Poi non potrò postare nulla fino alla fine della settimana, per cui ecco la 9.
9Una delle prime cose che Maria aveva notato su Moru, era lo strano mezzo di trasporto che la gente usava abitualmente per coprire brevi distanze: era un congegno discoidale, del raggio di una quarantina di centimetri circa, chiamato semplicemente Disco – a quanto pareva, i veghiani non avevano una gran fantasia, per quel che riguardava i nomi.
Il fascino di quel mezzo di trasporto era dato dal fatto che funzionava ad energia solare e si muoveva su un cuscino d’aria, un po’ come un hovercraft, il che significava che poteva scorrere agilmente anche sui terreni accidentati. Da subito, Maria aveva guardato con un misto di ammirazione ed invidia le persone che sfrecciavano con i loro Dischi lungo i viali della città. Quanto le sarebbe piaciuto provarne uno! Era sicura che sarebbe riuscita a governarlo subito, così come aveva imparato in fretta a cavalcare o a pilotare una nave.
Quando Zuril le propose un giro per la città, Maria si era aspettata una passeggiata; rimase sconcertata quando lui si presentò con un Disco tra le mani. Era simile a uno scudo rotondo, del diametro di un metro circa, blu metallico, lucidissimo; Zuril lo depose a terra e vi salì sopra, tendendo poi una mano verso di lei: – Su, vieni.
Maria esitò un attimo, prima di salire davanti a lui: non riusciva a capire come quell’affare avrebbe potuto trasportarli, e non era del tutto sicura di potersi fidare di Zuril… si era aspettata poi che quella superficie così lucida fosse scivolosa, ma non era affatto così, anzi: le suole aderivano perfettamente, impedendo di sdrucciolare.
In quel momento lui premette col piede un pulsante al centro del Disco, e questo si sollevò dolcemente di una decina di centimetri da terra, restando poi sospeso; Maria lanciò un grido di sorpresa che Zuril scambiò per paura. Subito lui l’afferrò saldamente per le spalle, trattenendola; poi il Disco scivolò in avanti, obbedendo ai comandi che Zuril gli impartiva spostando semplicemente il peso del suo corpo in avanti o di lato.
Passato il primo istante di timore, Maria prese gusto a quel nuovo mezzo di trasporto: il suo corpo era subito entrato in sintonia col Disco, sentiva istintivamente da che parte inclinarsi, dove spostare il peso e quando farlo.
Zuril percorse un paio di volte il viale d’ingresso perché lei si abituasse al nuovo mezzo; poi infilò la strada che scorreva davanti alla reggia e prese a percorrerla ad una velocità che Maria trovò fin troppo ridotta… lei avrebbe voluto sfrecciare via, sentirsi il vento nei capelli, correre al massimo della rapidità possibile. Il Disco era un mezzo molto più emozionante di qualsiasi altro lei avesse provato, molto più dei pattini o dello skateboard.
Zuril guidava con sicurezza, evitando ostacoli e qualsiasi altro Disco; altri veghiani stavano viaggiando esattamente come loro, e ogni incontro erano saluti e cenni con le mani.
– …per essere energeticamente autosufficienti – disse alle sue spalle la voce di Zuril, riscuotendola.
Lui le aveva detto qualcosa, e lei non aveva sentito nulla… a costo di sembrargli offensiva, Maria preferì dirgli la verità: – Scusa, non ti ho sentito. Ero troppo distratta dal Disco.
– Il Disco…? – si meravigliò lui.
– Mi piace moltissimo. Vorrei provare a guidarne uno.
– Non è così facile come sembra.
– Oh, io imparo in fretta! …Cosa mi stavi dicendo?
– Solo che tutte le abitazioni sono dotate di accumulatori solari e sonda geotermica. Questo le rende totalmente autosufficienti, dal punto di vista energetico.
– Energia rinnovabile… se ne parla molto, sulla Terra.
– Su Zuul, la si usa regolarmente – rispose lui, e c’era un certo orgoglio nella sua affermazione.
Girarono per il quartiere residenziale: le case, tutte circondate da ampi prati più o meno radi, si assomigliavano abbastanza come concezione generale: lineari, grandi finestre, piuttosto basse perché un giorno gli alberi potessero celarle alla vista. La filosofia di Zuul prevedeva appunto che le abitazioni si integrassero con la natura, e non il contrario.
– Ma così dalle finestre non si potrà vedere il panorama – osservò Maria.
– Esiste un panorama migliore degli alberi? – ribatté Zuril, prontissimo, e lei non seppe rispondergli.
Via via che proseguivano, lui le indicò la dimora di Hydargos e Naida (non abitavano troppo distanti dalla reggia, Maria considerò subito la possibilità di una visita all’amica), quella di lady Gandal, e via via quelle di altri veghiani che per Maria non erano altro che nomi.
All’improvviso, svoltato un angolo le case lasciarono il posto a una grande spianata arancione, piuttosto squallida ed inquietante: il centro città che aveva visto dalla navetta il giorno precedente. A parte il Centro medico, che sorgeva un po’ defilato, l’unico edificio era una costruzione tutta plastivetro, che evidentemente non era ancora completata.
– Il Palazzo – spiegò Zuril – Il centro ufficiale del regno. Ci saranno la sala del trono per le udienze, le sale per le riunioni, degli appartamenti per gli ospiti di stato eccetera. Non è ultimata, perché per il momento ci sono cose più urgenti cui pensare.
– E questo sarebbe il centro città – disse Maria. Quel luogo così desolato? Davvero, non riusciva a crederci.
– Come ti ho spiegato, è in costruzione. Prova ad immaginarti il parco, il centro culturale…
– Oh, sarà molto bello – Maria si guardò attorno: desolazione, deserto…
Al limitare di quello che sarebbe stato il parco (e che Maria si ostinava a vedere solo come una squallida spianata) sorgeva il Centro Medico, costituito da vari blocchi di edifici collegati tra di loro e che sorgevano in mezzo a un… giardino, disse Zuril, prato spelacchiato con qualche alberello rachitico, pensò Maria.
Parecchio più in là, lontano, si scorgevano dei lunghi capannoni; Zuril impresse maggior velocità al Disco, la visibilità era ottima e comunque non c’era nessuno.
Là sorgevano le serre, in cui grazie a coltivazioni intensive si stavano rendendo disponibili piante, erbe, alberi e cespugli.
Là sorgeva anche il grande laboratorio in cui lui assieme alla sua squadra di scienziati passava gran parte del suo tempo, creando nuovi tipi di fertilizzanti, studiando maniere più efficienti per decontaminare acque e terreni, preparando nuovi mangimi per gli animali superstiti.
In altri capannoni, le spiegò Zuril, ci si prendeva cura degli animali sopravvissuti alle radiazioni; una volta guariti, sarebbero stati liberati perché riprendessero una vita il più possibile normale.
– Voi fate questo? – esclamò Maria – Voi vi curate degli animali, dopo che avete scatenato la guerra tra pianeti?
– Dobbiamo sopravvivere – rispose Zuril – Pensi che sia possibile farlo, su un mondo senza animali?
– Yabarn non la pensava così, evidentemente! – sbottò lei.
– No, infatti. Moltissimi veghiani non la pensavano così… fino a quando Vega non è collassato, come noialtri di Zuul avevamo previsto.
Già, naturalmente… lui aveva sempre la risposta pronta, c’era poco da fare. Si era preparato bene e non era possibile coglierlo in castagna.
O forse, lui per anni aveva dovuto tacere quel che veramente pensava, mentre il suo sovrano guidava il suo mondo verso la fine… Actarus era incline a pensarla così, le convinzioni di Zuril circa l’inquinamento e l’ecologia sembravano davvero radicate, più derivate da un’intima convinzione di anni e anni, che da una conversione recente.
Del resto, lui era di Zuul.
Quando rientrarono, Maria si sentiva piuttosto stanca: su Moru l’avvicendarsi del giorno e della notte era diverso da quello della Terra e di Fleed, molto simili tra loro, e lei non si era ancora abituata a questo.
Il giorno successivo, era l’ultimo che Zuril poteva dedicarle: poi i suoi impegni l’avrebbero richiamato al laboratorio. Maria non sapeva se essere felice o meno di questo: la presenza di lui la metteva ancora a disagio, ma la sua mancanza avrebbe reso ancora più vuote le sue giornate senza scopo. Che avrebbe potuto fare, lei, per essere utile?
– Hai idea di cosa vorresti fare oggi? – le chiese Zuril, mentre sedevano per fare colazione.
Maria guardò fuori dai grandi finestroni: il mare, cielo azzurro, le onde, il vento… una giornata bellissima.
– Possiamo fare una passeggiata in spiaggia? – chiese.
– Certo – rispose lui – Però non devi assolutamente entrare in acqua. Le radiazioni non sono scomparse del tutto.
Maria faticò a non strangolarsi col boccone che aveva in bocca: – Vuoi dire che viviamo vicino a un mare
radioattivo?– Niente di così pericoloso – rispose lui – In effetti, i livelli di radiazioni sono minimi, e presto saranno del tutto assenti. Comunque, non è il caso di rischiare entrando in acqua, no?
– Ma… la spiaggia…?
– Nessun pericolo. Non ti ci porterei, se non fosse sicura.
Maria non disse più niente: per quel che cominciava a conoscerlo, suo marito era un uomo scrupoloso, per cui c’era da fidarsi.
Fu così che poco dopo uscirono nel giardino esterno, andarono verso il bordo della scogliera e presero a scendere una rampa scavata nella roccia, e che portava alla spiaggia sottostante.
Si trattava praticamente di una grande mezzaluna di sabbia fine, dorata, che correva lungo tutta l’ampia baia su cui sorgeva la città; praticamente, avrebbero potuto camminare per chilometri e chilometri senza incontrare ostacoli.
Maria s’avvicinò al mare, senza però entrarvi con i piedi, come tanto le sarebbe piaciuto fare: eppure, sembrava così bello, così invitante…! Un vento leggero le scompigliava i capelli, le onde s’infrangevano davanti a lei in schiuma bianca; in alto, un uccello argenteo lanciò uno stridio, cui rispose un suo compagno poco distante.
Accanto a lei, Zuril s’inginocchiò a terra, puntò il suo scanner verso l’acqua.
– Qualche problema? – chiese Maria.
Lui si rialzò: – Ancora radiazioni. Praticamente al minimo, ma presenti. Farò trattare ancora una volta l’acqua.
Maria non rispose, osservando la scogliera su cui sorgeva l’abitato: quel posto sembrava l’ideale per costruirvi una città… sicuramente, gli abitanti di Moru avevano fondato lì una delle loro metropoli, e i bombardamenti al vegatron avevano distrutto ogni cosa lasciando le acque inquinate… represse un brivido.
Possibile che il pensiero di Vega non le evocasse altro che orrori, stermini, distruzioni? E lei era diventata regina di quel popolo brutale e violento…!
Guardò di sfuggita suo marito: di quali orrori si era macchiato, lui? Con lei era stato gentilissimo, veramente inappuntabile, ma…
– Andiamo? – propose Zuril; Maria respinse quei pensieri sgradevoli, e sforzandosi di mostrarsi indifferente gli si affiancò, faticando parecchio a tenergli dietro. Aveva le gambe ben più lunghe, lui… Zuril si accorse del suo disagio e regolò il passo su quello della moglie.
Raramente in vita sua Maria aveva potuto vedere il mare: era vissuta in un bosco prima, in una fattoria circondata di pinete poi; quel paesaggio, quegli odori per lei erano qualcosa di totalmente nuovo.
Accanto a lei, Zuril invece si sentiva nel suo elemento: su Zuul aveva vissuto tra laghi e foreste, amava profondamente l’acqua e avere una casa sul mare, poter camminare sulla spiaggia ogni volta che l’avesse desiderato, per lui era l’avverarsi di un sogno. Il giorno in cui poi sarebbe stato possibile nuotare in quelle acque… meraviglioso, non sapeva trovare parole più adatte.
Sulla sabbia, il mare aveva deposto una conchiglia particolarmente bella: una sorta di grande chiocciola bianca madreperlacea, con morbide sfumature rosate. D’istinto, Maria allungò una mano per prenderla; subito, le dita verdastre di Zuril le si chiusero attorno al polso.
– Non toccarla – lui tese lo scanner verso la conchiglia e poi le mostrò il display; Maria guardò, ma i dati che lesse non avevano alcun senso, per lei.
– Non capisco – mormorò, sentendosi ignorante – È radioattiva?
– Sarebbe entro i limiti – disse lui – Ma di poco. Non rischiare.
– Sì – Maria osservò la conchiglia, le spire regolari, il bellissimo bianco lucido iridescente…
– È splendida – disse Zuril, accanto a lei.
Maria lo guardò con stupore: non avrebbe mai pensato che un veghiano… uno scienziato di Vega, poi, un uomo quindi arido come pochi… potesse apprezzare la bellezza.
Ripresero a camminare in silenzio, e lei cominciò a chiedersi se davvero conosceva l’uomo che aveva sposato. Era un veghiano… cioè no, non lo era, esattamente… era di Zuul. Ma che significava? Solo in quel momento, comprese di non aver la minima idea su questo punto.
– Che mondo è, Zuul? – chiese, all’improvviso.
– Zuul? – lui era sorpreso.
– Non ne so niente – disse Maria – Se hai voglia di parlarne…
Certo che lui aveva voglia di parlarne! Per molti, non provenire da Vega era una vergogna, ma lui era sempre stato orgoglioso delle sue origini. Prese perciò a raccontare del suo piccolo mondo verde e azzurro, dai corti inverni rigidi e dalle lunghe estati fresche. Era stato un tempo un possedimento di Vega, poi i coloni avevano seguito una via diversa da quella presa dal loro pianeta d’origine, preferendo integrarsi con la natura del loro mondo piuttosto che sfruttarla e piegarla ai loro scopi. Erano divenuti profondamente attenti agli equilibri biologici, all’uso sensato della tecnologia, all’utilizzo di energie pulite e sicure. Guardati con una certa superiorità dagli altri veghiani, gli abitanti di Zuul avevano avuto il loro riconoscimento quando su Vega la situazione si era fatta insostenibile; si era trattato però di una soddisfazione di brevissima durata, visto che il pianeta Vega era collassato in una catastrofe inimmaginabile… inimmaginabile per tutti, ma non per gli scienziati di Zuul che l’avevano ampiamente prevista, comunque.
Ora, lui, uno scienziato di Zuul che era stato a capo di coloro che inutilmente avevano tentato di far ragionare Yabarn, proprio lui si era visto affidare la responsabilità del popolo di Vega.
– In un certo senso, hai avuto la tua rivincita – osservò Maria.
– A quel prezzo? – Zuril controllò un sasso, lo prese e lo lanciò in mare: – Credimi, Maria: avrei preferito non averla.
– Però adesso la tua gente si fida di te.
– Oh, certo, sanno che li ho salvati – rispose lui, con un certo sarcasmo amaro – Sono un eroe, non lo sapevi? L’unica cosa che non mi perdonano, è il fatto che io non abbia ucciso Yabarn.
– È… ancora vivo? – si stupì Maria.
– Vivo, e completamente impazzito. Praticamente è ridotto poco più di un vegetale, non parla, reagisce a malapena. L’ho affidato a un paio di custodi, gli ho fatto preparare un quartiere dietro casa nostra e ho costruito un robot guardiano per evitare che qualcuno potesse decidere di eliminarlo.
Maria lo guardò come se non l’avesse mai visto prima d’allora: – L’hai lasciato vivere…?
– Sì. Pensi che sia una stupidaggine? Probabilmente hai ragione.
– Non lo penso – disse a mezza voce lei – Sono contenta che tu non l’abbia ucciso.
Zuril nascose la sua sorpresa dietro la sua solita aria impassibile: si era aspettato stupore, magari disprezzo… praticamente tutti gli avevano detto che lasciarlo in vita era folle e inutile… e invece Maria sembrava comprenderlo.
Un vento improvviso, piuttosto freddo, venne dal mare: ormai era quasi sera, la temperatura adesso sarebbe calata in fretta. Maria rabbrividì: – Torniamo?
– Certo – e si avviarono verso casa.
Il mattino dopo, Zuril si alzò più presto di quanto non avesse fatto i giorni precedenti, si lavò e si vestì senza far rumore e passò in soggiorno, dove i robodomestici avevano preparato per la colazione; con sua grande sorpresa, quasi subito vide arrivare anche Maria.
– Ti ho disturbata, mi dispiace – disse lui, versandole una tazza di ween – Ho cercato di non fare rumore, ma…
– Mi sono svegliata da sola, non preoccuparti – in realtà aveva voluto alzarsi per salutarlo, e lei stessa non avrebbe saputo dire il perché di questo suo desiderio – Quando torni?
– Non ho idea, in questi giorni il lavoro si è accumulato – rispose lui, un po’ stranito: da tantissimo tempo nessuno gli chiedeva dei suoi orari, non era più abituato al fatto che qualcuno potesse interessarsi a lui, aspettarlo – Verrò stasera, ma non posso essere più preciso.
Un’intera giornata tutta per lei, da trascorrere da sola… stranamente, l’idea non l’entusiasmava. – Ti aspetto per la cena.
– Va bene – tornare a casa, trovare qualcuno… no, non era decisamente più abituato a questo.
Maria si morse nervosamente il labbro: tutto quel tempo davanti a lei… che avrebbe fatto? Come avrebbe potuto impiegarlo? Come al solito, non riusciva a trovare uno scopo per sé stessa. E sarebbe stata sola… che tristezza…
– Vorrei rendermi utile – disse, all’improvviso.
Zuril, che stava per alzarsi, tornò ad appoggiarsi allo schienale della sua sedia: – Cosa vorresti fare?
– Non voglio restare con le mani in mano. Posso aiutarti in qualche modo?
Lui scosse il capo: – Passo gran parte della giornata chiuso nel mio laboratorio. Sto perfezionando la formula del fertilizzante che ho portato anche a tuo fratello; ma non credo che tu abbia conoscenze di chimica, o sbaglio?
Maria chinò la testa. No.
Appariva davvero umiliata: non aveva un suo ruolo, un suo compito, si sentiva totalmente inutile. Lui stesso non avrebbe saputo che suggerirle, visto che non aveva idea di quale avrebbe potuto essere la sua utilità... vederla così abbattuta gli diede un forte senso di disagio.
– Maria, tu sai poco di noi, e conosci ancora meno questo pianeta. Guardati attorno: sei la regina, come prima cosa dovresti capire il tuo mondo e il tuo popolo.
Lei alzò la testa, lo guardò con gli occhi lustri: – Tu... credi...?
– Penso che tu debba trovare da sola la tua strada – insisté Zuril.
E non posso trovarla se non conosco nulla di questo posto e questa gente, comprese lei.
Ormai la mia vita è qui.– Hai ragione – si trattenne dall’asciugarsi gli occhi, non voleva mostrargli di essere sul punto di piangere – Non so praticamente nulla circa la vita qua. Devo imparare, prima.
- continua -
Link per uova & affini:
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=1290#lastpostEdited by H. Aster - 23/4/2013, 23:42