: – Tienilo d’occhio, Hayashi. Hamon, contatta subito Actarus. Io chiamo il professore.
Prese il cellulare, e compose il numero.


Il cellulare squillò a tutta forza (quinta di Beethoven in versione techno eseguita con chitarra elettrica, uno scherzetto di Maria).
Chiuso nella sua cabina Procton, tanto serio nel suo lavoro da aver tolto di mezzo ogni possibile distrazione, non lo sentì, troppo preso com’era dallo strizzare Goldrake con i suoi tentacoli da celenterato – o cefalopode, chissà.


– Arrivo! – Actarus balzò sulla sua moto, precipitandosi verso il Centro Spaziale.
Pochissimo dopo, ai comandi del suo invincibile robot, spiccò il volo verso l’azzurro. Verso la lotta. Verso la vittoria.

- continua -

Link per sostituire la suoneria al cellulare del professore: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3480#lastpost
 
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Conclusione.

Procton esaminò rapidamente i dati del nuovo mostro: una sorta di facocero sputafuoco dall’aria davvero inquietante. Ormai, con la pratica che aveva, sapeva capire subito quali sarebbero stati i mostri più potenti.
Questo sembra essere un vero osso duro, si disse.


Svariate paia d’occhi più uno fissavano lo schermo.
Stanco di cucinare pop corn, il mostro aveva cominciato a trasformare in marmellata un intero meleto.
Goldrake non si vedeva… ma quanto avrebbe impiegato, ad arrivare?
Re Vega strinse i braccioli della poltrona. Gandal e Hydargos saltellavano nervosamente sulle loro sedie. Zuril appariva serio, quasi preoccupato.
Dantus gli gettò un’occhiata: forse anche lui cominciava a chiedersi se davvero questa sarebbe stata la fine?
Se vinciamo, il merito sarà anche mio, si disse, stringendosi spasmodicamente le mani.
Cominciò a chiedersi cos’avrebbe potuto chiedere al sire… il comando supremo, la mano di Rubina, la successione al trono…?
Non hai ancora vinto, lo calmò un’odiosa vocina.
Era vero, dannazione… dov’era Goldrake? Perché non era ancora arrivato, pronto a farsi massacrare?
Stella si sistemò meglio nella sua poltrona e riprese il pisolo momentaneamente interrotto.


– Fermati, dannato mostro! – esclamò Actarus – Invece di distruggere la campagna, veditela con me!


Hanno inserito anche la voce di Actarus, pensò Procton. Ottimo, è ancora più realistico.
Spalancò le fauci del mostro e sparò una fiammata micidiale.


– Ahia, questo l’ha sentito – mormorò Hydargos.
– Perché, quest’altro no? – esclamò Gandal, impressionato.
– Bravo! Ancora! Ancora! – strillò Re Vega, che persa ogni regale dignità stava facendo il tifo come il più sfegatato tra gli ultras.
Una scena di una violenza indescrivibile… pezzi volavano in ogni dove. Zuril osservò i colleghi, e notò che entrambi apparivano sconcertati. Una simile efferatezza era troppo, anche per loro.
Lady Gandal, donna sensibile, non si faceva nemmeno vedere; evidentemente, tutta quella brutalità era troppo anche per lei.
Dantus non perdeva un singolo movimento: sotto alla sapiente guida del professore, il facocero stava riducendo in poltiglia Goldrake. Quello vero, naturalmente.
Un odioso bip-bip gli suonò nel comunicatore.
Dantus tentò distrattamente di zittirlo, ma il cicalino insisté. Doveva essere qualcosa d’importante.
Imprecando tra sé e sé, Dantus lasciò momentaneamente lo spettacolo del facocero che danzava sui rimasugli di Goldrake per controllare il messaggio: “…acconsenti?”
Premette l’assenso, e tornò a fissare lo schermo.


– E anche questa è fatta – Procton si stiracchiò (con compostezza) la schiena. Non era uomo da autoelogiarsi, ma era sicuro di aver fatto un ottimo lavoro. Era certo che T. Sunda, il solito dottore, che dalla sua sede seguiva sempre in diretta i suoi collaudi, aveva apprezzato molto la sua performance.
Controllò il programma: per quel giorno, avevano terminato.


– Terminato – mormorò Yamada, attonito.
Sullo schermo, apparivano pezzi vari, sparpagliati nel raggio di fin troppi ettari.
– Sarà difficilissimo rimetterlo insieme – bisbigliò Hamon.
– Sarà ancora più difficile distinguere tra i pezzi del robot e quelli di Actarus – sussurrò Hayashi.


Procton uscì dalla cabina di gioco, chiuse il portello insonorizzante e prese il cellulare che aveva lasciato sullo scaffale.
Almeno una ventina di chiamate? Da Yamada?
– Oh, diancine! – mormorò – Spero non sia successo niente di serio…


– Abbiamo vinto! – gli ululati del sire riempivano l’intera Sala Comando.
Abbrancato Dantus, il sovrano gli schioccò due sonori baci per guancia, prima di lanciarsi con lui in una sorta di tango forsennato.
– Non può essere sopravvissuto – esalò Hydargos, incredulo.
– Già mi manca – mormorò Gandal.
– È stato un degno avversario – sussurrò lady Gandal.
Zuril esaminò i dati che gli stava inviando il suo computer oculare e trasse le sue conclusioni.
A suo parere, era prematuro ordinare corone funebri.


– Un mostro a forma di… facocero? – esclamò Procton.
– Sì, professore – rispose Yamada – Una bestia terribile, che sputava fiamme…
Sputava fiamme? – per un istante, Procton fu sul punto di perdere l’innata compostezza; ma, appunto, fu un istante.
Una sorta di “gh!” inarticolato si levò dalla barella su cui giaceva un trito di carne bruciacchiata che, a detta del dottore del centro, era quel che restava di Actarus.
– Figliolo, ehm… pensa a rimetterti, sì? – borbottò Procton – Poi, temo che papà dovrà dirti qualcosina.
– Gh…?
– Non ci badare, adesso… ehm… non è niente d’importante. Pensa a guarire.
– Potete uscire, ora? – esclamò il dottore – Devo rimetterlo assieme, e credetemi, non sarà un lavoretto da niente!
– Certo, certo, vi lasciamo tranquillo – disse in fretta Procton, avviandosi verso l’uscita dell’ambulatorio – Buona fortuna, figliolo. Rimettiti, sai?
E uscì.


– Mi scusi se mi permetto, in un momento come questo – disse Yamada, nel corridoio – Ma, se dobbiamo riparare Goldrake… ammesso che riusciamo a farlo… dobbiamo cominciare subito.
– Certo, certo – rispose Procton, continuando a fissare la porta dell’ambulatorio. Actarus era tanto un buon ragazzo, ma non era sicuro di come avrebbe preso la sciocchezzuola che doveva rivelargli…
– Questo significa, hm, che dovrei ordinare i materiali necessari – continuò Yamada – e, dato lo stato del conto del Centro…
Procton si riscosse: – Non dovrebbero esserci problemi. Sai che ho guadagnato qualcosina, con la mia attività extra… comunque, ci mettiamo un istante a controllare – e preso lo smartphone, aprì l’app del conto bancario.
La somma totale fece sbarrare gli occhi pure a lui.
Controllò meglio: un nuovo, colossale accredito appena arrivato.
La paga del suo ultimo… ehm… collaudo.
– Ecco qui – disse, allo stupefatto Yamada – Come vedi, denaro ce n’è in abbondanza. Comincia pure a ordinare.
Yamada riportò gli occhi alla misura della bocca spalancata: di più, in quel momento, non poteva fare.
– S-sì, professore – tartagliò.


– Grande giornata! – dopo aver abbracciato e baciato l’intero staff, Re Vega si mise alla sua consolle – Oggi, dichiaro che sia un giorno di festa nazionale! Offro da bere a tutti!
– Grazie, sire – rispose Dantus, facendosi avanti. Secondo lui, era evidente, era ora di cominciare a parlare della sua ricompensa.
– Intendo, da bere a tutta la base Skarmoon!
– Che generosità, sire – disse Dantus – Ma io vorrei parlare di…
– Adesso basta parlare, bisogna brindare! – il sire si voltò verso Zuril – Voglio offrire all’intera base una dose di Sputafuoco… di ottima qualità, bada bene! Oggi è una giornata me-mo-ra-bi-le!
– Davvero, Maestà – rispose Zuril – Peccato però che il nostro mostro non sia sopravvissuto al combattimento.
– Cosa?
– Purtroppo, si è disgregato durante il rientro – Zuril si strinse nelle spalle – La lotta è stata molto dura e il professore ha avuto… come dire… la mano pesante.
– Ma ha sconfitto Goldrake, che è quello che conta! – si affrettò a sottolineare Dantus.
– Certo, certo – assentì il sire – e, come dicevo, bisogna festeggiare. Zuril, comincia a calcolare quante bottiglie devo far arrivare.
– Sputafuoco di ottima qualità, certamente – rispose Zuril, la voce caramellosa – Temo sarà una bella spesa, Maestà.
– E allora? Non posso forse permettermelo?
– Normalmente, sì – la voce di Zuril virò sul melassa farcita di rosolio – Ma ultimamente, temo che vi siano state delle spese… come dire… importanti. Forse sarebbe meglio controllare.
– Quali spese? – il sire balzò sulla sua poltrona, guardando male il suo ministro.
Zuril si strinse nelle spalle, mentre una fulgida aureola gli si allargava sulle aguzze orecchie.
Il sovrano aprì la schermata del conto delle spese della base.
Una lunga colonna di… uscite… conto in rosso? E di una cifra di parecchi zeri?
– È quel che temevo – Zuril assunse un’aria molto virtuosa, mentre il sovrano si lanciava in un’escalation di parolacce scandite con una tal perizia da far morire d’invidia un rapper professionista – Vi avevo accennato a un piccolo problema, sire, ma, ahimè, non sono stato ascoltato…
– Ma cosa sono queste spese del…! – fu ciò che si poté comprendere, tra un improperio e l’altro.
– Temo siano i compensi assegnati al professor Procton – fu la soave risposta di Zuril.
– Bisognava pagarlo bene, o non avrebbe accettato – squittì Dantus – Io ho agito per voi, per la vittoria, per…
– D’accordo, bisognava pagarlo bene, questo lo capisco – rispose il sovrano, arrotando le zanne – Ma non ti sembra di aver esagerato un pochino, con quel “bene”?
– Forse mi sono lasciato prendere la mano – pigolò Dantus.
– Forse! E poi – ruggì il sovrano – era il caso di pagarlo anche subito dopo aver sconfitto Goldrake? A quel punto, tanto valeva chiudere lì la faccenda e risparmiare tutti quei soldi!
Dantus aggrottò la fronte: pagato dopo la sconfitta? Quando?
Il bip-bip… la richiesta assillante… il consenso.
– Temo – penosa deglutizione – di essermi, ecco, sbagliato…
Il sire prese fiato, le vene del collo grosse come le cloches del facocero sputafiamme.
– Uccidetelo fino a quando non sarà del tutto morto! – sbraitò (poco regalmente) il sovrano.
Due soldati si fecero avanti e afferrarono per le braccia Dantus, talmente agghiacciato da non riuscire a profferir verbo.
Zuril s’avvicinò all’irato sire, tossicchiò.
– Suvvia – disse, la voce di rosolio sciroppato al caramello – Ha sbagliato, certo, ma l’ha fatto per eccesso di zelo. Forse, sterminarlo è eccessivo…
– Mi ha ridotto il conto in banca a una voragine! – sbottò Sua Maestà – Non devo nemmeno punirlo?
– Non ho detto questo… ma uccidere un ministro fedele e zelante come il nostro Dantus, mi sembra troppo…
– Sono d’accordo – esalò l’interessato.
– Io dico che un giretto in Sala Torture sia più che sufficiente. Punizione efferata, di grande soddisfazione, ma non definitiva.
– È un’idea! – esclamò il sovrano, solleticato – Ho giusto giusto il nuovo Strizzanervi elettronico-neurale da provare. Andiamo subito!
Zuril rimase impassibile, mentre osservava il collega urlante trascinato verso la Sala Torture e relative delizie.
Nella Sala Comando, cadde un grave silenzio.
Gandal si avvicinò al collega.
– Di’ la verità – sbottò – Non sarebbe stato molto più pietoso lasciare che lo facessero fuori?
– Sì – rispose Zuril, serafico, mentre l’aureola emanava sulfurei bagliori.
– Una fucilata, e morta lì. – Gandal deglutì – Ma adesso…
– Strizzanervi elettronico-neurale – Hydargos rabbrividì – Fa male solo a nominarlo.
– Figuriamoci a provarlo – e lady Gandal gemette di raccapriccio – Ma davvero il conto del sire è a zero?
– Magari, fosse solo a zero – Zuril scosse la testa – Era quel che avevo provato a dire, fin dall’inizio… sapete com’è, Dantus. Tende a esagerare.
– L’unica consolazione è che quei soldi non se li godranno granché – osservò lady Gandal, la mente più pratica del gruppo – Con i danni che ha subito Goldrake, serviranno tutti a rimettere in sesto il robot.
– Ammesso che bastino – osservò Hydargos, pessimista come sempre.
Dalla sua poltrona, Stella emise un sonnolento ronfare.


La pila di fatture si alzava sempre più; per curiosa coincidenza, il totale del conto invece continuava a calare.
Procton deglutì, mentre finiva di sottrarre dal totale le cifre delle ultime riparazioni eseguite: restava davvero ben poco, dell’enorme somma che aveva guadagnato.
Del resto, oltre al robot da riparare c’erano state anche le costosissime cure mediche prestate ad Actarus.
Actarus, già… sembrava ancora che fosse stato passato in un tritacarne, ma le bruciacchiature stavano guarendo, per cui era decisamente migliorato. Inoltre, aveva reagito da vero signore, quando era venuto a conoscenza del segretuccio di papà… di chi fosse stato alla guida del mostro, cioè. Una simile rivelazione, e non aveva battuto ciglio! Potenza della forza d’animo, dell’indole nobile e magnanima e dell’educazione superiore… e anche della mascella frantumata, che gli impediva di articolare qualcosa di più concettoso di “gh!”.
Procton sospirò, sottraendo al totale un altro conto (vernici, stavolta. Bisognava ben ridipingere il disastro, cioè il robot).
Un discreto bussare alla porta: Yamada.
– Professore…? – il giovane cincischiò nervosamente con i propri occhiali – Mi spiace disturbare, ma… voglio dire, ci sarebbe un’ultima spesa…
Procton trattenne il fiato: – Cioè?
– Le corna di Goldrake.
Procton scorse il mazzo delle fatture: – Non sono state già riparate?
– Sì, professore, e sono perfettamente funzionanti. Il Tuono Spaziale è di nuovo pronto a dare il colpo di grazia ai nemici. Tuttavia…
– Beh?
– La doratura è completamente rovinata, professore. Bisognerebbe placcarle di nuovo.
– Vuoi dire… in oro?
– Sì, professore.
Procton gettò uno sguardo al misero totale rimasto nel conto: – Puoi comprare un barattolo di porporina e un pennello.
– Porporina…? Ma, professore… si vedrà che non è placcato in vero oro…
– Puoi prendere un barattolo grande e dare due mani – concesse Procton, che sapeva comprendere certi problemi – Così, non se ne accorgerà nessuno.

FINE

Link per andare a spennellare le corna di Goldrake: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3480#lastpost
 
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Finalmente, ce l'ho fatta.
Merlino si era già inventato il nocciolo della storia ancora prima del Capodanno 2023, ma oi si è pure trovato le altre idee per le storie che avete già letto... insomma, ho praticamente finito l'altro ieri di scrivere tutto il malloppone (Sette puntate!). Il tempo di rileggere, di una seconda lettura con Merlino e l'altro figliolo, che sono i miei beta di fiducia, ed ecco qui.
Follia pura, ve lo garantisco. E sì che di storie natalizie ne ho scritte.
Il protagonista unico e indiscusso è ovviamente lui. :vega:
Non potrebbe essere altrimenti.
E qui, veniamo alla notizia cattiva: Actarus & C. si vedranno pochissimo.
Però (notizia buona) uno Yabby come lo vedrete quest'anno penso che sia...UNICO!
Buona lettura con la prima di sette parti.


HELP ME
Dal Polo (Nord) con terrore

1 dicembre – Base Skarmoon – Appartamento Reale – Mattina presto
Quella mattina Yabarn di Vega, destatosi da sogni inquieti, trovò la sua stanza trasformata in una specie di… mattatoio? Sì, quello forse era il termine più adatto.
Per sua natura, il sire non era un uomo impressionabile; anzi, diciamo pure che era provvisto di un forte spirito macabro. Ma svegliarsi nel proprio letto, e ritrovarsi con la stanza affrescata di una specie di sciroppo alle fragole, e con una sorta di macinato per ragù sparpagliato tutt’attorno, beh, fu un po’ troppo anche per lui.
Si strofinò gli occhi, si guardò in giro: denti, orecchie e altri pezzi vari fortunatamente poco riconoscibili lo circondavano, imbrattando il reale scendiletto, il regio pavimento e pure la regale trapunta.
Un balzo leggero, e Stella fu davanti a lui. Si accovacciò con aria adorante davanti al suo umano, guardandolo con grandi occhi dolci e tenendo in bocca un qualcosa che sembrava… un femore?
Il sire si mise a sedere sul reale materasso, mentre la gattina continuava a fissarlo intensamente: “Lo vedi, cosa ti ho portato? Sei contento?”
In quel momento, sentì risuonargli nelle orecchie quanto Zuril gli aveva spiegato sui gatti deraniani: si affezionano al loro umano, al punto da proteggerlo a ogni costo… eccezionali animali da difesa…
La risposta gli campeggiò nel cervello con tanto di luci gialle baluginanti: qualcuno si era introdotto nella sua stanza con intenti criminali, e Stella lo aveva sterminato.
Lanciò un ululato tale da far sussultare la gatta, che gli lasciò cadere il femore in grembo e schizzò via, la pelliccia color perla tutta ritta sulla schiena.


1 dicembre – Base Skarmoon – Sala Riunioni – Mattina più tardi
– Yamatai – disse Zuril – Il DNA è inequivocabile.
– Un miracolo, che sia rimasto qualcosa da analizzare in quella specie di spezzatino – commentò Hydargos.
– Il corpo è sparpagliato nell’area dell’intera stanza, ma il DNA naturalmente è rimasto integro – gli fece notare Zuril.
– Ma sì, sì, ovvio – Hydargos sbuffò – La mia, è solo una battuta.
– Yamatai? – seduto sul suo trono, Re Vega strinse istintivamente a sé la gattina – Vuoi dire che qualcuno del popolo di Himika ha cercato di uccidermi?
– Naturalmente, non credo che c’entri la regina, Vostra Maestà – s’affrettò ad assicurare Zuril – Sappiamo quanto vi sia affezionata.
– Sì, sì – glissò il sovrano. Da quando aveva sofferto di depressione, il suo rapporto con Himika si era fatto molto più stretto. Le disgrazie, si sa, non vengono mai da sole.
– Comunque, uno Yamatai? – chiese lady Gandal – Ma allora…?
– Già – rispose Zuril.
– Scusate – intervenne Gandal – Volete far capire anche a me?
– Non è evidente, chi sia il colpevole? – sbuffò sua moglie – Un minimo di sforzo mentale, e ci arrivi pure tu.
– Beh, magari sarebbe gentile spiegarglielo – disse il sire, con aria conciliante (che nascondeva una tensione spasmodica, dato che nemmeno lui aveva capito niente).
– Chi è che detesta voi e la regina Himika, sire? – chiese Zuril.
– Praticamente tutto l’Universo? – azzardò il sovrano.
Zuril scosse la testa: – La regina è amata dal suo popolo. Nessuno Yamatai le torcerebbe un capello… a parte, s’intende, l’Imperatore del Drago.
Re Vega batté il pugno sul bracciolo del trono: – Vuoi dire che è stato quel fetente a mandare un assassino perché mi uccidesse?
– Temo proprio di sì, Maestà.
– Ma se non gli ho fatto niente! …Non ancora, voglio dire. Non capisco.
– Io sì – Lady Gandal sembrò illuminarsi in viso: – Voi adesso andate d’accordo con la regina Himika!
– Bohf, bohf – borbottò il sovrano, due larghe chiazze vermiglie che gli si allargavano sulle guance color arancio.
– È vero. I vostri rapporti sono decisamente migliorati – intervenne Hydargos.
– E la cosa temo che abbia preoccupato l’Imperatore – concluse Zuril – Probabilmente, teme un’alleanza Vega-Yamatai: la posizione della regina sarebbe ancora più salda sul trono.
Il sire sentì mancargli il fiato: – E per questo, lui ha tentato di…?
– Mettiamola così, Maestà – spiegò Zuril – La regina Himika è una donna estremamente prudente e agguerrita. Non è facile sorprenderla.
– Mentre io sì?
– Diciamo che voi, finora, non avete avuto mai motivo di temere un attentato – rispose Zuril, diplomatico.
– Naturalmente, ora prenderemo provvedimenti – assicurò lady Gandal.
– E vedremo di rinforzare i sistemi di difesa – aggiunse Hydargos.
– Non temete, Maestà! – esclamò animosamente Gandal – Con noi, siete al sicuro!
Il sovrano gettò uno sguardo circolare sui suoi comandanti, uno per uno, e per tutta risposta strinse maggiormente a sé la gattina.
Fu proprio allora, come a voler spezzare quel momento d’imbarazzo, che risuonò il cicalino del comunicatore. Una chiamata dalla reggia Yamatai.
– Papino! – sullo schermo, apparve il viso preoccupato di Rubina, accanto a quello altrettanto angosciato di Himika – Abbiamo appena saputo… stai bene?
– Sì, sì – rispose in fretta il sovrano – Per fortuna, Stella ha pensato a tutto…
– T’avevo detto che i mici deraniani sono dei guardiani fantastici, Yabby caro! – esclamò Himika – Hai visto? Non hai subito nessun danno!
– Non proprio – borbottò il sire – Dovrò far riverniciare tutta la mia camera da letto… dopo che avranno grattato le pareti con una spatola per togliere quel che resta del killer.
– Stellina ha lavorato con coscienza! – esclamò Himika, orgogliosa – Tutta il suo papà!
– Comunque, papino – riprese Rubina – non possiamo lasciarti solo in una situazione simile.
– Arriviamo subito, tesoro! – esclamò Himika – Rubina, Pucci ed io!
– Pucci…! – nonostante fosse l’origine dei cromosomi di Stella, il gatto rosso della regina gli restava sommamente antipatico – Ma non occorre che veniate… E poi, Rubina, non eri da Himika in missione diplomatica?
– Mio padre viene prima di ogni altra cosa! – rispose l’affezionata figliola – E comunque, quel che dovevamo fare è praticamente concluso. Arriviamo! – e chiusero la comunicazione prima che lui potesse ribattere.
Yabarn di Vega ricadde contro lo schienale del suo trono.
Attorno a lui, il suo staff rimase in comprensivo silenzio.
L’attentato… e, come non bastasse, fidanzata, figlia e gatto rosso tra i piedi!
E poi dicono che il fulmine non cada mai due volte sullo stesso posto.


1 dicembre – Antro imperiale Yamatai – Pomeriggio
– Spappolato? – ruggì l’Imperatore del Drago.
– Sì, Vostra Imperiale Turpitudine – rispose SCR-12 (laddove SC stava per schiavo, R per robot e dodici era il numero progressivo ricevuto alla nomina a Imperiale Ciambellano) – Anche se il termine “triturato” sarebbe più adatto a descrivere lo stato in cui…
– Ma com’è possibile? – l’Imperatore batté una manata sul bracciolo del trono, facendo sussultare il suo draghetto da compagnia che gli si era drappeggiato sulle spalle – Grufus non ha mai fallito!
Finora – precisò SCR-12 – Purtroppo, ignoravamo la presenza della gatta deraniana. È stata lei a…
– Una gatta deraniana? – mancava poco che l’Imperatore schizzasse bile e scintille dalle narici – E chi è stato il farabutto che ha dato la gatta a quel dannato Yabarn?
– La regina Himika, Vostra Imperiale Scelleratezza – rispose SCR-12.
– T’avevo detto di non nominarmela nemmeno! – ruggì l’Imperatore. Una tiratina alla coda e Svamp, il draghetto, vomitò una fiammata verde.
SCR-12 finì sul pavimento, un mucchietto di scaglie di metallo bruciato.
L’Imperatore ricadde seduto sul trono, il viso cupo e un demone haniwa per ognuno dei suoi rossi capelli.
Davanti a lui, un paio di domestici si affrettarono a spazzar via quel che restava di SCR-12.
Un nuovo ciambellano sembrò materializzarsi davanti al corrucciato signore: – SCR-13 pronto a prendere servizio, Vostra Nequizia Imperiale.
– Voglio un altro killer! – ringhiò l’Imperatore – Ma ne voglio uno che sia davvero abile. Grufus era in gamba, è vero, ma si è fatto ammazzare. Stavolta, voglio un fuoriclasse. Uno che non possa essere fatto a pezzi da quel dannato gatto.
– In questo caso, sconsiglio l’impiego di un assassino organico, Vostra Perversità Imperiale – rispose il robot – Suggerisco un killer androide, in lega metallica ultrarinforzata. Veloce, preciso, privo di emozioni, spietato.
– Smettila di esprimerti come uno spot pubblicitario! – l’Imperatore prese a giocherellare con la coda di Svamp, che cominciò a osservare SCR-13 con interesse professionale – Di cosa stiamo parlando?
– Dell’ultimo modello di killer robot, naturalmente – SCR-13 digitò qualcosa sul suo comunicatore personale – Se la Vostra Imperiale Nefandezza desidera vederlo…
Un cenno brusco d’assenso. SCR-13 avvicinò all’adirato signore il comunicatore: l’immagine di un androide alto e dall’aria decisamente tosta campeggiava sullo schermo.
– Grunt – assentì l’Imperatore, favorevolmente colpito – Sei sicuro che questo coso funzioni davvero?
– Ma certo, Vostra Malvagità Imperiale – rispose SCR-13 – È considerato assolutamente infallibile. L’assassino perfetto. Quando ha scelto la sua vittima, questa è praticamente morta, anche se respira ancora. – abbassò la voce in tono reverente: – Lo hanno chiamato Ultimator.
– Va bene! – altra manata sul bracciolo, altro sussulto del draghetto – Mi hai convinto. Ingaggialo immediatamente.

- continua -

Link per tirare la coda a Svamp: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3480#lastpost
 
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Parte seconda.

1 dicembre – Base Skarmoon – Sala Riunioni – Sera
– Vuoi dire che ci riproveranno ancora? – esclamò il sire.
– Mi pare ovvio, papino – rispose Rubina – Dubito che l’Imperatore del Drago si fermi davanti a un insuccesso.
– Oh, non lo farà, no! – esclamò Himika, stringendo la bipenne fino a far sbiancare le nocche – Conosco bene quel fetente: se ha provato una volta a farti fuori, Yabby tesoro, puoi star sicuro che ci riproverà.
– Oh! – Re Vega non era un codardo; tuttavia, l’idea di essere in cima al libraccio nero dell’Imperatore gli dava un certo timore.
– Ci siamo noi con te, Yabby! – Himika si protese verso di lui e gli strinse una mano.
– Ma sì, papino, non devi preoccuparti! – Rubina, seduta all’altro lato, strinse anche lei la zampaccia paterna.
Zuril si schiarì la voce. Solo allora, il sire e le due signore ricordarono di non essere i soli, seduti al grande tavolo di riunione.
– Perdonatemi, Maestà – disse il Ministro delle Scienze – Ma, prima di ogni altra considerazione, suggerirei di decidere al più presto il da farsi.
– Uh… sì, sì, certo – il sire ritirò le mani da quelle della figlia e della fidanzata, sforzandosi di assumere un’aria molto, molto sprezzante del pericolo – Cosa suggerisci, Zuril?
– Stabilire una linea di condotta, innanzitutto – fu la risposta – L’Imperatore ha fatto la sua mossa. Come reagiremo, noi?
– Neanche da chiederlo! – esclamò animosamente Gandal, balzando in piedi e battendo un pugno sul tavolo – Quella canaglia ha osato attentare alla vita del sovrano di Vega! Un’offesa intollerabile! Deve pagare!
– Cosa pensi di fare? – chiese di rimando Hydargos, dubbioso.
– E me lo domandi? – altro pugno – Guerra! Distruggerlo! Sterminarlo! Spazzarlo via dalla faccia della Terra! Questa è l’unica risposta possibile!
– Se stai parlando di trucidare quel manigoldo, hai tutto il mio appoggio – rispose Himika, lisciando tra le dita il manico d’argento della bipenne.
Altro colpetto di tosse di Zuril.
– Lodevole proposito, che normalmente avrebbe il mio plauso – disse Zuril – È però mio doloroso compito far presente lo stato delle regie finanze.
– Agh! – esclamò il sire. Il regale portafogli era sempre fonte di dolorosissime fitte.
– Sono costretto a ricordare – continuò Zuril in un tono di scusa che stillava sciroppo – che dopo la… ehm… deplorevole trovata del Ministro Dantus, che ha letteralmente coperto d’oro il professor Procton, il regale conto… come dire… langue.
Grugnito del sire. Il pensiero di tutti i presenti andò a Dantus, ancora al Centro Medico, sezione Traumatologia, in seguito al suo passaggio in Sala Torture, avvenuto dopo quella scellerata iniziativa.
Un silenzio lugubre cadde nella sala.
In certi casi, Gandal non era uomo capace di fare uno più uno: – E con ciò?
– Niente soldi, niente guerra – intervenne bruscamente lady Gandal – Come fai a costruire navi e mostri, quando non hai il denaro? In genere, i fornitori di materie prime hanno l’abitudine di voler essere pagati.
– Eh, già – borbottò Hydargos, sarcastico – Che pretese assurde, vero?
– Vuoi dire – chiese Gandal, che voleva essere ben sicuro del fatto suo – che non possiamo dichiarare guerra?
– No – rispose Zuril.
Gandal sembrò afflosciarsi sulla sua poltrona.
Una bipenne d’argento si agitò nervosamente a mezz’aria. Himika voleva azione, decisioni, risultati. Deluderla, sarebbe stato poco gentile… e tutt’altro che salutare.
– Scusate – intervenne Rubina – pensiamo intanto a cosa fare per mettere al sicuro papino… Sua Maestà, voglio dire.
– Ecco, pensiamoci! – approvò il sire.
– Voglio dire – continuò la principessa – che se l’Imperatore ha tentato una volta di assassinarlo, ci proverà ancora…
– Sicuramente! – esclamò Himika.
– Non abbiamo armi a sufficienza per garantire la sicurezza del sovrano di Vega! – esclamò Rubina – Vogliamo pensare quindi a una soluzione alternativa?
– Farlo sparire – disse Hydargos.
Re Vega gonfiò orgogliosamente il torace: – Cosa? Io, Yabarn il Grande, Imperatore della Nebulosa, dovrei scappare a nascondermi per colpa di quel fetente?
– Un fetente pieno di finanze, sire – gli fece notare Zuril.
– E con le finanze, si possono fare tante cose – aggiunse lady Gandal.
– Come assoldare dei killer professionisti – concluse Hydargos.
– Ah – il torace del sire si sgonfiò subito – Non avevo considerato la cosa da questo punto di vista.
– Bene, questo è deciso! – Himika batté la bipenne sul tavolo – La nuova questione è: dove lo nascondiamo?
– In un posto sicuro – disse subito il sire.
– Questo è ovvio – tagliò corto Rubina – Ma dove?
– In una delle nostre fortezze più impenetrabili? – propose Gandal.
– Quelle, saranno i primi posti in cui lo cercheranno – osservò Hydargos – Ci vuole un posto dove non pensino mai di trovarlo… che so, un pianeta tranquillo, come Gerontina 7…
Gerontina 7, cioè dove abitava zia Gurtha… orridi ricordi si affacciarono alla mente del sire: – No! Gerontina, no!
– Scarterei anche paradisi come Nereis 5 o Artis 9 – aggiunse Rubina.
– E nemmeno Eros 2, e relative bellezze femminili naturali e rifatte! – esclamò in fretta Himika, che conosceva bene il suo uomo.
– Peccato… – sussurrò il sire.
Altro silenzio, e scambio di occhiate dubbiose.
– Chiediamo ad Actarus se lo ospitano alla fattoria? – buttò lì lady Gandal.
L’immagine del sire intento a spalar letame balenò nelle zucche presenti; ma anche quella soluzione non sembrò adatta.
– È già stato da loro, anni fa – disse Himika – Lo troverebbero.
– Ci vuole un posto più sicuro! – aggiunse Rubina.
Zuril, rimasto in pensieroso silenzio fino ad allora, sembrò improvvisamente risvegliarsi: – Forse mi è venuta un’idea.
Tutti lo guardarono.
– Siamo tutti orecchie – disse Himika.
Zuril cominciò a spiegare.


2 dicembre – Base Skarmoon – Studio privato reale – Mattina
Seduto alla regia scrivania, Zuril, che del gruppo era il più diplomatico (per non dire il più sfacciatamente adulatore), sotto gli occhi del sire, di Himika, di Rubina e del resto dell’élite di Vega, scrisse una mail tutta zucchero e miele in cui, dopo saluti e complimenti vari, si veniva finalmente al dunque: richiesta di ospitalità per il sovrano, per piacere e grazie.
Risposta arrivata a giro strettissimo, che sotto alla forma garbata lasciava intuire la sua vera sostanza: neanche per sogno.
Mail numero due, sempre grondante lattemiele, in cui si faceva presente la difficile situazione in cui versava il sire, facendo appello al buon cuore, buoni sentimenti, eccetera eccetera.
Risposta fulminante (e impeccabilmente educata): no, per favore no.
Mail numero tre: nuova richiesta, corredata da esposizione del problema, allusione a possibili nefasti eventi che avrebbero potuto accadere alla sventurata vittima, richiesta di alloggio con suppliche varie.
Risposta educata, anche se un filino secca: no.
– Oh, lascia che ci provi io – sbottò Hydargos, che come Himika era uomo che amava veder risultati.
– Se credi di far meglio di me, accomodati – e Zuril gli cedette il posto.
Hydargos vergò a sua volta la mail numero quattro, il cui succo era (e le parole in corsivo sono la versione purgata del testo originale): “Quel delinquente dell’Imperatore del Drago ha cercato di far fuori il re, e da quel birichino che è ci proverà ancora. O lo tenete nascosto voi, o il bricconcello riuscirà ad assassinarlo, e tutto perché voi, poco gentili, vi siete rifiutati di aiutarlo e l’avete lasciato nella melma. Se il sire muore, saranno cavoli vostri”.
Stavolta, la mail rimase a lungo senza risposta: tutti immaginarono che dall’altra parte si stesse tenendo una gran discussione sul da farsi.
Era ormai mattino, ed erano tutti più o meno crollati dalla stanchezza sulle varie sedie e poltrone, quando un “ting!” segnalò l’arrivo di un nuovo messaggio. Hydargos si riscosse e rialzò il naso dalla tastiera, mentre accanto a lui anche gli altri si stavano scuotendo dal sonno.
Aprì la mail: era telegrafica.
“Va bene. Lo aspettiamo”.

- continua -

Link per ricevere lezioni di corrispondenza diplomatica da Hydargos: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3495#lastpost
 
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Parte terza.

3 dicembre – Polo Nord – Pomeriggio
Un turpe figuro procedeva nella neve: portava nella sinistra una valigia, e nella destra un’enorme sacca. Indossava un gran berrettone di lana calcato sugli occhi, uno sciarpone che gli arrivava al naso, un collo di pelliccia grigia e un gran mantello purpureo che il vento polare gli faceva svolazzare sulle spalle.
Era una bella giornata, il che significava che il cielo blu scuro era sereno e non nevicava.
Il figuro procedette con la sicurezza che poteva dargli il micronavigatore che aveva al polso, e che lo guidò verso un gran mucchio candido. Solo una volta vicino, poté vederlo per quel che era: una casetta di legno dal tetto coperto di neve. Una seconda costruzione, che sembrava una stalla, sorgeva poco più in là. Dietro, un altro edificio in legno, molto più grande, che dava l’idea della fabbrica.
Il brutto ceffo si fermò davanti alla porta: era di legno, tutta intagliata a foglie di agrifoglio, e decorata con una grande ghirlanda verde con nastri rosso fuoco. Un campanello dorato pendeva a fianco della porta; afferrò la catenella e tirò.
Un attimo dopo, la porta si aprì: apparve un tizio gioviale, la pancia fasciata da un maglione rosso jacquard con disegni di fiocchi candidi, pantofolone imbottite e una tazza di cioccolata fumante in mano.
– Ho, ho, ho! Eccoti qui! – tuonò Babbo Natale.
Dietro di lui, apparvero due occhialetti ovali montati su un grande naso. Due occhi come punte di spillo si fissarono sul nuovo venuto: – Ah, sei già qui. Pulisciti le scarpe, prima di entrare.
Yabarn il Grande strusciò diligentemente i piedi sullo stuoino. Fece per muovere un passo, ma un’occhiataccia di Befana lo fermò col piede a mezz’aria.
– Qui non si entra in casa con le scarpe! Mettile al loro posto.
Solo allora, il sire si accorse che nel piccolo ingresso si trovava uno scaffale su cui depositare le proprie calzature: in casa, era evidente, si entrava solo in pantofole.
– Ma io non ho le ciabatte – mormorò – Cioè, le ho… ma sono in valigia.
Altra occhiataccia da parte di Befana: – Allora, per adesso puoi stare in calzini.
Il sire depose a terra borsa e valigia, si tolse le scarpe, le pose sullo scaffale.
Diede un colpetto alla pelliccia: Stella gli si srotolò dal collo, si stiracchiò con aria sonnacchiosa e balzò silenziosamente a terra. Allora il sire si tolse il mantello e lo appese all’attaccapanni di legno, alla parete. In calzini purpurei, poté finalmente entrare in casa.
– Lascia giù le valigie, ci penserai dopo – disse Babbo, cordiale.
Befana continuava a guardarlo con palese disgusto. Tra lei e il sire non era mai corso buon sangue; l’idea di ritrovarsi tra le pantofole il vecchio manigoldo non era pensiero tale da farla scoppiare di felicità, anzi. Quanto a lui, improvvisamente si ricordò di una sua antica insegnante di matematica, che gli aveva funestato gli anni della fanciullezza: anche lei lo guardava come avrebbe guardato un pendaglio da forca senza speranza, e anche lei, come Befana, era capace di incutergli una sorta di sacro terrore. Vero che, a suo tempo, lui non si era fatto scrupoli di bombardare Befana, inviarle ordigni esplosivi, distruggerle la casa: ma ora, avrebbe dovuto vivere per chissà quanto sotto il suo stesso tetto. La faccenda era davvero differente. Insomma, un conto è colpire da lontano, un altro è trovarsi ventiquattr’ore su ventiquattro sotto uno sguardo laser capace di polverizzarti con una sola occhiata.
– Su, su, accomodati – Babbo lo guidò nel salottino: un bel fuoco ardeva nel caminetto. Davanti, un tavolino, due poltrone imbottite e una sedia di legno. C’erano anche un grande albero di Natale e svariate decorazioni colorate, ma il sire, stanco e intirizzito, non ebbe occhi altro che per il caminetto caldo e le poltrone.
Stella corse subito verso il fuoco: si stiracchiò con aria voluttuosa e si acciambellò sul folto tappeto.
Babbo prese posto su una poltrona; il sire di Vega fece per sedersi sull’altra.
– Quella è la mia poltrona! – lo bloccò Befana.
– Oh – il sire si fermò con le natiche a mezz’aria; si guardò in giro, e vide la sedia di legno.
– Quella è per te, sì – Befana gli cacciò in mano una tazza di cioccolata – Se ti comporterai bene, magari avrai una poltrona anche tu.
Con un sospiro, il sire sedette. Il legno era duro, anche troppo per un fondoschiena abituato a poltrone ergonomiche – aerodinamiche – anatomiche eccetera.
– Prendi – e Befana gli cacciò sotto al naso un cuscino foderato in tessuto scozzese rosso.
– Grazie – e il sovrano si accomodò. In effetti, col cuscino non rischiava di ammaccarsi il fondoschiena sul sedile di legno.
Un profumo di cioccolata, misto all’aroma di abete dell’albero, gli arrivò alle narici. Bevette un sorso: era calda e squisita. Il futuro cominciò a sembrargli un po’ più roseo.
Alzò gli occhi, e incrociò lo sguardo di Befana che lo fissava da sopra gli occhialetti ovali. Uh-uh… forse, non era il caso di mostrarsi troppo ottimisti.


3 dicembre – Base Skarmoon – Sala Riunioni – Pomeriggio
Presieduta dalla principessa Rubina, quello stesso pomeriggio si tenne la riunione dello staff di Vega, cui si era aggiunta Himika. Unico punto all’ordine del giorno: cosa fare contro l’Imperatore?
– Si va da quell’impunito e gli si dà il fatto suo! – esclamò la regina, che era un tipo diretto.
– Possiamo davvero farlo? – chiese Rubina, dubbiosa – Voglio dire, attaccare direttamente l’Imperatore non è proprio molto diplomatico…
– Però darebbe soddisfazione – e Himika si rigirò la bipenne tra le dita.
Molta soddisfazione – aggiunse Gandal, che aveva idee tutte sua circa i rapporti da intrattenere con altri capi di stato, specie se fetenti.
– In effetti… – cominciò Hydargos. Era di natura meno irruenta di quella del collega; tuttavia provava per l’Imperatore la stessa simpatia che avrebbe provato per del pepe macinato negli slip.
Zuril tossicchiò, come sempre quando si apprestava a dire qualcosa di spiacevole.
– Concordo con Sua Altezza Rubina – disse, in tono di scusa – Andare ad attaccar briga con l’Imperatore non mi sembra una scelta molto saggia: significherebbe guerra…
– Ottimo! – giubilò Gandal.
– Non tanto, visto lo stato attuale delle nostre finanze – gli tarpò le ali Zuril.
– Uh – Gandal chinò la testa.
Himika depose mestamente la bipenne.
Silenzio generale.
– Allora? – Rubina batté la mano sul tavolo, con un’autorevolezza che il suo augusto genitore le avrebbe invidiato – Altre idee?


3 dicembre – Polo Nord – Sera
La cena fu a base di zuppa di salmone con panna e aromi, poi formaggio, verdure e pane integrale e infine frutti di bosco misti e kanelbullar, una sorta di girelle dolci alla cannella. Il sire era piuttosto affamato: il freddo gli aveva messo un certo appetito, e superati i primi timori per quella cucina così diversa da quella cui era abituato, dovette convenire che era tutto buono. Molto buono, anzi. A dispetto di quel che poteva pensare di lei, dovette riconoscere che Befana fosse una cuoca eccellente.
– Era tutto squisito – disse, rifiutando a malincuore l’offerta di un’altra kanelbullar. Aveva mangiato fin troppo, altroché… da sotto al tavolo, una specie di piccola deflagrazione comunicò a tutti che Stella aveva molto gradito la sua porzione di pesce.
– Bene, parliamo di cosa faremo per proteggerti – disse Babbo, togliendosi dalla barba qualche briciola di salmone e kanelbullar – Innanzitutto, devo dirti che abbiamo eretto qui attorno una barriera magica che renderà possibile trovare questa casa solo a chi sa dove si trovi… e l’Imperatore ne ignora persino l’esistenza.
– Infatti, non ci ha mai bombardati, lui – e Befana diede un’occhiata severa al sire, che sembrò rimpicciolire sulla sua sedia.
– Comunque – riprese Babbo, guardando la compagna con aria di rimprovero – pensiamo che sia meglio che tu viva sotto copertura…
– Come dicono nei film polizieschi – Befana sorrise – Tu stravedi per i gialli, vero, Babbino?
– Beh… – sopra la barba candida, i pomelli di Babbo s’imporporarono – Lo devo ammettere: tutto questo è molto eccitante!
– Eccitante? – il sire si aggrappò ai bordi del tavolo di legno – Scusate, ma stiamo parlando della mia pelle!
– Non essere tragico! – esclamò Befana.
– Qui sei perfettamente al sicuro – aggiunse Babbo.
– Basta che tu rimanga nei confini magici che abbiamo tracciato attorno a casa, il che significa un raggio di un chilometro circa – continuò Befana.
– Per cui, puoi anche andar fuori a fare pupazzi di neve, se ne hai voglia – concluse Babbo.
– Pupazzi…? – il sire lo guardò come si guarda un perfetto mentecatto. Un feroce assassino era sulle sue tracce, e quel cerebroleso parlava di pupazzi di neve!
– Nel tuo tempo libero, beninteso – Befana lo guardò severamente – Qui si lavora, giovanotto. Anzi, l’idea è proprio questa: ti impiegheremo nella fabbrica di giocattoli.
– È un’ottima copertura! – esclamò Babbo, convinto – Fosse mai il caso che l’assassino riuscisse a superare la barriera magica…
– Ma non è sicura? – gemette il sire.
Befana lo guardò di traverso: – Conosci qualcosa che sia sicuro al cento per cento?
– No…
– Appunto – Befana impilò i piatti sporchi – Ecco perché ti unirai ai nostri operai.
– Difficile che un assassino ti individui, in mezzo agli altri elfi – osservò Babbo – Soprattutto, se indossi anche tu i loro vestiti rossi e verdi.
– Rossi e…? – nel cervello del sovrano di Vega sembrò marchiarsi a fuoco l’immagine di un elfetto col berrettino, i calzerotti a righe, i campanellini – Preferisco morire!
– Attento, c’è il rischio che tu venga accontentato – gli fece notare dolcemente Befana. Un gesto e i piatti, perfettamente puliti, s’infilarono da soli nella credenza.
Il sire sembrò afflosciarsi su sé stesso.
Un altro cenno di Befana, e steso su una sedia apparve un completo per un elfo alto sui due metri e venti: cappellino verde con bordo rosso e campanellino in punta, giubbetto verde, calze a righe rosse e verdi…
Il sire ricadde contro lo schienale, premendosi una mano sullo stomaco, scosso da penosi conati.
– Suvvia, suvvia – lo consolò Babbo – Tanto, non lo saprà mai nessuno.


4 dicembre – Antro imperiale Yamatai – Notte
– Ecco, Vostra Imperiale Atrocità – SCR-15, successore dei numeri 13 e 14, schiantati dall’Imperatore in un momento di nervosismo, introdusse il nuovo venuto – Vi presento Ultimator, l’assassino perfetto.
Un antropoide si fece avanti: altissimo, bicipiti come cosce, cosce come toraci e torace che sembrava scoppiar muscoli in lega metallica ultrarinforzata. Sotto una fronte bassina, e sopra un mascellone di rispettabili proporzioni, due occhi rossi si posarono sull’Imperatore: – Definire incarico.
L’Imperatore scoccò un’occhiataccia a SCR-15: – Non gli hai spiegato la missione?
– Ma certo, Vostra Imperial Putrescenza! – s’affettò a rassicurarlo il ciambellano – Ho mostrato l’immagine del bersaglio, ho detto che lo volete morto…
– Molto morto! – sbottò l’Imperatore, serrando la mano sulla coda di Svamp – Mortissimo! Definitivamente defunto!
– È quel che gli ho detto! – assicurò SCR-15.
– E allora, se sa tutto, perché dovrei definire l’incarico?
Due occhi rossi si posarono su di lui: – Definire livello di ultimazione: occorre tener conto dei danni collaterali?
– Eh? – chiese l’Imperatore, che non aveva capito niente.
– Vuol sapere – spiegò SCR-15 – se deve uccidere solo il sire di Vega, senza nessun’altra vittima, o se…
– Io lo voglio morto! – sbottò l’Imperatore – Se per farlo fuori ci scappa qualche altro cadavere, pazienza! Anzi, se riesci a far fuori pure quella specie di scoria tossica di Himika, tanto meglio!
– Doppio bersaglio, doppia tariffa – avvertì Ultimator.
Un pensiero al compenso richiesto per l’ultimazione del sire fece decidere subito l’Imperatore: – No, no, fai come se non ti avessi detto niente su Himika. Quanto ai danni collaterali… beh, fai come ti pare, purché tu mi ammazzi ben benino quella carogna di Yabarn.
– Affermativo! – rispose Ultimator – Ultima posizione del bersaglio conosciuta?
– Non si trova su Skarmoon – rispose l’Imperatore – Le mie spie mi hanno riferito che è partito, ma non sono riuscite a sapere dove sia andato. Puoi provare i vari pianeti su cui preferisce alloggiare: Nereis 5, Artis 9… ma, come primo tentativo, ti consiglio di provare su Eros 2. So che è un posto che apprezza parecchio.
– Vostra Imperial Marcescenza, io stesso ho fornito a Ultimator un elenco dei possibili pianeti su cui il sovrano possa essersi nascosto – intervenne SCR-15.
– Perfetto – l’Imperatore guardò con approvazione l’enorme robot: – Vai, e uccidi!
– Ultimazione Yabarn di Vega. Possibilità danni collaterali. Incarico accettato! – esclamò Ultimator.
Quindi girò sui talloni metallici e uscì a grandi passi.
La caccia era iniziata.


4 dicembre – Polo Nord – Mattina molto presto
Un baccano infernale lo fece schizzare sul materasso.
Yabarn di Vega cercò di riportare i battiti cardiaci a una quantità compatibile con la sopravvivenza, mentre si guardava attorno in cerca della fonte del frastuono.
La scoprì quasi subito: una specie di gnometto di legno, dipinto a colori vivacissimi, che suonava gaiamente – e insistentemente – la campanella che stringeva in mano. Una dannata sveglia, puntata a un’ora in cui qualunque essere dotato di senno dovrebbe starsene nel suo letto.
Si guardò attorno: pareti di legno, mobili intagliati, finestra con tendine bianche e rosse, trapuntona scozzese multicolore. Il profumo di abete delle pareti si mescolava a quello della lavanda che emanava dalle lenzuola. Una stanzetta graziosa, agli occhi di un terrestre; una sorta di cella da incubo per un sovrano abituato a robodomestici, mobili scientificamente studiati e aroma di detergente.
Provò a spegnere il dannato gnometto, che intanto continuava a scampanellare: niente, non esistevano pulsanti, leve, bottoni. Lo scaraventò contro la parete: lo scampanellio continuò, incessante. Gli tirò un calcio: nulla. Gli saltò sopra a piè pari, lanciando poi un ululato di dolore: il legno era duro e spigoloso, sotto ai suoi piedi coperti solo da un paio di calzerotti di lana.
Il mostro però aveva smesso di suonare. Il sire si sedette sul letto, prendendosi in grembo il piede offeso e chiamandolo coi nomi più dolci.
Il tintinnio riprese, energico: l’infernale gnometto aveva ricominciato a scampanellare.
Il sire lo guardò con occhio iniettato di sangue e odio puro.
Befana si affacciò alla porta: – Continuerà a suonare, se non ti alzi!
Il sire si rimise in piedi, e lo gnometto tacque.
– E non tentare di gettarlo via – avvertì Befana – È magico. Tornerebbe. Muoviti, la colazione è pronta.
– A quest’ora? – sbottò il sire.
– Hai il tempo per mangiare, lavarti i denti e il resto, vestirti e andare a cominciare il tuo turno in fabbrica.
– Turno in… ma scherziamo?
– Sei un elfo, ricordi? …E non dimenticare di lavarti collo e orecchie – e Befana chiuse la porta e scomparve.
Il sire masticò un paio di parole che sua figlia Rubina avrebbe trovato estremamente riprovevoli; poi, afferrato lo gnometto, aprì la finestra e lo scaraventò fuori; un secondo dopo, la statuina gli impattò in pieno naso.
Altra occhiata colma d’odio al nanetto boomerang.
Afferrò di nuovo il dannato aggeggio, lo scaraventò fuori dalla finestra e chiuse in fretta i vetri.
Ghignando, andò alla porta, l’aprì… il legnoso mostriciattolo gli piombò in faccia a tutta velocità.
Masticando altri termini che avrebbero disturbato anche Hydargos, che pure era abitato al gergo della bassa forza, il sire andò in soggiorno: la visione del tavolo pronto per la colazione gli allargò il cuore. Babbo e Befana lo attendevano, seduti davanti a tazze, piattini e bricchi fumanti.
Improvvisamente affamato, il sovrano fece il pieno di caffè, biscotti, torta e panini con burro e marmellata; tornò in camera sentendosi satollo, tanto satollo da desiderare di tornare a nanna per un pisolino digestivo… e qui, un’orrenda visione lo attendeva.
Sul letto, magicamente rifatto, era altrettanto magicamente comparso il suo completo da elfetto alto due metri e venti: cappellino verde, campanellini, calze a righe…
Ripresosi dall’attacco di nausea, il sovrano prese tra due dita il giubbetto e cominciò a vestirsi.
Fortuna che nessuno che conosco potrà mai vedermi conciato così, si disse.

- continua -

Link per andare a dare solidali pacche sulla schiena al sire, che poveretto...: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3495#lastpost
 
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Quarta parte.

4 dicembre – Polo Nord – Mattina presto
– Questo è Yubby – lo presentò Babbo Natale – Non è molto pratico di lavori manuali, per cui cerca di dargli dei compiti non troppo difficili.
– Yubby? – ringhiò il sire, schifato.
– Non potevo dire il tuo vero nome – sussurrò Babbo nel barbone.
Il sovrano masticò amaro. Il costume da elfo non era una sofferenza sufficiente, a quanto pareva.
– Yubby, eh? – Grigno, l’elfo a capo di tutti gli altri elfetti, zucca pelata, barbetta caprina e due grossi sopracciglioni neri, guardò con scetticismo i due metri e venti di spilungone che aveva davanti – Un po’ cresciutello, vero?
– Una disfunzione ghiandolare – disse in fretta Babbo.
– Hm – Grigno guardò di traverso il nuovo arrivato, e scosse la testa: – Va bene, vediamo cosa sai fare. Cominceremo con qualcosa di semplice… Come te la cavi, a verniciare?
– Boh – rispose il sire, che aveva un’idea molto vaga della faccenda.
Poco dopo, si ritrovò seduto a un tavolo carico di cavallini, coniglietti, soldatini eccetera, tutti di legno.
– Ecco qui – Grigno gli mise in mano un pennello e un barattolo di vernice – Sono già stati colorati, come vedi. Tu devi solo dare la mano finale di vernice trasparente.
Re Vega guardò con disgusto tutta quella specie di zoo di legno: – Ma cosa sono?
– Siamo nella Fabbrica di Babbo Natale – gli fece presente Grigno – Cosa vuoi che produciamo? Liquori?
– Beh, magari…
– Sono giocattoli, no? – sbottò Grigno. Era evidente che gli avrebbe massaggiato volentieri il cocuzzolo con un coniglietto di legno.
Il sire si fece scettico: – Vuoi dire che i bambini giocano con queste cose qui?
– Una volta, lo facevano – Grigno sospirò, pensando ai bei, vecchi tempi andati – Adesso, chiedono più che altro diavolerie elettroniche… le pleistescion, e quelle robe lì. Bah. …Fortuna che c’è sempre qualche bimbo di buon gusto che ama i giocattoli tradizionali.
– Però, io…
– Zitto, e spennella!
Neanche mezz’ora dopo, in seguito a un’inondazione di vernice trasparente (barattolo urtato accidentalmente con un gomito), Grigno spostò il sire a un altro reparto: nuovo lavoro, incollare i pezzi degli aeroplanini di legno. La colla era in tubetto, difficilmente Yubby avrebbe potuto far guai.
Dopo un’altra mezz’ora, un sire appiccicaticcio e con ali ed eliche di legno incollate a dita, barba e orecchie, fu spostato nel reparto peluches: nuovo compito, imbottire d’ovatta tanti animaletti coloratissimi e pucciosi.
Stavolta, Re Vega impiegò molto meno tempo per farsi espellere: in meno d’un quarto d’ora, coperto d’ovatta da capo a piedi, fu trascinato via per un orecchio da un inferocito Grigno.
Nuovo reparto: contare le pedine della dama da inserire nelle scacchiere. Ventiquattro, dodici bianche e dodici nere. Bisognava prenderle da due grandi contenitori, contarle e inserirle all’interno della scacchiera, aperta a metà. Semplice, vero? A prova d’idiota, come disse Grigno.
Poco dopo, un Grigno schiumante dovette riconoscere che un conto era un idiota, un altro era l’elfo Yubby; mentre altri elfetti raccoglievano tutte le pedine cadute a terra dai contenitori rovesciati, il sire veniva trascinato per l’altro orecchio in un nuovo reparto.
Confezione dolci: i sacchetti di cioccolatini erano pieni e sigillati, si trattava solo di aggiungere il fiocco rosso decorativo. Yubby era in grado di far questo?
Certo, Yubby era in grado di annodare un nastro.
Peccato che Yubby fosse anche capace di aprire i sacchetti e farsi una spanciata di quelle squisitezze.
Le altre volte, si era trattato di dabbenaggine, e Grigno aveva avuto la mano leggera (le orecchie del sire avrebbero avuto da ridire su ciò): stavolta, l’elfo sbatté Yubby fuori dal reparto dandogli uno spintone.
Col piede.
Poco dopo, il regale posteriore ancora offeso, l’elfo Yubby si ritrovò in mano una scopa e una paletta: pulire i pavimenti. Almeno, con quel lavoro non avrebbe potuto far danni.
Yabarn il Grande era pur sempre Yabarn il Grande: mentre lavorava di ramazza, vedendo passare Grigno decise di prendersi una piccola soddisfazione.
Come fu, come non fu, la scopa finì tra le caviglie di Grigno, facendolo ruzzolare a terra, il naso per primo.
Più tardi, più alto di qualche centimetro causa bernoccolo sul cranio (scontro tra il suo occipite e il manico della scopa), l’elfo Yubby si ritrovò nelle scuderie, a spalare letame di renna.
Guai, avrebbe potuto combinarne anche lì; ma le renne erano fornite di corna, e non avevano paura a usarle.
Fu una lunga giornata.


8 dicembre – Eros 2 – Giorno
Allontanandosi dalle macerie fumanti di quello che era stato il Luxury Hotel, massima attrattiva del pianeta, Ultimator depennò mentalmente quell’obiettivo.
Re Vega non c’era. Un killer coscienzioso come lui era più che certo di quel che faceva.
Salì sulla sua navetta e impostò la nuova meta.
Stavolta, il Fato si sarebbe abbattuto sulle spiagge e sulle acque cristalline dei mari di Nereis 5.


8 dicembre – Base Skarmoon – Studio privato di Rubina – Sera
– Devastato? – esclamò la principessa.
– Totalmente – rispose Zuril – Del Luxury Hotel, non resta pietra su pietra.
– Oh. E degli occupanti?
– Ne è rimasto qualcosa – Zuril controllò sul suo terminale – Soprattutto pezzi vari. Sparpagliati.
– Uh – Rubina ricadde contro la poltrona.
– Altezza – intervenne Gandal – Ho appena ricevuto un rapporto dalle spie che ho fatto infiltrare tra i seguaci dell’Imperatore. Ho saputo che ha assoldato un killer.
– Eh? – Rubina lo guardò con occhi vacui.
– Quel…! – e qui, bisogna dire, Himika masticò una parola ben poco regale. Nessuno ebbe nulla da eccepire: a dire la verità, i presenti avrebbero ruggito ben di peggio.
– Questo è un attacco vero e proprio! – esclamò Hydargos, furioso.
– Un fatto gravissimo, cui dobbiamo rispondere! – gli fece eco lady Gandal.
– Concordo. Con quest’attacco, l’Imperatore ha passato ogni limite – aggiunse Zuril.
Rubina lanciò un’occhiata interrogativa a Himika: era d’accordo?
– Con quel che ha fatto, bombardare il farabutto è il minimo – rispose la regina, digrignando i denti.
– Diamo l’ordine di attaccare? – giubilò Gandal.
– No – Rubina balzò in piedi, con piglio deciso – Voi non fate proprio nulla. Andremo noi, voglio dire Himika ed io, a conferire con l’Imperatore.
Uscì, seguita dalla regina, che brandiva la bipenne con aria combattiva. Pucci, rimasto fino ad allora a pisolare su una poltrona, balzò leggermente a terra, diede una scrollata alla rossa pelliccia e trotterellò subito loro dietro.
Hydargos sbuffò.
Il viso di Gandal s’allungò.
Lady Gandal sospirò.
– Non avete capito niente – disse Zuril.
Tre paia d’occhi lo guardarono, interrogativi.
– Non avete sentito come Rubina ha detto “conferire”? – Zuril non era certo un pauroso, ma in quel momento percepì un certo gelo salirgli su per le vertebre – Ho il forte sospetto, per non dire la certezza, che all’Imperatore sarebbe andata molto meglio se la principessa avesse ordinato di bombardargli la reggia a tappeto.
Gli angoli di tre bocche risalirono verso le rispettive orecchie.
– Ah, beh, allora… – disse lady Gandal.
Ma parlava per tutti e tre.


9 dicembre – Antro imperiale Yamatai – Mattina
– Forse abbiamo esagerato – osservò Rubina.
– Ma no, no – e con la punta della bipenne Himika diede un’altra rimescolata ai rimasugli dell’Imperatore sparpagliati sul pavimento – Il fetente se l’è andata a cercare, credimi.
Rubina scosse il capo. Aveva il forte sospetto che la situazione le fosse lievemente sfuggita di mano.
In realtà, lei avrebbe voluto battere i pugni sulla scrivania dell’Imperatore e dirgli il fatto suo, almeno all’inizio; Himika però ci aveva messo in mezzo la sua bipenne, Pucci aveva fatto il resto, lei si era lasciata trascinare, e ora l’Imperatore, e pure il suo draghetto Svamp, assomigliavano parecchio a un monte di macinato, pronto ad essere trasformato in polpette.
– SCR-19 in servizio, Vostra Malefic… ah – il robot ciambellano si fermò sulla porta.
Era stato convocato non appena il suo predecessore, SCR-18, aveva avuto un brusco incontro con la bipenne di Himika; si era precipitato dal suo padrone per ricevere ordini, ma naturalmente ora la faccenda si faceva complicata.
– Se sei venuto a cercare guai, scatoletta, sei nel posto giusto – e Himika gli puntò contro la bipenne.
– No… cioè, non ho avuto ordini, Vostra Maestà – il robot sembrava sul punto di grattarsi la metallica pera – L’Imperatore non mi ha lasciato istruzioni… o meglio, non ha avuto il tempo di farlo.
Himika gli diede un paio di colpetti di bipenne sull’occipite – La cosa ti dà problemi?
– In effetti sì, Vostra Maestà. Non mi è stato detto come comportarmi nei vostri riguardi. Suppongo che dovrei mostrarmi ostile, ma…
– Sono la Regina Yamatai – gli fece presente Himika – Ti può essere sufficiente un ordine dato dalla sottoscritta?
SCR-19 ci pensò un attimo: – Suppongo di sì, Vostra Graziosa Maestà.
– Molto bene. Non essere ostile. Quel che è accaduto, è stato per mio personale volere.
– Certamente, Vostra Maestosa Sublimità – e il robot si piegò a squadra in un perfetto inchino.
– Adesso, Sua Altezza ed io abbiamo fatto quel che dovevamo – un gesto di Himika, e Pucci le saltò sulle spalle, drappeggiandolesi attorno al collo – Tu intanto pensa a dare una ripulita, d’accordo? E, già che ci sei – allungò un calcetto a un pezzo tritato dell’Imperatore – puoi gettar via la spazzatura.
– Obbedisco, Vostra Superiorità Maestosa – inchino numero due. SCR-19 era robot da tenere al proprio rivestimento cromato, senza dubbio.
– Un momento – intervenne Rubina – Prima che ce ne andiamo, devi dirci chi sia il killer che è in caccia di mio padre. Era quel che volevamo sapere dall’Imperatore, ma – e gettò un’occhiata a Himika, che assunse un’aria molto innocente – non c’è stato il tempo di fargli domande.
– Si tratta di Ultimator – rispose SCR-19 – Efficiente, rapido, infallibile.
– Va bene – rispose la principessa – Adesso, però, gli invii il contrordine.
– Temo sia impossibile, Vostra Grandiosa Altezza – nella voce di SCR-19 vibrava una sorta di tremolio, come se gli si fosse inceppato qualcosa nel sistema vocale – Mi duole riferire che il modello Ultimator può essere fermato solo dalla persona che gli ha impartito l’ordine iniziale.
– Intendi coso, qui? – Himika allungò un altro calcetto.
– Precisamente, Vostra Maestosa Radianza – altro tremolio. Il malfunzionamento peggiorava.
– Vuoi dire – il tono di Himika era ancora calmo, ma s’intuiva che non lo sarebbe stato a lungo – che solo il qui presente farabutto tritato può bloccare quel dannato killer?
– T-temo di s-sì – ormai, ogni sillaba sembrava incagliarglisi negli altoparlanti – N-non è c-colpa m-mia…
Himika e Rubina si guardarono in faccia; poi, lentamente, spostarono gli sguardi sul tritume a terra.
– C’è solo una cosa da fare – disse Himika.
– Rimetterlo in piedi – assentì Rubina.
– E fargli dare l’ordine di bloccare il robot – puntualizzò la regina.
– Lo facciamo curare su Skarmoon – decise Rubina.
– Ottima idea – Himika si rivolse a SCR-19: – Fai raccattare tutti i pezzi, rimettili assieme come puoi e impacchetta il tutto. Lo portiamo via subito.


9 dicembre – Base Skarmoon – Centro medico – Pomeriggio
– Cosa significa “non è possibile rimetterlo insieme perché è troppo sminuzzato”? – chiese Himika, agitando la bipenne tra due dita.
– Esattamente quel che ho detto – il dottor Urgh sospirò; la bipenne emanò un sinistro scintillio, e lui pensò bene di aggiungere: – Per lo meno, non posso fare in fretta come chiedete: il corpo umano ha i suoi tempi, e per avere un minimo di recupero…
– A noi, basta che sia in grado di parlare – asserì Rubina.
– Sì, una volta che ha detto una cosuccia, non ci interessa che sopravviva – puntualizzò Himika.
Urgh si passò la mano sulla fronte: – Vedrò cosa posso fare; ma, per quel che chiedete, non state parlando con la persona giusta.
– Scusate, dottore! – esclamò Rubina, spazientita – Ma non siete voi il miglior chirurgo di Skarmoon?
– Sì. Ma per questo genere di interventi, il reparto giusto è quello – e col dito, indicò il soffitto. La Sezione Miracoli, era evidente, non era ancora stata aperta, al Centro Medico di Skarmoon.
Un’infermiera s’affacciò alla porta: – È tutto pronto per l’intervento, dottore.
– Arrivo – Urgh sospirò ancora – Speriamo che non manchi nessuna parte essenziale.
E si avviò mestamente verso la sala operatoria.
Rubina e Himika si guardarono in faccia.
– Stai pensando la stessa cosa che penso io – quella della regina non era una domanda.
– Penso che, finché quel killer è attivo, papino sia ancora in pericolo – asserì Rubina.
– Non è detto – cercò di rincuorarla Himika – Ultimator deve prima trovarlo, no?


13 dicembre – Nereis 5 – Mattina
Il vento tropicale faceva frusciare le foglie delle palme, unico suono udibile su una spiaggia generalmente piena di rumore.
Facendosi strada tra macerie di capanne e ombrelloni, Ultimator scavalcò un secchio d’acqua ancora pieno di cocchibelli algoliani e cancellò mentalmente anche Nereis 5 dalla sua personalissima lista.
Il sire non era nemmeno lì.


13 dicembre – Base Skarmoon – Studio privato di Rubina – Pomeriggio
– Devastato? – Rubina ricadde nella sua poltrona.
– Fino all’ultimo coccobello algoliano – rispose Zuril, cupo.
– Ultimator è un tipo coscienzioso, a quanto pare! – ringhiò Himika.
– Ma non c’è modo di trovarlo, quel dannato catorcio? – sbottò Hydargos.
– Ho sguinzagliato ovunque le mie spie – disse lady Gandal.
– Niente, nessuna traccia – concluse Gandal.
Rubina si guardò in giro: – Qualcuno ha un’idea sul da farsi?
Silenzio inequivocabile. No.
Rubina era una principessa beneducata e contegnosa, che aveva un alto concetto della propria dignità; fu per questo che si limitò a un solo improperio.
Ma tale da far imporporare le orecchie ai suoi pur scafatissimi ufficiali.


16 dicembre – Artis 9 – Mattina
Robot attento e ordinato, Ultimator scosse ben bene i piedi dalle nevi di Artis 9 prima di salire la passerella della sua navetta.
Niente da fare, nemmeno qui il sire era presente.
Ultimator rifletté: certo, avrebbe potuto continuare a passare di pianeta in pianeta sterminando e distruggendo, e prima o poi sarebbe incappato nel suo obiettivo; ma la faccenda si sarebbe rivelata lunga, e soprattutto costosa. I proiettili pyro-esplosivi del suo blaster non venivano certo regalati, e devastare un pianeta richiedeva un certo costo. Ora, per quanto avesse presentato all’Imperatore un conto ben pingue, non poteva certo pensare di poter andare avanti così. Era necessario compiere una ricerca, cercar di individuare dove si trovasse l’obiettivo… o, almeno, capire dove non potesse assolutamente essere, in modo da evitare perdite di tempo, denaro, proiettili e, incidentalmente, di vite umane e non.
Si mise ai comandi della navetta e partì verso lo spazio; una volta in orbita attorno ad Artis 9, si sarebbe collegato a Interveg e avrebbe dato il via alle ricerche.
Un sovrano alto due metri e venti e munito di barbaccia viola non era poi così facile, da occultare.


16 dicembre – Base Skarmoon – Studio privato di Rubina – Pomeriggio
Artis 9? – il ruggito di Rubina non aveva nulla da invidiare a quelli lanciati dal suo augusto genitore quando gli veniva annunciata l’ennesima sconfitta – Quel malnato rottame ha devastato Artis 9?
– Sì, Vostra Altezza – rispose Zuril, serio.
Rubina strinse i pugni, e si capiva benissimo che avrebbe stretto più volentieri qualcos’altro… il chip centrale di un robot, ad esempio. Era particolarmente affezionata ad Artis 9, su cui aveva trascorso vacanze indimenticabili; l’idea che quel mondo candido di neve incontaminata fosse stato trasformato in una sorta di granita, beh, non l’entusiasmava affatto, se vogliamo usare un eufemismo.
– Ne ho abbastanza! – esplose – Dobbiamo intervenire, e dobbiamo farlo subito!
– Purtroppo, cara – le fece notare Himika, in tono comprensivo – non sappiamo quale sarà il prossimo bersaglio di quell’Ultimator, altrimenti…
– Altrimenti, possiamo decidere noi quale sarà! – esclamò la principessa, decisa – Lui vuole uccidere papino? Bene: facciamoglielo trovare!
– Stai scherzando? – esclamò Himika, inorridita – Vuoi far correre un simile rischio a tuo padre?
– Non a lui! – comprese Zuril.
– Vuoi dire…? – lady Gandal deglutì.
– Non capisco – Hydargos si grattò il piriforme cocuzzolo.
– Un’esca! – esclamò la principessa – Qualcuno che gli somigli, ma che non sia lui! Ultimator esce allo scoperto, e ci pensiamo noi a farne lattine schiacciate!
Zuril lesse mentalmente i dati del suo computer oculare: – Ultimator, in lega metallica ultrarinforzata. I fucili dovrebbero bastare… specie se li caricheremo con i nuovissimi proiettili X-Pepper.
– Aspetta – intervenne Hydargos – Non sono quelli che hai brevettato da poco… quelli che dicevi che hanno un componente segreto?
– Non ho ancora avuto il tempo di provarli – esclamò Gandal – Sono così efficaci?
– Sono proiettili esplosivi, ripieni di acido corrosivo – fu la risposta.
– E… il componente speciale…?
– L’acido corrosivo contenuto all’interno, vuoi dire? – Zuril lo guardò un po’ di traverso – Ti ricordi quando tua moglie ha cucinato la salsa piccante?
– Oh – da blu, Gandal si fece grigiastro. Ricordava, ricordava. Come avrebbe potuto dimenticare?
Dalle sue profondità interiori, percepì un “Bruti!”: la signora, offesissima, aveva deciso di non farsi vedere, per fortuna.
– Va bene, allora useremo Ultimator come bersaglio da tiro – esclamò Himika, facendo oscillare nervosamente la sua bipenne – Ma resta il problema di cosa usare come esca… o meglio, chi.
Dagli anfratti interni di Gandal, la signora trattenne il fiato.
– Beh, naturalmente ci vuole qualcuno di molto alto – disse Rubina.
– E con le spalle larghe – aggiunse Zuril.
– Bisognerà mettergli un mantello porpora – disse Himika.
– E una barba finta viola – fece presente Hydargos.
– Perché guardate tutti me? – esclamò Gandal.
“Indovina un po’?”, gli chiese lady Gandal.

Link in cui andare a fare patpat sulla spalla del dottor Urgh: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3495#lastpost
 
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Quinta parte. Per il sire, sta per arrivare il peggio...

17 dicembre – Orbita di Artis 9 – Sera
I dati fluivano nella sua mente con una rapidità che avrebbe indispettito Zuril, convinto com’era che il suo computer oculare fosse praticamente il più veloce esistente. Da ore e ore Ultimator scorreva le notizie, un po’ come avrebbe fatto un libraio alla ricerca di un titolo preciso: scorreva e scartava, scorreva e scartava, scartava e scorreva… un momento!
Fermò il file che gli interessava.
Nebula 2… tizio alto e magro, aria furtiva… mantello viola… zona disabitata…
Obiettivo avvistato.
Ultimator controllò: Nebula 2, considerato il pianeta più insipido dell’Impero di Vega, una sorta di palla liscia e grigiastra, atmosfera nebbiosa, nessun interesse storico, artistico, commerciale… niente di rilevante in fatto di materie prime… lontano dalle rotte più comuni, insomma, il classico buco in cui nessuna persona sana di mente andrebbe a cacciarsi, a meno che annoiarsi non sia lo scopo della sua vita… in effetti, il nascondiglio perfetto.
Ultimator impostò la rotta – dopo aver spiegato al sistema di navigazione cosa stesse cercando, dato che Nebula 2 non sembrava nemmeno far parte degli elenchi dei mondi conosciuti.
Quindi, stabilito che sì, proprio quel sasso lontano da ogni pianeta civile era la sua meta, fece uscire la navetta dall’orbita e puntò nello spazio.
La caccia continuava.


18 dicembre – Polo Nord – Mattino
Seduto al tavolo della colazione, gli occhialini tondi sul naso, Babbo aprì la sua copia di Cronache Artiche. La lettura del quotidiano dopo colazione, mentre beveva la sua seconda tazza di caffè, era una delle abitudini cui era più affezionato.
Accanto a lui, Yabarn il Grande, o meglio l’elfo Yubby, stava inzuppando un biscotto nella propria tazza; mugolò, quando Befana chiuse il coperchio della biscottiera.
– Ne hai mangiati anche troppi, birbante! – esclamò lei, evitando abilmente le dita adunche che si erano subito protese.
Nonostante la bocca strapiena, il sire protestò: – Ma fono buoniffimi…
– Sì, e ne hai fatti fuori tantiffimi! – tagliò corto lei – Finirà che ti verrà il mal di pancia.
Due occhi tristi seguirono la biscottiera che veniva riposta nella credenza; una mano implacabile chiuse gli sportelli e girò la chiave.
– Questa la tengo io, monellaccio – e Befana ripose la chiave nella tasca del suo grembiule.
Il sire sbuffò. Era un sovrano, un imperatore, comandava popoli, poteva decidere stragi e genocidi; e quella vecchietta lo trattava come un bambinetto maleducato!
– Oh! – esclamò Babbo – Questa sì che è una notizia!
– Che succede? – domandò Befana.
– Hanno fatto fuori Ultimator! – Babbò aprì il giornale sul tavolo. Un articolo spiegava l’accaduto: Nebula 2… Avvistamento del sire… agguato, condotto dalla principessa Rubina in persona… Ultimator ridotto a colabrodo da una raffica dei nuovissimi proiettili X-Pepper… La regina Himika in persona aveva ridotto i rimasugli in limatura metallica a suon di bipennate.
– Quel robot era in lega ultrarinforzata – Babbo si grattò pensosamente la barba – Non capisco come la regina possa averlo sminuzzato, con la sua bipenne in semplice argento.
– La bipenne si è rotta, però – osservò il sire.
– Solo dopo aver fatto limatura di Ultimator – Babbo alzò lo sguardo e incrociò gli occhialetti di Befana – A meno che…
– Oh, un aiutino tra donne – Befana si fece scaturire qualche stellina tra le dita – Se non ci diamo una mano tra di noi…
– Grumpf – e Babbo sprofondò di nuovo il naso nel giornale.
Delle fotografie accompagnavano l’articolo: innanzitutto, un’immagine d’archivio di quello che era stato il terribile Ultimator. Poi, un ritratto dei partecipanti all’agguato: Rubina in atteggiamento da fiera pistolera, Zuril e Hydargos in posa con i fucili spianati, Himika che brandiva una bipenne ormai schiantata e, davanti a tutti, Pucci intento a leccarsi il sottocoda.
Il sire guardò la figlia, guardò la fidanzata, e sentì uno strano rimescolio in mezzo ai polmoni… o forse era il suo stomaco troppo peno di biscotti che protestava. Sicuramente era così.
L’ultima fotografia mostrava un molto meno epico comandante Gandal, montato su due stivaloni dalle suole a zattera che lo alzavano di una ventina di centimetri buoni, avvolto in un mantello purpureo e reso quasi irriconoscibile da una parrucca e una barbaccia viola, messe entrambe un po’ a sghimbescio. Aveva l’aria di chi se l’era vista bruttissima; ma era vivo e illeso, e questo contava.
– Ultimator è schiantato? – giubilò il sire – Allora, posso tornare a casa!
Babbo e Befana si scambiarono un’occhiata.
– Meglio di no – disse infine Babbo – Per un poco, almeno.
– Non siamo sicuri che non ci sia un qualche altro killer sulle tue tracce – spiegò Befana.
– Ho già parlato con tua figlia e con Himika, e sono entrambe d’accordo – aggiunse Babbo.
– Passerai il Natale qui con noi – concluse Befana – Intanto, faranno delle indagini, si accerteranno che tu sia davvero al sicuro, e poi potrai magari tornare a casa per Capodanno.
Yabarn il Grande non rispose. La sua faccia aveva assunto una straordinaria somiglianza col muso di un bracco particolarmente depresso.
– Suvvia, non essere triste – Befana gli batté un paio di colpetti sul braccio – Lo facciamo per il tuo bene.


19 dicembre – Base Skarmoon – Mattina
La notizia che Ultimator era stato ridotto in polverina fu accolta con vera gioia dall’intera base Skarmoon: il sire era sano e salvo, e questa per i veghiani era già una buona notizia. Quel che però contava anche di più, è che finalmente si poteva pensare a organizzare le feste di Natale: purtroppo la faccenda del robot killer aveva impedito qualsiasi preparativo, per cui ora era necessario recuperare il tempo perduto.
Zuril fu il primo a darsi da fare. Dopo essersi messo in videocontatto con una certa casa in Baviera, e dopo i normali preamboli, andò subito al sodo: – Gudrun, purtroppo la faccenda del sire mi ha impedito di pensare a qualcosa per Natale. Adesso vedo se trovo un qualche bel posticino in cui andare, noi due e Otto; è un po’ tardi, ma…
– Scusa – lo fermò lei – perché quest’anno non passiamo le feste lì, su Skarmoon?
– Qui? – Zuril sembrò disorientato – Ma sai come vanno le cose, qui… il pranzo tutti insieme, e poi il Capodanno con l’ingegnere che fa le imitazioni, Boba la Grassona che balla…
– Ricordo benissimo – rispose Gudrun, pronta – e ricordo anche che ci siamo divertiti molto. Perché non ripetere?
Una volta tanto, Zuril rimase senza parole: in effetti, due anni prima Gudrun aveva partecipato ai festeggiamenti della base, e le era piaciuto; e, a dire il vero, la gioia di lei aveva contagiato pure lui. Oltretutto lei, socievole com’era, si era fatta subito delle amicizie tra gli abitanti della base. Era stato un Natale davvero piacevole. Perché no?
– E Boba sia – rispose.
Chiusa la comunicazione, rifletté tra sé. Restare su Skarmoon avrebbe avuto i suoi vantaggi: avrebbe avuto accesso al suo osservatorio personale, innanzitutto. Proprio la notte del 24 era previsto il passaggio di un’interessantissima cometa: sarebbe stato un peccato, perderselo. Immaginò la scena: lui e Gudrun tutti soli sotto alla cupola in plastivetro, le stelle attorno a loro… certo, ci sarebbero stati anche il gatto Otto e i telescopi, ma con qualche decorazione natalizia, una buona cenetta, l’atmosfera giusta data dalle stelle e la chimica che tra di loro non era mai mancata, sarebbe stata una serata insolita e romantica.
Altrettanto impegnati furono i coniugi Gandal. In genere, le feste per loro significavano accollarsi zia Gurtha, ma per quell’anno sarebbero stati graziati: la signora infatti sarebbe rimasta su Gerontina, e avrebbe ospitato la sua carissima amica terrestre, Hara. Sarebbe stata lei, a prendersi cura della vecchia carogna durante le feste e relative ferie della badante… quell’anno, i signori Gandal avrebbero trascorso un Natale tranquillo, a casa e soprattutto senza la zia.
Unica cosa di cui dovevano occuparsi, era il trasporto di Hara su Gerontina: del resto, col po’ po’ di favore che lei faceva loro, preoccuparsi del trasporto era il minimo.
Gandal si mise alla sua personale consolle e ordinò una navetta: giorno tale, ore tali, dalla fattoria di Hara, Terra, alla casa di zia Gurtha, su Gerontina. Quindi, inviò un messaggio a entrambe le donne: il giorno 23 dicembre una navetta sarebbe stata a disposizione di Hara, onde trasportarla felicemente su Gerontina. Tutto era a posto, quindi.
Inviati i due messaggi, Gandal e signora si rilassarono sulla loro poltrona, lei mandando un gridolino di gioia, lui un largo sbuffo di felicità.
Natale senza zia Gurtha. Il Paradiso in terra.
Altrettanto impegnato fu Hydargos, che in quei giorni aveva celato la sua agitazione dietro la maschera impassibile del perfetto ufficiale. Il fatto era che lui aveva un impegno natalizio programmato da parecchio tempo; non ne aveva fatto parola con nessuno, ovviamente, e fino all’ultimo aveva temuto di dover rinunciare per colpa della pessima abitudine dell’Imperatore di inviare robot killer a scaricare i fucili contro i sovrani altrui.
Ora, in videocomunicazione con un certo indirizzo terrestre, il gelido ufficiale dai modi bruschi e marziali aveva lasciato il posto a un innamorato dalla voce che era tutta un lattemiele.
– Sarà meraviglioso, ne sono sicuro… i tramonti, le montagne, le praterie sterminate… noi due soli… cioè, non proprio soli, ma…
– Oh, Hydargos! – anche attraverso lo schermo del comunicatore, lui poté vedere che le guance di Venusia si erano modestamente arrossate – Anche se ci saranno gli altri, magari riusciremo a ritagliarci qualche momento solo per noi…
– Beh, spero bene che sarà qualcosa di più di qualche momento – puntualizzò lui che, nonostante fosse d’animo romantico, era fornito anche di un forte senso pratico – Voglio dire…
– Lo so benissimo cosa vuoi dire! – lo interruppe lei, ormai decisamente color porpora – Per piacere! Vuoi che papà ti senta?
– Ma… voglio dire, sei adulta, lui dovrebbe capire come vadano le cose…
– Sì, sì, ma papà è papà, lo sai…
Eccetera. Tra le varie frasi senza importanza che si dissero, trovarono però il modo di accordarsi: appuntamento alla fattoria per il 22, partenza il 23.


23 dicembre – Fattoria Makiba – Mattina presto
– Avete preso tutto? – chiese per l’ennesima volta Rigel.
– Sì, papà! – sbuffarono a una voce sola Mizar e Venusia, col tono esasperato di chi, quella risposta, l’ha dovuta dare fin troppe volte.
– Allora forza, forza, partiamo! – Rigel batté le mani, eccitatissimo – Dobbiamo andare fino all’aeroporto, poi bisogna fare il check-in, poi…
– Papà, smettila! Abbiamo tutto il tempo che occorre! – esclamò Venusia.
Mizar, che era stato sul punto di salire sulla jeep, cambiò idea e corse verso l’automobile rossa fiammante di Tetsuya: – Posso venire con voi?
– Certo che sì! – esclamò Shiro, aprendogli la portiera. Si fece da parte, e Mizar salì a bordo.
– Grazie! – e sedette accanto a lui sul sedile posteriore – Non credo che potrei sopportare ancora mio padre!
– In aereo, vedremo di sederci lontani da lui – sorrise Jun.
– Pronti, ragazzi? – Tetsuya girò la chiavetta – Si parte!
Un urlo entusiastico fu la risposta: due intere settimane in America, a vedere i posti in cui Rigel era stato un giovane cowboy! Texas, Arizona, Colorado… il Deserto Dipinto, il Grand Canyon… Natale nel vecchio West! Che meraviglia!
Tetsuya partì.
Actarus mise in moto la jeep: accanto a lui, Rigel non faceva altro che chiacchierare a ruota libera, mescolando vecchi ricordi a coloriti modi di dire tipici dei rudi cowboys. Sul sedile posteriore, Venusia e Hydargos, un Hydargos camuffato da terrestre ma comunque riconoscibile, si scambiarono un’occhiata tra il rassegnato e il divertito: con Rigel così su di giri, il viaggio sarebbe stato davvero lungo.
Dietro di loro, anche il professor Procton fece partire la propria berlina (blu, piuttosto sobria): accanto a lui sedeva Alcor, l’unico del gruppo ad avere l’aria immusonita. Dietro, Maria e Sayaka non facevano che sussurrare e scoppiare in risatine complici. Accanto a loro, Banta saltellava sul sedile, impaziente com’era di partire – e soprattutto, di godersi quella sua prima avventura senza mammà.
Il viaggio era stato deciso da tempo. Da anni, Rigel ripeteva di voler far conoscere loro le meraviglie del vecchio west; si era quindi stabilito di sfruttare le vacanze natalizie, complice anche un forte sconto di gruppo.
Non tutti però sarebbero partiti: innanzitutto, Procton aveva declinato all’ultimo minuto, colpa soprattutto delle fortissime spese che aveva dovuto sostenere negli ultimi tempi. Vero che aveva guadagnato un bel po’ di denaro grazie al sedicente Sunda T., che guardacaso era pure dottore; ma era altrettanto vero che le riparazioni a Goldrake avevano letteralmente risucchiato l’intera cifra. Il professore avrebbe trascorso un economico Natale in casa.
Actarus pure aveva deciso di non venire. Piuttosto oculato nel risparmio, non tanto per tirchieria quanto perché le sue esigenze erano davvero scarse, il giovane avrebbe potuto benissimo permettersi il viaggio; ma il pensiero di lasciar soli gli animali della fattoria l’aveva convinto a restare a casa.
Più probabilmente, come aveva malignato Maria con Sayaka e Jun, non gli sorrideva molto l’idea di vedere per quindici giorni Venusia e Hydargos che filavano il perfetto amore; ma gli animali restavano la scusa ufficiale.
Anche Alcor avrebbe passato le feste all’insegna dell’economia; ma in questo caso la colpa era solo sua, dato che si era fucilato i risparmi comprandosi una honda ultimo modello. Se in quel momento si trovava diretto in aeroporto con i suoi amici, era solo perché avrebbe poi dovuto riportare indietro l’automobile di Tetsuya. Per il resto del tempo natalizio, sarebbe rimasto a dare una mano ad Actarus, che oltre alla fattoria di Rigel aveva promesso di prendersi cura anche di quella di Banta. Non avrebbero avuto tempo di annoiarsi, sicuramente.
Scaricati amici e bagagli e scambiati gli ultimi saluti, ci si separò: chi partiva, partì; gli altri tre fecero invece ritorno a casa.
Contemporaneamente Hara, a bordo di una lussuosa navetta, stava lasciando lo spazio terrestre, direzione Gerontina 7.


24 dicembre – Polo Nord – Pomeriggio inoltrato
– E proprio non riesci a muoverti? – chiese Babbo.
– No! – Grigno gettò un’occhiataccia all’elfo Yubby – Ho la schiena bloccata! Se ti dico che mi sono preso il colpo della strega…!
– Ma com’è successo? – chiese Befana.
– Ho fatto un movimento brusco – altra occhiataccia a Yubby, che guardò il soffitto con aria vacua.
– Ma perché? – insisté Babbo.
– Perché dovevo dare la scopa in testa a quel bel tipo lì – e accennò a Yubby, che saltellò sul piede sinistro.
Babbo scosse il capo: – Sai che disapprovo la violenza. Perché volevi colpirlo con la scopa?
– Perché se lo meritava! – sbottò Grigno, mentre Yubby saltellava sul piede destro – Quel tizio è un flagello! Dopo tutti i disastri che ha combinato in fabbrica, l’avevo messo a lavorare nelle stalle, pensando che almeno lì non avrebbe potuto combinar guai…
– Illusione… – Befana parlò a mezza voce, ma con un volume tale da essere sicura che sentissero bene tutti. Babbo la gratificò di un’occhiata di rimprovero.
– Non so cos’abbia combinato, quel discolaccio – continuò Grigno, dardeggiando occhiate feroci su Yubby, che raspò il pavimento con la punta del piede, come se avesse voluto scavarsi una buca in cui scomparire – Del resto, una carogna come Re Vega non può certo diventare in pochi giorni l’Amico degli Animali!
La carogna in questione fece un balzo: – Ma come l’hai capito, che io…?
– Disfunzione ghiandolare o meno, un elfo alto due metri e venti? – Grigno scosse il capo, schifato – Non son giocondo, caro mio. Lo sappiamo tutti, alla fabbrica, ma per amore di Babbo e Befana teniamo le bocche cucite.
– Ah – e il sire chinò la testa, lasciando errare lo sguardo sui suoi regali stinchi fasciati in righe rosse e verdi.
– Comunque – e Grigno dardeggiò intorno a sé fiere occhiate – le renne ormai non lo sopportano più, sono diventate isteriche!
– Beh, nemmeno io sopporto quelle bestiacce – borbottò il colpevole.
– Babbo, ti dico solo questo! – sbottò Grigno – Hai presente Cupid?
– Ma certo, è la creatura più dolce, più gentile e paziente che abbia mai conosciuto – rispose Babbo, la voce che era tutta un trillo come quella d’un padre che parla della frugoletta preferita – E allora?
– Ormai, come vede questo bel soggetto, Cupid sbuffa scintille da occhi, narici e orecchie, e cerca d’incornarlo. Da dolcissima cerbiattina a schiumante furia omicida! Per colpa sua! Non ne ho potuto più, ho alzato la scopa per dargli una sacrosanta lezione, e trac! Incriccato! – Grigno sbuffò scintille pure lui, o così almeno parve all’elfo Yubby – Mi sono riempito la schiena di grasso di balena…
– Me n’ero accorta – assicurò Befana. In effetti, attorno a Grigno aleggiava un certo sentore di pescheria.
– …ma non posso sollevare pesi. Per cui, non posso aiutarti col sacco dei giocattoli, quest’anno – concluse Grigno.
Niente Grigno? Non ci sarebbe stato il suo fedelissimo aiuto dalla mente a casellario, a ricordargli cosa portare e a chi? Babbo ebbe una vertigine. Come avrebbe fatto, a districarsi tra i vari doni? Soprattutto di questi tempi, con quegli infernali giocattoli informatici di cui lui non capiva niente!
– Ma come farò, senza di te? – rantolò.
– Io vengo lo stesso – rispose Grigno, deciso – Non ti lascio da solo, figuriamoci.
– Ah, meno male! – respirò Babbo.
– Ma il sacco lo porterà lui! – aggiunse l’elfo, accennando a Yubby.
– Mi pare un’ottima idea! – esclamò Befana.
– Cosa? – il sire annaspò – Io dovrei… cosa?
– Tu hai causato il guaio, tu rimedi – Befana gli batté su una spalla – Passare la notte di Natale a fare felici i bambini non può certo nuocere a una vecchia pellaccia come la tua.
– Ma… ma io non… insomma, ho una reputazione da mantenere! – sbottò il sire – Yabarn il Grande, l’Imperatore della Nebulosa, non può certo andare sulla slitta di Babbo Natale a distribuire doni!
– Perché no? – Befana alzò le spalle – Tanto, chi verrà mai a saperlo?
– Infatti – esclamò Grigno – La tua reputazione di canaglia resterà intatta.
– Non lo saprà nessuno – assicurò Babbo.
Incastrato.

- continua -

Link per andare a mettere un altro po' di grasso di balena sul groppone di Grigno: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3495#lastpost
 
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Sesta parte. Il sire decisamente tocca il fondo, pover'uomo. :lol:

25 dicembre – Base Skarmoon – Osservatorio privato di Zuril – Mezzanotte
Una scia luminosa stava attraversando il cielo.
– La cometa! – esclamò Gudrun eccitatissima.
– Non è possibile, il passaggio è previsto tra trentasette minuti esatti – Zuril andò alla consolle del computer – È un fenomeno che non riesco a spiegarmi.
Mentre lui consultava le sue mappe stellari, Gudrun gli si sedette a fianco.
Si guardò attorno: era un ambiente strano, circolare e costruito in plastivetro trasparente, una versione più piccola del grande osservatorio pubblico che campeggiava sopra l’intera base. Attorno a loro, una quantità incredibile di puntini luminosi.
Lui aveva decorato l’osservatorio per l’occasione, con festoni argentei a stelle, mezzelune e pianeti con anelli; le aveva fatto trovare persino un piccolo albero di Natale, carico di palline gialle e viola. Sotto i rami, s’intravedevano tanti pacchetti colorati… Zuril aveva avuto ragione, promettendole un Natale diverso dal solito! Cena romantica sotto alle stelle, loro due e Otto… romanticissimo dopocena mentre il gatto dormiva satollo… e ora, avvistamento di una cometa, e proprio in quella notte! Sembrava una fiaba.
Un’esclamazione non troppo colorita, ma piena di sentimento, la riscosse dai suoi pensieri. Zuril osservava lo schermo, un ghigno decisamente malefico sul viso.
– Ma che succede? – esclamò Gudrun – Cos’è quella scia?
– Non ci crederai mai – Zuril ingrandì l’immagine sul visore: sullo sfondo del cielo stellato, bestiole volanti e cornute, una slitta, un tipo cicciotto vestito di bianco e rosso…
– OHMIODIO! – Gudrun dovette aggrapparsi a Zuril per non cadere dal sedile – Ma quello… non ci credo! Quello è… Babbo Natale?
– Non hai visto tutto – rispose lui.
– Non ho visto tutto? Ma è Babbo Natale, non è possibile sbagliarsi!
– Sì, certo, ma… Guarda meglio – e ingrandì l’immagine – Osserva la parte posteriore della slitta.
Gudrun si costrinse a staccare gli occhi da Babbo e obbedì: un elfo dall’aria arcigna, con grandi sopracciglioni neri… poi un enorme sacco pieno, e dietro… dietro, un altro elfo alto almeno due metri, le lunghissime gambe fasciate in calzerotti a righe verdi e rosse. Un elfo dall’aria fortemente scocciata e dalla barba d’un intenso viola.
– No! – esclamò Gudrun.
– Oh, sì! – rispose Zuril, col tono flautato delle grandi perfidie.
Ovviamente, aveva scattato un bel po’ di fotografie.
Altrettanto ovviamente, aveva pure fatto partire la videocamera.


25 dicembre – Colorado – Un punto imprecisato lontano dal resto del mondo – Mezzanotte
Nel loro sacco a pelo a due piazze, termico e superimbottito per pernottamenti in zone desertiche, un uomo e una donna osservavano il cielo.
– Sei felice? – chiese Hydargos.
– Oh, sì! – Venusia si strinse a lui, guardando le stelle – Sono così felice che potrei persino credere di veder passare la slitta di Babbo Natale…
Proprio allora, un’argentea scia luminosa attraversò il cielo sopra di loro.


25 dicembre – Polo Nord – Mattino
– E anche per quest’anno, è fatta! – e Babbo, liberatosi dagli stivaloni pieni di neve, infilò un paio di babbuccione pelose da casa.
– Bravo, bravo – disse Befana, deponendo sul tavolo un vassoio carico di piattini, chicchere, cucchiaini e zuccheriere – Hai portato gioia e felicità a tanti bambini. Su, vieni a prenderti una bella cioccolata calda.
– Aaaah! – Babbo si lasciò cadere nella sua comoda poltrona accanto al caminetto, e protese gli alluci intirizziti verso il fuoco – Ci voleva proprio!
Befana si guardò attorno: – Dove hai lasciato Yubby?
– Sono qui – rantolò una voce.
Dall’ingresso emerse una sorta di lungo ghiacciolo, che solo a un esame approfondito risultò essere l’elfo Yubby. Il colorito, normalmente d’un caldo aranciato, era d’un pallido citrino. La barba era ritta in punte viola congelate. I denti rumoreggiavano come le nacchere di un intero corpo di ballo di flamenco. Befana, che pur non ardeva di simpatia per il sire di Vega, si affrettò ad acchiapparlo e trascinarlo davanti al caminetto, cacciandogli poi in mano un tazzone di cioccolata fumante.
– Gelo… tutto quel tempo…! – articolò il sire, tra una snaccherata di molari e l’altra. Trangugiò un sorso di cioccolata, e gli parve che gola e stomaco gli s’incendiassero; una sfumatura color carota gli apparve sul naso e gli zigomi.
– È solo questione d’abitudine – gli spiegò Babbo – Le renne sono veloci, stando sulla slitta è normale prendere un po’ diaria fresca…
– Fresca? – esclamò il sire. Sarebbe apparso ammantato di signorile sdegno, se non fosse stato per una macchia di cacao sul naso a rovinargli l’effetto – Mi sono letteralmente gelato! E poi, è stata una tortura interminabile! Non finivamo mai! Ma in quante dannate case siamo stati?
– In tutte, naturalmente – Babbo scelse un biscottino allo zenzero e l’intinse nella cioccolata.
– In…? Ma quanto ci abbiamo messo? Un mese intero?
– Solo una notte – Befana gli servì una fetta di torta all’arancia – Ma capirai che dobbiamo eseguire un incantesimo temporale, altrimenti non potremmo certamente far visita a tutti.
– La magia del Natale – spiegò Babbo, servendosi abbondantemente di panna montata.
Re Vega non rispose: avrebbe avuto parecchio da dire, in realtà, ma era sicuro che il suo discorso, e soprattutto i termini che avrebbe usato, non sarebbero stati graditi.
Proprio allora, si sentì un tintinnio: una chiamata sul suo comunicatore personale.
– Ciao, papino! – Rubina appariva semplicemente radiosa – Volevo ringraziarti per il tuo bellissimo regalo!
Il sire inarcò un violaceo sopracciglio. Naturalmente, aveva approfittato del passaggio sulla slitta per portare i doni anche alle due donne della sua vita. Befana stessa si era incaricata di preparargli i pacchetti: lui aveva solo dovuto dirle cosa intendeva regalare. Per Rubina, aveva optato per una microbomba a grappolo da borsetta, per stragi occasionali: si sa mai che non venga il ghiribizzo di sterminio… ora, la microbomba era un gran bel regalo, lui era il primo ad ammetterlo, ma non avrebbe mai pensato che sua figlia ne sarebbe stata così entusiasta. Che stesse finalmente maturando?
– Proprio quello che desideravo! – e Rubina alzò un oggetto sferico che teneva tra le mani: una boccetta di vetro opalescente. Sterminio appunto, diceva l’etichetta, tutta a caratteri svolazzanti – È l’ultimissima moda, in fatto di profumi! Papino, come sapevi che lo desideravo tanto?
– Non guardare me, sei tu che hai parlato di sterminio – si schermì Befana, un luccichio negli occhialetti ovali.
L’ha fatto apposta, si tenne per sé il sire; e proprio allora, dietro alle spalle di Rubina sembrò materializzarsi Himika, che stringeva tra le mani una bipenne argentea nuova fiammante.
– Che bel pensiero, Yabby! – la regina lo guardò con occhi colmi d’amore.
– Beh, beh – tossicchiò lui – Avevi distrutto la tua, mi sembrava giusto… bohf, insomma.
– È perfetta – assicurò Himika – e molto più resistente di quella di prima! Non avrei mai pensato che l’argento potesse avere una simile capacità d’impatto!
– Ah, sì? – borbottò il sire. Dietro alle sue spalle, una Befana dall’aria molto, molto innocente si fece scaturire dalle dita un paio di stelline, così, come per caso – Un momento… resistente? Vuoi dire che l’hai già provata?
– Certo, caro – Himika gli rivolse un dolce sorriso – Proprio stamattina presto, l’Imperatore del Drago si è ripreso… o forse, dovrei dire “si era”. Insomma, sono andata a fare due chiacchiere: lui, io e la bipenne.
Ahia, si disse il sire (proprio in quel momento, al Centro Medico di Skarmoon, Urgh il chirurgo gettava un’occhiata ai rimasugli che giacevano sul lettino operatorio e scoppiava in singhiozzi).
– Volevo essere ben sicura che non ti avesse sguinzagliato dietro un altro killer – continuò Himika – Non l’ha fatto.
Il sire si protese sulla sua poltrona: – Sei sicura? Una carogna come lui…
– A dire il vero, avrebbe voluto farlo, e ci ha provato – puntualizzò la regina – In pratica, con quel che gli è costato Ultimator, credo che non possa permettersi nemmeno di pagare un teppistello tagliaborse.
– Ah.
– Comunque, la notizia buona è che puoi tornare a casa.
– Davvero? Ma è meraviglioso! – giubilò il sire.
– Butta i calzini in valigia, vengo a prenderti – e con un ultimo saluto, Himika tolse la comunicazione.

- continua -

Link per fare di nuovo patpat sulla schiena del dottor Urgh: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3510#lastpost

Edited by H. Aster - 4/1/2024, 18:49
 
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Settima e ultima parte.

25 dicembre – Varie parti dell’universo – Orari vari
Su Skarmoon, il regio pranzo di Natale era in pieno svolgimento, l’allegria alle stelle: Rubina rideva e scherzava con Gudrun, Zuril e lady Gandal chiacchieravano, persino Gandal appariva insolitamente su di giri. In un angolo della sala, Otto dava l’assalto a una ciotola colma di filetto arrosto di ciambricco regoliano agli aromi.
Nel centro ricreativo, il pranzo del personale della base era ancora più animato, anche se non arrivava alle vette di divertimento cui si sarebbe giunti a Capodanno, con le tradizionali imitazioni dell’ingegnere e lo spogliarello di Boba la Grassona (cosa si sarebbe inventata, quest’anno?).
Dopo un pranzo di Natale abbastanza approssimativo, dato che né lui, né Actarus e soprattutto nemmeno Alcor erano particolarmente abili ai fornelli, il professor Procton si ritirò nella sua stanza con la scusa di un riposino: in realtà, era sicuro che la digestione sarebbe stata lunga e laboriosa. I due ragazzi, ammonticchiati i piatti sporchi nel lavello, si trasferirono in soggiorno per una supersfida con la suich a Super Marco Cars.
Laggiù, nel vecchio west, una grande tavolata di persone felici, e farcite di tacchino arrosto e torta natalizia di zucca, era occupata a ridere e scherzare; Rigel era l’unico silenzioso – santo cielo, silenzioso nel senso che non stava parlando; ma rumore ne emetteva, eccome, dato che era crollato su un divano e russava a tutto volume. Era vittima di una congiura: Tetsuya, Hydargos e Banta erano riusciti a fargli fare il pieno di alcool, mettendolo così fuori gioco e impedendogli quindi di tirar fuori i soliti foglietti di canti natalizi e gli altrettanto soliti campanelli. Per quell’anno, si erano salvati.
Il soggiorno della casa di zia Gurtha, su Gerontina 7, sembrava traboccare di gente: l’età media era decisamente avanzata, ma si rideva e si scherzava con una vivacità tale da dar dei punti a degli adolescenti. Gurtha era su di giri come può esserlo una padrona di casa felice di aver dato una festa particolarmente riuscita; ma la più scintillante era Hara, fasciata in un vestito di raso scarlatto a paillettes d’oro. Le sue giunoniche forme avevano attirato l’interesse dei maschi presenti, e ora lei chiacchierava garrula, circondata da una vera e propria corte di maturi adoratori. In vita sua, non si era mai divertita tanto.
Salutati i suoi ospiti con principesca grazia, Rubina andò a chiudersi nella sua camera, mentre i robodomestici cominciavano a rimettere in ordine la regia sala da pranzo. Finalmente sola, la principessa selezionò una videochiamata con un certo indirizzo terrestre.
– Nives 3? – chiese Procton, sorpreso – Naturalmente non ci sono mai stato, ma…
– Non è bello come Artis 5, ma non è niente male – assicurò Rubina – Ci pensi, caro? Noi due soli, la neve, paesaggi di fiaba…
– Mi piacerebbe davvero tanto – assicurò il professore, che alla sola idea di una vacanza con la principessa di Vega si sentiva frullare i baffi – Ma devo proprio dirtelo: in questo momento, non posso permettermi di pagare un conto in albergo…
– Chi ha parlato di conti? – rispose prontissima lei, che conosceva bene la situazione finanziaria del professore e aveva previsto la sua risposta – Ti ospito io, a casa mia! Hai qualcosa in contrario?
– Oh no, proprio no! – assicurò lui, che ormai si sentiva tutto un frullare – Il tempo di prendere lo spazzolino da denti, e sono pronto!
Da qualche parte nello spazio, la navetta della regina Himika procedeva sulla sua rotta. Pucci e Stella, satolli dopo un ottimo pasto abbondante, dormivano della grossa.
I loro due umani, decisamente no: anzi, erano molto, molto attivi.
Nel Centro Medico di Skarmoon, un rabberciatissimo Imperatore del Drago assumeva il suo pranzo di Natale.
Via flebo.


7 gennaio – Fattoria di Hara – Mattino presto
Banta ciondolò tra frigorifero e fornelli, mentre si scaldava un pentolino d’acqua per il tè della colazione.
Ripescò dalla dispensa il pacchetto dei biscotti, e lo gettò sul tavolo.
Frugò nella credenza, cavandone una tazza, un cucchiaino e un piattino.
Poco dopo, tra un biscotto e un sorso di tè, qualcosa sembrò tintinnargli nell’addormentato cervello: vero, le vacanze nel vecchio west erano finite, purtroppo. Però, non era terminato il soggiorno di mammà su Gerontina, dato che si sarebbe fermata fino al ritorno della badante in ferie, a fine gennaio… questo, persino il suo cervello semiaddormentato lo comprese, significava una cosa sola: oltre venti giorni senza mammà tra i piedi. Davanti a sé aveva cene lussuriose a base di pizza (proibita), birra (straproibita!) dolci (guai!) e magari pure qualche cicchetto alcoolico (Sodoma e Gomorra!).
Oh, e naturalmente avrebbe potuto stravaccarsi sul divano (orrore!) e finalmente fare tutto quel che mammà gli aveva sempre impedito di fare.
L’ululato di giubilo che lanciò avrebbe fatto impallidire d’invidia il più texano dei cowboy.


9 gennaio – Base Skarmoon – Regio studio privato
– Andato via? – sbottò il sire.
– Dimesso dal Centro Medico – spiegò Gandal.
– Ormai, era perfettamente guarito – disse lady Gandal.
– Scoppiava di salute – asserì Hydargos.
– La nostra medicina è davvero molto efficiente – aggiunse Zuril.
– Troppo efficiente! – il sire batté il pugno sul bracciolo – Non avrei mai pensato che quel fetente si sarebbe rimesso così in fretta!
– Papino, vuoi lamentarti col primario per l’eccessiva validità del suo Centro? – chiese Rubina, in tono angelico.
– Brohf. No. Certo che no – borbottò il sire – Ma non potevate impedirgli di andarsene?
– Con quale motivazione? – chiese Zuril.
– È un sovrano – fece notare lady Gandal.
– Un sovrano che ha causato la devastazione di tre dei nostri pianeti, oltre ad aver attentato alla vita del vostro legittimo monarca! Un paio di motivazioni per trattenerlo potevate trovarle, mi pare!
– Papino, hanno semplicemente evitato un incidente diplomatico, – gli fece notare Rubina – e un incidente diplomatico del genere, con un tipo focoso come l’Imperatore del Drago, significherebbe guerra, il che non è auspicabile… Devo ricordarti quanto rimane nelle regie casse?
– No, no – il sovrano, affranto, ricadde nella regale poltrona.
Dunque, il vile Imperatore se la sarebbe cavata così? Certo, aveva avuto il fatto suo da Rubina, Himika, Gandal, Zuril, Hydargos e pure Pucci, e poi Himika gli aveva dato un’altra ripassatina… ma non gli sembrava abbastanza. In fondo, era stato lui a rischiare la pelle per colpa di Ultimator, e gli sembrava poco carino, ecco, non restituire il favore di persona.
All’improvviso, qualcosa sembrò vibrargli nelle meningi: un vecchio ricordo emerse dalle nebbie del tempo.
– Zuril – e con un dito gli fece cenno d’avvicinarsi.
– Mio sire? – lo scienziato si fece avanti, in modo che il suo signore potesse parlargli in un sussurro.
– …Ne hai ancora? – fu tutto ciò che gli altri poterono sentire.
– …Ho conservato un campione… mio deposito privato – fu quel che si comprese della risposta.
Altro scambio inintelligibile di battute; poi, Zuril s’allontanò col fare di chi ha premura, e il sire rimase seduto in poltrona con in faccia il ghigno malefico delle grandissime occasioni.
Stava macchinando del suo peggio, era evidente.


12 gennaio – Centro medico Yamatai – Mattino
– Bubbonite crostolosa di Altair, Vostra Imperial Nequizia – annunciò SCR-29.
Un termine tutt’altro che imperiale proruppe dalla strozza del malato: ma fu una parola sola, perché i bubboni che gli erano fioriti in bocca gli rendevano dolorosissimo articolare vocali e consonanti.
Sdraiato nel suo letto di dolore in camera d’isolamento, l’Imperatore rotolò su un fianco, in cerca di una posizione che gli causasse meno dolore.
– I medici sono molto ottimisti – continuò SCR-29, mentre il paziente rotolava sull’altro fianco – Si tratta di un’infezione contagiosissima, e da qui la necessità che viviate in totale isolamento fino alla guarigione; ma è una malattia a decorso benigno, per cui si può dire che sia solo una questione di tempo.
L’Imperatore fece un gesto che il fidato robot comprese: quanto tempo?
– Difficile a stabilirsi, Maestà – fu la risposta – perché il decorso è assai variabile da individuo a individuo. I bubboni tendono a spuntare soprattutto in prossimità degli orifizi del corpo umano…
– Gh! – ringhiò l’Imperatore, mettendosi prono.
– Intendo, qualsiasi orifizio – pensò bene di specificare il robot, mentre l’Imperatore si rigirava per l’ennesima volta nel suo letto, nella vana ricerca d’un po’ di sollievo – Entro qualche giorno i bubboni disseccheranno, trasformandosi in croste. Sconsiglio vivamente di toccarli, Vostra Malignità Imperiale, e soprattutto sconsiglio di…
– Argh!
– …grattarli – anche se non faceva parte della sua programmazione, SCR-29 sembrò sul punto di sospirare – Ecco, come potete vedere, il bubbone è esploso. Rischio d’infezione, richiesta disinfezione immediata.
Un piccolo robomedico s’avvicinò al letto del malato, sollevò le coperte e cominciò a nebulizzare disinfettante sulle parti basse dell’Imperatore che, SCR-29 ne era certissimo, dopo quel disastro non avrebbe tentato mai più di grattarsi.
– Naturalmente, i medici organici non osano avvicinarsi, per timore del contagio – continuò in tono serafico SCR-29, mentre il robomedico voltava prono il paziente per eseguire un controllo retrospettivo della situazione – Ma non temete, Vostra Imperial Putrescenza: ci saremo i robomedici ed io a prenderci cura di voi.
L’imperatore serrò le zanne, mentre subiva l’ispezione del robomedico. Se solo avesse avuto Svamp, con sé! Ma il draghetto era in isolamento pure lui, dato che avrebbe potuto essere stato a sua volta contagiato, e quindi non era possibile fargli arrostire quella pittima di robot! Che ingiusta era, la vita.
Ripensò alla missiva che aveva ricevuto il giorno prima: busta verde vegatron, biglietto d’auguri, due paroline semplici semplici… “Senza rancore. Y.” Pensare che si era persino detto quanto fosse stato sportivo il sire di Vega, a non prendersela per la faccenda di Ultimator: in fondo, un robot killer e qualche pianeta sconvolto non sono tutta questa gran cosa, no? Invece…! Serrò le zanne, e un dolore terrificante sembrò fargli schizzare gli occhi dalle orbite.
– Non dovete stringere troppo i denti, avete fatto scoppiare un altro bubbone – lo ammonì SCR-29.
Il robomedico, che ormai aveva terminato il controllo posteriore, si apprestò a procedere con un controllo anteriore.
Dopo aver sostituito la sonda, per fortuna.


31 gennaio – Fattoria di Hara – Mattino presto
La navetta si alzò in verticale e volò via, scomparendo nell’azzurro.
Hara la seguì con occhio commosso.
Che gentile il comandante Gandal a farle avere a disposizione una navetta per riportarla a casa… oltretutto, le aveva pure assicurato che non appena avesse voluto tornare su Gerontina, la navetta sarebbe stata prontissima ad accompagnarla. Anzi, aveva caldeggiato nuovi soggiorni, soggiorni anche più lunghi di un solo mese… che caro nipote, evidentemente ci teneva a far tanto felice la sua anziana zia.
Con un sorriso, Hara andò alla porta d’ingresso. Magari, Bantino era ancora a nanna nel suo lettuccio… gli avrebbe fatto una bella sorpresa! Chissà come sarebbe stato contento di rivedere la sua mamma!
Aprì la porta.
L’apocalisse era davanti a lei.
Impiegò qualche secondo per rendersi conto di ciò che stava guardando, prendere fiato e lanciare un ruggito da leonessa fuori dai gangheri: – BANTA!!!
Lo sbattere della porta sul retro e il rumore di passi di corsa che si allontanavano fu l’unica risposta che ricevette.
Poi, fu silenzio.


31 gennaio – Polo Nord – Pomeriggio
– Beh, era da immaginarselo – Befana scosse il capo, mentre versava la cioccolata in due tazze – Quel povero ragazzo è stato sempre controllato e vessato fino all’inverosimile; era ovvio che, non appena libero, si sarebbe dato alla pazza gioia!
– La casa è un disastro, però – Babbo scelse un biscottino e cominciò a intingerlo nella cioccolata.
– Cartoni di pizza, qualche lattina – minimizzò Befana – In fondo, si è limitato a fare il pieno di calorie. Avrebbe potuto fare di peggio.
Babbo la guardò con grandi occhi candidi: – Cioè?
– Darsi alle orge selvagge! – Babbo saltò sulla sua poltrona, inorridito, e Befana sospirò – Non ci ha pensato, povero stupidone; e ora, mamma è tornata.
– Mi sembra che tu lo giustifichi! – Babbo si versò inavvertitamente la cioccolata sulla candida barba, e non se ne accorse nemmeno, il che dà l’idea di quanto fosse trasecolato.
– Suvvia, Babbino! – Befana gli allungò un tovagliolo di carta rossa – Abbiamo ospitato in casa una delle più colossali carogne che l’universo conosca… uno che ha trasformato la tua renna più mite in una specie di furia con la bava alla bocca… e ti fai tanti scrupoli per qualche lattina e dei cartoni della pizza? Per piacere!
– Beh, beh – Babbo si passò il tovagliolino sulla barba, spargendo ben benino la cioccolata tra le candide ciocche – A proposito: cos’è quella faccenda dell’Imperatore con la bubbonite?
– Pare che abbia ricevuto un biglietto d’auguri infetto – rispose Befana, allungandogli un secondo tovagliolo.
Babbo la guardò di traverso, mentre usava il tovagliolo per spargere la cioccolata non solo sulla barba, ma anche sul petto della sua giubba bianca e rossa – Befana, la bubbonite è stata una tua opera di qualche anno fa.
– Stavolta, io non c’entro – Befana gli passò il tovagliolo numero tre – Non è colpa mia se Zuril ha conservato nel suo deposito personale un campione del virus.
Babbo si pulì vigorosamente, spargendosi la cioccolata anche sulle maniche – Ma sei stata tu a dargli l’idea del biglietto alla bubbonite?
– Oh, per piacere! – Befana schizzò in pedi, andò in camera da letto, ne uscì con un giacchettone rosso lavorato a fiocchi di neve e alberini di Natale e costrinse Babbo a cambiarsi – Credi che quel discolaccio non abbia abbastanza fantasia da pensarsela da solo, una carognata del genere? Dovresti conoscerlo abbastanza, per sapere che non ha certo bisogno di pessimi esempi! …Io mi sono limitata a fargli tornare in mente i bei, vecchi tempi in cui la bubbonite se l’era presa lui.
– Oh.
– E comunque, la malattia non dura tantissimo… sarà ormai guarito, quando gli arriveranno tutti i conti dei danni da pagare su Artis, Eros e Nereis. Meglio così: date le cifre che dovrà sborsare, sarà meglio per lui essere in buona salute. Si sa mai.
Babbo la guardò di traverso: – Un’altra idea tua?
– Considerala una delicatezza da parte mia nei suoi riguardi.
– Ah – Babbo la fissò con l’aria severa che può avere un uomo dalla barba a strisce bianche e color cioccolata.
Fu una visione tale, che Befana scoppiò in una risata.
Un istante dopo, sonori ho-ho-ho! echeggiarono sotto al soffitto in legno.
– Va bene, va bene – Babbo si asciugò gli occhi pieni di lacrime dal troppo ridere – Lasciamo perdere, non parliamone più.
– Saggia idea, Babbino – Befana gli porse un piatto: – Un biscottino allo zenzero?


FINE


Link per regalare all'Imperatore una manina gratta-bubboni: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=3510#lastpost
 
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