Go Nagai Net

Go Nagai e la stampa, le raccolte degli articoli

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isotta72
view post Posted on 12/7/2010, 10:50     +1   -1




Girellando sugli archivi storici delle principali testate mi accorgo che di Goldrake&Company si parla su ogni giornale mediamente una decina di volte all'anno.. :) e ogni tanto magari si incappa in rete in un articolo carino o un'intervista.
Propongo di raccoglierli qui, man mano che li troviamo, e magari da qualcuno di questi verrà fuori qualche spunto di riflessione..

Inizio io, con un articolo uscito su Repubblica nel 2008.. e che si riallacia un pò ai 3d "di nostalgia" che ho visto in giro per il forum in questi giorni..



Il primo robot della tv giudicato dai ragazzi
Repubblica — 28 maggio 2008 pagina 1 sezione: FIRENZE

Goldrake è un tipo tosto. Un robot d' acciaio d' altri tempi, poco avvezzo alla pensione. Domani si festeggeranno i suoi trent' anni, al Circolo Vie Nuove, e si potrà rivederlo sullo schermo gigante nella sua prima apparizione. Roba da nostalgici, ma anche un' occasione per i più giovani che ammirandolo potranno fare la tara ai robottacci di adesso. Non c' è partita. L' Ufo robot d' acciaio che "si trasforma in un razzo missile", coi "circuiti di mille valvole", che mangia "insalate di matematica" e "nelle stelle sprinta e va". Roba d' altri tempi, ma non c' è motivo di escludere la nostalgia nel rivederlo adesso, con questi occhi qua. Forte e potente, bonario, con le corna gialle, una trentina di metri d' altezza per altrettante tonnellate, un gigante, eppure non invincibile, anzi a tratti goffo. Duro da spaccarsi i denti ma capace di flettersi e vibrare nello sforzo della battaglia. Un robot flessibile, anche in questo moderno, che sotto la gelida scorza conserva qualcosa di caldo e rassicurante: il cuore di Actarus, alieno ma più che umano, generoso, altruista, pure un po' femminuccia agli occhi di noi bambini birboni. Arriva da un altro pianeta, clandestino, e si sofferma sulla Terra per difenderla dall' invasione dei cattivi. Un eroe, ma che da solo col suo robottone non ce la fa, anzi ha sempre bisogno dell' aiuto di amici e mezzi complementari, siano delfini o trivelle spaziali. Qualche anno fa ho smollato il mio lavoro "normale" per tentare la carriera del cartoonist: volevo disegnare cartoni animati, e basta. Sapevo quello che rischiavo e soprattutto sapevo quello che avrei dovuto fare: centinaia di disegni su disegni, con personaggi sempre diversi, inventati altrove, da persone diverse, da collocare e far muovere sulla scena, all' interno di pochi secondi o porzioni di secondi, fotogrammi, seguendo le indicazioni di regia, raffigurandoli in pose facili o difficili, d' ogni tipo, che differivano dal foglio precedente di pochissimi millimetri. Una follia. E all' interno di tutto ciò trovare lo spunto per sentirsi interpreti, creativi, nonostante il mestiere fosse di pura manovalanza e i film, giustamente, li firmassero altri. Ho smesso, perché la manovalanza pagava poco e non dava continuità. Ho smesso perché ci commissionavano cartoni brutti, spot pubblicitari e videoclip di cantanti melensi, serie volgari, e perché l' animazione vecchia maniera va scomparendo a discapito di computer e grafica 3D, e in certe faccende non mi sono mai riciclato. Fatto sta che in quattro anni di cartoons non c' è mai stata un' emozione che valesse i primi venti secondi della sigla di Atlas Ufo Robot. La serie di Goldrake era tecnicamente giocata al risparmio, pochi disegni e cicli d' immagini ripetuti in tutte le puntate, ma il gap veniva compensato dalla forza delle storie, la tensione delle immagini. Certa violenza era contestata e osteggiata, dai grandi, per proteggere noi piccoli, eppure il cuore della magia stava altrove. Quella di Goldrake era una saga sull' amicizia, sull' amore, sull' importanza dei rapporti tra la gente, anche tra i diversi. Era la guerra fatta per necessità e mai fine a se stessa. Era una guerra di liberazione, tra l' altro contro nemici che avevano tutti i loro buoni motivi per attaccare: il suo pianeta andava distruggendosi. Erano guerre buone da replicare in cortile, senza l' imbarazzo di doversi calare anche nei panni dell' avversario. Erano personaggi buoni da pensare quando fuori tuonava e si era già rannicchiati nel letto, e a chiamare mamma si faceva la figura del pollo. Quando i ragazzetti più grandi minacciavano, nelle lotte di quartiere e di cerbottane e di fango, con argomenti spropositati e spaventosi. La mia arma preferita era l' alabarda spaziale. La mia sequenza preferita era la corsa di Actarus per prendere la guida del robot, vestito come un pezzente, veloce come un centometrista per poi lanciarsi in una finestrella a mezz' aria, scivolare sulle suole di cuoio sul pavimento liscissimo e poi in sella a una motoretta astrusa, spinta dal fuoco, e poi gettarsi nel vuoto e cambiarsi d' abito così, al volo, per aria, e ritrovarsi in divisa smagliante come io avrei voluto fare la mattina per andare a scuola, dal pigiama al grembiule senza bisogno di agganciare bottoni e infilare cerniere, con quel sonno che proprio non si potevano tenere gli occhi aperti. La delusione più grande fu quando mi comprarono la tuta di Actarus, per carnevale. Bellissima, ma proprio non aveva niente a che vedere con quella vera. Pensare che certe parti si chiudevano con lo strappo, e che dietro la maschera c' era l' elastico: possibile? Pensare che l' anno dopo già mi stava stretta, e ridicola, coi calzini bianchi che sbucavano fuori, da sotto, e le scarpe normali, ahimè.

- EMILIANO GUCCI
 
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isotta72
view post Posted on 13/7/2010, 09:35     +1   -1




Goldrake compie 30 anni e non fa più paura

Intervista esclusiva a Go Nagai, il papà del primo robot Giapponese trasmesso dalla Rai

8/4/2008


di Francesca Fornario




Quel pomeriggio del 4 aprile 1978, centinaia di telefonate hanno intasato il centralino della Rai. Chi era quel mostro d’acciaio che si agitava sulla Seconda Rete? Gli adulti (alcuni) si mostravano preoccupati, i giovani (tutti), entusiasti. Così ha avuto inizio di un dibattito ancora in corso: i cartoni giapponesi sono troppo violenti? A rivedere dopo 30 anni quel «Goldrake», il primo robot giapponese sbarcato sulla tv nazionale, ci si accorge che la rappresentazione della brutalità umana serve a trasmettere un messaggio tutt’altro che violento. Lo spiega a «Sorrisi» Go Nagai, papà della serie Goldrake (che ora esce, completamente restaurata, in dvd) e di altri celebri robot come «Mazinga» e «Jeeg», protagonista di un remake appena trasmesso in Giappone. I tre robot, racconta Go Nagai, erano in realtà parte di un’unica saga. Ma in Italia hanno fatto un pasticcio…

Come è nata l'ispirazione per «Goldrake»? Ha attinto anche alla sua passione per «La Divina Commedia» di Dante?

- «Goldrake» è in origine il terzo capitolo di una saga che comincia con «Mazinger Z» e continua con «Il Grande Mazinger». Se consideriamo anche gli «spin-off», l’intera saga comprende sei serie, tra le quali anche «Jeeg Robot». Tuttavia so che in Italia sono state trasmesse come se fossero ognuna indipendente dall’altra e addirittura in ordine inverso rispetto a quello con cui furono concepite. Mi è anche stato riferito che alcuni personaggi in comune tra le varie serie, nel vostro Paese furono chiamati in modo differente da cartone a cartone: per esempio, il pilota di Mazinger Z fu battezzato Alcor in «Goldrake», Koji ne «Il Grande Mazinger» e Rio in «Mazinger Z».
Le conseguenze di ciò furono che molti italiani criticarono i miei cartoni animati perché li trovavano ripetitivi e i personaggi si assomigliavano. Purtroppo chi faceva queste osservazioni non poteva immaginare che quelli che in Italia venivano chiamati in modo differente erano in realtà un solo personaggio, o che le storie mostravano una certa somiglianza solo perché erano tutti diversi episodi della medesima saga!
Tornando alle origini di Goldrake, l’idea di un robot pilotato da un uomo seduto al suo interno nacque quando assistii a un imbottigliamento stradale e immaginai che dall’auto in fondo alla colonna uscissero braccia e gambe e cominciasse a scavalcare le vetture che la precedevano. Da questa intuizione di un robot che si «guidava» come un’automobile nacque «Mazinger Z»; il suo successore fu «Il Grande Mazinger» e quindi nacque «Goldrake», che univa all’idea del robot gigante quella degli Ufo, tema verso il quale c’era un grandissimo interesse verso la metà degli anni Settanta. Quanto alle influenze occidentali, amo molto la mitologia greca e latina e i classici della letteratura italiana, come «La Divina Commedia» che ho anche trasposto in manga; tuttavia nel caso di Goldrake queste influenze sono molto limitate e il suo design si ispira molto più alle armature degli antichi guerrieri giapponesi che non a motivi europei.

In «Goldrake», come in «Jeeg», le giovani generazioni di terrestri devono porre rimedio ai danni provocati dagli adulti. Qual è il significato di questa scelta?

Il messaggio in comune a tutte le mie serie è che il mondo degli adulti riserba grandi sfide, sofferenze e avversità, e che quindi i giovani devono trovare il coraggio e la forza di affrontarle e di combattere le ingiustizie senza mai perdere di vista i propri ideali e i propri principi morali. I giovani hanno un forte senso della giustizia e della fratellanza, ma purtroppo quando si diventa adulti ci si abitua ai compromessi, ai pregiudizi, alla discriminazione. Per questo nei miei manga la potenzialità di cambiare il mondo è riposta nelle mani dei giovani, siano essi terrestri come il pilota di Mazinger Z, extraterrestri come Actarus di «Goldrake» o esseri umani che però sono stati trasformati in macchine come Hiroshi di «Jeeg Robot».


Quando «Goldrake» è arrivato in Italia, è stato accusato di essere un cartone troppo violento, e di istigare alla violenza i bambini. Ha ricevuto la stessa accoglienza in Giappone? Come risponde a queste accuse? Che valore aveva quella rappresentazione della violenza?

- Credo che in Italia «Goldrake» abbia ricevuto una tale accoglienza soprattutto perché fu il primo cartone animato giapponese ad andare in onda, e utilizzava stilemi nuovi, addirittura rivoluzionari per il pubblico italiano. Come tutte le cose nuove, venne dunque accolto con sospetto e avversione, cosa che in Giappone non accadde.
In realtà la rappresentazione della violenza in «Goldrake» è legata a doppio filo con la necessità di trasmettere in modo convincente il messaggio che citavo nella risposta precedente: la società degli adulti è spesso ingiusta, violenta, discriminatoria, immorale; ma è un ambiente in cui chi oggi è bambino dovrà comunque entrare. Non ritengo adeguato allevare i nostri figli nella bambagia, perché una volta diventati adulti si troveranno ad affrontare un mondo che non è certo tutto rose e fiori; e un bambino che non conosce gli effetti della violenza, il dolore che può causare l’umiliazione del prossimo, la catena d’odio che può generare la sopraffazione, rischia di ricorrere a questi orribili espedienti senza rendersi conto di quanto essi siano atroci.
Nei miei cartoni la violenza è usata per mostrare il dolore di chi la subisce; quando Actarus soffre a causa della brutalità degli invasori, i bambini soffrono con lui, e imparano così che la prepotenza causa solo disperazione. Non è un caso che nei miei cartoni la violenza venga sempre dagli adulti e che i giovani oppongano a essa la forza gli ideali, la determinazione, l’amicizia e lo spirito di gruppo. Così come non considero un caso che Goldrake, Mazinger e gli altri miei personaggi, che combattono per la libertà e l’autodeterminazione, abbiano avuto un’accoglienza incredibile in Paesi come l’Italia o la Francia, che hanno affrontato nell’ultimo secolo sanguinose guerre di resistenza e i cui abitanti hanno imparato con le lacrime e il dolore l’importanza di questi ideali.

In Italia, la polemica sui cartoni violenti non si è mai spenta. Prima era «Goldrake», poi «Dragon Ball» e i videogame. Qual è la sua opinione in proposito? La violenza rappresentata oggi nei cartoni animati è eccessiva, può essere nociva? E quella dei videogame, o di altri programmi televisivi?

- Credo che si debba distinguere tra la violenza a livello grafico, fine a se stessa, e quella che sottende invece un messaggio preciso. Come dicevo, nei miei cartoni animati la violenza è una rappresentazione del dolore e delle ingiustizie che l’umanità rischia di soffrire quando perde di vista ideali come la giustizia e la fratellanza. Dai miei numerosi incontri col pubblico italiano ho avuto il piacere di constatare che i miei fan, che erano bambini quando guardavano «Goldrake» o «Jeeg Robot» in televisione, hanno saputo cogliere perfettamente questo messaggio e riconoscere la superficialità dei commenti di chi accusava quei personaggi di essere violenti.
Detto questo, non posso fare a meno di constatare che negli ultimi anni c’è stata un’escalation nella rappresentazione della violenza fine a se stessa, slegata da qualsiasi messaggio. La violenza, la brutalità, la coercizione non sono e non possono mai essere valori «positivi». Ma purtroppo, quando manca un messaggio di fondo o la presenza di un genitore o di un educatore che aiuti i più piccoli a comprendere le conseguenze dei comportamenti violenti, rischiamo di creare giovani incapaci di interelazionarsi con gli altri.
Ritengo comunque che sia necessario non fare di tutta l’erba un fascio: anche la Bibbia narra episodi di efferata violenza come quello di Caino e Abele, ma quella rappresentazione cruda della brutalità umana è funzionale alla trasmissione di un messaggio di pace. Allo stesso modo, quando si analizza un film o un cartone animato, bisogna sempre saper valutare con attenzione qual è il messaggio che esso sottende, senza soffermarsi al solo livello grafico.

«Goldrake» e «Jeeg» sono i prototipi della fantascienza robotica in tv. immaginava che avrebbero aperto la strada a un genere? Come giudica le evoluzioni, per esempio i «Transformers»?

- Sinceramente non mi aspettavo un simile successo. Come dicevo, da «Mazinger Z» fino a «Jeeg Robot», passando per «Goldrake» o «Getter Robot» («Space Robot« in Italia), tutti i miei personaggi si muovono all’interno dello stesso universo, spesso interagendo tra loro; non mi sarei mai aspettato che altri autori avrebbero ripreso il medesimo concetto per creare nuove serie o nuovi universi.
Riguardo ai «Transformers», sono personaggi che condividono con i miei il concetto del robot gigante, ma che essenzialmente sono privi dell’elemento che invece per me è fondamentale, vale a dire la presenza di un essere umano che li pilota. Fondamentale perché è l’uomo a dare l’anima al robot: Goldrake è il difensore della giustizia perché a pilotarlo è un giovane coraggioso e integerrimo come Actarus, ma se alla guida ci fosse una persona malvagia, si trasformerebbe in un demone distruttore. E qui mi ricollego all’importanza del messaggio che intendo trasmettere: quando ci si trova ad avere tra le mani una potenza incredibile come quella di Goldrake, è solo la fermezza dei propri ideali a determinare se si diventerà un despota o un benefattore.

La fantascienza robotica ha ceduto il posto al Fantasy. Secondo lei, perché? Quale pensa che sarà la prossima evoluzione?

- Direi che la fantascienza in generale ha sofferto un forte calo di interesse, che credo sia dovuto a diversi fattori: per esempio, gran parte della fantascienza del secolo scorso guardava al 2000 come anno di svolta, in cui il mondo sarebbe diventato un paradiso pacifico governato dalla tecnologia. In realtà, arrivati al 2000, ci siamo accorti tutti che la realtà non era molto diversa da come lo è stata fino al 1999; inoltre il fatto che, nonostante l’evoluzione della scienza e della tecnologia, gravi problemi come la fame, la povertà, i diritti civili e la libertà dei popoli non sono ancora stati risolti e che sui nostri figli pende la spada di Damocle del disastro ambientale, ha portato gli uomini a nutrire un forte pessimismo verso il futuro.
Quindi, se una volta la speranza di un mondo migliore era affidata al «futuro» narrato nei racconti di fantascienza, ora ci ritroviamo a proiettare le nostre speranze in mondi completamente e consapevolmente di fantasia. Purtroppo queste forme di «fuga dalla realtà« sono sempre più frequenti nell’entertainment e nei gusti del pubblico e dubito che, fintanto che sarà il pessimismo a dominare la nostra visione del mondo, ci saranno grandi cambiamenti o evoluzioni.

Cosa pensa dei film di Walt Disney, e dei nuovi lungometraggi in 3d della Pixar? Qual è il futuro dei cartoni animati, il 3d?

- Sono tecnologie incredibili, che lasciano spazio a infinite potenzialità. In Giappone ci si è mantenuti più legati a una rappresentazione bidimensionale, credo anche per retaggio culturale: mentre in Europa si studiava la prospettiva, nel mio paese si evolveva uno stile semplificato e lineare che avrebbe portato alle famose «stampe giapponesi«. Noi orientali tendiamo a «ridurre« la realtà in un numero il più possibile limitato di segni, disposizione mentale che ci ha portati anche a sviluppare le microtecnologie; in occidente si persegue invece la riproduzione fedele della realtà. Sono due concezioni dell’arte che hanno entrambe pregi innegabili e limiti invalicabili, perciò è davvero impossibile determinare quale delle due sia migliore.


(Tv Sorrisi e Canzoni n.16 - 2008)
 
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actarus4791
view post Posted on 14/7/2010, 01:26     +1   -1




Bellissimo argomento!
Valgono anche i periodici?
Questa intervista è di una delle mie riviste preferite, Nocturno.

30/01/2010

Go Nagai
Uno dei più importanti mangaka di sempre, ci illustra la genesi delle opere che hanno segnato la storia moderna del fumetto...


Nessuno meglio di lei può tracciare una sorta di albero genealogico delle serie robotiche d’animazione. Chi è venuto prima e chi dopo? E quali sono stati i passaggi fondamentali, le idee base con cui ha creato Mazinga, Jeeg, Getter e ovviamente Goldrake…
Il capostipite è Mazinger Z. Lo ideai quando vidi delle auto incolonnate in un imbottigliamento e immaginai che, da una di quelle in coda, fuoriuscissero gambe e braccia e cominciasse a scavalcare quelle che la precedevano. Sin da bambino amavo i robot, ma ho sempre pensato che ne avrei scelto uno come protagonista di un mio fumetto solo quando fossi riuscito a concepire qualcosa di veramente originale. L’intuizione dell’automobile mi consentì di trovare quello che cercavo: il robot non era più una macchina che agiva autonomamente o per effetto di un telecomando esterno, ma diventava un’estensione del corpo dell’essere umano che lo pilotava. Lo stesso nome “Mazinger” [“Majinga” in giapponese, ndr] è strettamente legato a questo concetto: in “Majinga”, “ma” indica un’essenza maligna, diabolica, e “jin” una benigna, divina. Dunque Mazinger e i suoi successori possono essere potenti come delle divinità benevole, ma anche malvagi come dei demoni devastatori. Dipende tutto dalla volontà di chi li pilota.
Dopo Mazinger Z nacque Il Grande Mazinger, che ne era un “potenziamento” dai toni leggermente più adulti; quindi nacque UFO Robot Goldrake [UFO Robot Grendizer in Giappone, ndr], che tornava invece ad atmosfere più rilassate, grazie anche a personaggi comici come Rigel, pur mantenendo la figura di un protagonista “adulto” come Actarus. Più o meno contemporaneamente a Il Grande Mazinger sviluppai anche il concetto di Getter Robot [Space Robot al tempo della messa in onda italiana, ndr], un robot composto da tre velivoli che può assumere aspetti e funzioni diverse a seconda di come questi si agganciano assieme; Getter Robot si evolse poi in Getter Robot G [Jet Robot al tempo della messa in onda italiana, ndr].
Infine, più o meno in contemporanea a Goldrake nacque Jeeg Robot, col quale volli sviluppare un concetto ancora diverso di interazione tra uomo e macchina: Hiroshi non era più il pilota, ma si trasformava “fisicamente” nella mente di Jeeg.
So che tutte queste serie sono state trasmesse in Italia in ordine inverso e che molto spesso il medesimo personaggio è stato chiamato anche in quattro modi differenti, causando nel pubblico una notevole confusione. Per chi ha voglia di comprendere meglio la cronologia originale può fare affidamento sulla pubblicazione dell’edizione italiana dei fumetti originali di tutte queste serie da parte dell’editore D/Visual. Sempre da D/Visual è uscito un volume a tiratura limitata, intitolato Go Museum dove racconto tutti i retroscena della nascita di questi e altri personaggi. Credo che sia quasi esaurito e di difficile reperibilità, ma chi fosse interessato a conoscere maggiori dettagli vi troverà molte informazioni non reperibili da nessun’altra fonte.

Il mercato degli anime è vastissimo, la corsa alla novità forsennata, tanto da sembrare sempre sull’orlo della saturazione. A distanza di molti anni le sue creature robot (Mazinga, Jeeg e Goldrake) godono però di un immutato amore e anche quando vengono riproposte in chiave moderna (Mazinkaiser) trovano grande plauso. Come si spiega questa reazione? Quali sono i suoi “ingredienti segreti”?
Ogni volta che creo un nuovo personaggio, cerco innanzitutto di non farlo somigliare a qualcosa che già esiste, per mano mia o di altri autori. Ricerco sempre degli ingredienti originali e che sappiano sorprendere il pubblico; credo che la passione che tanti lettori continuano a mostrare verso le mie opere dopo quasi tre decenni derivi soprattutto da questo.
Entriamo nello specifico di questa serie, Goldrake, che ha lasciato un segno nelle generazioni degli anni Settanta. Nell’episodio pilota il mecha design di Goldrake è molto diverso da quello utilizzato in seguito.

Come mai c’è stato un restyling cosí radicale?
Quello che viene spesso definito un “episodio pilota” in realtà non lo è. Fu creato inizialmente come un film cinematografico del tutto indipendente dalle mie serie, senonché a un certo punto il produttore si rivolse a me per avere spunti che lo rendessero più appassionante. Mi occupai così di disegnare i personaggi e di definire il plot generale, elementi che furono poi ripresi e sviluppati in Goldrake; ma il robot in sé rimase quello che aveva disegnato un animatore della Toei, e su esso io potei fare solo dei ritocchi estremamente limitati. È per questo che ha un design tanto diverso non solo da Goldrake, ma da tutti i miei personaggi robotici.

L’alabarda spaziale è un’arma dalla forma strana, inusuale per un robot, diversa dal corredo tipico dei robot dell’epoca (raggi laser, missili, spade, ecc.) Da dove è venuta l’idea per un’arma dalla foggia cosí insolita ma allo stesso tempo cosí elegante e suggestiva?

Se fa attenzione, vedrà che la maggior parte delle armi dei miei robot provengono “dall’interno” del corpo del robot stesso: in altre parole non si tratta di armi come le intendiamo solitamente (pistole o pugnali che l’eroe impugna a seconda delle necessità), ma di parti del corpo del robot che si trasformano in armi. Mi è sembrato fin dall’inizio un concetto interessante, anche perché consente di mantenere un ritmo serrato nelle scene di azione, in quanto il robot non deve interrompere la lotta per cercare le armi e impugnarle, ma le trova all’interno del suo corpo. Anche l’alabarda spaziale è nata sulla base di queste considerazioni: un elemento grafico della corazza di Goldrake che si trasforma in un’arma. L’ho concepita pensando alle picozze usate dagli scalatori.

Tenendo a mente la serie Cutey Honey dove lei giocava con il sesso, i protagonisti maschili dei vari Mazinga o Goldrake avevano come punto in comune l’essere degli uomini che spesso si negavano l’amore femminile (pur essendo circondati da personaggi provocanti) in vista di un obiettivo superiore (la salvezza dell’umanità, la pace, ecc.). È stata una scelta l’essersi tenuto distante dal romanticismo, dai “momenti shojo”?
La maggior parte delle serie robotiche è ambientata in una situazione di guerra: è dunque naturale che scorra sempre una forte tensione, in quanto ogni personaggio è impegnato a lottare per la propria vita e per quella dei suoi simili. Tutti i protagonisti sacrificano il loro tempo e le loro energie per riportare la pace sulla Terra, e ogni minuto della loro vita è dedicato al perseguimento di tale obiettivo. È dunque normale che il romanticismo trovi poco posto in una situazione simile; anche se poi, in realtà, non appena la tensione si scioglie, tutti tornano a pensare all’amore!

Eppure il personaggio di Gandal (serie Goldrake) presenta un aspetto maschile al cui interno si cela una creatura-spirito femminile ancora piú diabolica, se possibile, di Gandal stesso. Non solo, il barone Ashura (serie Mazinga Z) è metà uomo e metà donna. Come spiega la presenza di questi personaggi sessualmente ambigui e da quali influenze sono stati concepiti?
L’idea di personaggi che combinano elementi di entrambi i sessi è nata col Barone Ashura di Mazinger Z. Al tempo lo ideai con quell’aspetto perché lo trovavo graficamente interessante e innovativo. Solo più tardi ho cominciato a pensare a tutta la simbologia e alle potenzialità che offriva un simile personaggio. Ritengo che in ogni uomo ci sia una parte femminile e in ogni donna una maschile, e Ashura e Gandal sono finiti per diventare la rappresentazione grafica di questo concetto. Inoltre ritengo che la loro presenza sia stata un elemento che ha contribuito a dare un forte senso di originalità tanto a Mazinger Z che a UFO Robot Goldrake.

Nella serie di Goldrake il protagonista indiscusso è Actarus (Duke Fleed) che mostra una maturità ed uno spirito pacifista ben piú marcati del giovane ed impetuoso Koji. Lei crede che questi valori di convivenza pacifica tra i popoli siano ancora cosí estranei alla nostra società civile e che l’ispirazione per un ideale alto di tolleranza sia da ricercare in un modello sociale “alieno”?
Non è questo il messaggio che ho voluto lanciare con UFO Robot Goldrake. Molto più semplicemente, ho voluto inserire nella storia due personaggi agli antipodi, che però si bilanciassero a vicenda: Actarus, considerando anche le sue terribili esperienze passate, è una persona estremamente seria, intelligente, pacata, pronta a sacrificarsi per i suoi ideali. Sia fisicamente che psicologicamente, è l’eroe “perfetto” che tutti noi vorremmo essere. Però, come tutte le cose perfette, il serioso Actarus rischia anche di essere noioso; per questo gli fa da contraltare Koji [Alcor, ndr], più sanguigno, irascibile, pieno di difetti. Per il pubblico è più facile identificarsi in Koji, perché ci è caratterialmente più vicino, mentre Actarus è l’eroe che si vorrebbe essere, ma che è impossibile riuscire a emulare in tutto e per tutto. Credo che il giusto bilanciamento tra questi due personaggi tanto diversi sia stato un altro degli elementi che hanno contribuito alla popolarità di Goldrake.

In generale quali sono gli ideali che lei cerca quando si approccia ad un nuovo cartone animato? E soprattutto riesce a trovarli nelle serie robotiche del terzo millennio (Evangelion per esempio)?
Non credo di essere adatto a giudicare le opere altrui; per quando riguarda i miei personaggi, soprattutto quelli dedicati a un pubblico di bambini e adolescenti, il messaggio è quello di non demordere mai e di non rinunciare mai ai propri ideali, anche quando ci si trova di fronte a ostacoli apparentemente insuperabili. Nella società degli adulti la vita è dura, ma l’importante è avere sempre chiari i propri obiettivi ed essere tenaci contro le avversità.

Le tecnologie digitali sono ormai mature per la realizzazione di un action movie sui grandi robot degli anni ‘80 e i fan in tutto il mondo premierebbero di certo un’iniziativa del genere. Ha in progetto qualcosa al riguardo?
Ricevo periodicamente proposte di film live dei miei personaggi, ma per un motivo o per l’altro, finora raramente si è giunti ad accordi definitivi con i potenziali produttori. Però credo proprio che prima o poi arriverà un progetto convincente, in grado di appassionare tutto il pubblico. Io stesso non vedo l’ora di potermene occupare, e so che ci sono moltissimi fan che attendono con ansia una simile occasione.

Prima di salutarci, ci tolga una curiosità: dopo il restyling dei Getter Robot, quello di Mazinga e di Jeeg, ci dobbiamo aspettare un “nuovo” Goldrake?
Ci sono vari progetti in fase più o meno avanzata di studio. Non appena dovesse definirsi qualcosa di certo, sicuramente lo farò sapere a tutto il pubblico che attende impazientemente altre novità. Io stesso sono il primo a entusiasmarmi quando vedo un mio personaggio muoversi su un teleschermo!



Carlo Fagnani & Demis Biscaro
 
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isotta72
view post Posted on 14/7/2010, 07:04     +1   -1




Grazie Actarus!!

Questo è abbastanza celebre, citato anche su "I love anime"..

Emanuele Mastrangelo per "il Giornale"


Ci può essere un piccolo Savonarola nelle persone più insospettabili. Ce lo ricorda uno spettacolo teatrale messo in scena in occasione del trentennale della prima messa in onda di Goldrake sulla tv italiana: un balzo indietro che Daniele Timpano, autore ed attore del monologo teatrale Ecce Robot.

Cronaca di un'invasione che in queste settimane sta girando l'Italia fa compiere alla platea riportandola a quel 4 aprile 1978 (e alle infinite polemiche che seguirono) quando, alle 18.45, sull'allora Rete 2, per la prima volta comparve una serie robotica giapponese a cartoni animati (anime, nella lingua del Sol Levante): si tratta di Atlas Ufo Robot, italianizzazione del serial di Go Nagai Grendizer, poi più noto da noi come Goldrake.
Goldrake

Fu un successo senza precedenti. Non era il primo anime giapponese a giungere in Italia: nel maggio 1976, il Primo Canale aveva già trasmesso la coproduzione austro-tedesco-nipponica Vicky il Vichingo. E due mesi prima di Atlas-Ufo Robot era stato trasmesso sempre sul secondo canale, Heidi, tratto dal romanzo omonimo di Johanna Spyri, e realizzato da Isao Takahata con la collaborazione di Hayao Miyazaki.

Ma Vicky e Heidi - dal soggetto, ambientazioni e temi molto europei - non ebbero il risalto mediatico che invece ottenne il più esplosivo Goldrake: innovativo ed entusiasmante, fu una vera e propria macchina per fare audience, tanto in Italia, quanto in Francia, dove venne trasmesso qualche mese più tardi. Fra i giovani esplose una vera Goldrake-mania: una impressionante produzione di merchandising, le sigle del programma divennero hit e perfino i giochi dei bambini ne furono modificati.

In Francia Antenne 2 raggiunse il fantascientifico share del 100% grazie a Goldorak (nome francese della serie, da cui Goldrake in italiano) e per il Natale del '78 i genitori furono costretti a ricorrere al mercato nero per assicurare ai figli giocattoli legati al robottone, poiché la domanda superò ogni aspettativa. I ragazzi si immedesimavano nel protagonista Duke Fleed (in italiano Actarus) e le ragazzine se ne innamoravano.

C'era qualcosa di male in tutto questo? Con tutta probabilità no, però qualcuno cercò di trovarcelo a tutti i costi. La paura del nuovo galvanizzò opinionisti e sociologi, pedagoghi e giornalisti, facendo in breve fioccare una pletora di articoli e studi «scientifici» che immancabilmente finivano per collegare questo programma per ragazzi a tutte le nefandezze del mondo d'allora, dalla droga alle Brigate Rosse.

Nel giro di pochi mesi fu nientemeno che un parlamentare indipendente di sinistra - Silverio Corvisieri - a dar fuoco alle polveri dalle pagine de La Repubblica. Corvisieri - classe 1938 - era allora militante dell'estrema sinistra. Comunista di Dp, ex Avanguardia Operaia, redattore de l'Unità, deputato e membro della Commissione di Vigilanza Rai.

Interpretando in maniera savonaroliana il suo ruolo nella Commissione, si era scagliato con un articolo dai toni apocalittici contro la «degenerazione» della tv italiana, di cui Goldrake era il prototipo. L'articolo, infatti, si intitolava «Un ministero per Goldrake» e apparve su La Repubblica il 7 gennaio 1979. Corvisieri aveva sfogato così la sua frustrazione per essere rimasto inascoltato in Commissione e alla Camera dai suoi colleghi, forse troppo occupati da altre questioni all'ordine del giorno in quell'inverno di piombo con le Brigate Rosse e la crisi del petrolio.
Goldrake

Il vulnus denunciato da Corvisieri era nel generico disimpegno qualunquista della nostra tv di Stato, ma che con un cartone come Goldrake aveva passato il segno. «Goldrake - scriveva il parlamentare - deve sempre affrontare qualche nemico spaziale estremamente malvagio... Si celebra dai teleschermi, con molta efficacia spettacolare, l'orgia della violenza annientatrice, il culto della delega al grande combattente, la religione delle macchine elettroniche, il rifiuto viscerale del "diverso". In quale modo un genitore può fronteggiare con i poveri mezzi delle sue parole la furia di Goldrake?».

Poco tempo dopo fu l'ex compagna di Palmiro Togliatti e futura Presidente della Camera, la deputata comunista Nilde Iotti (che già negli anni Cinquanta aveva visto il "Male assoluto" nei fumetti) a etichettare come «fascisti» i cartoni giapponesi, suggellando quello che Corvisieri aveva fatto solo intravedere fra le righe. Goldrake era «antidemocratico e violentissimo», come Corvisieri avrebbe pervicacemente confermato in un'intervista a Kappa Magazine vent'anni dopo.
Nilde Iotti

Un'esagerazione? Senz'altro. Ma questa esagerazione all'epoca smosse tutta l'armata dei mai domi Savonarola italiani, che nel breve volgere di un anno riuscirono a sollevare un polverone. Terminata il 6 gennaio 1980 la trasmissione di Goldrake già il 21 dello stesso mese è l'ammiraglia Rai Uno a trasmettere un nuovo cartone robotico: si tratta di Mazinga Z, il prototipo e capostipite di tutte le serie robotiche e uno degli anime più amati in Giappone. La proiezione sul Primo Canale scatenò le ire di un gruppo di genitori di Imola che, nell'aprile 1980, lanciò una vera e propria crociata.


Si raccolsero seicento e rotte firme e si fece un esposto agli allora ministri delle Poste e Telecomunicazioni e della Pubblica Istruzione, alla Rai e all'Ansa, chiedendo l'interruzione delle trasmissioni dei cartoni giapponesi in tv. Il problema era non solo pedagogico, ma - ovviamente - politico: quei cartoni erano «guerrafondai», lanciavano un messaggio «diseducativo» nel quale la scienza era al «servizio della distruzione». Che il messaggio di fondo delle serie robotiche dell'epoca fosse esattamente l'opposto, poco importava.

E c'era chi ai benpensanti teneva bordone sulla stampa nazionale, principalmente (ma non solo) di sinistra (con la lodevole eccezione di Lotta Continua che invece titolò «Bambini tenete duro che arriva Goldrake contro i genitori babbalei»): Il Resto del Carlino titolava «Topolino è una lettura sana ma Goldrake è il Diavolo»; scandalizzata l'Unità del 13 aprile si domandava «Goldrake contro i bambini?» e Oggi soffiava sul fuoco con «Questo Mazinga robotizza i nostri ragazzi».

Anche lo scrittore Alberto Bevilacqua ne fece una questione politica: i cartoni giapponesi erano diseducativi perché davano allo spettatore «la giustificazione che soltanto i suoi divi siano in grado di liberare i grandi dal terrore di rapine e di Br», continuando poi con la «disumanizzazione» di Mazinga per finire al fatto che, per colpa dei robottoni giapponesi, i figli degli italiani si sarebbero inevitabilmente drogati...
Nilde Iotti

La psicosi fu tale che cartoni apertamente pacifisti furono tacciati di essere guerrafondai e fascistoidi. L'apparente suddivisione elementare fra buoni e cattivi fu equivocata per «paura del diverso» e «razzismo», ignorando che in Goldrake c'era una visione adulta, complessa, tormentata.

Caso strano, nel 1980 fu proprio un intellettuale di sinistra - Gianni Rodari - che difese a spada tratta Goldrake: «Bisognerebbe vedere oggettivamente, liberandoci dai nostri pregiudizi personali, che cos'è per un bambino l'esperienza di Goldrake... Bisognerebbe chiedersi il perché del loro successo, studiare un sistema di domande da rivolgere ai bambini per sapere le loro opinioni vere, non per suggerire loro delle opinioni, dato che noi spesso facciamo delle inchieste per suggerire ai bambini le nostre risposte... Invece di polemizzare con Goldrake, cerchiamo di far parlare i bambini di Goldrake, questa specie di Ercole moderno».

Lo scrittore aveva colto nel segno. Con Rodari si schierarono Oreste del Buono, Nicoletta Artom e pochi altri. Intanto, in quei mesi, i giornali lanciarono una specie di sondaggio fra Mazinga e Pinocchio, dove il burattino perse con 35 mila preferenze contro 40 mila. Ciò però non impedì che due mannaie diverse colpissero i loro eroi dopo un decennio d'oro: la prima fu la censura imposta dalle associazioni genitori a Rai e Fininvest. Nella tv di Stato i cartoni giapponesi scomparvero, mentre nelle reti private finirono letteralmente trifolati per cancellare ogni pruderia.

Poi, nel 1990, arrivò la legge Mammì che vietava la pubblicità nei cartoni animati. Le serie giapponesi divennero economicamente non convenienti e furono sostituite dai telefilm adolescenziali made in Usa. Il vento cambiò solo a metà anni '90, quando i bambini del 1979, cresciuti e con qualche soldo in tasca, riuscirono lentamente a imporre al mercato di nuovo i propri gusti. Quello che non ebbero da piccoli come cittadini, lo ottennero da grandi come consumatori.
 
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actarus4791
view post Posted on 14/7/2010, 23:46     +1   -1




Quasto è il video della bellissima intervista di Go Nagai fatta da Luca Raffaelli per il periodico Repubblica XL
(spero che in questo topic valgano anche le videointerviste)

http://xl.repubblica.it/xlchanneldetail/46...v&player=wm250k
 
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isotta72
view post Posted on 15/7/2010, 06:58     +1   -1




Grazie Actarus, tutti i contributi sono bene accetti, ed anche i commenti agli articoli, se qualcuno ha voglia di farli. Intanto sposto in Gonagai Overviews!! :diablo:

 
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HARLOCK SSX
view post Posted on 8/9/2010, 01:42     +1   -1





Mazinga colpisce ancora

di Alessandro Montosi

http://www.fantascienza.com/magazine/servi...olpisce-ancora/

Nuove produzioni, aneddoti e curiosità sul robot guerriero di Go Nagai.
Tra le nuove proposte animate nipponiche di questo 2010, sta suscitando particolare interesse (in Giappone, Italia, Spagna e in altri paesi) la notizia della produzione di una nuova opera animata dedicata ai robot giganti guerrieri di Go Nagai. Come ormai consuetudine per molte recenti opere animate giapponesi e non (basti pensare alla valanga di prodotti derivativi che invadono negozi di giocattoli, fast food, bar delle sale cinematografiche, scaffali dei videogiochi, ecc…, all’uscita di ogni film d’animazione americano), questo nuovo anime fa parte di un’operazione di marketing multimediale più ampia che comprende anche un manga a puntate per cellulari disegnato da Kazumi Hoshi, un romanzo a episodi pubblicato sulla rivista Dengeki Hobby di ASCII Media Works, la produzione di nuovi modellini dei robot presenti nell’anime all’interno della celebre, raffinata e costosa collana dei Soul of Chogokin della Bandai, ecc...

Il titolo di quest’anime è e presenta alla guida del robot protagonista (dotato di un look molto più dark e aggressivo del solito, nonché di una gigantesca e minacciosa spada come arma da combattimento) due personaggi nuovi, chiamati Ken Kaido e Ryo Magami.

All’apparenza, l’anime non ha nulla in comune dal punto di vista narrativo con la serie Mazinkaiser (prodotta nel 2001 e da noi edita in dvd da D/Visual), nella quale erano invece presenti alcuni dei più popolari personaggi nagaiani. Come il suo quasi omonimo predecessore, Mazinkaiser SKL appartiene però alla categoria degli OAV (Original Animation Video), cioè si tratta di un prodotto ideato e rivolto principalmente al mercato home video.

Nel 2009, invece, era stata realizzata una serie animata per la televisione, composta da 26 episodi, intitolata Shin Mazinger Z (ancora inedita in Italia) e rappresentante una sorta di tentativo di rilanciare i personaggi e la saga di Mazinga Z.

Creato originariamente nel 1972 dal fumettista Go Nagai e divenuto poi protagonista di svariati manga, nonché di una celebre serie tv prodotta dalla Toei Animation in 92 episodi e giunta anche in Italia a partire dal 21 gennaio del 1980 su Rete 1 (l’attuale Raiuno), Mazinga Z rappresenta il capostipite dei robot giganti guerrieri guidati internamente da un pilota ed è tuttora, in Giappone, uno dei personaggi più amati e popolari di tutti i tempi.

In Italia, purtroppo, gode di meno fama e popolarità, a causa del suo già citato arrivo (per giunta incompleto, dato che da noi sono stati trasmessi solo 51 episodi, su cui gravano numerosi tagli, contro i 92 episodi originari) nel 1980 (all’interno di un programma contenitore chiamato “3…2…1…contatto!” e che aveva tra i conduttori anche un giovanissimo Paolo Bonolis), due anni dopo l’apparizione nel nostro paese di Atlas Ufo Robot — Goldrake (debutto: 4 aprile 1978 su Rete 2, ovvero Raidue), che, originariamente, rappresenta invece il terzo e conclusivo capitolo della saga classica dei Mazinga (il secondo segmento è costituito da Il Grande Mazinga, giunto in Italia nel 1979 su reti locali e avente come protagonista Tetsuya Tsurugi in lotta contro il malvagio regno di Mikene).

Nonostante la minore popolarità rispetto a serie robotiche come Goldrake, Jeeg Robot d’Acciaio (anch’esso ideato da Nagai) e Daitarn 3, Mazinga Z ha comunque una sua schiera di fan italiani molto agguerrita, che ha recentemente avuto la tanto attesa possibilità di leggere in italiano il manga originale di Nagai dedicato a questo robot, per via della pubblicazione, in 6 volumi, da parte della D/Visual, avvenuta tra il 2009 e il 2010. Ad esso, sempre nel 2010, ha fatto seguito la pubblicazione in un volume unico del manga nagaiano dedicato a Il Grande Mazinga (edito anch’esso da D/Visual), colmando così una lacuna cartacea a cui molti appassionati speravano di poter rimediare da ormai lungo tempo.

A chi volesse saperne di più sui personaggi della saga dei Mazinga, sulla loro ideazione, sui corretti rapporti di continuità tra una serie e l’altra, sulle polemiche che esse suscitarono all’arrivo nel nostro paese e su vari altri aspetti e curiosità della saga, segnaliamo il libro "Mazinga — Da Mazinga Z al Mazinkaiser: l’epopea di un guerriero robot", edito da Iacobelli Editore nel 2008, all’interno della collana I Love Anime. A quanto scritto in quella sede aggiungiamo ora un paio di interessanti curiosità e spunti di interesse che non avevano trovato spazio tra quelle pagine, riguardanti in particolare Il Grande Mazinga e l’espandersi dell’influenza di Mazinga Z su altre opere d’animazione.

La Fortezza delle Scienze

Come scritto più sopra, Il Grande Mazinga racconta la guerra tra il malvagio, aggressivo e spietato esercito di Mikene, e Tetsuya Tsurugi, un giovane addestrato fin dall’infanzia a guidare il robot guerriero Grande Mazinga, che ha come base un istituto scientifico chiamatola Fortezza delle Scienze. Il nome di quest’istituto è curiosamente presente anche in un vecchio film nipponico, Non rimpiango la mia giovinezza (1946, titolo alternativo: Nessun rimpianto per la mia giovinezza; edito in dvd da Mondo Home Entertainment e distribuito anche in edicola da Hobby & Work) di Akira Kurosawa, dove è però inserito all’interno di tutt’altro tipo di contesto narrativo. Il film di Kurosawa, infatti, si svolge a Kyoto nel 1933 e descrive acutamente e drammaticamente la società nipponica dell’epoca. In seguito al cosiddetto “incidente della Manciuria” (cioè l’occupazione nipponica della Manciuria avvenuta nel 1931, che provoca l’inizio di una lunga guerra con la Cina) e all’uscita del Giappone dalla Società delle Nazioni (1933), il governo giapponese, manovrato dalle grandi imprese e dai vertici militari (così viene descritto nella pellicola), si appresta a proseguire l’ambizioso progetto dell’aggressione imperialistica a danno di altri stati asiatici, che finirà per culminare con l’entrata del Giappone nella seconda guerra mondiale a fianco di Italia e Germania. Per attuare il proprio piano, il governo predispone il controllo e l’uniformazione dell’opinione pubblica — all’interno della quale esistono diverse voci di dissenso, contrarie all’attacco militare verso altri paesi — attraverso il dominio dei mass media, l’intervento militare, il soffocamento della libera opinione e accusando chiunque provi ad opporsi (sia esso anche un liberale) di essere una pericolosa voce dell’ “ideologia rossa”, vale a dire un pericoloso comunista che rappresenta una minaccia per l’intera nazione. Il governo vuole mettere mano, attraverso il pretesto di un “risanamento”, anche agli ambienti universitari, riducendone facoltà, libertà e autonomia, finendo però col provocare, a Kyoto, la contestazione dei docenti universitari, i quali presentano tutti quanti le dimissioni in segno di dissenso. Oltre agli insegnanti, protestano anche le associazioni studentesche, occupando le aule e dando vita a manifestazioni e cortei di protesta che finiscono con lo scontrarsi con le forze dell’ordine, le quali eseguono l’ordine dato dal ministro dell’istruzione, di reprimere quelle iniziative. Durante queste manifestazioni, dalle finestre dell’università (ritenuta dai giovani il luogo in cui va praticata “la libertà delle scienze”) e nei cortei, vengono esposti vari striscioni di protesta, con scritte come “Libertà di parola!”, “Uniamoci per la libertà di parola!”, “Contro il fascismo!”, “La verità si trova nella libertà delle scienze!” e soprattutto “Difendiamo la fortezza della scienze!”. Il termine “fortezza delle scienze” diviene quindi (almeno stando alla già citata edizione in dvd del film, dotata di sottotitoli italiani che traducono quanto scritto sugli striscioni) il soprannome che gli studenti assegnano al proprio istituto universitario, visto come un simbolo di libertà e autonomia, che corre il rischio di essere schiacciato e oppresso dal volere militarista del governo giapponese. Sulla base di quanto scritto, l’epopea del Grande Mazinga acquisterebbe un nuovo e maggiore spessore, nonché uno stimolante e attualissimo spunto narrativo e metaforico, da approfondire e utilizzare in un eventuale remake o riproposta di questa saga, dove ad un aggressivo e violento popolo militarizzato si contrappone un istituto scientifico, simbolo di quella ricerca e di quei ricercatori impegnati a lavorare per il bene dell’umanità, ma che troppo spesso vengono sminuiti e sottovalutati dall’opinione pubblica.

Ratatouille e Mazinga Z

Come già accennato, Mazinga Z rappresenta l’opera capostipite del filone dei robot giganti guerrieri. In essa si racconta dello scontro tra Koji Kabuto (ribattezzato “Ryo Kabuto” nella nostra edizione di questa serie tv) e il dottor Hell (da noi “Dottor Inferno”), uno scienziato pazzo volto a conquistare il mondo con la sua armata di giganteschi mostri meccanici. Per contrapporsi a Hell, Koji ricorre all’utilizzo del robot Mazinga Z, dovendo però prima imparare ad usarlo. Per poter manovrare il robot, Koji deve prima salire all’interno del veicolo volante Hover Pilder (“Aliante Slittante”), col quale deve inserirsi all’interno della testa dell’automa, divenendone così la mente e assumendone il controllo per poter farlo muovere e combattere. Le prime esperienze di Koji ai comandi del robot, descritte nelle puntate iniziali della serie tv della Toei, sono tuttora molto coinvolgenti e divertenti per lo spettatore, per via degli errori e della confusione fatta da Koji nel tentativo di pilotarlo. Una situazione per certi versi analoga a quella di Koji, è presente nel film d’animazione in computer grafica Ratatouille (2007, di Brad Bird), prodotto da Disney e Pixar. In questa pellicola si racconta di come il topo Remy, dotato di un talento naturale nel preparare e scegliere il cibo migliore, sogni di poter diventare un grande cuoco in un lussuoso ristorante di Parigi. Giunto a Parigi, il topo stringe amicizia col giovane Alfredo Linguini, un impacciato, timido e pasticcione sguattero del ristorante Gusteau, appartenuto in passato a un grande cuoco (dal cui cognome deriva il nome del ristorante). Superate alcune incomprensioni, Remy e Linguini finiscono per stringere amicizia. Sebbene il topo non possa comunicare verbalmente con il ragazzo, quest’ultimo si rende ben presto conto del talento che Remy ha nel cucinare. I due finiscono così per allearsi ed escogitano un ingegnoso metodo per collaborare tra i fornelli del ristorante, senza farsi scoprire dai colleghi di Linguini, i quali, come prevedibile, reagirebbero disgustati e iracondi alla vista di un topo nel loro ristorante. Per non farsi scoprire dai colleghi, Remy si colloca all’interno di un cappello da cuoco (la toque, trasparente all’interno, ma che dall’esterno impedisce di vedere cosa si trovi dentro di essa), posto sopra la testa di Linguini, afferrando due ciuffi di capelli del ragazzo e “pilotandone il corpo” come se fosse un vero e proprio robot gigante, al pari di Mazinga Z. Remy, infatti, si rende conto che tirando e manovrando i ciuffi di capelli del ragazzo può muoverne gambe, piedi, braccia e mani a piacimento, e secondo la propria volontà. I due diventano così un unico essere (proprio come accade a Koji e Mazinga Z), in cui Remy ricopre il ruolo di “mente” di Linguini, il cui corpo si limita a eseguire i comandi imposti dal topo, finendo così per rappresentare, agli occhi di uno spettatore che ben conosce Mazinga Z e altri robot giapponesi, un perfetto equivalente del rapporto che si instaura tra pilota e automa in molte serie robotiche nipponiche. Tra l’altro, la collocazione centrale di Remy sopra la testa di Linguini, ricorda molto la posizione in cui il Pilder di Koji si incastra all’interno del volto di Mazinga Z. Infine, proprio come Koji nelle prime puntate di Mazinga Z, anche Remy deve fare molta pratica (commettendo spesso buffi e divertenti errori all’inizio) per riuscire a controllare e guidare in modo perfetto il corpo di Linguini. Nel corso del film, Remy diviene sempre più abile nel manovrarlo, al punto da spingerlo a baciare una sua attraente collega e da riuscire a “riattivarlo” facendolo “rialzare” in seguito ad una pesante ubriacatura alcolica, proprio come spesso Koji riesce a far compiere movimenti e azioni apparentemente impossibili al suo robot. Purtroppo al momento non è possibile stabilire con certezza se quest’analogia di Ratatouille con Mazinga Z sia frutto di una precisa influenza del secondo sul film americano, o dell’esplicita volontà di omaggiare l’opera nagaiana da parte degli animatori statunitensi.

Tuttavia lasciamo al lettore la possibilità di confrontare di persona le due opere animate, dimostrando come, a tanti anni di distanza, il robot di Nagai possa ancora continuare a sorprendere e a fornire spunti di interesse ai suoi fan, alle nuove generazioni che non lo conoscono, e alla critica cinematografica e fumettistica. Continua così, Mazinga Z!
 
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6 replies since 12/7/2010, 10:50   357 views
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