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H. ASTER's FICTION GALLERY

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view post Posted on 2/2/2013, 17:33     +1   -1
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Fratello di Trinità e Bambino

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Terminiamo la vicenda di Sua Altezza Truzzo I. :wahaha.gif:


(Ah, come amo questo personaggio! Con Re Vega, è la mia vittima preferita!)

Ancora grazie a Isotta e a Monica.


Sorvoliamo ora gli ordini dati dalla principessa, gli ululati del riverito genitore trovatosi di fronte al fatto compiuto di essere in tregua con la Terra quando sarebbe stato il momento di attaccare… sorvoliamo anche la colica di fegato con crisi ipertensiva che colse Sua Maestà, lasciamolo imbottito di calmanti al Centro Medico e arriviamo al momento clou della faccenda: quando cioè Rubina scese al Centro Spaziale seguita da Gandal, Zuril, venuto ad esaminare il malato, e soprattutto da un preoccupatissimo Hydargos.
La presenza dei tre comandanti di Vega fu guardata con un certo stupore da Procton, Alcor, Venusia e Maria. Bastarono però un paio di domande, e la genuina preoccupazione di Hydargos fu subito evidente. Quanto agli altri due, si comprese che l’unico motivo che giustificasse la presenza di Gandal e signora era la curiosità di vedere il loro nemico rinscemito; circa Zuril, poi, l’idea di esaminare un tale malato era stata irresistibile, per cui la sua offerta d’aiuto era da considerarsi del tutto spontanea.
– Aiuto? Lui? – esclamò Alcor, per nulla diplomatico come sua abitudine – Non possiamo fidarci! È un veghiano, con la scusa di curarlo lo ammazzerà!
– Ammazzare un simile caso clinico? – Zuril lo guardò come si guarda un bambino stupidotto che ha detto una colossale sciocchezza.
– Ammazzare il caso clinico, no – ammise Alcor, cui la calma olimpica dello scienziato ispirava pensieri omicidi – ma il nemico, sì!
– Siamo in tregua, stai tranquillo – cercò di rabbonirlo Rubina.
– In tregua? – Procton si schiarì la voce – E… che ne dice Sua Maestà Re Vega?
Rubina ripensò al padre, farcito di tranquillanti e legato con cinghie metalliche nel reparto neurodeliri del Centro medico di Skarmoon: – Oh… non ha detto molto.
– Ma poi, Zuril non è un dottore! – insisté Alcor, pesto ma non domo.
Zuril prese a contare sulle dita la lista delle sue onorificenze: – Sono biologo, ingegnere elettronico e cibernetico, fisico nucleare, astronomo, chimico, geologo e medico, oltre a qualche altro titolo di studio assortito.
– Cioè, un colossale secchione – intervenne Gandal.
– Pensi che sia abbastanza qualificato? – chiese Zuril, serafico.
– Medico…? – Alcor alzò il mento, con aria di battaglia: – Che specializzazione?
– Insomma, vogliamo farla finita? – esplose Hydargos, che non ne poteva più – C’è un malato… un malato grave… quanto vogliamo farlo aspettare?
Era preoccupazione autentica, quella che vibrava nella sua voce, tutti se ne resero conto.
Procton spinse da parte l’immusonito Alcor e guidò Zuril verso la camera del paziente. Gli altri tennero loro dietro, seguiti dai due tecnici dell’osservatorio, Hayashi e Yamada.
Fu così che poco dopo Zuril e Procton fecero il loro ingresso in una stanzetta, mentre tutti gli altri restavano sulla porta, spintonandosi per poter vedere.
Zuril si era aspettato Actarus in un letto, pallido, la testa fasciata; invece il giovane sedeva a cavalcioni di una sedia, il busto colato sullo schienale come se non ci fossero state ossa nella sua schiena. Vedendo Procton e Zuril farsi avanti, mentre tutti gli altri facevano capolino sulla porta, il giovane fece un pigro gesto di saluto: – Yo, belli! Come butta?
– Cosa dice? – chiese Rubina, stupefatta, facendosi avanti.
– Non è in sé, Altezza – le ricordò Procton.
Actarus la guardò da capo a piedi, facendo una smorfia molto eloquente e per nulla lusinghiera; poi passò lo sguardo su Zuril, che lo stava esaminando col suo scanner, e su Hydargos, che assieme agli altri era rimasto sulla porta. Lady Gandal fece la sua comparsa, e rimase in attonito silenzio.
– Ma quanto sono truzzi, questi? – esclamò, facendo un verso del genere lo-stomaco-dà-spettacolo.
– Ma caro, non ti ricordi di me? – chiese Rubina, tutta preoccupata.
– Naah, cozzetta – Actarus le fece cenno di farsi da parte e si produsse in un lunghissimo fischio: – Chi è quella tipa bonazza dall’aria viziosa?
Tutti seguirono lo sguardo di Actarus: lady Gandal si guardò attorno, esterrefatta: – …Dice a me?
– “Cozzetta”…? – chiese Rubina, incerta.
Zuril attivò il traduttore inserito nel suo scanner: – Credo che sia un termine che indichi una ragazza, hm, bruttina.
– Bruttina??? – ululò la principessa.
– Non è in sé – le fece notare ancora una volta Alcor.
– L’avevo capito da me – rispose lei, piccata.
– Cozza e scarsina – aggiunse Actarus, tanto per sottolineare meglio il concetto; quindi sogguardò lady Gandal, una luce maliziosa (e libidinosa) nello sguardo: – Una gnocca da paura.
– Ma Actarus...!!! – esclamò Venusia, facendosi scarlatta e mettendosi un dito sulle labbra – Ti sentirà!
– Appunto – si rivolse alla signora, che lo stava guardando come si guarda un fenomeno da baraccone: – Ciao, rossa. Sei una gran bella sgnacchera. Scommetto che sei anche una porcella megagiga.
– Ooooh! – tubò lady Gandal.
– NO! – intervenne subito Gandal – NON è viziosa. NON è una gran bella sgnacchera. E soprattutto, NON è una porcella megacosa!
– Il solito guastafeste! – sbottò lei.
– Vogliamo piantarla? – li richiamò all’ordine Zuril – Sto cercando di visitare un malato.
– Scusa – Gandal avrebbe voluto allontanarsi prudentemente, ma la signora lo costrinse a non farlo troppo; e mentre lui tentava di imporsi, lei lo mise fuori combattimento con il neutralizzatore neuronico istantaneo che ancora qualche Natale prima Zuril aveva regalato loro. Gandal cessò d’essere un problema, e lei si ritrovò davanti l’eccitantissima prospettiva di essere sola, incustodita e magari in balìa d’un bellissimo principe decisamente su di giri, anzi, come avrebbe detto lui stesso, “allupato a mille”.
Nel frattempo, nessuno s’era accorto di niente e il consulto continuava. Procton e Zuril continuavano a confrontare i risultati dei rispettivi controlli, discutendo su quale avrebbe potuto essere il più adeguato metodo di cura per un simile caso. Rubina, Venusia, Maria, Alcor, i due assistenti e il trepidante Hydargos, entrati a loro volta nella stanza, si erano disposti a cerchio attorno ai due scienziati ascoltando avidamente ogni parola; nessuno badava quindi al protagonista principale, cioè l’infortunato.
Fu un attimo: lui strizzò l’occhio a lady Gandal, lei arrossì pudicamente. Un istante dopo lui l’acchiappò per un polso e sgattaiolarono assieme fuori dalla stanza.
Nessuno s’accorse di niente.


– …Sì, concordo anch’io sul fatto che possa essere di giovamento un impatto uguale a quello che ha causato l’infortunio – disse Procton – Il fatto è che è già stato tentato un esperimento in questo senso.
– Infatti! – ringhiò Alcor.
Zuril osservò l’occhio del giovane, che ormai era virato al blu di prussia intenso con sfumature amaranto: – Esperimento fallito, suppongo.
Ringhiata numero due: – Eccellente deduzione.
Zuril non disse nulla. Aprì la borsa che portava a tracolla. Ne tolse una boccetta di spray. Diresse uno spruzzo sull’occhio pesto. Alcor lanciò un grido di sorpresa: l’ecchimosi stava sgonfiandosi rapidamente, il dolore stava calando, persino le chiazze violacee sembravano regredire in fretta.
– Ma come…? – esclamò il giovane, incredulo.
– Sono specializzato in oculistica – la voce di Zuril era una colata di miele.
Alcor ammutolì, e i due scienziati ripresero il loro consulto, esaminando coscienziosamente ogni possibilità.
– Scusate – disse Venusia, tirando il professore per una manica.
– Per piacere…! – la riprese Procton, con l’aria dell’uomo molto, molto occupato.
– È sparito il vostro paziente…
– Venusia, stiamo cercando di decidere la cura per Actarus, e se tu… come sarebbe, è sparito? Dov’è andato?
Nessuno aveva visto niente, naturalmente. Nonostante il suo grande self control, Procton cominciò a preoccuparsi: Actarus era andato chissà dove, in quelle condizioni…
In quel momento, realizzò una cosa orrenda: anche lady Gandal era scomparsa.
L’agitazione divenne panico.
– Dobbiamo trovarli! Subito!!! – esclamò, fiondandosi nel corridoio.
La caccia al tesoro ebbe inizio.


Fu un certo trambusto, se così vogliamo chiamarlo, proveniente dallo sgabuzzino, a dare un indizio di dove i due si fossero infrattati. Procton e Zuril si scambiarono un’occhiata, poi il professore aprì di scatto la porta.
Un autentico groviglio umano fu lo spettacolo che si presentò ai loro occhi; e in mezzo a quel garbuglio di gambe e braccia varie spiccava il contenuto del fondo dei pantaloni di Actarus, ancora parzialmente occultato da un paio di slip celesti.
Fu chiarissimo a tutti che erano arrivati appena in tempo, l’irreparabile, se così si può definire, non si era compiuto.
Un ululato provenne dalle strozze delle signore presenti, mentre i signori tossicchiavano, imbarazzati; il commento più spontaneo venne da Alcor, sotto forma di un termine squisitamente gergale che fece lanciare un nuovo strillo alle signore, e che gli valse dall’inviperito Actarus un secondo sgrugnone.
Sull’altro occhio, si capisce.
– Porta pazienza, non è in sé – gli disse subito Procton, mentre il giovane passava in rassegna il suo repertorio completo di parolacce.
Rapido, Zuril gli spruzzò il suo spray anche sull’occhio testé offeso: – Ecco qui. Cos’hai da lamentarti?
In genere, quando viene interrotto proprio quando è sul punto di compiere la sua opera essenziale, un essere di sesso maschile difficilmente è di umore amabile; fu per questo che Actarus prese ad apostrofare i presenti con termini al cui confronto quelli di Alcor sembrarono un linguaggio da madre badessa.
Fu allora che Zuril decise d’intervenire; si fece avanti con ferma decisione cavandosi di tasca un neutralizzatore neurale gemello di quello in possesso di lady Gandal, lo regolò in modo che non fosse a piena potenza e lo premette contro una tempia dell’inferocito giovane.
Fu un attimo: il profluvio di parolacce cessò d’incanto, e Actarus rimase attonito, lo sguardo vacuo e un dolce, ebete sorriso stampato sulle labbra.
– Ghi! – disse Actarus.
– Innocuo – annunciò Zuril – Potete avvicinarvi, non c’è più pericolo.
– Mio figlio… comportarsi così! – Procton si fece vento con la cartellina che aveva in mano – Io sono mortificato, io mai avrei immaginato…
– Oh, i ragazzi son ragazzi – lo rassicurò subito Zuril, magnanimo.
– Tiratelo fuori di lì – Procton accennò vagamente al garbuglio umano nello sgabuzzino – E, per l’amor del cielo, tirategli su quei pantaloni!
Le signore, è naturale, erano rimaste pudicamente indietro; furono Hayashi e Yamada a farsi avanti, recuperare il giovane che li guardò sempre con il suo dolce sorriso stampato in faccia (“Ghi!”), rimettergli a posto il vestiario e trascinarlo fuori.
– Poi, quando si sarà ripreso, mi dovrà spiegare dove ha imparato un simile frasario! – brontolò Procton.
La seconda ad uscire dallo sgabuzzino fu la signora, dignitosissima nonostante i vestiti in disordine, il trucco mezzo disfatto e i capelli la cui impeccabile messa in piega non era più così impeccabile.
Mantenendo un’aria da duchessa oltraggiata, passò uno sguardo glaciale su tutti i maschi presenti.
– Ma voialtri, farvi gli affari vostri, mai? – esclamò lady Gandal, che anche in quel frangente era riuscita a mantenere l’aplomb della gran dama.


Actarus sedeva in una poltroncina, lo sguardo ebete fisso davanti a sé e il suo dolce, immutabile sorriso sulle labbra (“Ghi!”). Attorno a lui, il consulto era ormai giunto alla sua drammatica conclusione.
– Insomma, che possiamo fare? – esclamò Alcor – Ditemi come possiamo aiutarlo, e io lo farò!
– C’è solo una cosa da tentare – disse Zuril – Tu gli avevi dato una legnata in testa, cioè una spinta dall’alto verso il basso, uguale a quella che l’ha ridotto a questo modo…
– Sì! E non ha funzionato!
– Infatti. Qui occorre agire al contrario, cioè infliggergli una spinta dal basso verso l’alto, in modo da ottenere un impatto occipitale uguale ed opposto a quello che l’ha ridotto in questo modo.
– …E tradotto in termini comprensibili? – chiese Alcor.
– Dargli un calcio nel fondoschiena facendogli sbattere la testa contro il muro.
– Un calcio nel…? – inorridì il giovane – Non potrei mai!
– Io, sì! – giubilò Hydargos.
– Pensi che gli farà bene? – chiese ansiosamente Maria.
– Ad Actarus, non so – rispose Zuril – Ad Hydargos, sicuramente sì.
– Non c’è proprio altro che possiamo tentare? – domandò Venusia.
– No – disse Zuril.
– No – confermò Procton.
Rubina, Maria e Venusia si scambiarono un’occhiata.
– Fate quel che è necessario – disse infine la principessa.
La vittim… il paziente venne subito preparato per la cura, mentre Zuril, assistito da Procton, eseguiva una rapida serie di calcoli algebrici e trigonometrici per stabilire la spinta, la traiettoria e l’angolo di incidenza.
Actarus venne condotto di fronte ad una parete, ad una distanza accuratamente calcolata. Quindi fu piegato a squadra, in modo che l’urto avvenisse tra la parte alta del suo cranio e la parete.
Nel frattempo, Hayashi e Yamada avevano assicurato contro il muro un’asse: contro il legno era avvenuto il primo impatto, contro il legno avrebbe dovuto essere anche questo.
– State indietro – disse Procton, mentre Zuril conduceva Hydargos al punto esatto da cui avrebbe dovuto agire.
– Devo colpire forte? – chiese Hydargos.
– No, forte no – rispose Zuril – Devi sparare una pedata atomica. Mi sono spiegato?
– Ghi! – disse l’ignaro Actarus, che sempre piegato a squadra attendeva il suo destino.
Hydargos esitò un solo istante; poi gli tornarono in mente le infinite sconfitte che aveva subito da quel nemico, le umiliazioni patite, tutte le volte in cui gli avevano riso non solo dietro alle spalle, ma anche e soprattutto in faccia per i suoi insuccessi… un calcio da bomber, e Actarus andò ad insaccarsi contro l’asse, colando poi a terra in un mucchietto scomposto.
Strillo delle signore, lady Gandal la più acuta di tutte.
– State indietro! – disse Procton, mentre con Zuril esaminava il paziente.
Il giovane si mosse, agitò un piede, tirò su la testa guardandosi svagatamente attorno.
– Come ti senti? – chiese Zuril, controllando i dati sul suo scanner.
Actarus scosse il capo: – Ho una certa pesantezza di testa… Cos’ha Venusia? Piange come se avesse pelato un chilo di cipolle.
– È tornato lui – annunciò Procton, rassicurato.
Lacrime di commozione da parte di Rubina, Venusia e Maria, e di disperazione da parte di lady Gandal, che sapeva che mai e poi mai avrebbe più potuto ottenere qualcosa, visto che Actarus era tornato ad essere la solita bietola.


Ormai completamente guarito, Actarus giaceva nel suo letto: era stata una strana giornata, di cui aveva solo qualche vago, confuso ricordo… gli sembrava di capire che era stato poco bene. Mah. In quel momento, sentiva solo un gran male di testa, e pure un forte dolore un po’ più in basso, in piena zona non parlamentare. Avrebbe chiesto lumi l’indomani, quando si fosse svegliato… in quel momento, aveva solo un gran sonno.
Salutò gentilmente tutti quelli che vennero a salutarlo: Venusia, Maria e Rubina, ancora in lacrime ma sorridenti, Alcor (ma perché aveva gli occhi pesti? Aveva fatto a pugni con qualcuno?), Procton e i suoi due assistenti, Zuril, che gli assicurò una pronta guarigione (“Procton, tienimi informato, e se c’è bisogno chiamami subito”), e infine lady Gandal, che lo guardò in doloroso silenzio prima di scoppiare in un pianto dirotto a barriti e uscire di corsa. Mah.
L’ultimo a sostare davanti al suo letto fu Hydargos, che lo scrutò con l’autentico interesse del vero nemico: – Riguardati, sai?
– Non mancherò – rispose Actarus.
– Bene – aggiunse Hydargos, evidentemente soddisfatto. – Poi, quando starai meglio, vedrai che riuscirò finalmente a trucidarti con il mio nuovo mostro – e uscì.


FINE


Link per darmi un'asfaltata da paura: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=1215#lastpost
 
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view post Posted on 14/2/2013, 18:19     +1   -1
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Avevo promesso Tez e Jun, ma Re Vega è un tipino impaziente, e ha voluto - meglio dire preteso - passare per primo. One-shot pensata e scritta durante la vacanza in campagna.



ASSOLUTE PRIORITÀ


Ci sono momenti nella vita in cui un uomo ha assoluto bisogno di restare da solo con sé stesso.
Re Vega si trovava appunto in quella situazione, avendo cenato la sera prima con faranfoli in salsa medusiana piccante – e tutti sanno quale sia l’effetto che hanno i faranfoli sull’intestino. Specie se accompagnati appunto dalla salsa medusiana piccante, irrinunciabile quando si voglia assaporare al meglio tali leccornie. Sapendo poi che Sua Maestà non si era limitato ad una sola porzione (“Papà, smettila d’ingozzarti come un cinghiale!”, aveva avuto occasione di esclamare la principessa Rubina), si avrà un chiaro quadro della situazione.
Fu dunque un sovrano piuttosto frettoloso quello che si avviò verso il regio bagno, in cerca di pace e raccoglimento; un gorgoglio sospetto l’accolse fin sulle soglie. Proprio dentro la tazza si era creato una sorta di piccolo zampillo che scaturiva giulivo direttamente dalla conduttura. Un odore non proprio di violette giunse alle regali narici.
– È guasto – disse alle sue spalle Rubina – Ho appena chiamato l’idraulico. Ha detto che arriva subito.
Certo che sarebbe arrivato subito: tutta Skarmoon sapeva che far aspettare Re Vega nuoce gravemente alla salute.
– Ma il bagno non si può proprio usare? – chiese accorato il genitore, le cui budelle stavano dando chiari segni di pronto risveglio.
– Solo se vuoi farti una doccia di acqua diciamo sporca – rispose soavemente la principessa – È un pezzo che ti dico che il particolatore molecolare è da buttare.
– Il che cosa? – chiese il sovrano, angosciato.
– Te lo spiegherà meglio l’idraulico – e Rubina si fece da parte, lasciando passare un tapperottolo gioviale armato di borsa ed attrezzi.
Re Vega lo guardò come si guarda un angelo salvatore, mandando in contemporanea messaggi rassicuranti alle proprie sconvolte interiora: buone, buone, presto potrete sfogarvi…
L’idraulico si mise subito all’opera, mentre alle sue spalle Re Vega assisteva trepidante.
– Il particolatore molecolare è andato – spiegò il tecnico dopo un approfondito esame – Bisognerà cambiarlo.
– E io che avevo detto? – esclamò Rubina; e al padre: – Papà, io ho da fare. Pensaci tu, va bene? – e si allontanò verso le proprie stanze.
– Ci vorrà molto tempo? – chiese il sire.
– No, se vuole un lavoro mal fatto – rispose l’idraulico, cominciando ad armeggiare attorno alla tazza – Il particolatore molecolare è un pezzo delicato, richiede un poco di attenzione.
– Ma è così importante?
– Disgrega in particelle la mer… ehm, la cac… disgrega, ecco, e poi spruzza il tutto nelle condutture. Capirete che se la… la roba, ecco, è disgregata, è più facilmente biodegradabile. Questo particolatore qui è rotto, e spruzza all’interno della tazza invece che nelle condutture.
– E non è proprio possibile usare il bagno con il particoso guasto?
– Solo se si vuole essere investiti da un geyser alto un paio di metri – rispose l’idraulico.
Re Vega serrò le zanne: Rubina aveva ragione. Ma porc…!
Dalle sue interiorità giunse un pietoso lamento: la situazione cominciava a farsi pressante.
L’idraulico stava iniziando a smontare il coso, lo sminuzzacacca… non doveva pensare troppo quell’ultima parola… ma era evidente che lui non avrebbe potuto aspettare. Proprio no.
Fu allora che in un lampo intravide la soluzione dei propri problemi interiori: il bagno di Rubina, quell’assurdità tutta pizzi e piastrelle rosa. Normalmente quel locale così frivolo gli provocava dolori colici, ma visto lo scopo per cui ne avrebbe fatto uso, la cosa avrebbe potuto essere persino positiva. Si precipitò senza indugio verso la stanza, trovandola crudelmente serrata.
– Papà! Sono in bagno! – esclamò da dentro la voce della principessa.
– Ehm… ne hai per molto?
– Sì! – rispose lei, che era a mollo nella vasca, una maschera nutriente sul viso e l’idromassaggio ultrasonico impostato per una mezz’ora di attività.
Re Vega non stette a discutere, anche e soprattutto perché gli era venuto in mente che a breve distanza da là si trovava l’alloggio di Gandal. Avrebbe chiesto ospitalità al suo Comandante Supremo.
Fu un sovrano piegato in avanti (i moti interiori stavano minacciosamente aumentando) quello che si trovò a bussare disperatamente alla porta del bagno del suo subordinato.
– Maestà, non posso aprirvi! – esclamò dall’interno Gandal.
– Ti prego, è un’emergenza! – gridò il sire.
– Lo è anche per me! – rispose la voce accorata di Gandal; e così fu che Sua Maestà scoprì che anche il Comandante Supremo era ghiotto di faranfoli in salsa medusiana piccante.
Poco distante v’era l’alloggio di Hydargos; fu un Re Vega piegato in due quello che bussò disperatamente in cerca d’aiuto.
– Maestà, sarei felice di aiutarvi – disse subito il Vicecomandante di Vega – Voi sapete che ho sempre cercato di obbedirvi in tutto…
– Ma…? – chiese Re Vega, che era un tipo spiccio.
– Ma, ho messo il disincrostante nucleare nel gabinetto, e voi sapete che deve restarci per almeno sei ore – accennò al bagno: dalla tazza si levavano minacciosi vapori corrosivi, di quelli, per capirci, capaci di lasciare pericolosissime (e risibilissime) ustioni proprio in zone estremamente riservate.
Poco dopo, un uomo disperato bussava all’uscio del Ministro delle Scienze, che gli aprì immediatamente e prestò comprensivo orecchio al problema che l’affliggeva.
– Sarei felice di lasciarvi l’uso del mio bagno, Maestà – cominciò, esitante.
– Non avrai messo anche tu il disincrostante! – s’allarmò l’infelice.
– No, no – rispose Zuril – Il problema è che sto ripulendo l’acquaterrario…
– E allora?
– E allora, ho messo le mie Salamandre Sputafuoco dentro la vasca – concluse lo scienziato.
– Nella vasca, appunto! – esclamò il sovrano, sollevato – Il gabinetto è libero!
– Si, certo, però…
– Però?
– Però, le Salamandre Sputafuoco sono animali, come dire, di carattere. Vanno a simpatie. Se voi sarete loro poco simpatico…
– Oh, io so essere simpaticissimo! – il sovrano si precipitò nel bagno; cinque salamandre alzarono i loro musetti rosso vivo dalla vasca da bagno, fissandolo con l’occhio bieco dell’infallibile cecchino.
Re Vega azzardò un largo sorriso accattivante; un istante dopo apprese per esperienza personale che il nome “Sputafuoco” non era stato dato senza motivo a quei graziosi animaletti. Fu fuori dal bagno con un unico acrobatico balzo, e Zuril dovette spegnergli un principio d’incendio al mantello.
Pochi minuti dopo, il sovrano si precipitava a tutta velocità giù per il corridoio sud, là dove si trovava un bagno pubblico.
Girò l’angolo, il bagno era là dietro…
Andò a sbattere contro un soldato. Davanti a lui, una fila di qualche decina di persone, tutte riunite là per lo stesso, identico motivo.
Normalmente, Re Vega avrebbe alzato la voce e preteso di passare per primo; ora era troppo disperato per agire in quel modo (anche perché temeva che alzare la voce avrebbe potuto avere tragiche ripercussioni sulle sue già provatissime interiora). In più, gli era venuto in mente che un altro bagno si trovava all’estremità del corridoio nord.
Altra corsa disperata contro il tempo… nessuno. Non solo non c’era fila, non c’era nemmeno un singolo occupante all’interno. Magnifico! Si precipitò alla porta…
Vide solo allora il cartello: GUASTO.
Dall’interno, il tipico gorgoglio da particolatore molecolare guasto.
E questo, spiegava la calca al bagno sud.
Fu un uomo affranto, senza più prospettive per l’avvenire e con le viscere ormai squassate da un autentico terremoto interiore, quello che rientrò nelle proprie stanze: avrebbe cercato un contenitore, un contenitore qualsiasi, e…
Fece capolino sulla porta del bagno, ed ebbe un tuffo al cuore: l’idraulico brillava per la sua assenza. Nessun gorgoglio proveniva dalle profondità delle tubature.
Re Vega era un uomo dalle decisioni rapidissime: calati i regali calzoni, il sovrano si affrettò a prendere posto sulla regia tazza del regio bagno.


L’idraulico rientrò rapidamente nelle regali stanze: finalmente aveva trovato la guarnizione bi-facciale e il dado ovoidale necessari per ultimare la riparazione del particolatore molecolare.
Rimase immobile sulla soglia: le pareti e il pavimento del bagno apparivano ora totalmente ridipinti di un omogeneo color marrone.
Un’enorme statua, color cioccolato intenso, regalmente assisa in trono sulla regia tazza, campeggiava nel bel mezzo della stanza.
Idraulico e statua si guardarono, in perfetto silenzio.
– Ve l’avevo detto, sire! – esclamò infine l’idraulico, gioviale come suo solito – Un vero geyser!


Link per dirmi che stavolta ho davvero toccato il fondo: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=1215#lastpost
 
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view post Posted on 4/4/2013, 00:01     +1   -1
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Tanto per festeggiare i 35 anni di Goldrake in Italia, comincio a postare una FF LUNGA e SERIA (quasi seria), in cui il protagonista non è Actarus. :wahaha.gif:
Ok, non è il protagonista, ma ha una parte di prim'ordine. Ecco.

Forse vi ricorderete il What if? che ho postato l'anno scorso, una mega pappardella che non finiva più (e vedrete questa...^^).

Bene, in quel What if ho raccontato quello che io avrei voluto fosse stato il vero finale di Goldrake.
Tra l'ultimo capitolo e l'epilogo della storia, passava però un certo periodo di tempo; alla fine, trovavamo Zuril felicemente sposato con Maria.
Ma come? Quei due non si erano mai potuti vedere! Com'era possibile?
Ecco, ho risposto proprio in questa FF. Praticamente, si colloca in quello spazio di tempo di cui sopra. Una storia seria ma non dura. Niente pugni nello stomaco, stavolta, solo glucosio.

Tenete pronta l'insulina che non si sa mai... :rotfl:
Buona lettura!

Dedicato a Monica/Venusia2, che ha avuto la pazienza da santa di supportarmi (e sopportarmi) in tutto questo tempo, e a Isotta, che nonostante sia iper-impegnata mi ha pure fatto da editor... sante donne!!! :dio:

Un grazie speciale a Joe, cui avevo promesso la storia di Tez e Jun: è in arrivo, non l'ho dimenticata... :dito:



IL PREZZO DELLA PACE


1

Erano in quel che restava del giardino, seduti su un grosso blocco di pietra che era crollato dal palazzo reale. Attorno a loro, i tronchi rinsecchiti degli alberi; ai loro piedi, qualche ciuffo sparuto d’erba. Un paesaggio desolante, ma nessuno dei due vi fece caso, troppo occupati com’erano in una conversazione tra le più difficili che entrambi avessero mai sostenuto. Sedevano l’uno accanto all’altra: Maria rigida, le mani strette in grembo e il viso voltato di lato, Zuril con i gomiti posati sulle ginocchia, lo sguardo fisso di fronte a sé.
Non v’era una parte dei loro corpi che si sfiorasse.
Fu Maria, troppo nervosa per non affrontare subito la questione, a rompere quel silenzio opprimente: – Credo che... che Actarus ti abbia detto qualcosa.
Lui assentì: la scena, francamente incresciosa, era avvenuta pochissimo prima, ed era ancora vivida nella sua memoria…


– Credo di non aver capito bene – aveva detto Zuril, e dire che fosse strabiliato era un semplice eufemismo.
– Io... – Actarus aveva annaspato penosamente – Ti prego, non farmelo ripetere.
A quel punto si erano voltati entrambi verso di lei, che con un certo timore si era affacciata sulla porta.
– Avete deciso? – la sua voce era stata appena un sussurro.
Nonostante l’irritazione che aveva provato, Zuril si era mantenuto perfettamente calmo: – Forse dovremmo parlarne tu ed io, non ti sembra?
Aveva potuto scorgere un vero terrore nei suoi occhi; nonostante questo, Maria si era dominata a meraviglia: – Hai ragione.


…E ora erano lì, in quel che restava del parco della reggia di Fleed, a parlare di quel che Zuril mai si sarebbe aspettato di dover discutere.
Non con Maria, comunque.
– Actarus ti ha detto...? – insisté lei.
– L’ha fatto – rispose Zuril, guardingo. Non riusciva a capire quale fosse il vero scopo di tutta quell’assurdità.
– Oh – Maria si torse le mani – E... che ne pensi?
– Del matrimonio? – Zuril si voltò, guardandola di sotto in su: – Ti parlo francamente: non ne capisco lo scopo. Non credo che tu voglia diventare mia moglie perché mi consideri una buona sistemazione, perché sai benissimo che non faresti certo una vita piena di lussi. Non credo nemmeno che tu voglia sposarmi per la mia invidiabile posizione: sai che d’invidiabile c’è ben poco. Non posso certo offrirti un’esistenza agiata e prestigiosa, io, e non penso nemmeno che il titolo di Regina di Vega possa interessarti.
Tacque, in attesa di un intervento di lei; Maria aprì la bocca per rispondere, ma le parole le morirono sulle labbra. Le sue mani si strinsero fino a sbiancare le nocche.
Ancora silenzio.
Zuril allora riprese: – Non credo nemmeno che tu voglia sposarmi perché sei innamorata di me.
Maria si voltò di scatto: – Ma no, io... io... – era troppo onesta, e non riuscì a mentire. Pure, doveva dirgli qualcosa! Deglutì e ritentò una risposta, ma le parole non vennero.
Alzò timidamente gli occhi su Zuril: non sembrava in collera, ma non era possibile esserne sicuri. Lui si controllava talmente... se solo lei fosse riuscita a mostrarsi più sicura, a fingere almeno un poco... – Non è vero. Tu... voglio dire, io...
– Davvero? – Zuril le posò una mano sul fianco; subito lei ebbe uno scatto all’indietro, come se quel contatto l’avesse ustionata. – Come immaginavo. Risparmiati la commedia: se provassi a toccarti, ti metteresti ad urlare.
– Non volevo offenderti – mormorò lei, testa bassa e guance in fiamme.
– Non sono offeso – rispose lui, ed era la verità: aveva un concetto molto realistico di sé e del suo aspetto. Per quale motivo una ragazza giovane e bella come Maria avrebbe dovuto innamorarsi di lui?
No, non era offeso: solo incuriosito, e voleva una spiegazione. Maria questo lo comprese, e sentì di doverglielo. Scartò subito l’idea di rifilargli una bugia, lui non era certo un uomo facile da ingannare. Poi, non meritava una nuova menzogna.
– Perché? – insisté Zuril, e non c’era cattiveria nella sua voce.
– L’ho fatto per la pace – mormorò lei.
– La pace...? – questa non se l’era proprio aspettata.
– Come Rubina – adesso che aveva pronunciato quel nome, parlare le riusciva molto più facile – Lei voleva la pace tra i nostri popoli. Voleva diventare lei stessa un segno di pace; ecco perché insisteva tanto per sposare mio fratello. Per la pace.
Zuril si passò una mano sul viso per nascondere il ghigno che gli era venuto spontaneo.
Non credo che Rubina volesse sposare tuo fratello SOLO per la pace, fu ciò che avrebbe voluto dire e che preferì tenersi per sé.
– Insomma, tu pensavi che questo matrimonio avrebbe garantito la fratellanza tra i nostri popoli – osservò infine – Esiste già un trattato firmato da tuo fratello e da me.
– Siamo stati in guerra per anni – disse in fretta Maria – Un matrimonio sarebbe un segnale molto forte.
– È vero – ammise Zuril – Però tu sei giovane, sei bella, hai tutta la vita davanti. Perché dovresti legarti ad uno come me?
Maria alzò orgogliosamente il mento: – Sono una principessa. Ho dei doveri precisi verso il mio popolo.
E io sarei un dovere. Sono incantato, fu ciò che Zuril non volle assolutamente dirle.
Avrebbe dovuto sentirsi irritato, offeso; invece, quella ragazza talmente candida da ignorare le più elementari regole di diplomazia lo divertiva. Ogni sua minima emozione era perfettamente leggibile in quel viso mobilissimo ed espressivo; e ora, quel che lui vedeva era solo disprezzo e paura. Soprattutto, paura.
E che altro potrebbe provare, per me?
Avrebbe dovuto rifiutare quel matrimonio assurdo; allo stesso tempo, sapeva quanto l’alleanza con Fleed fosse importante per Vega. Non poteva respingere quel dono inaspettato… un dono folle, insensato, ma a dir poco fondamentale per garantire la sicurezza della sua gente. Vega non aveva più armi per difendersi, e di nemici ne aveva anche troppi; in caso di emergenza, Actarus avrebbe sicuramente aiutato il popolo di cui sua sorella Maria era regina.
No, non poteva rifiutare.
– Sei davvero sicura di quel che stai facendo? – si voltò a guardarla dritta in viso.
Lei era pallida come cera, ma quando parlò la sua voce rimase ferma: – Sì. È per la pace. Non è quello che vogliamo tutti e due?
– Certo – Zuril si chinò a guardare un minuscolo fiore che cresceva ai suoi piedi: era bianco, a forma di stella. Lo colse, lo rigirò tra le dita guardandolo (da quanto tempo non sentiva tra le mani un fiore!) e poi lo porse lentamente a Maria.
Lei esitò un istante prima di prenderlo: sapeva che con quel gesto non era solo il fiore ciò che stava accettando.
Mi sto condannando da me stessa, pensò Maria.
– Sei ancora in tempo a ripensarci – disse lui.
Non voglio avere tempo… non voglio ripensarci! Sto facendo quello che è giusto, per cui meglio che avvenga il prima possibile… prima che io abbia la possibilità di pentirmi.
Fece segno di no con la testa, scuotendo i capelli che brillarono nella luce del sole morente: – Facciamo presto, Zuril.
Lui le prese una mano, gliela strinse cercando d’ignorare il sussulto disperato di lei: – D’accordo. Come desideri.


Rientrarono in silenzio all’interno della reggia, dove un impaziente Actarus stava aspettando di conoscere quale sarebbe stato il destino di sua sorella.
Gli bastò vedere il viso pallido e tirato e gli occhi bassi di lei per capire.
– Accetto il matrimonio, ma ad una condizione – disse subito Zuril – Faremo la cerimonia secondo il rito di Vega.
– Perché? – chiese impulsivamente Maria, mentre Actarus corrugava la fronte.
– Semplice... perché secondo la legge di Vega si tratta solo di un contratto che può venire sciolto.
Maria trattenne il fiato: come tantissime ragazze aveva sempre sognato le nozze a coronamento d’un amore eterno e meraviglioso. Ormai aveva scartato l’idea dell’amore eterno e meraviglioso, sapeva che non sarebbe stato una cosa per lei; ma sentir parlare del matrimonio come di un contratto da sciogliere la riempì di tristezza. Pareva tutto così freddo, così impersonale...! Sarebbe stata quella, la sua vita? – Mi sembra che stiate parlando di un accordo d’affari, più che di un matrimonio...!
– Non lo capisci che lo faccio per te? – esclamò seccamente Zuril – Vuoi restare legata a vita a un uomo più vecchio e che sopporti a malapena? – Maria trasalì come se l’avesse schiaffeggiata e non rispose; Zuril si rivolse ad Actarus, che continuava a restare in silenzio: – Pensaci bene: Maria vuole questo matrimonio per cementare la pace tra i nostri popoli. Tutto molto lodevole; resta però il fatto che lei sarà vincolata a me, il che non è precisamente quel che la riempie di felicità.
– Detto così, suona orribile – disse Maria, con un filo di voce.
– È una visione spassionata dei fatti – rispose Zuril – E questi fatti non sono piacevoli. O sbaglio?
Maria scosse il capo, abbassando lo sguardo. Zuril, consapevole d’averla convinta, si volse verso Actarus: – Non hai ancora detto niente.
– Noi di Fleed tendiamo a sposarci solo se davvero innamorati – disse lentamente il giovane – Ecco perché il nostro matrimonio non prevede scioglimento.
– Questo non è esattamente lo stesso caso – gli fece notare Zuril.
– No – ammise Actarus, riluttante – Quello che dici non mi piace, ma è giusto. Penso anch’io che sia la cosa migliore. Ovviamente, sarai disposto a lasciar libera Maria, quando sarà il momento?
Zuril lo guardò dritto in faccia: – L’idea è stata vostra, non mia. Parliamoci apertamente: nemmeno io sono felice di sposarmi a queste condizioni. Perdona la franchezza – aggiunse, vedendo Maria agitarsi – ma questo è il momento di dirsi le cose esattamente come stanno.
– Certo – disse in fretta Actarus – Vai avanti.
– Tutti noi vogliamo la pace, su questo siamo d’accordo. Questo matrimonio servirà a questo. Per quel che mi riguarda, si tratterà di un periodo di tempo di convivenza civile; quando la situazione sarà migliorata, ci separeremo senza tante storie.
– Cosa intendi con “la situazione sarà migliorata”? – chiese Actarus – Dovremo definire esattamente questo punto.
Zuril scosse il capo: – Non ci sono condizioni da rispettare. Per noi, il matrimonio può essere sciolto con una certa facilità; il giorno in cui Maria vorrà farla finita, potrà riavere la sua libertà senza problemi.
– Tu non me lo impediresti? – chiese lei.
– Per la nostra legge, non ti servirà nemmeno il mio consenso – rispose lui – Quando proprio non ne potrai più potrai andartene, e io non farò nulla per impedirtelo. Pensaci.
Maria si voltò verso il fratello, in una muta richiesta d’aiuto: in quel momento, non aveva la lucidità per pensare, vagliare le possibilità, decidere. Che scegliesse lui, per lei.
– E va bene – disse Actarus, il viso inespressivo – Vi sposerete con il rito di Vega. È giusto.
– Ma…? – chiese Zuril.
– Ma, la cerimonia avverrà qui, su Fleed.
– D’accordo – rispose Zuril, omettendo il “visto che ci tieni tanto”. Uomo pratico, non vedeva lo scopo di quel voler le nozze su Fleed: per lui, il luogo in cui si sarebbero sposati era ininfluente… però per qualcun altro poteva non essere così: – Voglio dire, per me va bene, se anche Maria è d’accordo.
Lei sembrò sorpresa di essere interpellata su quel punto: anche a lei importava ben poco circa il posto, per cui decise d’accontentare il fratello: – Va bene anche per me.


- continua -


Link per mandarmi, più o meno cortesemente, al diavolo: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=1245#lastpost
 
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Seconda puntata.

2

Zuril non si trattenne a lungo, su Fleed: oltre ai suoi già pressanti impegni, c’era ora il matrimonio da organizzare per cui, dopo gli ultimi accordi con Actarus, prese congedo.
Un attimo prima di allontanarsi dalla reggia per raggiungere la propria nave, chiese a Maria, rimasta un poco indietro, di accompagnarlo.
Normalmente lei avrebbe cercato una scusa qualsiasi; erano però fidanzati, ormai. Non poteva rifiutarsi, tantopiù che Zuril sembrava avesse qualcosa d’importante da dirle. Con la morte nel cuore lo seguì fuori della reggia, verso lo spiazzo d’atterraggio in cui era in attesa una navetta.
Zuril rimase in silenzio fino a quando non furono in vista della nave; parlò solo allora, in quella spianata in cui non poteva esserci nessuno ad ascoltare: – Sei davvero sicura di quel che stai facendo?
Un colpo d’aria le scompigliò i capelli, facendola rabbrividire.
– Sì, – mormorò, stringendosi le braccia attorno al corpo e guardando ovunque, tranne lui.
– Va bene – Zuril esitò, mentre cercava con cura le parole – Ascolta, Maria. Sappiamo tutti e due che non sarà facile vivere insieme, ma spero che riusciremo a farlo in maniera civile.
Lei fece segno di sì con la testa.
– Cerchiamo perciò di venirci incontro – continuò lui – Io parto dal presupposto che prima o poi tu potrai trovare interessante qualche altro uomo, più giovane e più bello… è perfettamente naturale che sia così – aggiunse con fermezza, vedendo che lei stava tentando di protestare – Non ti farò certo storie, e ti lascerò libera. Come ti ho detto, capisco.
– Ma…? – chiese lei.
– Ti prego di esser onesta con me. Non sopporto le bugie, sono un’offesa all’intelligenza delle persone. Nel momento in cui rivorrai la tua libertà, ti prego di farmelo sapere subito. È l’unica cosa che ti chiedo. Preferisco che tu mi dica chiaramente le cose come stanno, piuttosto che venirle a sapere in un secondo tempo e scoprire d’aver fatto la figura del cretino. – strinse i pugni – Questo, non potrei sopportarlo.
Maria deglutì: – Va bene, te lo prometto.
Invece di rispondere, Zuril le tese la mano: era un gesto che sulla Terra aveva un significato ben preciso e lui lo sapeva. Un impegno che vincolava due persone.
Lei esitò, l’idea di toccare un veghiano le restava assolutamente disgustosa; poi si fece forza e mise la propria mano in quella aperta di lui.
Come era successo tempo prima a Venusia, rimase piacevolmente sorpresa: un palmo caldo e asciutto, quando si era aspettata gelo e viscido.
– Siamo d’accordo – disse lui.
– Sì – la voce di lei fu appena un soffio.
Uno strano silenzio cadde tra loro: Maria comprese che era venuto il momento di salutarsi. Avrebbe dovuto dargli un bacio? Era l’ultima cosa che avrebbe voluto, ma…
– Adesso vado – disse lui, parlando con calma e tenendosi ben distante, un po’ come avrebbe fatto per guadagnarsi la fiducia di un animaletto spaurito – Se tu dovessi cambiare idea…
Lei scosse la testa. No.
– Hai ancora il tempo di ripensarci – lui agì sul telecomando della sua navetta, e un portello si aprì sulla fiancata calando al suolo, in modo da costituire una passerella – Ci terremo in contatto.
Maria rimase sulla pista a guardarlo mentre saliva sulla nave e decollava, alzandosi in cielo e sparendo tra le nuvole.
Aveva dato la sua parola. Era ormai legata a quel veghiano.
Curvò le spalle, come se un gran peso le fosse improvvisamente gravato sulla schiena; poi non resistette più e corse via, in cerca di un posto solitario in cui avrebbe potuto piangere tutta la sua disperazione.


Stanotte non si dorme, pensò Maria, rigirandosi ancora una volta nel suo letto.
Si mise a sedere, strappandosi di dosso le coperte: per quanto avesse le mani gelate aveva caldo, e sentiva dentro di sé un’agitazione crescente che le tormentava le viscere con i suoi artigli affilati.
Tentò ancora una volta di scacciare le immagini di quel che era successo quel giorno… l’imbarazzante dialogo con Zuril, gli accordi presi circa il suo futuro, e soprattutto l’incredibile evento che le aveva cambiato totalmente la vita: era fidanzata con il re di Vega, e al più presto sarebbe divenuta sua moglie. Lei, Maria Grace Fleed.
Come ho potuto fare una cosa simile?
Sentendosi soffocare, aprì la portafinestra e uscì sul balcone. Quell’ala della reggia era miracolosamente scampata alla distruzione, ed era diventata la sua nuova casa… a dire il vero, quella era la sua vera casa… peccato che lei non conservasse il minimo ricordo di quando, bambina, vi aveva abitato con il fratello e i genitori.
Aveva sperato che tornare su Fleed le avrebbe riportato la memoria dei tempi perduti, ma non era stato così.
A dire il vero, tutta la sua esistenza era stato un qualcosa che le era sfuggito di mano e su cui non aveva mai avuto il controllo.
Era fuggita da Fleed perché costretta, l’uomo che si era occupato di lei come un nonno era stato ucciso e la sua realtà era radicalmente cambiata, aveva combattuto perché suo malgrado si era trovata coinvolta nella guerra ed era tornata su Fleed per non lasciar solo suo fratello. Ogni volta che qualcosa aveva distrutto la sua vita precedente, Maria era stata convinta d’aver compiuto lei delle scelte; in realtà, ora se ne rendeva conto, di vera volontà da parte sua c’era stato ben poco. Aver ritrovato Actarus l’aveva spinta a combattere non tanto per effettiva convinzione, quanto per voler stare accanto a suo fratello, nella speranza di poter recuperare quella parte della sua esistenza che era sfumata assieme ai suoi ricordi. Allora non se ne era resa conto, ma era stato proprio Actarus, e non l’odio per Vega, la vera causa che l’aveva spinta a battersi.
Sempre Actarus era stato il motivo che l’aveva riportata su Fleed. Certo, lei aveva sperato di ritrovare la sua memoria rivedendo il suo mondo, però a spingerla ad abbandonare la Terra, gli amici e la vita che aveva tanto amato, persino… Alcor… (qui Maria represse un singhiozzo) era stato il terrore di perdere il fratello, e con lui la propria identità di principessa di Fleed.
Ora, proprio il fatto di essere principessa era alla base del nuovo cambiamento radicale che la sua esistenza avrebbe subito.
Fin dall’inizio, su Fleed Maria si era sentita un pesce fuor d’acqua. Ricordava stentatamente il cielo, il paesaggio, la reggia, persino la vecchia cadenza, la parlata: contrariamente ad Actarus, che li aveva accolti come fratelli di sangue, gli altri fleediani le erano sembrati dei perfetti sconosciuti.
Aveva tanto sperato che si trattasse solo di un periodo in cui avrebbe dovuto ambientarsi, ma non era stato così: man mano che il tempo era passato, lei si era sentita sempre più estranea a quel nuovo mondo che non le apparteneva.
In realtà, questo ormai le era ben chiaro: lei era cresciuta come una terrestre, e come tale si sentiva.
In più, non riusciva a trovare uno scopo per sé stessa.
Che cosa sapeva fare, a parte pilotare e combattere? Ben poco.
Che cosa ci si aspettava da lei? Praticamente nulla. Era vero che Fleed non aveva una regina, ma quel ruolo non era e non sarebbe mai stato suo. Lei era solo la sorella del re, e come tale non aveva compiti precisi, non aveva uno scopo, un’utilità.
Sono inutile, era stato il pensiero che le si era presentato alla mente, e che aveva continuato a tormentarla impietosamente. Inutile. Inutile.
Inutile per suo fratello. Inutile anche per Alcor… il povero Alcor che lei aveva abbandonato, e che ora le mancava terribilmente. Se fosse rimasta sulla Terra… se… se…
Sayaka Yumi, la compagna di studi di Alcor, che tornerà presto dall’America…
Maria s’asciugò bruscamente le lacrime dagli occhi.
Era stato pochi giorni prima di partire che aveva sentito quella mezza frase: aveva chiesto spiegazioni, e le aveva pure avute. Sayaka era stata la compagna non solo di studi ma anche di avventura di Alcor, e si era detto che tra di loro ci fosse stato anche del tenero.
Maria non era certo tipo da perdersi in chiacchiere: aveva affrontato Alcor e gli aveva chiesto di Sayaka. Vederlo confuso, sentirlo impappinarsi nelle spiegazioni era stato per lei sufficiente.
Non si era posta il problema che lui fosse semplicemente imbarazzato: lei era stata sicura che fosse ancora innamorato di Sayaka, e impulsiva com’era aveva promesso ad Actarus che l’avrebbe seguito su Fleed. Non voleva certo essere un ostacolo tra Alcor e la sua Sayaka…!
Allora le era parsa la scelta più giusta e dignitosa: adesso continuava a chiedersi se… se forse… ma ormai era troppo tardi per i rimpianti, Alcor era perduto per sempre e lei era sicura che non avrebbe mai più potuto essere felice con qualcuno come lo era stata con lui. Mai più.
Maria non sapeva quando il ricordo di Rubina aveva cominciato ad affiorarle alla mente: all’improvviso, la principessa di Vega che aveva disperatamente voluto la pace e che era morta per il suo ideale aveva preso ad ossessionarla.
Rubina non era come lei: Rubina aveva sempre saputo quale ruolo avrebbe potuto avere, e si era battuta per non esser una semplice pedina in un gioco più grande di lei. Rubina aveva tentato di legarsi ad Actarus, gettando così un ponte tra due popoli che si odiavano… dando un esempio…
All’improvviso, nelle tenebre della sua esistenza era apparsa una luce: lei avrebbe fatto quel che Rubina non aveva potuto compiere, lei sarebbe stata il nuovo pegno di pace tra Fleed e Vega.
Sarebbe stato un sacrificio, ovvio: ma questo avrebbe reso il suo gesto più sublime.
Certo, lei avrebbe dovuto sposare Zuril, un uomo che temeva e che la ripugnava; però avrebbe garantito così la pace tra i popoli, avrebbe adempiuto al suo destino di principessa. Sarebbe stata infelice, sicuro: ma già aveva il cuore spezzato, tanto valeva sacrificarsi per gli altri – e qui aveva sentito gli occhi riempirlesi di nobilissime lacrime.
Ovviamente, non avrebbe detto mai e poi mai che la sola idea di sposare Zuril la colmava d’orrore: Actarus, che in futuro avrebbe vissuto felicemente con Venusia, non avrebbe mai dovuto sospettare il suo intimo tormento, il sacrificio che lei avrebbe compiuto per amore suo e di Fleed.
Maria non era tipo da riflettere ed aspettare: avendo presa la sua decisione, il giorno dopo l’aveva comunicata al fratello.
La reazione era stata esattamente come lei si era aspettata: esplosiva.


– Non posso permetterlo! – aveva esclamato Actarus.
Maria aveva alzato il mento con aria battagliera: – È la mia vita, Actarus. Non sei certo tu a decidere cosa posso o non posso farne!
– Lo dici tu! – il giovane aveva preso a camminare in su e in giù per la stanza – Non starò a guardare che mia sorella si butti via per… per cosa, poi?
– Per la pace – aveva risposto lei, in un soffio.
– La pace! – era difficilissimo che Actarus perdesse a quel modo il controllo, ma sapere che la sua adorata sorella si sarebbe rovinata con le sue stesse mani lo rendeva furioso – Abbiamo già la pace! Non c’è assolutamente bisogno che tu compia un sacrificio così… così stupido…
– È lo stesso sacrificio che stavi per compiere tu – gli aveva ricordato lei – Non eri entusiasta all’idea di sposare Rubina…
– Ma cosa c’entra…!
– …però l’avresti fatto. Perché era il tuo dovere.
Actarus aveva alzato le mani come per invitare alla calma: – Un momento. Era il mio dovere, certo, ma volevo molto bene a Rubina, e so che anche lei… insomma, matrimonio di stato o meno, avremmo trovato il modo di essere felici assieme. Tu invece vuoi sposare Zuril…
– Il tuo amico Zuril – aveva sottolineato lei.
– Ho stima di lui, certo – aveva risposto Actarus – Siamo alleati. Penso di poter dire che siamo amici. Ma da qui ad accettare che tu lo sposi…
Gli occhi di Maria avevano avuto un pericoloso lampo azzurro: – Perché?
Ancora una volta, Actarus aveva represso la collera e si era sforzato di mantenersi calmo: – Maria, non ha importanza che sia mio alleato, che io lo stimi o che provi dell’amicizia per lui. Quel che conta veramente è il fatto che è un veghiano, e che tu non hai mai nemmeno sopportato la vista di un veghiano senza storcere il naso. Nel periodo in cui è rimasto con noi alla fattoria, tu praticamente non gli hai mai parlato…
– È vero – aveva ammesso lei, prontissima – però in quel periodo ho imparato a conoscerlo meglio. Non sei il solo a provare per lui stima e rispetto…
– Un po’ poco, per un matrimonio – era stata l’osservazione di Actarus.
– Mi piace molto – aveva aggiunto in fretta lei.
– È ancora poco.
Maria aveva valutato in fretta se rifilargli una bugia colossale e confessargli di amare segretamente Zuril: no, era davvero troppo grossa. Non ci avrebbe creduto. – Nemmeno tu amavi Rubina.
– È diverso…
– Oh, certo, è sempre diverso! – aveva esclamato lei, che aveva capito d’aver segnato un punto a suo vantaggio – Stiamo parlando di un matrimonio di stato, Actarus. Nessuno pretende che esista il grande amore, in un matrimonio di stato!
– Sì, ma…
– Per cui, se per te andava bene così, non vedo perché io non possa…
– Un momento – l’aveva interrotta Actarus: per quanto avesse la battuta meno pronta di sua sorella, aveva finalmente trovato un punto cui aggrapparsi: – Io ero molto affezionato a Rubina, oltre a stimarla e rispettarla; c’è anche il fatto che pure lei provava dei sentimenti… voglio dire… insomma, ammesso che tu provi qualcosa per Zuril non sappiamo come la pensi lui, ti pare?
– Basta chiederglielo – aveva osservato lei, prontissima.
Actarus, che tutto si era aspettato tranne quella conclusione, aveva sentito tremargli il terreno sotto ai piedi: – Maria, adesso basta. Non pretenderai che chiami Zuril e gli domandi se gli piaci e se gli interessa sposarti! È semplicemente ridicolo!
– Ma…
– Ho detto basta! – aveva esclamato seccamente lui – Non voglio più sentir parlare di questa storia. Questo è un ordine, mi hai capito?
Maria conosceva bene quel tono di voce: era quello delle grandi occasioni. Per esperienza, sapeva che quando suo fratello assumeva quel piglio, c’era una cosa sola da fare: dirgli di sì, fargli credere di avere vinto, lasciare che sbollisse e poi ricominciare a lavorarlo successivamente.
– Va bene, Actarus – aveva mormorato, gli occhi bassi per non fargli vedere quanto poco fosse sottomessa.
– Mi spiace, Maria – aveva aggiunto lui, più pacato – ma lo faccio per il tuo bene. Ho detto di no, ed è la mia ultima parola.


La mia ultima parola… Nonostante la disperazione che l’attanagliava, Maria non poté trattenere una risata. Altro che ultima parola!
I giorni successivi aveva continuato il suo paziente lavorio, lanciando qualche frase qua e là, arrivando sino al punto di farlo arrabbiare e poi fingendo sempre di cedere. Allo stesso tempo era molto gentile ed affettuosa con lui, che non era certo insensibile alle sue moine; e appena si era presentata l’occasione, lei aveva sempre infilato una paroletta, e poi magari un’altra e un’altra. Aveva pregato, aveva blandito, aveva supplicato, aveva alzato la voce, aveva pianto, aveva ragionato: e mai, mai una volta aveva ceduto d’un millimetro, confutando sempre tutte le obiezioni del fratello e riducendolo infine senza argomentazioni, a dire di no solo per intima convinzione.
Il bello è che più aveva cercato di persuadere il fratello, più si era sentita persuasa lei stessa di quanto stava facendo. Tutti gli ostacoli che lui le aveva messo davanti – differenza d’età, di educazione, di pensiero, inutilità di quel matrimonio visto che già esisteva un’alleanza – si erano sgretolati ad uno ad uno davanti alla convinzione di lei. Maria era ormai arrivata a desiderare veramente quelle nozze; alla fine Actarus, non potendone davvero più, aveva ceduto e aveva accettato di parlarne con Zuril “solo per sentire quel che ne pensa di un’idea così ridicola”.
Actarus era stato davvero sicuro che Zuril avrebbe rifiutato, che magari gli avrebbe addirittura riso in faccia. Invece, il re di Vega, pur non essendo entusiasta della cosa, aveva colto subito i vantaggi di quell’unione: l’alleanza con Fleed ne sarebbe stata rinforzata, e Moru si sarebbe garantito la difesa di Goldrake in caso di attacco nemico.
Così quel che era apparso assurdo e ridicolo era diventato possibile e reale, e ancora una volta Maria aveva visto la sua vita infrangersi in mille pezzi, per ricomporsi poi in… nemmeno lei sapeva in che cosa si sarebbe ricomposta. Del resto, si trattava del prezzo da pagare per garantirsi la pace.
Di una cosa però era sicura: per quanto altruistico, meraviglioso e sublime, il suo sarebbe stato sempre e comunque un sacrificio.

- continua -


Link atto ad affamandarmi in qualche loco: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=1245#lastpost
 
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Terza.

3

Sua Maestà Catressia, regina di Ruby per grazia del Cielo e per volere degli uomini, era una bellissima donna matura, di quelle fortunate creature cui gli anni che passano donano fascino; era stata la migliore amica della regina di Fleed, ed Actarus ne aveva un ricordo colmo d’affetto. Poterle parlare, potersi consigliare con lei era un po’ come riavere una parte della sua vita d’un tempo; da quando era divenuto re di Fleed, il giovane aveva riallacciato più che volentieri quel legame, e la donna era stata ben felice di relazionarsi con i figli della sua indimenticata amica. Affettuosa e materna, aveva preso subito a cuore quei due ragazzi impegnati in un compito davvero enorme, riportare Fleed ad essere quel che era stato. Maria in particolare le aveva destato qualche preoccupazione, l’aveva sempre vista così seria, così fragile… che non fosse felice, le era da subito parso ovvio, e l’aveva fatto notare più volte ad Actarus. Quella ragazzina si sentiva sbagliata, qualcosa in lei non andava, era evidente… una simpatia per un giovane terrestre, certo, capiva. Però secondo lei il disagio di Maria aveva radici ben più profonde.
L’infelicità di Maria era divenuta una sorta di chiodo fisso, per lei; fu per quello che, quando il giovane la contattò per comunicarle le ultime novità, Sua Maestà perse subito la regale compostezza: – Tua sorella sposa chi?
Actarus si schiarì la voce: – Zuril. Il re di Vega.
– Devi essere impazzito! Come puoi fare una cosa simile a tua sorella…!
– Veramente – obiettò Actarus – è stata Maria a volerlo.
– E tu come puoi permetterglielo?
– In effetti, io non avrei mai…
– Ma è assurdo! Sposare quel… un veghiano! Pazienza che si tratti di un uomo che potrebbe essere suo padre e che sia orrendo; ma è un veghiano! Duke, hai dimenticato che razza di gente sia?
– No – rispose Actarus – Non credere che io non abbia detto a Maria quello che tu stai dicendo a me. L’unica cosa a favore è il fatto che Zuril lo conosco bene, e so che è di tutt’altra pasta rispetto a Yabarn.
– Non ne dubito! Ma è pur sempre un veghiano!
– Catressia, esistono brave persone anche tra i veghiani – le ricordò il giovane.
– Ma per piacere…!
– Rubina – disse Actarus; e la regina ammutolì. Tra i tanti pianeti conquistati e sfruttati da Yabarn, Ruby, con le sue enormi ricchezze minerarie, era stato il mondo che aveva subito il destino peggiore, le repressioni più feroci, le stragi più efferate. Rubina era stata inviata dal padre proprio per mantenere l’ordine; la principessa però si era rivelata ben diversa dal padre, e gli abitanti stessi di Ruby sapevano che si era prodigata per rendere meno spietato il ferreo controllo esercitato da Vega. Non fosse stato per lei, che pure aveva avuto ben poca libertà d’azione, le cose su Ruby sarebbero andate molto peggio. Lei stessa, Catressia, era stata salvata dalla morte proprio grazie a Rubina, che Dio sa come aveva convinto il padre a risparmiarla. Su Ruby, il ricordo della principessa di Vega morta per la pace era ancora ben vivo.
– Resta pur sempre un uomo molto più vecchio di lei, ed è pure orribile – osservò Catressia, per nulla convinta – Quella bambina vuole rovinarsi!
– Lo so – rispose lui, cupo.


Una delle prime cose che Zuril fece non appena fu tornato su Moru, fu convocare il suo staff per comunicare loro la notizia.
Il consiglio era molto ristretto: oltre a Zuril stesso comprendeva Hydargos in qualità di capo dell’esercito, lady Gandal cui erano stati affidati compiti da ministro dell’Interno, la dottoressa Koyra come responsabile medico e Bran, l’uomo che per anni era stato l’ingegnere a capo della sezione costruzioni, e che ora si occupava di qualsiasi problema tecnico riguardante il reperimento e l’utilizzo dei materiali di costruzione.
Tutti i presenti avevano più o meno vagamente intuito che ci fosse qualcosa di grosso nell’aria; quanto a Zuril, non si perse certo in preamboli.
– Mi è stato proposto di sposare la principessa Maria, sorella di Duke Fleed – cominciò, e la sua voce non tradiva alcuna emozione – Questo matrimonio potrà cementare l’alleanza che già esiste tra noi e Fleed. Ho accettato.
Vedere le facce allibite del suo staff fu un vero spettacolo per Zuril.
– Avete ragione ad essere stupiti – aggiunse – Io per primo fatico ancora a crederci.
– Vuoi dire che sposerai Maria? – esclamò lady Gandal, la prima a riprendersi – Ma se lei non può nemmeno sopportare la vicinanza di uno di noi…!
– È vero! – intervenne Hydargos – L’ultima volta in cui ci siamo incontrati, ci guardava come rettili velenosi. Non dirmi che ha cambiato modo di pensare!
– Non te lo dico, infatti – rispose Zuril – Però anche lei vuole la pace. L’idea è partita proprio da lei.
– Stai dicendo che non può sopportare noi di Vega, ma vuole sposarti? – chiese Koyra, che amava essere precisa.
– Proprio così – Zuril passò con lo sguardo su ognuno di loro – Naturalmente, questo fatto deve restare tra di noi. Agli altri diremo semplicemente che Maria ed io ci sposiamo: non occorrerà entrare in particolari, ci limiteremo a rimarcare il fatto che l’alleanza con Fleed ne sarà rinforzata.
– Non pensi che Maria abbia altri fini? – chiese lady Gandal.
– Altri fini? – Zuril scosse la testa – Quali? Un marito giovane, bello e affascinante? Una posizione sociale invidiabile? Una bella vita comoda e lussuosa? Se avesse voluto queste cose, non avrebbe certo scelto me, ti pare?
– Spionaggio – sillabò lady Gandal – Magari lei terrà informato suo fratello su di noi, i nostri progetti, i nostri armamenti…
– I nostri armamenti? – Zuril sorrise – Allora avrà ben poco da riferire a suo fratello, ti sembra? …No, Maria è sincera, e il suo scopo è valido. Non sarà facile per lei vivere tra di noi: vi chiedo di aiutarla, per come vi sarà possibile. È molto giovane; se dovesse commettere sciocchezze, sarà nostro compito coprirle. Non voglio che la gente la prenda in antipatia: se accadesse, avremmo ottenuto lo scopo opposto di quello che ci siamo prefissi. Non credo proprio che Duke Fleed resterebbe in buoni rapporti con chi ha maltrattato sua sorella.
– E noi abbiamo bisogno di lui, già – ringhiò Hydargos – Se solo avessimo ancora almeno una parte della nostra flotta stellare…
– Non l’abbiamo, per cui Goldrake è la nostra unica difesa contro i nemici – tagliò corto Zuril – Tutto quel che ci è rimasto è la grande Ammiraglia, qualche flottiglia di minidischi e svariate navette di uso civile. Ricordiamoci bene questo: c’è una fila intera di popolazioni che ha conti in sospeso con noi, e noi non possiamo assolutamente difenderci. Basterebbe solo un attacco da uno dei nostri nemici più agguerriti… Ruby, Upuaut, Galar, tanto per fare i primi nomi che mi vengono in mente… e noi saremmo finiti. Estinti.
Quattro teste si chinarono in segno d’assenso. Era una verità sgradevole, ma era appunto la verità.
Zuril aveva ragione, quel matrimonio era una vera fortuna.
Lady Gandal prese la parola per tutti: – Faremo del nostro meglio, Sire.
Era sempre così, anche se Zuril ancora non vi si era abituato: in privato, i suoi ex colleghi gli davano ancora del tu, ma in pubblico, o quando l’occasione lo richiedeva, ci si ricordava che lui era il sovrano e si usavano le forme di rispetto. Il fatto che lady Gandal si fosse rivolta a lui come al re indicava il suo impegno nei confronti di Maria.
Zuril sciolse la riunione; mentre Hydargos si precipitava a casa per dare la notizia a Naida, e Koyra usciva di corsa per tornare ai suoi malati, Bran si avvicinò titubante a Zuril, l’apprensione dipinta sul suo largo viso onesto.
– Signore, siete sicuro di quel che state facendo? Sposare una donna che non vi può soffrire…
– Sei preoccupato per me? – Zuril gli batté su una spalla – Non posso dire che l’idea mi entusiasmi, però questo matrimonio ci serve.
– Ma… Sì, signore. Avete ragione.
Per tanti anni avevano lavorato assieme, Zuril alla progettazione e lui all’esecuzione: insieme, avevano creato mezzi, mostri ed armi, e si erano sempre capiti al volo. Anche quella volta, pur sentendosi in pena per il suo signore, Bran dovette dargli ragione.
Si allontanò in silenzio, visibilmente preoccupato. Zuril lo seguì con lo sguardo: Bran era uno di quegli uomini fidatissimi che anche dopo anni di lavoro assieme non riescono a superare certe barriere. Per quanto lui gli avesse più volte detto di dargli del tu, almeno in privato, Bran l’aveva sempre considerato il suo superiore, e non vi era mai riuscito.
Nella sala di riunioni erano ormai rimasti solo lui e lady Gandal, che perspicace com’era aveva compreso che lui volesse parlarle in privato. Alle volte, Zuril aveva l’impressione che lei fosse dotata di poteri medianici, tanta era la sua capacità di intuire al volo.
– Devi dirmi qualcosa – quella di lei era un’affermazione.
– Sì – Zuril tornò a sedersi.
Per un attimo, cadde un certo silenzio. Zuril e lady Gandal si erano sempre compresi alla perfezione: contrariamente a Gandal, che era stato un uomo quadrato ed impulsivo, lei aveva una mente fredda e razionale, molto simile all’intelligenza logica di Zuril. Tra di loro non vi erano mai state rivalità, se mai stima e rispetto reciproci. Tante volte Zuril si era chiesto se… aveva avuto l’impressione… insomma, non gli era stato facile informarla del suo matrimonio; per quanto lady Gandal fosse rimasta impassibile, lui sapeva che in realtà non era così.
Lei lo guardò, e i suoi occhi obliqui parvero trapassarlo: – Stai per dirmi che ti dispiace?
– Non ti direi mai una cosa così banale.
Lady Gandal annuì: era troppo orgogliosa per accettare la pietà altrui.
– Ti sposi – ripeté.
– Sì.
Lei alzò il mento: – La cerimonia avverrà su Fleed?
– Sarà secondo il nostro rito.
– Così potrai sciogliere il matrimonio in qualunque momento. Molto pratico.
– Può anche darsi che il matrimonio non venga mai sciolto – fece notare lui.
– Naturale. Allora?
Zuril prese fiato: – Tra di noi, sei la persona con più pratica delle nostre leggi.
– Vuoi che ti prepari il contratto, ho capito.
– Grazie.
– Consideralo fatto – lei esitò un istante: – Chi si occuperà di farvi sposare? Hai un’idea?
– Saresti la più indicata, ma se non vuoi…
Lei si allungò contro lo schienale della sua poltrona: – Figurati se mi perdo l’occasione di cacciarti nel più grosso guaio della tua vita.
Finalmente, lui rispose al suo sorriso: – Non sapevo come chiedertelo. Grazie.
Rimasta sola, lady Gandal strinse gli occhi, facendosi pensierosa.
Fino a poco tempo prima era rimasta completamente legata a Gandal, e dopo la sua morte si era detta… aveva pensato… insomma, anche Zuril era libero… ma naturalmente, erano tutte sciocchezze.
Guardò la sua figura riflessa nel vetro della finestra: vide una donna alta due metri, dai corti capelli rossi, gli occhi obliqui e il fisico maschile.
No, certi pensieri era meglio nemmeno farseli.
Ci sono cose che non possono accadere, si disse; quindi alzò orgogliosamente il mento, chiuse la sala e si allontanò a grandi passi, il mantello che le svolazzava dietro alle spalle.


Io per primo non riesco a crederci.
Zuril sedette sul suo letto, un’immagine di Shaya tra le mani.
Rimase a contemplare quel viso amatissimo, quegli occhi buoni ed intelligenti, quel sorriso lieve di persona discreta ma dotata di grande umorismo.
Lui e Shaya si erano capiti sempre al volo, erano stati colleghi, complici e grandi amici, oltre che amanti: mai avrebbe pensato di rimpiazzare sua moglie… come se fosse stato possibile, poi!
Ripensò ancora una volta a Maria, confrontandola mentalmente con quanto aveva perduto: era solo una ragazzina, una semplice ragazzina… e per di più, provava per lui un autentico orrore. Fantastico.
Improvvisamente, gli tornò in mente il ricordo di una delle sere che aveva trascorso sulla Terra: gli parve di sentire ancora gli accordi della chitarra di Actarus, il frinire dei grilli, e poi… Venusia…
Lei sarebbe stata un’altra faccenda, naturalmente. Era sicuro che avrebbero potuto trovare una buona intesa, le premesse c’erano tutte. Mentre Maria…
Una sciocchina isterica, ecco chi sarebbe stata sua moglie.
No, non c’era assolutamente paragone con la sua Shaya.
Lo faccio solo per il bene di Vega, lo capisci, vero?
Naturalmente, il viso di Shaya era rimasto immutato, il sorriso non era cambiato; eppure, ebbe la netta sensazione che lei lo stesse guardando in una certa maniera… divertito compatimento?
Zuril sentì una vaga irritazione: tante volte lei l’aveva bonariamente preso in giro. Era stata la moglie di uno scienziato geniale, un uomo di grandissima cultura ed intelligenza, lei per prima l’aveva saputo e come tale l’aveva stimato e rispettato; eppure, spessissimo l’aveva trattato come un sempliciotto qualsiasi.
Succedeva in genere quando si doveva discutere di qualcosa che riguardava i sentimenti; lui aveva sempre avuto molta difficoltà a comprendere le emozioni, sue o altrui, e Shaya glielo faceva regolarmente notare. Era successo infinite volte – e regolarmente, lei aveva sempre avuto ragione.
Non stavolta, pensò Zuril. Lo faccio davvero per il bene di Vega. Non c’è nessun altro motivo. Non mi credi?
Shaya ovviamente non rispose; ma Zuril fu più che sicuro che lei stesse intimamente ridendo per qualcosa che lui non era in grado di comprendere.


L’incredibile notizia si diffuse immediatamente, e l’organizzazione delle nozze coinvolse i due popoli che subito entrarono in fermento. Zuril voleva concludere rapidamente l’affare, Maria non voleva avere il tempo di ripensarci, entrambi desideravano una cerimonia semplice e sobria.
Maria si disinteressò subito ai preparativi: non le importava nulla di niente, le andava bene tutto purché si facesse in fretta. Ad accollarsi il grosso del lavoro fu Yaret, la donna cui Actarus aveva affidato l’andamento generale della reggia. Fu lei, col consueto senso pratico, a dare disposizioni per la cerimonia e il successivo rinfresco, lei a decidere le decorazioni, lei a far presente a Maria che una sposa doveva avere un vestito adatto.
Finché era vissuta sulla Terra e aveva coltivato sogni romantici, Maria aveva fantasticato sui meravigliosi vestiti bianchi che aveva spesso visto nei film americani; alle volte – e ora si dava della sciocca ed arrossiva al solo pensarlo – aveva immaginato sé stessa avvolta in una nuvola di raso e tulle candido, mentre Alcor la guardava con tanto d’occhi.
Ora che il matrimonio era divenuto per lei una realtà concreta ed incombente, il pensiero del vestito l’infastidiva addirittura. Avrebbe dovuto sposare un veghiano, non il suo vero amore! Il suo bel sogno si era irrimediabilmente spezzato… che le sarebbe importato dell’abito?
Actarus tentò inutilmente di farla ragionare, lei sembrava essersi incaponita su quel punto. Tutto quello che lui ottenne fu di farla infuriare: in lacrime, Maria assicurò che si sarebbe presentata alla cerimonia con addosso la sua tuta rossa e gialla da combattimento.
A quel punto il giovane, disperato, cedette le armi.
Ancora una volta fu Yaret a salvare la situazione con il consueto buon senso: certo, non sarebbe stato un matrimonio d’amore, questo lo si sapeva benissimo. Però presentarsi con un vestito di tutti i giorni, addirittura in tuta, sarebbe stato gravemente offensivo nei confronti di Zuril, che avrebbe avuto il sacrosanto diritto di risentirsi, e molto. Ora, iniziare la vita a due facendo infuriare il marito non sembrava proprio una buona idea…
Maria impallidì al solo pensiero: aveva un autentico terrore di quel che sarebbe stato di lei dopo la cerimonia, l’idea di trovarsi sola con Zuril l’agghiacciava… se poi lui fosse anche stato in collera…! Acconsentì subito a farsi fare un vestito da sposa, e con Yaret prese ad esaminare i tessuti preziosi che la regina di Dera aveva inviato ad Actarus come dono per la sua incoronazione.
La scelta cadde su una seta color ghiaccio, luminosissima e iridescente; il modello, molto semplice, venne deciso immediatamente e l’abito fu posto subito in lavorazione.
Proprio il tessuto per il vestito fece venire in mente un’idea ad Actarus: finalmente aveva trovato cosa donare alla sorella per il suo matrimonio.
Quando era stato incoronato Re di Fleed, aveva ricevuto numerosi regali provenienti dai vari pianeti che da sempre erano stati in amicizia con il suo popolo. Uno dei doni più belli e preziosi proveniva da Ruby, il pianeta che Vega aveva sfruttato all’inverosimile per le sue enormi risorse minerarie. Catressia non aveva certo badato a spese, in quell’occasione.
Chiuso nella sua stanza, Actarus trasse da un mobile un astuccio, e lo aprì: si trattava di minyal, diamanti color acquamarina, pietre rare che sulla Terra non aveva mai visto. Erano dodici, grandi, di colore intenso e assolutamente perfette, un vero dono degno di una regina.
Actarus carezzò lievemente con un dito una delle pietre, che subito sfavillò alla luce: erano meravigliose, e avevano il colore degli occhi di Maria. Sarebbero state il suo dono di nozze.

- continua -

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E quattro! La fausta cerimonia s'avanza.

Su una giustissima osservazione di Joe, aggiungo una nota sui pianeti che vengono citati in questo racconto, e che avranno un'importanza notevole man mano che la storia procederà.

Ruby: è il pianeta di Mineo, quello sottoposto all'autorità di Rubina.
Dera: il pianeta di Haruck, il comandante di Vega che amava i colombi.
Zuul: il pianeta d'origine di Zuril.
Galar: nell'episodio 71, secondo la traduzione italiana, Markus stava combattendo in questo sistema prima di partire col suo mostro in direzione Skarmoon.
Upuaut: sarebbe il pianeta di Gauss, tradotto in italiano con un banalissimo Stella Lupo. Upuaut è il nome del dio lupo egizio della guerra e della morte.



4

In quel periodo, le comunicazioni tra Fleed e Moru s’infittirono non poco: oltre ai già consueti contatti tra i due regnanti, ci furono le comunicazioni tra lady Gandal, incaricata di sovrintendere i preparativi di Vega per la cerimonia, e Yaret, che aveva il medesimo compito per Fleed. Maria avrebbe voluto restare estranea a tutto questo, ma Zuril aveva preso l’abitudine di contattarla, informandosi su come stesse, chiedendole come andassero i preparativi e riferendole quel che veniva fatto su Moru: era un atto garbato da parte sua, ma di cui la giovane futura sposa avrebbe tanto volentieri fatto a meno.
– Già dovrò sposarlo, non potrebbe lasciarmi in pace, fino ad allora? – si sfogò con Yaret.
– È gentile, se non si facesse mai vivo sarebbe una grave mancanza nei tuoi confronti – rispose la donna, risentita.
– Appunto, questo è l’ultimo periodo di libertà che mi resta, se lui continua a seccarmi…
Yaret a quel punto perse la pazienza: – Guarda che sei stata TU a metterti in questa situazione, non è certo stato lui a costringerti! Se proprio ti fa così tanto orrore, avresti potuto evitare di dare il via a tutto.
– Ma tu non capisci! – Maria sentiva le lacrime bruciarle gli occhi, ormai – È per la pace…
– Un sublime sacrificio, vero? – sbuffò Yaret – Sai che ti dico? Che visto il tuo entusiasmo, chi mi fa davvero pena è proprio Zuril, che si ritroverà una moglie che non può soffrirlo.
– No, lui non lo saprà mai – rispose Maria – Non deve nemmeno immaginarlo.
A questo punto, Yaret scoppiò a ridere: – Immaginarlo? Ma lo sa già perfettamente!
– Ma no! – esclamò Maria – Io non gliel’ho detto, io…
– Non occorre – tagliò corto Yaret – Fidati se ti dico che sa benissimo di farti orrore. Puoi aver frastornato di chiacchiere tuo fratello, ma non certo Zuril. È proprio per questo che cerca di parlarti, vuole che tu capisca che non è poi un mostro.
Ferita, Maria preferì tacere. Invece di comprenderla e consolarla, Yaret sembrava dalla parte di Zuril… possibile che nemmeno lei capisse quanto le costasse sacrificarsi per la pace?
– In ogni caso – concluse Yaret, sapendo di star per toccare il tasto giusto – lui è gentile, e tu faresti bene ad esserlo altrettanto. Non vorrai offenderlo, spero bene.
Maria impallidì: i veghiani erano notoriamente vendicativi, sarebbe stato folle inimicarsi da subito il suo futuro marito!
Fu così che la volta successiva in cui Zuril si mise in contatto con lei, Maria si sforzò di mostrarsi un poco più espansiva: non poteva certo simulare un entusiasmo che non provava, e che lui avrebbe sentito subito falso, ma almeno poteva mostrarsi un poco più amabile.


Se su Fleed i preparativi fervevano, su Moru regnava lo stesso fermento: l’idea di avere finalmente una regina, dopo troppo tempo in cui erano rimasti senza una sovrana, aveva entusiasmato tutti. In più la nuova regina avrebbe garantito l’alleanza con Fleed, con gran gioia dei veghiani, che sapevano benissimo di essere praticamente indifesi.
Il grattacapo del vestiario si presentò anche a Zuril, ma con problematiche ben diverse da quelle di Maria.
Era a dir poco ovvio che avrebbe dovuto presentarsi con abiti sfarzosi adatti all’occasione, il che significava che avrebbe dovuto indossare mantello e corona, una cosa che detestava.
Ora, proprio mantello e corona rappresentavano il problema: perché vedendolo abbigliato a quel modo, tutti avrebbero istintivamente pensato a Yabarn, e questo non era affatto quel che lui voleva. Fin dall’inizio, aveva messo ben in chiaro di essere un sovrano radicalmente opposto a ciò che Yabarn era stato: e allora…?
Non c’era che una soluzione: cambiare.
La corona per forza di cose avrebbe dovuto essere la stessa: una sola era la corona di Vega, non era possibile usarne un’altra. Ma per il mantello color porpora, qualcosa poteva essere fatto.
Scartato il viola, e passati in rassegna gli altri colori adatti ad un sovrano, la scelta di Zuril cadde su un tono scuro di blu marino; eliminata anche l’idea di indossare la sua vecchia casacca gialla, che in fondo altro non era stata che la sua uniforme di ministro delle Scienze, Zuril decise anche per dei nuovi abiti, della stessa sfumatura del blu del mantello, ma di un tono più chiaro. Come unico ornamento, avrebbe appuntato sul petto una semplice spilla d’oro rappresentante la stella a quattro punte della Casa Reale di Vega.
Liquidati con un certo sollievo i problemi relativi al suo vestiario, Zuril si dedicò a preparativi di genere diverso.
Innanzitutto, guardò con occhio critico la sua abitazione: era ordinatissima e pulita, ovviamente, ma fredda e impersonale. Beh, a dare un tocco di femminilità avrebbe senz’altro pensato Maria… ammesso che la cosa l’interessasse.
A dire il vero, non aveva un’alta opinione di lei: era più che certo che fosse una pessima padrona di casa, e in più era giovanissima, una ragazzina nervosa, impulsiva ed emotiva. La convivenza sarebbe stata dura. Ancora una volta si trovò a pensare che se si fosse trattato invece di Venusia, sicuramente avrebbero avuto modo di capirsi meglio, di trovare un punto d’incontro; ma con Maria…
Sarà già un buon risultato se riusciremo a sopportarci per un poco di tempo, si disse Zuril, che non era certo uomo da farsi illusioni.
Passò nella sua camera da letto: era ampia e luminosa, e le sue finestre davano sul giardino. Osservò poi le altre stanze e ne scelse una più piccola, da cui si poteva vedere il mare.
Il computer oculare s’attivò, trasmettendo l’ordine a Unità Uno, il robodomestico incaricato delle pulizie e della sistemazione della casa: tutti gli effetti personali di Zuril dovevano venire trasferiti. La stanza grande sarebbe stata destinata alla regina.



Se Actarus aveva desiderato che la cerimonia avvenisse sul suo pianeta, Zuril non aveva voluto però che l’intero ricevimento fosse a suo carico.
Il sovrano di Vega inviò quindi su Fleed alcuni tecnici, svariati robodomestici e una considerevole quantità di vivande, come suo personale contributo. A capo di quel piccolo gruppo di veghiani giunse anche lady Gandal, che aveva portato con sé una copia del contratto nuziale perché Maria, o forse è meglio dire Actarus, visto lo scarsissimo interesse di lei per i preparativi, potesse leggerlo ed eventualmente discuterlo.
Maria provava un autentico orrore per lady Gandal: il ricordo di quando aveva tentato d’ingannarla facendole credere che suo padre era ancora vivo la faceva inorridire. Dichiarò di non voler avere a che fare in nessun modo con quella donna: certo, sarebbe stata lei ad ufficiare le nozze, ma questo non significava che lei, Maria, avrebbe dovuto sopportarne la presenza più del necessario.
Fu un Actarus piuttosto teso quello che si dispose quindi alla lettura del contratto: con sua gran sorpresa, il giovane lo trovò equo e molto chiaro. Lo sottopose ai suoi principali collaboratori, il suo primo ministro Skander e Yaret per primi: nessuno vi trovò nulla da eccepire, a parte qualche sciocchezza di genere formale.
– Non meravigliatevi troppo, Maestà – osservò Skander, col consueto buon senso – La gente di Vega dev’essere veramente disperata, e sa di aver bisogno del nostro aiuto. Trovo normale che si mostrino così concilianti.
Actarus dovette assentire: doveva essere proprio così. L’unica alternativa possibile a quell’ipotesi era il fatto che i veghiani volessero fingere di mostrarsi concilianti per tendergli un tranello; però era sicuro che non fossero assolutamente in grado di preparare una trappola, erano troppo malridotti. A malapena avevano di che vivere.
E poi si fidava di Zuril.
Portò il contratto a Maria perché ne prendesse visione, ma lei rifiutò con un gesto: – Se dici che per te va bene, allora va bene anche per me.
Fu quindi un Actarus un po’ sconcertato quello che restituì il contratto a lady Gandal dichiarando che secondo lui era tutto in ordine; corresse un paio d’imperfezioni, tanto per dire la sua, ma lasciò stare il corpo principale della scrittura. Lady Gandal s’inchinò dichiarando con voce neutra di essere lieta che il suo lavoro fosse stato apprezzato, e poi andò a dare la notizia a Zuril.
Nei giorni successivi, lady Gandal fu impegnatissima a controllare con Yaret che ogni cosa fosse in ordine; quindi chiese di essere ricevuta dalla principessa Maria, perché doveva istruirla circa la cerimonia secondo l’uso di Vega.
Maria avrebbe voluto evitare d’aver a che fare proprio con quella donna che le aveva lasciato dei ricordi così angosciosi, e sulle prime fu sul punto di impuntarsi; poi il buon senso prevalse. Quando fosse andata su Moru, avrebbe dovuto incontrare spesso lady Gandal, era una delle principali collaboratrici del suo futuro marito. Tanto valeva cominciare ad abituarsi fin da subito.
La ricevette e l’ascoltò mostrandosi nel complesso gentile, anche se in realtà dentro di sé ribolliva e provava solo il desiderio di scappare via, lontano… ma erano tutti pensieri assurdi, e lei per prima lo sapeva.
Era il suo destino, e l’aveva scelto lei.
Era una principessa, aveva obblighi, responsabilità, doveri.
Pensare di poter essere felice era un’assurdità: come regina, la gioia era un lusso che non avrebbe mai potuto permettersi.


Il matrimonio era ormai imminente.
Era stato deciso di comune accordo che gli ospiti di Vega si sarebbero recati su Fleed il giorno precedente le nozze, avrebbero assistito alla cerimonia e partecipato al successivo ricevimento e sarebbero ripartiti subito dopo: questo, sia per non gravare troppo sui fleediani sia perché i rapporti tra i due mondi non erano tali da permettere una lunga convivenza. Oltretutto, Zuril si premurò di comunicare a Maria di dover sostenere una gran mole di lavoro, e che quindi non gli sarebbe stato possibile prendersi un lungo periodo di riposo, non per il momento. Era comunque sicuro che per lei questa non fosse una cattiva notizia – e Maria, che tutto avrebbe voluto tranne che trovarsi da sola col marito, rispose calorosamente che per lei non c’erano problemi, capiva benissimo.
Almeno, pensò con una certa soddisfazione, se lui ha tanto da fare non sarò costretta a viverci troppo assieme.


C’è una sorta di legge non scritta per i giorni attesi: dapprima sembrano lontani un’eternità, e poi piombano addosso all’improvviso, quasi fossero inaspettati.
Avvenne così anche quella volta, ma per fortuna ogni cosa era stata preparata, tutto era stato stabilito e, a meno di un incidente imprevisto, nulla avrebbe dovuto andare storto.
Come da accordi, Zuril si trasferì su Fleed il giorno prima delle nozze, assieme al suo seguito: lasciò il governo nelle capaci mani di Bran, s’imbarcò sulla sua navetta e la pilotò personalmente: guidare lo rilassava parecchio e lui ne aveva bisogno, perché, anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, quelle nozze l’agitavano, e non poco.
Un’altra nave, al comando di Hydargos, condusse gli altri invitati su Fleed, dove furono accolti da Actarus in persona; Zuril trovò ad attenderlo Maria, assieme a Yaret, alcune altre donne che non conosceva e lady Gandal. L’incontro tra i due sposi fu molto cordiale, quantomeno da parte di lui; Maria si sforzava di essere gentile e di non mostrare l’angoscia che la divorava, e allo stesso tempo mandava grati pensieri al fatto che i veghiani, molto riservati per natura, fossero poco propensi ad effusioni in pubblico.
Era sicura che se Zuril avesse provato a darle un bacio, lei si sarebbe messa ad urlare.
Quella sera fu servita una cena piuttosto semplice, anche se composta di ottimi piatti: l’indomani sarebbe stata una giornata importante, per cui ci si ritirò presto nelle rispettive stanze.
Quella notte, furono in parecchi a non riuscire a chiudere occhio: da Actarus, tormentato all’idea del sacrificio di sua sorella, a Zuril, che presentiva di starsi accollando un problema non da poco, a Maria, terrorizzata dal fatto che quella era l’ultima notte che avrebbe trascorso da sola, e che l’indomani…! Non ci voleva pensare, eppure non riusciva a fare altro.
Se solo avesse avuto un minimo d’esperienza, magari avrebbe potuto affrontare il suo destino con meno timore; ma non era così, e mai come in quel momento Maria si stava pentendo del comportamento che aveva scelto di tenere in passato.
Aveva amato Alcor, e tutt’ora non l’aveva certo dimenticato: era stato grazie a lui, alla sua allegria e al suo ottimismo che lei, dopo aver perso la sua casa e l’uomo che aveva amato come un nonno, aveva ritrovato il sorriso. Era stato lui a consolarla dopo la morte di Kein, lui a starle accanto quando era stata indotta a credere che suo padre fosse ancora vivo, lui a trovare le parole giuste quando lei aveva scoperto che si era trattato di un orribile inganno.
Anche per Alcor, di questo Maria era certissima, si era trattato di una storia importante: estroverso com’era, il giovane aveva tentato più volte di dichiararle i suoi sentimenti. Era stata lei a tagliar corto, lei a interromperlo con una battuta, lei a non voler sentire, lei ad ignorare l’aria delusa di lui ogni volta che l’aveva zittito.
Del resto, per quanto lei, Maria, in battaglia fosse stata coraggiosa fino all’incoscienza, nel campo dei sentimenti si era sempre sentita fragilissima ed insicura. Non aveva mai avuto problemi ad affrontare dei nemici mortali; un ragazzo innamorato era stato per lei qualcosa d’insostenibile. Aveva rifiutato i suoi approcci, aveva accettato al massimo qualche bacio, molto casto del resto; ora, avrebbe dovuto sopportare che un veghiano, un nemico, si prendesse quello che non aveva voluto concedere al ragazzo che aveva amato.
Maria sentì l’angoscia premerle il petto come in una morsa. Abbracciò il cuscino, vi affondò il viso e come già aveva fatto nelle notti precedenti pianse tutte le sue lacrime.


- continua -


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Finalmente le sospirate (???) nozze...


5

Era ancora presto, quando Yaret entrò nella stanza di Maria per destarla. Per quanto fosse assonnata, visto che l’agitazione le aveva impedito di addormentarsi presto, la giovane fu subito ben sveglia: il giorno che tanto aveva temuto era ormai arrivato.
In preda a foschi pensieri, agghiacciata dalla paura, Maria s’alzò docilmente, andò a farsi una doccia veloce e si lasciò pettinare da Yaret, che le spazzolò i capelli fino a farli brillare. Al matrimonio sarebbe seguita subito la cerimonia dell’incoronazione di Maria come Regina di Vega, per cui, come aveva consigliato caldamente lady Gandal, era necessario evitare acconciature complicate che prevedessero i capelli raccolti. Maria poi aveva voluto restare sul semplice: niente velo, nemmeno puntarsi in testa un fiore, da togliere eventualmente al momento dell’incoronazione, come le aveva suggerito Yaret. La donna si limitò quindi a pettinarle i capelli regolandone con cura le punte; quindi Koure, una giovane che ancora prima della guerra contro Vega era stata estetista, stese un fondotinta chiaro sul viso della giovane sposa.
Maria aveva insistito molto perché il trucco fosse leggero, al limite dell’invisibile; con pochi abili colpi di pennello Koure le diede un tocco di rosa sulle guance pallide. Sempre con molta discrezione sottolineò le ciglia, completando il trucco con un rossetto di un rosa appena più vivo del naturale e, unica libertà che la giovane estetista si concesse, uno spruzzo di ombretto azzurro ghiaccio sull’angolo degli occhi. Quando si vide allo specchio Maria aprì subito la bocca per protestare, ma rinunciò subito a farlo: Koure sera stata abilissima, e quel tocco d’azzurro era semplicemente perfetto.
Aiutata dalle due donne, Maria infilò il vestito da sposa; Yaret glielo allacciò sulla schiena, mentre Koure le agganciava la collana con i dodici minyal azzurri, il dono di Actarus. Yaret le spazzolò ancora una volta i capelli, disponendoglieli con cura sulle spalle. Quando infine Maria poté guardarsi allo specchio, rimase senza fiato: abituata a vedersi in tuta da combattimento, o in jeans e maglietta, senza trucco e con i capelli arruffati, faticava a riconoscersi nella splendida sposa che la fissava con grandi occhi spaventati.
– Siete bellissima, Altezza – esclamò Koure, convinta. Yaret, che da quando era tornata su Fleed si era molto affezionata ai due principi, quasi fossero figli suoi, annuì, la gola stretta dall’emozione.
Maria non riuscì ad aprire bocca. Non era certo vanitosa, ma vedeva da sé di essere meravigliosa, una vera principessa delle fiabe che sta per sposare il suo re… peccato che il suo promesso sposo non fosse per nulla simile al Principe Azzurro.
Sentì il cuore serrarlesi dall’angoscia: l’idea di Zuril, quel mostro orrendo che stava per acquisire ogni diritto su di lei, le fece venire le lacrime agli occhi.
Poi, improvviso, le venne a tradimento il pensiero che Alcor non l’avrebbe mai vista così, con il vestito da sposa… non avrebbe mai saputo quanto lei potesse essere bella…
– No, Altezza! – esclamò Koure, tamponandole le lacrime con un fazzolettino di carta – Non dovete piangere adesso… non vorrete rovinarvi il trucco!


Non era stato difficile scegliere il luogo in cui officiare la cerimonia: il parco della reggia di Fleed era stato deturpato dai bombardamenti, tranne in un punto, una sorta di piccolo promontorio sul lago cui si accedeva attraverso un viale bordato di cespugli. Le piante rovinate erano state sostituite da fiori in vaso, le devastazioni peggiori erano state mascherate con fasci di rami fioriti e drappeggi di tessuto candido. Era primavera, l’erba stava spuntando e i cespugli della bordura avevano i rami spogli e contorti, ma coperti di fiori rosa.
Proprio sul promontorio era stato allestito un palco addobbato con quel che era stato possibile procurare: piante in vaso e ciuffi di velo chiaro. Come sfondo, c’era la vista sul lago, che nonostante tutto rimaneva incantevole.
Davanti al palco erano disposte file e file di sedie per gli ospiti: ancora una volta si trattava di quel che era stato possibile procurare, per cui si potevano vedere seggiole di varia foggia alternate a poltroncine d’aspetto più antico, e persino qualche sedile di concezione ultramoderna. Era evidente che la comunità di Fleed aveva fatto di tutto per far bella figura: i veghiani, che se avessero dovuto organizzare il matrimonio sul loro mondo mai avrebbero potuto fare altrettanto data la povertà dei loro mezzi, trovarono che tutto era stato disposto nel migliore dei modi, e che la cornice in cui si sarebbe svolta la cerimonia era semplicemente oltre ogni loro aspettativa.
Le spalle avvolte in un elegante mantello d’un color scarlatto cupo, un paio di decorazioni puntate sul petto, lady Gandal salì sul palco in attesa degli sposi, che secondo il rito di Vega sarebbero giunti insieme. Actarus, splendente nella sua uniforme rossa e nera e con attorno al capo il sottile cerchio d’oro che indicava il suo altissimo rango, si pose accanto a lady Gandal, mentre gli ospiti prendevano posto. In prima fila sedeva la regina Catressia, elegantissima nella sua tunica in un morbido tessuto lilla chiaro, e accanto a lei sedevano Yaret, Koure e Skander. Dalla parte opposta, in prima fila aveva preso posto una donna alta e dall’aria efficiente, il viso verdastro incorniciato da corti capelli scuri, molto elegante nella sua uniforme severa: era Lauer, eletta governatore di Zuul. Accanto a lei sedevano Hydargos, Naida e la dottoressa Koyra, che aveva indossato un abito d’un raffinato color ametista, ma che come suo solito aveva i capelli arruffati come se vi avesse passato nervosamente più e più volte le mani.
In un angolo, un trio di musicisti si stava accordando: miracolosamente, la guerra aveva risparmiato i loro strumenti, e ora i tre erano divenuti l’elemento essenziale in qualsiasi occasione di festa. I veghiani li guardarono con un certo stupore: non erano abituati ad essere allietati dalla musica nel corso delle loro cerimonie, ma non fecero troppi commenti. Che i fleediani fossero gente strana, era ben risaputo.


Avvolta in un leggero mantello grigio argento, il viso protetto da un ampio cappuccio, Maria camminava come in trance, mentre Yaret e Koure la conducevano per vie traverse verso il luogo in cui si sarebbe svolta la cerimonia. La tradizione di Vega voleva che i due sposi giungessero assieme, e soprattutto che non fossero visti dagli invitati prima della cerimonia; Yaret aveva perciò concordato con Zuril un punto d’incontro nel parco, una zona in cui erano rimasti alcuni alberi e un’alta siepe che li avrebbero nascosti agli sguardi importuni, dove lui e Maria avrebbero atteso il momento giusto per fare il loro ingresso.
Ad ogni passo, Maria sentiva un gran gelo invaderla: ormai non avrebbe più potuto tirarsi indietro, e quel che era peggio, era stata lei, lei! a volere quel matrimonio. Ripensò disperatamente a tutte le obiezioni che le aveva mosso suo fratello: perché non l’aveva ascoltato, perché si era ostinata?
Ma ormai non c’era più nulla da fare, nulla…
– Ci siamo – bisbigliò Yaret, guidando Maria dietro un alto cespuglio di sempreverde.
Zuril era là, e le stava aspettando. D’istinto, Maria mosse un passo indietro, e Yaret le strinse la mano, ammonendola silenziosamente di non fare sciocchezze.
Maria alzò gli occhi sull’uomo che stava per diventare suo marito, abbassandoli subito, spaventata: con la corona di Vega in testa, avvolto nel suo mantello regale blu marino, Zuril le parve uno sconosciuto, altissimo e inquietante. Cos’avrebbe potuto fare, contro di lui? Perché aveva voluto sposarlo, perché…?
Rispose balbettando al saluto di lui, mentre Koure le calava il cappuccio sfilandole il mantello di dosso: rimase immobile, letteralmente gelata nel suo splendido vestito da sposa, mentre Zuril, stupefatto, l’ammirava in silenzio. Nemmeno lui s’era aspettato un simile risultato.
– Noi andiamo avanti – sussurrò Yaret a Zuril – Quando tutti saranno pronti, verrò a chiamarvi.
Aggiustò a Maria una ciocca di capelli, lisciò una piega della gonna, controllò ancora una volta che tutto fosse perfetto; poi, lei e Koure sparirono tra i cespugli, lasciando soli i due sposi.
Maria sembrava sul punto di svenire: era pallidissima, e un tremito violento la scuoteva da capo a piedi. Zuril, che non si era mai fatto illusioni circa quel matrimonio, ebbe l’ennesima conferma di quanto Maria fosse disgustata… meglio dire terrorizzata… da lui.
Non se la prese: lui per primo non si sarebbe mai aspettato niente di diverso. Maria era una ragazzina, ed era bella… bellissima, anzi… era logico che trovasse ripugnante diventar la moglie di un uomo non più giovane e decisamente poco affascinante come era lui. Si sarebbe stupito del contrario.
– Maria, va tutto bene – disse, rassicurante.
Lei batté le palpebre e parve ritornare alla coscienza: quella voce tranquilla, quelle parole gentili ebbero il potere di riscuoterla.
Però non era vero, non andava affatto tutto bene; si morse le labbra, guardandosi attorno come un animale in trappola.
– Siamo ancora in tempo – disse lui, serio – Se non te la senti, possiamo dire che abbiamo cambiato idea.
Incredula, lei osò finalmente guardarlo: appariva teso, certo, ma non stava scherzando. Era davvero disposto a lasciarla libera.
Fermare il matrimonio? Adesso? Ma… ma…
– Ti creerei dei problemi – fu tutto ciò che riuscì ad obiettare – Cosa diresti, alla tua gente?
Zuril drizzò orgogliosamente la testa, gettando indietro le spalle. – Sono il re. Non devo giustificazioni a nessuno.
Per un attimo, Maria si cullò con l’idea di annullare le nozze, riavere la sua libertà, affrancarsi dall’incubo di doversi concedere ad un uomo che non le piaceva affatto… ma fu un attimo, appunto.
Il senso del dovere prevalse, cacciando ogni tentazione, per quanto allettante; però Zuril era stato davvero disposto a lasciarla libera, e di questo lei gli fui grata: – Non ci ho ripensato. Davvero.
Un fruscio tra i cespugli, e Koure fece rapidamente capolino tra le foglie, prima di sparire di nuovo: – È tutto pronto!
Maria impallidì, vacillando; rapido, Zuril l’afferrò per un gomito, sostenendola. Lei alzò il mento, facendosi forza; quindi prese la mano che lui le stava porgendo. Era calda e ferma, per nulla spiacevole al tatto. Zuril le gettò uno sguardo incoraggiante; poi le offrì il braccio e si avviarono insieme già per il viale, lui apparentemente a suo agio e Maria che doveva trattenersi con tutta sé stessa per non mettersi a piangere.
Davanti a loro, i cespugli si aprirono come all’improvviso, rivelando le file di persone in piedi ad aspettarli; d’istinto Maria fece un passo indietro, e subito Zuril le strinse la mano, come se avesse voluto comunicarle una parte della propria forza. Lei rialzò il viso e lo seguì tra le due ali di folla: appariva singolarmente piccola e minuta, accanto all’alta figura di lui, e talmente raggelata nel suo vestito azzurro pallidissimo da far sì che i veghiani la battezzassero mentalmente la principessa di ghiaccio.
Se fino ad allora i tre musicisti avevano suonato brani vari di genere festoso, all’apparire degli sposi la musica cambiò completamente: con gran sorpresa di gran parte dei presenti, squillarono le note spavalde dell’inno imperiale di Vega.
Nonostante il suo autocontrollo, anche Zuril ebbe un moto di stupore; incrociò lo sguardo di Actarus, ed ebbe la sua risposta. Una cortesia da parte sua, avrebbe dovuto immaginarselo.
I due sposi salirono sul palco e si posero di fronte a lady Gandal, mentre risuonavano le note conclusive dell’inno. La musica cessò in un ultimo accordo trionfale, e la Comandante di Vega cominciò a declamare, la voce profonda totalmente inespressiva, la formula rituale del matrimonio, che sarebbe rimasto valido e indissolubile finché i due sposi non fossero stati separati dalla morte o dal divorzio – i veghiani erano troppo cinici per non considerare realisticamente quest’ipotesi.
Dopo aver ricordato, sempre in tono monocorde, i doveri che i due sposi assumevano reciprocamente, lady Gandal disse loro di darsi la mano e giurare il loro impegno verso loro stessi e verso la Corona di Vega.
La voce baritonale di Zuril rispose, scandendo chiaramente ogni parola.
Fu la volta di Maria, che nonostante sentisse mancarsi il fiato ad ogni parola riuscì a pronunciare per intero la formula.
Toccava ora alle rituali parole di congratulazione che lady Gandal doveva rivolgere agli sposi; Maria non ascoltò nemmeno, le sembrava di vivere in un mondo irreale. Le misero davanti il contratto nuziale, e Zuril dovette indicarle col dito i punti in cui avrebbe dovuto apporre la sua firma perché lei era troppo fuori di sé per capire: tutto quel che riusciva a pensare era che ormai era irrimediabilmente sposata a quel mostro, sovrano di un popolo di mostri.
Scambiò un’occhiata col fratello, che sembrava raggelato al fianco di lady Gandal, e lesse nei suoi occhi la sua stessa angoscia. Era stata pazza, pazza, pazza…!
Un gran silenzio seguì la pronuncia dell’impegno matrimoniale, e continuò a regnare anche mentre i due sposi apponevano le loro firme sul contratto nuziale: la cerimonia non era affatto finita, e tutti lo sapevano.
Come le aveva pazientemente insegnato lady Gandal, Maria si volse verso la folla, occhi bassi, capo chino e mani incrociate sul petto: stava per divenire regina, e come tale non doveva inchinarsi davanti a nessuno, ad eccezione del re.
Alle sue spalle, Zuril cominciò a recitare la formula rituale che da tempo immemorabile era usata per incoronare i sovrani di Vega. Si trattava di parole antiche in una lingua arcaica e ormai incomprensibile, pure Zuril le pronunciava con grande chiarezza perché non vi potessero essere obiezioni di forma.
Maria non comprendeva nulla di quanto veniva detto: ne conosceva però il significato, una sorta d’invocazione ad ogni possibile potenza per ottenerne la protezione per la nuova regina. Quelle parole in una lingua sconosciuta aspra e secca più che infonderle fiducia le suonavano inquietanti.
Poi Zuril diede l’ordine che venisse portata la corona; subito la folla fece ala e Naida, semplicemente sensazionale nella sua morbida tunica crema e oro, fece la sua comparsa. Le sue mani erano coperte da un ampio velo candido e svolazzante, e reggevano un diadema tutto oro bianco e stelle di diamanti: c’era stato infatti un tempo non lontano in cui chiunque, a parte i sovrani, avesse osato toccare la corona sarebbe stato messo a morte, e quel velo stava a ricordarlo a tutti.
Naida salì gli scalini e si avvicinò per primo ad Actarus, cui con un gesto aggraziato porse la corona perché potesse vederla; ci volle qualche istante perché il giovane realizzasse che era il diadema, e non colei che lo stava portando, ciò che lui avrebbe dovuto guardare. Le stelle a quattro punte della Casa reale di Vega… il solo pensiero che Maria dovesse indossare quell’odioso emblema lo faceva ribollire di collera. Ma non c’era scelta, naturalmente. Chinò il capo in segno d’assenso, e Naida passò avanti, facendo un ampio giro sul palco in modo che tutti i presenti potessero vedere la corona, che infine porse a Zuril.
Lui la prese tra le mani, l’alzò perché tutti potessero vederla e i diamanti scintillarono nella luce come autentiche stelle; quindi, pronunciando la formula che consacrava la nuova regina, con un gesto solenne pose la corona sulla testa di Maria.
Il silenzio era ancora totale.
Maria raccolse tutto il suo coraggio e rialzò la testa, e le pietre sembrarono emanare sprazzi di luce viva. Quindi si voltò verso Zuril per adempiere al suo primo dovere di regina, rendere omaggio al re e riconoscerlo come suo sovrano.
Come le era stato insegnato mise un piede indietro e piegò le ginocchia per sprofondarsi in un inchino; subito, Zuril l’afferrò sotto al gomito facendola rialzare. Non aveva voluto che lei si umiliasse pubblicamente davanti a lui. Quindi Zuril si chinò a sfiorarle le guance con un bacio, onorando così di fronte a tutti la sua regina.
La cerimonia era finalmente conclusa.
Allora e solo allora dalla folla esplose un grido fortissimo, quasi selvaggio; Maria trasalì, spaventata, e Zuril le mise un braccio attorno alle spalle facendola voltare verso la folla in preda al delirio.
Non poteva essere… era sicura, aveva proprio creduto che quelle grida fossero di odio per lei.
Stupefatta, Maria passò lo sguardo su quella gente che urlava tutta la sua gioia: aveva temuto di essere a malapena tollerata come un’intrusa, si ritrovava a venire acclamata dallo stesso popolo che per anni lei aveva combattuto come nemico.
Se mai aveva voluto una prova del fatto che i veghiani superstiti volessero disperatamente la pace, bene: ora l’aveva avuta.


- continua -



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E sei! Vai col pranzo di nozze.


6

Un tempo, alle nozze e all’incoronazione sarebbe seguita una lunghissima cerimonia in cui sarebbero stati presentati alla regina tutti i membri della corte, i notabili, i principali alleati. Poco amanti dei formalismi, Zuril e Actarus avevano convenuto di lasciar perdere: i tempi erano cambiati, e certe sgradevoli tradizioni era meglio dimenticarle.
Maria non aveva avuto nulla da obiettare: lei per prima aveva desiderato una cerimonia il più possibile semplice, senza fronzoli. Si trovò così a ricevere un omaggio non troppo formale da coloro che avrebbero ormai fatto parte della sua vita di tutti i giorni: la prima a presentarsi fu lady Gandal, che tanto si era impegnata per la buona riuscita di tutto. Seguì poi Koyra, che aveva come sempre i capelli piuttosto arruffati e il cui elegante abito ametista sembrava indossato alla bell’e meglio. Maria avrebbe imparato presto che la dottoressa era praticamente incompatibile con la formalità.
Fu difficile per lei ricevere l’omaggio di Hydargos; molto meglio andò con Naida, che Maria abbracciò con vero trasporto. Dovendo trasferirsi in un mondo che percepiva come ostile, era bello sapere d’avere un’amica.
Fu poi la volta di Catressia, che l’abbracciò come se fosse stata sul punto di perderla per sempre. Si fece poi avanti un uomo alto dal corpo ricoperto di placche ossee: era l’ambasciatore di Dera, venuto al posto della regina D’reeth che, pur essendo in ottimi rapporti con Fleed, non aveva voluto incontrare veghiani.
Una volta superato lo scoglio delle presentazioni ufficiali, come d’incanto l’atmosfera si fece meno formale. Si formarono gruppi di persone che presero a chiacchierare – gruppi che quasi nella totalità non comprendevano individui di provenienze diverse. Maria si ritrovò al centro di un capannello di donne: Naida, Catressia, Lauer, Yaret, Koure, tutte sembravano disputarsi la sposa in un animato cicaleccio. In mezzo lei, frastornata, sorrideva meccanicamente a tutte, mentre si sforzava di non pensare a quel che sarebbe venuto dopo. Per fortuna tutte quelle chiacchiere la distraevano, e comunque Zuril non era lì con lei… non le importava di dove fosse…
Suo marito era al centro di un gruppo di persone, tutti veghiani ad eccezione di Actarus, Skander e qualche altro sparuto, coraggioso fleediano. Molto meno confuso di quanto non fosse sua moglie, Zuril sembrava aver momentaneamente abbandonato la consueta riservatezza, e appariva animato e spontaneo. Actarus, che gli stava a fianco, si sorprese sentendolo ridere a una battuta: ancora più sconvolgente fu sentir Hydargos fare altrettanto. Per quanto ormai non fossero più avversari, faticava ad accettare il fatto che quell’uomo dotato d’umorismo fosse lo stesso individuo che per tanto tempo era stato un suo implacabile e personale antagonista.
Fu allora, nella confusione che spesso precede l’andare a sedersi a tavola, che Zuril e la regina Catressia si trovarono all’improvviso l’uno di fronte all’altra; nessuno in quel momento stava badando loro, e la donna ne approfittò per affrontare un argomento che le stava molto a cuore.
– Se ho accettato l’invito a questo matrimonio – disse senza tanti preamboli Catressia, e i suoi occhi viola ebbero un bagliore – è solo per Duke e Maria. La loro madre era la mia più cara amica, e questo non posso certo dimenticarlo.
Zuril le rivolse un educato cenno col capo: – Certo. Capisco.
– E l’unico motivo per cui accetto di parlarvi – aggiunse la regina – è il fatto che voi non siete Yabarn.
– Capisco anche questo – mormorò Zuril.
– Perdonate la mia franchezza, ma preferisco dire le cose come stanno – continuò la regina – Non ho motivi di fiducia nei vostri confronti; però siete il marito di Maria, e Duke ha molta stima di voi. Per quel che mi riguarda, tutto dipenderà dal modo in cui vi comporterete: voglio davvero bene a Maria, non potrei sopportare che voi la facciate soffrire.
– Non è mia intenzione. Spero che mi crediate.
Catressia lo guardò come se stesse valutandolo per comperarlo, e poi parlò lentamente: – Vi credo, Zuril. Spero solo di non dovermi pentire di aver dato fiducia a un uomo di Vega.
Lui chinò il capo in un inchino, e non rispose.
L’eredità di Yabarn era a volte davvero pesante.


Anche se il banchetto di nozze non faceva parte delle consuetudini dei veghiani, per i quali un matrimonio era un semplice contratto, Actarus aveva voluto che avesse luogo; come per qualsiasi cosa affidata alle capaci mani di Yaret, fu un successo. La grande sala della reggia di Fleed, rimasta miracolosamente intatta, era stata ridipinta e addobbata come meglio si era potuto. Mentre gli ospiti si erano intrattenuti a chiacchierare dopo la cerimonia, i fasci di rami fioriti e i drappeggi candidi che avevano ornato il palco erano stati frettolosamente trasportati nella sala e disposti con gusto, i musicisti avevano preso posto in un angolo, ogni cosa era stata accuratamente preparata; Yaret, venuta a controllare velocemente che tutto fosse in ordine, non aveva trovato nulla da ridire.
Del resto, non c’era da aspettarsi che la gente di Vega avesse da obiettare: dopo anni in cui erano rimasti sepolti vivi nella base lunare tutta plastica e metallo, il solo trovarsi in quel salone ampio e arioso, ornato da veri fiori, parve loro un qualcosa di unico e meraviglioso. Poco importava che le tovaglie e le stoviglie non fossero tutte perfettamente uguali, che tavoli e sedie fossero di recupero: ai loro occhi si trattava di un avvenimento straordinario, il cui ricordo li avrebbe accompagnati a lungo. Furono quindi degli ospiti a dir poco entusiasti quelli che presero posto ai tavoli.
Maria, che fino ad allora era riuscita ad evitare di stare col marito, si ritrovò seduta al suo fianco; subito le svanì dalle guance quel poco di colore che aveva. Se fino ad allora era riuscita a chiacchierare più o meno liberamente, si ritrovò gelata di terrore a rispondere a monosillabi. Poco importava che dall’altra parte fosse seduto Actarus e che Zuril si mostrasse gentile e premuroso nei suoi confronti: la paura aveva ripreso ad attanagliarle le viscere, gelandola. Certo, davanti a tutti quel… quel veghiano… si comportava con inappuntabile cortesia, ma che sarebbe successo quando fossero rimasti soli?
– …Scusa…? – esclamò, riscuotendosi.
– Ho detto che non hai mangiato niente – ripeté pazientemente Zuril.
– Io… temo di non aver appetito.
Lui la vide così pallida e nervosa e fraintese, immaginando che fosse stanca a causa della cerimonia: – Coraggio, presto sarà finito tutto.
Sì, sarà finito, e allora… Maria si morse le labbra. Non voleva pensarci.
Per sua fortuna, proprio allora Actarus si girò verso di lei per chiederle se si ricordasse come si chiamava la cameriera personale della loro madre: la regina Catressia rammentava un nome, ma lui non era sicuro, forse lei…?
Maria non ricordava nulla, naturalmente, ma fu felicissima di tuffarsi nella conversazione, di rinvangare vecchi ricordi dimenticati, di rievocare i tempi in cui era stata davvero felice… di parlare insomma di qualsiasi cosa potesse distrarla dal presente, e soprattutto dall’immediato futuro.


Il resto del pranzo proseguì senza incidenti: le portate si susseguirono, i piatti vennero vuotati, un clima decisamente più rilassato aveva preso ad aleggiare tra la gente di Fleed e quella di Vega. Maria era riuscita ad inghiottire qualche boccone, quel tanto da non sentirsi totalmente sfinita. Tornò poi per un’ultima volta in quella che era stata la sua stanza, per darsi una rinfrescata prima di partire per Moru; provò un certo disagio, visto che con lei andò anche Zuril.
Una volta in bagno Maria si lavò le mani, si tamponò il viso con un fazzolettino di carta. Lo specchio le rimandò un volto tirato, cereo sotto al trucco che cominciava a disfarsi. Senza esitazioni, Maria si ripulì da ogni traccia di belletto, si sciacquò con l’acqua fresca e tornò a guardarsi: era già un po’ meglio.
Girellò nervosamente per la camera, mentre era il turno di Zuril di occupare il bagno. L’armadio era vuoto, i suoi vestiti, le sue scarpe, tutti i suoi oggetti personali erano stati imballati in grandi robovaligie che le aveva donato Zuril ed erano stati già caricati sulla navetta. Maria non si era preparata un vestito per il viaggio; a dire il vero, Yaret gliel’aveva consigliato e lei, troppo sconvolta per pensare a quel che sarebbe accaduto dopo le nozze, aveva risposto piuttosto seccamente di non volersi cambiare, ché tanto non le importava. Yaret, evidentemente satura dei suoi malumori, l’aveva accontentata, e ora lei non avrebbe potuto far altro che partire indossando il suo abito da sposa.
Zuril uscì dal bagno: si era tolto subito mantello e corona, e ora appariva molto più a suo agio. Guardò con curiosità quella che era stata la stanza di Maria: era grande, luminosa e con le finestre che davano sui giardini, ma appariva molto impersonale, ora.
– Sei pronta? – chiese, mentre si metteva sul braccio il mantello ripiegato e prendeva in mano la corona – Hai dimenticato niente?
– Non credo – mormorò Maria. Si guardò attorno un’ultima volta, anche se non era particolarmente legata a quella stanza… a dire il vero, a parte a suo fratello si sentiva legata a ben poco. Era un’estranea. Con un gesto deciso, chiuse dietro di sé la porta e seguì il marito giù per il corridoio.
– A proposito, non te l’avevo chiesto prima – Zuril accennò alla collana che sembrava scintillare di luce propria: – E… questa?
– È il regalo di Actarus – rispose Maria – Ti piace?
– Magnifica – rispose lui, sinceramente sorpreso: s’intendeva poco di gioielli, ma quelle pietre dovevano valere una fortuna, un dono davvero degno di una regina. Sarebbe stato bizzarro vedere Maria con la sua collana, nella semplicità della vita su Moru. – Per il mio regalo, temo che dovrai aspettare ancora un poco.
– Ma non occorre che tu…
– Per piacere – con un gesto lui troncò le sue proteste – I tempi sono stati talmente ristretti, che non ho potuto averlo disponibile subito.
– Beh, grazie – mormorò Maria, confusa: non s’era certo aspettata che il suo marito di Vega le facesse un dono! – E… cos’è?
Zuril sorrise, e il suo unico occhio ebbe uno scintillio: – Sorpresa.


Era ormai arrivato il momento di congedarsi: dopo quella giornata di festa trascorsa assieme, fleediani e veghiani apparivano meno freddi gli uni verso gli altri, un risultato che riempì Actarus di speranza per il futuro. Forse davvero non tutto era perduto.
A contribuire a questo risultato era stata anche Lauer di Zuul: veghiana pur senza esserlo veramente, era una donna abile ed affascinante, che con la sua conversazione brillante e le sue maniere gentili aveva dato alla gente di Fleed un’immagine ben diversa da quella dei veghiani arroganti ed odiosi che tutti loro conoscevano. In più, era notoriamente amica sia della regina Catressia che di Zuril.
I fleediani avevano accompagnato gli ospiti sulla pista d’atterraggio, dove attendevano le navi. Lauer salutò calorosamente il re di Vega: si conoscevano e collaboravano da tempo, la loro amicizia era autentica e di lunga data. Salutò poi Maria, che nonostante tutti i suoi timori si ritrovò a sorriderle con simpatia, ed infine si congedò da Actarus. Si erano conosciuti praticamente in quell’occasione, ma entrambi avevano ricavato un’ottima impressione l’uno dell’altra. Fu subito evidente che con quella giornata i rapporti tra Fleed e Zuul avrebbero guadagnato molto.
Più difficile fu il congedo di Catressia, che ancora una volta strinse tra le braccia Maria quasi come se avessero dovuto separarsi per sempre. Il suo saluto a Zuril fu un po’ meno formale di quanto ci si sarebbe potuti aspettare; si erano chiariti, erano d’accordo.
Dopo aver abbracciato praticamente tutti i fleediani presenti, Skander, Koure, Yaret che tanto aveva dovuto sopportare per quel matrimonio (e per farsi perdonare Maria le diede un abbraccio più affettuoso, sussurrandole un ringraziamento), la giovane sposa si trovò a dover affrontare il momento più penoso: gettò le braccia al collo di suo fratello, e subito sentì gli occhi riempirlesi di lacrime.
Anche per Actarus si trattava di un momento difficile: sua sorella era ormai tutta la sua famiglia, sarebbe stato già duro separarsi da lei per vederla andare via con un ragazzo che l’amava… sapere che doveva andare a vivere con un uomo che non solo non le piaceva, ma che la disgustava, era davvero straziante. Tuttavia, era necessario farsi forza: mascherò con un sorriso la sua angoscia e fu proprio lui a staccarsi dolcemente da Maria, che lo guardò con gli occhi pieni di pianto e la bocca che tremava, come una bambina… e proprio quello sembrava, così piccola e minuta com’era, una bambina che sta giocando alla sposa. Actarus si sforzò di mostrarsi sereno, si ripeté mentalmente che Zuril era una persona gentile, che era stata proprio Maria a volere quelle nozze, che… che…
– Actarus… – mormorò Maria, con una vocina sottile.
Lui si sforzò ancora di mostrarsi sereno, ottimista: – Ci vedremo presto. Devi andare, ora. Ti aspettano.
Maria gettò uno sguardò alle sue spalle: poco più in là, Zuril e il resto dei veghiani attendevano pazientemente la loro regina. Era davvero il momento di separarsi. Maria abbracciò Actarus un’ultima volta, gli diede un bacio lasciandogli un paio di lacrime sulla guancia e si staccò bruscamente da lui, raggiungendo l’uomo che ormai era suo marito.
Sentendosi il cuore traboccare d’angoscia, Actarus rimase immobile a guardare Zuril mentre conduceva via Maria – sua moglie, ora. Lei appariva singolarmente minuta, accanto alla figura alta e robusta del marito; sembrava così indifesa, in balia di quell’uomo…
Mentre s’allontanava, Maria si voltò a guardarlo; la disperazione che le lesse negli occhi lo spinse a farsi avanti: – Zuril…!
Il sovrano di Vega si volse, un po’ sorpreso. Actarus esitò: avrebbe dovuto dire qualcosa, qualsiasi cosa… quell’uomo stava portandosi via Maria, e lui non osava pensare a cosa sarebbe successo quando… Ma cosa poteva dire, ora? “Non far del male a mia sorella?” Assurdo e melodrammatico.
Eppure...
– Actarus – la voce di Zuril suonò tranquillissima – Non preoccuparti. È tutto a posto.
Improvvisamente, il giovane si sentì molto, molto sciocco; tuttavia Maria continuava a fissarlo, terrorizzata. Non poteva parlare chiaramente dei suoi timori, erano al centro dell’attenzione generale, ma non poteva nemmeno abbandonare sua sorella tra le mani di quel… quel veghiano.
– Fidati – aggiunse Zuril, gettando eloquentemente un’occhiata attorno a loro.
Actarus si volse verso Maria: – Ti chiamerò al più presto.
Lei annuì, incapace di parlare; poi seguì il marito sulla passerella che conduceva alla navetta personale di Zuril. Quando fu a bordo, si girò di scatto a guardare il fratello, e rimase immobile finché la passerella non fu rialzata e il portello richiuso.
Il giovane re di Fleed sentì l’angoscia serrargli il cuore in una morsa.
– Mio signore – disse alle sue spalle la voce di Skander.
Actarus si girò impercettibilmente verso di lui, lo sguardo fisso sull’astronave in partenza: aveva piena fiducia nel giudizio del suo primo ministro, che più che un sottoposto era un consigliere, anzi, un amico vero. Non per nulla a suo tempo era stato uno dei dignitari di suo padre.
– Andrà tutto bene, signore – aggiunse Skander, in tono gentile – Il re di Vega tiene troppo alla nostra alleanza per trattar male la principessa Maria.
Actarus assentì, ma non riuscì a spiccicar parola: continuava a pensare a sua sorella, fragile e minuta… era piccola di statura, arrivava a malapena alla spalla di suo marito, e per contrasto lui gli era apparso ancora più alto e forte di quanto non fosse. Che avrebbe potuto fare, Maria, contro di lui? Perché aveva acconsentito a quelle nozze? Perché?


Perché ho acconsentito a queste nozze?, pensò per l’ennesima volta Zuril.
Seduto alla postazione di pilotaggio della sua navetta, gettò uno sguardo alla moglie, che occupava il posto al suo fianco: appariva letteralmente raggelata nel suo vestito azzurro ghiaccio.
Invece d’avere una vera compagna, una donna con cui condividere l’enorme responsabilità che gli gravava sulle spalle, era stato costretto a prendersi una ragazzina spaventata che avrebbe costituito a sua volta una serie di problemi… altri pesi da portare, altri obblighi, ecco cos’era quella sua moglie.
Del resto, è così giovane, si disse lui. Ancora più giovane di Rubina… altro che moglie, è come se avessi una figlia adolescente cui badare. Mia moglie era tutt’altra cosa.
Il pensiero di Shaya gli causò una gran fitta in mezzo al petto: lei era stata la sua libertà, il suo aiuto, la compagna della sua vita, il sollievo dai crucci quotidiani. Non poteva certo pretendere altrettanto da quella povera ragazzina.
Da parte sua, Maria continuava a guardare le stelle fuori dal finestrino: sentiva su di sé lo sguardo del marito, e aveva il terrore di sapere cosa gli passasse per la mente. Chiuse i suoi pensieri, non voleva rischiare di percepire quelli di lui ed avere la conferma di tutti i suoi timori. L’idea di restare sola con quell’uomo, uno sconosciuto e un nemico, di essere costretta a concedergli quello che lui aveva il diritto di chiederle, l’agghiacciava.
Aveva un bel ripetersi di essere stata lei a volere quelle nozze, di essere stata lei a volersi sacrificare per il bene del suo popolo: in quel momento, Maria non aveva nulla dell’eroina pronta al martirio.
Strinse convulsamente le mani, guardando di sottecchi Zuril: si era sempre comportato in modo corretto, fino ad allora... forse...
Accanto a lei, totalmente distante dai dubbi e dai terrori di sua moglie, Zuril strinse le labbra e prese una decisione.
Aveva allevato due maschi; bene, avrebbe fatto da padre anche a questa ragazzina.

- continua -


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Come si suol dire... finalmente soli.^^

7

Zuril fece scorrere il portello: – Benvenuta su Moru.
Maria si affacciò timidamente: un cielo azzurrissimo, una luce quasi violenta che le fece socchiudere gli occhi, un lieve refolo che le portò il profumo del mare.
La navetta si era posata su una larga spianata in terra battuta, bordata da piante un po’ macilente ma nel complesso vitali: un giorno, tutt’attorno allo spiazzo d’atterraggio sarebbero cresciuti degli alberi rigogliosi. Come Maria avrebbe compreso nei tempi successivi, Moru era un mondo in costruzione, tutto era proiettato in funzione di quel che sarebbe stato in futuro.
Scese dalla nave quasi con precauzione: si sentiva straniera in terra straniera, nonostante quel mondo l’avesse accolta benignamente con la sua luce e la sua brezza.
– I bagagli…? – mormorò, incerta; proprio allora, le robovaligie che contenevano tutti i suoi effetti personali fecero la loro comparsa e, scesa la passerella, si avviarono per un sentiero bordato di siepe.
– Non preoccuparti, penseranno a tutto i robodomestici – la rassicurò Zuril.
Maria sentì il petto gonfiarlesi d’angoscia: anche solo occuparsi delle sue cose l’avrebbe parzialmente distratta da quel che le sarebbe successo entro poco tempo… testa alta e morale a terra, seguì Zuril giù per il sentiero, docile come può esserlo un agnello sacrificale.
Mentre lui le faceva strada illustrandole i lavori che avevano fatto, e soprattutto quelli che erano ancora in progetto, Maria non lo ascoltava nemmeno: in preda al panico lo osservava di sfuggita, valutava quanto fosse più alto e forte di lei e si stramalediceva per aver acconsentito – peggio, voluto – quello che inevitabilmente sarebbe seguito.
Sta per violentarmi, e sono stata io ad andarne in cerca…
Lontano anni luce dai terrori di sua moglie, Zuril continuava con le sue spiegazioni: aveva preso il suo silenzio per timidezza, e continuava a parlarle in attesa che lei si sentisse meno a disagio.
Erano arrivati ormai all’ingresso di… no, quella secondo Maria non somigliava per nulla a una reggia. Una villa, se mai, e neanche particolarmente lussuosa… del resto, Zuril gliel’aveva detto, che con lui non avrebbe certo avuto grandi agi e grandi ricchezze. Beh, tutto sommato meglio così, lei preferiva gli ambienti semplici.
Ascoltò distrattamente Zuril, che le stava mostrando gli alberelli piantati tutt’attorno alla casa: un giorno, sarebbero cresciuti al punto da nasconderla allo sguardo. Era quello il gusto del suo mondo natale, Zuul: abitazioni integrate nella natura. Così lui aveva voluto che fosse anche per Vega; e i veghiani, nati su un mondo soffocato dall’inquinamento e che provenivano da una base asettica, avevano aderito con entusiasmo al progetto.
La porta era spalancata davanti a loro; Maria esitò, incerta. Quante volte aveva visto nei film la scena con lo sposo che solleva tra le braccia la sposina per farle varcare la soglia di casa?
Evidentemente però non era così, su Vega, visto che Zuril entrò per primo per farle strada e darle il benvenuto. Lo seguì timorosamente; davanti a lei si pararono delle sagome bizzarre, un essere antropoide, una specie di disco piatto, un barilotto… i robodomestici. Unità Uno, Due e Tre.
– Ah, bene – mormorò, sempre più a disagio. Chissà se si poteva parlare con un robodomestico…?
– Solo con quelli programmati per sostenere una conversazione – le spiegò Zuril – Per gli altri, basta formulare un ordine.
– Oh. E… questi…?
– No. Però se ti fa piacere posso programmare Unità Uno – accennò al robot antropoide – Gli altri due sono troppo elementari per questa funzione.
Maria non rispose: in realtà non sapeva se le sarebbe piaciuto chiacchierare con una macchina… però Zuril era gentile a proporglielo. Rifiutò l’offerta di lui di bere qualcosa: no, non aveva sete, grazie. A dire il vero, non aveva nemmeno fame… certo, lo sapeva che al pranzo aveva mangiato poco, ma no, non si sentiva proprio di fare uno spuntino, figuriamoci un pasto.
Acconsentì però a fare un giro della casa: a dire la verità non gliene importava nulla, ma per lei era la benvenuta qualsiasi cosa avesse allontanato il momento che tanto temeva.
Osservò distrattamente il grande soggiorno, dalle ampie portefinestre che davano da una parte sul mare e dall’altra su un giardino interno; guardò senza vederlo lo studio di Zuril, sentì il cuore mancarle in petto quando le mostrò una grande camera matrimoniale…
Vagamente, comprese da quel che le stava dicendo che quella sarebbe stata la sua stanza. Ma come? Su Vega, marito e moglie dormivano in camere separate? Beh, era già una bella notizia, ma…
Zuril uscì dalla stanza: evidentemente il momento tanto temuto non era ancora arrivato.
Gli trotterellò dietro, mentre lui le mostrava il resto. I mobili erano quelli che erano stati recuperati da Skarmoon, parecchi locali avevano un arredamento molto ridotto, evidentemente non era ancora stato deciso l’utilizzo che ne sarebbe stato fatto. Naturalmente, anche lei avrebbe potuto scegliersene uno per suo uso e consumo; Maria ringraziò con un sorriso stentato. Avere non una ma ben due stanze per sé normalmente l’avrebbe riempita di gioia, ma…
Lui aprì una portafinestra e le fece cenno di uscire; Maria obbedì, e rimase senza fiato.
Il panorama era incredibile: una grande baia, il mare azzurro ai suoi piedi, il cielo… più in basso, sotto la scogliera una spiaggia di sabbia bianco-dorata. Un vento leggero le scompigliò i capelli in una carezza di benvenuto.
– È… meraviglioso – mormorò, stupefatta.
Zuril assentì: aveva voluto lui quella loggia, la considerava la cosa più bella dell’intera abitazione. Quante volte era venuto a sedersi lì, a riposarsi guardando il mare! In un angolo, c’era la sua poltrona preferita; si annotò mentalmente di procurarsene una anche per lei.
Maria s’appoggiò alla balaustra, gli occhi rapiti da quanto stava vedendo: in vita sua non era stata praticamente mai al mare, finché aveva vissuto col nonno era rimasta pressoché sepolta viva nella sua casa nel bosco, e con Actarus si era divisa tra ranch e Centro Spaziale. Il mare era stato solo un campo di battaglia, per lei… senza contare il fatto che l’unico mezzo sottomarino, il Delfino Spaziale, era stato appannaggio quasi esclusivo di Venusia.
La bellezza di quanto stava vedendo la distolse momentaneamente dai suoi terrori: incantata, rimase a guardare le onde, la spuma spazzata dal vento, il gioco di colori sotto il sole… davvero, avrebbe vissuto potendo vedere ogni giorno tutta quella bellezza? Non riusciva a crederci…
– È splendido – mormorò.
– Splendido, sì – convenne Zuril, accanto a lei.
Il sole, Yrea, era ormai basso sull’orizzonte. Appariva singolarmente piccolo, rispetto al sole terrestre, e d’un bianco acceso; Maria fu sorpresa nel vedere la rapidità con cui il cielo s’oscurò, senza che apparisse il rosso che s’era aspettata.
– Siamo vicini all’equatore, il che riduce i tempi del tramonto – disse Zuril, che sembrava averle letto nel pensiero – La riduzione del tempo del tramonto porta anche alla scomparsa del colore rosso. Ci sarebbe tutto un discorso circa l’angolo d’incidenza della luce solare, ma immagino che in questo momento non te ne importi molto; o sbaglio?
Maria scosse il capo, stringendosi le braccia attorno al corpo. Così come il sole era scomparso rapidamente, anche la temperatura stava calando molto in fretta: – Ho freddo.
– Vieni – lui le aprì la portafinestra, e lei passò rapidamente all’interno.
Rimase a guardare il marito che richiudeva i vetri, e sentì un gran gelo scenderle giù per la schiena; ma non era il freddo, a ghiacciarle il sangue.
Zuril si voltò verso di lei, e improvvisamente Maria non ne poté più: – Per piacere, fai presto, almeno!
Lui trasalì come se l’avessero frustato: improvvisamente capì l’atteggiamento di lei, il suo terrore, il suo guardarlo come si guarda una belva pericolosa. Uomo logico, lui aveva dato per scontato che, data la repulsione di lei, non ci sarebbero mai stati rapporti fisici, tra di loro: e invece…! Ma davvero Maria aveva creduto che lui avrebbe potuto costringerla…? Non era possibile!
Mosse rapidamente un paio di passi verso di lei, e Maria si sentì morire: ora l’aveva fatto arrabbiare, e lui l’avrebbe… l’avrebbe…
– Ti prego…! – esclamò, le braccia alzate in un tentativo di difesa.
Lui rimase letteralmente sbalordito: non si era aspettato quella reazione. E sì che le aveva detto di voler mantenere con lei un rapporto il più possibile civile! Ma non c’era da sbagliarsi, Maria era a dir poco terrorizzata.
– Non farmi del male – pregò lei, la voce che le si spezzava ad ogni sillaba.
– Non potrei mai – rispose lui, aprendo le mani in un gesto di pace.
In tutta la sua vita, Zuril aveva sempre trattato con rispetto qualsiasi donna. Essere considerato un violento, uno stupratore, era davvero l’ultima cosa che si sarebbe immaginato; del resto, non si sarebbe mai aspettato nemmeno di trovarsi vincolato in un secondo matrimonio, e per di più con una ragazzina isterica. La vita è davvero strana.
– Maria, non voglio farti proprio niente – parlava guardandola dritta negli occhi, perché capisse che le stava dicendo la verità – Non ti toccherò nemmeno.
Non volle dirle che la trovava troppo giovane, quasi una bambina: non voleva offenderla, e nemmeno farla sentire rifiutata. Più avanti, quando lei avesse imparato a conoscerlo meglio, si sarebbero chiariti. Intanto, meglio fare il Grande Magnanimo.
Lei sembrò allentare un attimo la tensione: – Davvero tu non…?
– Non ho mai forzato una donna, e non comincerò a farlo adesso – disse Zuril – So quanto ti è costato tutto questo, e non voglio certo renderti le cose ancora più sgradevoli. Te l’ho detto, io dormirò in un’altra stanza.
Maria rimase senza fiato. S’era aspettata un vero e proprio assalto, si era già vista preda di quel veghiano: il sollievo fu persino doloroso. – Grazie.
Fece per allontanarsi da lui, scivolare nella camera da letto, ma Zuril la trattenne per un braccio: – Non te l’aspettavi, vero? Credevi che ti sarei saltato addosso.
– Sì – la voce di lei fu appena un soffio.
– Mi conosci davvero male, allora – ferito, lui si tirò indietro, lasciandola libera – Mettiamo subito le cose in chiaro, Maria: noi due dovremo vivere assieme. Non pretendo che si vada d’amore e d’accordo, ma vorrei una convivenza civile, e non credo proprio che sbatterti su un letto sarebbe stato un buon inizio.
Improvvisamente lei si sentì molto sciocca: Zuril si era sempre comportato con grande educazione, avrebbe dovuto immaginarsi che non l’avrebbe assalita.
– Mi dispiace aver pensato male di te – mormorò lei, che si sentiva le lacrime bruciarle gli occhi.
Vedendola così umiliata, Zuril si raddolcì subito: – Non devi scusarti. Siamo stati nemici per tanto tempo, è normale che tu sia spaventata. ...Vai a dormire, adesso. Devi essere stanca.
Maria non se lo fece ripetere e sgattaiolò velocemente in quella che era la sua camera, chiudendo accuratamente le porte dietro di sé.
Per un attimo rimase immobile, in piedi in mezzo alla stanza, incredula d’essersela cavata così facilmente. Gettò uno sguardo timoroso verso la porta scorrevole, poi arrossì con vergogna: Zuril si era mostrato così corretto…!
All’improvviso, si sentì stanchissima. Sentì piegarlesi le ginocchia e sedette sul letto, respirando profondamente. Tutto quel che ora desiderava era sdraiarsi e dormire.
Chissà dov’erano i suoi bagagli… Maria andò ad aprire un armadio, e con stupore vide i suoi abiti accuratamente appesi, i suoi effetti personali riposti con cura nei cassetti. Controllò i vestiti, la biancheria: c’era tutto. Si affacciò sulla porta del bagno: tutti i suoi oggetti da toilette erano allineati nei loro scaffali. Actarus aveva avuto ragione, quando le aveva detto che i robodomestici di Vega erano davvero efficienti.
Actarus… Maria sentì stringersi il cuore al pensiero del fratello. Fino ad allora avevano sempre vissuto assieme, era la prima volta da che l’aveva ritrovato che si era separata da lui. Zuril le aveva assicurato che avrebbero potuto comunicare quando e quanto avessero voluto, ma non era proprio la stessa cosa… sentì gli occhi inumidirlesi, e se li asciugò con un gesto brusco.
Non devo piangere.
Si sganciò la collana, rimanendo a guardare affascinata i dodici minyal, che nella penombra della sera mandavano sprazzi di luce blu. Era un gioiello d’un tale valore…! L’indomani avrebbe chiesto a Zuril dove poterlo riporre. Nel frattempo, lo mise in una calza, l’appallottolò nella sua gemella e ripose il tutto in fondo a una valigia, in cima all’armadio.
Tirò fuori da un cassetto una camicia da notte, piuttosto castigata bisogna dire; gettò uno sguardo verso la porta e preferì optare per un pigiama per nulla sexy, bianco e con un grande papero giallo sul davanti. Scelta della biancheria pulita andò ad osservarsi un’ultima volta allo specchio: difficilmente si sarebbe guardata ancora con addosso il suo vestito da sposa. Se solo Alcor avesse potuto vederla… ma Alcor era distantissimo da lì, e accanto a lui c’era Sayaka. Non doveva pensarci più.
Fece per togliersi il vestito, e comprese subito di non poterlo fare: l’allacciatura era sulla schiena, e lei non riusciva ad aprirla.
Oh, no…
Calma. Riproviamo.

Allungò le braccia il più possibile, ma poteva solo slacciare la parte alta del corpetto, il che non bastava certo per riuscire a sfilarsi il vestito.
Tentò e tentò ancora: niente.
Aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno.
Nemmeno per sogno!
Provò ancora ad allargare i lembi del corpetto: pazienza se si fosse stracciata la stoffa, tanto non l’avrebbe più indossato. Tirò disperatamente… niente. Le donne di Fleed avevano lavorato con coscienza, le cuciture tenevano benissimo e il tessuto, una sorta di seta, era troppo resistente per lacerarsi.
Intrappolata nel mio abito da sposa. Sarebbe persino comico, se non fosse tragico.
C’era una sola cosa da fare, era evidente.
Fu una Maria molto contegnosa quella che uscì dalla sua stanza. Zuril era nel suo studio, come suo solito stava lavorando al computer, e parve sinceramente sorpreso di vederla: – Qualche problema?
– Io… sì – prese coraggiosamente fiato: – Io non… uh… non riesco ad aprire il vestito.
Se fa commenti, giuro che l’ammazzo…
– Ma certo – Zuril riuscì a restare miracolosamente serio, anche se il suo sguardo scintillava d’umorismo.
Maria trattenne il fiato, irrigidita dalla tensione, mentre lui le slacciava abilmente l’abito sulla schiena.
E se Zuril dovesse equivocare? Se credesse…?
– Ecco fatto.
Aveva finito. L’abito era aperto, e le mani di lui non l’avevano nemmeno sfiorata. Sollevata, mormorò un ringraziamento e s’allontanò di fretta, tornando a rinchiudersi in camera.
Si tolse il vestito, lo appese alla bell’e meglio nell’armadio e s’infilò il pigiama col papero; quindi controllò che i tendoni fossero ben tirati, si gettò sul letto e sprofondò in un sonno senza sogni.


Rimasto solo nel suo studio, Zuril ripensò a Maria, al suo terrore puerile, alla sua aria contegnosa da regina offesa mentre gli chiedeva di slacciarle l’abito… restare seri era stato veramente difficile.
Davvero lei lo riteneva così pericoloso? La cosa era persino divertente… soprattutto, se si considerava il livello di quella che in quegli ultimi anni era stata la sua vita sentimental-sessuale.
Anzi, più che divertente, il termine esatto era “lusinghiero”.
Forse avrebbe potuto dirle quel che pensava realmente, e cioè che la trovava troppo infantile per sentirsene attratto, e probabilmente lei si sarebbe tranquillizzata e avrebbe smesso di guardarlo come se fosse stato un pericoloso maniaco.
Un attimo dopo si disse che Maria, per quanto giovanissima, era una donna: come tale, difficilmente le avrebbe fatto piacere scoprire di non avere la minima attrattiva agli occhi di un uomo. A quel punto, meglio continuare a passare per un pericoloso maniaco.
Gettò uno sguardo al ritratto di Shaya che teneva sul tavolo: l’avresti detto? Un maniaco sessuale? Io?
Rise, e fu sicuro che anche lei stesse ridendo con lui… un attimo dopo, ebbe la sgradevole sensazione che Shaya stesse invece ridendo di lui.
Che ci fosse qualcosa che gli era sfuggito…?


- continua -

Link di cui far uso per mandarmi a remengo: #entry532372293
 
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view post Posted on 22/4/2013, 18:51     +1   -1
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8

Si risvegliò con una gran sensazione di stanchezza. I ricordi del giorno precedente le affollarono la mente, e Maria si rialzò a sedere, guardandosi attorno: un letto sconosciuto in una camera sconosciuta, su un mondo desolato popolato da gente che per lei era sempre stata ostile.
Respinse le lacrime: se avesse cominciato a piangere, non avrebbe saputo smettere. Coraggiosamente si alzò, scelse dei vestiti molto neutri e pratici, pantaloni e tunica sui toni del grigio chiaro e dell’azzurro, e si chiuse in bagno, uscendone poco dopo. Il pensiero di Zuril le dava ansia, ma avrebbe dovuto affrontarlo, prima o poi.
Passò nel soggiorno: era tutto in perfetto ordine, sul tavolo era apparecchiato per due. Zuril, intento a lavorare sul suo scanner, alzò la testa sentendola entrare: – Buongiorno. Hai dormito bene?
Maria lo guardò un po’ di traverso.
– Non sto facendo polemiche – assicurò lui.
Lei si lasciò cadere su una sedia: – Ho fatto fatica ad addormentarmi. Tu...?
– Anch’io – le tese una tazza; lei sorseggiò con cautela, aveva poca fiducia nel cibo di Vega.
– Ma è buono! – esclamò, stupita; arrossì, mentre Zuril rideva di cuore della sua confusione.
Possibile che io debba continuare a fare figuracce, una dietro l’altra?, si stizzì lei.
– Si chiama ween, è la nostra bevanda più popolare – spiegò Zuril – È perfettamente commestibile anche per te. Nonostante quel che puoi pensare, le nostre specie sono compatibili, per cui le nostre esigenze sono molto simili. Questo vuol dire che non dovresti avere troppi problemi con la nostra cucina.
Maria lo guardò, sospettosa: Zuril parlava spesso con estrema serietà, per cui lei faticava un poco a capire quando la stava prendendo in giro, tuttavia in quel momento era sicura che non ci fosse cattiveria, in lui.
Improvvisamente, sentì d’avere davvero fame. Davanti a lei era posata una ciotola colma di una sorta di crema alla frutta; c’erano anche delle sottili sfoglie croccanti, leggermente salate, e delle minuscole polpettine, molto saporite. Come avrebbe scoperto col tempo, su Vega i pasti erano piuttosto semplici, ma curati; si trattava di sapori cui non era abituata, ma che non le erano affatto sgradevoli. Mangiò con un certo appetito; stava finendo una seconda tazza di ween, quando notò qualcosa che non aveva notato la sera precedente, tre oloquadretti posti ordinatamente su uno scaffale.
Si alzò da tavola e andò a guardarli da vicino.
Il primo rappresentava una donna, non bella in senso classico, ma dagli occhi intelligenti e vivi e dal sorriso dolce.
– Shaya, mia moglie – disse Zuril, alla muta domanda di lei.
Maria guardò il secondo ritratto: un ragazzo i cui lineamenti ricordavano... ricordavano molto...
– Sì, è Fritz, mio figlio – assentì Zuril.
Lei trattenne il respiro. Fritz era morto combattendo contro Actarus, suo fratello era rimasto molto scosso da quell’episodio: più volte aveva pregato Fritz di farsi da parte, di non combattere, ma...
Alzò timidamente lo sguardo su Zuril, aspettandosi ostilità, rimproveri; ma non ce ne furono.
– Tuo fratello non poteva fare altro – disse Zuril, il viso impenetrabile – e mio figlio si è comportato come riteneva giusto. È accaduto... quel che doveva accadere. Non sono in collera con Actarus per questo, è bene che tu lo sappia.
– Ma… se...?
– Siamo un popolo di guerrieri – rispose lui, con semplicità – Certe cose le capiamo.
Sollevata, Maria passò al terzo ritratto.
Fu come aver ricevuto un pugno nello stomaco: – Kein...?
Stavolta, Zuril non fu affatto impassibile: – Lo conoscevi?
– Era mio amico... giocavamo assieme, da piccoli... ma com’è possibile che tu... Kein...?
– L’avevo comperato, era mio schiavo – Zuril prese in mano il ritratto, lo guardò e lo rimise con gli altri: – No, non è così. In realtà, lo consideravo un figlio mio. Solo che non gliel’ho mai detto. È morto, e non ha mai saputo... ma è troppo tardi, ora.
Maria impallidì: – Io ero là...
Zuril si voltò di scatto a guardarla: – Cosa dici?
– L’ho... l’ho visto morire – articolò lei – Non ho potuto fermarlo... si è sparato.
Zuril rimase in silenzio. Durante il suo soggiorno sulla Terra aveva avuto occasione di parlare di Kein con Actarus. Il giovane non era stato presente al momento della morte di Kein, ma gli aveva detto che si era suicidato, che si era sentito un traditore, e lui aveva faticato a credergli. E ora, ecco Maria, che aveva assistito alla sua morte, parlargli ancora di quel suo figlio… certe ferite non possono mai richiudersi, evidentemente.
– Non ho mai capito il motivo – stava continuando Maria, con la voce rotta – diceva che era cambiato... che non era più il ragazzo che avevo conosciuto...
– Era molto cambiato, sì – mormorò Zuril.
– Forse mi sbaglio, forse dico un’assurdità, ma avevo avuto l’impressione che... che si vergognasse.
Zuril abbassò lo sguardo su Maria: appariva, ed era, limpida, innocente. Attraverso i suoi occhi traspariva la bambina che era stata un tempo; ma Kein aveva smesso troppo presto di essere un bambino, e non aveva più nulla in sé di trasparente. Era cambiato, e molto, e non in meglio. La vita non era stata facile, per lui.
– Probabilmente hai ragione, si vergognava – disse a mezza voce – Ha visto in te quello che lui non era più.
– Vuoi dire che è stata colpa mia se...
– No, non pensarlo nemmeno.
Maria singhiozzò lievemente, asciugandosi una lacrima; Zuril andò a un armadietto, ne cavò due bicchieri che riempì d’un liquido dorato, e ne porse uno alla moglie: – Penso che tutti e due ne abbiamo bisogno.
Maria tossì, mentre il liquore le andava di traverso: non era fortissimo, ma lei non era abituata a bere. Tuttavia quella volta lo sorseggiò di gusto, mentre il gelo che l’aveva invasa spariva poco a poco. Rianimata, con un po’ di colore sulle guance, tornò a guardare il ritratto di Kein: – Mi racconterai di lui?
– Certo. Ma non oggi, direi che tu ne abbia avuto abbastanza – la vide alzare vivacemente il capo, gli occhi scintillanti, e aggiunse: – Non è una bella storia.
– Ma come? Se dici che per te era un figlio...
– Lo era, e per Fritz era un fratello. Ma il fatto che noi gli fossimo affezionati non significa che gli altri lo trattassero altrettanto bene, ti pare?
Maria bevve un altro sorso di liquore: – Non credo di voler sapere tutto subito.
– Mi dirai tu quando ti sentirai pronta – concluse lui.
– Certo – Maria depose il bicchiere – Cosa c’è in programma, oggi?
– Pensavo di farti visitare la città, se ti piace l’idea – propose lui – Mi sono preso qualche giorno libero proprio per farti conoscere il nostro mondo. So che in molte zone della Terra c’è l’uso del… come lo chiamate, viaggio di matrimonio…?
– Viaggio di nozze – rispose lei, sulla difensiva.
– Purtroppo non ho tempo, adesso – continuò lui, senza notare il nervosismo di Maria – Mi piacerebbe magari portarti a visitare Zuul, ma in questo periodo proprio non posso, ho troppo lavoro.
– Certo – la voce di Maria non tradì il minimo sollievo – Capisco perfettamente, non preoccuparti. Non mi dispiace.
Ci credo, pensò Zuril. Non pensava infatti che a lei facesse piacere l’idea di ritrovarsi a stretto contatto con lui. Non c’era da meravigliarsene. In quel caso, l’enorme mole di lavoro che l’attendeva in laboratorio non era poi una cosa tanto negativa.


Perché Maria potesse compiere la sua prima esplorazione di quel loro nuovo mondo, Zuril le propose un giro con la navetta: dall’alto, lei avrebbe potuto farsi un’idea d’insieme del posto in cui vivevano.
Zuril fece alzare il mezzo sulla pista d’atterraggio, e compì un largo giro sul centro abitato.
La città sorgeva sulla riva del mare, ed era suddivisa grosso modo in due vaste aree: la zona residenziale, che si estendeva dalla sommità della scogliera verso l’interno, e la zona industriale, con le sue serre e i capannoni.
Due cose colpirono subito Maria in questa sua visione dall’alto: innanzitutto, la velocità con cui i veghiani avevano costruito la loro città. Poi, la vastità di terreno utilizzata per un abitato che, sulla Terra, avrebbe ricoperto sì e no un quarto di quella superficie.
Per la prima domanda, trovò da sé la risposta: Actarus le aveva sempre detto che una delle caratteristiche peculiari dei veghiani fosse la grande laboriosità… rapidi ed efficienti, erano capaci di portare a termine progetti complessi in tempi davvero brevi, questo era sempre stato loro riconosciuto anche da chi li aveva poco in simpatia. Quella città sorta in tempi così ristretti era una prova in questo senso.
Per la seconda questione chiese spiegazioni a Zuril, ed ebbe la sua risposta: lui aveva voluto che la nuova città sorgesse sul modello dei centri abitati di Zuul, dove le case erano sparpagliate su terreni vasti e separate tra di loro dalla vegetazione. Praticamente, su Zuul quando si vedeva dall’alto una foresta, i casi erano due: o si trattava davvero di una foresta, o era una città.
– Naturalmente, si tratta di aspettare di poter piantare gli alberi – spiegò Zuril – Le nostre serre lavorano a ritmi intensivi, ma non riescono a fornire tutte le piante che ci servono. Occorrerà del tempo, ma un giorno la nostra sarà una città immersa nel verde.
– Sarà bellissima – commentò Maria, mentre si sforzava di vedere la grande spianata sottostante per quel che un giorno sarebbe stata… una specie di foresta verdissima e lussureggiante.
Ora, però, a parte qualche zona erbosa e qualche albero qua e là, il tutto appariva come una grande spianata di terra arancione pallido su cui sorgevano edifici vari… no, non era decisamente un bel posto.
Ma per Zuril, e a quanto pareva anche per i veghiani, si trattava di qualcosa di meraviglioso.
Osservò ancora una volta la città: curiosamente, proprio in quella che avrebbe dovuto essere la sua zona centrale, a metà tra la parte residenziale e quella industriale, si apriva un vastissimo spazio vuoto, fatta eccezione per un edificio parecchio più grande degli altri e un altro ancora in costruzione. In genere, proprio il centro di una città è il primo luogo in cui si costruisce…
– Quello è il Centro Medico – disse Zuril accennando al grande edificio – L’altro è il Palazzo, sarà la sede ufficiale del governo. Il resto verrà fatto in futuro.
– Non capisco… – Maria si scostò nervosamente i capelli dal viso, in un gesto che le era abituale: – Perché c’è tutto quello spazio vuoto?
– Lì sorgeranno un centro culturale, e un grande parco pubblico – rispose Zuril – Al momento, non sono opere essenziali, per cui possono aspettare. Abbiamo dato priorità alle abitazioni, al Centro Medico e alle serre; il resto verrà poi.
Maria assentì, adesso le era tutto chiaro… però quella città, così vasta ed incompleta, le dava uno strano senso di vuoto. Doveva farci l’abitudine, evidentemente.
Zuril puntò la navetta oltre l’abitato: – Ti faccio vedere i dintorni, così ti fai un’idea.
Maria guardò in basso, il naso premuto contro il plastivetro del finestrone: una spianata arancio pallido attraversata da un corso d’acqua che puntava verso la baia, qualche rada zona verde. Praticamente, non c’era altro per miglia e miglia, a parte il mare che si stavano lasciando alle spalle.
Come ebbe modo di vedere, la città sembrava sorgere nel bel mezzo di una pianura deserta: molto lontane, si scorgevano le sagome violacee e scoscese di una catena montuosa. Per il resto, non c’era praticamente altro.
Al confronto, Fleed era un paradiso terrestre.
– Ma è un mondo morto…! – esclamò, sentendosi stringere il cuore dall’angoscia.
– “Mondo quiescente” è un termine più esatto – corresse Zuril – In pratica, si tratta solo di lavorare la terra, seminare piante e allevare animali.
– Ma… è un deserto…!
– Il terreno è sabbioso, ma fertile – disse lui – Anzi, molto fertile. Prima di scendere su Moru abbiamo analizzato il suolo, l’abbiamo totalmente decontaminato e arricchito.
– E… gli animali…?
– Questa è una delle zone che sono state meno contaminate. Animali, ce n’è. Stiamo imparando a prendercene cura.
Veghiani che si prendevano cura di piante e animali…? Sembrava così assurdo!
Poi le venne in mente quel che Actarus le aveva detto e ripetuto: Zuril proveniva da Zuul, un mondo i cui abitanti avevano sempre vissuto come un dono da proteggere, non una preda da saccheggiare.
Il panorama comunque non accennava a cambiare: terreno arancione a perdita d’occhio. Lo spettacolo cominciava ad essere allucinante.
– Non c’è altro, qui attorno? – chiese Maria, impressionata – Voglio dire… solo questa pianura…?
– In pratica – disse Zuril, che amava spiegare ed insegnare – Moru ha una temperatura media globale inferiore a quella della Terra: infatti, noi siamo all’equatore, e il clima non è torrido come ci si potrebbe aspettare… in compenso, le calotte polari sono ghiacciate per una superficie infinitamente maggiore di quella terrestre.
– Vuoi dire che se proseguissimo, troveremmo piuttosto presto i ghiacci eterni?
– Sì, e con temperature molto inferiori a quelle che si rilevano ai poli terrestri. Su Moru, non è assolutamente possibile vivere al circolo polare.
Maria sentì un brivido scorrerle per la schiena: da dopo la morte di Kein odiava la neve, il ghiaccio, persino la brina. – Per piacere, torniamo indietro!
Lui fece compiere un ampio giro alla navetta, puntando di nuovo verso la città: – Come desideri.


Quella stessa sera, Zuril le mostrò come mettersi in contatto con Fleed usando il computer che aveva nel suo studio; dimostrando una sensibilità che lei non si sarebbe mai aspettata da un veghiano, lui salutò Actarus, scambiò qualche parola e poi li lasciò soli perché potessero parlarsi liberamente. Immaginava che fratello e sorella avessero molte cose da dirsi.
– Stai bene? – le chiese subito Actarus, e Maria percepì chiaramente il suo nervosismo.
– Certo. Non preoccuparti, Zuril è molto gentile.
Si guardarono: Actarus aveva una domanda che gli bruciava sulle labbra ma che mai e poi mai le avrebbe rivolto, lei pur comprendendo il fratello sapeva che rispondere l’avrebbe imbarazzata enormemente… si capirono al volo senza parlare, com’era successo molte altre volte.
Subito, Actarus parve rilassarsi: aveva tanto temuto di ritrovare Maria disperata, umiliata, in lacrime; invece, lei gli appariva molto più calma di quanto non fosse stata negli ultimi tempi. Evidentemente, Zuril doveva essere riuscito a rassicurarla, in qualche maniera… però Maria era profondamente infelice, questo era evidente.
– Maria – disse Actarus – mi dispiace.
Come sempre, lei capì al volo: – Sta andando meglio di quanto mi fossi aspettata. Lui è davvero gentile.
– Mi dispiace.
Maria lo guardò come se avesse voluto dire qualcosa e subito abbassò gli occhi: – Insomma, Actarus, sapevamo tutti e due che non si sarebbe trattato di un matrimonio alla “e vissero felici e contenti”, no? Mi sento già fortunata per il fatto che lui non sia un mostro odioso. Va bene così, credimi.
– Maria, quando vorrai farla finita…
– Certo – rispose lei – ma non subito, o tanto valeva non celebrare questo matrimonio.
– Ma…
– Actarus – disse lei, con un tono tale da fargli capire che stava parlando sul serio – il giorno che deciderò di finirla, mollerò tutto e tornerò su Fleed. Hai la mia parola.


- continua -


Link, e vedete voi l'uso che volete farne: #entry532571856
 
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Poi non potrò postare nulla fino alla fine della settimana, per cui ecco la 9.

9

Una delle prime cose che Maria aveva notato su Moru, era lo strano mezzo di trasporto che la gente usava abitualmente per coprire brevi distanze: era un congegno discoidale, del raggio di una quarantina di centimetri circa, chiamato semplicemente Disco – a quanto pareva, i veghiani non avevano una gran fantasia, per quel che riguardava i nomi.
Il fascino di quel mezzo di trasporto era dato dal fatto che funzionava ad energia solare e si muoveva su un cuscino d’aria, un po’ come un hovercraft, il che significava che poteva scorrere agilmente anche sui terreni accidentati. Da subito, Maria aveva guardato con un misto di ammirazione ed invidia le persone che sfrecciavano con i loro Dischi lungo i viali della città. Quanto le sarebbe piaciuto provarne uno! Era sicura che sarebbe riuscita a governarlo subito, così come aveva imparato in fretta a cavalcare o a pilotare una nave.
Quando Zuril le propose un giro per la città, Maria si era aspettata una passeggiata; rimase sconcertata quando lui si presentò con un Disco tra le mani. Era simile a uno scudo rotondo, del diametro di un metro circa, blu metallico, lucidissimo; Zuril lo depose a terra e vi salì sopra, tendendo poi una mano verso di lei: – Su, vieni.
Maria esitò un attimo, prima di salire davanti a lui: non riusciva a capire come quell’affare avrebbe potuto trasportarli, e non era del tutto sicura di potersi fidare di Zuril… si era aspettata poi che quella superficie così lucida fosse scivolosa, ma non era affatto così, anzi: le suole aderivano perfettamente, impedendo di sdrucciolare.
In quel momento lui premette col piede un pulsante al centro del Disco, e questo si sollevò dolcemente di una decina di centimetri da terra, restando poi sospeso; Maria lanciò un grido di sorpresa che Zuril scambiò per paura. Subito lui l’afferrò saldamente per le spalle, trattenendola; poi il Disco scivolò in avanti, obbedendo ai comandi che Zuril gli impartiva spostando semplicemente il peso del suo corpo in avanti o di lato.
Passato il primo istante di timore, Maria prese gusto a quel nuovo mezzo di trasporto: il suo corpo era subito entrato in sintonia col Disco, sentiva istintivamente da che parte inclinarsi, dove spostare il peso e quando farlo.
Zuril percorse un paio di volte il viale d’ingresso perché lei si abituasse al nuovo mezzo; poi infilò la strada che scorreva davanti alla reggia e prese a percorrerla ad una velocità che Maria trovò fin troppo ridotta… lei avrebbe voluto sfrecciare via, sentirsi il vento nei capelli, correre al massimo della rapidità possibile. Il Disco era un mezzo molto più emozionante di qualsiasi altro lei avesse provato, molto più dei pattini o dello skateboard.
Zuril guidava con sicurezza, evitando ostacoli e qualsiasi altro Disco; altri veghiani stavano viaggiando esattamente come loro, e ogni incontro erano saluti e cenni con le mani.
– …per essere energeticamente autosufficienti – disse alle sue spalle la voce di Zuril, riscuotendola.
Lui le aveva detto qualcosa, e lei non aveva sentito nulla… a costo di sembrargli offensiva, Maria preferì dirgli la verità: – Scusa, non ti ho sentito. Ero troppo distratta dal Disco.
– Il Disco…? – si meravigliò lui.
– Mi piace moltissimo. Vorrei provare a guidarne uno.
– Non è così facile come sembra.
– Oh, io imparo in fretta! …Cosa mi stavi dicendo?
– Solo che tutte le abitazioni sono dotate di accumulatori solari e sonda geotermica. Questo le rende totalmente autosufficienti, dal punto di vista energetico.
– Energia rinnovabile… se ne parla molto, sulla Terra.
– Su Zuul, la si usa regolarmente – rispose lui, e c’era un certo orgoglio nella sua affermazione.
Girarono per il quartiere residenziale: le case, tutte circondate da ampi prati più o meno radi, si assomigliavano abbastanza come concezione generale: lineari, grandi finestre, piuttosto basse perché un giorno gli alberi potessero celarle alla vista. La filosofia di Zuul prevedeva appunto che le abitazioni si integrassero con la natura, e non il contrario.
– Ma così dalle finestre non si potrà vedere il panorama – osservò Maria.
– Esiste un panorama migliore degli alberi? – ribatté Zuril, prontissimo, e lei non seppe rispondergli.
Via via che proseguivano, lui le indicò la dimora di Hydargos e Naida (non abitavano troppo distanti dalla reggia, Maria considerò subito la possibilità di una visita all’amica), quella di lady Gandal, e via via quelle di altri veghiani che per Maria non erano altro che nomi.
All’improvviso, svoltato un angolo le case lasciarono il posto a una grande spianata arancione, piuttosto squallida ed inquietante: il centro città che aveva visto dalla navetta il giorno precedente. A parte il Centro medico, che sorgeva un po’ defilato, l’unico edificio era una costruzione tutta plastivetro, che evidentemente non era ancora completata.
– Il Palazzo – spiegò Zuril – Il centro ufficiale del regno. Ci saranno la sala del trono per le udienze, le sale per le riunioni, degli appartamenti per gli ospiti di stato eccetera. Non è ultimata, perché per il momento ci sono cose più urgenti cui pensare.
– E questo sarebbe il centro città – disse Maria. Quel luogo così desolato? Davvero, non riusciva a crederci.
– Come ti ho spiegato, è in costruzione. Prova ad immaginarti il parco, il centro culturale…
– Oh, sarà molto bello – Maria si guardò attorno: desolazione, deserto…
Al limitare di quello che sarebbe stato il parco (e che Maria si ostinava a vedere solo come una squallida spianata) sorgeva il Centro Medico, costituito da vari blocchi di edifici collegati tra di loro e che sorgevano in mezzo a un… giardino, disse Zuril, prato spelacchiato con qualche alberello rachitico, pensò Maria.
Parecchio più in là, lontano, si scorgevano dei lunghi capannoni; Zuril impresse maggior velocità al Disco, la visibilità era ottima e comunque non c’era nessuno.
Là sorgevano le serre, in cui grazie a coltivazioni intensive si stavano rendendo disponibili piante, erbe, alberi e cespugli.
Là sorgeva anche il grande laboratorio in cui lui assieme alla sua squadra di scienziati passava gran parte del suo tempo, creando nuovi tipi di fertilizzanti, studiando maniere più efficienti per decontaminare acque e terreni, preparando nuovi mangimi per gli animali superstiti.
In altri capannoni, le spiegò Zuril, ci si prendeva cura degli animali sopravvissuti alle radiazioni; una volta guariti, sarebbero stati liberati perché riprendessero una vita il più possibile normale.
– Voi fate questo? – esclamò Maria – Voi vi curate degli animali, dopo che avete scatenato la guerra tra pianeti?
– Dobbiamo sopravvivere – rispose Zuril – Pensi che sia possibile farlo, su un mondo senza animali?
– Yabarn non la pensava così, evidentemente! – sbottò lei.
– No, infatti. Moltissimi veghiani non la pensavano così… fino a quando Vega non è collassato, come noialtri di Zuul avevamo previsto.
Già, naturalmente… lui aveva sempre la risposta pronta, c’era poco da fare. Si era preparato bene e non era possibile coglierlo in castagna.
O forse, lui per anni aveva dovuto tacere quel che veramente pensava, mentre il suo sovrano guidava il suo mondo verso la fine… Actarus era incline a pensarla così, le convinzioni di Zuril circa l’inquinamento e l’ecologia sembravano davvero radicate, più derivate da un’intima convinzione di anni e anni, che da una conversione recente.
Del resto, lui era di Zuul.
Quando rientrarono, Maria si sentiva piuttosto stanca: su Moru l’avvicendarsi del giorno e della notte era diverso da quello della Terra e di Fleed, molto simili tra loro, e lei non si era ancora abituata a questo.
Il giorno successivo, era l’ultimo che Zuril poteva dedicarle: poi i suoi impegni l’avrebbero richiamato al laboratorio. Maria non sapeva se essere felice o meno di questo: la presenza di lui la metteva ancora a disagio, ma la sua mancanza avrebbe reso ancora più vuote le sue giornate senza scopo. Che avrebbe potuto fare, lei, per essere utile?
– Hai idea di cosa vorresti fare oggi? – le chiese Zuril, mentre sedevano per fare colazione.
Maria guardò fuori dai grandi finestroni: il mare, cielo azzurro, le onde, il vento… una giornata bellissima.
– Possiamo fare una passeggiata in spiaggia? – chiese.
– Certo – rispose lui – Però non devi assolutamente entrare in acqua. Le radiazioni non sono scomparse del tutto.
Maria faticò a non strangolarsi col boccone che aveva in bocca: – Vuoi dire che viviamo vicino a un mare radioattivo?
– Niente di così pericoloso – rispose lui – In effetti, i livelli di radiazioni sono minimi, e presto saranno del tutto assenti. Comunque, non è il caso di rischiare entrando in acqua, no?
– Ma… la spiaggia…?
– Nessun pericolo. Non ti ci porterei, se non fosse sicura.
Maria non disse più niente: per quel che cominciava a conoscerlo, suo marito era un uomo scrupoloso, per cui c’era da fidarsi.
Fu così che poco dopo uscirono nel giardino esterno, andarono verso il bordo della scogliera e presero a scendere una rampa scavata nella roccia, e che portava alla spiaggia sottostante.
Si trattava praticamente di una grande mezzaluna di sabbia fine, dorata, che correva lungo tutta l’ampia baia su cui sorgeva la città; praticamente, avrebbero potuto camminare per chilometri e chilometri senza incontrare ostacoli.
Maria s’avvicinò al mare, senza però entrarvi con i piedi, come tanto le sarebbe piaciuto fare: eppure, sembrava così bello, così invitante…! Un vento leggero le scompigliava i capelli, le onde s’infrangevano davanti a lei in schiuma bianca; in alto, un uccello argenteo lanciò uno stridio, cui rispose un suo compagno poco distante.
Accanto a lei, Zuril s’inginocchiò a terra, puntò il suo scanner verso l’acqua.
– Qualche problema? – chiese Maria.
Lui si rialzò: – Ancora radiazioni. Praticamente al minimo, ma presenti. Farò trattare ancora una volta l’acqua.
Maria non rispose, osservando la scogliera su cui sorgeva l’abitato: quel posto sembrava l’ideale per costruirvi una città… sicuramente, gli abitanti di Moru avevano fondato lì una delle loro metropoli, e i bombardamenti al vegatron avevano distrutto ogni cosa lasciando le acque inquinate… represse un brivido.
Possibile che il pensiero di Vega non le evocasse altro che orrori, stermini, distruzioni? E lei era diventata regina di quel popolo brutale e violento…!
Guardò di sfuggita suo marito: di quali orrori si era macchiato, lui? Con lei era stato gentilissimo, veramente inappuntabile, ma…
– Andiamo? – propose Zuril; Maria respinse quei pensieri sgradevoli, e sforzandosi di mostrarsi indifferente gli si affiancò, faticando parecchio a tenergli dietro. Aveva le gambe ben più lunghe, lui… Zuril si accorse del suo disagio e regolò il passo su quello della moglie.
Raramente in vita sua Maria aveva potuto vedere il mare: era vissuta in un bosco prima, in una fattoria circondata di pinete poi; quel paesaggio, quegli odori per lei erano qualcosa di totalmente nuovo.
Accanto a lei, Zuril invece si sentiva nel suo elemento: su Zuul aveva vissuto tra laghi e foreste, amava profondamente l’acqua e avere una casa sul mare, poter camminare sulla spiaggia ogni volta che l’avesse desiderato, per lui era l’avverarsi di un sogno. Il giorno in cui poi sarebbe stato possibile nuotare in quelle acque… meraviglioso, non sapeva trovare parole più adatte.
Sulla sabbia, il mare aveva deposto una conchiglia particolarmente bella: una sorta di grande chiocciola bianca madreperlacea, con morbide sfumature rosate. D’istinto, Maria allungò una mano per prenderla; subito, le dita verdastre di Zuril le si chiusero attorno al polso.
– Non toccarla – lui tese lo scanner verso la conchiglia e poi le mostrò il display; Maria guardò, ma i dati che lesse non avevano alcun senso, per lei.
– Non capisco – mormorò, sentendosi ignorante – È radioattiva?
– Sarebbe entro i limiti – disse lui – Ma di poco. Non rischiare.
– Sì – Maria osservò la conchiglia, le spire regolari, il bellissimo bianco lucido iridescente…
– È splendida – disse Zuril, accanto a lei.
Maria lo guardò con stupore: non avrebbe mai pensato che un veghiano… uno scienziato di Vega, poi, un uomo quindi arido come pochi… potesse apprezzare la bellezza.
Ripresero a camminare in silenzio, e lei cominciò a chiedersi se davvero conosceva l’uomo che aveva sposato. Era un veghiano… cioè no, non lo era, esattamente… era di Zuul. Ma che significava? Solo in quel momento, comprese di non aver la minima idea su questo punto.
– Che mondo è, Zuul? – chiese, all’improvviso.
– Zuul? – lui era sorpreso.
– Non ne so niente – disse Maria – Se hai voglia di parlarne…
Certo che lui aveva voglia di parlarne! Per molti, non provenire da Vega era una vergogna, ma lui era sempre stato orgoglioso delle sue origini. Prese perciò a raccontare del suo piccolo mondo verde e azzurro, dai corti inverni rigidi e dalle lunghe estati fresche. Era stato un tempo un possedimento di Vega, poi i coloni avevano seguito una via diversa da quella presa dal loro pianeta d’origine, preferendo integrarsi con la natura del loro mondo piuttosto che sfruttarla e piegarla ai loro scopi. Erano divenuti profondamente attenti agli equilibri biologici, all’uso sensato della tecnologia, all’utilizzo di energie pulite e sicure. Guardati con una certa superiorità dagli altri veghiani, gli abitanti di Zuul avevano avuto il loro riconoscimento quando su Vega la situazione si era fatta insostenibile; si era trattato però di una soddisfazione di brevissima durata, visto che il pianeta Vega era collassato in una catastrofe inimmaginabile… inimmaginabile per tutti, ma non per gli scienziati di Zuul che l’avevano ampiamente prevista, comunque.
Ora, lui, uno scienziato di Zuul che era stato a capo di coloro che inutilmente avevano tentato di far ragionare Yabarn, proprio lui si era visto affidare la responsabilità del popolo di Vega.
– In un certo senso, hai avuto la tua rivincita – osservò Maria.
– A quel prezzo? – Zuril controllò un sasso, lo prese e lo lanciò in mare: – Credimi, Maria: avrei preferito non averla.
– Però adesso la tua gente si fida di te.
– Oh, certo, sanno che li ho salvati – rispose lui, con un certo sarcasmo amaro – Sono un eroe, non lo sapevi? L’unica cosa che non mi perdonano, è il fatto che io non abbia ucciso Yabarn.
– È… ancora vivo? – si stupì Maria.
– Vivo, e completamente impazzito. Praticamente è ridotto poco più di un vegetale, non parla, reagisce a malapena. L’ho affidato a un paio di custodi, gli ho fatto preparare un quartiere dietro casa nostra e ho costruito un robot guardiano per evitare che qualcuno potesse decidere di eliminarlo.
Maria lo guardò come se non l’avesse mai visto prima d’allora: – L’hai lasciato vivere…?
– Sì. Pensi che sia una stupidaggine? Probabilmente hai ragione.
– Non lo penso – disse a mezza voce lei – Sono contenta che tu non l’abbia ucciso.
Zuril nascose la sua sorpresa dietro la sua solita aria impassibile: si era aspettato stupore, magari disprezzo… praticamente tutti gli avevano detto che lasciarlo in vita era folle e inutile… e invece Maria sembrava comprenderlo.
Un vento improvviso, piuttosto freddo, venne dal mare: ormai era quasi sera, la temperatura adesso sarebbe calata in fretta. Maria rabbrividì: – Torniamo?
– Certo – e si avviarono verso casa.


Il mattino dopo, Zuril si alzò più presto di quanto non avesse fatto i giorni precedenti, si lavò e si vestì senza far rumore e passò in soggiorno, dove i robodomestici avevano preparato per la colazione; con sua grande sorpresa, quasi subito vide arrivare anche Maria.
– Ti ho disturbata, mi dispiace – disse lui, versandole una tazza di ween – Ho cercato di non fare rumore, ma…
– Mi sono svegliata da sola, non preoccuparti – in realtà aveva voluto alzarsi per salutarlo, e lei stessa non avrebbe saputo dire il perché di questo suo desiderio – Quando torni?
– Non ho idea, in questi giorni il lavoro si è accumulato – rispose lui, un po’ stranito: da tantissimo tempo nessuno gli chiedeva dei suoi orari, non era più abituato al fatto che qualcuno potesse interessarsi a lui, aspettarlo – Verrò stasera, ma non posso essere più preciso.
Un’intera giornata tutta per lei, da trascorrere da sola… stranamente, l’idea non l’entusiasmava. – Ti aspetto per la cena.
– Va bene – tornare a casa, trovare qualcuno… no, non era decisamente più abituato a questo.
Maria si morse nervosamente il labbro: tutto quel tempo davanti a lei… che avrebbe fatto? Come avrebbe potuto impiegarlo? Come al solito, non riusciva a trovare uno scopo per sé stessa. E sarebbe stata sola… che tristezza…
– Vorrei rendermi utile – disse, all’improvviso.
Zuril, che stava per alzarsi, tornò ad appoggiarsi allo schienale della sua sedia: – Cosa vorresti fare?
– Non voglio restare con le mani in mano. Posso aiutarti in qualche modo?
Lui scosse il capo: – Passo gran parte della giornata chiuso nel mio laboratorio. Sto perfezionando la formula del fertilizzante che ho portato anche a tuo fratello; ma non credo che tu abbia conoscenze di chimica, o sbaglio?
Maria chinò la testa. No.
Appariva davvero umiliata: non aveva un suo ruolo, un suo compito, si sentiva totalmente inutile. Lui stesso non avrebbe saputo che suggerirle, visto che non aveva idea di quale avrebbe potuto essere la sua utilità... vederla così abbattuta gli diede un forte senso di disagio.
– Maria, tu sai poco di noi, e conosci ancora meno questo pianeta. Guardati attorno: sei la regina, come prima cosa dovresti capire il tuo mondo e il tuo popolo.
Lei alzò la testa, lo guardò con gli occhi lustri: – Tu... credi...?
– Penso che tu debba trovare da sola la tua strada – insisté Zuril.
E non posso trovarla se non conosco nulla di questo posto e questa gente, comprese lei. Ormai la mia vita è qui.
– Hai ragione – si trattenne dall’asciugarsi gli occhi, non voleva mostrargli di essere sul punto di piangere – Non so praticamente nulla circa la vita qua. Devo imparare, prima.


- continua -

Link per uova & affini: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=1290#lastpost

Edited by H. Aster - 23/4/2013, 23:42
 
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Credevate di salvarvi, eh? Invece, eccovi pure la 10. :onion1:

10

Quel giorno, Maria trascorse parecchio tempo seduta al computer che Zuril teneva nel suo studio: nonostante lui le avesse spiegato come usarlo, all’inizio lei imprecò visto che c’erano parecchie differenze di funzionamento con i computers terrestri. Scelse subito il modo d’uso a digitazione: avrebbe affrontato più avanti i comandi vocali, e non parliamo poi dei comandi dati dai movimenti dell’occhio...! Più avanti, Zuril le avrebbe confidato di scegliere talvolta pure lui la modalità digitazione, la trovava rilassante.
Fu così che, risolte le prime incomprensioni con il computer, Maria poté finalmente scorrere i dati sul pianeta che era ormai diventato la sua patria, Moru.
Innanzitutto, era più piccolo della Terra, e orbitava parecchio più lontano dal suo sole, Yrea, che però era una stella bianco-azzurra, caldissima: questo faceva sì che in cielo il sole apparisse grande la metà di quello terrestre, ma che fosse anche più luminoso e che scaldasse altrettanto.
Anche la luce, i colori di Moru erano diversi da quelli terrestri: la maggiore luminosità rendeva la visione più netta. Maria, che mai aveva sentito il bisogno sulla Terra di indossare delle lenti, sentendosi gli occhi abbagliati prese l’abitudine nei giorni di sole pieno di portare degli occhiali scuri. Non fu sorpresa di vedere molti veghiani fare altrettanto.
Moru presentava un’inclinazione assiale lievemente inferiore a quella terrestre, il che rendeva possibile l’alternarsi delle stagioni. Il clima del pianeta era però più rigido, e siccome la zona scelta dai veghiani per insediarsi era a livello quasi equatoriale, vi era un netto scarto di temperatura tra il giorno e la notte, più che tra le stagioni, che in pratica in quella zona erano inesistenti. La temperatura era quella di una primavera inoltrata, e a quanto pareva così restava quasi sempre.
Maria tradusse in gradi celsius i dati circa la temperatura media: venticinque, con una variabilità dai quindici in piena notte ai trenta nei giorni più caldi. Per lei, che odiava l’inverno da quando aveva visto morire Kein nella neve, fu una notizia piacevole.
Attorno a Moru ruotavano ben quattro satelliti: Harunak, il più grande, paragonabile alla Luna, poi, in ordine di dimensioni, Glee, il luminoso Jeyel e infine il piccolo Rander, in pratica una sorta di ciottolo oblungo a forma di patata.
Moru ruotava su sé stesso in circa dodici ore terrestri, circa la metà del tempo che Fleed impiegava per una rotazione. I veghiani avevano i bioritmi coordinati sulle ventisei ore del loro pianeta d’origine: praticamente calcolavano un giorno in due rotazioni, e la cosa più singolare della vita quotidiana su Moru era il fatto che all’ora che avrebbe dovuto corrispondere a mezzogiorno fosse notte fonda visto che, a quella latitudine, su dodici ore quelle di luce erano sette. In pratica, così scoprì Maria, ci si alzava che era giorno fatto, dopo poco il sole tramontava, cinque ore di buio e poi ancora il sole per altre sette ore. Le case erano dotate di vetri oscuranti e tendoni in modo da ottenere all’interno un buio perfetto, essenziale per poter dormire durante le ore di luce; del resto, cinque ore di oscurità erano un po’ poche per garantire un buon riposo.
Ho capito, si dorme una notte sì e una no, si disse Maria, che era un tipo spiccio.
Su Moru, gli oceani coprivano il 75 % della superficie; le terre emerse erano costituite da un enorme continente e una gran quantità di isole e arcipelaghi. I poli erano gelati, e gran parte delle terre abitabili erano desertificate o quasi.
Maria studiò meglio la zona in cui era stata fondata la capitale: niente da dire, Zuril aveva avuto buon senso. Clima mite e stabile, piogge moderate, una lieve brezza costante proveniente dal mare, un fiume. Un panorama meraviglioso, visto che la città sorgeva su un ampio golfo. Un posto ideale... e infatti, scoprì che proprio là un tempo si era trovata la reggia in cui Markus era nato e cresciuto.
Dell’antica città non c’era più niente: le pochissime macerie rimaste, veri e propri cumuli di polvere, metallo e pietre, lady Gandal le aveva fatte togliere di mezzo per costruire i nuovi edifici. I veghiani erano gente pragmatica, incline ad eliminare ciò che era ritenuto vecchio ed inutile, più che a conservarlo: con ogni probabilità, una scienza come l’archeologia da loro avrebbe avuto poco successo.
Un’intera civiltà completamente spazzata via... Maria represse un brivido.
Non devo pensarci. Devo pensare al futuro, invece. Molta di questa gente non è colpevole di quel che è accaduto...
Spense il computer e si alzò, guardandosi attorno e osservando per la prima volta quella che era la sua casa.
Sulla Terra sarebbe stato considerato un appartamento grande, anche se non immenso: ed era una reggia. I veghiani avevano gusti frugali, senza dubbio.
Si trattava di ambienti vasti, ariosi, dalle grandi portefinestre che si aprivano sul giardino o che davano sulla scogliera: dopo anni e anni di vita sigillati in una base, sembrava che i veghiani avessero un gran bisogno di aria, luce. La possibilità di aprire una porta, uscire su un prato, per loro doveva essere una sorta di sogno meraviglioso.
I mobili erano pochi, visto che in gran parte erano stati recuperati dalla base Skarmoon, ed erano molto semplici e lineari. Le stanze apparivano piuttosto severe, prive com’erano di tende e tappeti; molto rari anche soprammobili e decorazioni. In compenso, l’arredamento era molto funzionale, divani, letti e poltrone erano disegnati per essere confortevoli. I veghiani evidentemente badavano più alla comodità e alla praticità che all’estetica e all’eleganza; tuttavia Maria dovette ammettere tra sé e sé di non trovare sgradevoli quegli ambienti dall’apparenza così austera.
Poco discosto dalla sua casa… no, la reggia (Maria faticava a considerarla tale), separato da un cortile cui era possibile accedere attraverso una portafinestra della sala, si trovava un altro alloggio: là viveva Yabarn, l’antico Re Vega, completamente perso nella sua silenziosa follia. Attorno al cortile poligonale sorgevano le varie stanze che componevano la residenza del sovrano e dei suoi custodi, una coppia di coniugi non giovanissimi incaricati del suo benessere.
Accudito in tutto e per tutto, il vecchio Yabarn trascorreva le sue giornate lontano dal resto del popolo di Vega, che non amava nemmeno ricordarsi della sua esistenza.
Zuril aveva preferito tenerlo separato dalla propria abitazione, ma sufficientemente vicino per poter essere presente in caso di bisogno. In realtà sentiva di non dover nulla al suo antico sovrano; tuttavia, per amore di Rubina, della cui morte si riteneva ancora colpevole, aveva deciso di occuparsi di lui, ignorando chiunque – colleghi, soldati, civili, praticamente tutti – gli aveva detto e ripetuto di eliminarlo una volta per tutte. Quella soluzione gli era parsa ideale.
Maria gettò uno sguardo dalla portafinestra della sala: sarebbe bastato attraversare il giardino per trovarsi nel cortile di Re Vega. La finestra dello studio personale di Zuril dava proprio sopra l’aiola… girò la testa. Non voleva nemmeno rivederlo, Yabarn. Forse un giorno… ma non ora.
Riprese a studiare la sua casa.
Innanzitutto, c’era il soggiorno: ampio, arioso, tutto sui toni dell’azzurro, del bianco e del blu, illuminato dalle grandi portefinestre che davano da una parte sul giardino, e dall’altra sul mare.
Ciò che attirava maggiormente lo sguardo era una grande scultura posta su un mobile, un blocco in vetro fuso la cui forma ricordava a Maria un delfino incurvato nel salto. I colori andavano dal bianco puro a un tono acceso di blu, con qualche scintillio d’oro: gli effetti di colore cangiante, il gioco dei rilievi facevano sì che l’animale sembrasse guizzare, rapido, vivo.
Era un oggetto bello e prezioso, che attirava lo sguardo e faceva venir voglia di toccarlo, lisciarlo con la mano. Come ebbe a dirle Zuril, si trattava dell’opera di un autentico artista, uno scultore proveniente da Dera.
Mai Maria si sarebbe immaginata che a donar loro una simile meraviglia fosse stato un uomo come Hydargos… invece, quell’opera d’arte era il suo regalo di nozze.
No, sicuramente non era stato così, era stata Naida a scegliere, lui aveva pagato e basta. Non era possibile che un mostro come Hydargos avesse una sensibilità tale da poter apprezzare quella scultura.
Oltre al grande soggiorno c’era lo studio personale di Zuril, la cucina (regno dei robodomestici, per fortuna, lei era negata nel cucinare), la grande camera da letto, ora sua, quella più piccola di Zuril e altre stanze la cui destinazione non era stata ancora decisa.
La casa era costruita secondo le regole di Zuul: niente sprechi ed energia a costo zero, il che significava pannelli solari sul tetto e una sonda geotermica che provvedeva al riscaldamento. Non che ce ne volesse molto: a quelle latitudini, le giornate fredde erano davvero poche. Va detto però che in certi periodi dell’anno il vento soffiava, e soffiava forte.
Attorno alla reggia era stato lasciato uno spazio ampio senza abitazioni: all’occorrenza, sarebbe stato possibile aggiungere nuove stanze. Comunque per il momento, visto il tipo di vita semplice che conducevano, quella casa era più che sufficiente.
Con suo grande sollievo, Maria aveva scoperto da subito di non dover eseguire praticamente nessun lavoro casalingo, visto che c’erano i robodomestici che pensavano a tutto.
Innanzitutto, c’era quella che Zuril definiva “Unità Due”. Era una specie di lucido disco brunastro, il cui compito era la pulizia dei pavimenti: la sua programmazione prevedeva l’aspirazione della polvere, il lavaggio, l’asciugatura e la lucidatura. Perfettamente efficiente, girava in silenzio nella casa pulendo e lustrando, il tutto utilizzando energia solare a costo zero. Maria lo adorava: il suo unico rimpianto era il non poterne inviare uno a Venusia, che sicuramente l’avrebbe apprezzato.
Certo che “Unità Due” come nome non le sembrava un granché. A dire il vero, per forma e colore il robot le ricordava parecchio dei biscotti al cioccolato che Venusia una volta aveva fatto per il compleanno di... di Alcor (e qui Maria sentì uno spasimo al petto). Era una ricetta americana, nel periodo in cui aveva risieduto presso la NASA il ragazzo aveva divorato chili su chili di quei dolci... brownies, sarebbe stato il loro nome, ma Alcor si sbagliava regolarmente e li chiamava cookies.
Fu così che Cookie fu il nome che soppiantò quello più serioso di Unità Due.
C’era poi anche Unità Uno, che Maria, nemmeno lei sapeva il perché, aveva ribattezzato subito col nome di Dexter: si trattava di un robot vagamente antropoide blu metallico, dotato di lunghissime braccia estensibili che quando non venivano utilizzate rimanevano nascoste all’interno, e che potevano assolvere praticamente a qualsiasi funzione, dalla pulizia dei vetri alla piegatura della biancheria, dallo spolverare le superfici al riporre con ordine degli oggetti, oltre che alla preparazione dei pasti. Rapido ed efficientissimo, Dexter riusciva a riordinare tutto il caos che Maria lasciava dietro di sé. Non brontolava, non commentava, non poteva nemmeno pensare male della sua disordinatissima padrona. Se possibile, Maria lo adorava anche più di Cookie.
Unità Tre invece si occupava del giardino: si trattava di una sorta di barilotto rosso metallizzato, montato su cuscinetti a cingolo concepiti per potersi muovere anche su terreno accidentato. Dotato di svariate braccia meccaniche che normalmente restavano nascoste sotto la sua corazza, il robot era in grado di dissodare il terreno, scavare buche, piantare fiori e arbusti; la sua programmazione gli permetteva di stabilire quanto, come e dove innaffiare. Maria lo ribattezzò subito George, e anche per questo nome non avrebbe saputo dire il motivo.
I giardini, come ebbe modo di capire, erano molto importanti per i veghiani, che avevano costruito le loro abitazioni prevedendo attorno a ciascuna una zona di terreno destinato alla coltivazione di alberi e arbusti: in quel modo, in un futuro non troppo lontano l’intero abitato sarebbe stato immerso nel verde. Così erano le città di Zuul, e così Zuril aveva voluto che fosse su Moru: e il suo popolo, esasperato da anni di vita in ambienti artificiali, aveva accolto con entusiasmo il progetto.
Il successivo oggetto di studio per Maria fu proprio la città in cui ora risiedeva: era la futura capitale – cioè, lo sarebbe diventata quando fossero sorti nuovi insediamenti. Per ora, l’intera popolazione ammontava a poco più di diecimila persone, per cui di fondare nuovi centri abitati non era ancora il caso di parlarne. Ma i veghiani amavano guardare al futuro.
Come Maria ebbe modo di scoprire, circa il nome della capitale i veghiani non avevano avuto dubbi, e con una grande alzata d’ingegno l’avevano battezzata Vega: il loro mondo non esisteva più, il suo nome veniva ricordato su quel nuovo pianeta.
Per realizzare la nuova città, Zuril si era rivolto a tecnici di Zuul: le abitazioni del suo pianeta natale tendevano ad integrarsi con la natura, non a dominarla, e a sfruttare energie rinnovabili. La nuova Vega sarebbe sorta secondo questa precisa filosofia.
Responsabile della costruzione della città, lady Gandal si era sentita dire dal suo nuovo sovrano che i tecnici di Zuul sarebbero stati sì ai suoi ordini, purchè lei rispettasse i canoni di costruzione che loro le avrebbero spiegato.
Lady Gandal era una donna intelligente: dopo le prime inevitabili incomprensioni, aveva trovato un accordo con i tecnici, addirittura dopo un iniziale scetticismo aveva preso ad appassionarsi al nuovo progetto. In più, si trovava bene a lavorare in coppia con Bran, l’ingegnere capo: praticamente, lei proponeva e lui trovava il modo di risolvere i problemi.
La città aveva cominciato a sorgere secondo i dettami di Zuul, ma su disegno della stessa lady Gandal e per opera di Bran: abitazioni singole, al massimo di due piani, tutte dotate di giardino e di uno spiazzo per l’atterraggio delle navette, che sarebbero sorte a una certa distanza l’una dall’altra, con grandi spazi verdi in mezzo.
Maria aprì un file che conteneva una pianta della città allo stato attuale, con i progetti per le costruzioni future. La reggia e gran parte della zona residenziale si trovava vicino al mare, affacciata sul golfo; verso l’interno si trovava la zona industriale, il Centro Medico, i laboratori e soprattutto le serre.
Là lavoravano migliaia di persone, occupate a coltivare e far riprodurre piante, destinate in parte all’alimentazione e in parte a rimboschire il pianeta. Una strada collegava l’abitato alla zona industriale, in modo che i lavoratori grazie ai loro Dischi potessero passare agevolmente dalla loro abitazione al posto di lavoro e viceversa.
I veghiani erano gente prudente: guerrieri e predatori, a loro volta tendevano ad aspettarsi dagli altri il trattamento che loro stessi serbavano loro. Tutt’attorno alla città era stato costruito un sistema difensivo basato su sensori che avrebbero segnalato immediatamente l’ingresso di un intruso, animale o umano che fosse.
Maria rimpicciolì la pianta per osservare il terreno circostante: semibrullo, come la maggior parte della superficie del pianeta, e disabitato. Maria sentì una fitta al petto: sembrava strano vivere in un mondo deserto, sapere che al di fuori di quella città, quelle case, c’era il nulla… strano, e pauroso.
Si riscosse: di che avrebbe dovuto aver paura? Non c’erano nemici al di fuori dei confini di Vega, non c’erano nemmeno animali predatori. Era assurdo aver paura.
Spense il computer: fortuna che non aveva mai manifestato a suo marito quei timori sciocchi… chissà che opinione si sarebbe fatto di lei. Già doveva ritenerla una stupidella: lei era sicura che le maniere cortesi di Zuril nascondessero un profondo disprezzo per la sua immaturità ed inesperienza.
Certo, anche Procton era uno scienziato geniale, un uomo d’altissima levatura; pure, accanto a lui Maria si era sempre sentita a suo agio, l’aveva persino preso bonariamente in giro chiamandolo cervellone. Con Zuril non si sarebbe mai permessa nulla di simile, lui aveva la capacità di metterla a disagio come non le era mai accaduto con nessuno… si sentiva sempre sotto esame, soppesata e trovata carente. Sapeva che era irrazionale pensare questo, con lei Zuril era sempre stato la correttezza fatta persona, ma lei non poteva impedirsi di sentirsi turbata, insicura.


Il successivo giorno festivo, Zuril le porse un Disco rosso fiamma: era per lei, ed era già carico d’energia, pronto per essere usato.
– Provalo sul prato, finché non avrai imparato – consigliò Zuril.
Maria alzò le spalle: – Ma è facile da guidare!
– Non è detto che sia così semplice – rispose lui – Comunque, se proprio vuoi provarlo sul viale non lamentarti poi per le conseguenze.
Maria sbuffò, alle volte Zuril era pedante come suo fratello Actarus; comunque accettò il consiglio e andò a provare il Disco sul prato del giardino.
Aveva visto tante volte la gente avviarlo, non era difficile: lo si posava a terra, si montava sopra, si premeva il pulsante d’avviamento al centro del Disco, e poi… via!
Schiacciò il pulsante, e un istante dopo si ritrovò nell’erba, senza capire cosa fosse successo.
– Niente movimenti frettolosi – le consigliò Zuril, che da sotto il patio stava godendosi la scena.
Maria salì di nuovo, premette il pulsante con un movimento meno brusco; il Disco si sollevò, oscillando leggermente. Per farlo partire bisognava chinarsi in avanti, e per curvare occorreva spostare il peso da un piede all’altro, questo Maria lo sapeva perfettamente. Si piegò in avanti, il Disco ebbe uno scatto brusco e lei capitombolò nuovamente al suolo. Stavolta, Zuril dovette faticare parecchio per non ridere.
Con le guance rosse di collera, Maria tentò ancora: percorse un paio di metri, prima di finire ancora a terra. La volta dopo riuscì a mantenersi in equilibrio, ma al primo tentativo di curvare il Disco le sfuggì nuovamente sotto ai piedi. Inferocita, Maria ritentò ancora e ancora, mentre Zuril, saggiamente, si guardava bene dal manifestare tutta la sua ilarità; alla fine, sconfitta, lei risalì su per il prato trascinandosi dietro il Disco, e sedette accanto a Zuril, mogia.
– Cos’è che sbaglio? – mormorò, confusa.
– Sei troppo brusca – spiegò lui, versandole un bicchiere di bibita fresca – Brusca quando sali, quando lo fai partire, quando curvi. Il segreto è semplice: movimenti fluidi.
Lei lo guardò, dubbiosa, tra un sorso e l’altro: – Sicuro che il Disco non sia difettoso?
Zuril non rispose, prese il Disco, lo posò sull’erba e vi salì sopra. Premette appena il pulsante (lei lo schiacciava come un insetto), e sfrecciò su e giù per il prato, curvando agilmente per evitare alberelli e cespugli, saltando un grosso sasso e infine arrestandosi esattamente dove era partito. Maria rimase attonita a guardarlo: in effetti, i movimenti con cui Zuril aveva guidato il Disco erano minimi, bastava poco per imprimere più velocità, curvare o rallentare, e soprattutto, lui si era mosso con scioltezza, senza scatti o spinte improvvise.
Terminò la sua bibita e andò nuovamente a mettere il Disco sull’erba. Salì, lo fece partire, e stavolta riuscì a mantenersi molto meglio in equilibrio. Cercò d’imitare i movimenti fluidi di Zuril, e riuscì a sfrecciare giù per il prato. Curvò un poco più bruscamente, il Disco sbandò appena, non ebbe lo scarto brusco delle volte precedenti… Zuril aveva avuto ragione, e lei si era comportata da sbruffona.
Continuò a percorrere il prato in su e in giù, acquistando una sicurezza sempre maggiore; alla fine infilò il vialetto e si immise nel largo viale principale, attraversando il centro residenziale della città.
Solo dopo aver compiuto un lungo giro, Maria rientrò a casa; Zuril l’aspettava ancora sotto al patio, e lei provò uno strano senso di soddisfazione nel potergli far vedere quanto aveva imparato. Scese dal Disco, il viso stavolta roseo dall’eccitazione.
– Avevi ragione – disse, semplicemente.
Zuril non fece commenti, ma dentro di sé fu stupito: conosceva abbastanza Maria da capire che lei fosse il genere di persona un po’ permalosa che non ammetterebbe mai un suo sbaglio. Sentirle dargli ragione, e soprattutto farlo in tutta naturalezza, lo lasciò stupito.
Che la ragazzina stesse maturando?

- continua -


Link per chi ha un vaffa nel cuore: #entry532715966
 
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11

Più volte, Maria aveva occhieggiato attraverso la portafinestra della sala il giardino interno che si estendeva sul retro: era un grande cortile poligonale, occupato al centro da una vasta aiola in cui cresceva un albero, dritto e verde. Ai piedi dell’albero spuntavano delle foglie che Maria conosceva bene: le Rubine, i fiori rossi di Fleed cui Actarus aveva dato il nome della figlia di Re Vega. Zuril aveva ricevuto in dono un fascio di quelle piante, che crescevano robuste e tendevano a moltiplicarsi facilmente; e ora, eccole su Moru a decorare il giardino privato dell’ex sovrano Yabarn.
Maria strinse i denti: nonostante provasse molta curiosità per quel giardino interno, l’idea di incontrare il vecchio sire le piaceva poco, per cui ogni volta richiudeva la portafinestra, dicendosi che magari, un’altra volta…
Eppure, quel cortile, le stanze che lo circondavano, facevano parte della sua casa. E lei non vi aveva mai messo piede.
Un giorno non poté resistere: non si vedeva nessuno, forse avrebbe potuto entrare nel giardino senza essere vista.
Entrò quasi in punta di piedi: l’albero era davvero bello, il tronco sottile e dritto, la chioma folta e scura. Tra le lucide foglie verdi ai suoi piedi cominciava a spuntare qualche bocciolo rosso fuoco: presto le Rubine sarebbero fiorite, e sarebbero state uno spettacolo meraviglioso. Peccato, tanta bellezza per un uomo come Re Vega!
No, Re Vega era ormai Zuril. Yabarn, si chiamava Yabarn.
Maria mosse qualche passo, guardandosi attorno: il giardino era delimitato dalle stanze che costituivano l’alloggio dell’anziano sire e dei suoi due custodi, una coppia di mezz’età che Zuril aveva ingaggiato per l’occorrenza. Fortuna che non c’era nessuno…
Quasi lanciò un urlo, quando girando attorno all’aiola per poco non andò a sbattere contro una sagoma immobile.
Era seduto su una panchina di pietra, all’ombra dell’albero, e fissava insistentemente le Rubine. Appariva immenso, anche se era curvo in avanti come se avesse avuto un peso enorme a gravargli sulle spalle; la testa era ricoperta di foltissimi capelli grigi, grigia era la barba, grigiastro il viso in cui due occhi smorti sembravano guardare tutto senza vedere nulla.
Ci volle qualche secondo perché Maria riconoscesse in quel vecchio Yabarn, l’antico Re di Vega.
– Voi…! – mormorò, inorridita. Proprio l’uomo che aveva tanto sperato di non incontrare!
Lui non si mosse, continuò a fissare le Rubine.
Maria lo guardò meglio, si fece avanti.
Lui non la vide nemmeno.
– Non può rispondervi, sapete – disse una voce gentile.
Maria alzò lo sguardo: sulla porta di fronte a lei era apparso un uomo piccolo e tozzo, di mezz’età, dall’aria simpatica; accanto a lui, un uovo d’argento grosso circa come una testa umana sembrava galleggiare a mezz’aria.
– Non badategli – disse l’uomo, mentre Maria fissava attonita quello strano congegno – è il nostro guardiano. Naturalmente sa che voi non costituite un pericolo; in caso contrario, vi avrebbe attaccata.
– Buongiorno, scusate se sono entrata nel vostro giardino – cominciò Maria, sempre tenendo d’occhio il robot.
– Maestà, siamo noi ad essere in casa vostra – l’uomo chinò compitamente la testa – Voi potete venire quando e come vorrete. …Quanto a Yabarn, non può rispondervi. Probabilmente, non può nemmeno vedervi: è completamente perso in un mondo tutto suo.
– Ma… è sempre così? – chiese Maria, abbassando istintivamente la voce.
– Quasi sempre, e non occorre che sussurriate, lui non può davvero sentirvi – l’uomo prese Yabarn per mano e lo scosse con gentilezza; subito l’altro si rimise in piedi, sempre con quel terribile sguardo vacuo.
– E non ascolta proprio mai? – chiese Maria, impressionata.
– Solo se lo si stimola, e non sempre funziona – l’uomo diede un paio di colpetti al braccio di Yabarn, e un barlume di comprensione apparve negli occhi del vecchio: – Andiamo, è l’ora della vostra tisana.
Stavolta Yabarn emise una specie di grugnito d’assenso, aveva capito.
– Fa sempre così, la sua tisana gli piace molto e l’aiuta a rilassarsi – l’uomo prese a guidare Yabarn verso la casa. Era uno strano spettacolo vedere quel piccoletto pilotare il vecchio, gigantesco Re Vega, cui con la testa arrivava poco più in alto del gomito: sarebbe stato persino divertente, se non fosse stato tragico.
– A proposito, Maestà, non mi sono presentato – continuò l’ometto – Mi chiamo Arbogast. Mia moglie ed io possiamo avere l’onore di offrirvi una tazza di ween?
Maria, ancora sconvolta per quanto stava vedendo, si riscosse: nonostante l’angoscia che provava, quell’ometto le era davvero simpatico… accettò senza quasi rendersene conto: – Grazie, se non vi è di disturbo.
– È un piacere, invece! – Arbogast sembrò illuminarsi in viso; in quel momento, sulla porta si affacciò sua moglie, Neela.
Maria si era aspettata una donnina di burro, piccoletta e tonda; rimase stupita nel vedere una donna più alta del marito e ben fatta, il viso luminoso incorniciato dai corti capelli azzurro chiaro striati d’argento. Da giovane, doveva essere stata una vera bellezza.
Maria trattenne il suo stupore: una donna ancora così bella, con un ometto simpatico sì, ma decisamente non affascinante…! Pure, i due sembravano in perfetta armonia, ancora innamorati dopo tanti anni.
Poco dopo Maria sedeva ad un tavolo tondo, una gran tazza di ween tra le mani; Neela le pose davanti un piatto di biscotti (“li faccio io, mi piace cucinare”), una fruttiera colma e una sorta di crema dolce (“Maestà, scusatemi, se avessi saputo di avervi con noi…”).
Sorseggiando la sua bevanda, Maria si ritrovò a chiacchierare in tutta tranquillità: quei due le ispiravano un’istintiva simpatia, erano il genere di persone buone capaci di scaldare il cuore di chi aveva la fortuna di avvicinarle. Con sua grande sorpresa, Maria si scoprì del tutto a suo agio, nonostante alla stessa tavola sedesse Yabarn, che beveva golosamente la sua tisana, sgranocchiando un biscotto. Poco più in là, il robot argenteo fluttuava a mezz’aria, silenzioso.
Nel frattempo, Arbogast stava spiegando come lui e sua moglie fossero divenuti i custodi di Yabarn. Su Skarmoon, lui era stato un tecnico di alto livello, responsabile della manutenzione degli impianti d’areazione, compito decisamente importante e di grande responsabilità in una base spaziale; Neela invece si occupava dei climatizzatori. Era lei a far sì che temperatura ed umidità nella base si mantenessero su livelli ottimali. Paradossalmente, per loro il trasferimento su Moru era stato fonte di problemi: gli impianti d’areazione non avevano senso su un mondo ricco d’aria fresca e pulita, e quanto a temperature ed umidità, dato il clima della zona in cui si trovavano, non si era reso necessario nemmeno dotare le case d’un sistema di riscaldamento. Entrambi si erano ritrovati quindi dall’essere tecnici altamente specializzati con incarichi di responsabilità a persone inutili di cui nessuno sapeva che fare.
Secondo la logica spietata di Vega, loro erano divenuti due esseri improduttivi, due pesi di cui sbarazzarsi, esattamente come un peso era considerato ormai Yabarn; era stato Zuril in persona ad intervenire, offrendo loro l’incarico di prendersi cura dell’antico sovrano e trovando così una soluzione capace di soddisfare tutti e tre.
– Credetemi, non tutti l’avrebbero fatto – concluse Arbogast – Neela ed io eravamo convinti che ci avrebbero soppressi.
– Ma è orribile! – esclamò vivacemente Maria.
Neela, che stava versando un’altra tazza di tisana al vecchio Re Vega, scosse la testa: – Voi adesso vedete Yabarn così tranquillo e silenzioso: credetemi se vi dico che lui per primo ci avrebbe fatti eliminare.
Maria sentì un nodo stringerle la gola: Neela parlava senza il minimo rancore, come se il fatto di venire… come aveva detto lei, “eliminata”… fosse una cosa normale. Proprio mentre diceva questo di Yabarn gli stava versando la tisana, e intanto gli porgeva un biscotto con un gesto affettuoso, come avrebbe fatto una mamma col suo bambino. Del resto, il vecchio sovrano appariva perfettamente in ordine, ben curato, barba e capelli tagliati, vestiti di bucato. Zuril aveva visto giusto, scegliendo quei due come custodi della vecchia carogna… e quanto a Yabarn, dopo una vita trascorsa a sterminare popolazioni, eccolo accudito in tutto e per tutto da due persone che erano arrivate persino a volergli bene! Sembrava impossibile.
Fu una Maria decisamente stranita quella che fece ritorno a casa quella sera, un contenitore di biscotti tra le mani. Aveva dovuto promettere di tornare ancora per una tazza di ween, e tutto sommato l’idea qualche altra ora in compagnia di Arbogast e Neela le faceva solo piacere.
Sapeva che non tutti i veghiani erano i mostri sanguinari che lei così ben conosceva; aver incontrato quei due, così affettuosi, così piacevolmente “normali”, le aveva fatto davvero bene.


La casa in cui Naida abitava con il marito era relativamente poco distante dalla reggia, nel cuore della zona residenziale; andare in visita fu una delle prime cose che Maria fece non appena ebbe preso confidenza con l’uso del Disco.
Naida l’accolse affettuosamente, andandole incontro all’ingresso del grande prato spelacchiato… giardino, cioè… che circondava l’intera villa. Maria ripose il Disco lasciandolo in una zona di luce perché si ricaricasse, come le aveva insegnato Zuril, e poi seguì l’amica che voleva mostrarle ogni cosa.
Maria era pronta a vedere i soliti ambienti grandi, ariosi ma piuttosto anonimi cui stava cominciando ad abituarsi; fu subito ben chiaro che la casa di Naida era qualcosa di completamente diverso, e personale.
Tutte le case di Vega erano state arredate quel che era stato portato via da Skarmoon: questo aveva fatto sì che molto spesso le abitazioni avessero un’aria un po’ trascurata, come se i mobili fossero stati scelti e disposti a caso – e molto spesso era appunto così, visto che la gente di Vega non brillava certo per senso artistico.
Con sua grande sorpresa, Maria si rese conto che la casa di Naida era qualcosa di completamente diverso dalle altre: e sì che anche lei aveva dovuto arrangiarsi con quel che c’era! L’effetto era però ben diverso, le stanze apparivano tutt’altro che fredde ed anonime. Maria si guardò attorno, cercando di capire il perché di questo: la risposta era però soprattutto nel buon gusto di Naida, che era stata capace di trovare il modo giusto di disporre e valorizzare quello che aveva avuto sottomano.
Altra cosa inconsueta, in un angolo della sala si trovavano delle piante in cultura idroponica: Maria le guardò con un certo stupore, i veghiani non erano persone da dedicarsi tanto alla floricultura… cioè, non lo erano stati fino a quando non erano giunti su Moru, dove era esplosa una vera mania per i giardini… comunque, si trattava delle piante che Hydargos aveva donato a Naida in tutti quegli anni in cui erano vissuti assieme. Una in particolare appariva splendida: era un grosso bulbo color cioccolato da cui spuntavano grandi foglie cuoriformi verde brillante. Un paio di boccioli arancio vivo indicavano che la pianta stava per iniziare il suo periodo di fioritura.
In più, c’erano anche alcuni oggetti veramente belli, là dentro; una scultura in vetro in particolare colpì Maria, che si fermò ad ammirarla.
Si trattava di un vaso: sembrava formato da grandi fiammate, e color fiamma era anche il vetro fuso, sfumato dal giallo arancio al rosso vivo, con qualche spruzzatina d’oro. Il gioco dei rilievi, la superficie lucida e liscia, i colori, le trasparenze, tutto faceva sembrare che quella fiamma fosse stata cristallizzata mentre stava guizzando. Pareva impossibile che non sprigionasse calore, che si potesse allungare una mano e toccarlo senza scottarsi… era evidentemente opera dello stesso artista autore del delfino. Naida aveva davvero buon gusto, niente da dire.
– Oh no, quello l’ha comperato Hydargos – si schermì lei.
– Hydargos…? – Maria non poté trattenere il suo stupore: proprio lui aveva scelto una simile meraviglia…? Ma allora, era stato davvero lui a scegliere per loro come regalo di nozze un oggetto così raffinato come il delfino. Possibile che un individuo dall’aria così spiacevole potesse celare in sé senso artistico e buon gusto?
– È opera di uno scultore di Dera – continuò Naida – Hydargos l’ha comperata prima di… beh, di comperare pure me – concluse allegramente.
Maria continuò a fissare il vaso, incredula, e fece segno di sì con la testa.
– Anche quello l’ha comperato lui – Naida accennò ad un pannello che ornava una parete: vetroceramica, colori vividi sui toni dell’arancio, del giallo chiaro e del verde, un disegno che poteva ricordare delle foglie… semplice, ma davvero bello.
– Hydargos – ripeté Maria, incredula.
Naida sorrise, versando del takeeth, una bevanda fresca tipica di Fleed: – Lo diresti che s’intende di musica?
Maria scosse il capo, prendendo il bicchiere che l’amica le porgeva. Stava per lasciarsi cadere su una poltrona, quando notò dei fogli su un tavolo: – E quelli…?
– Oh… avrei dovuto metterli via, me ne sono dimenticata – Naida andò a prenderli: si riferivano ad un giardino, una pianta in scala il primo e un bozzetto il secondo. Erano disegni eseguiti bene, con mano sicura: un prato leggermente digradante, un sentiero di pietre che seguiva le sinuosità naturali del terreno, siepi tutt’attorno, qualche alberello, un gruppo di piante a boschetto sul fondo, un laghetto. Un posto incantevole, senza dubbio… Maria alzò gli occhi dal disegno, e rimase a bocca aperta.
Il giardino del progetto si stendeva davanti a lei, oltre la grande vetrata della sala.
O meglio: non era ancora quello rappresentato nel bozzetto, ma lo sarebbe stato in futuro.
Le siepi erano state piantate in gran parte tutt’attorno alla recinzione, ed erano ancora molto rade; gli alberi non erano stati tutti posizionati, però il sentiero era ultimato, e al posto del laghetto si poteva vedere una gran buca in cui stavano lavorando un uomo e un robot.
Proprio allora Maria ebbe un nuovo shock: quell’uomo sporco e sudato era nientemeno che il Vicecomandante Hydargos.
– Ma…! – esclamò Maria, allibita.
– Hydargos ama molto lavorare in giardino, lo trova rilassante – spiegò Naida, con un gran sorriso – Quanto al disegno, sì, è mio, proprio come mio è il progetto della nostra casa. Non credo che tu te lo ricordi perché eri piccola, ma su Fleed io studiavo architettura.
– Ma sei bravissima…! – esclamò Maria, sinceramente ammirata.
– Me l’ha detto anche lady Gandal – disse Naida, senza il minimo autocompiacimento – Bisogna dire che i veghiani sono lavoratori straordinari, ma non hanno una gran fantasia. Per loro, un parco significa aiole quadrate e vialetti perpendicolari. Avessi visto la faccia di Hydargos quando ho disegnato il nostro giardino!
– Immagino – Maria era veramente impressionata.
– Lady Gandal ha detto che è un peccato non sfruttare le mie capacità – sorrise Naida – Il risultato è che adesso hai davanti il progettista del futuro parco centrale.
– Che cosa…? – esclamò Maria, stupefatta.
Naida la guidò in una stanza in cui ancora non l’aveva fatta entrare: grandi finestre, fogli, colori, un tavolo su cui si trovava un progetto in lavorazione.
– Il mio studio – spiegò Naida – Ho trovato un’occupazione, ci pensi?
– E Hydargos, che ne dice? – chiese Maria. Chissà perché, aveva l’idea che lui non gradisse il fatto che sua moglie avesse un lavoro… ancora una volta, dovette rivedere le sue idee preconcette.
– Hydargos è entusiasta – disse Naida – È molto orgoglioso di quello che faccio.
Maria assentì, senza riuscire a spiccicar parola. Era davvero contenta per Naida, che sembrava aver trovato un ruolo nella società di Vega, un’occupazione gratificante che non solo la faceva sentire utile, ma che l’appassionava, persino.
Naida si era inserita, era divenuta una persona produttiva.
E lei?


- continua -


Link per eccetera eccetera: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338&st=1320#lastpost
 
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12

L’idea le venne come in genere le arrivavano le idee: un lampo improvviso, e subito comprese d’aver trovato quel che aveva cercato fino ad allora, un possibile scopo nella sua vita.
Adesso si trattava di parlarne con Zuril, e lei lo conosceva ancora troppo poco per sapere come lui si sarebbe comportato. Si fosse trattato di Actarus, Maria sarebbe stata perfettamente in grado di prevederne la reazione, sapere come affrontarla ed infine convincerlo ad accettare la sua proposta; Zuril era una sorta d’incognita, invece. Come avrebbe reagito?
C’è solo un modo per saperlo, si disse Maria.
Dovette ricorrere a tutto il suo scarsissimo self-control per impedirsi di precipitarsi nel suo laboratorio per parlargli subito di quel che le premeva. Lo attese a casa, invece, e cercò di dominarsi durante il pasto serale: avrebbe attaccato dopo cena, quando lui in genere appariva più rilassato e tranquillo.
Fu così che, mentre sedevano sulla veranda a guardare il mare, lei partì decisamente all’assalto.
– Come regina, dovrei esserti d’aiuto – cominciò.
– Non puoi farmi da assistente in laboratorio – le ricordò lui, tenendosi pronto. Intuiva che lei stesse macchinando qualcosa, e non riusciva a comprendere cosa avesse in mente.
– No, hai ragione, non posso. Forse però potrei sostituirti in altri compiti. Come sovrano, non devi mantenere i contatti con Fleed, Ruby, Zuul? Gli altri mondi, insomma?
– Già – rispose Zuril, che detestava quella parte dei suoi doveri. Pensare che per mantenere i rapporti diplomatici doveva sottrarre tempo prezioso alle sue ricerche...! – Stai pensando di occupartene tu?
– Mi piacerebbe – assicurò lei, che avrebbe così avuto l’occasione di parlare spesso col fratello – Se mi spiegherai cosa devo fare, potrò pensare io a tutto!
– Certo, mi hai già mostrato il tuo talento diplomatico – osservò lui, apparentemente serissimo; la vide arrossire, confusa, e s’affrettò a rassicurarla: – Scherzo, non prendertela. La tua potrebbe essere una buona idea; però non offenderti se ti dico che sei un po’ troppo impulsiva.
– Hai paura che ti crei problemi con gli altri mondi? – chiese lei.
Zuril sostenne il suo sguardo: – Sì.
– Nelle condizioni in cui siete, dubito che potrei peggiorare la situazione – osservò Maria – Nessuno vuole più avere a che fare con Vega, se non te ne sei accorto.
– Credi che non lo sappia?
– Parliamoci chiaramente – disse Maria, seria – Certo, sono impulsiva. Però sono anche una principessa di Fleed: come tale, godo sicuramente di più popolarità di quanta non ne abbia tu, o qualsiasi altro dei tuoi.
Zuril non rispose, ma stavolta l’attenzione che dedicò alla moglie fu totale.
– Io non sono certo una persona diplomatica – continuò lei – Però posso tentare di comunicare con gli altri mondi. Magari Dera, Upuaut, Galar e altri rifiuterebbero di parlare con te; ma forse accetteranno di trattare con me.
Zuril rifletté: lei non aveva tutti i torti. L’unico motivo per cui Catressia, regina di Ruby, gli rivolgeva la parola, era il fatto che lui aveva sposato Maria. Se poi lui, o qualsiasi altro veghiano, avesse provato ad intavolare un minimo di dialogo con Dera, e non parliamo di Upuaut o Galar, un netto rifiuto sarebbe stato il minimo. Forse, se Maria…
Ma è troppo giovane per questo compito, obiettò il lato più razionale di Zuril.
C’è forse qualcun altro in grado di eseguirlo con un minimo di successo?, ribatté lo Zuril più imprevedibile, quello capace di lampi di vero genio.
È tanto impulsiva…
Lo è con me, per motivi che ancora mi sfuggono. Con gli altri sa essere più equilibrata.
Ma…
Trovami un’altra obiezione sensata, o stai zitto.

Il silenzio fu la risposta che ottenne. Zuril, che aveva riflettuto praticamente solo pochi secondi, guardò sua moglie: – Va bene. Proviamo.
Stai facendo un’idiozia.
Piantala.

– Grazie! Non ti deluderò, vedrai! – esclamò lei, con calore.
– È una prova – sottolineò lui – Devi promettermi che seguirai le mie direttive – e speriamo in bene, si guardò bene dall’aggiungere.
Lei era sensibilissima, bastava veramente poco a ferirla; fortunatamente, bastava poco anche per ridarle coraggio, questo Zuril lo comprese subito. Le spiegò pazientemente la situazione, e in quali rapporti fosse con i vari mondi; Maria lo seguiva, attentissima, e le domande che gli rivolse furono poste con intelligenza. Alla fine, mentre si allungava di nuovo contro lo schienale della sua poltrona, Zuril cominciò a pensare con un po’ più di fiducia alle capacità diplomatiche di sua moglie.


Da quando aveva avuto l’idea di tentare di risollevare le sorti diplomatiche di Vega, Maria aveva cominciato ad interessarsi seriamente all’attualità; e a farne le spese, fu Actarus. In pratica, tutte le sue comunicazioni con Maria si riducevano a lunghe richieste di spiegazioni da parte di lei circa i vari mondi, i relativi regnanti, quali avessero un governo stabile eccetera, e il giovane, che fino ad allora aveva visto la chiacchierata con la sorella come un momento di pace nei crucci quotidiani, si ritrovò a dover parlare di lavoro anche quando avrebbe voluto discutere di qualunque altro argomento.
Tra le informazioni estorte al fratello e quel che aveva ricavato lei stessa dalle notizie che aveva ricevuto, Maria aveva cominciato a farsi un’idea, piuttosto precisa bisogna dire, circa la situazione.
Innanzitutto, il crollo dell’Impero di Vega aveva fatto sì che svariati pianeti si fossero trovati improvvisamente liberi e privi di governo dopo decenni, per non dire secoli, di oppressione.
La stragrande maggioranza di questi mondi era sprofondata nel caos più totale: rivoluzioni e lotte intestine per la conquista del potere rendevano praticamente impossibile mantenere rapporti con loro, almeno per il momento.
Alcuni pianeti però erano riusciti ad evitare il caos, ed erano dunque possibili partner diplomatici e commerciali.
Zuul era sicuramente il mondo che meno aveva avuto a soffrire da Vega, e che si era riassestato per primo. Piccolo, poco popolato, per nulla interessante agli occhi del sovrano vista la sua carenza di materie prime, durante la dominazione di Vega Zuul aveva avuto uno status di alleato, il che significava che aveva mantenuto un governo locale, pur subordinato al sovrano di Vega. Una volta libero, Zuul aveva semplicemente confermato il proprio governatore, Lauer, una donna abile che aveva avuto la capacità di salvaguardare il suo popolo dalla follia del sovrano.
Maria si ripromise di contattare Lauer al più presto: da sempre la donna era stata in ottimi rapporti con Zuril, che aveva aiutato spesso il proprio mondo d’origine. Sarebbe stato interessante vedere se la fine di Vega avesse cambiato la situazione.
Altri mondi invece erano stati crudelmente oppressi durante la dominazione di Vega: tra questi, il più tiranneggiato era stato sicuramente Ruby, a causa delle sue ricchissime miniere. Là erano scoppiate le prime rivolte contro Vega, là la gente si era liberata per prima: dopo essersi sbarazzati dei dominatori di Vega, gli abitanti di Ruby avevano liberato la donna che era stata loro regina e che da anni era stata tenuta prigioniera. Era stato così che Catressia era tornata ad avere il trono dei suoi antenati e a governare la sua gente.
Sorte simile aveva avuto Dera, dove la regina D’reeth aveva riavuto la sua corona; invece, il crepuscolare mondo di Upuaut aveva dovuto incoronare un nuovo sovrano, visto che il precedente erede legittimo al trono, il principe Gauss, era stato inviato da Re Vega contro Duke Fleed, ed era morto combattendo. Maria non era riuscita ad avere informazioni su chi fosse il nuovo sire di Upuaut, ma in ogni caso, chiunque fosse, dubitava che sarebbe stato ben disposto nei loro confronti. L’ultimo mondo che avesse un governo stabile era Galar. Ribelli per natura, gli abitanti di quel pianeta si erano rivoltati più e più volte contro Re Vega, che aveva inviato contro di loro il migliore dei suoi comandanti, Markus – e nemmeno lui era riuscito a piegarli. Si trattava di un popolo decimato, tartassato ma non domo, e presumibilmente deciso a vendicarsi.
Maria si trovò quindi ad elencare i mondi amici di Vega: Fleed, e presumibilmente Zuul. Forse, con fatica, Ruby, data la grande amicizia esistente tra Catressia e la loro famiglia.
Ma gli altri?
Dera era un’incognita; quanto ad Upuaut, o peggio, Galar…
Sarà dura, si disse Maria. Molto dura.
Il primo contatto fu con Catressia: era la prima volta da dopo il matrimonio in cui Maria parlava con la sovrana di Ruby. Nonostante tutto l’affetto esistente tra di loro, ci fu un certo imbarazzo: per Catressia, Maria ormai era la regina di Vega, non era più solo la figlia della sua amica più cara.
– Ti dà problemi il fatto che io abbia sposato Zuril? – chiese subito Maria, che amava andare al nocciolo della questione.
– Francamente, sì – rispose Catressia – Anche se è con te che parlo, lui è pur sempre tuo marito.
Ho capito, si disse Maria.
– Possiamo semplicemente chiacchierare in maniera non ufficiale – propose Maria – Lasciamo fuori le questioni di stato, e parliamo solo come amiche.
E chissà che con il tempo non riesca a vincere la tua diffidenza, si augurò mentalmente.
Con Lauer, fu molto più facile: Zuril aveva sempre tenuto ottimi rapporti col suo mondo natale, per cui dal punto di vista di Zuul, il fatto che proprio lui fosse divenuto il re di Vega era solo un vantaggio. Lauer si dimostrò per quel che era, una donna aperta, leale e piena di buon senso. Nonostante fosse decisamente più grande di Maria, non mostrò la minima difficoltà a trattare con una regina così giovane ed acerba. Peccato solo che Zuul non disponesse delle materie prime di cui su Moru avevano tanto bisogno…! L’ideale sarebbe stato riuscire a stipulare un trattato commerciale con Ruby, o almeno con Dera, ma per il momento la cosa si presentava davvero ardua.
Con Upuaut non vi fu nulla da fare, i suoi tentativi di contatto furono stroncati subito in maniera recisa: un individuo dai tratti ferini, che dichiarò di parlare in nome del re, le tolse subito qualsiasi illusione di dialogo. Upuaut non voleva avere nulla a che fare con Vega.
Con Galar fu anche peggio, perché il sovrano Holdh in persona le disse le stesse cose, ma in maniera infinitamente più sgradevole. Maria dovette chiudere la comunicazione e cercare di recuperare la calma, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime di rabbia.
L’ultima sovrana, D’reeth, si rivelò essere una donna d’aspetto enigmatico, che non lasciava trasparire nulla né dal suo sguardo impassibile né dalla voce, sempre perfettamente controllata. Cortese ma fredda, dichiarò a sua volta di non voler avere contatti con Vega, né ora né in futuro. Maria comunque non disperò: D’reeth era amica di Catressia e di Actarus, chissà che con il tempo…
Fu così che, inizialmente quasi per gioco e poi via via più seriamente, Maria cominciò la sua attività diplomatica: ogni giorno contattava il fratello, Catressia e Lauer, si aggiornava, di tanto in tanto tentava qualche altro timido approccio con D’reeth. La consapevolezza di quanto fosse delicato il suo compito faceva sì che lei riuscisse a comportarsi in maniera praticamente inappuntabile – e a fare le spese di questo suo inaspettato talento diplomatico fu Zuril, che era regolarmente il destinatario di tutte le sciocchezze, ed erano molte, che le sfuggivano di bocca quando si trovava lontana dalla sua postazione di comunicazione. Lui ormai non se ne meravigliava: dopo essersi sorvegliata alla perfezione, lei aveva evidentemente il bisogno di parlare a ruota libera, e lui aveva imparato a non prendersela anche quando Maria le sparava davvero grosse.
Lei, invece, non riusciva a capacitarsi di questo: non appena si rendeva conto d’aver detto a Zuril un’enormità si sentiva morire di vergogna, e chiedeva regolarmente perdono; lui accettava con signorile nonchalance le scuse, mentre dentro di sé rideva della confusione di Maria, e non se la prendeva. Ormai, aveva cominciato a fare l’abitudine alle bizzarrie della moglie.
Le loro giornate lavorative avevano preso un andamento regolare: facevano colazione assieme, poi lui si recava in genere al suo laboratorio, a meno che la sua presenza non fosse richiesta altrove. Maria invece si chiudeva in una delle stanze fino ad allora inutilizzate, ora divenuta suo studio personale, e si metteva al computer che Zuril le aveva fatto installare, e lì restava fino all’ora in cui Dexter non le portava il pranzo. In genere il pomeriggio Maria l’aveva più libero, per cui se le era possibile andava in giro per la città con il Disco, oppure qualche volta si dava appuntamento con Naida. Quando Zuril rientrava andavano regolarmente a fare una passeggiata in riva al mare; dopodichè, cena e chiacchierata su quanto avvenuto durante il giorno. Lui, che aveva temuto guai derivati dall’attività diplomatica di Maria, ogni sera doveva ricredersi: i risultati c’erano. Lenti, ma incoraggianti. Immediatamente, cambiò atteggiamento, lasciando libera Maria di fare come credesse e limitandosi a farsi riferire le novità. Era evidente che in fatto di comunicativa, Maria sapeva cavarsela molto meglio di quanto avrebbe mai potuto fare lui.


Era una vita molto tranquilla e metodica, ma priva di distrazioni: non c’era la possibilità di vedere uno spettacolo, partecipare ad una festa. Sulle prime, Maria non vi fece molto caso; per natura, non era un tipo particolarmente festaiolo. Quanto ai veghiani, tendevano ad essere abitudinari e poco inclini ai divertimenti; tuttavia, dopo del tempo lei cominciò a percepire una certa tensione nella gente. Forse, un minimo di distrazione sarebbe stata la benvenuta… ne parlò con Zuril, che la guardò con stupore: una festa?
– Penso che la gente ne avrebbe bisogno – osservò lei – Voi lavorate e lavorate, ma non fate nulla di divertente nel tempo libero. C’è bisogno di qualcosa… quel centro di ritrovo di cui mi parlavi, magari… un posto in cui si possa stare assieme, mangiare, ricrearsi… e sì, organizzare una qualche festa di tanto in tanto.
– Ho già dato a lady Gandal l’ordine di iniziare a costruire il centro culturale – disse Zuril – Credo che il progetto sia pronto, ormai. Ci sarà una videobiblioteca, una sala oloproiezioni, una palestra…
– Un centro ristoro, no? – vide lo sguardo interrogativo di lui aggiunse: – Possibile che voialtri non vi troviate mai assieme per mangiare?
Zuril rifletté: – Una volta lo si faceva…ormai, abbiamo perso l’abitudine. Credo che da troppo tempo noi abbiamo vissuto sempre e solo per lavorare e per rendere grande il nostro impero. Yabarn non si preoccupava certo che la gente si divertisse e fosse felice.
– E tu non vuoi essere come Yabarn, vero?
Zuril scosse la testa: – Temo che se proveremo a parlare di feste e divertimenti, la gente ci considererà persone non serie e inaffidabili.
– Inaffidabile e non serio… tu? – Maria gli rise letteralmente in faccia, con pochissimo senso diplomatico – Se vuoi, posso provare a sentire in giro che ne pensano le persone.
Zuril conosceva abbastanza la moglie da sapere che quando si era messa in testa un’idea, darle contro poteva essere veramente snervante; in più gli era venuto il dubbio che lei avesse ragione, per cui non si oppose. Maria ne parlò subito con Naida, che fu entusiasta dell’idea; lady Gandal, successivamente interpellata, apparve dubbiosa, ma chi diede tutto il suo appoggio fu, a sorpresa, la dottoressa Koyra: – La gente lavora e lavora, e quando ha tempo libero si chiude in casa o in giardino. Non sono più capaci di socializzare, organizzare un evento sarebbe un’ottima cosa.
L’inizio dei lavori per il nuovo centro culturale era previsto a breve; sarebbe stato un eccellente pretesto per una festa. Maria dimostrò subito un entusiasmo trascinante che coinvolse soprattutto le donne: venne richiesto a tutte di portare qualcosa da mangiare, vennero trovati stoviglie, tavoli e sedie. Si ricercò disperatamente qualcuno che sapesse suonare un qualche strumento, e con fatica vennero trovati un paio di tecnici che fino ad allora erano stati presi in giro per quel loro hobby così “frivolo” ed “inutile”.
Fu così che uno Zuril piuttosto spaesato si ritrovò a doversi mettere la corona in testa, appuntare sul petto la stella a quattro punte e recarsi nel grande spiazzo che si trovava al centro della zona residenziale: là sarebbe sorto il nuovo Centro Culturale, proprio vicino al parco disegnato da Naida.
Al momento non vi era ancora nulla da vedere, visto che l’inizio dei lavori era previsto per l’indomani; vi era però una gran folla, molta più gente di quanta Zuril non si fosse aspettato, e c’era un clima di grandissima eccitazione.
Maria aveva visto giusto, si disse Zuril. Accanto a lui, sua moglie sorrideva, salutava e veniva salutata, c’era nell’aria un clima cordiale totalmente diverso dal silenzioso terrore che aveva regnato su Skarmoon… Zuril non ricordava d’aver mai sentito qualcuno ridere, sulla vecchia base lunare. Decisamente, certe cose dovevano cambiare.
Ci si aspettava che lui dicesse qualche parola: Zuril se la cavò molto in fretta, convinto com’era che i discorsi più graditi siano quelli brevi. Poi si udirono le note del primo brano, mentre sui tavoli venivano serviti vassoi e vassoi di cibi, tutti diversi per forme e contenuti. Zuril andò subito a rintanarsi in un angolo, seguito a ruota da Hydargos: nessuno dei due amava particolarmente la folla. Maria invece sembrava trovarsi perfettamente a suo agio, andava in giro tra le persone, controllava che tutto fosse a posto, che ci fosse cibo per tutti; e intanto, altra gente arrivava ed arrivava, e la calca cresceva.
Ciò che colpì maggiormente Zuril fu il fatto che non solo fosse intervenuta praticamente l’intera comunità di Vega, ma che tutti apparissero singolarmente eccitati, come se improvvisamente avessero scoperto di non essere solo macchine che lavorano, ma persone. Il chiacchiericcio era insopportabile, la musica era impossibile sentirla; qualcuno portò un impianto d’ascolto, un altoparlante, vennero scelti dei brani registrati. Intanto, i piatti erano stati già interamente vuotati, ma questo non sembrò sgomentare i presenti: la novità di trovarsi assieme per una festa li aveva resi euforici. Per la prima volta da troppo tempo, si sentivano davvero liberi.
– Fortuna che ho detto a Maria di evitare gli alcolici – urlò Zuril nell’orecchio di Hydargos.
– Ho dato ordine al servizio di sicurezza di stare in guardia, non si sa mai – gridò di rimando Hydargos.
La musica era piuttosto forte, trascinava; qualche piede batté il ritmo per terra, qualche testa si mosse a tempo. Erano ancora troppo inibiti, troppo bloccati per fare di più; ma si divertivano come non mai prima d’allora, e per Maria fu un grande risultato.
Quando finalmente poté rientrare a casa, Maria era semplicemente esausta: ore e ore di fracasso, di musica, di folla l’avevano esaurita. Era troppo stanca persino per guidare il proprio Disco, per cui lo impugnò per il bordo e salì su quello di Zuril; per tutto il tragitto non parlarono, lui concentrato sulla guida e lei che gli era praticamente crollata addosso, mezzo addormentata. Solo quando furono nel giardino che circondava la reggia, Maria sembrò riscuotersi dal suo torpore: – È stato tanto insopportabile?
– Abbastanza – lui andò a riporre il suo Disco e quello della moglie – Però avevi ragione tu. Ci voleva. Non ho mai visto la gente così felice.
Maria impiegò qualche secondo per far assumere un significato alle frasi di lui: – Vuoi dire… sei contento?
– Certo – Zuril la guardò con rinnovato rispetto: – Oggi hai fatto una cosa davvero grande.


- continua -


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13

Il caldo quel giorno era ai limiti dell’insopportabile.
– Come va con Zuril? – chiese Naida, senza tanti preamboli.
Erano sedute nel patio del giardino di Naida, una gran ciotola di crema fredda tra di loro. Maria, che come tante altre volte era venuta in visita all’amica, sussultò sulla sua sedia: – Eh…?
– Hai capito cosa intendo – disse Naida.
Maria rimestò la sua crema col cucchiaino: – Come vuoi che vada? Non va. Semplice.
– È quel che temevo – Naida si rabbuiò – Mi spiace molto. Per te, e anche per lui.
– Per Zuril? – si stupì Maria.
– In vita sua, ha sofferto molto anche lui – spiegò Naida – Hydargos mi ha raccontato che è vedovo da chissà quanto, e da allora non ha fatto che lavorare e lavorare; poi, in brevissimo tempo ha perso suo figlio, e pure Kein… ti ricordi di lui, vero?
– Vagamente… ti ho già detto che ho dimenticato quasi tutto, della mia vita su Fleed.
– Certo – Naida si appoggiò allo schienale della sua poltroncina, spaziando lontano con lo sguardo: – Comunque, mi spiace molto per Zuril. Speravo che avreste trovato il modo di…
Maria scosse il capo: – Non credo che sia possibile. Siamo troppo diversi.
– Anche io e Hydargos siamo molto diversi – osservò dolcemente Naida.
– Non è la stessa cosa! – sbottò Maria – Zuril è molto più grande di me, è uno scienziato, una persona geniale, a detta di tutti; anche se non me lo dice, so che mi ritiene una stupida.
– Se fosse così, non ti avrebbe affidato il compito di tenere i contatti con gli altri mondi – le fece notare Naida.
– E poi è un veghiano – ecco, finalmente l’aveva detto.
Naida assentì tra sé, si era aspettata quella risposta. Aprì la bocca per obiettare, ma si rese conto che non sarebbe servito a nulla: Maria non era in condizione di ascoltarla, era troppo rinchiusa nel suo pregiudizio.
Dovrai imparare da sola, bimba…
– Suppongo che essere un veghiano sia un ostacolo insormontabile – osservò.
– Ti sei dimenticata di che cosa ci hanno fatto?
– No. Ma ho imparato a guardarli per quello che sono, non per quello che credevo io – Naida rimise sul tavolo la propria coppetta vuota – Quanto a Zuril, mi spiace davvero: ho sempre avuto simpatia per lui.
– Non capisco – Maria aggrottò la fronte – Non è stato Zuril a farti perdere il bambino?
Naida serrò le labbra in una smorfia di sofferenza: – Non lo sapeva. Del resto, non lo sapevo nemmeno io.
– Però ti ha torturata.
– Maria, c’era un ordine preciso di Re Vega – rispose Naida, scandendo bene ogni parola – In un modo o nell’altro, quell’ordine andava eseguito. Se non fosse stato lui, sarebbe stato qualcun altro che non si sarebbe curato di farmi del male. Lui almeno ha cercato di non farmi soffrire, per quel che gli è stato possibile… e se non ho avuto danni permanenti, è a lui che lo devo.
– Sì… però…
– Tieni presente anche questo – continuò Naida – Allora ero una schiava, il che significa che ero un oggetto senza diritti. Nella migliore delle ipotesi, venivo totalmente ignorata. A parte Hydargos, Zuril è stato l’unico a trattarmi come un essere umano e non una cosa.
– Capisco.
– No, non credo che tu capisca – Naida scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli d’oro verde – Per tua fortuna, tu non sei mai stata una schiava, Maria. Non sai cosa significhi essere trattata come un qualcosa di nessun valore, qualcosa di cui non importa a nessuno, qualcosa che non ha il minimo diritto. Ti posso assicurare che quando il messaggio che tutto il mondo esterno ti manda è che tu non sei niente, il trovare qualcuno che si mostra gentile è a dir poco sconvolgente. Posso dire che quando ero schiava Zuril mi trattava con la stessa cortesia con cui mi tratta ora. Questo, non posso dimenticarmelo.
– Sì, ma…
– Aggiungo un’altra cosa – continuò Naida, ormai lanciata – Zuril ha avuto Kein come schiavo. A detta di tutti, l’ha trattato come un figlio, e credimi, questo per un veghiano è qualcosa di quasi inconcepibile.
– Ci sono ancora delle sue immagini, in casa – mormorò Maria – Deve avergli voluto davvero bene.
– Credo proprio di sì – Naida tacque, perché proprio allora dal sentiero di pietra giunse Hydargos. Invece della solita, inappuntabile uniforme, indossava dei vestiti vecchi e sformati, maglietta stinta e calzoni tagliati al ginocchio: era sudato, sporco di terra, esausto. Maria non l’aveva mai visto così felice.
– Il laghetto procede? – gli chiese Naida, mentre gli versava in una coppetta una porzione abbondante di crema.
– Sto ultimando l’impianto della pompa – Hydargos sedette accanto alla moglie – Poi installerò il filtro.
– Hydargos sta costruendo una piscina del tipo di quelle di Zuul – spiegò Naida – Filtro biologico, piante acquatiche. Un po’ come avere un vero laghetto.
Maria non rispose, impressionata. Oltre al fatto di vedere il ferreo vicecomandante di Vega in quell’insolita veste, a colpirla era stato qualcosa cui non aveva mai badato prima. Certo, sapeva che Naida ed Hydargos erano sposati da tempo, ma non si era mai fermata a riflettere su quali fossero i veri sentimenti che li legavano; del resto, i veghiani erano molto riservati per quel che riguardava la vita privata, e le effusioni in pubblico erano per loro un qualcosa di assolutamente sconveniente. Ora, per quanto Naida ed Hydargos non si fossero certo abbandonati ad affettuosità varie, Maria improvvisamente si rese conto di come fossero legati tra di loro. Avrebbe dovuto capirlo, bastava notare certe piccole cose… il sorriso con cui lei gli porgeva la coppa di crema, ad esempio. Oppure, il gesto premuroso con cui lui le aggiustava la tunica che le era scivolata dalla spalla.
Maria chinò il viso sulla sua coppetta, per nascondere il suo turbamento.
Allora, Naida ama davvero quel… quel mostro? E lui… anche lui…? Ma come è possibile?


Dal mare proveniva un venticello leggero, piacevolissimo in quella notte così calda. Allungata sulla sua poltrona, Maria osservava il cielo: le stelle apparivano così diverse da come le aveva sempre viste…! Praticamente, non era in grado di riconoscerne nessuna.
Un senso di gelo serpeggiò nel suo animo: vedere quelle stelle sconosciute le dava la misura esatta di quanto fosse lontana da casa.
Ma la mia casa è questa, adesso, si disse, cercando di non rabbrividire.
Aveva sempre affrontato tutto in maniera diretta; lo fece anche allora, costringendosi a guardare ancora quel cielo sconosciuto.
Basso sull’orizzonte, stava apparendo la falce di uno dei satelliti… anzi, il più grande. Era inconfondibile.
– Harunak – disse, e Zuril, seduto accanto a lei, assentì.
Maria alzò lo sguardo verso il secondo corpo celeste che si vedeva in quel momento: era nettamente più piccolo, e sembrava luccicare di vita propria, ma non riusciva ad identificarlo… quale poteva essere, degli altri tre satelliti di Moru?
– …Rander…? – chiese, poco convinta. Zuril scosse la testa.
– Rander ha una forma oblunga ed irregolare – spiegò.
Ah già, quello che sembrava una patata… restavano gli altri due, ma erano di misura abbastanza simile. Provò un nome a caso: – Glee…?
Zuril scosse ancora la testa: – Glee ha una sfumatura arancione. Questo invece è bianco, quasi azzurrino, e molto luminoso perché la sua superficie è ghiacciata: è Jeyel.
Ancora una volta, Maria si sentì una sciocca: in realtà non era così difficile distinguere i quattro satelliti, ma lei non vi era riuscita. Zuril non le aveva detto niente, ma doveva ritenerla proprio insulsa.
Sentì gli occhi bruciarle: se solo fosse stata su Fleed, con suo fratello, invece che in compagnia di quel suo marito così intelligente ed istruito, che le faceva sentire il peso della sua ignoranza e stupidità…! Guardò il cielo, ma non fu assolutamente in grado di riconoscere il sole di Fleed.
– Qualcosa non va? – chiese accanto a lei la voce gentile di Zuril.
Era buio, e lei non poteva vedere la sua espressione; fortunatamente, anche lui non poteva vedere le lacrime che stavano bruciandole gli occhi: – Non… non riesco a riconoscere le stelle.
– È naturale, eri abituata a vederle dall’angolazione della Terra – rispose lui.
Certo, naturale. Contrariamente a lei, Zuril sembrava sempre capire tutto, comprendere ogni cosa… provò un senso d’impotenza.
– Quello è il sole di Fleed – lui, che sembrava averle letto nella mente, le indicò un grosso punto luminoso alla loro destra. Maria rimase immobile a guardarlo: Actarus… nonostante l’enorme distanza che li separava, i sistemi di Fleed e Moru erano da considerarsi vicini, almeno secondo il metro dell’universo. In effetti, il viaggio tra i due mondi non era affatto lungo. Prima o poi, Maria avrebbe chiesto a Zuril di poter rivedere il fratello, le mancava davvero troppo.
Zuril indicò un secondo punto, molto luminoso, allo zenith: – Vega.
Maria serrò le labbra: da quando era scesa in guerra, quella stella meravigliosa aveva perso per lei ogni fascino. Gettò uno sguardo furtivo al marito, e trattenne l’esclamazione poco gentile che le era venuta spontanea.
Però… se quella era Vega, se laggiù c’era Fleed, dove era la Terra?
– Là – Zuril indicò verso est: un puntolino appena visibile.
– Quello… il Sole? – esclamò lei. Il bel sole così caldo e dorato… quello?
È così lontano, così lontano…!
Fu come ricevere un colpo a tradimento: rivide improvvisamente tutto quel che aveva perduto, i suoi amici, Venusia, Procton, Rigel, Mizar… ALCOR… e poi i posti che aveva tanto amato, la fattoria, i boschi, il fiume su cui sorgeva il laboratorio, i prati… era tutto laggiù, invisibile, lontanissimo da lei, che ormai non faceva più parte di quella vita meravigliosa. Lei, costretta a vivere su un mondo isterilito, con gente che disprezzava e vincolata ad un uomo che non amava…!
L’infelicità le premette sul petto, spezzandole il respiro. Non avrebbe pianto, non voleva farsi veder piangere…
– Maria, ti senti bene? – Zuril si era chinato su di lei, preoccupato.
– Non toccarmi! – urlò Maria.
Lui, che l’aveva afferrata per le spalle per esaminarla, la lasciò subito: – Respiravi male. Sembravi sul punto di svenire.
Maria rientrò in sé: aveva gridato come un’isterica, e solo perché Zuril era stato premuroso con lei… ma lui era sempre stato gentile. Perché lei non riusciva a non considerarlo un nemico, perché era sempre sulla difensiva? Mortificata, chinò la testa: – Mi spiace, io… non volevo…
– Volevi, invece – rispose lui, ma senza acredine: appariva molto stanco, invece. – È logico, siamo nemici da troppo tempo.
– Mi spiace – ripeté lei.
Zuril tornò a sedersi al suo fianco. Si era augurato che col tempo Maria avrebbe cominciato a mostrarsi meno ostile, ma forse certe ferite sono troppo profonde per sperare che possano rimarginarsi… la sua era stata un’illusione.
– Dispiace anche a me – disse infine – Ho cercato di renderti le cose meno difficili, ma è ovvio che non sei felice.
Negare sarebbe stato stupido: – L’avevo messo in conto. – nella penombra vide il viso tirato di lui e provò un senso di… pena? Possibile? – Mi dispiace darti tanti problemi, so che hai fatto di tutto per aiutarmi, e ti ringrazio per questo.
Lui era stato sincero, e lei aveva fatto altrettanto. Si guardarono, e per una volta sembrarono comprendersi: erano seduti uno accanto all’altra, i loro corpi non si sfioravano nemmeno, ma non si erano mai sentiti così vicini come avvenne in quel momento.
Nonostante il freddo e l’angoscia, Maria avvertì un vago calore pulsarle nel petto. Più volte, Naida le aveva ripetuto che si trattava di guardare le cose non per quello che si può credere, ma per quello che sono realmente… adesso, pian piano stava cominciando a comprendere cosa avesse inteso.

- continua -

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