Go Nagai Net

H. ASTER's FICTION GALLERY

« Older   Newer »
  Share  
icon6  view post Posted on 31/7/2008, 20:27     +1   -1
Avatar

Ho dei pensieri che non condivido!

Group:
Mod storici
Posts:
13,445
Reputation:
+6
Location:
Seconda stella a destra.

Status:


NOTA DI ASTER:
Ecco l'elenco completo delle mie FF, con il link.
Per distinguere subito i lavori seri da quelli umoristici, vicino al titolo di questi ultimi ho messo il segno ^^.

IL TEMPO PERDUTO
Catturata dopo la conquista di Fleed, Naida diventa la schiava di Hydargos. La convivenza non sarà semplice, almeno all'inizio, ma poi…
Un racconto piuttosto lungo e serio. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144


GRAVI DISSENSI^^
Bisticcio tra Gandal e Hydargos, nessuno dei due vuol cedere… https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=15

NOVE ORE E MEZZA^^
Follia pura: colpito da un raggio di Zuril, sabotato da Dantus, Actarus non è più lui e diventa un… sessuomane! ARF!!! https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=15

DA UOMO A UOMO^^
Harlock decide di affrontare Actarus: chi di loro due è l'uomo di Venusia? https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=15

...AND HAPPY NEW YEAR^^
Tregua festiva: Actarus e compagni sono invitati al cenone di Capodanno su Skarmoon. Subito i maschi di Vega cercano di far effetto sulle bellissime invitate, ma… un Capodanno col botto. In tutti i sensi. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=15

I VESTITI NUOVI DELL'IMPERATORE (DELLA NEBULOSA)^^
Rubina, esasperata dall'orrendo vestiario del padre, decide di porvi rimedio, ma… https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=15

METTI LA TESTA A POSTO^^
Tetsuya costretto ad andare da un parrucchiere ambosessi, si trova alle prese con un perfido manicurista. Nuovo look per Tez… https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=15

TRAGICHE NECESSITÀ^^
Haran Banjo a corto di finanziamenti si trova costretto ad accettare degli sponsor. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=15

LOVE HISTORY^^
La storia d'amore di Duke e Naida, dalla primissima infanzia all'età (pseudo) adulta. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=30

LO SCONTRO
Quando Actarus non voleva Venusia nel gruppo, e si trova a parlarne con Procton. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=30

NON LASCIARMI
Racconto che si colloca alla fine del GM. Koji è pieno di risentimento verso Tetsuya, cui imputa la morte del padre. Va a trovarlo in ospedale, deciso a sbattergli in faccia tutto il suo livore, ma… https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=30

VATTENE
Seguito del precedente: Tetsuya convalescente deve vedersela col fratellastro. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=30

LA REGINA DI VEGA^^
In pieno impulso romantico, Re Vega chiede a Maria di sposarlo… e lei dice di sì! https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=30

IL BABY-SITTER^^
Dai vecchi ricordi di Re Vega: quando dovette occuparsi della piccola Rubina, di pochi mesi. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=30

PROPOSITO INDECENTE^^
Venusia è catturata da Vega. Se Actarus non consegnerà Goldrake, la poverina subirà atroci violenze… https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=30

L'INFERNO DI GO^^
La Divina Commedia in versione nagaiana, con Tetsuya nelle vesti di Virgilio. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=30

A PICCOLI PASSI
Catturato dopo la conquista di Fleed, Kein viene comperato da Zuril che lo alleva come un figlio, ma ne fa un ufficiale di Vega.
Racconto lungo e piuttosto duro, pendant della FF su Naida. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=30

UNA GIORNATA QUALSIASI^^
Al ranch Makiba arriva un omino con un sondaggio sull'igiene mentale… https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=45

L'ULTIMO SALUTO
Actarus sulla tomba di Rubina, poco prima della partenza per Fleed. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=45

L'INVASIONE DEGLI ULTRAVERMI^^
Mostri terribili attaccano Skarmoon: vermi invadono la sala comando, in una scena horror (!!!). https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=60

IGIENE MOLTO PERSONALE^^
Come la povera Jun tenta di educare Tetsuya alla cura di sé stesso. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=60

CHI BEN COMINCIA…^^
Il Guttler, il robot del forum, viene guidato dal suo pilota Panzer in allenamento sulle prealpi venete… quando davanti a lui si staglia la mucca Bettina. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=60

PANZER VS TETSUYA^^
Scontro tra il celebre pilota del GM e Panzer, lo scasso pilota del Guttler… ma Bettina incombe. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=60

NOI DUE SOLI^^
Romanticissimo weekend in montagna di Tetsuya e Jun… povera donna. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=60

IL TEMPO CONQUISTATO
Un what if con un finale alternativo. E se Naida non fosse morta? E se la serie di Goldrake non si fosse conclusa con la fine dei veghiani? E se Yabarn avesse abdicato? E se…
Racconto serio e lungo. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=60

FINE
Breve what if: e se al termine della puntata 72, invece di Zuril morisse Duke Fleed?
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=75

PRIMO GIORNO DI SCUOLA^^
Il giorno più odiato dai ragazzi, secondo Alcor, Shiro, Mizar, Fritz e i giovanissimi Duke e Yabarn.
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=75

ATROCI TRATTATIVE^^
Shiro catturato dai veghiani, che in cambio vogliono la consegna di Goldrake… iniziano le trattative tra Hydargos e Procton. Intanto, il piccino frigna… https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=75

DURA CURA^^
Actarus prende una botta in testa, e diventa tamarro. Zuril, incuriosito da un simile caso, scende sulla Terra per studiare con Procton la cura più adatta, mentre Actarus continua a sclerare… yo!
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=75

ASSOLUTE PRIORITÀ^^
Re Vega con la colite, il bagno inagibile perché si è guastato il particolatore molecolare… una storia di sofferenza autentica. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=90

IL PREZZO DELLA PACE
Seconda parte del finale what if: le nozze di Zuril e Maria, l'arrivo di Rigr e lo scontro con Holdh, il sire di Galar.
Racconto lungo, romantico e avventuroso.
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=90

ROMANTICI LEGAMI^^
Re Vega richiamato ai suoi doveri verso la fidanzata Himika, che deve portare a ballare.
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=120

INFERNO INFORMATICO^^
Il calvario di Gandal, perso tra password, account, mails, links e altre piacevolezze.
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=120

INASPETTATI RITORNI^^
Meet di Yura torna sull'Alkadia per tornare da Harlock… ma non lo trova solo.
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=120

SOLUZIONE FINALE^^
Duello Harlock-Raflesia. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=120

QUESTIONE DI CHIMICA^^
Per il suo compleanno, Tetsuya regala ad Alcor un paio di scarpe, bellissime ma… odorose.
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=120

CE N'È PER TUTTE^^
Le vicissitudini di Yabarn, conteso tra Himika e Raflesia. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=120

UN CAPODANNO DIVERSO DAL SOLITO^^
Maria, Sayaka, Jun, Venusia, Himika e Raflesia hanno le loro idee su come trascorrere l'ultimo dell'anno, ma non tutte vedranno avverarsi i loro desideri… A!E!I!O!U!YPSILON! https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=120

SORPRESE PASQUALI^^
Tre uova di Pasqua piene di Vegatron dovrebbero essere inserite nel cestello del King Gori trasformato in Coniglio Pasquale… ma… https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=135

IENE (UMANE) RIDENS^^
Un goccio di EUFORIN può portare un pizzico di pepe nella quotidianità di Skarmoon. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=135

FUTURO
Terza parte del what if sul finale alternativo di Goldrake. Zuril viene catturato da Holdh, Actarus, Maria e Rigr devono fronteggiare una situazione che può portare a una catastrofica guerra interplanetaria.
Racconto lungo e avventuroso. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=135

TRAGICHE VACANZE^^
Stufo d'averlo sempre tra i piedi, Tetsuya ammolla Shiro ad Alcor per un intero mese di vacanza. Il piccolo frigna, la convivenza è dura.
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=165

GRANDI SODDISFAZIONI^^
Venusia decide di rimettere a nuovo il salotto, ma… https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=165

CURVE PERICOLOSE^^
Dal suo misterioso pianeta, Zuril porta Maluma, la sirenide medusiana che fa innamorare tutti i maschi. ARF!2 – la vendetta.
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=165

VEGA'S CHRISTMAS CAROL^^
Deciso a redimere Re Vega, Babbo Natale gli fa vivere in sogno le avventure di Ebenezer Scrooge… ma il Sire non è Scrooge. Ohimé. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=180

NATALE IN CASA ADDAMS^^
Party di Natale in casa Addams, con la partecipazione di Tetsuya, George e Mildred, Kojak, Lupin III, Fonzie, il capitano Kirk, il comandante Koenig e moltissimi altri. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=180

RUBINETTA E DUKEO^^
Actarus vuole documentarsi su Shakespeare, ma un libro gli cade in testa e… “Oh, Dukeo, Dukeo, perché sei tu Dukeo?” https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=180

EAU DE CACCAREL^^
Non potendone più di Himika, Re Vega chiede a Dantus un profumo antifemmine. Che funziona. Anche troppo. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=195

TUTTI AL MARE^^
Esaurimento nervoso… Re Vega viene spedito in vacanza al mare in una pensione terrestre piena di pericolosissime vecchiette e bambini tremendi. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=195

VITA DA CAMPING^^
Vicissitudini di Jun, trascinata da Tetsuya a fare campeggio al mare… dalla canadese al bungalow, di tragedia in tragedia. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=195

ERAVAMO CINQUE AMICI AL BAR^^
La realtà della Bassa Padana Veronese si scontra con i cerchi nel grano. Actarus e Hydargos in trasferta. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=195

IL PICCOLO MONTANARO^^
Gita in montagna con Actarus, Procton, Alcor e, purtroppo, Shiro. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=195

DOLCETTO O SCHERZETTO?^^
Halloween… Mizar e Shiro a caccia di dolci arrivano persino su Skarmoon. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=195


BOLLENTI BOLLETTE^^
Rigel alle prese con la società del gas. L'arrivo di Nano-Ninja! https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=210

ALL'ARREMBAGGIO!^^
Dal diario di lady Gandal: come lei e Harlock si sono conosciuti. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=210

V PER VENDETTA (NATALIZIA)^^
Esasperata da Re Vega, la Befana ordisce una spietata vendetta nei suoi confronti. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=210

TEMPO DI LIQUIDAZIONI^^
Saldi… Venusia, Maria, lady Gandal e Rigel all'assalto dei Grandi Magazzini. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=210

INFERNO INFORMATICO 2 – LA VENDETTA^^
Rigel deve iscrivere il figlio a scuola col nuovo sistema telematico, tanto pratico… Nano-Ninja ritorna! https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=210

SCAMBIO D'OPINIONI^^
Litigio tra Gandal e signora. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=210

GATTO (DA PELARE)^^
Himika deve partire, e lascia a Re Vega la cura del suo piccolo (si fa per dire) Pucci. Scontro impari umano/felino, con vincitore assoluto. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=210

UNA ALLA VOLTA, PER CARITÀ^^
E se il Principe avesse avuto un harem? https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=225

SAGGIO DI FINE ANNO^^
Chiusura dell'anno scolastico, Mizar e compagni protagonisti della festa della scuola. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=225

SCONTRO FINALE
Finale alternativo della puntata 72: Zuril ferito a morte, vuole andarsene con dignità. Racconto breve ma drammatico. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=225

DENTE PER DENTE ^^
Tetsuya vs. dentista… con la partecipazione di Alcor. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=225#lastpost

NATALE CON I TUOI^^

Il Natale che ha segnato l'inizio del fidanzamento tra Re Vega e Himika... quando Yabarn è irrimediabilmente divenuto Yabby.
https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=225#lastpost

NATALE IN FAMIGLIA^^
Natale 2016: Yabby realizza improvvisamente che per le feste resterà solo, e non sopporta l'idea. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=225#lastpost

SU MISURA ^^

Tetsuya deve accompagnare Jun a tatro, e naturalmente gli serve un abito nuovo, e da sera per giunta... #entry602430285

ARIA DI TEMPESTA^^

Stufato di cerlacco + fagioli blu siriani = gas... su Skarmoon, tira brutta aria. https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=240#lastpost

BUONI PROPOSITI (PER L'ANNO NUOVO)^^
Ennesimo scontro Yabby-Befana: ma stavolta il sire si dichiara vinto fin da subito. C'è da fidarsi? Hmmmm... https://gonagai.forumfree.it/?t=30613144&st=240#lastpost


I teaser che seguono sostituiscono i racconti originali, raccolti assieme a molti altri in un libro dal titolo “Goldrake 30 – Antologia di racconti robotici”, edito dalle Edizioni La Torre.




IL TUO AFFEZIONATO NEMICO



Hydargos ripensa a Duke Fleed, il suo avversario personale… “suo”, appunto. Non di altri.

SPECCHIO DELLE MIE BRAME



In seguito ad un incidente, lady Gandal è profondamente cambiata. Ancora non ha trovato il coraggio di affrontare il suo nemico, lo specchio…


DENTRO IL LABIRINTO

Re Vega deve fare i conti con la morte della figlia.

A TESTA ALTA

Gandal, ormai moribondo e umiliato per il tradimento della moglie, sceglie di morire combattendo.


I teaser che seguono sostituiscono i racconti umoristici originali, che sono stati raccolti in un libro dal titolo “Si trasforma in un Gatto Missile – racconti (poco seri) di Ufo Robot”, edito dalle Edizioni La Torre. Il libro è di prossima uscita (aprile 2011). Non appena possibile, inserirò il link e la copertina del libro.

Grazie a tutti.


BASTARDO




Quando si è belli… anzi, troppo belli… il pericolo è venire continuamente importunati da femmine smaniose. Questo Actarus lo sa benissimo, e da sempre è riuscito a salvarsi dalle innamorate più o meno pervicaci che hanno incrociato il suo cammino. Ma questa volta… riuscirà a salvarsi dall’ultima, tenacissima corteggiatrice?





TRA MOGLIE E MARITO



Un marito. Una moglie. Un litigio.

Sembrerebbe una scena normalissima, ma i protagonisti sono Gandal e signora, entrambi Comandanti di Vega; quale sarà il grave motivo di tanto discutere?


SPAZZOLONE ROTANTE!!!



Un pavimento da lavare, e una casalinga, Venusia, che lava.

Peccato che continuino ad intromettersi tutti i maschi di casa, con le loro scarpacce fangose… e se poi dovessero arrivare persino i veghiani, con i loro stivali ovviamente lerci?

Interverrebbe lo Spazzolone rotante, appunto.

CARO AMICO MIO



Vivere all’ombra di un uomo come Actarus è frustrante, per cui Alcor si rifugia in un’amicizia conosciuta tramite internet… solo che man mano che chatta con il suo nuovo amico, Alcor viene preso da un’atroce sospetto…

NOTTE INDIMENTICABILE



Alcor e Maria che vanno in città per una notte di follia, e… no, il resto non lo dico.




BOCCOLI D’ORO




Deciso a distruggere Actarus una volta per tutte, Zuril invia contro di lui la giovane Candy, bionda, riccioluta fanciulla che ha la ventura di portare sfortuna chi le sta attorno, specie se di sesso maschile. Che cosa succederà quando la giovane incontrerà l’ignaro Actarus?




RISPARMIO ENERGETICO




Sulla base Skarmoon si deve risparmiare energia: tutti dovranno perciò svolgere a mano un compito generalmente destinato ai robodomestici. Zuril affida i compiti in base alle capacità di ciascuno; quali saranno però le capacità dell’odiato Dantus? E soprattutto: che compito gli verrà affidato?

Edited by H. Aster - 23/12/2017, 00:07
 
Top
view post Posted on 31/7/2008, 20:46     +1   -1
Avatar

Ho dei pensieri che non condivido!

Group:
Mod storici
Posts:
13,445
Reputation:
+6
Location:
Seconda stella a destra.

Status:


PROPOSITO INDECENTE



Venusia è stata catturata dai veghiani, che ricattano Actarus: o lui si arrenderà cedendo Goldrake, o Hydargos dovrà… come dire… oltraggiare la poverina.

Peccato che Hydargos, sotto la sua rude scorza celi un animo profondamente timido con le donne… e comunque: che cosa deciderà Actarus?




PICCOLE INCOMPRENSIONI




Actarus invita Venusia ad una cena romantica, perché deve dirle qualcosa di molto, molto importante, e non si decide mai a parlare.

Del tutto inaspettata, Sayaka piomba al ranch per trovare Alcor, e incontra invece Maria.

Jun comincia a non poterne più delle maniere di Tetsuya.

Cosa succede, quando le donne non ne possono più dei loro uomini?

Edited by runkirya - 4/4/2011, 00:10
 
Top
view post Posted on 31/7/2008, 21:44     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


I teaser che seguono sostituiscono i racconti umoristici originali, che sono stati raccolti in un libro dal titolo “Si trasforma in un Gatto Missile – racconti (poco seri) di Ufo Robot”, edito dalle Edizioni La Torre. Il libro è di prossima uscita (aprile 2011). Non appena possibile, inserirò il link e la copertina del libro.
Grazie a tutti.


LA COSA

Un’orrenda creatura rosea, viscida e pulsante… cosa sarà mai lo spaventevole mostro che Zuril sta esaminando?

Edited by H. Aster - 4/4/2011, 11:21
 
Top
view post Posted on 8/9/2008, 21:56     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


L’ATTENTATO

L’impensabile è avvenuto: il comandante Gandal è stato gravemente ferito in un misterioso attentato. Chi è stato a ridurlo in fin di vita? E soprattutto: perché lady Gandal finalmente TACE?

Edited by H. Aster - 4/4/2011, 11:22
 
Top
view post Posted on 22/10/2008, 20:45     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


EFFERATEZZE

Catturato dai veghiani, Alcor si rifiuta di parlare. Interviene allora Zuril, con una nuova, insopportabile tortura… al malcapitato Alcor viene mostrato un contenitore ermetico. Cosa conterrà, di così terrificante?

Edited by H. Aster - 4/4/2011, 11:19
 
Top
view post Posted on 11/11/2008, 22:11     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


APPUNTAMENTO AL BUIO
(Sex and the galaxy)


Venusia non ne può più di aspettare che Actarus si svegli e si comporti come dovrebbe comportarsi un maschietto; allora interviene lady Gandal, che da vera amica le propone un nuovo, misterioso fidanzato…

Edited by H. Aster - 4/4/2011, 11:19
 
Top
view post Posted on 19/12/2008, 21:30     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


Il mio omaggio natalizio al forum... con i miei più sentiti auguri per un felice Natale e un sereno 2009.
Vi voglio bene, ragazzi.


BUON NATALE!

Sia alla fattoria che alla base lunare, si festeggia tutti insieme il Natale: canti natalizi più o meno intonati, pranzi favolosi e soprattutto regali, regali azzeccati e doni decisamente meno graditi… per non dire fortemente sgradevoli.
Cioè, letali.


Edited by H. Aster - 4/4/2011, 11:24
 
Top
view post Posted on 14/4/2009, 20:16     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


Nuova FF, stavolta decisamente seria.
Ecco qui i primi due capitoli. Con l'ultima puntata metterò anche il link per il file word.

Buona lettura. :)


Questa Fan Fiction è dedicata a:
Reika, che ha letto per prima gli abbozzi;
Kojimaniaca che ha letto per prima la versione definitiva;
Grande Blu, che non ne sa nulla e per la quale è una sorpresa.

IL TEMPO PERDUTO

Capitolo 1 – Invasione

L’assalto era cominciato per gradi.
Dapprima, Vega aveva agito in modo sotterraneo, inviando animali robotizzati a colpire punti nevralgici, distruggendo linee di comunicazione ed inquinando le acque.
Poi era avvenuto l’attacco vero e proprio: sciami di dischi erano piovuti dal cielo, sparando all’impazzata sulle città, distruggendo antichi, meravigliosi palazzi e sterminando la folla inerme. Mostri enormi avevano vomitato raggi energetici capaci di polverizzare in un unico colpo monumenti che avevano sfidato i millenni. Migliaia di persone erano state letteralmente vaporizzate, non lasciando di sé più la minima traccia.
Fu allora che Duke, il principe di Fleed che aborriva la violenza, fu costretto a compiere quanto aveva sempre sperato non dover fare: usare Goldrake per sconfiggere il nemico, distruggerne i dischi, ucciderne gli uomini. Nonostante la sua giovinezza, Duke s’era battuto come un guerriero esperto, rispondendo colpo su colpo agli avversari, incalzandoli senza dar loro tregua, uccidendoli prima che loro stessi avessero potuto fare altrettanto… e mai, mai, mai una volta si era ritirato, si era mostrato debole, vile.
Re Vega aveva reagito inviando ancora più forze su Fleed: sciami di dischi erano calati sulle città, mostri orrendi avevano ripreso la carneficina. Duke Fleed aveva risposto coraggiosamente ad ogni attacco, ma la verità, amarissima, era prepotentemente emersa.
Erano troppi.
Tutti, su Fleed, sapevano che avevano perduto. Tutti sapevano che non era certo la pietà quello che potevano aspettarsi da Re Vega. Tutti sapevano che sarebbe stato meglio morire che finire nelle mani dei nemici… e di quei nemici.
Fleed sarebbe caduto, era solo questione di tempo; che sarebbe successo se Re Vega avesse potuto mettere le mani su Goldrake? Quel robot, costruito per essere un mite garante di pace, in mano a Vega sarebbe divenuto il più tremendo, efficientissimo strumento di morte.
Questo, il Re di Fleed non poteva permetterlo.
Agì durante una tregua tra i combattimenti; avvenivano, di tanto in tanto, ma erano sempre più rare e più brevi.
Naida aveva avuto sentore di quanto sarebbe accaduto, e aveva supplicato la regina di poter essere presente. Sapeva che Duke avrebbe dovuto partire con Goldrake, e sapeva anche che si sarebbe rifiutato di farlo; lei avrebbe potuto aiutare a convincerlo.
La regina l’aveva guardata, gli occhi lustri, e aveva assentito: – Vieni anche tu, cara.
Naida l’aveva seguita nel palazzo reale. Avevano percorso in fretta corridoi, attraversato stanze: ovunque regnava un silenzio innaturale. Sporco, calcinacci e schegge di vetro ingombravano i meravigliosi pavimenti di marmo, alcune colonne candide erano rotte o scheggiate e attraverso i finestroni si poteva vedere il giardino devastato dai bombardamenti: alberi divelti, macerie, crateri di bombe esplose. Ritta in mezzo a quella che era stata un’aiola fiorita, la statua di marmo di una fanciulla che danzava; era l’opera di un grande scultore, e quella ballerina sembrava stesse per spiccare il volo, eterea, vibrante di vita… ora di lei non restavano che le gambe. Spezzata ai fianchi, il resto della danzatrice giaceva a terra, nel fango.
Naida aveva sempre ammirato quella statua: vedere quei due monconi bianchi assurdamente ritti verso il cielo oscuro di polvere la colpì più di ogni altro orrore avesse visto fino ad allora. Allibita, si costrinse a staccarsi dalla finestra per seguire la regina; ma dentro di sé sentiva ormai un freddo terribile che sapeva non l’avrebbe più lasciata.
Lo studio privato del re era rimasto ancora integro; fu là che trovarono Duke e suo padre, intenti a discutere.
– Non posso abbandonarvi! – esclamò Duke, con tutta la foga dei suoi giovani anni – Se me ne andassi, non avreste più nessuna difesa contro quei mostri!
– Siamo sconfitti, Duke – il re di Fleed non amava parlare per perifrasi – Si tratta solo di evitare una disgrazia peggiore. Ci pensi a che accadrebbe, se Re Vega arrivasse ad avere Goldrake?
Duke si morse le labbra: – Mi stai chiedendo di fuggire…!
– Ti sto chiedendo di salvare miliardi di vite – suo padre gli pose le mani sulle spalle e continuò, occhi negli occhi: – Duke, Re Vega ci ha attaccati perché vuole Goldrake. Se arriverà ad averlo, la nostra sconfitta sarà totale. Lo capisci, questo?
Il giovane chinò la testa. Comprendeva.
Suo padre continuò: – Se Vega potesse disporre di Goldrake, lo userebbe per conquistare altri pianeti, sterminare popolazioni intere, distruggere civiltà, uccidere… Duke, questo non possiamo permetterlo.
Il giovane sentì la gola serrarglisi; incapace di rispondere, si limitò ad assentire.
– Io non voglio lasciarvi…! – mormorò infine.
Il re sentì una fitta al petto: nonostante si fosse battuto come un uomo, Duke aveva appena parlato come il ragazzo che era. Lo strinse a sé, tastandogli la schiena, le braccia ancora sottili da adolescente, cercando di vivere intensamente quell’ultimo abbraccio di suo figlio; poi si costrinse a lasciarlo: – Devi andare, e devi andare subito, prima che riprendano l’attacco. Porta via Goldrake. Cerca un pianeta remoto, il più lontano che tu possa raggiungere, e nasconditi: Re Vega sa che tu sei l’unico che può pilotare Goldrake, e farà di tutto per catturarti vivo. Questo non devi permetterlo.
– Se anche accadesse – rispose con durezza Duke, affilando i tratti del viso – non mi potrà obbligare a pilotare Goldrake per lui!
Suo padre scosse il capo: – Re Vega può farlo, credimi. Può far alterare la mente d’un uomo e trasformare in suo schiavo anche il suo più irriducibile nemico… trasformerebbe anche te. Non devi farti catturare, Duke.
Il giovane drizzò fieramente la testa: – Non mi avranno mai vivo. E non avranno Goldrake. Hai la mia parola.
Suo padre si costrinse a lasciarlo, ad allontanarlo da sé: – Vai, ora.
Duke si volse, scorse il viso pallidissimo di sua madre e la sua ferma risoluzione cadde: – …Non posso andarmene senza di te! Non posso permettere che tu… tu…
La regina lo strinse a sé, impedendogli di continuare quelle parole che ferivano per primo lui stesso. Sapevano entrambi che la partenza di Duke avrebbe significato l’immediata caduta di Fleed.
Duke e sua madre non si parlarono: si erano sempre compresi senza bisogno di discorsi. Rimasero stretti l’uno all’altra, consci che quell’ultimo abbraccio era tutto ciò che restava loro. Se solo fosse stato possibile portare in salvo qualcuno… qualche passeggero, almeno uno… ma l’autonomia di Goldrake, per quanto lunga, non era infinita. Un secondo passeggero avrebbe dimezzato le risorse di sostentamento, e il viaggio interstellare avrebbe potuto essere lunghissimo. Non si poteva nemmeno prendere in considerazione una simile ipotesi.
Duke guardò sua madre, imprimendosi nella memoria quel viso stanco e così caro; poi la lasciò bruscamente, quasi avesse temuto di non riuscire a staccarsi da lei.
– Ti accompagno – mormorò Naida, ma lui scosse il capo. Sentiva di doversi allontanare subito dalle persone che amava, immediatamente, senza indugi; o non avrebbe più potuto farlo. La baciò con disperazione, sapendo che non si sarebbero mai più rivisti; si strappò dalle sue braccia quasi con violenza, precipitandosi fuori della stanza senza voltarsi più indietro.
Per fortuna Maria non era presente: non avrebbe potuto tollerare la vista di quel visetto disperato, quegli occhi colmi di lacrime.
– Duke!
Una vocetta infantile… il rumore di piedini in corsa… Maria doveva essere riuscita a sfuggire alla sua governante per correre da lui. Non era facile imbrogliare una bimba preveggente…
– Duke!!!
Il ragazzo esitò: la sua sorellina che non avrebbe mai visto crescere…
Un rombo lontano. L’attacco stava ricominciando.
Doveva far presto.
S’allontanò di corsa, imponendosi di non udire i richiami disperati di Maria, di non voltarsi, non chiedersi nemmeno che ne sarebbe stato d’una bimba piccola perduta tra i bombardamenti… non poteva farlo… Doveva portare via Goldrake.
Corse, corse, corse senza più fermarsi.


Attraverso i vetri spezzati, il cielo appariva caliginoso; ad est, lampi rossastri annunciavano che l’attacco, la distruzione erano ricominciati.
Stretti in un abbraccio, il re e la regina di Fleed guardavano ansiosamente il cielo, aspettando, aspettando… accanto a loro, Naida si torceva le mani, in attesa.
Un lampo bianco sfrecciò improvviso, prendendo velocità, scomparendo infine tra le nuvole.
Il re e la regina si sorrisero: erano due genitori che avevano messo in salvo la loro creatura. Almeno, lui sarebbe sopravvissuto.
Quanto a loro, avevano trascorso la vita insieme; insieme, avrebbero affrontato anche quello che sarebbe inevitabilmente accaduto.
Naida strinse le braccia attorno al corpo, mentre continuava a guardare là dove Goldrake era ormai scomparso.
Vai, amore mio. Io sono finita: vivi tu anche per me.


Capitolo 2 – Ricordi

Per la prima volta dopo giorni, si permise di ricordare.
I dischi che sciamavano dal cielo, devastando uomini e cose con i loro raggi energetici… le esplosioni, le grida dei feriti, il pianto urlante di chi ha perso tutto, tutto, tutto…
Erano nel loro palazzo, quando i veghiani avevano fatto irruzione uccidendo chiunque si fosse loro ribellato. Il padre di Naida, il duca Barsagik, sperava che non opponendo resistenza si sarebbe potuto evitare il peggio.
Il duca era un uomo gentile, leale. Non poteva comprendere la mentalità brutale di un soldato di Vega.
Erano una famiglia di cinque persone: Naida, il suo fratellino Sirius, i loro genitori e la nonna.
Fu proprio la nonna la causa involontaria del disastro: la povera, dolce, fragile nonna, troppo anziana e malferma di salute per essere utile come schiava. Vederla e puntarle addosso il fucile fu per i soldati di Vega un atto a dir poco ovvio.
Con un urlo la madre di Naida si slanciò sulla nonna, facendole scudo con il proprio corpo esattamente nel momento in cui il soldato faceva fuoco. Finirono a terra abbracciate l’una all’altra, morte sul colpo.


Mamma… Naida chiuse gli occhi mentre sentiva ancora le oscene bestemmie urlate dal soldato, furioso per la morte di quella donna ancora giovane e bella. Che spreco, che peccato! Ma se l’era voluta lei.
Il duca Barsagik rimase un istante attonito a fissare i resti contorti che un istante prima erano state la sua adorata moglie e sua madre; poi si gettò come una furia sul soldato, gridando ai suoi figli di fuggire.
Naida afferrò per mano Sirius e infilò di corsa un corridoio, puntando verso il giardino. Sentì dietro di sé tonfi, urla, imprecazioni… una raffica di proiettili energetici. E il silenzio.
Naida continuò a correre, pensando febbrilmente a come avrebbe potuto salvare Sirius. In fondo al giardino c’era una porticina seminascosta tra gli alberi: avrebbero potuto fuggire di lì, e poi… poi…
Il giardino s’aprì improvvisamente davanti a loro. Nel cielo sfrecciavano i dischi, che continuavano la loro opera di distruzione; alcuni pezzi di cornicione erano piombati nelle belle aiole fiorite, e un albero giaceva spezzato di traverso al viale. Naida e Sirius puntarono in fretta verso il boschetto che celava la porticina, che appariva così lontana, così lontana…
Un’esplosione, uno schianto, e furono gettati violentemente a terra.
A fatica, Naida si rimise carponi: era dolorante e stordita, ma sentiva di non aver nulla di rotto. Si voltò verso Sirius… dovette cacciarsi i pugni in bocca per non urlare.
Sirius giaceva riverso, pallidissimo: respirava a fatica, e un rivolo di sangue gli usciva dalle labbra violacee. Un pezzo di pietra giaceva accanto a lui. Lentamente, Naida comprese: un disco aveva colpito il palazzo, e quel detrito era stato sbalzato via centrando Sirius nella schiena.
Qualcosa parve frantumarsi in Naida… niente sarebbe stato più come prima. Distrutta, raccolse tra le braccia il fratello e scoppiò in lacrime, incapace di scappare, di lasciarlo, di far qualsiasi altra cosa che non fosse urlare tutto il suo dolore.
Fu così che li trovarono poco dopo, lui svenuto e lei che piangeva disperata. Mani crudeli li separarono, strappandole il fratellino dalle braccia. Mentre la trascinavano via, Naida vide un soldato chinarsi per esaminare Sirius; si divincolò furiosamente, urlando, graffiando, prendendo a calci l’uomo che l’aveva catturata. Quando gli morse una mano, lui le appioppò un ceffone che la gettò a terra. Sentì che qualcuno stava armando una pistola…
Un lampo verde, e il mondo scomparve.
Si risvegliò non seppe quanto tempo dopo, nel ventre oscuro di un’astronave.


- continua -
 
Top
view post Posted on 18/4/2009, 20:53     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


Seconda puntata.

Capitolo 3 – La prigione

Semibuio. Spazi ristretti. Niente cibo. Poca acqua, calda e che puzzava di disinfettante.
Unica concessione all’igiene, in un angolo un enorme contenitore destinato alla raccolta della sporcizia; ma le prigioniere erano qualche centinaio, e da che erano state racchiuse là dentro, nessuno aveva ancora provveduto a ripulire il recipiente. La puzza cominciava ad essere insopportabile.
Tormentata dal fetore, lo stomaco vuoto che ruggiva la sua disperazione, Naida ricadde sul pavimento metallico e appoggiò la schiena contro la parete. A quel punto, sperava solo di poter morire.


La ragazza si contorse nel suo stesso sangue, rantolando penosamente.
Ritto in piedi accanto alla sua vittima agonizzante, il soldato di Vega fece scorrere lo sguardo sulle atterrite prigioniere: – C’è qualcun’altra che vuole ribellarsi?
Naida si addossò alla parete metallica della cella, troppo terrorizzata anche solo per poter urlare.
L’orrore era appena cominciato.


I soldati si fecero avanti, afferrando le prime sventurate che capitavano loro a tiro: in quella cella erano state rinchiuse le prigioniere più giovani e belle, per cui l’una o l’altra era lo stesso. Molte ragazze gridarono, tantissime piansero, supplicarono, soffocarono il loro dolore… nessuna osò ribellarsi, non dopo aver visto di cosa erano capaci quei mostri. In un angolo, la loro compagna moribonda giaceva in una pozza di sangue, e il suo lamento continuo era ancora più agghiacciante delle grida delle ragazze che venivano gettate sul pavimento e sistematicamente stuprate sotto agli occhi terrorizzati delle altre prigioniere.
Quando due soldati l’afferrarono, Naida non osò opporsi, non emise un suono. Atterrita, continuò a ripetersi che non era vero, non poteva essere vero, era un’altra a venire violentata, non era lei, non era lei…


Un’eternità più tardi, lo scempio volse finalmente al termine. I soldati si rivestirono, ridendo e scambiandosi l’un l’altro battute grossolane, mentre le loro vittime gemevano sommessamente, sconfitte, distrutte. Si udiva ancora qualche grido disperato, testimone della brutalità con cui qualcuno ancora si accaniva sulla sua sventurata vittima; un graduato prese a gridare di smetterla, sferrò un calcio ad un soldato particolarmente ostinato, fece scattare in piedi quelli che indugiavano nel rivestirsi.
Le prigioniere non osavano muoversi, lamentarsi, nemmeno fiatare: il terrore di veder ricominciare quella mostruosità le aveva praticamente gelate. Non sapevano d’aver subito il normale trattamento riservato alle schiave destinate a divenire oggetto di piacere: occorreva sciuparne qualcuna e magari ucciderne una o due, ma le sopravvissute perdevano qualsiasi voglia di ribellarsi. In gergo, si diceva che erano state addomesticate.
Il graduato controllò che tutti i soldati fossero usciti, prima di avviarsi pigramente verso la porta; in un angolo, scorse la sventurata ragazza, la prima vittima, che ancora si lamentava nel suo sangue. Era immobile, respirava affannosamente e il suo fievole gemito si era perso tra le urla delle sue compagne. Senza una parola, il milite puntò il suo fucile e fece fuoco, ponendo fine a quello spaventoso supplizio.
La porta si chiuse pesantemente alle sue spalle, e nella prigione regnò un silenzio pesantissimo, irreale; poi, una voce si levò gridando tutto il suo orrore, altre piansero, altre si limitarono a restare dov’erano, incredule, inorridite, sconvolte.
Naida puntò un gomito a terra e si rialzò a fatica: tremava in tutto il corpo, per cui non osò tentare di rimettersi in piedi.
Era ancora viva.
Si guardò attorno: dovunque, non vedeva che creature sanguinanti, ferite. Poco discosto da lei, una ragazzina, poco più che una bambina, tremava violentemente tenendosi le braccia strette attorno al corpo. Naida strisciò verso di lei, le toccò una spalla; se la ritrovò singhiozzante tra le braccia. La strinse a sé, cercando di placare quello spaventoso dolore – e intanto evitando di pensare alla propria disperazione.
La ragazzina aveva un gran livido su uno zigomo, e sangue le usciva dal naso. Naida si strappò un pezzo del bordo della veste, tentando di tamponare l’emorragia. Non c’erano disinfettanti, antidolorifici… non c’era nemmeno un po’ d’acqua per pulire le ferite.
Non c’era niente.


Capitolo 4 – Il padrone

La pesante porta s’aprì, lasciando passare due soldati; un’ondata di panico percorse le prigioniere, terrorizzate all’idea che ricominciasse quello che era accaduto… quando? Avevano perso ogni cognizione di tempo, non avrebbero saputo rispondere… Un’infinità di tempo prima.
I soldati però non parevano voler dare il via a nuove violenze: insensibili al terrore delle loro vittime, presero ad esaminare le prigioniere.
Naida li guardò quasi con indifferenza: non sentiva più niente, ormai, né paura, né fame, né sete. Dentro di sé, si sentiva morta.
I soldati osservarono rapidamente Naida: il suo viso non era tumefatto o sporco di sangue, e nonostante i suoi vestiti strappati e sporchi appariva in condizioni migliori di molte altre. La spinsero nel gruppetto delle prescelte, una decina tra le prigioniere più giovani e graziose; poi le spintonarono fuori della maleodorante prigione e le fecero salire su per una rampa, portandole infine in un’ampia stanza al piano superiore.
Naida camminava senza porsi domande su dove la stessero portando: probabilmente quei due l’avevano scelta come oggetto di piacere per la truppa o, con un po’ di fortuna, per un qualche ufficiale. Ormai, non le importava più nulla.
Accomodato su una poltroncina, una coppa tra le lunghe dita, un veghiano le attendeva. Naida capì subito che si trattava d’una personalità d’alto rango; non poteva sapere che era nientemeno che Hydargos, il vicecomandante di Vega.
Le ragazze vennero sospinte davanti a lui, che prese ad esaminarle con interesse. La maggior parte di loro inorridì per l’aspetto di quel nemico, il cui viso lungo, magro e bluastro le ripugnava; altre si mostrarono fiere e sdegnose, una o due si fecero languide, provocanti.
Naida pareva trovarsi a miglia e miglia da là.
Furono proprio il suo silenzio e la sua impassibilità ad attirare Hydargos, che si alzò per esaminarla meglio. Osservò i lunghi capelli verde dorato, gli immensi occhi chiari, il visino triste e serio; poi vide quel corpo pieno e dalle linee voluttuose, e la scelta fu immediata.
– Avvicinati, tu – disse, indicandola con il frustino, il suo emblema di comando.
Naida fece un paio di passi in avanti e si fermò. Era pallidissima ed indifferente, quasi quello che le stava accadendo non la riguardasse affatto.
Hydargos fu più che soddisfatto del suo esame. Alta, curve abbondanti, pelle bianca. Bellissima. Le mise la punta del frustino sotto il mento facendoglielo alzare: anche il viso era molto bello.
– Come ti chiami? – domandò.
– Naida Barsagik.
– Naida Barsagik, signore – puntualizzò lui.
Lei non batté ciglio: – Sì, signore.
Forse fu proprio l’indifferenza di Naida a convincerlo. Non gl’interessava una ragazza provocante e disponibile, grazie al suo rango ne aveva avute anche troppe; quanto alle altre, poche cose l’innervosivano come una donna in lacrime. Ma quella creatura bellissima, dal fare freddo e remoto e dal corpo che era tutta una promessa…
– Prendo lei – annunciò.
Ci fu un movimento tra le prigioniere, che provarono un certo sollievo vedendosi scartate da quell’orribile individuo… salvo poi chiedersi nervosamente se invece non era proprio stata Naida, la fortunata.
Hydargos sospinse col frustino la sua schiava verso la porta. Si rese conto che i vestiti succinti e strappati di lei attiravano fin troppo le occhiate dei soldati, e si tolse il mantello avvolgendoglielo addosso; poi le mise possessivamente un braccio attorno alle spalle e la condusse via dalla prigione.
Fu l’ultima volta in cui Naida vide le sue sventurate compagne. Poi non ne avrebbe saputo più nulla.


Hydargos non ignorava cosa fosse successo a Naida nei giorni precedenti; fu per questo che per prima cosa la portò a fare una visita al centro medico. Non poteva certo rischiare di prendersi un’infezione.
Se è malata, posso sempre rimandarla indietro e prenderne un’altra, si disse.
Gettò un rapido sguardo a Naida, ai suoi lunghi capelli, a quel corpo meraviglioso, e decise che valeva la pena di farla curare. Difficilmente avrebbe potuto trovare tra le altre schiave una donna altrettanto bella.
Una dottoressa dall’aria efficiente prese in consegna Naida. La spinse in una cabina dalle pareti trasparenti e digitò rapidamente sui comandi, azionando i sensori e controllando i dati sul display. Niente infezioni. Non era nemmeno incinta.
La dottoressa era una donna scrupolosa; fu per questo che azionò comunque un raggio di luce che piovve su Naida, compiendo una rapida opera di disinfestazione. Dopo un ulteriore esame generale con i sensori, la dottoressa riconsegnò Naida al suo proprietario, dandogli il suo responso: disidratata e denutrita, ma sana.


La cabina di Hydargos era spaziosa e comoda, almeno secondo il metro di Vega – piuttosto spartano. Il viaggio verso la base Skarmoon sarebbe durato più di un giorno, e Hydargos aveva tutte le intenzioni di trascorrere quel tempo piacevolmente. Non per nulla si era procurato una schiava.
Per prima cosa, la mandò a farsi una doccia. Cinque giorni di carcere senza la minima possibilità di pulirsi potevano avere un effetto sgradevole sulla più affascinante delle donne. Sospinse perciò Naida verso il bagno, ordinandole di lavarsi con cura e fornendole anche un vestito nuovo.
Nonostante si sentisse morta nell’animo, Naida indugiò a lungo sotto alla doccia. Quattro giorni prima due soldati l’avevano violentata a turno, e da allora lei non aveva potuto lavarsi. Tutto quel tempo passato sentendosi addosso le loro schifose tracce l’aveva duramente segnata. Si strofinò fino a far dolere la pelle, lavò accuratamente i capelli e rimase a lungo sotto il getto freddo dell’acqua, quasi avesse potuto lavar via tutti gli orrori che aveva subito. Aprì la bocca e bevve, bevve, bevve fino a non poterne più. Poi s’asciugò diligentemente, si vestì e si pettinò i lunghi capelli.
Si guardò allo specchio, e vide un’estranea pallida e dagli occhi morti.
Così si sentiva, infatti. Non provava nulla. Aveva sofferto troppo per essere in grado di patire ancora. Aveva perso tutto: amore, casa, famiglia, amici, mondo. Se era ancora viva, non era perché l’avesse voluto lei.
Stranamente, non provava paura circa Hydargos. Il suo corpo era già stato ripetutamente violato, una nuova invasione la spaventava poco. Tanto, ormai…
Uscì dal bagno. Il suo nuovo vestito a tunica rosa pallido che le aveva dato Hydargos le lasciava scoperta una spalla e le ricadeva in piegoline leggere attorno al corpo, mettendone in risalto le curve sinuose.
In piedi in mezzo alla stanza, lui l’ammirò in silenzio. Mosse un passo verso di lei, vide il suo spaventoso pallore, il leggero tremito che la scuoteva tutta e si trattenne. Lei… si chiamava Naida, già… era digiuna da giorni, se non si fosse nutrita al più presto avrebbe potuto svenire, il che non era precisamente quel che lui voleva. Pazienza…
A malincuore accennò al tavolo, dove attendevano due vassoi colmi. Naida non mangiava da troppo tempo, e il profumo del cibo le fece provare una fitta dolorosa alla giuntura delle mascelle, là dove si trovavano le ghiandole salivari.
Hydargos sedette e le fece cenno di fare altrettanto.
Mi permette di pranzare con lui, si disse Naida. Buon segno.
Attese che il suo padrone iniziasse il suo pasto, prima di assaggiare un boccone. Improvvisamente si rese conto di avere fame, molta fame. Mangiò ogni cosa, badando solo di masticare con cura prima d’inghiottire: non avesse fatto così il suo stomaco, già provato dal lungo digiuno, difficilmente avrebbe retto quel cibo per lei esotico.
Quando ebbe terminato l’ultimo boccone osò alzare gli occhi su Hydargos: la stava guardando in maniera inequivocabile. Nonostante avesse creduto di essere ormai indifferente si accorse di sentir la paura crescere in sé, una paura folle, irragionevole… ma di che? Dopo l’orrore che già aveva subito, come poteva temere nuove violenze…? Difficilmente lui avrebbe potuto farle di peggio…
Hydargos s’alzò, gli occhi accesi sempre fissi su di lei; Naida si mise in piedi, e finalmente capì di cosa avesse paura.
Il dolore fisico.
Naida ne era terrorizzata da sempre. In quei giorni, poi, aveva visto come i soldati avevano ridotto alcune sue compagne che si erano ribellate: aveva visto donne picchiate, violate, ferite, mutilate, uccise. Ricordava ancora troppo bene cos’era successo a quella sventurata ragazza che aveva colpito un soldato che stava per stuprarla… “C’è qualcun’altra che vuole ribellarsi?”
L’orribile punizione che aveva subito prima di venire uccisa era stata un esempio per tutte le prigioniere; Naida non avrebbe mai potuto dimenticare quella sua sventurata compagna. Quando lei stessa era stata violentata, non aveva opposto la minima resistenza: aveva visto troppi orrori, troppi… e aveva troppa paura, non tanto della morte quanto dell’agonia che l’avrebbe preceduta. I soldati di Vega non erano così pietosi da uccidere rapidamente.
Dal giorno dell’attacco a Fleed, Naida aveva provato ogni forma di sofferenza: era stata umiliata, stuprata, privata di tutto. Era stata ridotta a qualcosa di meno di un essere umano, una creatura disposta a subire qualsiasi cosa pur di non soffrire ancora. Ora, guardò di sfuggita il veghiano che era ormai il suo padrone, l’uomo che aveva su di lei ogni diritto: cosa le avrebbe fatto, lui? Non aveva più in mano il frustino, ma…
– Vieni qui – disse Hydargos.
Il momento era arrivato.
Docile, Naida avanzò verso di lui fermandosi a pochi passi di distanza.
– Io ti obbedirò, signore – disse, non osando guardarlo negli occhi – Ti sarò fedele, farò tutto ciò che desideri senza ribellarmi… solo, non farmi del male. Ti prego.
Lui, che s’era incantato ad osservare quel bellissimo corpo che presto sarebbe stato suo, si riscosse e guardò la sua schiava in viso. Fare del male a quella splendida creatura era l’ultima cosa che avesse in mente, ma naturalmente non poteva dirglielo: uno schiavo è uno schiavo, deve aver paura del suo padrone.
Vide il terrore negli occhi di Naida; beh, forse era meglio non esagerare.
– Davvero, mi obbedirai senza ribellarti? – chiese, burbero.
– Hai la mia parola, signore… ma tu, non mi farai del male…?
– No, se ti comporterai bene – Hydargos aprì le braccia; Naida esitò un solo istante, poi s’avvicinò ancora, a testa alta, fiera come una regina che sale al patibolo. Hydargos non vide la sua espressione, o meglio, non volle vederla. L’afferrò rovesciandola tra le proprie braccia e la baciò con una foga che la lasciò completamente senza fiato. Terrorizzata, lei s’impose di non opporsi, non sottrarsi a quella bocca che s’era impossessata della sua, non divincolarsi da quelle braccia che la serravano fino a spezzarla, di tollerare su di sé quelle mani estranee che le scorrevano addosso senza il minimo ritegno. Purché lui non le facesse del male, purché non la picchiasse, torturasse, o peggio…
Per Hydargos, il mondo si dissolse nel fuoco.


Naida si mise a sedere sul letto, passandosi una mano tra i capelli; diede uno sguardo ad Hydargos, che dormiva profondamente.
Era indifeso. Avrebbe potuto ucciderlo.
A lungo, Naida guardò il suo padrone addormentato: era vero, avrebbe potuto tagliargli la gola nel sonno… ma poi? Poi sarebbe stato meglio morire, piuttosto che affrontare la spietata giustizia di Vega.
Suicidio…
Naida rabbrividì. Il giorno prima sarebbe stata più che disposta a farlo: disperata, sola, affamata, sporca, avrebbe considerato la morte come una liberazione. Hydargos, anche se per fini puramente egoistici, l’aveva tolta dalla prigione, l’aveva vestita, nutrita: l’aveva richiamata a vivere. Persino il suo amore rude e vigoroso, pur imposto, aveva cominciato a risvegliare in lei una scintilla di speranza nell’avvenire che Naida aveva creduto spenta per sempre. Ora, nonostante avesse davanti a sé un futuro come giocattolo di quel veghiano, quell’uomo ruvido ma che in fondo non l’aveva trattata male, Naida non provava più il desiderio di morire.
Era viva, e voleva continuare a vivere.


Capitolo 5 – Skarmoon

L’arrivo su Skarmoon non cambiò molto le cose. Durante il giorno, Hydargos era occupato e non rientrava praticamente mai nel suo alloggio; Naida aveva allora lunghe ore da dedicare a sé stessa, curando scrupolosamente il proprio corpo e riposando molto. Le era ben chiaro che finché fosse stata giovane e bella la sua esistenza sarebbe stata sicura: il terrore di ritrovarsi sola e senza protezione, visto che su Vega nemmeno la legge tutelava gli schiavi, la spingeva a fare di tutto per ingraziarsi il suo padrone. Per questo, quando Hydargos tornava nel suo alloggio trovava la sua schiava docile e prontissima a compiacerlo. Non che ci volesse molto ad accontentarlo: bastava essere accondiscendenti e non mostrarsi mai, ma proprio mai, stanchi, maldisposti o malati.
Dentro di sé, Naida si disprezzava per questo: era una duchessa di Fleed, e s’era ridotta ad essere il giocattolo sessuale di un nemico… ma l’alternativa la terrorizzava troppo. Aveva visto morire troppa gente, e in modo troppo orribile, per osare ribellarsi.
I vantaggi comunque erano concreti: Hydargos era un buon padrone, non lesinava né il vestiario né il nutrimento, e nel complesso era abbastanza gentile. Mai una volta aveva alzato le mani su di lei. Si comportava insomma come se avesse posseduto un bell’oggetto fragile e prezioso, da trattare con ogni cura, certo, ma anche da adoperare tutte le volte che ne avesse provato il desiderio; e questo desiderio lo provava praticamente tutti i giorni.
Era un amante rude e poco incline alle tenerezze; però non la picchiava, non la sottoponeva a perversioni, non le faceva del male deliberatamente. Placate in lei le sue molte energie, si voltava dall’altra parte piombando nel sonno.
Naida allora piangeva silenziosamente, sfogando nelle lacrime tutto il suo dolore, finché non s’addormentava anche lei, sfinita; la mattina dopo, la giornata riprendeva, identica.


Per i primi tempi, il pensiero delle persone care che aveva perduto faceva sì che non passasse giorno senza che Naida non scoppiasse in lacrime, ovviamente quando Hydargos non era presente; alle volte era il ricordo della madre a farla piangere, altre volte le tornavano in mente la voce affettuosa di suo padre, oppure le sovveniva uno scherzo di Sirius.
Non passava però giorno senza che Naida pensasse a Duke Fleed.
Lui era divenuto il suo pensiero fisso, una sorta di punto fermo nella sua esistenza impazzita. Pensare a lui, al suo amore, alla sua forza le dava il coraggio di proseguire nella sua esistenza di schiava.
Alle volte, quando Naida si sentiva particolarmente depressa, le bastava rammentare la sua voce, ripensare a quando lui la stringeva tra le braccia, per sentirsi immediatamente più forte; salvo poi disperarsi per quanto aveva perduto.
Sapere poi che lui non era stato ucciso dai veghiani, pensare che forse s’era salvato, che magari un giorno si sarebbero rivisti… erano sogni, di questo Naida era cosciente; però sognare l’aiutava a non impazzire.
Evocare il viso giovane e bello di Duke confortava Naida, ma anche strideva atrocemente con la realtà, costringendola a raffrontare il suo amore perduto con l’orrendo mostro con cui doveva vivere. Pensare alla dolcezza, alla bontà d’animo del principe di Fleed le rendeva ancora più odioso il comandante di Vega che l’aveva comprata.
Immersa nel suo passato, nei ricordi della sua vita scomparsa, Naida non si rendeva conto di non essere obiettiva nei confronti del presente. Hydargos era per lei uno spaventoso individuo, orribile e crudele; non si rendeva conto che in realtà lui la stava trattando molto meglio di quanto avrebbe fatto qualsiasi abitante di Vega con la sua schiava.
E infatti, Hydargos stava rivelandosi un padrone eccezionalmente gentile. Su Vega, era la prassi nutrire i propri schiavi con rifiuti, vestirli con stracci, sfiancarli di lavoro, umiliarli con insulti, batterli o addirittura ucciderli alla minima mancanza; persa nel suo continuo raffronto con Duke Fleed, Naida non badava ai pasti abbondanti, ai vestiti, alla vita comoda che le era concessa, al fatto che mai lui l’avesse maltrattata.
Per Naida, aggrappata al suo amore per Duke, Hydargos era e restava il nemico, il padrone crudele, il mostro.


Durante il giorno, finché era sola, Naida riusciva a rilassarsi, a calmare la tensione che la divorava; man mano che s’avvicinava l’ora in cui il suo padrone avrebbe fatto ritorno, in lei l’inquietudine cominciava a crescere, divenendo infine autentico terrore.
Aveva sempre avuto timore dei veghiani, e questo da prima che Fleed venisse attaccato. Aveva sempre diffidato di loro, trovandoli individui violenti e per nulla affidabili; nella stragrande maggioranza dei casi, poi, il loro aspetto le era sempre sembrato a dir poco inquietante. Tante volte s’era rimproverata questo suo pregiudizio, tante volte s’era imposta di mascherare, dominare il suo disgusto; trovarsi ora costretta a vivere a stretto contatto con uno di quegli esseri le era praticamente insopportabile.
La verità era evidente: Hydargos la terrorizzava.
Quando lui, così cupo e silenzioso, s’aggirava per l’alloggio, Naida sentiva il panico attanagliarle le viscere: non sapeva cosa aspettarsi da quell’uomo chiuso e taciturno, e la paura le faceva temere le cose peggiori. In realtà, Hydargos non l’aveva mai trattata male, anzi; lei però continuava a provare l’irragionevole timore che senza alcun preavviso quel suo scontroso padrone si trasformasse in un aguzzino, che i silenzi divenissero urli, insulti e percosse. Si sentiva un poco come se in quelle stanze assieme a lei vi fosse stata una belva, apparentemente tranquilla ma potenzialmente letale.
Naida allora faceva di tutto per non contrariarlo, anzi, per prevenire i suoi desideri; il problema era che non sempre era facile capire cosa lui volesse. Tornava a casa stanco, certo: ma cosa desiderava? Silenzio, o qualche chiacchiera che lo distraesse? Attenzioni, o essere lasciato in pace?
Non era facile capirlo, e ancora meno facile, per lei, era avvicinarlo; e il motivo era semplice.
Lui la ripugnava.
Quel suo aspetto così strano, così alieno… quel cranio allungato, quel suo corpo alto e magro, quelle membra lunghe, sottili ma forti le ricordavano un enorme insetto.
In più, da sempre Naida aveva avuto l’idea che i veghiani fossero viscidi e avessero cattivo odore; nulla di più falso, come l’esperienza le aveva insegnato. Al contrario, gli abitanti di Vega curavano scrupolosamente la pulizia personale, e facevano larghissimo uso di detergenti e disinfettanti per l’igiene degli ambienti in cui vivevano. Ma in lei, il disgusto permaneva.
Quando Hydargos la stringeva tra le braccia, Naida chiudeva gli occhi per non vedersi preda di quel mostro: cercava allora di evocare l’immagine di Duke, Duke così gentile, così bello, Duke che lei aveva sempre amato con totale passione… ma il passato, per quanto meraviglioso, scoloriva davanti al ben più ingombrante presente, e Naida doveva mordersi le labbra per non mettersi ad urlare. Peggio ancora, per non contrariare Hydargos era costretta a simulare il suo ribrezzo. Rabbrividiva anche solo vedendo scivolare sulla sua pelle bianca la mano di lui dalle lunghe dita bluastre, simili alle zampe di un ragno.
Si sforzava comunque di dominarsi, perché era perfettamente consapevole di aver avuto fortuna: se lui non l’avesse scelta per sé, sicuramente lei avrebbe avuto un destino peggiore, dal trovarsi giocattolo per le truppe al divenire cavia per qualche esperimento. Tutto sommato, era infinitamente meglio subire e tacere.
Una sera, inaspettatamente, le cose cambiarono.
Hydargos rientrò più cupo del solito, il viso atteggiato ad una smorfia di sofferenza; toltosi il mantello, sedette sul divano tentando di massaggiarsi la base del collo.
Naida aveva visto quella scena fin troppe volte per non riconoscerla subito: suo padre che tornava la sera, la schiena irrigidita da uno spasmo…
«Naida, tesoro, mi faresti uno dei tuoi massaggi?»
«Papà, lo sai che ti succede sempre quando lavori troppo! »
«Sì, sì… guarda, è proprio qui che mi fa male… potresti…?»
«Va bene…»
Allora lei massaggiava e massaggiava il collo indurito, sciogliendo delicatamente i muscoli, fino a quando non sentiva la tensione abbandonare la schiena e le spalle del padre, che finalmente sospirava di sollievo: «Grazie, cara. Ora sto proprio meglio»
Quasi senza rendersene conto, Naida sedette sul divano accanto ad Hydargos, che continuava a strofinarsi il collo: in quel momento, lei vide solo la sofferenza e il dolore, non il mostro che l’aveva comprata. Gli posò le mani sulle spalle e cominciò a tastarle delicatamente, cercando il punto da cui partiva il male.
Lui trasalì al suo tocco, ma non protestò: lo spasimo era veramente forte, e le dita di lei sembravano muoversi con sicurezza e dargli un certo sollievo. Non gli piaceva l’idea di voltare le spalle alla sua schiava, una potenziale nemica, ma non poteva fare altrimenti; del resto, sarebbe stato all’erta, e se lei avesse tentato un qualche brutto scherzo gliel’avrebbe fatta pagare… ah, ora aveva trovato il punto giusto, che meraviglia…
In silenzio, Naida continuò a lavorare con pazienza, delicata e decisa allo stesso tempo: sapeva bene quanto dolore lui dovesse provare, e non desiderava altro che lenire il male, arrestare il tormento.
Improvvisamente, si rese conto di essere stata lei a toccare quel corpo – fortunatamente pulito e non viscido –, lei a prendere l’iniziativa.
Hydargos sembrava sentirsi meglio: proprio come un tempo succedeva a suo padre… La similitudine la lasciò senza fiato: fu proprio allora che Naida comprese che il mostro in realtà era solo un uomo.
Continuò il suo lavoro, e intanto sentì la paura abbandonarla poco a poco, cedendo il posto ad una sorta di stupore attonito: aveva avuto terrore e disgusto d’un essere che in realtà era sempre stato gentile con lei… e che comunque non era certo responsabile dell’aspetto che aveva.
Ormai la tensione era allentata, sotto le sue dita i muscoli erano morbidi, sciolti: – Signore, prova a muoverti… lentamente, non fare gesti bruschi.
Cauto, Hydargos spinse indietro le spalle, le alzò lasciandole ricadere, ruotò il collo: si sentiva un po’ indolenzito, ma il dolore che l’aveva paralizzato era scomparso. Quasi non riusciva a crederci.
In silenzio, Hydargos si voltò verso la sua schiava, tese una mano; istintivamente, Naida fece l’atto di proteggersi con il braccio, come se avesse temuto di venire picchiata. Ferito, Hydargos si tirò indietro: – T’ho mai maltrattata, io?
– No, signore! – Naida tremava, aveva paura d’averlo offeso – Tu sei sempre stato buono con me. Perdonami, io… io non avrei dovuto…
Il viso indurito di lui parve raddolcirsi; Hydargos le passò una mano sui capelli, e stavolta lei non si sottrasse alla sua ruvida carezza.
Per un attimo, lui rimase in silenzio a fissarla pensierosamente. Naida avrebbe potuto lasciarlo soffrire, sicura che in quelle condizioni lui non avrebbe certo potuto nuocerle; invece, aveva scelto di aiutarlo. Per la prima volta da che l’aveva presa con sé, lei gli si era avvicinata, l’aveva toccato spontaneamente… ma perché l’aveva fatto?
Naida alzò gli occhi e incontrò lo sguardo intenso e scrutatore di Hydargos; invece di sfuggirlo, lo sostenne.
Entrambi lo capirono, anche se confusamente: qualcosa tra di loro era cambiato.


E qualcosa era effettivamente cambiato, e più radicalmente di quanto entrambi si fossero resi conto.
Come moltissimi abitanti di Fleed, Naida aveva sempre considerato i veghiani come un popolo di mostri bellicosi, rozzi ed incivili; improvvisamente, ebbe coscienza di quanto il pregiudizio l’avesse accecata fin da subito.
Ora che aveva preso a considerare Hydargos come un uomo e non più come una sorta di belva, cominciava a notare in lui qualità di cui prima non aveva voluto rendersi conto.
Il fatto che il “mostro” amasse la musica, ad esempio: e non certo banali sciocchezze orecchiabili, beninteso. Hydargos aveva gusti ben più raffinati, e aveva anche una buona conoscenza in materia; quando lei aveva azzardato una domanda, lui le aveva risposto con la competenza del vero appassionato.
In più, nonostante fosse un uomo di poche parole, la sua conversazione non era certo quella grossolana di un ignorante: al contrario, Naida aveva intuito in lui una cultura ben più vasta di quanto avesse sospettato.
Il suo stesso alloggio, dall’arredamento sobrio ma elegante, decorato da un paio di pregevoli sculture, non era certo l’abitazione pacchiana di una persona grezza e di cattivo gusto.
Lentamente, Naida cominciò a guardare con occhi diversi il suo padrone: non era certo bello, ma il suo aspetto almeno non la disgustava più come un tempo. Non era né tenero né romantico, ma aveva sempre avuto cura di lei. Era cupo e poco loquace, ma non l’aveva mai trattata con disprezzo.
Quasi senza rendersene conto, Naida cominciò a mutare opinione su di lui, a considerarlo con rispetto e fiducia; e man mano che la sua considerazione per Hydargos aumentava, senza nemmeno rendersene conto Naida cominciava a sentir affievolire dentro di sé il suo disperato amore per Duke Fleed.
Da parte sua, anche Hydargos stava rapidamente rivedendo il suo giudizio su di lei.
Come ogni veghiano, aveva sempre considerato gli abitanti di Fleed come persone iperemotive, poco logiche, deboli nel fisico e nel carattere, anche se costituzionalmente affascinanti e dotati di naturale eleganza.
Aveva deciso di prendersi una schiava di Fleed, rassegnandosi ad avere quindi una creatura di bell’aspetto, ma fragile ed irragionevole.
L’aveva scelta attratto dalla sua bellezza, dal suo portamento aristocratico; ora si rendeva conto d’aver trovato molto, molto di più.
Un cervello, innanzitutto. Cultura. Buon carattere. Classe.
Ancora non riusciva a credere alla sua fortuna. Continuava a guardarla, incantato dalla sua avvenenza; provava una sorta di stupore nel vederla accanto a sé, nell’udirla parlare con quella sua voce dolce, nell’osservare i suoi movimenti eleganti, la sua grazia innata.
Ricordava ancora con un certo raccapriccio una schiava che aveva avuto in passato: bellissima, ma desolatamente idiota. Ridacchiava di continuo, piantava capricci su capricci e continuava a chiacchierare, inarrestabile. Oltretutto, aveva un’insopportabile voce nasale, tutta di testa, e pareva incapace di comprendere come lui, almeno mentre ascoltava musica, volesse un po’ di silenzio. Alla fine, esasperato, se n’era sbarazzato rivendendola ad un collega che, abbagliato dalla sua prosperosa bellezza, aveva sganciato senza fiatare praticamente una volta e mezza il suo valore.
Naida era tutt’altra cosa. L’aveva pagata cara, ma valeva tutta la somma spesa, fino all’ultimo centesimo.
A dire il vero, Hydargos cominciava a pensare che lei fosse stata il miglior affare della sua vita.


- continua -
 
Top
view post Posted on 21/4/2009, 20:58     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


Capitolo 6 – Hydargos

Naida non si allontanava praticamente mai dall’alloggio del suo padrone; sulle prime, Hydargos non vi fece caso. Poi cominciò a dirle di uscire, di non rimanere sempre rinchiusa, di girare liberamente per la base; ma Naida aveva troppa paura.
– I soldati, mio signore – rispose alla domanda di lui.
– Non ti faranno niente – assicurò orgogliosamente Hydargos – Sanno che sei la mia schiava. Nessuno sarebbe così pazzo da mancare di rispetto alla donna del vicecomandante di Vega.
Nonostante le sue assicurazioni, Naida continuò a restare chiusa nel loro alloggio; ben presto, però, noia e solitudine divennero un problema serio.
Non più esausta com’era stata dopo la sua cattura, Naida non sentiva più la necessità di ore e ore di riposo: al contrario, avrebbe voluto avere qualcosa che la tenesse occupata, ma non sapeva che avrebbe potuto fare. Esaminò l’alloggio di Hydargos: soggiorno, camera da letto, bagno, uno studio privato. Ogni ambiente era perfettamente pulito e lucido, opera dei piccoli, efficientissimi robodomestici che si occupavano di mantenere l’ordine e l’igiene sulla base.
Non doveva nemmeno cucinare: i pasti venivano serviti dagli stessi robodomestici. Tutto quel che occorreva fare era ordinare le vivande che si desideravano.
Inquieta, in preda alla noia più totale, Naida non osava però manifestare il suo problema ad Hydargos, che naturalmente non si accorgeva di nulla: occupatissimo col suo lavoro, lui non si poneva certo la questione di cosa facesse lei in quelle interminabili ore solitarie. Quando tornava a casa lui voleva solo distrarsi, per cui non parlava nemmeno della giornata appena trascorsa, dei malumori di Gandal, delle sfuriate di Sua Maestà, delle sue preoccupazioni circa la riuscita della conquista della Terra. Quanto a Naida, sapeva benissimo che il compito di lui era invadere un nuovo pianeta, ed era ben felice di non conoscere i particolari: pur disprezzandosi, cercava d’ignorare che Hydargos, il suo padrone, avrebbe fatto distruggere un nuovo mondo com’era stato distrutto Fleed.
Alle volte, lei lo guardava di sottecchi, pensando che proprio quell’uomo che nel complesso con lei era abbastanza gentile, proprio lui avrebbe contribuito allo sterminio di una nuova popolazione… ma allora subito Naida si riscuoteva, obbligandosi a dimenticare.
Non devo pensarci, o non potrò più tollerare nemmeno che mi sfiori…
La noia e l’inattività, però, erano insopportabili.
Una sera, mentre era raggomitolata sul divano accanto a Hydargos, lei azzardò una domanda: sarebbe stato possibile avere magari qualcosa da leggere?
Sbalordimento totale di lui: non esisteva la zona ricreativa, per questo?
Naida sentì mancarle il fiato: – Zona ricreativa…?
– Certo! C’è di tutto: biblioteca, videoteca, un’intera banca dati che puoi consultare quanto e quando vuoi. Poi c’è la palestra…
– Ma io sono una schiava – mormorò Naida – Non so se posso andare.
– Sì, se ti autorizzo io. – s’accorse che in lei la paura era ancora più forte del desiderio e aggiunse: – Nessuno ti farà nulla.
– Sì, certo – mormorò lei, terrorizzata all’idea di uscire da quelle pareti così rassicuranti – Non so nemmeno dove sia, questa zona ricreativa.
Stavolta, Hydargos si drizzò a sedere e la guardò bene in viso: – Stai dicendomi che in tutto questo tempo non sei mai uscita da qui dentro?
Naida scosse il capo. No.
Lui ricadde contro lo schienale ed emise una sorta di sibilo esasperato.


Il giorno dopo non fu possibile discutere: Hydargos fu irremovibile, e Naida fu costretta ad uscire con lui dall’alloggio. Percorsero insieme i lunghi corridoi, presero la monorotaia che conduceva nelle aree più remote della base, poi ancora corridoi, l’ascensore… ovunque andassero, i soldati salutavano rispettosamente il loro superiore, limitandosi ad occhieggiare la meravigliosa ragazza che camminava al suo fianco; nessuno però si permise il minimo commento, la minima frase.
La zona ricreativa era nei sotterranei della base: composta da vari ambienti, comprendeva una palestra, varie camere per proiezioni olografiche, una biblioteca elettronica e una videoteca fornitissime, e una sala computer per poter accedere ai database. C’era anche un ampio salone di ritrovo, con tavoli e sedie in modo da poter pranzare in compagnia. Hydargos andò direttamente dalla responsabile, una donna alta e magra dal volto severo; quindi presentò Naida, dichiarando che le dava l’autorizzazione a frequentare l’intera zona.
Le narici della direttrice fremettero: – Volete anche che possa accedere ai database?
Fu proprio la sua disapprovazione a far decidere Hydargos: – Certo!
– Molto bene – il tono era “contento voi…”. Raccolti brevemente i dati di Naida, la donna porse poi ad Hydargos una tessera magnetica: – Dovrà presentarla ogni volta che verrà qui da noi.
Lui porse ostentatamente a Naida la tessera: – Tieni. È tua.
– Se doveste cambiare idea – insisté la direttrice, che non vedeva di buon occhio la prospettiva di quella schiava di Fleed in mezzo a videolibri, dischi e computer – basterà che mi mandiate anche una semplice comunicazione, e faremo subito annullare il permesso d’entrata.
– Non credo che succederà – rispose lui, conducendo Naida all’interno.
La donna li seguì con lo sguardo. Una schiava cui era permesso leggere, sentire musica, istruirsi… inconcepibile!


Dopo aver fatto visitare a Naida l’intera zona ricreativa, e dopo che lei ebbe chiesto timidamente un paio di dischi e un videolibro in prestito, lui la condusse verso l’ascensore per risalire ai piani superiori. Naida pensava che l’avrebbe riportata al loro alloggio, ma Hydargos prese una strada diversa, guidandola ad un secondo, altissimo ascensore, che portava sulla sommità della torre che dominava l’intera base. Una lunga salita, poi le porte si aprirono…
Stelle. Lo spazio infinito.
Naida arretrò, spaventata, mentre lui sogghignava della sua paura. Un’ampia cupola in plastivetro li riparava dal gelo dello spazio, ma in effetti l’illusione era perfetta: sembrava davvero di trovarsi all’esterno, in quel buio punteggiato di innumerevoli scintille di luce.
– Questo è l’osservatorio – spiegò Hydargos accennando con un ampio gesto al cielo stellato attorno a loro; ripreso coraggio, Naida si fece avanti, annichilita da quanto stava vedendo.
Era un pensiero banale, lo sapeva, ma era inevitabile… non avrebbe mai pensato che nello spazio ci fossero tante stelle.
L’osservatorio era una cupola a semisfera, costituita da un unico pezzo di plastivetro… o così almeno sembrava. In realtà, Naida sospettava che quelle pareti non fossero semplicemente materiale trasparente, ma fossero anche schermi su cui il computer principale potesse proiettare immagini. L’ascensore si apriva in una sorta di colonna esattamente nel centro, per cui era possibile una visione totale di quella parte di universo. La cupola non era illuminata, ma tuttavia al suo interno ci si vedeva abbastanza. Sorpresa, Naida si guardò attorno chiedendosi quale fosse la fonte della luce, e si accorse che una sezione della cupola era parzialmente oscurata per schermare i raggi di una grande stella gialla.
– I terrestri la chiamano Sole – spiegò Hydargos.
Naida si guardò attorno: – E… il pianeta? Dov’è?
– È esattamente dalla parte opposta. Vuoi vederlo?
Lei si scostò i capelli dal viso: – È possibile?
– Certo. Sull’altro lato di questo satellite abbiamo una sonda che ci trasmette immagini in tempo reale. Basta collegarsi – Hydargos andò alla colonna centrale, attivò un pannello e digitò una serie di comandi; in un attimo, le stelle scomparvero, ricomparendo un istante dopo… ma erano diverse, e disposte in altro modo. In mezzo a quelle minuscole luci era apparso qualcosa d’inaspettato: un gioiello azzurro, luminosissimo sul morbido fondo nero.
– Terra – disse Hydargos – È così che lo chiamano i suoi abitanti.
– È… meraviglioso…! – disse Naida, in un soffio.
– È bellissimo, sì – convenne lui, braccia conserte e occhi fissi su quello straordinario pianeta – Un mondo splendido. Peccato sia infestato da una razza arretrata ed incivile.
– Sia infest…? – Naida deglutì, riprese fiato – Non l’avete conquistato? Credevo…
– No, non l’abbiamo conquistato… non ancora. Quegli stupidi non sanno cosa li aspetta; se anche lo sapessero, non potrebbero certo contrastare le armate di Vega. Sono troppo primitivi anche solo per sperare di resisterci. Quel pianeta crollerà al primo assalto, vedrai.
– Ma noi siamo sul loro satellite… non si sono accorti della nostra presenza?
– Questo satellite… la Luna, come la chiamano loro… ha un lato che non è mai visibile dal pianeta; ovviamente, abbiamo costruito proprio qui la nostra base. I terrestri non sono evoluti, per loro un lancio nello spazio è un’impresa straordinaria. Non ci troveranno mai. Comunque, ormai è questione di poco tempo.
Naida rabbrividì: – In che senso?
– Questa base è operativa, ma non è completa. Dovremo ultimarla, prima di dare il via all’attacco.
– Oh…! – Naida si torse le mani: non poteva supplicare Hydargos di non dirle nulla, ma avrebbe preferito non sapere.
– In genere, non aspettiamo tanto prima di assalire un pianeta – continuò lui, imperturbabile – Un bombardamento a tappeto a suon di vegatrom, poi dischi e mostri completano lo sterminio. Ma stavolta è diverso.
Naida gemette, si morse le labbra per trattenere le lacrime.
Gli occhi fissi sulla Terra, Hydargos riprese: – Questo pianeta pare sia davvero straordinario. Il nostro Ministro delle Scienze ha chiesto di poterlo studiare con cura per poter decidere il tipo di attacco più adatto per eliminare quegli stupidi terrestri senza danneggiare l’ecosistema. Il fatto è che il vegatrom uccide ogni cosa, rendendo un pianeta completamente deserto…
– Come Fleed…! – singhiozzò lei.
– Esatto, come Fleed – continuò lui, senza accorgersi della disperazione della sua schiava – Sua Maestà Re Vega si è consigliato col Ministro delle Scienze e ha dato ordine di non distruggere la Terra. Ecco perché stiamo aspettando. Non appena avremo l’ordine, però, cominceremo a sterminare quegli inutili umani… che ti prende?
Naida s’asciugò in fretta le lacrime, si strinse le braccia attorno al corpo: – Ho… freddo.
– Va bene – Hydargos spense lo schermo, poi prese Naida per un braccio e la condusse fuori dell’osservatorio. Freddo! Non c’era assolutamente freddo, là dentro, ma naturalmente la visione dello spazio poteva dare strane sensazioni… com’erano impressionabili i fleediani!
Inghiottendo penosamente le lacrime, lei guardò di sotto in su il suo padrone: era così ottusamente insensibile… così… così veghiano…!


Frequentare la zona ricreativa cominciò per Naida a diventare un’abitudine: superati i primi timori – il bisogno di avere un’occupazione e socializzare la costrinse a vincersi – prese a recarvisi con assiduità.
Una volta superato l’ingresso in cui stazionava l’algida direttrice, per Naida si spalancavano finalmente le porte di un emozionante regno sconosciuto. Nella Sala Ricerche, seduta alla consolle del computer, Naida consultava i database cercando liberamente qualunque informazione le venisse in mente. Altre volte prendeva in prestito un olodisco e si recava in una delle camere olografiche, piccoli ambienti circolari con al centro una poltroncina girevole per lo spettatore. Inserito il disco nel proiettore che si trovava nel bracciolo della poltroncina, gli ologrammi a grandezza naturale le apparivano attorno trasportandola in qualsiasi mondo lei avesse scelto: documentari, spettacoli, concerti, commedie… la scelta era vastissima, e l’illusione di trovarsi nel mezzo dell’azione era praticamente perfetta.
Anche la palestra aveva la sua attrattiva: abituata su Fleed alle lunghe passeggiate e alle nuotate nel lago, Naida non mancava mai di andare a fare esercizio. Ricevute le direttive dalla sua istruttrice, cui si era rivolta per avere un programma completo ma vario di allenamento, Naida lavorava con impegno: il tempo che aveva trascorso praticamente inattiva al chiuso dell’alloggio di Hydargos le aveva lasciato un insopprimibile desiderio di movimento che doveva assolutamente soddisfare.
Ciò che invece le mancava, e molto, era la vita sociale.
Su Fleed aveva avuto un gran numero di amiche ed amici, e non aveva mai avuto il tempo di sentirsi sola, isolata; ma su Skarmoon la faccenda era completamente diversa.
Quanto le sarebbe piaciuto avere qualche amica con cui darsi un appuntamento, fare insieme ginnastica, vedere uno spettacolo, chiacchierare, ridere… ma sembrava che la cosa fosse impossibile. Tutti i suoi timidi tentativi di socializzare si scontravano contro un muro di glaciale cortesia, di garbato ma inequivocabile rifiuto. Naida, che all’inizio aveva temuto di venir fatta segno dell’attenzione di qualche importuno veghiano, si trovò invece ad avere il problema opposto: nonostante tutti i suoi sforzi, lei veniva sistematicamente e completamente ignorata.
Nessuno le rivolgeva la parola, nessuno rispondeva ai suoi timidi sorrisi, nessuno nemmeno la salutava se non era lei a farlo per prima; Naida all’inizio si disse che i veghiani erano un popolo molto chiuso per natura, e che magari, col tempo… ma alla fine, dovette ricredersi.
Sconfitta, delusa, si rinchiuse nuovamente per qualche giorno nell’alloggio di Hydargos, continuando a piangere la sua solitudine; ciò che la faceva soffrire maggiormente era il non capire il motivo di tanta ostilità nei suoi confronti.
Ebbe la risposta qualche giorno dopo, quando alla fine ritrovò il coraggio di uscire nuovamente – aveva bisogno di prendere in prestito qualche altro videolibro, non aveva più nulla da leggere. Naida tornò alla Sala Ricerche: voleva informarsi sulla condizione sociale degli schiavi di Vega per trovare la conferma ai suoi sospetti. E così infatti fu.
Le fu presto ben chiaro che uno schiavo era considerato davvero alla stregua d’un oggetto; ovviamente, non è possibile stringere legami d’amicizia con una semplice cosa. In più, c’era da considerare l’istintiva, atavica scarsa considerazione che i veghiani nutrivano per chiunque non appartenesse al loro popolo: guerrieri e predatori, tendevano a considerare le altre razze deboli ed imbelli, perciò meritevoli del massimo disprezzo.
Dunque, la sua duplice condizione di schiava e di non appartenente alla razza di Vega le rendeva impossibile qualsiasi rapporto sociale. Il fatto poi di essere la donna del Vicecomandante in capo era un ulteriore ostacolo. In più, questo lo comprese da sola, la sua straordinaria bellezza la destinava a destare la tacita ammirazione degli uomini e di conseguenza l’invidia e l’odio delle donne.
Naida serrò le labbra spegnendo rabbiosamente il computer: le era evidente che solo qualche altra prigioniera avrebbe potuto fare amicizia con lei; disgraziatamente, da che si trovava su Skarmoon non aveva mai incontrato alcuno schiavo. Fleed era stato conquistato ormai da un paio d’anni, e i prigionieri difficilmente sopravvivevano così a lungo: non per nulla, i veghiani non erano certo famosi per essere padroni gentili.
L’unico essere con cui poteva avere un minimo di contatto umano, assurdo a dirsi, era proprio Hydargos; fu così che lei, proprio lei che all’inizio aveva atteso con terrore il rientro a casa del suo padrone, si ritrovava ad osservare con impazienza l’orologio per vedere quando lui sarebbe tornato.
Per quanto fosse decisamente chiuso e poco incline alle chiacchiere, la sua presenza stava diventando sempre più importante per lei, che gli raccontava cosa aveva fatto, che cosa aveva letto, che cosa aveva visto; Hydargos, che non desiderava altro che dimenticare le seccature della giornata, i rimbrotti di Gandal, le invidie dei sottoposti, i mille problemi quotidiani, la ascoltava con attenzione commentando di tanto in tanto con qualche monosillabo, alle volte persino con una mezza frase. Quando poi sedevano entrambi nella penombra, ascoltando un concerto o più raramente vedendo uno spettacolo olografico – in genere Hydargos preferiva rilassarsi con la musica – lei, affamata d’un minimo di attenzione, di calore umano, si rannicchiava contro il suo oscuro, taciturno compagno. La prima volta in cui aveva osato prendersi una simile confidenza, Naida aveva temuto che lui l’avrebbe allontanata in malo modo, seccato per la sua intrusione; ma così non era stato. Hydargos non era certo tipo da indulgere in coccole e tenerezze, tutt’altro; ma non l’aveva neanche mai respinta, e mai aveva manifestato fastidio per quel suo disperato bisogno di affetto.
Da parte sua, uomo semplice e pochissimo portato all’introspezione, Hydargos non aveva mai capito la solitudine che affliggeva Naida; lei era di Fleed, apparteneva ad un popolo che come qualsiasi altro veghiano lui considerava ipersensibile ed assurdamente sentimentale, per cui gli pareva ovvio che lei mostrasse qualche bislacco atteggiamento che era solo da considerarsi un’innocua stramberia. Stranamente, non ne era disturbato, per cui da quel padrone comprensivo che sapeva di essere la lasciava fare: se lei proprio aveva bisogno di stargli addosso, bene, che lo facesse pure.
A lui non importava.


Fu sempre in quel periodo che Naida si rese conto di un nuovo problema che la riguardava: abituata com’era alla vita all’aria aperta, a contatto di piante ed animali, in quell’ambiente artificiale, asettico, si sentiva appassire poco per volta.
Da principio, Naida non volle dar peso alla cosa: era già stata incredibilmente fortunata ad aver trovato un padrone come Hydargos che non le faceva mancare nulla. Come poteva pretendere di più, quando milioni di altri abitanti di Fleed erano imprigionati, torturati, uccisi?
S’impose dunque di reprimere quei pensieri, i ricordi dei bellissimi paesaggi di Fleed, i giardini, i fiori: era viva e trattata bene, non era già abbastanza?
Continuò perciò a vivere la sua vita quotidiana sforzandosi di non pensare; purtroppo per lei, ogni giorno aveva troppe, lunghissime ore di solitudine che la esponevano ai pensieri più neri. I ricordi divennero ossessione, e Naida cominciò a temere di divenire pazza. Quelle pareti metalliche, la plastica, l’aria condizionata, la pulizia asettica, l’odore di disinfettante la stavano facendo uscir di senno: se solo avesse avuto con sé qualcosa di naturale, di vivo…! Cosa non avrebbe dato per avere un cucciolo da vezzeggiare, una bestiola che le facesse compagnia durante le ore in cui era sola!
Una sera in cui Hydargos le parve d’umore meno ombroso del normale, mentre erano entrambi seduti sul divano del soggiorno ad ascoltare musica, Naida chiese se su Vega si usasse tenere animaletti da compagnia.
Lo stupore di lui fu a dir poco enorme: animali… in casa?
Ma sì, su Fleed avevano l’abitudine di allevare cuccioli, uccellini, pesci…
Hydargos era sempre più stupefatto: tenere bestie che sporcano, seminano peli, hanno bisogno di cure? Ma per farne che?
Con la voce che le tremava, Naida tentò di spiegarsi: perché facevano compagnia… il rapporto con un animale è qualcosa di unico, di grandissimo affetto… perché…
Hydargos non rispose, limitandosi a scuotere il capo. Era evidente che se prima la sua opinione di Fleed era scarsa, adesso era decisamente diminuita.
Naida respinse le lacrime e non parlò più; ma dentro di sé il tormento continuava a roderla. Cercò di superare la delusione che continuava a bruciare: continuò a ripetersi di accontentarsi di quanto aveva, ma fu inutile. Chiusa in quell’alloggio all’interno di una base, Naida si sentiva soffocare. Riprese a piangere come le accadeva soprattutto i primi tempi, quando non si era rassegnata alla sua nuova esistenza e Hydargos la terrorizzava ancora; divenne pallida e iniziò a smagrire, mentre gli occhi cominciavano ad arrossarlesi facilmente.
Spaventata, una mattina Naida si osservò attentamente allo specchio: non aveva proprio un bell’aspetto. Hydargos avrebbe potuto trovarla brutta… e se si fosse stancato di lei? Cosa le avrebbe fatto? Era il suo padrone, aveva il diritto di torturarla, ucciderla… o peggio, rimandarla in quell’orrenda prigione, in balia delle guardie.
Naida rifletté febbrilmente: aveva bisogno di vedere un po’ di natura, qualcosa di vivo… forse, se avesse potuto coltivare qualche pianta… avere un fiore…
L’occasione di parlarne si presentò quella stessa sera. Hydargos appariva di buon umore: la costruzione della base era a buon punto, il Comandante Supremo Gandal gli aveva manifestato il suo compiacimento. Con gioia, Naida s’accorse che lui appariva meno cupo, più disteso; gli servì per cena un paio dei suoi piatti preferiti, scelse un disco di musica che lui amava particolarmente e gli si accoccolò accanto sul divano, rannicchiandosi nell’incavo del suo braccio. Poi, come per caso lasciò cadere la domanda: su Vega si coltivavano piante?
– Ma certo – rispose lui – Abbiamo serre intere. Frutta, cereali, ortaggi, piante medicinali…
– E fiori? – chiese Naida.
– Fiori? – sorpreso, Hydargos si sporse in avanti per poterla guardare in viso – I fiori non si mangiano! Perché dovremmo coltivarli?
– Perché sono belli – mormorò lei.
Hydargos parve considerare la cosa, ma la sua razionale mentalità veghiana non vedeva alcuna utilità nello sprecare tempo e lavoro per qualcosa che è semplicemente bello. Mah…
Guardò Naida: anche lei era bella. Anche lei gli era costata in termini di tempo e denaro… e ne era contento.
E se… forse…?
– …Fiori…? – ripeté, poco convinto – Li coltivavate, su Fleed?
– Avevamo interi giardini – rispose lei, la voce ridotta ad un soffio. Niente… non era riuscita a niente… lui non capiva. Non avrebbe mai capito.
Hydargos le gettò uno sguardo indagatore: notò il viso affilato, gli occhi bassi, il tremito delle labbra. Tornò ad appoggiarsi allo schienale del divano e non disse nulla, mentre accanto a lui Naida inghiottiva silenziosamente le lacrime.
Un paio di giorni dopo Hydargos rincasò portando un grande recipiente in plastivetro che senza tanti complimenti cacciò in mano a Naida: – Per te.
Era un cilindro pieno d’un liquido che sembrava acqua… dentro c’era un oggetto scuro, grosso come un pugno con una sorta di germoglio verdissimo che spuntava sulla superficie…
Un bulbo.
Senza fiato, Naida passò con lo sguardo alternativamente dal bulbo ad Hydargos: avrebbe voluto gridare dalla gioia, ma si sentiva la gola serrata, chiusa.
– Beh? Non ti piace? – borbottò lui, ruvido.
In silenzio, Naida depose con ogni precauzione il contenitore del bulbo sul tavolo; poi s’avvicinò ad Hydargos e gli gettò le braccia al collo.


Chiuso nel proprio ufficio privato, ogni giorno Hydargos sedeva per ore al suo computer, inviando ordini, leggendo rapporti, consultando il database, esaminando le ultime novità tecnologiche segnalategli dagli scienziati specialisti in armamenti.
Naida aveva l’ordine tassativo di non disturbarlo mai, finché lui lavorava nel suo studio, e lei vi si atteneva scrupolosamente. L’unica eccezione era la tazza di ween, l’infuso che gli portava sempre a metà pomeriggio: era una bevanda calda e forte, piuttosto aromatica, che su Vega era molto apprezzata. Naida scivolava silenziosamente nella stanza, deponeva la tazza fumante sulla scrivania e s’allontanava sempre senza far rumore; Hydargos in genere non alzava nemmeno gli occhi dal monitor.
Quel giorno, proprio mentre Naida stava per posare la tazza sul tavolo, Hydargos infranse le regole tirando indietro la poltroncina in modo da poter stirare la schiena, e rivolgendole direttamente la parola: – Domani devo andare ad ispezionare i quadranti cinque e sei, dove stiamo costruendo l’ampliamento della sezione scientifica. Ti piacerebbe venire?
La tazza traballò, e miracolosamente Naida la depose integra e colma sulla scrivania: lui le aveva parlato! Non solo, le aveva chiesto – non ordinato! – se desiderava accompagnarlo.
Senza fiato, Naida rigettò indietro una ciocca di capelli: – Io… io sì, signore. Mi piacerebbe molto.
– Perfetto – bevuto un sorso di ween, Hydargos s’immerse nuovamente nel suo lavoro.
Ancora stupefatta, Naida uscì dallo studio, chiedendosi nervosamente cosa gli fosse preso: mai prima d’allora lui l’aveva portata con sé quando aveva dovuto spostarsi per lavoro. Cercò una possibile spiegazione, ma non trovò risposta.
Il giorno dopo si fece trovare subito pronta. Lo seguì per i corridoi, poi sulla monorotaia; infine salirono con l’ascensore fino agli hangar. Hydargos si pose ai comandi di un disco e fece segno a Naida di sedersi accanto a lui, nel sedile del secondo pilota: il pannello di controllo era ovviamente disattivato, ma da lì lei avrebbe goduto una vista migliore che dai sedili destinati ai passeggeri.
Hydargos fece partire il disco e puntò direttamente sul quadrante che l’interessava, a breve distanza dalla base. Sorvolò la zona: sotto di loro, dalla polvere grigia emergeva l’impalcatura di una grande costruzione. Dall’alto, era possibile capire che la struttura sprofondava di parecchio sottoterra.
– Qui verranno costruiti i nuovi mostri – spiegò Hydargos alla domanda che Naida non aveva osato fare.
Mostri per assalire il pianeta azzurro… Naida represse un brivido – È… molto grande, signore.
Sembra – corresse Hydargos, con un ghigno – In realtà, per quanto spazio tu dia agli scienziati, prima o poi si lamenteranno di non aver posto sufficiente per testare i loro macchinari.
Impressionata, Naida si limitò ad assentire, gli occhi fissi sull’immensa costruzione.
Hydargos fece girare il disco attorno alla struttura, lesse i dati che gli si avvicendavano sul display e grugnì, soddisfatto. Contattò il capo della squadra di costruzione, s’informò sull’andamento dei lavori, scambiò qualche altra frase cui Naida non fece minimamente caso; quando chiuse la comunicazione, improvvisamente lei si rese conto che l’ispezione era finita, e che ora sarebbero dovuti tornare nella base, alla vita di sempre. Un improvviso senso di tristezza la colse.
– Signore, hai già finito? – chiese, impulsivamente.
Lui le scoccò un’occhiata: – Ho finito, sì.
Naida tacque, limitandosi ad un leggero sospiro.
– Ho anche terminato il mio turno di lavoro – continuò Hydargos, impassibile – Ti va di dare un’occhiata a questo satellite?
– Ma… possiamo? – chiese lei – Pensavo dovessi tornare subito…
– Adesso sono libero. Vuoi fare un giro, o no?
Naida sentì mancarle il fiato dall’emozione: – Certo! Voglio dire… mi piacerebbe molto, signore.
Hydargos rimase imperturbabile, ma un bagliore parve illuminargli lo sguardo: evidentemente, la spontaneità di lei l’aveva divertito. Puntò il disco verso l’alto, uscendo dall’immenso cratere che ospitava Skarmoon, e prese a sorvolare la superficie lunare mentre accanto a lui Naida sembrava incapace di staccare gli occhi dalle sue mani strette sulle cloches.
Hydargos scorse lo sguardo di lei fisso sulla sua postazione, più che sul paesaggio lunare: – Sei capace di pilotare una nave?
– Solo un poco, signore – rispose lei, che stava riconoscendo man mano i vari indicatori del quadro comandi – Su Fleed stavo appunto seguendo un corso per imparare, quando… – s’interruppe, glissando sul “ci avete assaliti”; per fortuna, lui non parve farvi caso.
– Prendi le cloches – disse inaspettatamente Hydargos.
– Cosa? – stavolta lo stupore era troppo perché lei potesse celarlo.
– Ma sì, prendi le cloches – Hydargos attivò i comandi del secondo pilota; vide che lei lo fissava, gli occhi dilatati dallo stupore, e aggiunse, ruvido: – Vuoi imparare a pilotare, sì o no?
Ma certo che voleva! Naida s’affrettò ad obbedire, ascoltando poi attentamente le spiegazioni di lui.
Tutto sommato, non aveva dimenticato quanto aveva appreso durante il corso, e per sua fortuna i comandi della nave di Vega non erano molto diversi da quelli dei mezzi di Fleed: non per nulla, gli scienziati di entrambi i pianeti avevano collaborato a lungo per creare astronavi sempre più perfezionate… e Goldrake era stato l’ultimo e più brillante risultato di quella cooperazione. Ma ora non voleva pensare a Goldrake… e nemmeno a Duke.
Seguendo le indicazioni di Hydargos, pilotò il disco sorvolando con perizia il suolo lunare: pilotare le piaceva molto e stava imparando in fretta, questo lo capì da sé anche se lui non era certo un maestro facile ai complimenti.
Da parte sua, Hydargos si rese conto subito dell’abilità della sua allieva. Era un insegnante scrupoloso, per cui non trascurò nulla, spiegandole dettagliatamente ogni particolare ed osservando con approvazione i rapidi progressi di lei. Alla fine, le lasciò interamente il comando: anche se non conosceva ancora bene le manovre d’attracco, lei era in grado di guidare la nave sulla superficie lunare. Hydargos si rilassò contro lo schienale della sua poltrona, lasciando scorrere lo sguardo su quel panorama grigio argento; quel vagare senza meta e soprattutto la tranquilla, silenziosa presenza di Naida avevano avuto un effetto calmante su di lui, che finalmente lontano dai suoi crucci quotidiani aveva l’impressione di riuscire a distendersi, a dimenticare.
Dover tornare fu una necessità sgradevole per entrambi, che avevano tratto beneficio ciascuno della tranquilla presenza dell’altro.
Ripiegarono verso Skarmoon; solo allora Hydargos riprese i comandi, lei non era ancora in grado di effettuare manovre delicate come il rientro.
Fu lui a riportare il disco nell’hangar, mentre Naida osservava attentamente ogni sua mossa senza perdere un movimento. Quando finalmente spense il quadro comandi del disco, Hydargos si volse a guardare Naida: aveva le guance arrossate dall’emozione, gli occhi brillanti. Gli parve bellissima.
Ovviamente, non poteva dirglielo. Che figura avrebbe fatto, altrimenti?
– Su, andiamo – si alzò dalla postazione, e lei gli tenne subito dietro.
Mentre con l’ascensore raggiungevano i piani inferiori, lui le disse in tono casuale che per il momento non avrebbe dovuto più compiere ispezioni; mentre il viso di lei pareva allungarsi, Hydargos aggiunse con noncuranza che l’indomani nel suo tempo libero le avrebbe dato un’altra lezione di volo.
I portelli chiusi dell’ascensore li riparavano da orecchie e sguardi indiscreti, e nessuno a parte lui udì il grido di gioia di Naida.


Nei giorni successivi presero l’abitudine di uscire regolarmente con un disco; dopo un rapido controllo pro-forma ai quadranti in cui veniva edificato l’ampliamento della zona scientifica, Hydargos trasferiva il comando a Naida, che sorvolava il suolo lunare, ora alzandosi sopra le montagne ora abbassandosi fin quasi a sollevare la polvere grigia.
All’inizio lui la controllava, fornendole qualsiasi indicazione che le fosse necessaria; ben presto vide che Naida aveva imparato, e imparato bene. Allora Hydargos si allungava contro lo schienale della poltroncina, facendo scorrere lo sguardo sul paesaggio lunare e lasciando fluire la tensione che aveva accumulato nel corso della giornata: uscire dalla base, allontanarsi per un poco da tutte le seccature e avere accanto a sé la presenza discreta di lei era una sorta di balsamo ristoratore.
Dal canto suo, Naida si chiedeva come mai lui le avesse insegnato a pilotare il disco: lei non avrebbe potuto usare le sue conoscenze per fuggire?
Sì, ma per fuggire dove?
Sulla Terra, forse? Un pianeta che Vega aveva condannato e che presto si sarebbe trasformato in un inferno come Fleed?
Naida sorrise, amara. Non era stato per fiducia in lei che Hydargos le aveva permesso di acquisire quella conoscenza: sapeva bene che lui, ombroso e diffidente com’era, non era certo uomo da abbassare la guardia.
No, quella di lui era stata una sorta di prova di forza: sapeva che lei non sarebbe scappata, sapeva di non correre alcun rischio. Era lo stesso motivo per cui le aveva permesso di accedere ai computer.
Lei non costituiva un pericolo, e lui lo sapeva bene.
Quando rientravano, era sempre lei a compiere le manovre di attracco, che ormai aveva imparato ad eseguire alla perfezione; Hydargos non diceva nulla, ma la guardava con approvazione, il viso ombroso che pareva finalmente rischiararsi. Naida si voltava verso di lui, sperando in una frase, almeno una parola: Hydargos allora esitava un attimo, quasi avesse avuto qualcosa da dirle, e poi regolarmente s’alzava brontolando che era ora di tornare a casa.
E la parola non veniva mai detta.


Capitolo 7 – Sirius

Il bisogno di sapere esplose in lei improvviso ed impellente. Prima d’allora, aveva sempre voluto ignorare cosa fosse successo alle persone che aveva amato, cullandosi in assurde speranze, in sogni senza consistenza.
Ora era arrivato il momento di conoscere la verità; per prima cosa, Naida ne parlò con Hydargos, che naturalmente non vide di buon occhio la cosa.
– Non vedo perché tu debba cercare notizie – sbottò infatti.
– Ti prego, signore – Naida aveva le lacrime agli occhi – È la mia famiglia… io devo sapere!
– Non scoprirai niente di piacevole; lo sai, questo?
– Lo so… ma non sapere è molto peggio.
Hydargos sbuffò: – E va bene, piccola. Fai come credi. Io ti ho avvertita.
– Grazie, signore! – Naida fece per precipitarsi alla porta, ma lui la trattenne: – Un’ultima cosa…
Naida attese, mentre lui taceva.
– …Sì? – lo incoraggiò lei.
Lui esitò un ultimo istante; poi, di colpo, esclamò d’un fiato: – Preparati a trovare il peggio del peggio.


Col cuore che le batteva furiosamente nel petto, Naida rimase incerta, le dita sulla tastiera. Sapeva che il computer le avrebbe dato tutte le risposte, ma ora non era più certa di volerle sentire… ricacciò indietro il nome di Sirius, che le si era presentato per primo alla mente, e decise di provare con qualcuno che conosceva ma che non le era altrettanto caro.
Formò il nome della regina di Fleed: deceduta. C’era ad aspettarselo…
Naida serrò le labbra: fin dall’inizio aveva saputo che non sarebbe stato piacevole venire a sapere che ne era stato delle persone che amava; eppure, l’incertezza era infinitamente peggio.
Compose il nome del re di Fleed: deceduto. Esitò ripensando a Duke: era scomparso nello spazio con Goldrake, era inutile soffrire vedendo apparire sullo schermo quel che già sapeva… passò a Maria. Scomparsa, presumibilmente deceduta.
Naida ricacciò indietro le lacrime: doveva continuare.
Sirius…?
No. Non ancora. Non sono pronta.
Digitò altri nomi: le sue amiche, i domestici che avevano lavorato nel suo palazzo, i parenti, tutti i conoscenti che le vennero in mente, dal segretario personale di suo padre alla terapista che veniva a fare i massaggi alle membra doloranti della nonna… erano tutti morti, tutti…
Naida s’asciugò gli occhi, mentre continuava a scorrere quell’interminabile fila di nomi, tutti seguiti da quell’unica, spietata parola… deceduto.
Possibile che sia sopravvissuta solo io?
Incredula, tornò a ripercorrere la lista. Accanto al nome, era brevemente scritto quello che era stato il destino di ognuno: alcuni erano stati uccisi subito, altri erano morti dopo una prigionia più o meno lunga.
Man mano che leggeva, si sentiva il petto oppresso, il respiro mozzarsi; ma continuò. Aveva pianto tanto per l’angoscia di non sapere, che ormai sentiva che avrebbe potuto affrontare qualsiasi verità, anche la più orribile.
Ripercorse da capo l’intera lista, cercando di rileggere ogni nota per avere un chiaro quadro della situazione.
Una buona metà di quelle persone era morta subito, durante l’assalto di Fleed; moltissime altre erano state uccise nel corso del loro primo anno di prigionia. Dopo tre anni, nessuno di loro era ancora vivo.
Naida scorse ancora l’elenco delle sue amiche: alcune avevano avuto un destino simile al suo ed erano divenute schiave di qualche veghiano. Parecchie di loro erano morte dopo breve tempo, altre erano state cedute… evidentemente, quando i maltrattamenti avevano fatto sfiorire la loro bellezza, i loro padroni si erano disfatti di quelle creature per loro ormai inutili.
Disperata, Naida continuò a digitare nomi, ricevendone in risposta quella spaventosa parola… deceduto. Continuò e continuò a farlo, fino a quando ad una sua precisa richiesta non comparve tutt’altro risultato.
Incredula, scorse di nuovo il testo: aveva digitato il nome di Markus, il migliore amico di Duke; con stupore, lesse che era vivo, e libero.
“Condizionamento mentale permanente… comandante in capo…”
Sentendosi girare la testa, Naida si coprì gli occhi.
Dunque, Markus era vivo: per qualche motivo era stato risparmiato, e costretto a servire Vega. “Condizionamento mentale”: Naida ne aveva sentito parlare. Le era stato spiegato che i veghiani erano capaci di distorcere la mente del più forte e volitivo degli uomini, trasformandolo in un burattino obbediente: era quel che doveva essere successo proprio a Markus.
Con una stretta al cuore, Naida rammentò il bel giovane dai capelli biondi, il viso fiero, gli occhi dallo sguardo d’acciaio: pure lui era stato piegato dai veghiani! Allora, era vero: se Duke fosse stato catturato non ci sarebbe stata speranza, sarebbe stato ridotto in schiavitù anche lui… o sarebbe morto nel tentativo di opporsi. Non c’era speranza di salvarsi da Vega, dunque. Il re di Fleed era stato saggio a farlo fuggire.
E Sirius? Che ne era stato di lui?
Naida si morse le mani per non urlare: aveva troppa paura di sapere che ne era stato del suo fratellino… troppa… ma doveva farlo. Non ne poteva più di raccontarsi storie, illudersi che Sirius fosse stato comperato da un padrone buono e gentile, o magari che fosse stato adottato da una coppia senza figli… doveva sapere.
Fece per inserire il nome del fratello nel motore di ricerca, ma si arrestò.
Non era sicura di poter reggere: la verità avrebbe potuto essere spaventosa.
Possibile che i veghiani potessero aver fatto del male ad un bambino? Un bambino bello ed intelligente come Sirius?
Forse hanno trattato bene i bambini, si disse Naida. Molti veghiani sono sterili per colpa dell’inquinamento del loro pianeta: per loro, i bambini devono essere preziosi. Non possono aver fatto loro del male.
Esitò ancora, non avendo il cuore di inserire il nome di Sirius.
Forse, prima di Sirius sarebbe stato meglio sapere che ne era stato di qualche altro bambino… per prepararsi alla verità, qualunque fosse.
Naida rifletté febbrilmente. Non c’era stato quell’amichetto di Maria, quel bimbo che aveva circa l’età di Sirius? Come si chiamava? Kein, già.
Lo ricordava bene: magro, un gran ciuffo di capelli azzurri, un ragazzino coraggioso e con l’argento vivo addosso. Messi assieme, lui e Maria avevano dato parecchio filo da torcere alle loro governanti… vivacissimi, incontenibili, due veri terremoti.
Naida compose il nome; con suo grande stupore, invece della semplice parola “deceduto” seguita da poche, scarne righe, il nome di Kein aveva fatto apparire parecchio testo.
Lesse con apprensione… era ancora vivo.
Naida dovette rileggere più volte quelle parole… era vivo! Non l’avevano ucciso… allora era vero, i bambini venivano risparmiati… allora, anche Sirius…
S’impose di calmarsi: una cosa per volta. Adesso avrebbe letto che ne era stato di Kein. Poi sarebbe toccato a Sirius.
Scorse rapidamente le righe: catturato, era stato acquistato dal Ministro delle Scienze Zuril. Iscritto all’Accademia Militare…
Naida si riscosse: uno schiavo all’Accademia? Possibile? Allora, non solo lei aveva avuto la fortuna di aver trovato un buon padrone!
Sollevata, felice, riprese a leggere: era riportato un elenco completo dei successi che Kein aveva ottenuto nei suoi studi. Era evidente che si era davvero fatto onore, visto che gli era stato conferito il premio quale miglior studente del suo corso e che aveva sostenuto l’esame finale col massimo dei voti. Il suo padrone doveva essere stato contento di lui.
E contento, quel tal Zuril doveva esserlo davvero: terminato il ciclo di studi, Kein era stato affrancato dalla schiavitù. Naida dovette leggere più volte quella parola: affrancato… quindi, era possibile riacquistare la propria libertà, e Kein c’era riuscito!
Stavolta le lacrime che le salirono agli occhi furono di gioia, ma Naida respinse anche quelle: non aveva ancora finito di leggere.
Scorse rapidamente le ultime righe: libero, Kein era sotto la tutela di Zuril, che si sarebbe occupato di lui fino a che non avesse raggiunto la maggiore età. Attualmente, grazie ai suoi brillantissimi risultati il ragazzo frequentava con grande profitto il corso superiore per allievi ufficiali.
Naida ricadde contro lo schienale della sua poltroncina: Kein vivo, libero e con davanti a sé una carriera che si prospettava a dir poco promettente… non poteva crederci!
Esultante, piena di speranza, si decise e digitò il nome del fratello.
Poche righe… quell’orrenda parola…
NO! NO! NO!
Deceduto… esperimento… espianto e conservazione dell’encefalo…
Inorridita, incredula, Naida lesse e rilesse quel che era stato il destino del fratello: “Al momento della cattura presentava fratture multiple alle costole. Impiegato per testare l’efficacia di farmaci contro l’effetto di radiazioni vegatrom. Regolarmente deceduto nel corso dell’esperimento. Encefalo espiantato e conservato per utilizzazioni future”.


Le porte si chiusero dietro di lui. Finalmente a casa.
Sorpreso, Hydargos si guardò attorno: Naida veniva sempre ad accoglierlo sulla porta. Per la prima volta, non gli era andata incontro. Strano.
Non era nel soggiorno. Diede un’occhiata al bagno, ma era deserto.
Andò alla camera da letto: buio.
Un sospiro, un lieve singhiozzo… era là.
Inquieto, Hydargos entrò, scrutando nell’oscurità. Intravide una figura gettata bocconi sul letto, le spalle scosse dai singulti, i lunghi capelli che le nascondevano il viso.
– Che ti succede? – si fece avanti, si chinò su di lei – Ti senti male?
Naida emise un suono inarticolato. No.
– E allora cos’hai?
– Sirius – articolò lei – Mio fratello…
Hydargos trasalì, parve impietrirsi: – Sì?
– È morto! – e Naida scoppiò in un pianto dirotto.
C’era da immaginarselo, si disse lui.
Sedette sul letto accanto a lei, incerto sul da farsi. Avrebbe voluto far cessare quella crisi di dolore, ma si sentiva totalmente impotente.
– Te l’avevo detto, di non cercare nulla – fu tutto ciò che riuscì a dirle.
– Io… dovevo sapere! – singhiozzò Naida.
D’istinto, lui allungò una mano, come per farle una carezza, ma si riprese. Era impazzito? Cos’erano quelle smancerie?
– Avresti dovuto ascoltarmi – brontolò, dita intrecciate e gomiti puntati sulle ginocchia.
– Un… esperimento scientifico! – esclamò lei, inorridita – Hanno ucciso Sirius per un… un…
– Avrebbe potuto andargli peggio, credimi.
– Era solo un bambino! Un bambino! Come hanno potuto, quei mostri…?
Fanno esperimenti anche sui neonati, non è certo davanti ad un bambino che si formalizzano, pensò Hydargos; ma, per quanto non fosse certo un uomo sensibile, persino lui comprese che fosse meglio tacerglielo.
– È morto…! – spossata, Naida ricadde sul guanciale – Sirius è morto…
Meglio così, si disse Hydargos. Se era tuo fratello doveva essere un bel bambino; meglio finire come cavia, piuttosto che gettato in pasto ai soldati. O come giocattolino di qualche ufficiale, se è per questo.
Naida gemette, si agitò lievemente.
Per quanto, continuò tra sé Hydargos, con la fama che hanno certi nostri scienziati… non mi meraviglierei se prima di usarlo per l’esperimento, qualcuno non l’avesse utilizzato per qualcos’altro. Non lo sapremo mai. Ad ogni modo, è finita. Meglio così.
Naida sospirò: aveva pianto fino a sfinirsi, e senza accorgersene era scivolata nel sonno.
Hydargos la guardò un istante, prima di alzarsi. Le sfiorò un braccio: freddo come il marmo. Incerto, esitò spostando il peso da un piede all’altro, chiedendosi confusamente cosa sarebbe stato meglio fare; poi pensò bene di togliersi il mantello e, con un gesto goffo, glielo gettò addosso. Naida vi si rannicchiò con un mugolio soddisfatto.
Senza far rumore, lui scivolò fuori dalla stanza.

– continua –
 
Top
view post Posted on 27/4/2009, 21:14     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


Capitolo 8 – Guerra
L’inizio dell’assalto alla Terra coincise con un incupimento di Hydargos, che divenne ancora più ombroso; all’inizio, Naida pensò che fosse preoccupato, schiacciato dalla sua stessa responsabilità. Il tempo però passava e lui sembrava farsi sempre più chiuso e nervoso, per cui le fu evidente che qualcosa non stava andando per il verso giusto; ma cosa fosse quel “qualcosa”, non fu certo lui a dirglielo. Né lei si azzardò a domandare.
Pensare che tempo prima lui le aveva prospettato la conquista della Terra come un’impresa facile e veloce…
Ogni sera Hydargos tornava a casa sempre di cattivo umore; dapprima, Naida aveva temuto che avrebbe sfogato su di lei il suo nervosismo, ma fortunatamente non fu così. Lui non voleva altro che distrarsi, dimenticare le preoccupazioni quotidiane; le attenzioni di lei, le sue chiacchiere, il suo raccontargli come aveva passato la giornata lo aiutavano a distendersi, ricordandogli che l’esistenza non era fatta solo di insuccessi e dei rimbrotti dei superiori.
Tuttavia, nonostante la forzata allegria di Naida, per Hydargos le cose andavano sempre peggio. Partiva alla mattina rinfrancato e grintoso, tornava da lei silenzioso e cupo. Cominciò a mangiare di meno, e la notte era costretto a prendere un rilassante per poter dormire. I rimproveri di Gandal, gli insulti di Re Vega, il timore di perdere in autorevolezza davanti ai suoi uomini, tutto contribuiva ad avvelenargli l’esistenza, a privarlo della lucidità che gli sarebbe stata necessaria; ma era un comandante di Vega, gli ostacoli per lui avrebbero dovuto essergli da stimolo.
Disgraziatamente, non era così: il tempo passava, e lui stava sempre peggio.
Naida lo guardava con apprensione: lo vedeva deperire, prima o poi se avesse continuato così si sarebbe ammalato.
Una sera, non appena lei gli andò incontro lo vide con una luce strana negli occhi; quando lui la baciò, Naida avvertì un forte odore di liquore.
Aveva bevuto, era evidente… col cuore stretto dall’angoscia, Naida si sforzò di mostrarsi allegra come sempre, ma intanto lo teneva d’occhio: non sapeva cosa aspettarsi da lui, quale effetto l’alcool avrebbe potuto avere. Se Hydargos si fosse trasformato in un bruto violento, lei non avrebbe potuto chiedere aiuto a nessuno, e nessuno avrebbe mosso un dito per difenderla.
Da parte sua, Hydargos percepì chiaramente il suo timore; avrebbe voluto rassicurarla, spiegarle che mai si sarebbe ridotto a perdere il controllo, ma naturalmente non poteva farlo. Nessun padrone può umiliarsi tenendo un simile discorso alla sua schiava.
Nei giorni successivi, le cose continuarono come erano cominciate: Hydargos beveva, e beveva forte, ma il suo fisico reggeva benissimo il liquore; orgoglioso com’era, e terrorizzato all’idea del ridicolo, lui era poi capace di comprendere quando fermarsi, quando smettere. Nonostante tutto, riusciva a mantenere il dominio di sé, anche se una volta alticcio era più facile allo scatto di collera, al momento d’ira.
Prese a rincasare più tardi: in preda ai fumi dell’alcool, preferiva passeggiare a lungo nelle zone più deserte di Skarmoon, in attesa di sentirsi più lucido, in modo che Naida non si sentisse troppo intimorita da lui – e non provasse disprezzo, soprattutto. Questo, non avrebbe potuto sopportarlo.
Un pomeriggio, esasperato dall’ennesimo fallimento e in preda alla furia, distrusse la sua poltrona scaraventandola contro una parete; il giorno dopo, ricordando l’episodio, ridusse drasticamente la dose di liquore. Mai avrebbe sopportato di farsi vedere alterato dai soldati, mai avrebbe potuto tollerare di essere causa di sguardi disgustati e risatine colme di disprezzo. Mai, soprattutto, avrebbe voluto farsi vedere debole, le gambe vacillanti. Mai avrebbe voluto perdere il lume della ragione al punto di fare del male a Naida, la sua bellissima Naida di cui era sempre stato tanto orgoglioso. Mai.
Era capace di comandare ai suoi uomini; avrebbe comandato anche a sé stesso.
Avrebbe sconfitto il suo nemico, avrebbe finalmente conquistato quel pianeta azzurro che stava rivelandosi imprendibile… avrebbe trovato il modo, e avrebbe vinto.
E allora, finalmente, avrebbe avuto tutto il merito che fino a quel momento non gli era mai stato riconosciuto.


– T’avevo avvertito, imbecille! – esplose Re Vega – Passerai un mese nelle miniere, lavorando come uno schiavo!
Hydargos trasalì, sentendosi raggelare; chinò la testa e disse l’unica cosa che avrebbe potuto rispondere: – Agli ordini, Maestà.
Furibondo, Re Vega spense lo schermo togliendo la comunicazione. Con quel suo incapace comandante aveva avuto sin troppa pazienza; ora era il caso d’impartirgli una severa lezione che gl’insegnasse ad essere più efficiente… se fosse sopravvissuto, ovvio.
A lungo, Hydargos rimase in piedi davanti allo schermo ormai spento: agghiacciato dal terrore, bruciante di collera per la spaventosa umiliazione, stava faticando non poco per recuperare il dominio su sé stesso. Né Gandal né i soldati e i tecnici presenti gli dissero nulla, nessuno lo guardò in viso.
Gandal fece segno a due soldati che si fecero avanti, pronti per prendere in consegna il loro comandante caduto in disgrazia; un altro cenno di Gandal li fece attendere. Non era ancora il momento. Nonostante non fosse certo un superiore tenero, il Comandante Supremo capiva che il suo sottoposto aveva bisogno di qualche istante per riprendersi.
Fremente d’ira, Hydargos continuava a sentir risuonare in sé gli insulti del suo sovrano: sapeva di non meritare un simile castigo, sapeva d’aver avuto sfortuna contro Goldrake, sapeva che le continue ingerenze dei suoi superiori anziché fungergli da sprone l’avevano ostacolato nella sua lotta personale contro il nemico… e d’altra parte, era sempre stato consapevole che in caso di fallimento la colpa sarebbe stata imputata a lui e solo a lui.
Ecco cos’era: un fallito.
Fu il suo amor proprio ferito a costringerlo a riprendersi, a mostrarsi impassibile quando avrebbe voluto urlare tutta la sua furia. Hydargos si drizzò nella persona, si aggiustò l’uniforme e si voltò verso i soldati, pronto a seguirli: gli ordini di Sua Maestà andavano obbediti immediatamente.
Rivolse un rapido saluto a Gandal prima di seguire i due militi fuori, nel corridoio; qui s’arrestò un attimo: – Dovrei passare dal mio alloggio.
Uno dei soldati scosse il capo con aria di scusa: – Conoscete le regole, signore. Non è possibile. Vi prego, non fateci avere dei guai.
– Certo – non posso neanche avvertire Naida. Nemmeno questo mi viene concesso!
Mentre saliva sulla monorotaia che l’avrebbe condotto agli hangar, si disse che presto lei avrebbe saputo ogni cosa… e avrebbe scoperto che il suo padrone era un incapace, un inutile, un fallito.
Questo pensiero fu anche peggiore dell’umiliazione che aveva appena subito.


Naida aprì lentamente gli occhi, stirandosi le membra indolenzite; si guardò attorno e di scatto si tirò su a sedere. Era ancora sul divano dove s’era addormentata la sera precedente, mentre aspettava il ritorno di Hydargos.
Sbadigliando, Naida controllò l’ora prima d’alzarsi: nessuna traccia di lui, né lì né in camera. Sul tavolo erano ancora posati i vassoi coperti con la cena, ormai fredda ed immangiabile.
Naida rabbrividì e si gettò addosso lo scialle in cui s’era avvolta la sera prima. Da quando era iniziata la guerra, Hydargos aveva cominciato a fare tardi, a non avere più orari, e il più delle volte non l’aveva mai avvertita se non con molto ritardo; era la prima volta però che lui non si faceva vivo da così tanto tempo. Ma naturalmente, un comandante ha ben altro da pensare che far sapere alla sua schiava quando sarà di ritorno.
Ordinò la colazione, che subito le venne portata da un robodomestico. Naida mangiò pensierosamente, continuando ad occhieggiare la porta e il display dell’intercom; quando si fu vestita, decise che sarebbe andata alla zona ricreativa. Non aveva mai voluto sapere nulla di quella guerra, ma voleva avere notizie di Hydargos.
Percorse i corridoi, con la sgradevole sensazione che tutti la guardassero in modo strano… come se avessero saputo qualcosa di cui lei non era a conoscenza.
Sciocchezze, pensò Naida.
Lo pensò anche dopo, quando la direttrice la squadrò da capo a piedi con aria ancora più altezzosa del consueto, e ancora lo ripensò quando entrò nella Sala Ricerche ed ebbe la netta sensazione che tutti i presenti la guardassero di sottecchi.
Non è possibile, si disse Naida. Non essere sciocca, è tutta un’impressione.
Sedette ad una postazione libera e cominciò la sua ricerca: digitò il nome di Hydargos ed attese.
Una schermata fitta di testo: gradi, titoli, onorificenze… imprese belliche… ma di questo, Naida non voleva sapere niente. Preferiva ignorare di quali orrori si fosse macchiato quell’uomo che con lei era sempre stato gentile.
Scorse in fretta le righe senza leggerle, arrivò in fondo (e solo allora capì d’aver temuto fin dall’inizio di trovare quell’orrenda parola, “deceduto”)…
Detenuto.
Naida si coprì la bocca per non gridare, mentre le parole parvero ballare e mescolarsi tra loro davanti ai suoi occhi.
Non era possibile… non poteva essere possibile…!
Rilesse con tutta la calma che riuscì ad avere.
Detenuto. Un mese… schiavitù… miniere… punizione…
NO!
Naida ricadde contro lo schienale, mentre continuava a fissare quelle parole spaventose: Hydargos, il comandante di Skarmoon… ridotto a lavorare come uno schiavo. Per un mese!
Spaventosa ironia della sorte, proprio lui che si era rivelato un padrone incredibilmente buono e generoso, avrebbe dovuto vivere come uno schiavo minatore… una delle condizioni peggiori, per un prigioniero di Vega.
Un mese nelle miniere poteva essere orribilmente lungo…
Alzò gli occhi, e stavolta fu sicura d’aver visto teste chinarsi in fretta sui monitor. Allora, ecco cosa sapevano tutti, ecco perché continuavano a guardarla… perché lei ora era completamente sola.
Stai calma, si disse, mentre sentiva il panico crescere rapidamente in lei.
Finse di guardare il suo monitor, mentre rifletteva febbrilmente: ora più che mai, si rendeva conto di che sicurezza le avesse dato lui con la sua semplice presenza. Che ne sarebbe stato di lei, senza Hydargos? E, pensiero ancora più spaventoso, che le sarebbe successo, se lui non avesse più fatto ritorno da quelle infernali miniere?
Altre occhiatine, qualche commento. Attorno a lei, sguardi d’intesa e ammiccamenti…
Basta!
Naida s’alzò di scatto e fece per uscire; poi cambiò idea e andò a ritirare il maggior numero di videolibri ed olodischi che poté, prima di tornare precipitosamente all’alloggio. Vi si chiuse dentro, ben decisa a non farsi più vedere: senza Hydargos si sentiva sola ed esposta, ed aveva paura, paura, paura.
Cominciò allora un periodo tra i più terribili che Naida avesse vissuto, pari forse solo alla sua detenzione nel ventre dell’astronave. Chiusa nell’alloggio, completamente e disperatamente sola, totalmente preda ai suoi terrori, Naida cominciò a trascorrere quel mese di tempo… quel mese che pareva non dovesse passare mai…
A volte leggeva, ma più spesso le parole le sfuggivano da sotto gli occhi, perdendo ogni significato; allora, lei si ritrovava a fissare il vuoto davanti a sé, incapace di proseguire con la lettura. Trascorreva la notte nel vano tentativo di dormire, sussultando al minimo rumore; quando, spossata dalla stanchezza, sprofondava finalmente nel sonno, non aveva mai quell’oblio benedetto senza sogni: incubi spaventosi la torturavano, in parte immagini del passato, in parte spaventose possibilità che le si presentavano alla mente. Naida si risvegliava agghiacciata dallo spavento, il corpo tremante e madido di sudore gelido; riprovava allora a dormire, ma per quanto fosse stanca il sonno non tornava più a darle conforto.
Nella noia delle sue giornate, l’unico diversivo era l’arrivo quotidiano dei robodomestici venuti a portarle i pasti o a riordinare l’alloggio. Purtroppo, non erano programmati per sostenere un dialogo: racchiusa in quel suo volontario isolamento forzato Naida, che era sempre stata una ragazza molto socievole, soffriva soprattutto di solitudine. Non poter parlare con qualcuno, scambiare un paio di frasi, una battuta…
Cominciò a pensare che prima o poi sarebbe diventata pazza.
Prese a mangiare poco, a deperire; un giorno si vide nello specchio – era proprio lei quella creatura pallidissima dagli occhi incavati? – ed inorridì: e se Hydargos tornando l’avesse trovata imbruttita?
Da tempo era stata abbandonata dai suoi terrori di essere rifiutata e riportata alla prigione; quel giorno, le sue paure si risvegliarono prontamente. Naida riprese a mangiare con regolarità e a praticare ginnastica per mantenersi in forma.
Fu proprio una mattina, mentre stava finendo i suoi esercizi quotidiani, che inaspettatamente ricevette il segnale che qualcuno fuori nel corridoio chiedeva di entrare.
Hydargos…?
Non era possibile: era trascorso poco più della metà del mese di punizione! Poi, lui sarebbe entrato senza aver bisogno di chiederle di aprirgli.
Naida si sentì soffocare: erano venuti a prenderla, a portarla via? Soldati che l’avrebbero ricondotta in quella spaventosa prigione?
Un altro segnale.
Naida si guardò attorno come un animale in trappola: non poteva fuggire.
Sapevano che lei era lì.
Inutile continuare a far finta di nulla…
Con le ginocchia che le si piegavano ad ogni passo, andò ad aprire alla porta.
S’era aspettata soldati dai visi nascosti dai cappucci; era solo un tecnico di mezz’età, piccolo, tozzo e dall’aria benevola, venuto per la manutenzione periodica.
– Devo pulire e controllare i filtri dell’aria condizionata, signora – spiegò gentilmente, mentre la guardava con aperta ammirazione.
– Oh… sì, certo – Naida si fece da parte – Prego, accomodatevi.
L’uomo si fece avanti e si mise subito al lavoro: era una persona gioviale, e a Naida non parve vero poter scambiare qualche chiacchiera con un altro essere umano. Parlarono di tutto e di niente, mentre lui passava in rassegna tutte le prese d’aria, controllando quali filtri fossero da sostituire e quali necessitassero solo d’una buona pulizia.
Il tecnico era un tipo tranquillo che amava lavorare senza fretta; ciò nonostante, a Naida parve che avesse finito fin troppo presto il suo compito. Gli propose di bere una tazza di ween: gliel’avrebbe preparato volentieri, no, non sarebbe stato alcun disturbo. Il tecnico, che in effetti non desiderava altro che una pausa, accettò con piacere: se davvero per la signora non era una seccatura…
Chiacchierarono ancora mentre sorseggiavano la bevanda, e continuarono a farlo anche quando le tazze furono vuote; poi lui guardò l’ora e sobbalzò. Era stata una pausa gradevolissima, ma ora doveva proprio andare, era in ritardo con gli altri lavori.
Naida lo salutò a malincuore e l’accompagnò alla porta; poi la richiuse e vi si appoggiò contro con le spalle, lasciandosi scivolare a terra.
In quel poco tempo, si era sentita nuovamente viva.
Ora, davanti a sé aveva ancora almeno due settimane di solitudine, prima che Hydargos tornasse…
Non voglio pensarci.
…sempre che lui AVESSE fatto ritorno.
Non voglio pensarci!
Le miniere erano l’inferno. Moltissimi morivano nei primi giorni dal loro arrivo.
Non voglio pensarci…!
Quasi nessuno riusciva a resistere più di qualche mese, un anno al massimo.
Non… voglio… pensarci…!
Praticamente, nessuno schiavo aveva mai fatto ritorno da laggiù.

Naida si abbracciò convulsamente le ginocchia, affondò il viso tra le braccia e scoppiò in un pianto disperato.


I soldati fecero ala al suo passaggio, mentre lui scendeva dalla nave: finalmente, Skarmoon.
Era passato un mese… nessuno di quegli uomini doveva ignorare che ne era stato di lui, in tutto quel tempo.
Hydargos dardeggiò sguardi di fuoco attorno a sé dandosi un colpo di frustino sul palmo della mano, quasi sfidando chiunque a venirgli a rinfacciare il suo fallimento, il suo essere un perdente.
Nessuno disse nulla, nessuno si permise un contegno men che corretto.
Hydargos assentì tra sé e sogghignò: evidentemente, i suoi soldati lo rispettavano ancora.
Bene. Avrebbero visto che il loro comandante non era stato sconfitto, la schiavitù non era bastata a spezzarlo. Se era una prova di forza quella che volevano da lui, l’avrebbero avuta.
Percorse i lunghi corridoi col passo del vincitore: mai e per nessun motivo avrebbe voluto mostrare quanto gli bruciasse l’umiliazione che aveva subito. Mai si sarebbe mostrato debole, mai avrebbe lasciato trasparire l’amarezza che l’invadeva. Aveva subito una punizione ingiusta, una punizione durissima; nessuno avrebbe dovuto permettersi di mostrarsi sprezzante nei suoi confronti.
I soldati lo salutavano, gli ufficiali gli mostravano la deferenza dovutagli; lui guardò ognuno di loro in viso, vide tutti gli sguardi chinarsi, non abbassò mai il suo.
Continuò a camminare con la calma autorevole del vero comandante: quanti di loro avrebbero retto quello che aveva sofferto lui? Quanti di quegli ufficialetti dall’impeccabile uniforme avrebbero anche solo immaginato un’esperienza come quella che gli era toccata?
Nonostante il suo ferreo autocontrollo, sentiva l’agitazione crescere in lui: doveva presentarsi a rapporto da Gandal, com’era suo dovere. Come l’avrebbe accolto? Era un suo superiore, se avesse fatto ironie sull’accaduto, o se anche solo ne avesse parlato, lui non avrebbe potuto ricacciargli le parole in gola…
Hydargos serrò le dita attorno al manico del suo frustino: pazienza, pazienza…
Salì sulla monorotaia e raggiunse l’ufficio privato del suo superiore; perfettamente impassibile, chiese di poter conferire con lui, e venne fatto passare praticamente subito.
Gandal alzò gli occhi dal monitor del suo computer e fissò in silenzio Hydargos mentre eseguiva un saluto impeccabile e rimaneva in piedi davanti a lui, in attesa.
Se anche aveva avuto intenzione di dire alcunché, una semplice occhiata al viso del suo subalterno gli fece subito cambiare idea. Gandal s’alzò e in un inconcepibile slancio di cordialità gli andò incontro: – Hai fatto buon viaggio?
– Ottimo, grazie – rispose Hydargos, sempre sulla difensiva.
Gandal esitò: in realtà era veramente lieto di rivederlo. Mai avrebbe pensato che un giorno sarebbe arrivato a rimpiangere quel suo sottoposto di cui tante volte aveva lamentato la presunta inefficienza: l’inefficienza vera l’aveva conosciuta proprio durante la sua lontananza, e per opera degli ufficiali che avevano tentato di sostituirlo. È proprio vero che capiamo il valore di qualcuno solo quando è assente.
Lo guardò ancora: nel viso smagrito, gli occhi parevano bruciare di febbre. Non l’aveva mai visto così… – Hydargos, stai bene?
– Perfettamente, grazie. Sono pronto a riprendere il mio posto. – fu la risposta che ottenne. Ovviamente, non avrebbe potuto essere nulla di diverso.
– Non oggi – rispose Gandal – Sei appena tornato.
Hydargos fece con la testa un cenno di ringraziamento, e non disse nulla.
Il silenzio cominciò a farsi davvero opprimente.
Gandal tossicchiò: – Immagino che vorrai ritirarti. Puoi andare.
Hydargos salutò prima di girare i tacchi e avviarsi verso l’uscita. Gandal lo seguì con lo sguardo, e lo richiamò quando ormai era sulla porta: – Ascolta…
– Sì? – Hydargos si voltò a metà, il viso di pietra.
Gandal non esitò più: – Riprenderai servizio tra qualche giorno.
– Non sono malato.
– Diciamo allora che hai l’aria stanca.
– Posso ricominciare da domattina.
– È un ordine – ribadì Gandal, reciso – Non voglio vederti per tre giorni. Chiaro?
Hydargos chinò la testa in segno d’assenso: – Chiarissimo.
E uno, pensò mentre s’avviava verso il suo alloggio. Il primo incontro difficile era andato meglio di quanto aveva previsto: fortunatamente, Gandal aveva avuto l’intelligenza di non alludere nemmeno a quanto era accaduto.
L’altro incontro, sarebbe avvenuto entro pochissimo tempo.
In tutto quel tempo, che aveva pensato Naida? Aveva saputo sicuramente che era stato punito; di certo, ora non provava che disprezzo per lui. A nessuna donna piace essere la schiava d’un fallito.
Strinse il frustino fino a far crocchiare le nocche. Avrebbe sopportato senza battere ciglio i sarcasmi, le allusioni, le cattiverie del suo comandante; il biasimo di lei sarebbe stato a dir poco intollerabile. Non dopo quello che aveva passato.
Diviso tra furia e timore, Hydargos percorse a grandi passi la distanza che lo separava dal suo alloggio: com’era nella sua natura, avrebbe affrontato direttamente quella prova, e l’avrebbe fatto subito.


Le porte scivolarono di lato, e Hydargos fece il suo ingresso.
Naida, che gli era subito andata incontro, s’arrestò nel vederlo: aveva il colorito d’un malsano grigiastro, gli occhi fondi, il viso scavato. Anche se poteva sembrare impossibile, sembrava fortemente dimagrito; camminava eretto nella persona ma con fatica, quasi ogni passo gli fosse costato sofferenza.
– …Signore…? – mormorò lei, inorridita. Non osava pensare a cosa gli avessero fatto.
– Sto benissimo – tagliò corto lui, mascherando dietro il tono brusco il sollievo: lei non lo guardava con disprezzo o con rimprovero… – Sto bene, davvero.
– Ma certo – Naida deglutì – Sono contenta che tu sia tornato.
Hydargos fece una smorfia che voleva essere un sorriso ironico: – Non starai per dirmi che ti sono mancato!
– Certo che sì – Naida fece per prendergli il mantello, ma lui si tirò bruscamente indietro; lei riprese, e nella sua voce vibrava un tremolio perfettamente percepibile: – Tutto questo tempo senza sapere niente di te… mi sono sentita molto sola.
– Non mi hanno permesso di avvertirti – lui guardò il divano come per sedercisi sopra, ma all’ultimo istante decise di rimanere in piedi: – Hai saputo cos’è successo, immagino.
– Sì, dal computer – Naida si sforzava di ricacciare le lacrime: non era così che si era immaginata il ritorno di lui… no, non così, non dopo tutto quel tempo! – Nessuno mi ha detto niente. Nessuno mi ha mai nemmeno parlato! Ho scambiato due parole solo col tecnico della manutenzione, e basta! Sono sempre stata sola, sola! E ti meravigli se ti ho aspettato?
Lui parve sinceramente sorpreso: – Pensavo t’avrebbe fatto piacere non avermi attorno per un po’.
Naida scosse la testa e gli voltò le spalle: – Pensavi sbagliato.
Non era certo il modo corretto di rivolgersi al proprio padrone, tuttavia Hydargos era troppo sbalordito per farvi caso. In tutto quel mese aveva pensato che Naida sarebbe stata felice di sentirsi libera, senza essere costretta ad obbedirgli; non aveva considerato il bisogno di compagnia così tipico degli esseri di Fleed.
Poi, naturalmente, Naida doveva anche aver avuto timore anche per sé stessa: che ne sarebbe stato di lei, se il suo padrone non avesse più fatto ritorno?
Logica preoccupazione, si disse Hydargos, che era un uomo pratico.
– Va bene, adesso sono tornato; contenta? – in un incredibile momento di espansività le passò ruvidamente una mano sui capelli; subito Naida gli si gettò tra le braccia, affamata di un minimo di contatto fisico, di calore umano.
Lui sussultò, emise un gemito strozzato.
Naida si sciolse rapidamente da lui e lo fissò in viso: era mortalmente pallido, e stringeva i denti in una smorfia di sofferenza.
– Signore! Ma che cos’hai? – chiese, stupefatta – Ti ho… ti ho fatto male?
Lui scosse il capo: – È solo un ricordino del mio soggiorno nelle miniere.
– Ma cosa…?
Hydargos esitò un istante; poi si slacciò il mantello e aprì la tuta, rimanendo a torso nudo.
La schiena, le spalle e le braccia erano devastate da lunghe piaghe coperte da croste di sangue raggrumato. Naida non aveva mai visto gli effetti della frusta elettrificata, ma non impiegò che un secondo per riconoscerli.
– Devi farti vedere subito al centro medico! – esclamò, inorridita.
– Non voglio che qui su Skarmoon si sappia cosa mi hanno fatto! – si ostinò lui – Mi hanno già umiliato abbastanza.
– Ma bisogna medicare quelle piaghe! Sdraiati, ci penserò io – e Naida corse a prendere il necessario, mentre lui si stendeva con precauzione sul divano.
Prima di cominciare, Naida esaminò ancora le spaventose ferite e rabbrividì: – Pensavo avrebbero avuto dei riguardi, dato il tuo rango.
– Hanno avuto dei riguardi – rispose lui, cupo.
Naida ammutolì e si concentrò sulla medicazione.
Le piaghe presentavano bordi di pelle ustionata; in compenso, le ferite risultavano cauterizzate, non sembrava ci fossero infezioni in corso. Lavorando con pazienza e delicatezza, Naida pulì accuratamente le lacerazioni, irrorandole con il disinfettante. Quindi stese uno strato di gel dermostimolante che avrebbe anestetizzato il dolore e favorito una rapida guarigione; infine spruzzò il tutto con uno spray protettivo che formò istantaneamente una pellicola trasparente sulle ferite, proteggendole e trattenendo il medicamento.
Hydargos si rialzò con precauzione: il gel era fresco, piacevolissimo, e il dolore stava rapidamente calando. Rimase seduto, senza abbandonare un istante con gli occhi quella sua schiava che l’aveva appena curato e che ora stava riponendo ordinatamente creme e bottiglie. Un servo in genere non ha attenzioni per il suo padrone, al massimo obbedisce ai suoi ordini; lui non le aveva chiesto di aiutarlo, ma lei l’aveva fatto spontaneamente. Perché? Gratitudine? Mah…
Cenarono in silenzio: avendo saltato fin troppi pasti, lui divorò ogni cosa con grande appetito, mentre Naida lo osservava di sottecchi sorridendo tra sé.
Pensava che Hydargos avrebbe voluto andare subito a riposare, ma lui volle rilassarsi prima con un po’ di musica; lei scelse un disco che sapeva piacergli molto e lo raggiunse sul divano. Normalmente, lei si rannicchiava contro il suo fianco: timorosa di fargli del male, Naida rimase in disparte.
Hydargos la guardò con aria interrogativa, ma lei non se ne accorse: occhi semichiusi, ascoltava il filo della musica, seguendolo ovunque l’avesse portata.
Quella sera avvenne ciò che mai si sarebbe aspettata: fu lui a prenderla ruvidamente per una spalla, lui ad attirarsela nel cavo del braccio. Naida lo guardò, sbalordita, ma lo vide impassibile, lo sguardo remoto, ben deciso a non rivelarle nulla; allora, con precauzione, si raggomitolò contro di lui e non si mosse più.
Lo conosceva abbastanza per sapere che era il suo modo di ringraziarla.


Non ricordava d’aver mai fatto così tardi.
Sulla base, le luci erano abbassate per ricreare una sorte notte fittizia, e regnava il silenzio; ben poche persone si potevano vedere in giro. Il servizio notturno era destinato solo al minimo indispensabile di personale.
Hydargos scese dalla monorotaia e s’incamminò per il corridoio che portava al suo alloggio.
Si sentiva le ossa indolenzite e un odioso senso di vuoto gli attanagliava le viscere.
Quel giorno, era stato sul punto di morire.
Aveva combattuto contro Duke Fleed, e l’aveva fatto di persona, pilotando lui stesso l’ultimo mostro creato dal Centro Scientifico; ma era stato inutile. Aveva dovuto abbandonare la lotta per non venire ucciso.
Hydargos aprì la porta, che scivolò silenziosamente di lato: era tardissimo, Naida doveva essere andata a dormire.
Entrò, si tolse il mantello gettandolo su una sedia; si guardò attorno e nella penombra scorse qualcosa di chiaro sul divano. Naida…?
Si chinò su di lei: s’era avvolta in uno scialle e s’era assopita. Sul tavolo erano posati due vassoi con la cena, che ormai nonostante i contenitori termici doveva essere fredda. Alzò un coperchio e riconobbe uno dei suoi piatti preferiti: tipico di lei aver scelto i cibi che lui prediligeva.
Naida si riscosse, riaprì gli occhi e si guardò attorno, insonnolita: – Oh, sei tornato… Che ora è?
– Tardissimo – rispose lui, molto più ruvido di quanto in realtà avrebbe voluto – Perché non sei andata a letto?
– Credevo che saresti rientrato prima – soffocò uno sbadiglio e si strinse addosso lo scialle, mettendosi seduta sul divano – Devi aver fame.
Lui scosse il capo: – Sono solo molto stanco. Tu hai mangiato?
– Ti avevo aspettato – rispose lei, che faticava a tenere gli occhi aperti – Pensavo che avremmo cenato assieme. Adesso ho solo sonno.
Lui le tese una mano per farla rialzare: – Vieni. Andiamo a dormire.
Finalmente nel suo letto, Hydargos si girò e rigirò, incapace di assopirsi. Continuava a rivedere le immagini della battaglia, le armi letali di Goldrake scatenate contro il suo mostro… la collera, la vergogna di essere stato costretto alla fuga non gli permettevano di scivolare in quel riposo che tanto aveva desiderato.
Accanto a lui, Naida si mosse nel sonno, sospirò. Stava sognando, e non sembrava che si trattasse d’un sogno gradevole.
Se io morissi, si chiese improvvisamente Hydargos, che ne sarebbe di lei?
Era una schiava, una cosa senza alcun diritto, un oggetto da vendere, scambiare, lasciare in eredità. Bella com’era, una volta che fosse rimasta senza un proprietario sicuramente altri uomini si sarebbero fatti avanti per contendersela.
Ignara dei pensieri che affollavano la mente del suo padrone, Naida si rannicchiò contro di lui; finalmente soddisfatta, scivolò in un sonno senza sogni.
Hydargos la guardò, pensoso. Se lui fosse morto, Naida sarebbe stata di un altro uomo: un altro avrebbe avuto accanto a sé nel letto quel dolce corpo tiepido, un altro avrebbe visto com’era bella mentre dormiva, un altro l’avrebbe avuta tra le braccia…
No, maledizione! Mai!
Rifletté freddamente: non per nulla, un tempo si usava ordinare che alla propria morte la schiava favorita venisse uccisa. Molti ancora lo facevano, la legge lo permetteva. Nessuno avrebbe trovato nulla da ridire.
Lentamente, Hydargos intravide la soluzione al suo problema. Avrebbe avuto bisogno d’aiuto; l’avrebbe chiesto a Gandal. Era un superiore severo, ma come uomo era affidabilissimo. Non gli avrebbe negato un favore.


– Volevi parlarmi? – Gandal fece ruotare la poltrona per poter guardare in viso il suo sottoposto.
– Vorrei che tu tenessi questo – Hydargos gli tese un plico.
Gandal lo rigirò tra le mani: sigillato e piuttosto gonfio. Doveva contenere carte e dischi magnetici. – Che devo farne?
Hydargos non rispose subito. Sull’ampio schermo alle spalle di Gandal, la Terra riluceva come un azzurro, preziosissimo gioiello. Per quanto fosse quasi arrivato ad odiarlo, quel pianeta imprendibile, la sua vista lo affascinava sempre.
– Inutile nascondercelo, questa guerra si rivela più difficile di quanto avessimo previsto – Hydargos parlava lentamente, gli occhi fissi su quel mondo ceruleo – Gli scontri sono sempre più pesanti. Io non sono un uomo che si tira indietro davanti al pericolo, e tu lo sai. Ho combattuto in prima persona, ho rischiato e rischierò ancora – si volse verso Gandal – So che in uno dei prossimi combattimenti potrei morire.
Gandal assentì gravemente e si alzò a sua volta, il plico tra le mani.
– Se dovesse succedere – continuò freddamente Hydargos – troverai là dentro il da farsi. Ho già predisposto tutto.
Gandal osservò il plico: – Non hai lasciato scritto a chi devo consegnarlo.
– Devi aprirlo tu.
– Io? Ma… la tua famiglia…
– Io non ho famiglia! – tagliò corto Hydargos, reciso – Tutto quel che ti chiedo è di conservare quel plico, aprirlo nel caso io dovessi morire ed eseguire quel che c’è da fare. Posso contarci?
– Ma certo – Gandal lo guardò dritto in viso – Me ne occuperò io, personalmente. Hai la mia parola.


Capitolo 9 – Re Vega

Non capitava praticamente mai che qualche ospite giungesse nell’alloggio di Hydargos; ma se questo fosse un uso di Vega o fosse semplice misantropia da parte del suo padrone, Naida non sarebbe stata in grado di dirlo.
L’eccezione alla regola accadde senza alcun preavviso.
Una sera giunse in visita un uomo altissimo, dal viso che pareva intagliato nella roccia; come Naida venne poi a sapere, si trattava nientemeno che del Comandante Supremo Gandal.
Il nuovo venuto si guardò attorno, soffermando lo sguardo sulla mensola su cui erano posti i vasi con le piante di Naida in coltura idroponica: uno spettacolo davvero insolito, per un alloggio di Skarmoon. Sorpreso, Gandal si girò con aria interrogativa verso Hydargos, che sostenne tranquillamente il suo sguardo ostentando indifferenza.
I due uomini sedettero, cominciarono a conversare (la Terra, su Skarmoon ormai non si parlava d’altro che della prossima invasione di quel meraviglioso pianeta). Ad un cenno di Hydargos, Naida si fece avanti portando un vassoio con bicchieri e bottiglie.
– Gradite un rinfresco, comandante? – chiese con un filo di voce, senza osar alzare gli occhi.
– Volentieri – per quanto poco incline a manifestare apertamente i propri sentimenti, Gandal la fissò con aperta ammirazione.
Naida li servì entrambi, prima di andarsene lasciandoli soli; Gandal, che fino ad allora era stato incapace di staccarle gli occhi di dosso, alzò la coppa in direzione del collega.
– Quella è la tua famosa schiava di Fleed? – esclamò – Complimenti. Adesso non mi meraviglio più che tu la tenga rinchiusa.
– Non è così – Hydargos bevve un sorso, soddisfatto: le lodi alla bellezza di Naida equivalevano per lui ad un complimento personale – Non le impedisco di uscire, anzi. È lei che non vuole farlo.
– Forse hai avuto la mano troppo pesante – osservò Gandal.
– Con una donna simile? Scherzi? Avrei avuto paura di rovinarla! E poi non ho mai avuto motivi per punirla. È molto docile.
– Sei doppiamente fortunato, allora – Gandal depose accanto a sé la coppa ancora mezzo piena – Probabilmente sarà stata maltrattata dai soldati prima che la prendessi tu.
– Penso di sì, anche se non ne ha mai parlato – Hydargos tenne la coppa tra le mani, gli occhi fissi sul liquore dorato – Posso sempre chiederglielo. Comunque, domani sera uscirà.
– Vuoi portarla alla cena in onore dell’arrivo di Sua Maestà?
– Perché no? È una donna di classe, molto educata. Farà una bella figura, non pensi?


Sua Maestà era giunto in visita sulla base di Skarmoon: svariati motivi l’avevano tenuto fino ad allora lontano dall’avamposto, non ultimo il contrasto con sua figlia Rubina, che l’incolpava della distruzione di Fleed. Purtroppo, era risaputo che la principessa Rubina, idealista com’era, non aveva mai avuto senso pratico: per lei un pianeta sconfitto corrispondeva a stragi ed orrori, non a nemici finalmente eliminati. Mah…
In visita con Sua Maestà erano venuti il Ministro delle Scienze Zuril, che Hydargos aveva conosciuto in occasione dell’attacco a Fleed, e l’odioso – e odiato – generale Dantus, Ministro della Difesa. Naturalmente erano presenti anche Gandal, Barendos ed alcuni alti ufficiali. Poi Hydargos si presentò con al braccio Naida, meravigliosa in un vestito candido a tunica che ne modellava morbidamente le forme; al collo, una cascata di gemme verdi e bianche che mandavano sprazzi di luce. Era una collana di squisita fattura, degna d’una regina; Naida la odiava. Era praticamente sicura che fosse parte di un bottino ottenuto da Hydargos dopo aver distrutto ed ucciso, ma non aveva potuto rifiutarsi d’indossarla.
Il loro ingresso produsse una certa sensazione, il che fece inorgoglire Hydargos. L’ammirazione destata dalla sua donna lo colmava di fierezza; persino Dantus, pur altezzoso com’era, era rimasto senza parole davanti alla bellezza di Naida.
Con l’aria di superiorità di chi sa d’avere con sé una donna non comune, Hydargos salutò i presenti, chiacchierò amabilmente con tutti, fu gentile persino con il detestabile Dantus, che gli rivolse un saluto forzato, gli occhi gialli fissi sulla procace giovane donna che si stringeva timidamente al fianco del suo padrone.
Per ultima arrivò trafelata la dottoressa Koyra, la primaria responsabile del Centro Medico; indossava ancora camice e calzoni che la facevano apparire più alta e magra di quanto già non fosse. In un impeto d’amor proprio femminile si passò nervosamente le dita tra gli arruffati capelli corti, scompigliandoli maggiormente. Sua Maestà la vide, sospirò e tacque: lei era un eccezionale chirurgo, non certo una modella. Non era la prima volta che si presentava ad una cerimonia ufficiale coi vestiti da sala operatoria, e non sarebbe certo stata l’ultima. Non era tipo da preoccuparsi di certe inezie come il vestiario, lei. Pure, con quel viso dagli zigomi alti, gli occhi viola cupo tagliati obliqui e la bocca morbida avrebbe potuto essere una gran bella donna…
Vennero serviti gli aperitivi, che sarebbero stati presi in piedi, in attesa di sedere al tavolo. Naida si guardò nervosamente attorno, senza osar fissare in viso nessuno. Quegli uomini e quelle donne erano i capi di Vega. Fleed era stato distrutto da loro.
Le misero in mano un bicchiere; lei si bagnò appena le labbra, aggrappandosi ancora più fortemente al braccio di Hydargos. Aveva tanto temuto di incontrare Rubina, e si era sentita sollevata nel sapere che la giovane principessa non sarebbe stata presente. Si erano conosciute su Fleed, e non erano state propriamente amiche; per Naida sarebbe stato orribile ritrovarla adesso, nella sua nuova condizione di schiava.
Nella sala si erano formati gruppetti di gente che conversava. Naida li osservò di sottecchi, cercando il coraggio che non aveva in un altro sorso del suo cocktail.
Hydargos stava parlando appunto con Dantus (l’invasione della Terra, ovvio). Più in là, Zuril era impegnatissimo in una conversazione scientifica con la dottoressa Koyra, che discuteva animandosi e agitando il proprio bicchiere, schizzando in giro il suo aperitivo. Più vicino, Gandal stava parlando a bassa voce con Re Vega, e gli spezzoni dei loro discorsi le giungevano a tratti. L’invasione di quel nuovo pianeta, naturalmente.
Naida si voltò ancora verso Zuril: dunque, quello era stato il padrone di Kein… chissà perché si era aspettata che avesse un aspetto meno mostruoso. Comunque, sembrava avere modi molto più pacati e meno aggressivi degli altri veghiani. Quanto le sarebbe piaciuto chiedergli di Kein! Purtroppo, non sapeva se avrebbe avuto la possibilità – o il coraggio – di domandargli notizie.
Naida bevve un altro sorso e cercò di prestare attenzione a ciò che Dantus stava dicendo ad Hydargos. In genere non voleva sentir parlare dell’invasione della Terra, non dopo aver visto distruggere Fleed, ma non poteva evitarlo ancora. Pareva non si potesse parlare d’altro.
– Stiamo ultimando la progettazione di un mostro da combattimento di nuova generazione – stava annunciando pomposamente Dantus – Un mostro di concezione completamente nuova.
– E cos’avrà mai di diverso dagli altri, questo nuovo mostro? – chiese Hydargos, tagliente.
– Non è interamente meccanico – rispose soddisfatto Dantus – È ottenuto partendo da un animale vivo, accresciuto, robotizzato e perfettamente controllato. La sua potenza e i suoi riflessi lo rendono infinitamente superiore ai mostri vecchio modello.
– Bene, ti auguro che sia così – sogghignò Hydargos – Vedremo se in combattimento questo mostro riuscirà a non farsi distruggere, come gli altri!
– Il mio mostro non sarà sconfitto! – proclamò Dantus – Anzi, sarà proprio il mio mostro a fare a pezzi Duke Fleed e quel suo Goldrake!
Il calice di Naida s’infranse a terra.
– Duke Fleed? – gridò lei – È VIVO?
Un silenzio terribile piombò nella sala. Improvvisamente, Naida sentì tutti gli sguardi su di sé, e d’istinto si rannicchiò su sé stessa, quasi avesse voluto sparire.
– Vieni qui, schiava – disse la voce profonda di Re Vega.
Naida riaprì gli occhi, guardò Hydargos: era pallidissimo, il viso di pietra, ma annuì impercettibilmente. Bisognava obbedire. Lei allora mosse qualche passo avanti, fermandosi di fronte al sovrano, che non osò guardare in viso.
– Sì, Vostra Maestà – mormorò.
– Conosci Duke Fleed?
Naida guardò ancora Hydargos, prima di parlare. – Sì, Vostra Maestà… ma… è vivo?
– Non sta a te fare domande, schiava. Come ti chiami?
– Naida Barsagik, Maestà.
– Barsagik – ripeté Zuril, facendosi avanti – C’era un Barsagik nella famiglia reale di Fleed, se non ricordo male… un duca. Sei sua figlia?
Naida guardò ancora Hydargos.
– Rispondi – disse lui.
– Sì, signore. Sono la figlia del duca Barsagik.
– Ti eri preso una duchessa, complimenti – sibilò velenosamente Dantus a Hydargos – Quanto scommetti che te la porteranno via?
– Taci! – ringhiò Hydargos.
– Il duca Barsagik – ripeté pensosamente Re Vega; poi si rivolse al suo Ministro delle Scienze: – Zuril, tu sei stato su Fleed e conoscevi bene la famiglia reale.
– Sì, Maestà – rispose lui, cercando di scacciare dalla mente la leggiadra immagine di Rubina.
– Questo duca, che parentela aveva con Duke Fleed?
– Erano cugini, anche se alla lontana. Tuttavia, la sua famiglia viveva in un’ala della reggia. Ricordo che mi era stato parlato di una Naida, amica d’infanzia di Duke Fleed. Erano cresciuti assieme, e si era cominciato a ventilare un possibile matrimonio.
Re Vega lo guardò un po’ in tralice: – Sei ben informato. Queste cose le hai sapute da mia figlia… da Rubina?
Zuril strinse le labbra, mostrandosi impassibile: – Sua Altezza non mi onora delle sue confidenze, Maestà.
– Ooh, molto bene – intervenne improvvisamente lady Gandal, esaminando Naida – Una cugina di Duke Fleed, cresciuta con lui e con cui c’è stato del tenero… Maestà, è un’occasione da non perdere.
– È quel che penso anch’io – Re Vega si rivolse solennemente ad Hydargos: – Mi spiace, Vicecomandante, ma dovrete rinunciare alla vostra schiava. La faremo condizionare e la useremo per distruggere una volta per sempre quel maledetto Duke Fleed.
– No…! – esalò lei.
– Maestà – esclamò Hydargos, ponendosi istintivamente davanti a Naida, facendole scudo – Voi sapete che ho sempre messo a repentaglio la mia vita per voi… ma la mia schiava… il condizionamento è rischioso, la missione è irta di pericoli…
– Verrete risarcito, naturalmente – rispose Re Vega; poi, in un impeto di grande generosità aggiunse: – Riceverete il doppio del suo valore.
– Ma, Maestà…
– Basta così – e a Gandal: – Fatela portare via, Comandante.
Un cenno di Gandal, e due soldati furono pronti ai fianchi di Naida, che guardò Hydargos, disperata; ma lui, che fremeva d’ira impotente, non poté far altro che serrare i pugni fino a farli crocchiare.
– Un momento – Dantus si fece avanti, gli occhi gialli sempre fissi su Naida, e fece cenno a due delle guardie speciali di Vega – Prendo io in consegna la prigioniera.
– Non ce n’è bisogno – obiettò Gandal, seccato di vedersi scavalcare dal collega.
– I soldati di questa base sono fedeli a Hydargos – continuò soavemente Dantus – Credo che sia più prudente se facciamo sorvegliare questa donna da delle guardie sicure.
Offesissimi, i due militi che avevano preso in consegna Naida lasciarono la loro prigioniera e si volsero di scatto verso Dantus, che sogghignò della loro reazione: – Che dicevo? Non sono affidabili.
– I soldati di Vega sono degni della massima fiducia! – esclamò rabbiosamente Hydargos.
– Ma davvero…! – rise Dantus, che stava covandosi Naida con gli occhi; un suo cenno, e si fecero avanti un paio delle guardie personali di Re Vega, pronti a portare via la giovane donna. Finché Zuril avesse preparato il condizionatore mentale, ci sarebbe stato il tempo perché Dantus potesse spassarsela con quella bellissima schiava… e naturalmente, ci sarebbe stato qualcosa anche per loro due.
Naida conosceva fin troppo bene quello sguardo; terrorizzata, s’accostò ad Hydargos, che si pose tra lei e Dantus, mento alzato e spalle squadrate, pronto alla lotta.
Anche a Zuril era fin troppo chiaro il desiderio di Dantus, e ne era urtato. Celando il disgusto dietro alla sua maschera impassibile, lo scienziato si fece avanti ponendosi tra i due avversari: – Un momento solo.
Dantus si volse rabbiosamente verso di lui, un lupo ringhioso che teme di vedersi sfuggire la preda: – Che ti prende, Zuril?
Il Ministro delle Scienze si rivolse a Sua Maestà: – Temo, Sire, che non sarà possibile preparare Naida in tempi così ridotti. Non appena giunto su Skarmoon, sono entrato nel computer principale per controllare il sistema…
– Cosa c’è che non va bene? – brontolò Gandal, piccato.
– Semplicemente, il programma è in una versione a dir poco obsoleta.
Dantus sbuffò: – Per una volta in vita tua, puoi parlare semplicemente, senza usare tanti paroloni?
Zuril si volse verso di lui, glaciale: – Sorpassato. Scaduto. Vecchio, se proprio vogliamo usare un termine di facile comprensione.
– Maledizione, Zuril, smettila! Ho capito!
– Ah, sì? – Zuril si permise un lieve sogghigno – Avevo creduto il contrario.
– Basta così – Re Vega inchiodò Dantus con un’occhiataccia, prima di rivolgersi a Zuril: – Non puoi eseguire la distorsione mentale usando il vecchio programma?
– Certo, potrei – rispose tranquillamente Zuril – Però è molto meno affidabile del programma nuovo. Consiglio vivamente di attendere che io abbia aggiornato l’intero sistema, Maestà: con Naida, non possiamo correre il minimo rischio, o ne andrà del nostro piano.
Re Vega piegò all’ingiù gli angoli della bocca: – Quanto tempo ti ci vuole?
– Alcune ore per installare e riprogrammare l’intero sistema, più altro tempo per i controlli necessari.
– E se cominci subito?
Zuril si permise un sorrisetto: – Ho avviato la procedura automatica di backup, e in questo momento sto creando una copia dell’intero database. Non potrò programmare nulla finché la copia non sia stata ultimata… il che richiederà almeno un paio d’ore di lavoro.
Re Vega gettò uno sguardo a Naida, che sembrava sul punto di svenire: – Va bene, Zuril. Sei tu il responsabile dell’operazione. Fai come ti sembra meglio.
– Grazie, Maestà – Zuril si girò verso Hydargos: – Non appena saremo pronti, manderò dei soldati a prendere Naida.
– Quanto tempo ci vorrà? – chiese Hydargos, impassibile.
– Non li manderò prima di domattina.
– Nel frattempo – intervenne Dantus – sarà meglio che questa donna venga chiusa in una cella e sorvegliata.
– Rispondo io di lei – ringhiò Hydargos.
Dantus lo guardò con aria vagamente canzonatoria: – Davvero?
– Cosa vorresti dire? – sbottò Hydargos, gli occhi che mandavano lampi.
– Dico che voglio essere sicuro che quella schiava domani ci sia, ecco cosa dico!
– Pensi che la farei scappare?
– Saresti capace di farlo.
Hydargos serrò i pugni: – Stai accusandomi di tradimento?
– No, naturalmente! – tagliò corto Zuril, asciutto, fissando in viso Dantus – Sono certo che domani il comandante Hydargos consegnerà Naida ai miei uomini.
– Ho i miei dubbi – rispose Dantus, godendo intimamente nel vedere la collera del rivale.
– Io invece non ne ho affatto – rispose Zuril sottolineando ogni parola – So di potermi fidare della parola del comandante Hydargos.
– Concordo in pieno – aggiunse inaspettatamente Gandal, godendo nel vedere l’ira impotente di Dantus.
– Basta con queste sciocchezze! – sbottò Re Vega, brusco – Zuril, l’aggiornamento del computer è troppo importante. Prenditi tutto il tempo che ti è necessario.
– Grazie, Maestà – e lo scienziato chinò educatamente il capo.
– Quanto a te, Hydargos, sei responsabile per quella donna – continuò Re Vega – È affidata a te. Se lei dovesse fuggire o suicidarsi, puoi considerarti morto.
– Non succederà, mio signore.
Un gesto di Gandal e i soldati lasciarono Naida, che subito corse a rifugiarsi presso il suo padrone.
– Grazie, ministro Zuril – Hydargos prese Naida per un braccio e si girò verso Re Vega – Maestà, chiedo il permesso di ritirarmi.
– Ma certo – concesse generosamente Re Vega – Abbi cura di Naida. Non appena il ministro Zuril sarà pronto, manderemo a prenderla.
Allora Hydargos uscì, e Naida gli tenne dietro.


– Maledizione! – Hydargos si strappò di dosso il mantello scarlatto e ne fece una palla che scaraventò a terra. Controllò che la porta dell’alloggio fosse chiusa; poi andò a versarsi un abbondante bicchiere di liquore, che trangugiò d’un fiato. Quindi, ricordatosi improvvisamente di Naida, rimasta in piedi in mezzo alla stanza, gelata di terrore, tese la bottiglia verso di lei: – Un goccio anche tu?
– Grazie, signore – lei pareva sul punto di scoppiare in pianto: – Cosa mi faranno?
Hydargos le mise in mano una coppa: – T’impianteranno un microchip sotto pelle, dietro l’orecchio; non sentirai male. Poi ti daranno le direttive.
– Quali direttive?
– Come devi comportarti. Suppongo ti diranno che odi Duke Fleed.
– Ma io… io gli voglio bene! Non posso…
Hydargos piantò gli occhi in quelli di lei: – Naida, nel momento in cui il chip rileverà che il tuo comportamento non è conforme alle istruzioni, tu proverai un dolore indicibile. È meglio se ti adegui… se non vuoi soffrire.
Naida crollò la testa. Non riusciva nemmeno a piangere.
– Perché non mi hai mai detto di essere parente di Duke Fleed? – chiese Hydargos.
– Perdonami, signore… – lei si sforzò di ricacciare indietro i singulti – Non mi hai mai fatto domande sulla mia vita. Credevo non t’interessasse.
Infatti, non m’interessava… fino ad ora, pensò Hydargos. Dannazione! Perché aveva voluto portarla a quella cena, esibirla per vantarsi della sua bellezza? Perché non l’aveva lasciata a casa, come lei stessa avrebbe voluto?
– Perché non sei stata zitta, quando hanno nominato Duke Fleed? – esplose invece.
– Mi dispiace, signore, io… io non sapevo… io credevo che fosse morto.
– No, non lo è – rispose lui, a denti stretti – È il nostro peggior nemico, invece. Il mio peggior nemico. – E lei era la tua fidanzata, Fleed. Te l’ho portata via. Adesso è mia. Almeno in questo t’ho battuto.
Hydargos terminò in fretta il suo liquore, mentre accanto a lui Naida cercava di riprendere una parvenza d’autocontrollo. Poi lui gettò la coppa sul tavolo e si voltò verso la sua schiava, una luce febbrile negli occhi.
– Abbiamo ancora questa notte – l’afferrò per le spalle e la strinse a sé, sentendosi invadere da un fuoco che ben conosceva e che solo lei avrebbe potuto estinguere – Forse è tutto ciò che ci resta.
Naida esitò un solo istante. Guardò Hydargos, quel suo padrone che tutto sommato non era mai stato crudele con lei, che l’aveva sempre trattata bene, che quella sera aveva cercato di difenderla incurante della sua stessa rovina; per la prima volta da che si conoscevano, sentì nel petto un calore che credeva non avrebbe provato mai più.
Ma allora… possibile che…?
L’immagine di Duke Fleed balenò nella sua mente.
NO!
Non voleva pensare a cosa provava veramente per quel veghiano… non voleva pensare all’orrore che l’attendeva l’indomani… non voleva pensare affatto.
Si gettò tra le sue braccia, si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò febbrilmente.

- continua -
 
Top
view post Posted on 29/4/2009, 21:30     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


Capitolo 10 – Tortura

Due soldati vennero il mattino dopo a prendere Naida; sulla soglia, lei si volse un’ultima volta per salutare Hydargos. Fu un addio molto freddo e formale, ben diverso dal bacio infuocato che si erano scambiati pochi istanti prima, nell’alloggio, al sicuro da sguardi indiscreti. Poi lei seguì docilmente i due uomini e lui, rimasto fino all’ultimo immobile sulla porta a guardarla allontanarsi, s’incamminò quasi di corsa giù per un corridoio puntando verso l’ufficio privato di Zuril.
Come al solito, lo scienziato si mostrò molto calmo e molto ragionevole.
Certo, avrebbe fatto in modo di non recare danni irreversibili durante il condizionamento… danni fisici, cioè. Era impossibile prevedere cosa sarebbe successo nella mente di Naida.
– Ammettiamo che sopravviva alla missione – spiegò pazientemente Zuril – Il chip può essere rimosso, e con esso il suo influsso; ma Naida avrà subito i suoi effetti da tempo, senza contare la distorsione vera e propria. È molto difficile che possa uscire da quest’esperienza senza conseguenze – vide l’espressione angosciata di Hydargos e aggiunse: – La reazione più comune è un esaurimento nervoso, che può essere curato con successo. Comunque, io seguirò personalmente tutte le fasi del condizionamento. Posso assicurarti che lavorerò con la massima attenzione.
– È già molto – mormorò Hydargos – Grazie.


Un rapido passaggio al centro medico, e il microchip venne iniettato a Naida, che sentì solo un leggero pizzicore. Controllato il funzionamento del chip, Naida fu trasferita ad una stanza nella zona detenzione (“camera per gli interrogatori”, le spiegarono). Naida venne fatta addossare ad una parete metallica e legata con cinghie; la giovane donna fece appena in tempo a guardarsi in giro, terrorizzata, quando la porta scivolò di lato lasciando passare l’immensa figura di Re Vega, seguito da un uomo che riconobbe subito… Zuril. Il padrone di Kein.
Mentre il sovrano si poneva in disparte, il ministro sedette ad un terminale, impostando rapidamente la procedura per la distorsione mentale: era un lavoro delicato, e ci teneva ad eseguirlo con cura. Lui lavorava sempre con cura.
Zuril non era un sadico: lo fosse stato, avrebbe goduto nel torturare Naida. Invece, per la sua fredda mente di scienziato non vi era alcun piacere in quanto stava per fare: anzi, lo considerava un autentico spreco. Una donna così bella… un vero peccato.
Represse rapidamente quegli assurdi scrupoli ed osservò Naida: si controllava, ma era al limite del panico.
Così non va. Con un soggetto terrorizzato non si lavora certo bene.
Evitando qualsiasi gesto brusco, un po’ come avrebbe fatto per tranquillizzare un animaletto atterrito, si alzò e le si avvicinò per esaminare i legami: – Ti stringono troppo? – aveva una voce gentile, nonostante quello che stava per farle.
Naida, che lo fissava con gli occhi sbarrati, scosse lievemente la testa. Tremava da capo a piedi, e Zuril se ne accorse: – I soldati ti hanno maltrattata?
Naida scosse ancora la testa. No.
Zuril gettò un’occhiata sopra la spalla a Re Vega, che sedeva impassibile poco più in là, e abbassò la voce: – A me puoi dirlo. Parla pure liberamente.
Lei fece ancora segno di no col capo: – Non… mi hanno trattata male, signore.
Pareva incredula di aver trovato un veghiano che la trattasse con gentilezza.
Andiamo meglio, si disse Zuril. È sempre una buona politica mostrarsi amichevoli con il soggetto di un esperimento.
Le sorrise lievemente, mentre le allacciava una sottilissima fascia metallica attorno ad un polso.
– Serve a controllare le tue condizioni – spiegò – Ora ascoltami bene, Naida. Il chip che ti è stato iniettato può scatenare crisi di dolore ai limiti del sostenibile.
– Sì – lei si umettò le labbra secche – Sì, lo so.
– Bene. Ricorda allora che non ti conviene resistere al trattamento. Più ti ribelli, più soffri. Se collabori, finirà tutto in fretta.
Naida assentì, gli occhi dilatati dal terrore.
– Un’altra cosa – Zuril parlava sempre con estrema gentilezza – Non è possibile evitare il condizionamento, ricordatelo bene. Opporsi significa solo prolungare i tempi e provare dolore. Tu verrai condizionata comunque; sta a te decidere se vuoi patire o meno.
– No – mormorò lei – No. Non voglio soffrire.
– Perfetto. Allora sarà una faccenda rapida ed indolore. …Sei pronta?
Naida assentì: – Facciamo presto.
– Bene. Cominciamo – Zuril sedette al terminale del computer che governava il tavolo, e impartì un paio d’ordini. Una gran luce s’accese sul soffitto, proprio sopra Naida, inondandola completamente. La luce prese poi a baluginare, bianca, gialla, verde… Naida avrebbe voluto distogliere gli occhi, ma non poteva farlo… la luce continuava a lampeggiare, blu, viola, rossa…
Suoni inquietanti cominciarono ad insinuarlesi nelle orecchie, un ritmo serrato simile ad un veloce battito cardiaco… poi una voce oscura ed inconfondibile, la voce di basso profondo di Re Vega.
– Sai perché sei prigioniera di Vega, Naida? – chiese Sua Maestà – Perché Fleed è caduto. Ed è caduto perché le sue difese erano inutili.
– Siamo un popolo pacifico – rispose lei, sempre abbagliata dalle luci – Non abbiamo un sistema difensivo valido.
– Un popolo pacifico capace però di costruire una macchina da combattimento come Goldrake! – obiettò Re Vega, sarcastico.
– Ma Goldrake è stato costruito per proteggere Fleed…
– Però non l’ha fatto. Duke Fleed vi ha abbandonati, è fuggito quando avevate bisogno di lui. È un vigliacco.
– Non è vero! – esclamò Naida, ma un dolore spaventoso la fece spasimare. Aveva l’impressione che le fosse stato messo un cerchio di ferro attorno alla testa, un cerchio che stringeva sempre più, sempre più…
Improvviso com’era apparso, il dolore scomparve.
– Duke Fleed è un vigliacco – ribadì Re Vega – e un traditore.
– No! – Naida gridò, mentre il dolore esplodeva in lei, più forte che mai.
– Duke Fleed non vi ha protetti, non vi ha salvati dall’invasione, vi ha traditi! – incalzò Re Vega.
– No, non è vero! – Naida lanciò un urlo lacerante, dibattendosi come una forsennata.
– Non resistere, Naida – l’avvertì Zuril – altrimenti il dolore sarà sempre più forte.
– Sai dov’è ora Duke Fleed? – continuò Re Vega, implacabile – Vive sulla Terra, tranquillo e felice. Credi che gli importi cos’è successo a te e agli altri fleediani rimasti in vita?
– No…! – Naida scoppiò in singhiozzi; chiuse gli occhi, ma le luci continuarono a baluginarle nella mente, tormentandola… Duke Fleed non era un traditore, non poteva, non doveva…
In preda ad un nuovo, lancinante attacco, Naida urlò con quanto fiato aveva in gola.


Le porte scorrevoli scivolarono di lato, e Zuril entrò nello studio di Hydargos; la prima cosa che vide fu la coppa di liquore sul tavolo davanti a lui. Uh-uh.
Hydargos non alzò la testa, non lo guardò nemmeno.
– Avete finito? – chiese, con voce sorda.
– Finito. È perfettamente condizionata – Zuril andò ad appoggiarsi contro il bordo della scrivania e rimase lì, immobile.
Hydargos bevve un sorso: – Ha sofferto molto?
Zuril si guardò rapidamente attorno, cercando con cura le parole adatte.
– Purtroppo, Naida doveva venir condizionata a considerare traditore un uomo che non lo è affatto, e di cui lei è ancora innamorata… Lo sapevi, vero, che Naida ama Duke Fleed?
Hydargos batté la coppa sul tavolo: – Naida è una schiava. I suoi sentimenti non m’interessano. A me basta che sia docile, obbediente e fedele; a queste condizioni, può amare chi vuole.
– Credevo tenessi a lei.
– Ripeto: è solo una schiava.
Zuril lo guardò, una strana espressione sul viso: – Molto bene, se la pensi così…
Hydargos alzò di scatto la testa e per la prima volta in quel dialogo fissò direttamente il collega: – Cos’è successo? Sta male?
– Il condizionamento non è piacevole da subire, e lei ha resistito parecchio, nonostante io l’avessi consigliata di non farlo. Naida non voleva assolutamente accettare la colpevolezza di Duke Fleed…
– E allora…? – chiese ansiosamente Hydargos.
Zuril esitò un ultimo istante: – Avresti dovuto avvertirci che era incinta.
Lui rimase come impietrito: – …Cosa…?
– Oh, non lo sapevi? – Zuril pareva molto a disagio – Effettivamente, era di poche settimane. Probabilmente non lo sapeva con precisione nemmeno Naida stessa.
– L’ha perso? – alitò Hydargos.
– Ha abortito, sì. Adesso è al centro medico, ma la dottoressa Koyra mi ha assicurato che si riprenderà perfettamente. Nonostante quella sua aria fragile, Naida è una donna forte.
– Di… di quanto era?
– Quattro settimane. Maschio.
Era mio, si disse Hydargos, era proprio mio. Mio figlio.
– Potrà averne ancora, in seguito – aggiunse Zuril, e la sua comprensione era sincera: aveva un figlio anche lui. Capiva.
Hydargos s’alzò: – Vado a vederla.
– È sotto sedativi – l’avvertì Zuril – Non ti potrà parlare. È inutile che tu vada.
Hydargos s’arrestò un attimo sulla soglia: – Puoi sempre provare a fermarmi.
Le porte si chiusero alle sue spalle.
Zuril guardò la sedia su cui fino ad un istante prima era stato Hydargos; poi si versò da bere e alzò il calice come per un brindisi, sorridendo: – Solo una schiava, hm?


Pallidissima, gli occhi cerchiati di ombre azzurrine, Naida giaceva in un letto del centro medico; era stata sedata, per cui non reagì quando l’ombra di Hydargos cadde su di lei.
Impassibile e silenzioso, lui osservò quella che era stata la madre di suo figlio; poi alzò gli occhi sul display sulla testiera del letto. Per quel poco che s’intendeva di medicina, capiva da sé che le condizioni di Naida erano abbastanza buone; comunque, era stata la primaria in persona a rassicurarlo. Naida fisicamente stava bene, si sarebbe ripresa senza problemi.
Purtroppo, per il bambino non c’era stato nulla da fare.
Hydargos serrò le mascelle, affilando gli zigomi, e sedette accanto al letto.
Uno dei tanti, deleteri effetti dell’inquinamento di Vega era stato un forte aumento della sterilità anche negli individui più sani. Un figlio era divenuto un bene ancora più prezioso perché raro. Perderne uno non significava automaticamente che in futuro avrebbe potuto arrivarne un altro.
Lui aveva perso il suo.
Rimase in silenzio, immobile, il viso di pietra.
Naida si mosse nel sonno, gemette. Una delle sue mani bianche scivolò sulla coperta, mentre lei, in preda agli incubi, si agitava muovendo la testa da una parte all’altra.
D’istinto Hydargos le prese la mano, gliela strinse tra le proprie; lei si rilassò, e con un sospiro sprofondò nuovamente nel sonno.
Lui la guardò: appariva così fragile, così fragile… persino la mano sembrava ancora più piccola, più minuta. Con precauzione tornò a deporgliela sul letto; avrebbe voluto parlarle, ma non sapeva che cosa dire. Avrebbe voluto carezzarle i capelli, ma non osava farlo.
Non osava proprio lui, Hydargos, che fino ad allora aveva fatto di lei quel che più gli era piaciuto.


Lei sedeva in un angolo della sala d’aspetto, remota, gli occhi persi come in un sogno – e non era un bel sogno.
Era guarita. Le avevano procurato un vestito tagliato a tunica secondo la foggia di Fleed; anche gli orecchini azzurri provenivano da Fleed, probabilmente erano tutto ciò che era rimasto di una delle tante, anonime schiave catturate.
Hydargos entrò nella saletta, rimanendo silenzioso presso la porta; lei lo guardò senza dare il minimo segno di riconoscerlo.
– Buona sera – mormorò Naida, abbassando subito gli occhi.
Lui sentì un fremito percorrergli la schiena. Lei l’aveva trattato come un perfetto sconosciuto. Si schiarì la voce: – Non ti ricordi di me?
– Ci conosciamo…? – stavolta Naida lo guardò con attenzione. Si mise in piedi ponendosi proprio davanti a lui, alzando il mento per poterlo guardare bene in viso. Aggrottò la fronte nello sforzo di ricordare, ma la memoria non venne.
Naida non sapeva chi fosse, quell’uomo che sembrava aspettarsi qualcosa da lei. A disagio, continuò a scrutarlo: sentiva confusamente di conoscerlo, e dentro di sé era sicura che lui fosse molto meno crudele di quanto il suo aspetto mostruoso potesse lasciar credere… però nessuna luce si accese a rischiarare la sua povera mente annebbiata.
Si morse un labbro, scostandosi nervosamente una ciocca di capelli dal viso; poi azzardò, incerta: – Sei… mio marito?
Hydargos fece per rispondere, capì di non potersi fidare della propria voce e scosse il capo. No.
Un rumore di passi perfettamente scanditi, e due soldati entrarono a loro volta nella saletta; alle loro spalle, Zuril s’arrestò presso la porta.
– Chiedo scusa, signore – esordì uno dei due militi – Dobbiamo portare via la prigioniera.
Il loro comandante non rispose, limitandosi a chinare il capo in segno d’assenso; si fece da parte mentre i due uomini prendevano in consegna Naida.
Lei non parve nemmeno far caso a loro: scrutava Hydargos, gli occhi colmi di domande inespresse. Continuò a fissarlo mentre la portavano via, e s’allontanò per il corridoio sempre restando voltata verso di lui, finché due porte non scivolarono chiudendosi e si frapposero tra di loro.
In silenzio, Zuril si fece avanti, fermandosi al fianco di Hydargos.
– Non si ricorda di me – mormorò questi.
– È naturale. Effetto della distorsione – rispose calmo lo scienziato – Col tempo la memoria tornerà.
Hydargos tacque, limitandosi a guardarlo con aria interrogativa; Zuril allora spiegò, scegliendo con cura le parole:
– Per attuare la distorsione mentale, abbiamo selezionato i ricordi che erano utili al nostro scopo: la vita trascorsa su Fleed, la conquista del pianeta e tutto quanto di negativo Naida abbia subito dopo la sua cattura. Altri ricordi sono stati alterati in modo da far credere a Naida che Duke Fleed si sia comportato da traditore. Sapere che l’uomo che ama l’ha abbandonata nelle nostre mani sarà un pensiero fisso, ossessionante che farà scattare in lei il bisogno di vendicarsi – Zuril occhieggiò Hydargos ed aggiunse: – Ovviamente, per ottenere questo risultato bisogna che Naida ricordi solo le proprie sofferenze. Non certo il fatto di essere stata trattata bene.
– È per questo che mi ha dimenticato? – chiese Hydargos, il viso di pietra.
Zuril si strinse nelle spalle: – Con lei, tu sei stato un padrone molto generoso. A noi serviva che Naida ricordasse solo dolore e sofferenza.
– Capisco – e Hydargos si chiuse in un silenzio glaciale.


Capitolo 11 - Terra

– Dottor Procton! – gridò improvvisamente Hayashi – C’è un oggetto non identificato in rapido avvicinamento!
– Yamada, passami il segnale sul video principale – ordinò Procton, calmo come sempre.
– Subito, professore! – un veloce comando manuale di Yamada, e sul grande schermo che campeggiava sull’intera parete del laboratorio apparve una sfera di fuoco: qualunque cosa fosse, si era incendiata a causa dell’attrito con l’atmosfera e stava precipitando al suolo a grande velocità.
– Sembra un meteorite – azzardò Hayashi.
Procton scosse lentamente il capo: – Non ne sono così sicuro. Qual è la sua traiettoria?
Hayashi controllò il suo monitor: – Dottore, se non brucerà interamente entro l’atmosfera, cadrà nel bosco dietro la montagna.
Procton strinse gli occhi. Dietro alla montagna… vicino cioè alla fattoria, al laboratorio… e a Goldrake.


La scia luminosa sfrecciò nel cielo, scomparendo dietro la vetta; un istante dopo la terra tremò.
Il cavallo s’impennò nitrendo di terrore, sbalzando di sella Rigel che piombò urlando al suolo; anche Mizar cadde, rischiando di ritrovarsi tra gli zoccoli dell’animale imbizzarrito.
Dalla fattoria si levò un improvviso coro di muggiti, belati, nitriti: tutte le bestie stavano urlando il loro terrore.
Da dietro il fienile accorsero Actarus e Venusia.
– Ma che è successo? – gridò il giovane.
Rigel si rimise a sedere, strofinandosi amorosamente la testa: – Che cos’è successo, chiede lui… era una palla di fuoco! È caduta nel bosco!
– Come? Non è stato un terremoto? – si stupì Actarus.
– Una palla di fuoco, hai detto? – chiese Venusia, allarmata.
– Una palla di fuoco, sì! – confermò Rigel, reciso – Doveva essere un UFO, te lo dico io!
Alle loro spalle, i portelloni della rimessa vennero aperti; con il consueto sibilo, il disco giallo di Alcor s’innalzò rapidamente nel cielo.
– Ecco, vedi: Alcor sì che è un ragazzo intelligente! – si compiacque Rigel; mise le mani a coppa attorno alla bocca ed urlò: – Ehi, Alcor, gli extraterrestri sono nostri amici! Vedi di trattarli bene!
Actarus gettò a terra il forcone che ancora stringeva in mano e si slanciò rapidamente verso la rimessa, dove aveva ricoverato la sua speciale motocicletta.
– E tu dove corri? – gli gridò Rigel – Tu potresti combinare solo guai! Ti ordino di tornare indietro!
Si slanciò in avanti, deciso ad inseguirlo, e subito Venusia gli tagliò la strada, afferrandolo per trattenerlo: – Papà, lascia stare Actarus!
– Quel buono a nulla, quel fannullone! Ogni scusa è buona per non lavorare…!
– Papà, smettila!
Actarus balzò sulla sua moto e l’avviò con un secco colpo di pedale. Il rombo del motore coprì per intero gli schiamazzi di Rigel e le proteste di Venusia.


Spinto a tutta velocità, il TFO oltrepassò rapidamente la vetta innevata del monte spingendosi sulla vasta abetaia che ne copriva l’intero versante.
Dall’alto, si notava subito la zona dell’impatto: alberi sradicati facevano da corona al relitto di un’astronave. Un incidente…?
Alcor sorvolò la zona, cercando se vi fossero tracce di superstiti, ma in quel punto gli abeti crescevano ancora fitti, rendendo difficile scorgere qualcosa… poco al di sotto della foresta però c’era una zona priva d’alberi, una sorta di sentiero innevato: Alcor lo conosceva bene, vi era stato più volte con la jeep, anche se…
All’improvviso, un movimento tra gli alberi sotto di lui. Alcor avvicinò il disco: dalla foresta erano emerse alcune figure che correvano proprio su quel sentiero. Una, snella e dai capelli lunghi, sembrava una ragazza; alle sue spalle correvano una decina d’inseguitori, che Alcor riconobbe subito per soldati di Vega.
Dieci contro una donna… Alcor fece per sparare i razzi contro i veghiani, ma si trattenne: la ragazza era troppo vicina, avrebbe potuto colpirla. Staccò allora un mitra dal supporto a fianco della postazione di pilotaggio, abbassò il più possibile il disco e aperto il vetro deflettore fece fuoco sui soldati, falciandone un paio alla prima raffica. I superstiti smisero subito d’inseguire la ragazza e risposero al fuoco di Alcor, che evitò per un soffio di venir centrato dalle loro raffiche e alzò prudentemente il disco.
Approfittando di quel diversivo, la giovane donna aumentò la velocità: poco oltre il sentiero faceva una curva, se fosse riuscita ad oltrepassarla i soldati l’avrebbero persa di vista e lei avrebbe potuto tentare di nascondersi nuovamente nella foresta.
I veghiani continuavano a sparare contro Alcor; uno di loro s’accorse che la ragazza stava per scomparire dietro la curva e ordinò di riprendere l’inseguimento. Gli uomini tornarono a slanciarsi dietro la fuggitiva, ma proprio allora udirono un rombo di motore alle loro spalle. Si voltarono di scatto, proprio mentre Actarus balzava con la sua moto in mezzo a loro.
Ad un comando del giovane, dai mozzi delle ruote fuoriuscirono due punte che trafissero i due militi più vicini; Actarus si gettò addosso ad un terzo soldato, colpendolo al viso e strappandogli di mano il mitra a raggi energetici.
Due dei soldati superstiti aprirono il fuoco contro Actarus; con un balzo, il giovane schivò i colpi sparando a sua volta una raffica che uccise i suoi due nemici.
Actarus respirò, guardandosi attorno in cerca di altri avversari; proprio allora, il soldato cui aveva strappato il mitra e che aveva mezzo stordito con un pugno lo assalì alle spalle, afferrandogli le caviglie e facendolo cadere al suolo. Rapidissimo, Actarus sparò al veghiano che crollò a terra senza nemmeno un grido.
Un silenzio irreale piombò sul sentiero. Actarus si rimise in piedi guardandosi attorno: nessuno dei soldati era sopravvissuto.
Percepì un lievissimo rumore alle sue spalle, e si voltò di scatto.
Da dietro lo spuntone di roccia attorno cui curvava il sentiero, era apparsa un’esile figura femminile dai lunghi capelli sciolti sulle spalle; la nuvola che velava il sole gettava la sua ombra su di lei, ma… non era possibile…
Actarus rimase a fissarla, stupefatto. Non poteva credere ai suoi occhi, non poteva essere lei… non era possibile, non era logico…
La nuvola si scostò, e un raggio di sole piovve sulla giovane donna, illuminandone il viso dai grandi occhi spauriti, accendendo di riflessi dorati la lunga chioma verde chiaro… era proprio lei.
Incredulo, Actarus dovette schiarirsi la voce, che minacciava di spezzarglisi ad ogni sillaba: – Ma tu sei… Naida…?
Lei trasalì, parve riscuotersi come da un sogno.
– Naida! – Actarus avrebbe voluto slanciarsi in avanti verso di lei, ma sentiva le ginocchia rigide, pesanti… il suo stesso corpo pareva non potesse obbedirgli: – Naida! Mi riconosci? Sono Duke Fleed!
Stavolta, lei parve finalmente reagire: sembrava quasi che fino ad allora non si fosse accorta del giovane che aveva davanti: – Duke Fleed…?
– Ma sì, sono Duke! Non ti ricordi?
Naida si riscosse, come se fosse finalmente riuscita a destarsi da un sogno sgradevole. Lo rivide, riconobbe gli occhi azzurro cupo, i lineamenti che aveva tanto amato… ascoltò quella voce che non aveva mai dimenticato, e che aveva creduto non avrebbe più potuto udire…
– Oh, sì, sì… – sentì le lacrime scorrerle liberamente sul viso, mentre gli tendeva le braccia: – Sei tu… sei proprio tu! Duke, amore mio!
Un attimo prima, Actarus era stato incapace di muoversi da dove si trovava; un istante dopo fu da lei, la stringeva tra le braccia, sentiva la seta dei suoi capelli contro la propria guancia… era pazzesco, impossibile, ma era proprio lei, lei! Naida, la sua Naida che aveva creduto d’aver perso per sempre… la sua voce dolce, il suo profumo… i ricordi parvero sommergerlo, e Actarus sentì mancargli il respiro. Caddero entrambi in ginocchio sulla neve e rimasero abbracciati, increduli d’essersi ritrovati.
– Mi ero rassegnata a non vederti mai più! – Naida gli nascose il viso contro il petto: lo ricordava ragazzo, lo ritrovava uomo. Ma era sempre lui, il suo Duke, il primo vero amore della sua vita.
– Temevo che fossi stata uccisa quando Vega ha invaso il nostro pianeta – Actarus la strinse a sé quasi avesse avuto paura che lei svanisse come un sogno – Non credevo ai miei occhi, vedendoti!
– Nemmeno io – Naida si scostò da lui quel tanto che le bastava per poterlo guardare in viso, ritrovare in lui il ragazzo che aveva tanto amato; anche Actarus la scrutava, cercando in lei la sua amica d’infanzia, il suo antico amore… l’adolescente d’un tempo era divenuta una bellissima giovane donna.
Si guardarono, e come sempre era accaduto in passato, si capirono. Fu come se entrambi fossero stati riportati improvvisamente a quanto era accaduto un’infinità prima.
All’improvviso, rividero le macerie della reggia, il cielo rosso solcato da colonne di fumo oscuro, i dischi nemici che piombavano dall’alto portando distruzione e morte… la polvere, il fumo acre, le grida di terrore e l’ancora più terribile silenzio…
Vega aveva vinto.
E gli anni erano inesorabilmente passati.
Naida sentì gli occhi bruciarle ancora: – Oh, Duke… quanto tempo perduto!
Lui la strinse tra le braccia: – Siamo di nuovo insieme. Adesso, nessuno ci separerà, Naida. Mai più.
Lei assentì, si sforzò di sorridergli; Actarus l’interrogò con lo sguardo prima di chinarsi a baciarla, dapprima timidamente, quasi con precauzione… poi il tempo perduto non fu più che un semplice pensiero di cui dimenticarsi, mentre si stringevano l’uno all’altra con la passione dei loro giovani anni.


Erano entrambi così giovani, così belli… nessuno, vedendoli assieme, avrebbe dubitato che fossero fatti l’uno per l’altra. Una meravigliosa coppia, felice ed innamorata, che passeggiava nella foresta innevata.
Hydargos non riusciva a staccare gli occhi dall’immagine sullo schermo: Naida… la sua Naida… mentre stringeva tra le braccia Duke Fleed, si alzava sulle punte dei piedi per rispondere al suo bacio (anche con me lo faceva!).
Davanti a lui, una bottiglia colma di liquido dorato scintillava, invitante. Hydargos si versò una coppa di liquore, mentre continuava a guardare sullo schermo i due giovani che ridevano, si abbracciavano, parlavano cercando di colmare quel vuoto che anni di separazione avevano scavato tra di loro.
– È stata programmata per comportarsi così – disse alle sue spalle la voce di Zuril.
– Lo so – rispose Hydargos, ostentando un’impassibilità che non provava affatto.
– Più avanti ricorderà che Duke Fleed è un traditore – spiegò Zuril, restando in piedi accanto alla poltrona del collega – Per ora, bisogna che lui non abbia il minimo sospetto sul conto di Naida, per cui lei dovrà mostrarsi… hm… amichevole.
– Capisco – occhi foschi e viso imperturbabile, Hydargos sorseggiò lentamente il suo liquore.
Zuril esitò un istante; poi non resistette: – Pensavo che tu non avresti… voglio dire, Naida…
– Credi che m’importi di quello che lei fa o non fa con quel Duke Fleed?
Francamente sì, amico mio. Penso proprio che t’importi. Solo che moriresti, piuttosto che ammetterlo, fu ciò che pensò Zuril.
– No, naturalmente – fu ciò che invece rispose – Stupido io a preoccuparmi.
Hydargos non disse nulla; bevve un altro sorso, e tornò a guardare lo schermo.

- Continua -
 
Top
view post Posted on 5/5/2009, 21:17     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


Capitolo 12 – L’ombra del passato

– L’unico modo per descrivere Fleed dopo l’occupazione di Vega è paragonarlo all’inferno.
Raggomitolata su una sedia, Naida parlava guardando fisso davanti a sé, senza vedere niente né nessuno, la mente persa in spaventosi ricordi. Immobili, Actarus, Alcor e Procton ascoltavano senza fiatare, ammutoliti dall’orrore.
– I pochi che sono riusciti a sopravvivere al massacro – continuò Naida, sempre senza rivolgersi a nessuno in particolare – sono finiti schiavi nelle miniere radioattive. Altri, sono stati utilizzati come cavie per esperimenti atroci, o sono stati trucidati per semplice divertimento… o per monito – “C’è qualcun’altra che vuole ribellarsi?” . Naida rabbrividì, chiuse gli occhi al ricordo.
Le ci volle qualche istante prima di essere nuovamente in grado di riprendere il suo racconto: – Ogni giorno, distruzioni, torture, massacri… non hanno rispettato niente e nessuno. Sterminavano subito i deboli, i malati, gli anziani – deglutì pensando alla nonna, a sua madre, e riprese, la voce malferma: – Ho visto distruggere case, palazzi, giardini. Devastavano per il gusto di farlo. Sentivamo ogni giorno le esplosioni delle bombe, il crollo delle case… e poi urla. Urla. Urla. – tacque, chinando la testa.
Agghiacciati, i tre uomini si scambiarono un’occhiata: per quanto avessero immaginato un simile orrore, sentirlo narrare dalla voce di Naida era infinitamente peggio di ogni loro idea.
Naida parve riscuotersi, come se fosse emersa improvvisamente da un abisso; sentì tutti gli sguardi su di sé e aggiunse: – Io… io non so come sia riuscita a sopravvivere e infine a fuggire.
Era vero: non avrebbe saputo dirlo. Non ricordava niente, fino a quando non si era trovata in quella saletta d’aspetto, con quell’uomo alto che… che…
Una fitta dolorosa alla testa. Naida si portò una mano alla fronte, il viso contratto dal dolore; subito, Procton fece cenno ai due giovani di non chiederle più niente, per il momento.
Actarus s’avvicinò a Naida, le mise le mani sulle spalle: – Adesso sei qui con me, e non devi più avere paura. La Terra è bella come lo era il nostro Fleed, e la gente è buona. Qui, potrai dimenticare tutti gli orrori che hai conosciuto.
Naida serrò le labbra in una smorfia di sofferenza, gli occhi fissi sul pavimento.
Actarus le fece alzare il viso, guardandola negli occhi: – Starai con me, Naida. Anche la gente della Terra conosce il significato della parola amore, anche loro amano la vita così come anche noi l’abbiamo sempre amata. Siamo più simili di quanto tu non possa credere.
Naida non reagì, mentre Actarus l’attirava tra le sue braccia; subito, Alcor e Procton si scambiarono un’occhiata. Meglio uscire, lasciarli finalmente soli.
Scivolarono silenziosamente fuori della stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
– Mi sono venuti i brividi! – Alcor si strinse nella sua giacca – Davvero, professore, sentendo il racconto di Naida… e vedendola in viso… ma voi lo sapete meglio di me. Non era così anche Actarus, quando è arrivato sulla Terra?
– Non proprio – rispose Procton; ma non volle aggiungere altro.
Tante volte, nei libri aveva trovato il termine “abissi di disperazione” per descrivere gli occhi d’un protagonista affranto dal dolore; sempre, aveva liquidato quella frase come eccessiva, melodrammatica.
Ora, dopo aver incontrato lo sguardo di Naida, quella splendida giovane donna che gli aveva ricordato una ninfa dei boschi, capiva d’aver sbagliato.
Alcor pensava che Actarus avesse avuto un’espressione simile, un tempo… non era stato così. Era sconvolto, terrorizzato, addolorato; mai però Procton aveva avvertito in lui un simile vuoto, una tale angoscia senza speranza, una simile stanchezza di vivere.
Di una cosa era certo: nonostante tutto l’orrore provato da Actarus, per Naida le cose erano andate infinitamente peggio; e lui non era sicuro di voler sapere cosa la gente di Vega avesse fatto a quella creatura.


L’uscita di Procton ed Alcor era passata del tutto inosservata.
Naida si voltò verso un’ampia finestra, guardando senza vederlo il panorama che si stendeva davanti a lei: la pineta, il fiume, le montagne innevate che brillavano contro il cielo crepuscolare… era tutto molto, molto simile a ciò che un tempo era stato Fleed. E tutto inesorabilmente diverso.
Singhiozzò lievemente, sentendosi il petto oppresso da un’inesprimibile angoscia; ignaro del suo tormento, Actarus le cinse le spalle, osservando con lei nel cielo le ultime tracce fiammeggianti del sole morente.
– Anche su Fleed le nostre giornate erano scandite dai suoni della natura – riprese, assorto nei suoi ricordi – Correvamo a piedi nudi nell’erba dei prati… e quante volte ci rimproveravano perché stavamo troppo tempo lontani da casa!
Naida rabbrividì: rammentava ogni particolare, il profumo dei fiori, l’erba che sfiorava le loro caviglie, le loro mani strette…
– A volte c’incontravamo di nascosto – proseguì Actarus; ora che aveva cominciato a rammentare, i ricordi gli fluivano inarrestabili, affollandosi nella sua mente: – Quando lo facevamo, il tuo fratellino veniva a spiarci.
Una fitta al cuore: – …Sirius…!
Actarus sorrise, la mente sempre più volta al passato: – Ti ricordi di quella volta che ci eravamo rifugiati sotto un albero, e lui è saltato giù dai rami lanciando urla selvagge? Era dispettoso e amava fare scherzi, Sirius, ma era un ragazzino molto simpatico. …Naida! Che ti succede?
Lei singhiozzò, asciugandosi rapidamente gli occhi: – Sirius è stato ucciso!
– Ucciso?! – Actarus si riscosse: quel ragazzino vivacissimo e pieno di vita non c’era più… – Ma com’è successo?
– Nei laboratori di Vega – Naida deglutì, riprese fiato – In un esperimento… è orribile! – si coprì il viso con le mani, ma il pianto non venne.
– Sì, è orribile! – Actarus l’afferrò per le spalle, la strinse: – Dobbiamo fermare i veghiani! Odiare e far soffrire gli altri, ecco cosa li fa felici! Sono dei veri mostri!
– Mi fai male…! – gemette Naida.
– Scusami! – Actarus la lasciò immediatamente, mortificato, e lei si tirò da parte evitando di guardarlo.
Uno sprazzo di memoria… ricordò altre mani su di sé – bluastre, aliene, ma nel complesso gentili: possibile che fossero state invece proprio le mani del suo Duke a causarle dolore?
– Mi dispiace, davvero – aggiunse Actarus – ma questa notizia mi ha sconvolto!
Naida assentì, distrattamente. Perché non riusciva a ricordare altro?
Ma anche Actarus non badò alla reazione della sua compagna. Pallido d’ira, non poteva pensare ad altro che non fosse il suo nemico: – Bisogna fermare Vega! Non possiamo stare a guardare! Troverò il modo di attaccarli, di sconfiggerli!
Naida si voltò finalmente a guardarlo, il bel viso chiuso ed indurito, gli occhi gelidi, e non rispose.


– Ecco la tua camera – Actarus guidò Naida in una stanza che in genere riservavano agli ospiti. Ampie finestre davano sulle montagne oltre la pineta; arredata con eleganza e semplicità nei toni del blu e dell’azzurro, la camera era ariosa, serena. L’ideale, per una creatura tormentata come Naida.
La giovane donna si guardò rapidamente in giro: vide il letto, i mobili – armadi, dovevano essere… – lo strano tessuto colorato per terra…
– È un tappeto – spiegò Actarus.
Naida lo osservò con curiosità: abituata da anni all’asettico ambiente di Vega, tutto nude superfici lucide, metallo e plastica, i mobili in legno le sembravano qualcosa di così lontano dalle sue abitudini… e quel tappeto, poi! Nessuno su Vega avrebbe tenuto un tessuto così spesso per terra: l’avrebbero considerato un ricettacolo di sporco e germi.
Altro tessuto blu pendeva dalle finestre: evidentemente, sulla Terra non c’era la stessa ossessione per l’igiene che regnava su Vega. Naida s’avvicinò alle finestre, toccò il morbido velluto color della notte.
– Sono tende – spiegò Actarus – Devi chiuderle, o domattina la luce del sole ti sveglierà all’alba. Adesso ti faccio vedere – tirò le cortine mentre Naida, silenziosa, lo osservava con curiosità. Actarus capiva: anche lui, non appena arrivato sulla Terra, aveva trovato tutto piuttosto strano; col tempo si era abituato. Sarebbe accaduto anche a lei.
Le mostrò i vari mobili, facendole vedere come si aprivano gli armadi (girare una chiave, tirare una maniglia, niente aperture automatiche!). Poi le mostrò il bagno, che naturalmente presentava stranezze anche maggiori: la doccia senza ultrasuoni, per esempio, o lo strambo asciugacapelli… senza contare l’antiquato, ridicolo sciacquone. Actarus rise mentre gliene mostrava il funzionamento; stavolta Naida non resisté e sorrise a sua volta. Era davvero così strano… così buffo!
Actarus rise più forte, sperando che lei s’unisse alla sua ilarità, ma Naida tornò subito seria, pensosa. Sembrava che qualcosa la rodesse, tormentandola senza lasciarle un attimo di pace.
In silenzio, Naida tornò nella stanza; scostate le tende guardò fuori, beandosi di quel meraviglioso paesaggio che la luce lunare rendeva magico, irreale.
– È un mondo molto bello, non trovi? – Actarus le si pose a fianco – Anche se ormai vivo qui da anni, continuo a trovare che la Terra sia meravigliosa. Non ci si può abituare alla bellezza: ti sorprende sempre.
– È molto diverso da Fleed – mormorò Naida.
– È diverso, sì – convenne lui.
Naida alzò gli occhi sullo spicchio argenteo che sovrastava le montagne: – Come si chiama quel satellite? – un vago ricordo le s’affacciò alla memoria – È la Luna?
– Si chiama così – assentì lui.
Naida aggrottò la fronte: conosceva quel nome… qualcuno doveva averglielo detto. Ma chi? Quando? Se solo i ricordi fossero tornati…
Stelle, un’ampia cupola di plastivetro… un meraviglioso pianeta azzurro che galleggiava nell’oscurità… qualcuno con lei, una voce profonda che le diceva… le diceva… la Terra, la Luna…
Così com’era improvvisamente apparso, il ricordo svanì.
– Ti senti bene?
– Cosa…? – Naida batté le palpebre, parve emergere da un mondo remoto… un mondo in cui erano rimasti i suoi ricordi perduti – Io… sto bene, sì. Sono solo un po’ confusa.
– Sei così pallida – Actarus le sfiorò una guancia con la mano, e d’istinto lei gliela prese, se la premette contro il viso.


I pugni contratti fino a far schioccar le nocche, le mascelle serrate fino a fargli dolere l’articolazione, Hydargos fissava lo schermo senza staccare lo sguardo.


Naida chiuse gli occhi, evocando un altro luogo… acque limpide, fiori rossi profumati, alberi dalle chiome fruscianti… il palazzo dalle sottili colonne bianche, i grandi giardini… le stanze fresche e silenziose… Fleed.
Perduto, lontanissimo, irreale…
Con un singhiozzo, Naida tornò bruscamente alla realtà. Sentiva ancora contro il viso il tepore della mano di Duke, ma non poteva essere…
Invece, lui era lì. Vivo, reale. Era una vera mano – carne, nervi, ossa – quella che lei ancora teneva nella propria.
Nel caos della sua povera mente sconvolta, passato e presente parevano confondersi in un turbine d’immagini: persone vive e perdute, luoghi scomparsi per sempre… Fleed… la Terra… Vega, la base Skarmoon… un uomo alto, oscuro…
Un dolore lancinante alla testa, improvviso e violento; Naida vacillò, e subito Actarus l’afferrò, sostenendola: – Naida! Cosa ti succede?
Rapida com’era giunta, la fitta scomparve, lasciandola dolorante e ancora più confusa. Naida sentì le lacrime salirle agli occhi, la disperazione artigliarle l’animo.
– Oh, Duke! – gli gettò le braccia al collo e scoppiò in singhiozzi, disperata. Era tutto così difficile, così complicato… non ricordava più niente, niente… era forse malata…? – Duke, ti prego, aiutami…!


La sua donna tra le braccia del suo peggior nemico…
Il viso di pietra, gli occhi incandescenti, Hydargos continuava a fissare le immagini sullo schermo.
Vedere tutto lo faceva star male… non sapere, sarebbe stato peggio.


Naida continuava a piangere tenendo il viso nascosto contro il petto di Actarus, mentre lui la cullava dolcemente, mormorandole parole dolci e rassicuranti e aspettando pazientemente che la crisi passasse.
Avrebbe voluto che Naida si confidasse, gli narrasse quali orrori avesse subito; allo stesso tempo, non osava chiederle nulla, e aveva paura di sentire il suo racconto. Quella giovane donna dal viso triste e gli occhi colmi di disperazione era così diversa dalla Naida dolce e solare che lui aveva conosciuto… ma che le avevano fatto, quei maledetti?
Naida parve finalmente calmarsi; s’asciugò il viso, mentre gli ultimi singulti le spezzavano il respiro. Alzò la testa, incontrò gli occhi di lui e rimase immobile a guardarli: erano come di levigato vetro trasparente azzurro cupo, con un orlo netto di un blu più scuro. Non li aveva mai dimenticati…
Gli anni parvero volare via, divenire un semplice, inutile ricordo. Erano ancora i due ragazzi che erano cresciuti assieme, e assieme avevano giocato, parlato, pianto, gioito… e assieme, avevano conosciuto il desiderio e l’amore.
Actarus si chinò a baciarla con dolcezza, avendo in cuor suo il vago timore che lei lo respingesse; dopo un attimo di esitazione, Naida invece lo strinse a sé, rispondendo con ardore al suo bacio. Gli affondò le mani nei capelli – li ricordava bene, così fini e morbidi! – gli carezzò il collo, la schiena: si era fatto più robusto, il ragazzo sottile che lei aveva amato era diventato un uomo… ma era sempre lui, lui, il suo amore, il…
Il ricordo parve esploderle nella mente: altre braccia, un altro corpo, un’altra bocca… lunghe mani bluastre… un altro tocco, un altro odore…
NO!
Naida s’inarcò all’indietro, cercando di divincolarsi: – Lasciami!
Sorpreso, sbalordito, Actarus si staccò da lei per poterla guardare in viso: – Naida…?
Lei si dibatté con la forza della disperazione, strappandosi alle sue braccia e finendo con le spalle contro la parete: – Lasciami stare! Non toccarmi!
Allibito, lui la fissò senza comprendere: – Ma… ma io non…
– Non posso! – singhiozzò lei, sempre addossata al muro – Non posso farlo! Per piacere, vai via!
Istintivamente, Actarus fece un passo verso di lei; la vide appiattirsi ancora di più contro la parete e s’arrestò subito: – Va bene, Naida. Come vuoi. Me ne vado.
Aveva detto l’ultima frase quasi in tono interrogativo, sperando che lei cambiasse idea e lo richiamasse… ma Naida tacque, evitando anche solo di guardarlo.
Pochi attimi prima lui era stato sicuro che avrebbero fatto l’amore… e ora… – Naida, se ho fatto qualcosa di sbagliato…
– Ti prego, ti prego, vai via!
– Volevo solo chiederti scusa – rispose lui, un lievissimo rimprovero nella voce.
Lei scosse il capo: – Non sei tu, Duke… sono io che non posso… non posso… – lo guardò con aria supplichevole – Cerca di capire.
È proprio quello che vorrei… capirti. Ma non ci riesco, e tu non mi aiuti – Ma certo. Scusami ancora, non avrei dovuto… buona notte – andò alla porta, si voltò un istante a guardarla: Naida rimaneva addossata alla parete, pallidissima, gli occhi remoti, persi in chissà quali ricordi…
Ricordi dai quali lui era escluso.
Actarus uscì nel corridoio e richiuse silenziosamente la porta dietro di sé.
Scossa da un lungo brivido, Naida era ancora addossata contro la parete.


A lungo, Duke Fleed rimase in piedi davanti alla porta chiusa. In silenzio, il giovane cercava di riprendere il controllo di sé stesso, di dirsi che naturalmente lei aveva avuto ragione a respingerlo, a non voler andare oltre…
Non era possibile superare in poche ore tutto il tempo perduto, ritrovarsi dopo anni e pretendere che ogni cosa accadesse con la naturalezza del passato. Lui era stato troppo impulsivo e Naida l’aveva costretto a rientrare in sé.
Non doveva considerarlo un insuccesso… però bruciava, e molto.


Hydargos guardò il suo rivale: dolore, sconfitta, abbattimento si leggevano chiaramente sul suo viso impallidito, e la bocca aveva assunto una piega triste, amara.
Il principe di Fleed era così bello, così giovane, così simpatico… e Naida l’aveva respinto senza alcuna esitazione.
Con negli occhi l’immagine di Actarus che s’allontanava, il passo incerto e le spalle curve, Hydargos rise, rise, rise fino a restare senza più fiato.


Naida si svestì, si lavò e si preparò per la notte con gesti meccanici, la mente lontanissima da quanto aveva attorno: aveva l’impressione d’essere immersa in una sorta di incubo, da cui prima o poi si sarebbe finalmente risvegliata.
E la memoria, poi… perché non riusciva a rammentare nulla? Perché dopo la distruzione di Fleed e la sua cattura, il primo ricordo coerente che aveva risaliva a pochi giorni fa… un centro medico, infermieri, dottori… e uno strano uomo alto e magro che l’aveva fissata quasi si fosse aspettato da lei chissà cosa…
Un momento: poco prima, mentre era stata tra le braccia di Actarus, era stata sul punto di ricordare un’altra persona… lo stesso uomo che era venuta a vederla poco prima della partenza? Possibile…?
Un altro dolore alla testa. Naida si premette la fronte: non ricordava d’aver mai sofferto di cefalee; ora si sentiva sempre come se avesse avuto dell’ovatta nel cervello, e fitte più o meno forti le percorrevano il cranio ad intervalli sempre più ristretti. Alle volte aveva l’impressione di controllare male persino il suo corpo, un po’ come se fosse stata ubriaca.
Devo essere malata. Non è possibile…
Bevve un bicchiere d’acqua: era fresca, e portò sollievo alla sua bocca inaridita. S’infilò nel letto e spense la luce.
Si rialzò di scatto su un gomito ed aggrottò le sopracciglia: era sola. Perché aveva la vaga impressione di essersi aspettata di trovarsi qualcuno, al suo fianco? E chi, poi? Duke? Ma se si erano appena ritrovati, dopo tanti anni! E poi, l’aveva respinto pochi minuti prima…!
Ancora l’immagine di quell’uomo oscuro ed enigmatico… perché gli aveva chiesto se lui era suo marito? Perché aveva avuto l’impressione di conoscerlo, e molto bene?
Perché lui era stato molto importante, per lei.
Non avrebbe saputo dirne il motivo, ma era sicurissima d’aver conosciuto quel corpo alto e asciutto, d’aver provato i suoi baci…
…Hydargos…?
Un’altra fitta. Naida si premette la mano sulla fronte e con un gemito ricadde sul cuscino. Respirò affannosamente, attendendo che l’ondata di nausea cessasse; si aggrappò al pensiero di Duke, l’amore della sua vita, quasi l’averlo in mente le avesse potuto ridare un po’ di forza.
Non s’accorse che man mano che impallidiva il ricordo dell’altro uomo, il dolore calava fino ad affievolirsi del tutto. Con in mente l’immagine di Duke, Naida chiuse gli occhi sperando che il sonno venisse in fretta a darle un poco di sollievo; ma era destino che lei non potesse riposare.
Duke… Duke l’amava ancora, e lei l’aveva respinto… perché?
Duke Fleed è solo uno sporco traditore!
Naida balzò nel letto: chi aveva parlato?
Accese la luce: era sola, nella stanza non c’era nessuno: eppure, lei aveva udito quella voce… una voce che conosceva, che aveva sicuramente già sentito: non poteva sbagliarsi.
Inquieta, tornò a sdraiarsi, mentre sentiva agitarsi dentro di sé vaghe immagini evanescenti che le sfuggivano di continuo; solo qualche sprazzo di memoria le si affacciava alla mente in una sorta di mosaico spezzettato e privo di senso: uomini d’aspetto mostruoso… un’enorme cella… disperazione, sangue, violenza… scariche elettriche, un dolore spaventoso…
Duke Fleed è un traditore e un codardo! È fuggito evitando la lotta e lasciandoti sola a soffrire anche per lui!
Madida di sudore, Naida strinse la coperta serrandola con i denti per non mettersi ad urlare, mentre un sordo dolore pulsante le s’irradiava nel cranio.
– Non è vero! – bisbigliò, mentre il male aumentava sempre più – Duke non è un traditore, e io lo amo!
Uno spasimo atroce che le strappò un urlo strozzato, lasciandola poi semisvenuta e boccheggiante: e allora quella voce profonda parlò ancora dentro di lei: – Chiudi gli occhi e ascoltami.
Sconfitta, piegata dalla sofferenza, Naida cedette: sapeva che solo così quel supplizio avrebbe avuto fine. Rassegnata, ascoltò quella voce oscura che riprese a parlare, versando lentamente in lei il suo veleno: – Duke Fleed vi ha abbandonati. Ha avuto paura di lottare ed è fuggito lasciandovi indifesi. Ha abbandonato i suoi genitori, il suo popolo, tutti voi. Non si è mai curato né di te né della tua famiglia, in tutti questi anni non si è mai preoccupato di sapere nulla di te. Non ti ha mai cercata. Duke Fleed ti ha abbandonata.
– Sì… – quello di Naida fu poco più di un sospiro.
– I tuoi genitori sono morti – continuò implacabile la voce – La tua casa distrutta, i tuoi amici sterminati. Sai cos’è successo a tuo fratello?
– Ti prego… no! Era solo un bambino…
– Era solo un bambino, certo. Avrebbe potuto crescere, diventare un uomo; Duke Fleed non ha voluto difenderlo, e tuo fratello è stato ucciso.
– …No…! – Naida si tirò il cuscino sulla testa: non voleva sentire più nulla, più nulla… ma la voce era un demone dentro di lei, non era possibile sfuggirle.
– Tuo fratello è morto, e il suo cervello è stato impiantato dentro un mostro di Vega – riprese la voce, scandendo impietosamente ogni parola – Quel mostro è stato distrutto proprio da Duke Fleed! Non solo ti ha tradita: ha anche ucciso quel che restava di tuo fratello!
Naida non aveva più nemmeno il fiato di urlare: completamente annientata, piangeva fievolmente.
– Ora, tu puoi vendicare tuo fratello assassinato, i tuoi genitori uccisi, la tua casa distrutta, il tuo popolo massacrato, il tuo pianeta devastato – continuò la voce – Uccidi Duke Fleed e avrai vendicato tutti; e tu conoscerai finalmente la pace.
Naida aggrottò la fronte: lei… uccidere…?
Rimase immobile sotto le coperte, mentre la voce si faceva sempre più lieve, un semplice soffio appena percepibile: – Uccidi Duke Fleed… uccidilo…uccidilo…


Capitolo 13 – Duke Fleed

Il giorno dopo, Naida si risvegliò stanca, il corpo indolenzito: sconvolta, la memoria colma degli orrori che l’avevano perseguitata tutta la notte, faticò parecchio ad alzarsi e a rivestirsi.
Si guardò allo specchio appeso in bagno: si vedeva talmente stanca, talmente brutta… cos’avrebbe detto, Duke?
Sussultò, ricordando improvvisamente quanto era accaduto la sera prima, con che violenza lei l’avesse respinto. In pratica, l’aveva letteralmente cacciato fuori dalla sua stanza, e senza la minima spiegazione. Lui doveva essere in collera, offeso.
Con lo stomaco contratto dal timore, Naida uscì dalla sua stanza, percorse il corridoio che portava alla cucina del laboratorio, dove le era stato spiegato che venivano preparati i pasti. Sicuramente, là avrebbe trovato Duke: gli avrebbe chiesto di perdonarla.
Accanto alla cucina, vi era una saletta da pranzo; Procton ed Alcor stavano facendo colazione con tè e biscotti. Sul tavolo era posto un grosso pacco avvolto in carta colorata.
– Ciao, Naida! Hai dormito bene? – Actarus le sorrise, affacciandosi sulla porta della cucina.
– Io… – lei esitò, non voleva parlare davanti ad estranei di quanto era successo la sera prima; ma Actarus non sembrava nemmeno ricordarsi dell’accaduto. Portò in tavola un grande bricco e le servì una tazza di tè, mentre Alcor le porgeva la zuccheriera.
– Vuoi dei biscotti? – Procton le offrì la biscottiera – Ti conviene prenderne, prima che Alcor li faccia sparire tutti.
– Ce l’avete sempre con me – si lamentò scherzosamente il giovane.
– Davvero? – esclamò Actarus, versandosi a sua volta il tè – Chi è che ha finito il sacchetto nuovo di biscotti che avevo aperto ieri mattina?
Alcor strizzò l’occhio a Naida: – Non potevo certo lasciarli lì, ad invecchiare!
– E oggi, ho dovuto aprirne un pacco nuovo – continuò Actarus.
– Così abbiamo i biscotti freschi, invece di quelli vecchi di ieri! – ribatté Alcor, prontissimo – Dovreste ringraziarmi!
Nonostante la sua agitazione, Naida sorrise lievemente: quei tre uomini sembravano così a loro agio tra di loro, così sereni… scherzavano, ridevano. Naida non ricordava nemmeno quando fosse stata, l’ultima volta che aveva riso.
– Ti sei alzata presto – Actarus le tese un piatto con dei dolcetti; poi accennò al pacco: – Pensavamo che avesti dormito fino a tardi. Quelli sono per te… vestiti. Non puoi andare in giro con degli abiti di Fleed!
– Grazie – la gentilezza di lui la faceva sentire ancora più colpevole. Come aveva potuto trattarlo così male? Lo conosceva abbastanza da sapere che lui avrebbe rispettato il suo no; invece, lei aveva gridato, aveva… non riusciva nemmeno a pensare a come s’era comportata.
Actarus, Alcor e Procton scambiarono un’occhiata preoccupata. Tutti e tre vedevano chiaramente la sua tristezza, quel suo essere così demoralizzata.
– Oggi mi sono preso una giornata di libertà dal lavoro – annunciò Actarus, sforzandosi di parlarle con gaiezza – Ti piacerebbe fare un giro a cavallo?
– Io non so cavalcare – osservò lei.
Actarus sorrise: – Non è un problema.


L’aria del mattino era frizzante, freschissima; lentamente, quasi con riluttanza l’inverno stava cedendo il posto alla nuova stagione. L’erba stava rinnovando il suo verde, e le gemme che punteggiavano i rami degli alberi cominciavano ad inturgidirsi, a pulsare vita.
Lanciato al galoppo, il cavallo sfrecciava veloce sul sentiero; seduta in sella davanti al suo Duke, Naida si sentiva inebriata dalla velocità, dall’aria fresca che le scorreva sul viso e nei capelli, da quella meravigliosa natura che tanto le era mancata negli ultimi anni.
Metallo, plastica, aria condizionata, detergenti chimici… per troppo tempo gli innaturali odori di Vega le avevano intasato i polmoni.
L’improvviso ricordo la fece trasalire; proprio in quel momento, Actarus l’afferrò gettandosi con lei giù dal cavallo. Rotolarono sul prato, e lui le rubò un rapidissimo bacio, proprio come accadeva un tempo, quando erano entrambi ragazzini… lei s’indispettiva, allora, e s’indispettiva ancora di più se lui non gliene rubava un altro…
Persa nei ricordi, Naida rimase a terra, immobile. Actarus scorse una margheritina, un primo timido accenno della primavera in arrivo; la colse e solleticò il naso a Naida, strappandole una risata: – Ti sei fatta male?
Lei riaprì gli occhi, riemerse lentamente dal passato: Fleed, i giardini, il cielo azzurro… le persone che aveva amato e che non avrebbe mai più rivisto… si sforzò di sorridergli, ma fu difficile.
Actarus sentì serrarglisi il cuore: lei appariva sempre così seria, così remota… persino quando rideva i suoi occhi restavano seri, duri. Cosa le avevano fatto, quei maledetti?
Si rialzò, le tese la mano: – Vieni. Andiamo a fare una passeggiata.
Docile, lei si mise in piedi, rimanendo però immobile, il viso serio. Nella tasca del suo vestito sentiva quell’oggetto freddo, metallico… un pugnale.
Un pugnale per uccidere chi aveva tradito…
Actarus, che era avanti di qualche passo, si volse a guardarla: – Naida, vieni! Cosa aspetti?
Le sorrideva, tenero, così simile al ragazzo che lei aveva tanto amato, il ragazzo per cui avrebbe dato la vita… il ragazzo che li aveva traditi tutti.
Naida strinse il pugnale: affondarglielo nel cuore, vederlo morire, lui, il traditore…
– Su, corri con me! – forzatamente allegro, deciso a riscuotere dalla mestizia la sua compagna, Actarus la prese per mano e imboccò a tutta velocità il sentiero che portava al lago; Naida non rispose ma lo seguì.
Dietro la schiena, stringeva ancora il pugnale.


Le acque del lago frusciavano, infrangendosi contro i pali del molo di legno. Tutt’attorno a loro, i monti facevano da corona a quello specchio d’acqua tondeggiante. Grandi macchie d’abeti verdeggiavano sulle rive.
Actarus condusse Naida fino al bordo del molo: – Senti: c’è l’eco. – gridò il nome di lei, e la sua voce parve tornare con la brezza.
Naida serrò il pugnale.
Duke le stava voltando le spalle, intento ancora a gridare nel vento il suo nome.
Colpisci! È il momento giusto! Uccidilo!
La voce di lui ritornò ancora, riportandole il suo nome…
Non posso farlo! Non posso, non posso…!
Le tremavano le mani. Traditore o meno, lei l’amava ancora, e non poteva assassinarlo…
Lo guardò: così pieno di vita, così fiducioso… così ignaro d’avere la morte alle sue spalle…
Actarus si voltò a guardarla: la vide pallidissima e smarrita. Vide il suo tormento, ma non poté comprenderlo. Si sforzò ancora di mostrarsi allegro: – Adesso prova a chiamare anche tu.
Lei trasalì: – Io…?
Un sorriso incoraggiante: – Su, prova.
Naida emise un singhiozzo e aprì le dita. Il pugnale cadde, e con un lieve tonfo s’inabissò nelle acque scure.
Actarus sentì il rumore, ma non vide nulla: evidentemente, lei doveva aver gettato un sasso nell’acqua.
La spinse dolcemente in avanti, facendola arrestare sul bordo del molo; lei si sentì morire.
Perché un traditore del suo popolo doveva apparire così buono e gentile?
Angosciata, in preda alla più totale confusione, lei sentì salirle alle labbra parole che non avrebbe dovuto dire; ma le gridò, e l’eco le moltiplicò all’infinito: – Amore! Ho bisogno del tuo aiuto!
Actarus si volse a guardarla, la prese per le spalle: – Ma io sono qui, Naida! Sono con te, non ti lascerò mai più…
Lacerata dalla disperazione, lei avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia, posargli la testa sul petto, appoggiarsi a lui, così forte, per farsi aiutare a portare quel peso insopportabile… confidargli il suo tormento…
Ma era lui il suo tormento.
Di scatto si tirò indietro, strappandosi alle sue mani. Rabbrividì, e in un gesto che le era abituale si scostò dal viso i lunghi capelli: – Duke, sono molto stanca. Possiamo ritornare?


Dalla portafinestra della cucina, Venusia guardò: seduto sotto al suo albero prediletto, Actarus suonava, assorto.
Ultimamente, da quando era giunta quella ragazza di Fleed, Actarus si faceva vedere ben poco alla fattoria: era evidente che la nuova venuta lo assorbiva parecchio.
Reprimendo a fatica la gelosia che le pungolava l’animo, Venusia s’avvicinò al giovane, sedendosi sull’erba al suo fianco. Rimase in silenzio per un poco, poi non resistette: – Actarus, chi è Naida?
Un giro d’accordi stridenti: – Era la figlia del duca Barsagik, un lontano cugino di mio padre. Fin da piccoli siamo cresciuti come fratelli.
– Vi volevate molto bene, non è vero? – sussurrò Venusia.
Actarus aprì la bocca come per rispondere, ma le parole non gli vennero. Chinò il capo sulla sua chitarra e riprese la sua nenia malinconica.
È così distante…!, si disse Venusia, serrando le labbra in una smorfia di sofferenza. Se mai ho avuto qualche speranza, con lui… come potrei lottare con una donna come Naida?
Strinse gli occhi, e sentì bruciare le lacrime.
Accanto a lei, Actarus non s’accorse di nulla e continuò a suonare.


Naida spalancò la finestra ed uscì sul balcone della sua camera. L’aria fresca, profumata di resina, le diede un sollievo solo momentaneo.
Il tormento era dentro di lei, e non poteva lenirlo, o anche solo sfuggirgli…
Tentò d’analizzare quello che provava, ma concentrarsi era sempre più difficile: era come se la sua mente fosse perennemente ovattata, confusa. Una sorta di sordo rumore di fondo le ottundeva il cervello, impedendole di pensare coerentemente, e soprattutto di ricordare.
Perché la sua memoria era come uno specchio appannato? Attraverso il vapore lei intravedeva qualche sprazzo di ricordo, ma gli avvenimenti dopo la sua cattura le sfuggivano quasi completamente.
C’era stato Hydargos… ma pensare a lui le causava sempre un dolore fortissimo alla testa, che le impediva di ricordare…
Naida drizzò improvvisamente la testa: non poteva ricordare… o non glielo permettevano?
Un’altra fitta fortissima. Naida si strinse le tempie tra le mani, sentendone contro i palmi il furioso pulsare: il dolore non l’abbandonava mai, alle volte si faceva leggerissimo, ma era sempre percepibile. Ma perché? Non pensava d’essere malata, ma…
È tutta colpa di Duke Fleed!
Ancora quella voce che dilaniava la sua coscienza, tagliente come una lama. In genere taceva, ma lei sapeva che non l’avrebbe mai abbandonata, che da un momento all’altro le avrebbe parlato, perseguitandola…
E sapeva anche di venir tormentata a causa di Duke Fleed.
Un sordo rancore parve montare minacciosamente dentro di lei: il solo pensiero di Duke Fleed le ispirava repulsione, furia.
Ma lei lo amava!
Ami chi ti ha abbandonata?, esclamò la voce, beffarda, Ami chi ha tradito il tuo pianeta?
Naida si sentì mancare il fiato: ricordava perfettamente quel giorno! Duke aveva lasciato Fleed, era fuggito con Goldrake… era scappato…
– Naida? Sei lì fuori?
Lui!
– Ah, eccoti! Ti stavo cercando – Actarus si affacciò sulla portafinestra, arrestandosi vedendo il viso pallido ed alterato di Naida: – Stai bene?
– Sto benissimo – mormorò cupamente lei.
– Volevo chiederti una cosa – continuò Actarus; attese un invito a proseguire che non venne ed aggiunse: – Ho bisogno di sapere quanti abitanti di Fleed sono ancora vivi.
Naida scosse il capo, evitando il suo sguardo: – Non so. Uno schiavo ha vita breve, su Vega. C’erano altre donne prigioniere con me, ma non ho mai potuto sapere che ne è stato.
Actarus la guardò. – Tu sei sopravvissuta.
Naida si morse le labbra: – Ho avuto fortuna.
Un attimo di silenzio pesante.
Un oscuro bisogno di ferirlo, di vedere quegli occhi blu colmarsi di dolore la spinse a dire quello che mai avrebbe pensato di dirgli.
– Vuoi sapere perché sono sopravvissuta, non è vero? – quella di Naida era un’affermazione.
– No, non devi spiegarmi niente – esclamò Actarus.
– Non è vero – Naida afferrò la ringhiera del balcone, la strinse fino a far sbiancare le nocche e parlò, gli occhi fissi su un punto indefinito davanti a lei: – È ovvio che tu voglia saperlo. Ti sarai chiesto perché sono viva mentre tanti altri sono stati uccisi.
– Naida, non devi sentirti obbligata a…
– In effetti, c’è un motivo per cui sono sopravvissuta – continuò lei, fissando cupamente il fiume e la vallata che si stendeva davanti a loro – e il motivo è che sono stata la schiava di uno di loro.
Actarus si sentì mancare il fiato: – Naida, ti prego, non devi giustificarti…
Lei lo fissò, gli occhi gelidi: – Io non mi sto affatto giustificando, Duke. Non devo certo rispondere a te del fatto di essere viva.
– Perdonami, Naida… io non volevo che… Voglio dire, mi dispiace che tu abbia dovuto… con uno di loro…
– A me non dispiace affatto, invece – rispose lei, impassibile – Se non fosse stato per lui, sarei morta.
Meglio non parlare, si disse Actarus. Qualunque cosa io dica, sembrerà goffa e sbagliata.
Naida attese un attimo, interrogativa; visto che lui taceva, il viso rivolto a terra, continuò: – Credimi, sono stata fortunata. Tu non hai idea di come i veghiani si comportino con gli schiavi… noi non trattavamo nemmeno gli animali, a quel modo! Avrei potuto finire come cavia per esperimenti, o a lavorare in una miniera, o come giocattolo per le truppe; invece, uno di loro mi ha presa come… diciamo, trastullo personale.
Actarus si coprì il viso con le mani. Avrebbe voluto dirle di non parlare più, di tacere; allo stesso tempo, doveva sapere, e sapere era una tortura.
– Sono stata davvero fortunata – continuò lei, stringendosi le braccia attorno al corpo – Lui avrebbe potuto essere… molto sgradevole. Invece, mi ha trattata bene. Mi ha sempre dato cibo e vestiti, e non mi ha mai picchiata. – gli diede un’occhiata di traverso: – Non vuoi sapere come si chiamava il mio padrone?
– No, se non vuoi…
– Ma io voglio dirtelo! – scattò lei – Sono la schiava di Hydargos. Vivo e vado a letto con lui da anni.
Hydargos! Proprio lui! – Naida, mi spiace…
– Non dovresti, invece. Hydargos è stato molto buono, con me. Se sono viva e in salute, lo devo solo a lui.
– Ma ti ha… ti ha…
– “Violentata” non è il termine giusto – rispose lei, secca – Io ero d’accordo. Lo sono sempre stata. Avrei fatto qualunque cosa, purché lui non mi facesse del male. Lui voleva una donna da portarsi a letto, e io gli ho dato quel che desiderava.
– Mi spiace…
– L’hai già detto. Ma ti ripeto, Hydargos è stato molto buono con me. Non mi avesse presa lui, sarei finita chissà come, magari in pasto alle truppe. Ho avuto fortuna.
Actarus si afferrò alla ringhiera, crollando il capo.
– Praticamente, è come se lui ed io avessimo fatto un patto – continuò Naida, che pareva indifferente al tormento del suo compagno – Io gli davo quel che voleva senza fare storie, e in cambio avevo sicurezza e protezione. Ecco come sono sopravvissuta. – Si voltò a guardare Actarus – Dimmi la verità, Duke: mi disprezzi, per questo?
Lui deglutì, riprese fiato: – Naida, io… mi dispiace.
– Ti dispiace che io mi sia prostituita per sopravvivere?
– Io… io non avrei mai voluto che tu…
– Non avevo molta scelta, sai? Certo, piuttosto avrei potuto morire. Una duchessa di Fleed schiava di un veghiano! Una vergogna, non trovi?
– Non dire così!
– Ma è quel che pensi! – esplose lei – Meglio morire che ridursi come mi sono ridotta io! Perché non me lo dici? Perché non gridi che avrei dovuto suicidarmi, piuttosto che accettare di… di…
– Naida, ti prego! Basta!
– Che ne sai di quello che è successo? – urlò lei, completamente fuori di sé – Tu non c’eri! Non eri là! Non hai visto cosa hanno fatto, cosa sono capaci di fare! Non hai il diritto di giudicarmi per quello che è successo! – rivide la ragazza contorcersi nel sangue… “C’è qualcun’altra che vuole ribellarsi?” Scoppiò in singhiozzi, disperata. Actarus la strinse tra le braccia e lei urlò, come se quel contatto l’avesse ustionata; lui tentò inutilmente di trattenerla e lei di scatto lo respinse.
– Vattene! – urlò – Va’ via! Lasciami in pace!
Vedere il dolore, la mortificazione sul viso di lui le diede una sorta di gioia selvaggia, primordiale. Esaltata, vittoriosa, aspettò che lui fosse uscito per sprangare la porta: averlo ferito le diede un’ebbrezza che non aveva mai provato prima d’allora.
Lui era il nemico, il traditore. Doveva soffrire.
Doveva pagare.


Secondo il personale metro di Procton, per il relax perfetto erano necessari un po’ di tempo, il proprio letto e un libro interessante. Quella sera tutte e tre le condizioni erano rispettate, per cui era ragionevole aspettarsi un riposo benefico…
Un lieve bussare alla porta.
Addio alla mia lettura, si disse filosoficamente Procton mentre Actarus faceva il suo ingresso. Gli bastò una semplice occhiata al viso tirato del figlio per capire che per quella sera sarebbe stato assurdo parlare di relax.
– Che ti succede? – Procton si mise a sedere sul letto – Stai bene?
– Hai un paio di minuti? – chiese Actarus, senza guardarlo.
– Ma certo – altro che un paio di minuti, ci vorranno… – Siediti, su.
Actarus non se lo fece ripetere. Con la disinvoltura della consuetudine sedette sul bordo del letto del padre, le mani intrecciate strettamente e il capo chino; Procton avrebbe voluto far domande, ma preferì che fosse lui a parlare quando si fosse sentito di farlo.
– È per Naida – cominciò il giovane.
Procton assentì: – Me l’immaginavo.
– È… così cambiata! Non sembra nemmeno la stessa. Così diversa, così… – Actarus scosse il capo: non riusciva a trovare le parole adatte per esprimere la sua angoscia.
Procton gli strinse affettuosamente una spalla: – Actarus, si capisce che Naida sia cambiata! L’hai lasciata che era poco più che una ragazzina, la ritrovi donna…
Actarus strinse le labbra, ostinato: – Non è solo questo.
– E poi – continuò con dolcezza Procton – devi considerare quello che le è successo, che cosa ha passato… ha avuto esperienze orribili.
– Le ho avute anch’io.
– Scusa, Actarus, ma credo che la cosa sia differente – rispose con calma Procton – Sappiamo entrambi cosa tu abbia passato, cosa sia successo al tuo mondo, alla tua famiglia, a tutto ciò che amavi; però tu non hai provato l’orrore di essere prigioniero di Vega. Naida sì.
Actarus serrò le mascelle: – Lo so.
– Ti dico la verità: non oso pensare a cosa i veghiani le abbiano fatto. Non ho mai visto occhi come i suoi… disperati, a volte totalmente vuoti. Deve avere avuto esperienze orribili.
– Infatti – mormorò Actarus.
– Dovrai avere molta pazienza, con lei. Per certe ferite ci vuole tempo, molto tempo, perché guariscano.
– Purché possano guarire – rispose il giovane, cupo.
– Purché possano guarire – assentì Procton.
Actarus rimase in silenzio qualche istante, gli occhi fissi su un punto della parete di fronte a lui; poi, improvvisamente, esplose: – Sembra che ce l’abbia con me. Abbiamo appena parlato… non le avevo chiesto niente, non volevo nemmeno chiederle… non mi sarei mai permesso… e lei mi ha gettato addosso di essere stata… – annaspò, cercando parole migliori che non gli vennero – …essere stata la schiava di Hydargos. Me l’ha detto apposta, questo l’ho capito! Voleva ferirmi, e ci è riuscita!
Procton, che era trasalito, si riprese immediatamente: – Sono sicuro che in realtà lei non volesse farti del male… te l’avrà detto in modo maldestro, ma…
– No. Sono certo che l’abbia fatto apposta. – Actarus s’alzò e prese a camminare in su e in giù per la stanza, stringendosi le braccia attorno al corpo: – È in collera con me, e non riesco a capirne il motivo. A volte mi sembra persino che mi odi.
– Non esagerare, adesso…
– Non sto esagerando. Ho visto come mi guarda… non sempre, solo certe volte, e solo se pensa che io non le stia badando… non sembra nemmeno che sia lei!
– Pensi che sia un veghiano mutaforma che abbia assunto il suo aspetto? – chiese quietamente Procton.
Se suo padre avesse negato, se gli avesse contestato quella sua idea, Actarus forse vi si sarebbe aggrappato; il fatto che Procton avesse accennato a quell’eventualità, e l’avesse fatto con un tono così ragionevole, ottenne l’effetto contrario. Improvvisamente, Actarus si sentì molto sciocco.
– No, sono sicuro di no – rispose – È proprio Naida, non posso sbagliarmi. La conosco. Probabilmente hai ragione tu, lei ha solo bisogno di tempo.
– E di molto affetto – aggiunse Procton – E pazienza. Dovrai averne molta, con lei.
Actarus assentì, sforzandosi di mostrarsi allegro: – In genere non sono un tipo impulsivo ed impetuoso.
– Tranne che con i veghiani – stette al gioco Procton.
Il sorriso di Actarus si fece più aperto: – Infatti. …Ti prego di scusarmi, ti ho fatto far tardi.
Salutò il padre ed uscì, chiudendo la porta dietro di sé. Esitò un attimo guardando giù nel corridoio, verso l’uscio di Naida… per nulla al mondo avrebbe voluto risentirsi dire quello che gli aveva urlato in faccia.
No, basta. Per stasera, è stato anche troppo.
Rientrò in camera propria, si spogliò, aprì la doccia e vi s’infilò sotto, pulendosi con cura quasi avesse potuto lavarsi via di dosso i cattivi pensieri.
Continuava a rivedere il viso duro di Naida, sentiva ancora la sua voce secca, ostile…
Actarus s’appoggiò con le spalle alle piastrelle azzurre, mentre l’acqua continuava a scorrergli addosso.
Lei era Naida, era sicurissimo che fosse lei e non un’impostore… ma era altrettanto sicuro che covasse un enorme rancore, forse addirittura dell’odio verso di lui.
Ma perché? Perché?

- Continua -
 
Top
view post Posted on 11/5/2009, 20:26     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


Capitolo 14 – Il traditore

Il rumore dei passi pareva rimbombare nel laboratorio silenzioso. A quell’ora, il guardiano notturno era praticamente l’unico essere vivente che s’aggirasse in quei corridoi, che passasse nelle sale deserte, che vegliasse mentre gli altri riposavano.
Quella notte, qualcun altro non dormiva.
Acquattata nell’oscurità, Naida attese che l’uomo continuasse il suo giro di perlustrazione: era molto tardi, il sonno cominciava a farsi sentire e il guardiano sembrava meno vigile di quanto non fosse stato qualche ora prima. Era evidente che non s’aspettasse attacchi; che il nemico fosse già nel laboratorio, questo il guardiano non l’avrebbe mai immaginato.
Il rumore dei passi s’allontanò, attenuandosi poco a poco; solo quando il silenzio regnò nuovamente, Naida scivolò fuori dal suo nascondiglio e imboccò rapidamente la scala che portava ai sotterranei.
Era stato utile farsi accompagnare in giro per il laboratorio, mostrarsi interessata, fare domande: ora, sapeva esattamente dove fosse il suo obiettivo, e come raggiungerlo. Nessuno aveva sospettato di lei, mai.
Davanti a lei, la rampa di lancio di Goldrake; nella semioscurità, il robot sembrava un gigante mitologico immobile, addormentato.
Naida lo guardò con odio, mentre sfilava da sotto il vestito un oggetto oblungo. Gliel’avevano dato su Skarmoon: una bomba al vegatrom ad alto potenziale, con cui avrebbe potuto distruggere Goldrake facendo così giustizia per i caduti di Fleed.
Naida respirò a fondo: non fosse stato per quel robot, Duke non sarebbe fuggito da Fleed, non si sarebbe macchiato di tradimento, non si sarebbe comportato da vigliacco… la colpa di tutto era di quel maledetto robot. Per colpa sua, Vega aveva attaccato Fleed. Per colpa sua, Duke era divenuto un abominio per il suo popolo.
Lei ora avrebbe fatto giustizia.
La bomba stretta in pugno, gli occhi fissi sull’enorme sagoma oscura che la sovrastava, Naida cominciò a salire la rampa di lancio. Ancora pochi passi… ancora poco…
– Attenta! – Actarus le balzò addosso trascinandola con sé giù dalla rampa proprio nell’esatto istante in cui le corna dorate di Goldrake s’accendevano d’un’improvvisa luminescenza. Una potente scarica elettrica s’abbatté sul pavimento dove un istante prima si era trovata Naida.
Lei serrò le labbra: era stata così vicina a riuscire…! Se solo lui non si fosse svegliato, se non l’avesse seguita…!
– È un miracolo che tu non sia rimasta fulminata! – Actarus le tese una mano, l’aiutò a rialzarsi – Ma come? Dimenticavi che nessuno, tranne me, può avvicinarsi a Goldrake senza attivare una potente scarica elettrica?
Silenziosa, gli occhi foschi, Naida si rimise in piedi, una mano dietro la schiena per celare la bomba. Il suo gesto furtivo attirò l’attenzione di Actarus: – Che cosa stai nascondendo? Fammi vedere!
Naida si tirò indietro e lui le afferrò il braccio, trattenendola; lottarono brevemente, poi lei fu costretta a cedere. Allibito, Actarus fissò l’oggetto che le aveva strappato di mano: – Ma questa è una bomba!
Lei scattò come un gatto selvatico, tentando di riprendersi l’ordigno; lottarono ancora, lei riuscì ad afferrare la bomba e lui gliela strappò nuovamente di mano, facendola ruzzolare al suolo.
– A che cosa ti serve, questa? – gridò Actarus, alterato – Rispondi!
Naida scattò in piedi: – Per distruggerti! – lo vide impallidire e continuò: – Per eliminare dall’universo un traditore!
Actarus sussultò come se fosse stato frustato; prontissima, Naida balzò in avanti per recuperare la bomba. La lotta stavolta fu più serrata, più feroce, ma ancora una volta fu lui a respingerla; Naida perse l’equilibrio e cadde in ginocchio, restando immobile, lo sguardo dritto davanti a sé.
Ci volle qualche istante perché Actarus riuscisse a riprendere fiato, a parlare di nuovo.
– Naida! Perché mi hai chiamato traditore? – esclamò infine.
Lei si voltò di scatto, come una serpe pronta a colpire: – Vuoi dire che l’hai dimenticato?
Actarus trasalì, come se lei l’avesse percosso in pieno viso; Naida si rialzò, gli occhi colmi d’accuse fissi su di lui: – Quando siamo stati aggrediti da Vega, quando è cominciato il massacro, tu… tu sei fuggito sul tuo disco! Invece di combattere per noi, tu ti sei messo in salvo!
Actarus sentì mancargli il respiro, mentre tanti ricordi che aveva sempre voluto dimenticare gli tornavano inesorabilmente alla memoria: l’addio ai genitori, il viso pieno di lacrime di sua madre… la vocina di Maria, che lui era stato costretto ad ignorare…
Ma lui non aveva voluto andarsene, e Naida doveva saperlo! Era stata presente, quando il padre gli aveva ordinato di portare via Goldrake… aveva visto, aveva sentito!
– Non è vero! – esclamò, forte della sua ragione – Io non sono fuggito! Ho sempre combattuto, anche quando il pianeta era completamente distrutto!
– Il pianeta non era completamente distrutto! – lo rimbeccò prontamente lei – C’erano ancora dei superstiti! Io sono viva, infatti!
Ogni parola era come veleno su una ferita riaperta, e ogni goccia bruciava ancora più della precedente: – Naida, ma io…
– Non voglio sentire le tue scuse! – gridò lei, esasperata – La verità è che sei fuggito, lasciandoci indifesi nelle mani di quei mostri di Vega! Dov’eri quando hanno distrutto le città, sterminato le persone, assassinato vecchi e bambini?
Oh no, no, no… questa realtà era ancora peggio di tutti gli incubi che da allora avevano funestato le sue notti, tormentato i suoi giorni di sopravvissuto… come poteva Naida, proprio la sua Naida, accusarlo a quel modo? Perché non comprendeva quanto gli era costato essere costretto ad andarsene, abbandonarli al loro destino? Perché non aveva capito che solo lui avrebbe potuto portare via Goldrake, impedire che cadesse in mano a Vega? Perché l’accusava a quel modo, quando lui stesso era sempre stato il proprio principale accusatore?
– Naida… non hai capito…? – articolò, la voce che gli si spezzava.
Se lei, la donna che l’aveva amato, lo considerava un traditore, un vigliacco… che avevano pensato gli abitanti di Fleed di lui, il loro principe…?
La vergogna, l’orrore gli tolsero il fiato, mozzandogli il respiro.
In lacrime, Naida evitava di guardarlo, e la disperazione vibrava in ogni sua parola: – Ti ho amato tutta la mia vita, ti ho amato sempre… ti ho amato ogni giorno, ogni ora… e tu ci hai traditi! – singhiozzò, spezzata dal dolore; le ginocchia le cedettero e lei crollò sul pavimento strappandosi i capelli: – Io non posso perdonare un traditore!
Actarus aprì la bocca, fece per parlare, ma le parole morirono sulle sue labbra. Inorridito, incapace di reagire, fissava Naida che, a terra, piangeva tutta la sua disperazione.
Non era possibile, non era possibile…
Di scatto, lei s’asciugò il viso, si voltò di nuovo a guardarlo, gli occhi gelidi: – Ci hai uccisi, Duke Fleed, e continui ad ucciderci anche qui, sulla Terra! Tu distruggi l’unica forma di vita che quei mostri ci hanno concesso!
IO… avrei ucciso…?
Actarus scosse il capo, arretrò, incapace di reggere quell’attacco.
Naida si rialzò, fissandolo in viso e preparandosi freddamente a scagliare il colpo finale, quello che l’avrebbe annientato.
Adesso è il momento!, esclamò l’oscura voce velenosa dentro di lei. Accusalo dei suoi crimini, lui è responsabile della morte di tuo fratello!
…Sirius…!
Con deliberata freddezza, Naida puntò il dito contro Actarus, quasi avesse potuto inchiodarlo alla sua responsabilità: – I dischi di Vega che tu hai distrutto avevano all’interno il cervello di un abitante di Fleed!
Annientato, Actarus vacillò; la bomba gli sfuggì dalle dita, rotolò sul pavimento finendo dentro la presa d’aria che dava sul piano inferiore.
L’esplosione scosse l’intera base, ma né Actarus né Naida, troppo impegnati nel loro duello personale, parvero farvi caso.


Procton trasalì, balzò a sedere nel letto.
Che era stato quel rumore?


– In ognuno di quei dischi – stava continuando Naida, scandendo bene le parole perché ciascuna di esse penetrasse nella coscienza di lui – in ognuno è stato inserito un cervello prelevato da un uomo!
Uno spasmo improvviso al torace: – …Cosa…?
– Un cervello cui hanno tolto il potere della ragione – continuò impietosamente lei, sempre spinta dal suo oscuro demone interiore – Un cervello condizionato ad essere a fedele a Vega! – le mancò il respiro, un singhiozzo le spezzò la voce: – Ricordi il primo mostro che hai distrutto?
Actarus assentì senza quasi accorgersene. Ogni battaglia era ormai scolpita indelebilmente nella sua memoria…
– In quel mostro c’era il cervello di Sirius!
NO…!
– Tu hai ucciso tutto quel che restava di mio fratello! – urlò lei, con quanto fiato aveva in gola.


Gandal ghignò: – Guardalo! Il maledetto Duke Fleed non riesce nemmeno a spiccicare più una parola!
– Così pare – rispose Zuril, che non condivideva tanta esultanza.
– Non sembri molto contento – si stupì Gandal – Eppure, oggi abbiamo sconfitto il nostro peggior nemico!
– Non è ancora morto – osservò Zuril.
– Adesso morirà – Re Vega riattivò il microfono per dare a Naida gli ultimi ordini.
Alle loro spalle, Hydargos non disse nulla, gli occhi sempre fissi sullo schermo.


Annientato, distrutto, lui vacillò, parve sul punto di cadere; a terra invece finì Naida, colpita da un’improvvisa scarica di dolore che le si era irradiata nella testa, facendola spasimare.
Vendicati! Uccidi Duke Fleed! UCCIDILO!!!
Il dolore cessò, la voce tacque. Naida si guardò rapidamente attorno, in cerca di un’arma, un’arma qualsiasi: in un angolo, uno dei tecnici aveva dimenticato un pezzo di tubo passacavi in materiale plastico, rigido e pesante. Balzò in piedi, afferrò il tubo e colpì ripetutamente Actarus sulla testa, facendogli schizzare sangue dal naso, dalla fronte…
Cadi, maledetto assassino! Cadi! Muori! MUORI!!!
Un rumore alle sue spalle… Naida si voltò di scatto, il tubo tra le mani, come una belva pronta ad uccidere nuovamente.
Sulla porta erano apparsi Procton ed Alcor. In un istante videro Actarus a terra, la testa sanguinante, e Naida invasata come una furia che lo sovrastava per finirlo.
Scorgere quei nuovi avversari e scagliarsi su di loro fu per Naida affare di un attimo.
Senza una parola, Procton alzò la pistola a raggi che stringeva in mano e sparò: colpita in pieno petto, lei vacillò, annaspando penosamente, e crollò a terra come fulminata.
– Che cos’è successo? – esclamò Alcor, sconvolto – È morta?
– No, soltanto tramortita – Procton si chinò sul figlio, gli esaminò rapidamente le ferite – Chiama il centro medico, Actarus ha bisogno di cure immediate.
Alcor obbedì e premette il pulsante d’allarme; poi si voltò a guardare con disprezzo il corpo inanimato di Naida: – Diceva di amarlo, e l’ha quasi ucciso!
Procton controllò il polso di Actarus: batteva, ma debolmente – Forse Naida non è responsabile di quello che ha fatto.
– Volete dire che non è stata lei a colpire Actarus? – sbottò Alcor, incredulo.
– Voglio che tu la esamini con lo scanner – rispose Procton – Se è come penso, le troverai addosso qualcosa che non dovrebbe esserci.


Allibito, Alcor fissava sul monitor l’immagine TAC della testa di Naida: dietro l’orecchio destro campeggiava un minuscolo oggetto metallico… qualcosa che non avrebbe dovuto esserci, proprio come aveva immaginato Procton.
– Dottore! – esclamò Alcor – Naida ha un frammento metallico nella testa!
Procton si voltò di scatto verso di lui: – Come?
– Sembra… una capsula ricevente.
– Una capsula! – Procton si chinò sul monitor ed annuì a sé stesso: – Allora i miei sospetti avevano un fondamento! È necessario operarla immediatamente.


Capitolo 15 – Dolore

Naida aprì gli occhi, guardandosi in giro: era in un letto. Attorno a lei, muri, mobili di legno… una finestra da cui si vedevano alberi… Non era su Skarmoon.
La Terra…?
Lei si trovava sulla Terra…?
Naida aggrottò la fronte nel tentativo di riflettere, ma i ricordi le si agitavano come farfalle impazzite nella sua povera mente confusa.
Pure, era sicura di trovarsi sulla Terra, anche se non ricordava come ci fosse arrivata.
Aspetta… un’astronave… soldati che la inseguivano, e poi… lui, Duke…
Fu come se qualcosa fosse esploso nel suo cervello: frammenti di memoria parvero attrarsi, riunirsi fino a formare un mosaico di cui cominciava a vedere il disegno…
Duke. L’orribile voce che la torturava spingendola ad odiare, uccidere…
Duke steso a terra… sangue…?
– Duke! – esclamò, tirandosi a sedere sul letto; solo ora s’accorse che nella sua stanza v’era una giovane sconosciuta, che s’avvicinò prontamente al suo letto: – E tu chi sei?
– Mi chiamo Venusia, e sono un’amica di Duke – rispose gentilmente – Non preoccuparti, va tutto bene.
Naida si guardò attorno come un animale in trappola: – E dove si trova adesso? Dov’è Duke?
Venusia esitò un attimo solo: poi capì che una sua menzogna non avrebbe ingannato Naida e decise di dirle la verità: – È ancora sotto shock.
Naida sbarrò gli occhi: – Sotto shock?
– Per i colpi che gli hai dato sulla testa – ecco, l’aveva detto.
L’orrore si dipinse sul viso di Naida: – Io l’ho colpito? Vuoi dire che IO l’ho colpito sulla testa?
Venusia si sentì piegare le ginocchia: allora era vero quello che aveva detto il dottore… lei era stata controllata, usata. Non era colpevole… e lei, che era arrivata quasi ad odiarla per il male che aveva causato ad Actarus!
– Naida – Venusia sedette sul letto accanto a lei, le prese una mano: – non ti ricordi più cos’è successo stanotte?
Naida scosse il capo e ricadde sul cuscino. Sentì un lieve dolore e si portò una mano alla testa: una fasciatura? Era stata ferita? Non ricordava nulla, nulla… aveva vissuto tutti i giorni passati come in un incubo. Si era sempre sentita come immersa in un mondo irreale, ogni sua sensazione era sempre giunta a lei come attraverso un filtro… a parte quegli spaventosi mali di testa. Anche la sera prima aveva avuto un violentissimo attacco d’emicrania… c’era stata quella voce che le aveva parlato… poi…
– Ma che è successo? – gemette.
Venusia avrebbe preferito non doverle dire cose che, lo sapeva, l’avrebbero sconvolta; d’altra parte, Naida aveva il diritto di sapere.
– Hai detto che Duke è un traditore – mormorò – e hai cercato di distruggere Goldrake. Non lo ricordi, questo?
– Ho… come un vuoto nel cervello – rispose Naida in un soffio – Tutti questi ultimi giorni sono così confusi… mi sentivo sempre come se fossi stata in un sogno…
– Perché non eri in te – disse la voce di Procton.
Le due ragazze si voltarono verso di lui, che era apparso sulla soglia.
– Come sta Duke? – chiese ansiosamente Naida.
– Non preoccuparti, si rimetterà. Stai tranquilla – rispose in fretta Procton – Non sei responsabile di quello che è successo: i veghiani t’avevano impiantato una minuscola capsula ricevente dietro l’orecchio.
– Sì – mormorò Naida – Sì… adesso comincio a ricordarmene.
– Con questa capsula ti costringevano ad obbedire ai loro ordini – continuò Procton – Ora non possono più farlo, non devi avere paura.
– Volete dire… che sono libera? – esclamò Naida.
– Abbiamo rimosso quel congegno – Procton tese la mano aperta: sul palmo, un minuscolo oggetto metallico dall’aria inoffensiva. Pure, Naida lo guardò con orrore.
– Era… questo…?
– Era con questo che ti governavano – spiegò gravemente il professore – Ora però non hanno più alcun potere su di te: non possono più dominare la tua mente – tolse di tasca un contenitore di plastica foderato di uno spesso strato di materiale isolante e vi chiuse dentro la capsula – e ormai non possono nemmeno più vedere né sentire nulla. Adesso Venusia ed io ti lasciamo riposare.
Il professore aprì la porta, fece uscire per prima Venusia; poi si girò a guardare un’ultima volta la giovane donna che giaceva nel letto e aggiunse, con uno dei suoi lievi sorrisi: – Coraggio, Naida. È tutto finito.
Naida trasalì come se avesse ricevuto una scossa, ma il professore era ormai uscito e non se ne accorse. Lei ricadde sul cuscino tirandosi le coperte fin sulla bocca, gli occhi fissi nello sforzo di ricordare…
“Coraggio, Naida. È tutto finito.”
Aveva già sentito quelle parole… le aveva sentite poco tempo prima, dette da un’altra voce.
Il ricordo esplose nella sua mente, inarrestabile e devastante…


…Le luci s’affievolirono, i suoni si spensero.
Appesa per i polsi ai ceppi, Naida si reggeva in piedi a malapena: le ginocchia le si piegavano, un tremito violento la scuoteva tutta.
– Coraggio, Naida. È tutto finito. – Zuril spense il display di controllo; s’avvicinò alla giovane donna, le liberò le caviglie. Quando aprì l’anello che le stringeva un polso lei si accasciò su sé stessa, e lui fu costretto ad afferrarla per impedirle di cadere; aprì anche l’ultimo anello e Naida gli crollò addosso, mezzo svenuta.
– Sta bene? – la voce profonda di Re Vega tradiva una certa preoccupazione: se Naida fosse morta il piano di colpire a tradimento Duke Fleed sarebbe sfumato.
Zuril esaminò rapidamente la giovane donna: – Si riprenderà presto.
– Ha resistito alla sonda mentale più di quanto mi aspettassi – osservò Sua Maestà.
Lo scienziato assentì. Incapace di accettare l’odio per Duke Fleed che volevano inculcarle, lei s’era ribellata, e il condizionamento era stato lungo e doloroso. Teoricamente non avrebbero dovuto esserci problemi, ma…
Di colpo Naida trasalì, spalancando a dismisura gli occhi: un dolore lacerante al basso ventre, come una coltellata… in preda agli spasimi Naida si piegò in due, lanciando un urlo strozzato.
– Che le succede? – sbottò Re Vega.
– Non dovrebbe fare così! A meno che… – Zuril tacque, mentre un atroce sospetto si faceva strada in lui; Naida urlò ancora, divincolandosi, e lui non poté fare altro che adagiarla sul pavimento.
Il dolore era sempre più violento, vivo, pulsante… poi improvvisamente Naida sentì il sangue, la sua stessa vita fluire da lei. Con orrore s’accorse d’essere immersa in una pozza rosso vivo.
– Sta’ calma, andrà tutto bene – Zuril balzò in piedi e scattò verso l’intercom, mentre Re Vega si faceva avanti.
– Che cos’ha? – chiese il sovrano, allarmato.
– Un aborto – con un pugno Zuril accese il display – Non potevo sapere che era incinta!
– …Cosa…? – allibito, Sua Maestà tornò a guardare la straziata creatura che si torceva nel suo stesso sangue. In vita sua, Re Vega aveva ordinato e visto la morte d’innumerevoli esseri; la fine di quell’esistenza appena iniziata lo scosse profondamente.
Sullo schermo apparve il viso d’un giovane tecnico; in tono reciso Zuril ordinò che venisse mandata subito un’unità di pronto soccorso. Spense lo schermo prima che il giovane potesse replicare e tornò ad inginocchiarsi accanto a Naida, incurante del sangue che lo lordava. Se fosse morta, lui sarebbe stato ritenuto responsabile, e non voleva pensare alle conseguenze…!
Lei lo fissò, gli occhi resi folli dal terrore, e si aggrappò alla sua mano. Zuril le prese anche l’altra, gliele strinse nelle proprie come per trasmetterle la propria forza: – Stanno arrivando, Naida. Devi resistere. Devi farcela…!
Poi, fu il buio.


Riemerse lentamente dall’oblio. Non poteva vedere nulla, ma sentiva parlare attorno a sé… una voce femminile… la primaria, Koyra.
– …Un aborto, sì.
– Non sapevo che fosse incinta – questo era Zuril – Naida non me l’aveva detto!
– Perché di sicuro non lo sapeva nemmeno lei – rispose la dottoressa – La gravidanza era appena iniziata. L’embrione era esattamente di quattro settimane e un giorno.
Embrione…?, si disse Naida. Gravidanza… io?
– Non è proprio stato possibile salvare il bambino? – chiese la voce di Zuril.
– È stato ucciso dalle scariche elettriche dovute al condizionamento – rispose seccamente Koyra – L’aborto è stato solo la naturale espulsione, non la causa del decesso.
– Capisco – rispose Zuril, e per una volta tanto la sua voce non suonava certo fredda ed indifferente – Cos’era?
– Un maschio.
Mio… figlio…?, pensò Naida.
Un attimo di silenzio; poi la Koyra aggiunse: – Qualcuno dovrà dirlo al comandante Hydargos.
– Me ne incarico io – rispose piano Zuril – Naida sta bene?
– Abbiamo fermato l’emorragia. Si riprenderà.
Mio figlio…! Il mio bambino…
Le voci s’allontanarono, s’affievolirono e l’oscurità benedetta l’inghiottì portandola via dal dolore, dalla disperazione, dalla morte.


Naida si rizzò a sedere sul letto, le mani sul ventre.
Il suo bambino!
Ora, solo ora ricordava… in tutto il tempo in cui era rimasta sotto il controllo del chip di Vega, era vissuta come in un incubo, alcune parti della sua mente erano state sopite, la sua memoria era rimasta in parte bloccata, chiusa… ma ora ricordava, il dolore, il sangue… e poi i discorsi della dottoressa e di Zuril. Un aborto.
Per un breve periodo era stata madre, e senza saperlo.
Un maschio… quattro settimane e un giorno…
Non sarebbe mai nato.
Naida lanciò un urlo da animale ferito a morte e ricadde sul letto, scoppiando in un pianto dirotto.


La mano di Procton e il coperchio che si chiudeva fu l’ultima cosa che videro, la sua voce l’ultima cosa che sentirono.
– Avreste dovuto immaginare che i terrestri avrebbero capito che Naida era condizionata – osservò Zuril, asciutto – Ora che le hanno tolto la nostra sonda, abbiamo perso ogni contatto.
– Sapevamo che sarebbe accaduto – ringhiò Gandal, sedendosi sulla sua poltrona di comandante – Solo, pensavamo che prima d’essere scoperta lei sarebbe riuscita ad uccidere Duke Fleed o a danneggiare Goldrake. Comunque, al momento Duke Fleed non è in grado di reagire, il che è un vantaggio – ruotò la sua poltrona verso Hydargos, seduto alla sua postazione: – Fai partire il mostro Dari Dari e i minidischi e attacca il laboratorio. Vedremo se riusciranno a salvarsi, senza quel dannato robot.
Hydargos esitò un istante solo: Naida era laggiù, avrebbe potuto morire durante l’attacco.
Impassibile, la voce fermissima, diede gli ordini necessari, prima d’alzarsi e avviarsi frettolosamente verso la porta.
Gandal si voltò verso di lui: – Vuoi essere tu a pilotare il mostro?
Hydargos sostenne il suo sguardo: – Voglio seguire personalmente l’attacco dalla mia astronave – e voglio tentare di riprendermi quello che è mio.
Il Comandante di Vega fece un cenno d’assenso e tornò a fissare lo schermo, mentre Zuril si poneva al suo fianco.
Le porte si chiusero dietro Hydargos.


Gli occhi ormai asciutti – non sapeva quanto tempo fosse passato – Naida si rialzò faticosamente, mettendosi a sedere sul letto.
Il pensiero del suo bambino era ancora orribile, ma aveva sfogato il suo dolore, pianto tutte le sue lacrime. Per il momento si sentiva un po’ meno peggio.
Naida si portò le mani alla fronte, toccò la fasciatura che le avevano fatto per medicarle la ferita; e in quel momento le tornò in mente Duke, il suo Duke, e come lei l’avesse colpito selvaggiamente. Il dolore si rinnovò in lei: come aveva potuto arrivare a tanto? Come aveva potuto fare del male all’uomo che amava?
Naida serrò i denti. Il condizionamento mentale. Maledetti…!
Tutto, le avevano tolto i veghiani, tutto… la libertà, la dignità, suo figlio, il suo amore. Avevano fatto di lei una furia omicida.
Procton aveva detto che Duke era vivo, ma non aveva detto che stava bene…
Oh, amore mio! Se solo potessi… potessi…
In preda allo sconforto, Naida ricadde sul letto.
Se solo avesse potuto andare da Duke, vederlo un istante, magari digli…
Cosa potrei dirgli? Che in tutti questi anni sono stata la schiava del suo peggior nemico?
In preda alla vergogna, Naida si coprì gli occhi con le mani. Ricordava quando aveva urlato in faccia a Duke quella che era stata la sua vita dopo la caduta di Fleed. Allora l’aveva accusato di tradimento e si era sentita fiera del suo passato perché aveva voluto fargli del male, ferirlo; adesso, tornata in sé, il rimorso la tormentava. Come aveva potuto parlare così a Duke… trattarlo da vigliacco, traditore… e gettargli in faccia la relazione che aveva avuto con Hydargos?
Trasalì al ricordo di Hydargos, e sentì bruciarle le guance.
Quando era divenuta la sua schiava, anni prima, si era sentita confortata dal fatto che lui fosse abbastanza gentile con lei; ora, sentiva la vergogna lacerarle l’animo. Se lui fosse stato un padrone crudele e violento, ora lei sarebbe stata una vittima degna di rispetto e comprensione; ma non era stato così. Lui l’aveva protetta, nutrita, aveva avuto cura di lei. Non le aveva mai fatto del male.
Come poteva ora sostenere lo sguardo di Duke, sapendo di essersi salvata perché aveva accettato di essere il giocattolo del suo peggior nemico? Lui avrebbe avuto tutti i motivi per disprezzarla, e avrebbe avuto ragione. Lei aveva calpestato la sua dignità per quel veghiano…
Un pensiero improvviso la lasciò senza fiato: era un’ingrata. Hydargos era davvero stato buono con lei, e lei lo stava disprezzando.
I ricordi le si affollarono alla mente… Hydargos che la strappava a quell’orrenda prigione, che le dava una casa, cibo, vestiti… quando l’aveva condotta alla biblioteca… quando le aveva donato il bulbo… quando aveva rischiato in prima persona tentando di difenderla davanti a Re Vega… arrossì violentemente pensando all’ultima notte che avevano trascorso assieme. No, con quello che era successo allora non poteva certo pensare che fosse stata solo la paura a legarla a lui. Quella notte lei non era stata semplicemente il suo giocattolo: erano stati davvero un uomo e una donna che si erano amati. E per poco non avevano avuto anche un figlio.
Naida si gettò ancora sul letto, stringendo tra le braccia il cuscino. Amava Duke, l’aveva sempre amato e nonostante tutto non avrebbe mai cessato d’amarlo; come poteva allora sentirsi legata ad un altro uomo? Cosa provava davvero per Hydargos?
Come poteva essere attratta da due uomini? Cos’era diventata…?
Duke. Hydargos. Il bimbo…
In preda alla più totale confusione, Naida affondò il viso nel cuscino.
Se fossi morta…!

- Continua -
 
Top
view post Posted on 14/5/2009, 21:12     +1   -1
Avatar

Fratello di Trinità e Bambino

Group:
Administrator
Posts:
21,212
Reputation:
+2,291
Location:
Verona, città di Emilio Salgari.

Status:


Ultima puntata.

Capitolo 16 – L’attacco

Il segnale d’allarme pulsava, insistente.
Hayashi sussultò, fissando l’immagine che era appena apparsa sul suo monitor: – Dottor Procton, un’intera flotta di UFO si sta avvicinando rapidamente all’atmosfera terrestre!


Ovunque, tutt’attorno a lui, disperazione, grida, sangue. Un intero mondo in agonia, urlante e senza più speranza.
E tutto era successo per colpa sua: era lui il vero responsabile, il solo colpevole.
Aveva abbandonato la sua gente, era fuggito portando con sé l’unica difesa contro i nemici; un vero principe avrebbe dovuto restare e morire con i suoi sudditi, non scappare lasciandoli al loro destino.
Era un traditore… un vigliacco.
Non poteva esserci pietà, non poteva esserci comprensione per un individuo spregevole come lui.
Actarus avrebbe voluto tapparsi le orecchie per non sentire quelle grida, avrebbe voluto chiudere gli occhi per non vedere quei corpi dilaniati, ma era tutto inutile: il suo tormento era nel suo animo, persone ormai scomparse per sempre dimoravano nella sua memoria costringendolo a ricordare. Rivide suo padre, sua madre… risentì le grida disperate della sua sorellina Maria, che lo chiamava e che lui aveva voluto ignorare… e poi, lei, Naida, con in braccio il corpicino sanguinante di Sirius.
– Assassino! – urlò Naida – Traditore! Hai ucciso mio fratello!
– …No…! – articolò Actarus, incapace di difendersi, di giustificarsi.
– È morto! Guardalo! Era solo un bambino!
– Naida, ti prego…
– È morto per colpa tua! Colpa tua!
Actarus urlò, e urlò, e urlò.


Un urlo lunghissimo, da animale in agonia. Un altro. Un altro…
– Lasciatemi andare da lui! Vi prego! – supplicò Naida; ma Procton scosse il capo.
– Non è in sé. Non è in grado di riconoscerti. Non si accorgerebbe nemmeno della tua esistenza… potrebbe persino farti del male – nonostante il ferreo autocontrollo, lo sconforto vibrava nella voce di Procton. – Non posso farti correre un simile pericolo.
– È tutta colpa mia! – aggrappata alle sbarre della cella di Actarus, Naida crollò il capo: non aveva più lacrime, ormai, ma la sua disperazione, il suo dolore sincero erano più che evidenti. Se mai Venusia o Procton avevano provato del malanimo nei suoi confronti, vederla così abbattuta li commosse entrambi nel profondo.
– Non è colpa tua – Venusia le cinse affettuosamente le spalle con un braccio – Tu non sei responsabile! La colpa è solo dei veghiani, che ti hanno usata!
– Sì – rispose Naida, la voce sorda e il viso improvvisamente indurito – Sì, i veghiani mi hanno sempre usata.
Procton guardò ancora Actarus che smaniava e rabbrividì; osservò le due ragazze e intuì che avessero da parlarsi e che quindi fosse meglio lasciarle sole, per cui s’allontanò in fretta, nelle orecchie sempre le urla del figlio.
– Lo vedi? – Venusia si sforzava di non far tremare la voce – È come se vivesse in un mondo tutto suo, senza contatti con la realtà. Ma la cosa peggiore è che sembra aver perso la volontà di vivere. Il dottor Procton tenterà di creargli un controshock con una forte scarica elettrica – represse il brivido che l’aveva scossa da capo a piedi ed aggiunse, in tono che voleva assolutamente essere convinto: – È molto pericoloso; ma io credo che ce la farà.
Naida chinò la testa: – Che cosa ho fatto…!
Un nuovo urlo, ancora più angosciato dei precedenti.
– Actarus…! – Venusia si premette una mano sulla bocca, reprimendo le lacrime: non voleva piangere, non ora… non davanti a Naida…
Ma Naida aveva già compreso tutto: – Senti… tu sei innamorata di lui, vero?
Il sangue affluì alle guance di Venusia, che si fece scarlatta: – Ma… io…
– Lo avevo immaginato – Naida le sorrise, triste: lei e Venusia amavano lo stesso uomo, ma non erano rivali tra loro, né lo sarebbero mai state: – Anch’io lo amo… forse anche più di te. L’amore è una gran forza – le mise una mano sul braccio, glielo strinse; solo allora Venusia osò alzare gli occhi e guardarla.
Fu un attimo: si conoscevano a malapena, ma si compresero al volo, e si sorrisero.
Naida gettò un ultimo sguardo ad Actarus, poi tornò a fissare Venusia, accennò a lui, parve sul punto di dire qualcosa; le parole le mancarono e Naida si voltò di scatto, allontanandosi di corsa.
Actarus lanciò un altro urlo, viscerale e straziante.


Immobile, inutilizzata, la salvezza era a portata di mano. Goldrake attendeva solo che qualcuno osasse animarlo e condurlo in battaglia; quel giorno, però, non sarebbe stato il suo solito pilota a farlo.
Alcor si precipitò di corsa verso la rampa di lancio: naturalmente non avrebbe potuto compiere lo spettacolare salto con cui Actarus saliva sul suo mezzo, ma…
– Alcor! – Venusia tentò di raggiungerlo, ma lui era troppo veloce – Alcor! No!
Lui non l’ascoltò nemmeno, troppo concentrato sulla sua meta: ancora pochi metri, e…
Le grandi corna dorate brillarono, minacciose; una scarica s’abbatté sul pavimento là dove un istante prima s’era trovato Alcor. Solo i suoi eccezionali riflessi avevano permesso al giovane di balzare via prima di venire fulminato.
Pallido per lo scampato pericolo, il giovane finalmente s’accorse di Venusia: – M’ero dimenticato del sistema di difesa di Goldrake… a momenti ci restavo!
Lei gli mise una mano sulla spalla e scosse il capo: – Non puoi far nulla. Solo Actarus può salirvi sopra!
Alcor balzò in piedi: sembrava che la sconfitta l’avesse reso più agguerrito: – Ci salirà!


– Professore, gli UFO stanno per entrare nell’atmosfera! – esclamò Hayashi, sforzandosi di controllare la voce. Quel giorno, non ci sarebbe stato Goldrake a difenderli…
Procton assentì, cupo. Sapeva che, a meno d’un miracolo, nessuno di loro sarebbe sopravvissuto fino all’indomani.


Fu mentre si precipitava nuovamente verso il centro medico che Alcor quasi andò a sbattere contro Naida. Fece per scostarla da sé e continuare la corsa, ma lei lo trattenne: – Io posso fare qualcosa, ma ho bisogno del tuo aiuto!
– Quei dischi stanno puntando su questo laboratorio! – esclamò Alcor – Cosa vorresti fare, tu?
– Posso tenerli impegnati e darvi del tempo! – Naida l’afferrò per il polso e puntò verso l’uscita del laboratorio, tirandosi dietro Alcor.
– E come potresti fermarli? – chiese di rimando lui, puntando i piedi – Nemmeno io, col mio disco…
– Hai dimenticato l’astronave di Vega che è ancora sulla montagna? – ribatté Naida, prontissima – Io posso usarla per tenere quei mostri lontani dal laboratorio, e intanto voi potrete cercare di rianimare Duke!
L’astronave… Alcor se n’era completamente dimenticato: per quel che ne sapeva lui, era rimasta nella pineta, semiaffondata nella neve. Era un mezzo abbastanza grande, avrebbe potuto servire.
Senza accorgersene, riprese a seguire Naida che l’aveva ormai condotto fuori del laboratorio, verso il posteggio delle automobili.
– Muoviti! – Naida lo sospinse sulla jeep – Devi portarmi là, e devi far presto! Io non posso guidare questa macchina e andarci da me, non sono capace!
Galvanizzato da quella nuova possibilità, Alcor fece partire l’auto, che con un ruggito imboccò a tutta velocità la strada che s’inerpicava su per la montagna. Guidò con l’incoscienza di chi non ha più nulla da perdere, affrontando a tutta velocità quel sentiero tutto curve e dossi; accanto a lui, Naida si teneva saldamente al suo posto, gli occhi fissi sulla strada e il bel viso indurito, deciso.
Ad entrambi parve che il viaggio fosse durato un’eternità, mentre invece si trattò di nemmeno un quarto d’ora, meno della metà del tempo che in condizioni normali Alcor avrebbe impiegato per coprire quella distanza, e su quella strada.
Alcor fermò la jeep: l’astronave era a breve distanza da dove si trovavano, nascosta dentro la pineta. Fece per scendere, ma Naida lo precedette: – Adesso ci penso io.
– Non vorrai andare tu! – solo allora Alcor si rese conto di quello che Naida aveva veramente inteso – Andrò io contro quei mostri, tu non puoi…
– Tu non sei capace di pilotare una nave di Vega – Naida sbatté la portiera – Io sì!
S’allontanò di corsa senza più voltarsi, prima che la sua determinazione cedesse: doveva far presto, doveva salvare quei terrestri… e Duke…
Ti amo, ti amo!, pensò, mentre correva verso la nave. Non dovrai più vergognarti di me, te lo giuro!


Inerte, totalmente immerso nel suo inferno personale, Actarus giaceva sul letto: ormai non urlava più, non si agitava più, rimaneva semplicemente lì, gli occhi morti, lo spirito che vagava in luoghi remoti, inaccessibili.
Alcor entrò come una furia nella cella. Lo afferrò per il bavero, lo scosse: – Actarus, devi tornare in te! La Terra è attaccata da Vega, i tuoi amici sono in pericolo! Devi muoverti!
Actarus sembrava non essersi nemmeno accorto di lui. Gli occhi apparivano pallidi, slavati, e avevano un’impressionante fissità vitrea; era sempre più lontano, più lontano…
Alcor lo colpì con un ceffone: – Svegliati! Ci sono i dischi di Vega! Naida gli è andata incontro da sola, devi salvarla! Svegliati, Actarus! – lo colpì ancora e ancora, sperando in una reazione, una reazione qualsiasi…
– Alcor, no! – Venusia si precipitò nella stanza, gli afferrò il polso impedendogli di colpirlo ancora – Sei impazzito?
– Lasciami stare, Venusia! – Alcor si liberò con uno strattone.
Nonostante tutto, qualcosa era penetrato nella coscienza di Actarus; un lieve barlume si accese nei suoi occhi: – …Naida…?
– Sì, Naida! – urlò Alcor, aggrappandosi a quell’esigua speranza – È andata incontro al nemico, si è sacrificata! Mi hai capito? Morirà, se tu non andrai a salvarla!
La minuscola luce si spense, e Actarus parve afflosciarsi su sé stesso, nuovamente lontanissimo, nuovamente irraggiungibile.
– Professore! – Venusia s’asciugò gli occhi e si volse di scatto verso Procton, entrato proprio in quel momento – Che possiamo fare?
Procton dovette fare uno sforzo per controllare completamente la sua voce, non lasciar trasparire l’angoscia che lo gelava – Non c’è altro mezzo. Proveremo con lo shock, anche se è pericoloso.
Alcor assentì: – Avete ragione. Non abbiamo altre possibilità.
Completamente indifferente a quanto avveniva attorno a lui, Actarus si accasciò a terra.
Sono un traditore. I traditori non meritano di vivere.


Capitolo 17 - Redenzione

Naida sedette al posto di pilotaggio. Una semplice occhiata le confermò quanto aveva immaginato: i comandi di quell’astronave erano molto simili a quelli dei minidischi. Perfetto.
Aprì lo sportello del vano davanti al posto del pilota: cinque bombe ad alto potenziale. Con freddezza, ne tolse una e l’applicò sul vetro davanti a sé: l’impatto l’avrebbe fatta esplodere, scatenando una reazione a catena con le altre bombe. Sarebbe successo tutto in un istante.
Accese il quadro di controllo, attivando i comandi nella sequenza corretta, come le aveva insegnato Hydargos…
Hydargos.
Naida sentì la gola contrarlesi: richiamare alla mente lui, quel veghiano duro ed orgoglioso che per anni era stato il perno del suo universo, la fece star male. Mai avrebbe immaginato di provare dolore per lui, mai! Ma, ora se ne rendeva finalmente conto, quell’uomo era stato per lei molto di più che un padrone… molto, molto di più.
Non devo pensare a Hydargos! Non devo, o non avrò il coraggio di fare quel che bisogna che faccia!
Si aggrappò al pensiero di Duke, ed accese i motori dell’astronave.
“Non avere fretta di partire. Lascia passare qualche istante perché il motore sia pronto. Devi sentirlo solo ronzare.”
Le parole di Hydargos risuonarono ancora in lei; severo ed esigente, era stato però un buon maestro, e le aveva insegnato davvero molto. Naida attese che il rombo del motore si affievolisse in un sibilo, prima di sollevarsi in volo.
Una partenza perfetta. Hydargos, saresti fiero di me.
Un pensiero improvviso la colse: con tutto quel che c’era stato tra di loro, mai, in nessuna occasione, lei si era permessa di chiamarlo in altro modo che non “signore”. Fu scossa da un riso nervoso, quasi isterico, da cui si riprese a fatica.
Sfrecciò oltre le cime degli alberi, lasciandosi alle spalle la montagna, la neve… e più in giù, il laboratorio… e Duke.
Amore mio… ti amo, ti ho amato tanto! Ti prego, non dimenticarti di me!


– Che ordini, signore? – ritto sull’attenti, il primo ufficiale si rivolse direttamente ad Hydargos, che dalla sua poltrona di comandante stava fissando il paesaggio terrestre sotto di loro. Ormai si distinguevano bene le montagne, il fiume, persino il laboratorio appariva come un minuscolo puntolino ben visibile.
– Goldrake è praticamente fuori uso – rispose lentamente Hydargos – Voglio assalire quel laboratorio e prenderli vivi. Tutti.
Nonostante il suo perfetto autocontrollo, qualcosa dovette trasparire dall’espressione del suo subalterno, perché Hydargos si voltò a guardarlo, interrogativo.
– Perdonate, signore – si scusò in fretta l’ufficiale – Credevo avreste dato ordine di radere al suolo quel laboratorio.
– Lo faremo, ma dopo. Abbiamo la possibilità di catturare Duke Fleed, quel Procton e tutti i loro dannati collaboratori; sarà una grande vittoria che ci compenserà per tutto quello che abbiamo dovuto subire. Sua Maestà dovrà ricompensarci.
– Come volete, signore – stavolta la voce dell’ufficiale risuonò più convinta, evidentemente l’idea gli sorrideva.
– Atterreremo circondando il laboratorio – continuò Hydargos – Entreremo, e prenderemo prigionieri tutti i presenti. Fate regolare le armi sui raggi paralizzanti. Se qualcuno dovesse morire, il responsabile ne risponderà direttamente a me. Avete capito?
– Sì, signore! – e l’ufficiale gli rivolse un saluto prima di andare a dare gli ordini necessari.
Hydargos teneva lo sguardo sempre fisso sul laboratorio, che continuava ad ingrandirsi sullo schermo.
Lei doveva essere lì: non poteva immaginare un altro posto in cui potesse trovarsi.
A meno che, s’intende, Duke Fleed non l’avesse nascosta da qualche parte, nel qual caso sarebbe stata solo questione di tempo venire a conoscenza del suo rifugio. Sarebbe bastato torturare uno di quegli stupidi umani davanti a Duke Fleed perché lui, o qualcun altro, cedesse; e anche così, presto lui avrebbe riavuto Naida.
Per anni aveva atteso il momento in cui avrebbe sconfitto Duke Fleed per godersi la vittoria e riceverne gloria ed onori; ora, ad un passo dal compimento di tutti i suoi sogni, tutto quel che riusciva a pensare era solo lei, lei, lei. Una schiava. Una cosa di nessun valore.
Devo essere impazzito, si disse Hydargos; e scosse le spalle.
Il fatto era che non gliene importava.


– Ancora – disse Procton.
– Ma, professore… – cominciò il medico.
– Ancora – la voce decisa di Procton non lasciava trapelare la paura che ne agghiacciava l’animo.
– Può essere molto pericoloso – insisté il dottore.
– Me ne assumo io la piena responsabilità – Procton vide il medico esitare ed aggiunse: – So che rischiamo di uccidere Actarus; ma se non riusciamo a scuoterlo saremo tutti morti, e la Terra cadrà in mano a Vega. Dobbiamo rischiare, non abbiamo alternative.
Il medico crollò il capo e si chinò sui comandi. Venusia si premette una mano sulla bocca per non urlare; Alcor la strinse tra le braccia e rimasero entrambi immobili, in attesa, gli occhi fissi sulla figura accasciata di Actarus.
Il medico diede corrente; il corpo di Actarus si tese in uno spasmo, dalle labbra gli uscì un gemito strozzato.
– Basta! – gridò il dottore, togliendo il contatto – Così lo ammazziamo!
Venusia sussultò, ed Alcor la strinse maggiormente. Procton si chinò sul corpo di Actarus, che s’era afflosciato su sé stesso. Il giovane respirava affannosamente, ma gli occhi che aprì non erano più vacui, inespressivi: stanchi ma consapevoli, fissarono Procton con l’affetto di sempre.
– Che è successo…?
Uno dei suoi rari, pallidi sorrisi animò il viso di Procton: – Bentornato tra noi.


Gandal fissò l’astronave di Vega apparsa improvvisamente sullo schermo: – E quella da dove sbuca?
– Mi pare evidente – rispose Zuril, asciutto – È la nave con cui abbiamo portato Naida sulla Terra. Tutti i soldati che avevamo inviato sono stati uccisi da Duke Fleed e dal suo collaboratore, e la nave era rimasta dove l’avevano lasciata.
Gandal assentì: – Probabilmente la sta pilotando quell’Alcor, l’amico di Duke Fleed. Vorrà usare la nostra nave contro di noi; purtroppo per lui, le armi a bordo sono poco potenti, anche se sono più pericolose di quel suo ridicolo disco giallo. Riuscirà a fare ben poco.
– Vorrei esserne anch’io così sicuro – rispose Zuril, assorto, l’unico occhio fisso sull’immagine dell’astronave.
– Ti ripeto che quella nave è armata al minimo. Anche un minidisco potrebbe distruggerla senza troppi problemi.
– Non avevate fornito a Naida quelle bombe ad alto potenziale? – insisté Zuril.
– Sì, ma si tratta di bombe a mano, non possono essere lanciate dalla nave. Ti stai preoccupando per niente.
E tu, mio caro comandante, temo ti stia comportando con superficialità, si disse Zuril, che aveva l’abitudine di non trascurare nulla. Inquieto, continuò a guardare l’immagine di quell’astronave che sfrecciava nel cielo.
Qualcosa non gli tornava.


Con cautela, Actarus si rimise in piedi, sostenuto da Procton.
– Finalmente stai meglio! – esclamò Alcor.
– Actarus! Come ti senti? – chiese ansiosamente Venusia.
Actarus si guardò attorno, come cercando qualcuno; aggrottò la fronte: – Dov’è Naida?
Un improvviso silenzio cadde nella stanza. Actarus passò con lo sguardo dall’uno all’altro dei suoi amici; tutti e tre evitarono di guardarlo.
– Dov’è? – ripeté Actarus, teso.
– Ascoltami – cominciò Procton, mettendogli una mano sulla spalla.
– Non c’è – Actarus si liberò dal padre, mentre un orrendo sospetto si faceva strada in lui – Cos’ha fatto? Avevi detto… – si voltò verso Alcor – Avevi detto che si è sacrificata… sta andando contro i veghiani? Da sola?
Venusia scoppiò in pianto, e questa fu per lui la conferma ai suoi peggiori sospetti. Fece per slanciarsi verso la porta, ma aveva le gambe intorpidite, e fu più lento di quanto non avesse voluto.
– Actarus, fermati! – gridò Procton, tentando di trattenerlo per una manica – Sei ancora debole, non puoi…
– Padre, lasciami andare! – Actarus si divincolò, liberandosi senza difficoltà, e partì di corsa.


– Signore, quella nave sta puntando dritto sul mostro! – esclamò il primo ufficiale.
– Usano contro di noi la nostra stessa nave – Hydargos si appoggiò allo schienale della sua poltrona – Dev’esserci quell’Alcor, ai comandi. Avrei preferito catturarlo vivo, ma temo che non ci lascerà molta scelta.
– Dobbiamo abbatterlo?
– Non subito. Mettetevi in contatto con lui e ordinategli di arrendersi. Ditegli che avrà salva la vita.
– Non possiamo farlo, signore – disse dopo un attimo l’addetto alle comunicazioni – Sulla nave, hanno chiuso tutti i canali.
– Lo attacchiamo? – chiese il primo ufficiale.
– Probabilmente Alcor non sa che quella nave ha le armi al minimo – rispose Hydargos – Lasciamogli la prima mossa. Quando vedrà che potrà fare ben poco contro di noi, magari accetterà di arrendersi; altrimenti, lo abbatteremo.


– È come temevo! – ringhiò Zuril.
– Di cosa stai parlando? – sbottò Gandal.
– Guarda: quella nave sta puntando dritta sul mostro!
– Non preoccuparti, Dari Dari non sarà nemmeno scalfito dal suo attacco.
– Proprio non capisci! – Zuril si voltò di scatto verso di lui – Quella nave non si limiterà a sparare con i suoi miseri cannoni laser… questo è un attacco suicida! Guarda, gli sta puntando direttamente addosso!
– Cosa? – Gandal osservò meglio l’immagine sullo schermo: la piccola nave stata dirigendosi direttamente contro l’enorme mostro, senza la minima esitazione – Non è possibile, Alcor non è tipo da…
– Non Alcor… Naida.
Stavolta lo stupore di Gandal fu tale da lasciarlo letteralmente senza parole. Esterrefatto, si voltò a guardare il collega che riprese, la voce sorda: – Sono pronto a scommettere quello che vuoi che è Naida a pilotare quella nave. Si getterà contro Dari Dari.
Gandal aprì il canale di comunicazione col mostro, ruggendo l’ordine di ripiegare.
– Sono praticamente sicuro che Naida abbia con sé le bombe che le sono rimaste – continuò Zuril, con collera repressa – Una sappiamo che è esplosa, ma le altre, messe assieme, provocheranno un disastro che distruggerà mostro, dischi, tutto. – si volse verso Gandal che continuava a dare l’ordine di ripiego: – È troppo tardi, la nave di Naida è troppo vicina. Se anche venisse distrutta, mostro e dischi resteranno coinvolti nello scoppio.
Gandal cambiò rapidamente canale, si mise in comunicazione con l’astronave di Hydargos, che rimasta indietro seguiva il gruppo ad una certa distanza: – Ripiegare immediatamente!
– Cosa? – sul monitor apparve il viso stupefatto di Hydargos.
– È un ordine! – esclamò Gandal, in tono che non ammetteva repliche – Ritirati subito! Su quella nave c’è Naida che sta tentando un attacco suicida!
– Naida?! – talmente sbalordito da restare senza fiato, Hydargos si volse a guardare attraverso il proprio schermo la nave che puntava dritta sul mostro; fu proprio allora che vide anche qualcos’altro apparire tra le nuvole: – Goldrake… ma come…?
– Ritirati! – ripeté Gandal, reciso; e Hydargos, quasi senza rendersene conto, fece cenno al suo primo ufficiale di obbedire.
Il grande disco violaceo decelerò virando bruscamente: una manovra azzardata che solo la perizia dei piloti portò felicemente a termine. Totalmente incapace di reagire, Hydargos continuava a fissare la piccola nave che s’avvicinava al mostro… s’avvicinava sempre più…
Naida, non farlo… NON FARLO!


– Naida! No! – Actarus spinse la velocità del robot al massimo consentitogli, ma era ancora distante, troppo distante… e la piccola nave era troppo vicina – Naida, ti prego, no!!!


– Naida, no! Naida!
La voce di Duke… era là, sul suo robot… dunque, si era ripreso! Stava bene!
Oh, Duke… allora sei tornato a combattere!
Naida sentì lacrime di gioia scenderle giù dalle guance, mentre continuava a dirigere la sua nave contro il mostro. Davanti a lei, una attaccata al vetro e le altre nel loro alloggiamento, le bombe attendevano, immobili e minacciose. Al primo impatto sarebbero esplose.
– Naida, ti prego, non farlo!
Naida spense la radio. Perdonami, Duke…
Guardò davanti a sé. Oltre il mostro ora scorgeva un’altra nave che riconobbe subito: era stato con quella che era giunta su Skarmoon… la nave di Hydargos. Dunque, anche lui era lì, anche lui stava vedendo ogni cosa. Con sollievo, constatò che era troppo distante per restare coinvolto nell’esplosione. Il pensiero che lui non sarebbe morto le diede un’irragionevole felicità: eppure, era un comandante nemico… ma era anche il padre di… del bambino…
La verità era sempre stata davanti ai suoi occhi; solo in quel momento la vide.
Amo anche lui!, realizzò improvvisamente. Ma come…?
Duke… Hydargos…
BASTA!!!
Con un singhiozzo, Naida si gettò sulle cloches spingendole con tutta la sua forza; l’astronave fece un brusco balzo in avanti.
Un boato, e il mondo scomparve in una vampata incandescente.


– Naida! Naida! – Actarus urlò disperatamente, continuando a ripetere quel nome, quasi avesse potuto richiamare a sé quella donna che fino a pochi istanti era stata viva… quella donna che aveva perduto, aveva ritrovato ed ora aveva perso per sempre. Non sarebbe mai tornata, stavolta.
Balzò in piedi, battendo disperatamente i pugni contro il vetro della cabina di pilotaggio, gli occhi fissi sulla massa infuocata che stava precipitando a terra. Si strappò di testa l’elmo e lo gettò di lato, incurante delle lacrime che gli scorrevano per il viso.
Lei si era sacrificata per lui, per sottrarlo alla morte; l’avrebbe ripagata combattendo contro quei mostri di Vega, respingendo i loro attacchi, non dando loro tregua. Solo così avrebbe potuto dare un senso al sacrificio di lei, che pagando il più alto dei prezzi gli aveva donato la salvezza.
Sapeva che sarebbe stato giusto così… che Naida stessa avrebbe voluto questo…
In quel momento, non poteva fare altro che piangere.


L’esplosione illuminò improvvisamente il grande schermo della sala comando; poi non rimase che una scia di fuoco che piombava sulla Terra. Un’alta colonna di fumo si levò dai rottami contorti di quella che fino a pochi secondi prima era stata un’astronave. Contro il cielo arrossato, la sagoma di Goldrake spiccava, scura e solitaria.
E così, tu ti sei salvato. C’era da aspettarselo.
Hydargos fece una smorfia, guardando la nave del suo eterno nemico. L’unica cosa che lo facesse sentire bene era il pensiero di quanto stesse soffrendo anche Duke, in quel momento… perché lei non c’era più.
Non c’era più niente da vedere, ormai. Era finita.
Dato brevemente l’ordine di rientro su Skarmoon, Hydargos si alzò dalla sua postazione, lasciando il comando al suo primo ufficiale.
Si drizzò nella persona. S’aggiustò il mantello. Uscì nel corridoio senza guardare nessuno.
Orgogliosamente eretto, spalle dritte, raggiunse la propria cabina personale e vi si chiuse dentro.
Sedette, e con mano fermissima si versò da bere.


Le porte si chiusero dietro alle sue spalle; in silenzio, Zuril si diresse verso la solitaria figura seduta alla consolle del computer.
Hydargos non alzò la testa, non disse nulla. Continuò a guardare senza vederle le immagini che si susseguivano sul suo monitor. L’astronave che sfrecciava, lo schianto, l’esplosione, il cielo rosso… la silhouette di Goldrake. Poi daccapo: ancora l’astronave che sfrecciava, lo schianto…
Zuril si pose al suo fianco, ma il Comandante di Vega non lo degnò di uno sguardo. Sul tavolo vicino alla consolle, una coppa e una bottiglia vuota. L’odore del liquore era perfettamente percepibile.
Per un poco tacquero entrambi, ciascuno incapace di cominciare; naturalmente, fu Hydargos a cedere. Con un gesto di stizza arrestò il filmato e posò il mento sui pugni chiusi, evitando di guardare il collega: – Naida è morta.
– Lo so – Zuril esitò: non era nella sua natura mostrarsi espansivo – Io… mi spiace molto. Non avrei mai voluto che finisse così.
– Era solo una schiava – Hydargos parlava muovendo appena le labbra, gli occhi fissi sul monitor – Solo una schiava.
A chi vuoi darla ad intendere? – Certo. Capisco.
Nuovo silenzio. Pesantissimo.
Stavolta fu Zuril a cedere e parlare per primo: – Io… se posso fare qualcosa per te…
Hai già fatto abbastanza. – Sì – per la prima volta in quel dialogo, Hydargos lo fissò dritto in viso – Puoi lasciarmi solo.
Zuril si tirò indietro come se fosse stato colpito da una frustata: – Come… come vuoi.
Ostile e remoto, Hydargos si chinò nuovamente sul suo monitor, indicando chiaramente come per lui quella conversazione fosse terminata. Zuril fece per uscire, si fermò un ultimo istante sulla porta, come se avesse dovuto dirgli qualcosa… ma qualsiasi parola sarebbe stata ormai inutile, ridicola. Lui non avrebbe ascoltato.
Zuril scosse lievemente la testa ed uscì.
Hydargos non se ne accorse neppure.


Epilogo

Nel chiuso del suo studio privato, Hydargos sedette alla scrivania; poi prese in mano il plico che tempo prima aveva affidato a Gandal e che si era appena fatto restituire.
Tutto inutile, ormai.
Spezzò i sigilli e rovesciò il contenuto sul piano del tavolo.
Il contratto d’acquisto di Naida… l’atto con cui l’aveva affrancata dalla schiavitù… i documenti che la rendevano una libera cittadina di Vega.
Hydargos guardò oltre: altre carte che attestavano i suoi beni, con un elenco completo, e infine la transazione con cui, alla sua morte, ogni suo avere sarebbe divenuto proprietà di Naida. Poi c’erano i dischi su cui erano riportate le copie degli atti, le registrazioni ufficiali, tutto.
Se lui fosse morto, Naida sarebbe stata una donna libera e ricca. Nessun altro uomo avrebbe potuto accampare diritti su di lei.
Naida non l’aveva mai saputo: tante volte Hydargos aveva tentato di dirglielo, arrestato dal timore di ciò che le avrebbe letto nello sguardo… speranza, avidità…?
Hydargos serrò le mascelle: e se invece avesse visto il dolore negli occhi di Naida all’idea della sua morte? Sarebbe riuscito, lui, a continuare a combattere in prima persona e rischiare ancora la vita com’era suo dovere?
Domande inutili, si disse. Inutili e tardive. È finita, lei è morta. Lei e… il bambino…
Hydargos parve raggelarsi, farsi di roccia.
Basta così.
Con gesti misurati e precisi, batté il bordo del fascio di carte per compattarle, prima di gettarle nel distruttore: gli scritti sarebbero scomparsi, la carta riciclata. Non c’era posto per lo spreco, su Skarmoon.
Prese i dischi e li inserì nel computer, dando l’ordine di cancellarne i dati e riformattarli.
Si guardò nervosamente attorno. Il suo alloggio appariva ora silenzioso, così vuoto e freddo; non era più un piacere tornarvi, ed era insopportabile restare.
S’alzò ed uscì, il viso di pietra e con nel petto l’inferno.


Tutt’attorno a lui, le stelle splendevano, remote e bellissime.
L’ultima volta che era salito nell’osservatorio, c’era anche lei. Ricordava bene come s’era spaventata davanti allo spettacolo dello spazio infinito; poi s’era calmata, e avevano parlato assieme.
Era sempre stato così, tra loro: lei aveva avuto molta paura, all’inizio, e poi si era rilassata, si era abituata. Avevano diviso la quotidianità, avevano chiacchierato, ascoltato musica… lui le aveva insegnato a volare, Naida gli aveva insegnato ad avere fiducia in lei.
Mai, in tutta la sua vita, Hydargos era stato bene con qualcuno quanto lo era stato con Naida.
Quante volte si era chiesto cosa provasse veramente lei, nei suoi confronti? Quante volte avrebbe voluto chiedere, e s’era arrestato per il timore di essere ridicolo, o peggio, col terrore che lei gli ridesse in faccia, o lo guardasse con odio, o assumesse un’espressione ipocrita?
Quante volte era veramente stato sicuro che Naida provasse qualcosa, almeno un minimo d’affetto, di gratitudine?
Eppure, all’ultimo istante, lei si era scagliata contro Vega… contro di lui.
In realtà, Naida non era mai stata sua.
Hydargos strinse i pugni serrando le mascelle, mentre la consapevolezza si faceva strada lentamente in lui. Naida era stata solo la sua schiava. Nient’altro.
Però… quell’ultima notte… il bacio d’addio che si erano scambiati… possibile…?
Non lo saprò mai, si disse, battendo il pugno contro una parete. Non capisco! Sono un guerriero, io, non un dannato psicologo!
Guardò con rancore quel meraviglioso pianeta che non era riuscito a conquistare… la Terra. La Terra, su cui viveva il maledetto Duke Fleed… la sua disperazione, la sua nemesi. Tutta la sua vita era stata rovinata, distrutta da quel mortale, implacabile nemico.
Mi sei costato maledettamente caro, Duke Fleed. La mia donna. Mio figlio. Ora sto per giocarmi la carriera. E per cosa, poi? Solo fallimenti.
Hydargos alzò orgogliosamente il mento.
Ormai non aveva più nulla da perdere, a parte la sua stessa vita.
Va bene, Duke Fleed. Mi hai portato via tutto. Mi hai sconfitto coprendomi di ridicolo davanti tutta Vega, al punto che alla prossima battaglia non potrò tornare se non vincitore.
Mi hai messo con le spalle al muro; te la farò pagare. Ti attaccherò come non ho mai fatto, e non avrò alcuno scrupolo, né per te, né per i tuoi aiutanti, né per quegli stupidi terrestri che ti ostini a difendere.
Se mai ci troveremo ad essere tu ed io, l’uno contro l’altro, ti converrà combattere senza pietà, perché io non ne avrò per te. Mi hai tolto tutto: prenditi anche la mia vita, se ti riesce.
E ch’io sia dannato se non ti trascinerò con me all’inferno.


FINE






:\Documents and Settings\chiara\Documenti\Album personali\Racconti brevi\Racconti seri\Il tempo perduto.doc


Download attachment
Il_tempo_perduto.doc ( Number of downloads: 19 )

 
Top
309 replies since 31/7/2008, 20:27   34071 views
  Share