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HARIS VON HAYESER's FICTION GALLERY, Lavori brevi e one shot

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view post Posted on 23/6/2010, 16:44     +1   -1

Filologo della Girella

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Bien, apro questo thread per stiparci dentro i miei deliri brevi, in modo da non creare infiltrazioni nella fic su Neo Getter Robot (che faccio un po' fatica a riprendere, ultimamente... :29784128hj5.gif: ).

Inauguro con una cosina (tirate un po' a indovinare su cosa? :asd: ) in due capitoli, su come possa essere stata, per Ryoma, la notte successiva al sacrificio di Musashi.

Se dovessero esserci dei punti un po' nebulosi, chiedete pure :) !

A presto e buona lettura! :getta:

Haris

P.S.: per i commenti e le domande relativi a questo thread, andate pure qui:
https://gonagai.forumfree.it/?t=48964627

Grazie ^^

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Few hours later



È notta fonda, ma la finestra è ancora aperta.

La luce velata della luna entra nella stanza, finendo sul letto aggiunto più di recente, quello le cui coperte rimarranno perfettamente tirate e in ordine anche nei giorni e nelle notti a venire.

Nella camera non c'è nessuno tranne lui.

Se ne sta seduto sul pavimento, con le gambe raccolte sul petto e le braccia strette attorno alle ginocchia. I piedi, a contatto col pavimento freddo, sono nudi. Il gelo che gli risale negli arti inferiori, per quel che lo riguarda, potrebbe benissimo essere un problema di qualcun'altro.

Lo avverte lontanamente in virtù del senso del tatto, ma il suo cervello non lo registra.

I resti sfatti delle bende che gli hanno cambiato solo il giorno prima al Policlinico sembrano ustionargli la carne del viso come acido. Preso dalla rabbia, le afferra e se le strappa di dosso, con una smorfia simile ad un ringhio, che gli ricorda la posizione di ognuna delle cicatrici sul suo volto.
Quella del labbro inferiore, in particolare, riprende a sanguinare, seppure molto lentamente; con le grida e il pianto disperato di quella mattina si è riaperta, e con quel movimento l'ha risvegliata.

Si passa distrattamente il dorso della mano destra sulla ferita. Il sangue lascia traccia sul viso e la nocca, asciugandosi quasi subito: già quando il braccio torna nella posizione di partenza, la sensazione di umidità è scomparsa.

Peccato che il dolore e il senso di colpa non siano così veloci a disseccarsi.

Stringe forte gli occhi, cercando di trattenere le lacrime che sente riaffacciarsi alle palpebre gonfie, e a quelle che già si trovavano lì non resta che rimanere intrappolate fra le ciglia. La fronte scivola lentamente sulle ginocchia, finché il mento non tocca il petto duro di muscoli, lo sguardo perso sulla mattonella immediatamente di fronte al suo piede destro, mentre la realtà delle cose gli ripiomba addosso come un camion che faccia due o tre volte avanti e indietro sopra il cadavere di un gatto investito: se lui non avesse spento il cervello e deciso di fare l'eroe nel momento sbagliato, non sarebbe stato catturato dagli Oni, non ne avrebbe avuto la memoria azzerata e non avrebbe lasciato Musashi andare in guerra da solo a morire!

Il vecchio Saotome lo aveva cercato, dopo l'accaduto, trovandolo inginocchiato in mezzo a quella desolazione che era diventata la zona ai piedi del Monte Asama in seguito al primo ed ultimo massiccio attacco degli eserciti di Mechasaurus di Gore, mentre teneva stretta quell'assurda protezione da kendo che Musashi aveva iniziato ad indossare al posto della tuta, singhiozzando come un bambino.
Gli aveva detto che non aveva colpa, che quello che era successo non era una conseguenza dell'incidente in cui era rimasta coinvolta la Eagle con lui a bordo, che era stata un'idea di Musashi per far guadagnare ai tecnici del Centro il tempo necessario a completare il nuovo Getter, e che, se anche fosse stato in condizioni di combattere, il pilota della Bear non lo avrebbe comunque coinvolto.
“Non ha voluto che ne parlassi con nessuno”, aveva continuato il Professore, mettendogli una mano sulla spalla; “Ha fatto una follia, ma una follia necessaria e calcolata... Non fartene una colpa, Ryo.”

Ricorda di aver udito il discorso, ricorda la sensazione, vaga e lontana, di calore fisico che il contatto con la mano del vecchio gli aveva procurato, ma in quel momento, per il ragazzo, le parole pronunciate dallo scienziato non avevano la minima aderenza al giapponese...

Il violento brivido di freddo che gli attraversa la schiena lo costringe a scuotersi da quella situazione di torpore mentale e ad alzarsi in piedi. Ognuno dei muscoli del suo corpo, sebbene allenati dalla pratica del “karate secondo Ichigan” da prima ancora di quanto lui stesso possa ricordare, sono rigidi e rallentati nelle risposte. Il polpaccio e il piede sinistri sembrano essere appena al di qua della soglia del crampo, cosa che gli procura un'andatura leggermente claudicante e un'espressione di seccata insofferenza sul viso, ottima per mascherare momentaneamente la tristezza e la rabbia caustica che prova.
Stringendosi nelle spalle, si avvicina alla finestra, mentre l'aria fredda continua ad entrare e a finirgli sui piedi...

- Assurdo, come a maggio inoltrato faccia ancora tutto 'sto freddo... - borbotta a mezza bocca, più per distogliere la mente dal pensiero di Musashi che per un'effettiva necessità di comunicare al vuoto della stanza una sua impressione sulla temperatura fuori stagione.

Fa per chiudere lentamente le ante, ma si rende conto che, più i telai si avvicinano, più il suo malessere aumenta, come se non trovasse più uno sfogo... non c'è una spiegazione razionale, a questo, ma è così.
Rimane immobile per qualche istante, con le mani sull'infisso, quasi a chiedersi se alla fine non valga la pena morire di freddo, pur di alleviare, per quanto possibile, quella sensazione opprimente... Alla fine, prende la sua decisione.

Chiude la finestra con un gesto deciso e si volta verso l'armadio.

Tira fuori un vecchio paio di jeans un po' sbiaditi, una maglietta a maniche corte di un rosso cupo e una felpa di pile nera con cappuccio, e in breve si cambia. Si ferma anche accanto al cassettone per prendere un paio di calzini, e infilandoli prende finalmente coscienza del fatto che i suoi piedi hanno raggiunto la temperatura del marmo; se avesse la testa libera da altri pensieri di maggior gravità, sarebbe seccato dal bruciore insistente che inizia a sentire in fondo alla trachea.

Recupera dal comodino accanto al suo letto il piccolo mazzo di chiavi che comprende quella della porta della terrazza, e quando arriva sulla soglia della camera, infila le scarpe da ginnastica allacciandole con un nodo semplice, tira su la zip della felpa e si dirige all'ascensore... salvo poi ripensarci e deviare per le scale: se rischia una crisi di claustrofobia dentro una camera da letto con una superficie di venticinque metri quadri, dentro a quella cabina angusta finirebbe con lo sfondare le pareti a testate, urlando maledizioni in lingue sconosciute. Sono pur sempre le due di notte, meglio non dare spettacolo.
Fa i gradini a due a due, quasi a compensare l'immobilità in cui ha ristagnato praticamente per tutto il giorno, ma l'unico risultato che ottiene è quello di far formicolare terribilmente i piedi nel giro di una ventina di pedate... come al solito, la sboronaggine non paga...
Se non altro è un buon segno: il sangue riesce ancora a farsi strada all'interno dei capillari congelati, solo un minuto prima non c'avrebbe scommesso un soldo...

“Eh eh eh! Ryo, è un vero peccato che non si sia scommessa la possibilità di chiedere un appuntamento a Michiru, avrei vinto di sicuro! Ahahahah!!”

Si pianta sulle scale con gli occhi sbarrati, lo sguardo fisso di fronte a sé, letteralmente esterrefatto. Lo stupore sul suo volto non si potrebbe incidere in maniera più profonda.

Per un folle istante avrebbe giurato di sentire la voce di Musashi.

Volta la testa indietro di scatto, stringendo il corrimano con una tale forza da far sbiancare le nocche della mano sinistra. Le uniche fonti di illuminazione sono quelle date dalle luci d'emergenza disseminate lungo il corridoio, che comunque non aiutano granché... la luce bluastra che emanano non ha un grande raggio e si esaurisce nel diametro di mezzo metro, lasciando una certa zona d'ombra tra un neon e l'altro.
Ryoma Nagare resta impalato in mezzo alla rampa, voltandosi completamente. Il cuore gli batte più velocemente, e non per la salita...
Ha paura di chiamare quel nome che gli sale alle labbra, ma che è l'unico che in quell'istante distorto reputa plausibile; non ha mai dato alcun peso alle favolette sui fantasmi, ma in quel momento, qualche piega del suo cervello si chiede se non avesse fatto meglio a prestar loro più attenzione, quando ne aveva la possibilità....

- Mu... Musashi?... - sussurra infine al corridoio deserto.


continua...



Edited by Haris von Hayeser - 2/8/2010, 23:20
 
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view post Posted on 25/6/2010, 21:53     +1   -1

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Silenzio.

Un respiro gli resta bloccato a metà per pochi istanti, prima di realizzare che dietro di lui non c'è proprio nessuno. Scuote la testa, pensando che depressione, rabbia, senso di colpa tracimante e mancanza di sonno non sono un mix consigliabile per chi vuole evitare di avere paranoie, ed è sul punto di proseguire, quando...
… un verso acuto, simile al grido furioso di un gatto, è l'ultima cosa che desidera sentire. Un suono strozzato gli esce dalla gola, mentre indietreggia di un passo, salendo un altro gradino... e nello scorgere un'ombra bianca sbucare da dietro l'angolo in fondo al corridoio, e il grido farsi più forte, è quasi sul punto di farsela addosso.

La chiazza si ferma, di colpo silenziosa, e il ragazzo si sente il suo sguardo addosso. Il battito gli si è spostato dal petto alla gola, e la morsa gelida di puro terrore che gli attanaglia la base della schiena si fa sempre più spietata...

La cosa produce ancora quel rumore che ora, grazie alla minore eco rispetto a quello che si trova nell'intersezione dei due corridoi, sembra essere...

- Una... pallina sonora? - dice d'un fiato, inarcando il sopracciglio destro.

Se si tratta di quello che ora pensa che possa essere, allora i tempi sono maturi perché lo portino via con la camicia di forza...

- Robot? - la sua voce suona ancora piuttosto nervosa, anche se la possibilità che si tratti del cane di Genki è decisamente meno assurda rispetto alla presenza del fantasma di Musashi fra quelle mura.

La creatura gli corre incontro, passando in uno dei coni di luce sul pavimento, e infatti ecco apparire il grosso meticcio bianco che scodinzola come un matto, facendo vorticare la coda arcuata nella foga data dalla felicità di vedere qualcuno con cui giocare a quell'ora di notte.

Le gambe del ragazzo cedono, e lui si ritrova a sedersi sul gradino cacciando un sospiro di sollievo che gli viene dal più profondo dei polmoni. Tiene ancora stretta la barra del corrimano, ma ogni altra sua articolazione sembra essere diventata molle di colpo.
Porta avanti il busto e chiude gli occhi, passandosi la mano sinistra sulla fronte e lasciandosi scappare un mezzo sorriso nel constatare che si è fatto prender dal panico per quei quaranta chili di cane che ora gli stanno finendo addosso a mo' di valanga... deve avere i nervi ben più disintegrati di quanto si fosse reso conto, per aver avuto quella reazione... ad ogni modo, adesso farà meglio a prepararsi a fermarne la corsa, visto che gli è ormai arrivato a trenta centimetri dalle ginocchia e sta per saltargli in braccio.

- Robot, NO!... - ammonisce con voce bassa ma ferma, portando in avanti la mano aperta verso il muso del cagnone, nello stesso modo che aveva mostrato a Genki e che aveva portato ottimi risultati durante l'addestramento... solo che ora Robot non ha nessuna voglia di fare il bravo: segue il movimento, ma poi afferra giocosamente la manica della felpa di Ryoma e inizia a strattonare, come se volesse giocare al tiro alla fune.
Un leggero sorriso appare sulle labbra del ragazzo, che dopo un breve momento risponde al gioco, portando con una mossa secca l'avambraccio verso di sé.
Questo per Robot è un invito a nozze: tira ancora più forte, puntando le zampe anteriori e sedendosi sui gradini sottostanti, per dare maggiore potenza ai suoi strattoni, accompagnando ogni centimetro guadagnato con un breve suono che pare una via di mezzo tra un ringhio e un compiaciuto grufolìo di gioia. Ryo lo incita a bassa voce, prendendolo in giro e stuzzicandolo, rispondendo ai versi divertiti del cane con i medesimi suoni, distraendolo con la pallina quel tanto che basta per fargli aprire la bocca, sottrargli la felpa dalle fauci e ricominciare il gioco da capo.

Dopo circa un quarto d'ora di quel tira e molla, Ryoma lascia cadere la sfida: se c'è una creatura più tenace di lui, sulla faccia della Terra, quella è il cane di Genki Saotome, e a dargli troppa corda si rischia di essere monopolizzati a vita... c'è un solo modo per farlo desistere: fargli perdere interesse nella preda. Rallenta il movimento del braccio fino a lasciarlo inerte in balìa dell'animale, che seguita ancora per un po' a tirare e ringhiare sommessamente, ma con sempre minore convinzione, man mano che va avanti senza ottenere una reazione da parte del ragazzo.

Robot sembra esserci rimasto male, e lo guarda uggiolando, mettendogli più volte la zampa sulla coscia per invitarlo a continuare il gioco; Ryo, per tutta risposta, gli gratta l'orecchio, dicendogli: - No, bello, adesso basta. - .
Il grosso cane, sebbene riluttante, capisce che il momento del gioco è finito, e con un breve mugolìo di dissenso mette giù le zampe, guardando il ragazzo con uno sguardo che sembra dire “Mi hai profondamente deluso”.
Sulle labbra del giovane appare un sorriso aperto e spontaneo quando, un momento dopo, tira fuori la pallina da dietro la schiena con la mano libera e la mostra al cagnone.
– Stavo andando di sopra, vieni anche tu? -
La frase è pronunciata a voce molto bassa, e viene quasi del tutto coperta dal rumore della coda che ricomincia a muoversi freneticamente sul gradino, ma Robot non ha bisogno di affidarsi alle parole per capire che quello che s'era appena interrotto era solo un assaggio: il gioco vero e proprio deve ancora cominciare!
Si alzano in piedi contemporaneamente, Ryo dandosi delle pacche sul retro dei jeans per scrollare via la polvere e Robot girandogli attorno, fremente d'impazienza. L' “Andiamo” e la scompigliata al pelo della groppa sono il segnale: in breve percorrono le poche rampe che li separano dall'ultimo piano, e arrivano alla porta della terrazza.

Una volta girata la chiave, la porta anti-panico si apre con uno scatto morbido, e i due vengono accolti da una ventata d'aria fredda. Il ragazzo si stringe nelle spalle, rabbrividendo e mormorando un – Che freeee-ddoo... - fra i denti, ma il cane non ha di questi problemi: salta fuori, fa un giro veloce del perimetro con la coda che gli ondeggia sopra la schiena, annusa il tavolino e un paio di sedie al centro dello spiazzo, rivolgendo poi lo sguardo ridente verso Ryoma che, riavutosi dall'impatto con l'esterno, oltrepassa la porta lanciando la palla contro la parte bassa della parete. Il rimbalzo finisce dritto tra le zampe di Robot, che facendo con un mezzo giro su se stesso l'afferra tra i denti, stringendola ripetutamente per cavargli quel suono che lo diverte tanto... e che, Ryo lo nota solo ora, gli fa sempre volgere lo sguardo alla porta, come se il kwee-koooo della pallina fosse un segnale, un richiamo per qualcuno che ancora non si vede arriva...

La cosa lo fredda come una secchiata d'acqua gelida.

Robot sta chiamando Musashi.

Avverte un'enorme stretta al cuore, nel rendersi conto che quel cane, già da quando si è fatto vivo nel corridoio, sta cercando il suo amico grassoccio che non tornerà più.

Non è il tipo che si auto-definisce “commosso”, ma certo il comportamento dello sconclusionato bastardino che gli sta davanti non lo lascia indifferente.

Poggia un ginocchio a terra, batte piano le mani portandole avanti verso l'animale, chiamandolo. Robot trotterella verso di lui, sistemando meglio la pallina fra le mandibole, mandandola un attimo in aria e riprendendola al volo; non appena gli arriva a tiro, Ryoma lo abbraccia, con un sorriso triste sul volto, sussurrando:
- Allora quando Musashi spariva per ore era qua che veniva, eh? A giocare con te... - affonda il viso nel manto corto e folto, mentre il cane lascia cadere la palla e inizia a lisciargli il lato del collo, cercando di arrivargli alla guancia e al naso, - Mi sa che dovrò pensarci io, da adesso in poi. - conclude, arruffandogli nuovamente il pelo...

Gli sembra di sentire di nuovo la voce dell'amico, in mezzo a quel silenzio...
“Pare proprio di sì, Ryo... Mi dispiace lasciare a te e a Hayato tutte queste cose da fare, ma so che sono in ottime mani. Sono certo che riuscirete a star dietro a tutto, dalla salvezza del mondo fino all'oretta di gioco con Robot. E poi, se sgarrate verrò a tirarvi i piedi mentre dormite, perciò... se fossi in voi, questa minaccia me la farei bastare!”
“Oh, Dio! Se la metti su questo piano, non ci dài scelta.” risponde mentalmente il ragazzo, con un sorriso un po' meno triste.

- Vai tranquillo, Musashi. Qui ci pensiamo noi. -

Pronuncia queste ultime parole alzando il viso e guardando il cielo, gli occhi scuri ancora leggermente gonfi, ma finalmente sereni.

“Addio, amico.”


Fine



Edited by Haris von Hayeser - 26/6/2010, 18:36
 
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E in attesa dei bei lavoretti per la Cronologia e del secondo capitolo della fic su Neo Getter, ecco lo "Sproloquio numero due" con aggiornamento assolutamente casuale!
Buona lettura ^^!!

Haris :getta:



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Starry, starry night


- Un convegno, hai detto? -

Ryoma, appoggiato con la spalla allo stipite della porta, guardò con aria interrogativa Hayato che sistemava le ultime cose nella valigia leggera che teneva aperta sopra il letto. Con un gesto automatico, tirò via la linguetta d'alluminio della lattina di aranciata ghiacciata che teneva nella sinistra, in attesa della risposta. Strano che non ne avesse avuto notizia prima: in genere bastava che Saotome fosse impegnato in una telefonata anche solo per confermare la prenotazione dell'albergo, che col timbro di voce imperioso che si ritrovava, tutto lo staff del Centro Ricerche avrebbe seguito gioco forza tutta la conversazione fatta da quel capo della linea.

Continuando a preparare il suo bagaglio dando le spalle al collega, Hayato rispose col consueto tono che un orecchio meno allenato non avrebbe esitato a definire freddo, ma che ormai Ryoma, Musashi e chiunque nella base avesse avuto modo di lavorare con quel ragazzo dalla statura svettante e il viso allungato sapevano riconoscere come “calmo”:

- Sì, esatto. Il Professore è stato invitato ad una conferenza sulle nuove tecnologie per lo sviluppo sostenibile, ed io... - concluse, facendo scattare la chiusura della valigia e sollevandola con una sola mano - lo accompagno -.

- A-ah, ok. E quant'è che starete via? - domanda buttata lì, come una semplice curiosità.

- Due giorni, massimo tre. Il prof. non vuole trattenersi oltre il necessario, la ragione ufficiale è che non vuole stare troppo tempo lontano dal Centro Ricerche, ma il motivo vero lo sanno pure i pavimenti, qua dentro... -

Sorrisero, nello stesso momento, senza nemmeno guardarsi in faccia. Lo sbuffo divertito che entrambi si lasciarono scappare dal naso fu contemporaneo quanto le frasi che sfuggirono loro di bocca:

- Orso è nato e orso morirà. -

- Chi nasce tondo, non può morire quadrato.


La risata che seguì sembrò allontanarsi sempre di più dalle sue percezioni sensoriali, venendo lentamente soppiantata dalla voce argentina di Michiru che lo chiamava e dalla gentile scrollata alla spalla destra che la ragazza, dopo un inizio quasi delicato, stava iniziando a incrementare con lenta ma ferma decisione:

- Ryo? Ryoma? Svegliati, mi sa che siamo arrivati. È qui che dobbiamo scendere, vero? - i grandi occhi scuri di lei gli sbirciarono il volto, ancora ammiccante a causa della sacrosanta dormita che s'era fatto in treno, con una vaga aria di divertimento, mentre un sorriso a metà strada tra la comprensione e la tenerezza le illuminò per un istante il viso... o almeno, questo fu quello che parve a lui, visto che nel breve tempo di una stiracchiata discreta, il sorriso della ragazza sembrò esser tornato il solito: amichevole e dolce, sì, ma senza particolari segni di complicità.

Qualche angolo del suo cervello fu quasi sul punto di formulare un “Peccato”.

Guardò fuori dal finestrino, sentendosi quasi risucchiare gli ultimi mesi da sotto i piedi, alla vista del cartello col nome della stazione.

- Sì, - disse infine, dopo una pausa. La voce gli rimase impigliata in gola, dandogli quello che risultava, venendo da lui, uno strano afflato d'esitazione, - siamo arrivati -.

In quel momento si chiese, con un senso d'inquietudine alla bocca dello stomaco, che cosa avrebbe trovato, entrando a casa sua: era da quando Saotome lo aveva praticamente tirato via di peso dalla vita randagia in cui stava per infognarsi in seguito alla morte di suo padre, che non ci metteva più piede, e già allora non si poteva certo dire che non ci piovesse dentro... e non si trattava di un eufemismo o di un'ironia, quel posto aveva finito per stare davvero in piedi con lo sputo, ormai, e dopo tutte quelle piogge ininterrotte si sarebbe già potuto gridare al miracolo se si fossero trovate due tegole che ancora si ostinavano a starsene l'una attaccata all'altra!

Più pensava a quello a cui sarebbe andato incontro durante quella giornata, più la gratitudine che provava nei confronti di Michiru cresceva. Avrebbe anche potuto non dichiararlo mai ad anima viva e portarsi dietro la sensazione di quell'istante come il suo segreto nella tomba, ma il pensiero che ci fosse qualcuno con lui, ad affrontare quel viaggio, lo confortava . Lo confortava davvero.

Recuperò il borsone leggero dalla cappelliera sopra il suo posto e si diresse verso la ragazza, che lo aspettava pazientemente sulla porta dello scompartimento.


continua

 
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Quando scesero dal treno, Ryoma si accorse che il cielo sopra la stazione era plumbeo, e si lasciò scappare un principio di imprecazione, quando le prime gocce di pioggia iniziarono a fiorire sulla pavimentazione del marciapiede accanto al binario: di lì a poco avrebbe ricominciato a diluviare, e il leader della squadra di piloti posta ad ultimo baluardo dell'umanità contro la minaccia dei Rettili si sarebbe infradiciato come un micino randagio, perché s'era dimenticato l'ombrello vicino alla porta. Se non altro, l'ombrello era al sicuro, ben protetto da qualsiasi contatto, anche accidentale, con qualsivoglia liquido... questa storia aveva del ridicolo...
Si battè il palmo della mano in piena faccia, coprendo l'espressione di spazientita rassegnazione che gli si materializzò sul volto: non temete, o probi del mondo! C'è qui il vigile Ryoma Nagare che veglia su di voi! Stavano tutti in una botte di ferro, niente da dire...

Certo che un “Idiota!” gridato da tutti i presenti ci sarebbe stato tutto, lo avrebbe incassato senza battere ciglio perché avrebbero avuto ragione!

Mentre questi pensieri edificanti gli si rincorrevano nella mente, un leggero spostamento dei capelli sul lato destro del capo attirò la sua attenzione. Volse lo sguardo in quella direzione, colto di sorpresa, e i suoi occhi incontrarono quelli di Michiru, che teneva il proprio ombrello ben alto sopra le loro teste, avvicinandosi molto al fianco di lui per potersi riparare meglio, e lo occhieggiò, sorridendo.
Ryoma non seppe dire con certezza se il frammento di brivido che gli percorse la schiena fosse dovuto all'improvvisa folata di vento freddo che arrivò loro da dietro o al crepitìo da miccetta in fase d'esplosione che avvertì nel petto quando la ragazza, nel portarsi più vicina a lui, gli sfiorò inavvertitamente il braccio con il seno, fatto sta che il suo corpo si irrigidì per un breve istante e il suo battito cardiaco aumentò leggermente... fortunatamente riuscì a non far trapelare più di tanto, e fu lieto del fatto che Michiru, nonostante tutto, sembrava non essersene accorta.

Cercando di distogliere l'attenzione dall'accaduto, il ragazzo la ringraziò con un mezzo sorriso che aveva ancora un che di imbarazzato... che però poteva essere dovuto benissimo al fatto di essersi ritrovato senza ombrello, quindi non c'erano prove compromettenti a suo carico.
Michiru, ridacchiando, affondò il coltello nella piaga giusto per gradire:

- Sapevo che te ne saresti dimenticato, per cui ho messo il mio in borsa ieri pomeriggio. Quando sei nervoso puoi trovarti di fronte un rinoceronte che lo travolgi senza neppure accorgertene, salvo poi chiederti cosa fosse quell'affare e tornare indietro a dare un'occhiata... e giusto perché è grosso! Un ombrello è ben al di sotto del tuo standard, quindi non preoccuparti: sei nella norma del momento. -
Lui le rivolse uno sguardo appena corrucciato, abbozzando un – Non è vero!.. - fintamente risentito, facendola ridere e dandole modo di rincarare la dose: - È inutile che ti nascondi dietro un dito, caro mio! Ormai ti conosco abbastanza bene, e come vedi la cosa è tornata utile anche a te: pensa se mi fossi fidata, saremmo stati costretti ad aspettare qui nella speranza che smettesse di piovere. - Fece una breve pausa, prima di concludere con un – Ma per fortuna, mio cavaliere, possiamo proseguire senza intoppi: da che parte dobbiamo andare? -

“ 'Mio cavaliere'?!”

Ok, era fatta. Adesso avvertì chiaramente di essere diventato dello stesso identico colore del cartellone della Coca-Cola che campeggiava sul muro della stazione dall'altra parte del sottopassaggio... E lei che lo fissava pure con quell'aria divertita!, ma porc...

Distolse lo sguardo, facendo finta di dover far mente locale per ricordare la strada da prendere, cercando nel frattempo di riprendere il controllo sul proprio imbarazzo, e dopo qualche secondo disse con voce lievemente più bassa del solito: - Appena usciti dalla stazione, bisogna prendere a destra per un centinaio di metri, dopodiché a sinistra per un buon chilometro e mezzo, pure un po' di più... Pensi di potercela fare? - le chiese infine, aggiustando la cinghia del borsone sulla spalla sinistra e guardandola di sottecchi. Il sorrisetto da carogna che aveva messo su sembrava suggerirle una sfida che lei non esitò a cogliere.

- Naturale! Allora, andiamo? -

Il sorriso deciso e l'aria di sussiego assunta da Michiru fecero dapprima sghignazzare e poi scoppiare a ridere Ryoma, e poco dopo la ragazza stessa iniziò a ridere. Il giovane sentì dissolversi un po' dell'ansia che gli serpeggiava nello stomaco come neve al sole; momenti simili fra loro erano più unici che rari: da quando si erano conosciuti avevano vissuto praticamente gomito a gomito, ma fra esercitazioni, test e rogne varie non avevano potuto passare più di qualche minuto al giorno insieme, se ci si aggiungeva anche il fatto che dentro al Centro Ricerche non ci si poteva muovere senza che si inciampasse in qualcuno, allora... ma in quel momento, Ryo volle lasciarsi andare a quella normalità che forse non aveva mai realmente conosciuto, e godersi quella risata fatta assieme a Michiru nata da un comunissimo scambio di battute, come succede alle persone normali.
Una volta calmatosi l'accesso di risa, i due ragazzi si diressero verso il sottopassaggio e l'uscita, con Michiru che chiedeva a Ryoma come fosse stata la sua vita prima di venir reclutato (“Oddio, 'reclutato'... Forse 'sequestrato' renderebbe meglio l'idea, comunque...” pensò allora Ryo, alzando per un istante gli occhi al cielo) da suo padre per guidare Getter, facendogli numerose domande e ascoltando le sue risposte con l'espressione di una gattina che studia un ramo particolarmente interessante. All'inizio, la ragazza aveva avuto timore di sembrare indiscreta, ma quando vide che lui non mostrava particolari reticenze a parlare, almeno fino a quel momento, si fece un po' più di coraggio e continuò a chiedere, stando ben attenta a non toccare sfere troppo personali... cosa che Ryoma apprezzò molto: il rispetto istintivo che Michiru mostrava per il prossimo era una delle caratteristiche che più gli piacevano di lei.

Quasi senza rendersene conto, si ritrovarono fuori dalla stazione. La pioggia stava aumentando d'intensità, e anche il vento aveva cominciato ad alzare i toni... se non si fossero dati una mossa sarebbero arrivati irrimediabilmente bagnati!
Un'idea passò velocemente per la mente di Ryo, che improvvisamente squadrò con occhio critico Michiru domandandole a bruciapelo: - Quanto pesi, più o meno? -. Michiru lo guardò con gli occhi sgranati, completamente spiazzata: era il suo turno di diventare paonazza! Giusto il tempo di assorbire un po' dell'assurdità della domanda, poi balbettò un – Cinquanta chili, circa... perché? - chiese di rimando, pensando di aver intuito quella che poteva essere l'idea avuta dal suo accompagnatore... “Ma non può seriamente pensare di... caspita, sono quasi due chilometri!, va bene che è allenato, però è sempre un suicidio!” pensò, vedendo il ragazzo che faceva passare la tracolla del borsone trasversale sul petto e le faceva cenno di passare dietro di lui. - Ryo, no, davvero, non ce n'è bisogno! Andiamo a piedi entrambi, non è il caso che mi porti tu, davvero, t'ho già detto che ce la faccio, dài... - Michiru, totalmente in imbarazzo, cercò di dissuadere il ragazzo dal suo proposito, ma lui chiarì subito la situazione, dicendole con un sorriso che lo stava facendo solo perché così avrebbero fatto più in fretta: - Avanti, andiamo, allora? - disse infine, poggiando un ginocchio a terra in modo che lei potesse salire agevolmente sulla sua schiena.
La giovane, di fronte a tanta testardaggine, si arrese, e salì sulla schiena del compagno, aggrappandosi alle spalle larghe di lui, l'ombrello tenuto in qualche modo fermo e in equilibrio stabile fra il suo braccio e la scapola sinistra dell'altro. Ryoma serrò meglio la presa delle braccia sulle gambe di Michiru, rivolgendole poi un – Pronta? - voltandosi appena verso di lei, con un sorriso così... spontaneo, e dolce, da non sembrare nemmeno possibile che venisse dalla stessa persona che in battaglia diventava quasi un animale da preda!



image

Ryoma Nagare & Michiru Saotome, artwork by Isotta72

Quel viso sorridente si impresse in lei senza che se ne rendesse minimamente conto.

Michiru annuì, con gli occhi che le brillavano. Ryo accentuò il sorriso, tornando poi a guardare di fronte a sé, rialzandosi in piedi: - Bene, allora... VIA! - disse forte e chiaro, iniziando a muoversi, prendendo velocità nella corsa a poco a poco. Il rumore delle scarpe da ginnastica che toccavano l'asfalto bagnato divenne sempre più ovattato, come il riso allegro dei due ragazzi che si allontanavano dalla stazione.


continua...



CREDITS: Un ringraziamento speciale a Isotta72 per il bellissimo disegno realizzato apposta per questo racconto. Qui il link alla sua gallery: https://gonagai.forumfree.it/?t=46055089
Grazie ancora, Iso! :inchino:

Edited by Haris von Hayeser - 22/8/2010, 18:18
 
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view post Posted on 21/8/2010, 22:40     +1   -1

Filologo della Girella

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La corsa veloce di Ryoma aveva dato i suoi frutti: s'erano lasciati alle spalle circa due terzi di strada, e in un tempo che a Michiru pareva essere anche piuttosto buono, per quel che se ne intendeva lei di atletica... solo che, arrivati a quel punto, il ragazzo dovette fermarsi a riprendere fiato. A malincuore (perché in fondo non gli dispiaceva affatto averla a così stretto contatto) fece scendere Michiru, allentando lentamente la presa sotto le sue ginocchia, permettendole così di tornare coi piedi per terra nel modo più delicato possibile. La ragazza gli si portò accanto, guardandolo con occhi un po' preoccupati, cercando di ripararlo come meglio poteva dalla pioggia che ormai, grazie soprattutto a quelle raffiche di vento che non accennavano a scemare, arrivava da tutte le direzioni quasi contemporaneamente, mentre lui portava il busto in avanti, ansante, e poggiava le mani sulle ginocchia per mantenere una posizione più o meno eretta.
Sfiorandogli la spalla con la punta delle dita, Michiru chiese dolcemente: - Ryo? Va tutto bene? -. Lui accennò un sorriso, guardandola con la coda dell'occhio e annuendo, salvo poi cercare di deglutire della saliva inesistente e ricominciare ad ansimare come il cane di Genki dopo una mattinata di gioco.
Michiru non fu affatto persuasa da quel sorriso labile, e decise di prendere l'iniziativa: dalla sua borsa tirò fuori una bottiglietta d'acqua ben fresca e la porse a Ryoma che, pian piano, stava riprendendo il controllo dei propri polmoni ed esalò un – Grazie! - tutto per lei.
Il ragazzo si rimise ben eretto e bevve, tre lunghi sorsi mandati giù con la testa appena reclinata all'indietro, gli occhi chiusi e il braccio destro rilassato lungo il fianco, apparentemente incurante della pioggia che lo colpiva incessantemente...

… E lei restò a guardarlo con un respiro rimastole a metà fra la gola e il petto, registrando inconsciamente ogni istante di quella breve sosta nel cervello e non solo...

Non era la prima volta che lo osservava e valutava secondo un metro esclusivamente e squisitamente femminile, sarebbe stato strano il contrario!, ma di sicuro questa era la prima volta che ciò accadeva in territorio neutro, dove non c'era alcun rischio che qualcuno saltasse su all'improvviso gridando “Ryo, corri! Mechasaurus in arrivo!” oppure “Sorelliiinaaaa? Dov'è la merenda?” o peggio ancora “Ah, siete qui. Com'è soli soletti, non è meglio che andiate di là con gli altri? Da bravi, state dove vi possa vedere, march!”, e quando Ryoma le restituì la bottiglia con sul volto quel sorriso che non gli aveva mai visto prima di quel giorno, qualcosa dentro di lei guizzò e le si diluì nel sangue, come la goccia di un qualche assurdo inchiostro elettrico in acqua.

Peccato che rendersi conto, con una frazione di secondo di ritardo, che lui l'aveva guardata mentre era immersa in quei pensieri la fece quasi sussultare... Santo Cielo, che figuraccia! Ci fosse stata una buca nell'asfalto, ci si sarebbe infilata senza pensarci due volte!

- Uuff, grazie davvero, mi ci voleva proprio! - disse lui, tornando ad osservare la strada. Aveva notato quella luce languida negli occhi della ragazza, ma preferì far finta di niente e lasciar cadere. Per quel che ne sapeva poteva anche essere mancanza di sonno, e mettersi a fare il figo con un significativo margine d'errore avrebbe potuto non valere la candela: mettiamo pure che si fosse messo a fare il piacione, se lei gli avesse risposto picche avrebbe fatto la seconda figura pessima da quella mattina, e il resto della giornata sarebbe stato insopportabile... naaa, meglio lasciare le cose come stavano. Inoltre, non è che ci volesse la sfera di cristallo, per capire che a lei piaceva Hayato: se ogni singola volta che quel ragazzo varcava la soglia partiva il cinguettìo, un motivo ci doveva pur essere; e gli rodeva, certo!, ma sapeva benissimo di non poterci fare nulla, per cui... “Almeno salviamo la faccia”.

… Se poi si voleva anche aggiungere che l'esimio professor Saotome, se lo avesse pescato a fare anche solo un accenno di corte alla sua piccola Michiru, gli avrebbe volentieri fatto fare la conoscenza di un tipo di fanciulla molto diversa nota con il nome di “Vergine di Norimberga”... Quasi riusciva a vederlo, mentre buttava via la chiave dopo avercelo rinchiuso dentro, totalmente sordo alle urla e alle suppliche che venivano dall'interno.

No, decisamente, era meglio lasciare tutto così.

Quasi a rimarcare anche con se stesso il fatto che non avrebbe incoraggiato in nessun modo ulteriori confidenze, si lasciò andare, con un sorrisetto scettico, ad una domanda suicida:

- Di' un po', ma sei sicura di pesare proprio cinquanta chili? -

Il viso di Michiru virò dal rosa acceso al porpora con la stessa velocità con cui la sua espressione passò dall'imbarazzato al furibondo al vendicativo, un attimo prima di rispondere con la sua artiglieria pesante, sfoggiando il sorriso più innocente del mondo, che però non le arrivò mai agli occhi:

- Certo, caro. Ma hai avuto delle difficoltà, Ryo? Sei fuori allenamento o ti sei solo infrollito parecchio? -

Ahia. Quando aveva quell'espressione significava che se l'era presa sul serio.
Ok, forse era il caso di fare marcia indietro: aveva esagerato e lei gli aveva risposto a tono, ma non credeva che se la sarebbe presa in quella maniera, sul serio... gli dispiacque di aver gestito la cosa in quel modo.
Probabilmente era questo che intendeva la sua maestra, quando gli diceva che era un po' troppo “tagliato con l'accetta”, già da quando aveva cinque anni.

Sospirò, cercando le parole giuste. Lei riportò l'ombrello sopra di sé e restò a fissarlo, con occhi duri... forse troppo, per l'effettiva gravità della situazione, ma che fecero comunque sentire Ryoma ancora più in colpa... ma aveva detto davvero una tale enormità da meritare d'essere fissato in quel modo?

A giudicare dalla sua reazione, evidentemente sì.

“Oh, beh. Non serve a nulla, stare a pensarci. Via il dente, via il dolore.” pensò. E così, prendendo fiato e facendosi coraggio, disse l'unica parola ragionevole che ci fosse da dire:

- Scusami. -

Parola che più che uscire sembrò evadere dalla sua bocca, tanto velocemente la pronunciò, ma che comunque riuscì ad essere udita da Michiru e a sortire un po' d'effetto: lo sguardo della ragazza si ammorbidì leggermente, anche se restò lì dov'era con la medesima postura sostenuta.

Incoraggiato dal fatto che lei non l'aveva ancora ricoperto di insulti, Ryoma continuò:

- Ho avuto un'uscita infelice, e mi dispiace. Non era mia intenzione offenderti, Michiru, davvero... anche perché non avresti motivo di... -

Ottimo, s'era bloccato un'altra volta! E che cavolo!

Lo sguardo di Michiru sembrava tornato lo stesso di sempre, anche se ancora un po' distaccato. Gli si avvicinò di un passo, guardandolo dritto negli occhi, esortandolo a finire la frase:

- Non avrei motivo di...?

- Di credere a battute del genere, perché... - tutto fuorché sbilanciarsi, tutto fuorché sbilanciarsi!! - Perché la verità ce l'hai sotto gli occhi, ecco perché! - disse in un soffio. Non poteva dare oltre, davvero.

La ragazza lo guardò, leggermente stupita. Poi il suo viso si addolcì, e i muscoli delle spalle persero quel tono rigido che le davano un'aria vagamente ostile, mentre tornava ad avvicinarglisi, riparandolo nuovamente col suo ombrello per poter proseguire...

… solo che stavolta prese Ryoma per mano.

Una piccola scossa elettrica gli si riversò nelle vene, a quel contatto, arrivando dritta al petto, mentre lei gli diceva: - Ok, scusa anche da parte mia, non avrei dovuto reagire a quel modo. È stato sciocco ed infantile e non sarebbe dovuto succedere. Tutto sistemato? - chiese, infine, sbirciandogli il volto come aveva fatto sul treno.

Ryo annuì, con un sorriso rassicurante, sottolineando la ritrovata pace con un energico – Certo! -, mentre dentro di sé prendeva forma un pensiero che lo pungolò, sotterraneo e quasi impercettibile, ma spietato:

“Peccato, che le piaccia Hayato... un vero peccato...”


continua...



Edited by Haris von Hayeser - 22/8/2010, 13:51
 
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