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DAITARN 3 CONTRO LUPIN 3! E il passato di Banjo!

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view post Posted on 22/5/2011, 10:39     +1   -1

Ill.mo Fil. della Girella

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Riassunto: Fujiko Mine, la donna della banda di Lupin, facendo finta di essere una giornalista, intervista Banjo per avvicinarsi a lui e rubare l’oro che Banjo possiede. In questo momento, Banjo sta raccontando alla falsa giornalista il suo passato: suo padre, un famoso scienziato di nome Haran Sozo, fu costretto da Kronin Krask – il futuro Don Zauker – a lavorare su Marte e a costruire i Meganoidi. Alla fine, Banjo riuscì a fuggire a bordo di un’astronave, accompagnata da altre quattro di supporto: ma venne individuato dal meganoide Warner che gli scaricò contro i cannoni laser della sua Ammiraglia Dreadnought.
Intanto, Lupin III e i suoi compagni hanno raggiunto su Marte la base dei meganoidi per rubare l’oro ivi nascosto, ingannando Koros. Infatti, Lupin sostiene di poter curare Don Zauker, diventato completamente inerte dopo l’ultimo scontro con Daitarn III. La donna non si fida di loro e imprigiona Jigen e Goemon in gabbie elettrificate, mentre Lupin le dovrà dare i dati per salvare Don Zauker. Lupin però scopre che il vero nome di Koros è Aliel Noshino, e nel dire questo la donna resta scioccata…


Koros era rimasta sconvolta.
Aliel Noshino.
Il suo vero nome. Lupin le aveva detto il suo vero nome. Per un attimo, barcollò per la sorpresa, poi si volse verso i suoi soldati meganoidi, che erano disposti attorno alla sala computer che teneva in vita Don Zauker.
“Uscite tutti da qui! Immediatamente!” intimò.
Nessuno deve sapere del mio passato. Nessuno!
“Ma…Altezza Koros…quell’umano…” disse uno di loro, indicando Lupin, che stava ticchettando tranquillamente su uno dei computer, come se non avesse nessuna preoccupazione al mondo. Anzi, represse a fatica uno sbadiglio.
“Pensate che non possa tenere a bada un misero umano? Andatevene, ho detto!”
Gli altri uscirono in poco tempo: sapevano bene che non era salutare discutere con Koros.
In fondo alla sala, oltre a Lupin e Koros, si trovavano le due gabbie elettrificate dove Jigen e Goemon, disarmati, erano rimasti imprigionati dentro: rimanevano tutti e due seduti a terra, tranquilli e silenziosi, come se non fossero rinchiusi. All’improvviso, i loro occhi si erano fatti attenti: Lupin aveva sbadigliato. Era il segnale. Sapevano cosa fare.
Ma Koros non badò a loro. Afferrò il polso di Lupin, torcendolo sulla schiena e facendo sbattere il volto contro la parete meccanizzata.
“Ehi, che ti prende? Sto lavorando per te!”
“Ascoltami bene, buffone” disse Koros con voce di ghiaccio “Come fai a sapere come mi chiamo?”
“Ti avrei risposto anche senza tanta brutalità, bellezza. Se mi dai un bacetto, ti dico tutto!” rispose sorridendo Lupin.
Koros strinse il braccio più forte e Lupin gemette:
“Piano, pazza nazista! Quel braccio mi serve. Bastava un no!”
“Non perderti in stupidaggini. Parla!”
“OK, OK. Quand’ero ragazzo, mi stavo già dando da fare per diventare il miglior ladro del mondo. Ma, per fare questo, avevo bisogno di costruirmi un’organizzazione, fare dei punti chiave, delle basi dove nascondermi o agire. Una “rete”, insomma. Per farla, avevo bisogno di un modello insolito, diverso dagli altri. E ho preso come esempio il tuo, Aliel Noshino. La tua “Rete”.
Koros, scioccata, mollò la presa su Lupin.
“La…la mia “rete”? Ma allora tu sai anche questo…”
“Proprio così” continuò Lupin, massaggiandosi il polso “A quei tempi, tu, Aliel Noshino, eri la comandante del cartello criminale invisibile e più importante del sudest asiatico, la “Rete”. I tuoi genitori erano profughi ucraini, si pensa: non si è mai chiarito. Comunque, eri conosciuta anche per i tuoi capelli rossi.”
Koros rimase senza parole. Per la prima volta da anni, oltre a Don Zauker, adesso c’era un’altra persona a sapere del suo passato. Nessuno lo conosceva: nemmeno Banjo.
“Ma come hai fatto a collegarmi con lei?” chiese.
“A quei tempi, mi ero informato sulla tua “Rete” per i motivi che ti avevo detto: e avevo scoperto che, all’improvviso, Aliel Noshino era scomparsa nel nulla e la Rete non c’era più. La cosa mi aveva incuriosito, e, indagando, alla fine avevo capito che c’era di mezzo la Krask Corporation. Era un avversario troppo forte per me, allora, e lasciai perdere la storia. Comunque, in fondo, ti devo ringraziare. L’organizzazione della tua “Rete” mi è stata molto utile per iniziare la mia carriera”
“Stai dicendo che io ho contribuito a far nascere Lupin III?”
“In un certo senso…”
Koros per un momento guardò verso Don Zauker, immobile e assente, illuminato a tratti dalle luci dei computer e circondato da fili elettrici in ogni punto. Le venne in mente il primo incontro che ebbe con lui.

A quei tempi, gli assalti misteriosi alla “Rete” erano diventati sempre più metodici e spietati: per la prima volta nella sua vita, Aliel Noshino si era trovata in difficoltà, tanto da non poter rifiutare la proposta di un incontro al vertice tra lei e il misterioso nemico.
Quella sera, in quel molo abbandonato, circondata dalle macchine sia della “Rete” che dei nemici, per la prima volta vide Kronin Krask. Era sceso dalla macchina principale, muovendosi maestosamente e con scioltezza. Aveva un fisico enorme, alto quasi due metri: la sua presenza era magnetica. Calamitava l’attenzione di chiunque, non solo per la sua stazza, ma anche per un indefinibile carisma che emanava da lui. Nemmeno una come Aliel Noshino poteva rimanere indifferente alla sua presenza. Lui si diresse verso di lei, fermandosi a pochi passi dalla donna.
“La signorina Aliel Noshino, presumo” disse con voce calda e decisa “Devo dire che le immagini su di lei non le davano giustizia. Lei è più bella di quello che pensavo”
“Questo non è un incontro romantico, mister Krask” rispose la donna, guardandolo dal basso all’alto “Lei è responsabile degli attacchi alla mia “Rete”. Cosa vuole da me?”
“Glielo spiegherò subito” Si volse verso i suoi uomini e disse loro: “Potete andare”
“Cosa? Ma, capo…cioè, mister Krask…dobbiamo lasciarla qui?” dissero gli altri. Con voce dura, lui rispose:
“Obbedite”
Perplessi, se ne andarono tutti in silenzio. Lui era rimasto solo, davanti ad Aliel Noshino e i suoi uomini della “Rete”, sorpresi dall’inaspettato sviluppo dell’incontro. Con tranquillità, Krask disse:
“Ho attaccato la sua “Rete” in diversi punti per saggiarne l’efficacia, miss Noshino. I risultati mi hanno soddisfatto: nonostante tutto, lei è sopravvissuta e la “Rete” è rimasta vitale. Il mio obiettivo è stato raggiunto: il suo talento e la sua organizzazione sono proprio quello che cercavo. Se li metterà al servizio della Krask Corporation, in cambio, avrà in mano l’intera azienda”
“Cosa?” disse Noshino, incredula.
Inaspettatamente, il gigante davanti a lei si inginocchiò e, estratta una pistola, la porse a lei, tenendola per la canna.
“E’ carica” spiegò lui “Può spararmi, se vuole”
La donna, con la pistola in mano, si chiese se non stava sognando.
“Ma…è pazzo? Perché fa così?”
“Ho una malattia grave che mi distruggerà nel tempo a venire. Faccio già fatica a continuare a fare quello che facevo prima. Non riesco più a sostenere da solo la Krask Corporation. Mi è necessario un aiuto fidato, potente e privo di scrupoli. Ho esaminato diverse persone e alla fine ho concluso che lei, Aliel Noshino, è la più adatta a quest’incarico. Potrà gestire, insieme a me, l’intera Krask Corporation. O uccidermi qui. Non ho alternative”
Ci fu un lungo silenzio, dopo queste parole. La donna era ancora indecisa. All’improvviso, Krask tossì forte: Noshino si chinò verso di lui e si accorse che aveva sputato sangue. Emorragia interna. Vide che il volto di Krask era pallido: non stava fingendo. Soffriva sul serio. Noshino provò una certa ammirazione per un uomo così tenace. Gli mise una mano sulla spalla e disse:
“Ti aiuterò”
Da allora, la sua vita non fu più la stessa. Cambiò il suo nome in Leilah Shinozuka e gestì con guanto di velluto e pugno di ferro l’organizzazione di Krask, che si era fusa con la sua “Rete”, facendola espandere come mai prima, eliminando, anche fisicamente se necessario, i rivali. La sua mancanza di scrupoli era totale e divenne l’ombra di Krask: lei era sempre al suo fianco. Inoltre, aiutò Krask col suo progetto più ambizioso: le colonie su Marte e l’uso del talento del dottor Sozo, il padre di Banjo.
A quel tempo, Lupin III era agli inizi ed agiva soprattutto sul territorio giapponese: non aveva ancora raggiunto la fama di ladro internazionale. Per questo, Aliel Noshino non aveva mai sentito parlare di lui; e, quando divenne Koros, la sua guerra contro il Daitarn di Banjo fece passare in secondo piano ogni cosa. Questo spiegava l’ignoranza di Koros su Lupin.

Koros scacciò via i ricordi e si rivolse di nuovo a Lupin.
“E come potevi immaginare che Leilah Shinozuka fosse Aliel Noshino? Solo perché lei era scomparsa a causa della Krask Corporation? E perché lei aveva i capelli rossi come i miei? Non è un po’ debole come motivo?”
“Intanto hai elencato due motivi, non uno, e fanno già pensare. Ma ne posso aggiungere un terzo: il nome. Leilah Shinozuka è l’anagramma di Aliel Noshino, aggiunta alle parole “Zuka-No”, il nome della “Rete” nella tua lingua originaria”
Lupin mise una mano sotto la giacca, estraendo un foglio.
“E c’è un quarto motivo: anche se sei diventata meganoide, in sostanza, fisicamente, non sei molto diversa dalla Aliel Noshino di allora”
Koros guardò la fotografia che Lupin aveva tra le dita e gliela strappò di mano, fissandola silenziosa, con una vaga aria di rimpianto. Era proprio lei, in divisa cachi, col mitra in mano e i suoi uomini accanto. Li riconobbe tutti. Alcuni erano morti, altri erano diventati meganoidi, ma nessuno di loro alla fine è sopravvissuto. Non c’era più nessuno della Rete, adesso, accanto a lei.
Maledizione, quanto mi sembra lontano quel passato…pensò, con aria triste.
Serrò le labbra e strappò con rabbia la foto.
“Questa è una storia passata, Lupin. Non ne parliamo mai più. Fammi vedere questi dati su Don Zauker. Se ci sono altre password, ti ammazzo.”
“Figurati, ho finito cinque minuti fa. I dati sono qui.”
In effetti, lo schermo indicava un lungo elenco delle strutture base dello stato meganoide di Kronin Krask, il Don Zauker di un tempo. Informazioni di base, essenziali per sapere come curare il padrone di Koros.
Lei entrò in contatto mentalmente con tutti i dati, esaminandoli e studiandoli con cura, in pochi attimi, grazie alla sua memoria meganoide. I dati erano esatti e coincidevano con quelli, frammentari, che lei aveva. Quelli erano veramente i documenti segreti del Dottor Sozo. Non c’era alcun dubbio. Ma cosa si può fare? Come utilizzare questi dati? Saranno davvero utili?
“Immagino quello che stai pensando” commentò Lupin “La soluzione è semplice. Basta prendere il sangue di Don Zauker”
Koros lo osservò basita. Don Zauker non aveva sangue. L’unica cosa umana che aveva era il suo cervello.
Inoltre, era così concentrata dalla discussione con Lupin che non si era ancora accorta che le gabbie di Jigen e Goemon erano vuote. Lupin sudò freddo: tutto stava andando come previsto, però era essenziale che Koros non si accorgesse subito della loro fuga. Doveva continuare a mantenere su di sé la totale attenzione di Koros.

Alla villa di Banjo sulla Terra, nello stesso momento, Fujiko era concentratissima. Non solo per la storia di Banjo, che si stava avvicinando alla fine, ma anche per il fatto che il suo piano stava arrivando al momento cruciale. Sforzandosi di rimanere tranquilla, interruppe il racconto di Banjo, dicendo:
“Mi scusi, signor Banjo…il registratore ha qualche problema”
Lui si interruppe, mentre Fujiko armeggiò attorno all’apparecchio, sintonizzandolo di nascosto come programmato.
Perfetto, pensò.
Riaccese il registratore e disse:
“Mi scusi, signor Banjo. Può continuare. Stava dicendo che lei era fuggito da Marte con cinque astronavi e il meganoide Warner la stava inseguendo con l’astronave ammiraglia Dreadnought…”
“Esattamente. Era il primo modello della “Macchina della morte”, che in certi casi accompagnava i comandanti meganoidi. Tutti i cannoni della Dreadnought – centinaia – spararono contro di me”
“E come fece a salvarsi?”
“Il punto debole di Warner era il fatto di considerarmi un ragazzetto principiante. Il suo errore era sempre stato quello di guardare la gente dall’alto al basso, senza mai valutarla. L’orgoglio fu la sua pecca fatale. Invece, avevo già molta esperienza come pilota: mio padre e Minamoto mi avevano allenato duramente, in particolare sul satellite Phobos, vicino a Marte. Don Zauker e Koros non sospettarono nulla, allora, perché pensavano che mi stessi allenando per la loro causa. Questa fu la mia salvezza, unita al fatto che avevo il fisico e la mente sviluppati allo stesso livello dei Meganoidi, senza essere un cyborg come loro. Raggiunsi in fretta i canali naturali e artificiali di Phobos, che mi diedero protezione. Warner non riuscì nemmeno a scalfirmi: avevo raggiunto i canali prima ancora che lui sparasse.”


Infatti, quando Warner si accorse dell’incredibile velocità di reazione di Banjo, rimase spiazzato.
“Ma non è possibile! Non può aver evitato all’istante tutti quei raggi! Haran Banjo, maledetto, come hai fatto?” gridò con rabbia, stringendo con forza la barra della sua impalcatura sul ponte di comando.
“Comandante Warner! Banjo si è rifugiato nei canali di Phobos e non esce più da lì. Saetta in continuazione da un punto all’altro, lui e le sue astronavi. Mai visto niente di simile!” disse il meganoide addetto al radar. “Le cinque astronavi agiscono per conto proprio. Come facciamo a sapere qual è quella di Banjo?”
“Inseguitele tutte! Fate uscire i caccia!”
I caccia meganoidi uscirono dal Dreadnought, simili alle piccole astronavi tipo Guerre Stellari: si divisero in più gruppi ed inseguirono a velocità folle le cinque astronavi lungo le strette vie dei canali, senza però raggiungerle. Andavano veloci, fin troppo veloci: nessun uomo e nessun meganoide avrebbe potuto sopravvivere ad una velocità cinetica simile: la pressione all’interno sarebbe stata intollerabile.
Anche Warner notò la stranezza, e all’improvviso gli venne un atroce dubbio. E se Banjo non fosse in nessun’astronave? E se fosse da qualche altra parte?
“Comandante…non è possibile…guardi sullo schermo!” gridò uno dei piloti della nave ammiraglia, spaventato.
Warner non credette ai suoi occhi. Lo schermo mostrava un gigantesco robot a forma umana che aveva sulla fronte qualcosa che brillava intensamente, quasi come un piccolo sole. Con voce di tuono, il robot disse:
“Da adesso in avanti, Daitarn 3 combatterà contro l’ambizione dei Meganoidi! Se non temi il fulgore di questo sole ardente…COMBATTI!”
Muovendo le braccia, come se eseguisse un rituale, il robot aggiunse:
“Ed ora, con la forza del sole, io ti distruggerò. Attacco solare…ENERGIA!!”
Fu il primo attacco in assoluto del Daitarn 3, con un risultato devastante. La luce sulla fronte del robot divenne così forte da essere insopportabile per gli occhi, e Warner non dimenticò mai quello che accadde dopo. La potentissima Dreadnought, il suo orgoglio, fu lacerato in due tronconi fumanti che a loro volta si stavano spezzettando in frammenti vari, provocando panico, esplosioni a catena e un inferno di fuoco dovunque.
Warner riuscì a stento a scappare a bordo della sua scialuppa di salvataggio, atterrando malamente sulla superficie di Marte. Uscendo dal veicolo danneggiato, ammaccato e dolorante, vide con disperazione il gigantesco robot e le cinque astronavi che si stavano allontanando nello spazio.
Con una parte dell’oro di Don Zauker.
Warner cadde in ginocchio, affranto e sconvolto.
L’eccelso Don Zauker non mi perdonerà mai…sono finito!

Mentre Warner era in preda allo sconforto, nel palazzo di Don Zauker, Koros stava osservando sullo schermo le astronavi di Banjo che si stavano allontanando, mentre stava regolando il gigantesco cannone laser che le avrebbe ridotte in polvere. Tutto era pronto, ma, per qualche motivo, Koros esitò a sparare. Il comportamento di Banjo le aveva fatto ricordare come era lei un tempo, inseguita e ricercata: vedere Banjo era per lei come vedere la Aliel Noshino di una volta. Ma doveva sparare. Lui era un pericolo per Don Zauker e per la futura espansione dei meganoidi. Alla fine si decise, ma quell’attimo di esitazione per Koros le fu fatale: Midori, la madre di Banjo, anche se era legata ai polsi, si gettò a corpo morto addosso a lei, facendola cadere.
“Non ucciderai mio figlio, strega!” gridò lei con rabbia.
Koros, stupita, cadde a terra insieme alla donna e, osservando dal basso lo schermo, si rese conto che Banjo ormai era troppo lontano dalla gittata del cannone. Troppo tardi. Banjo era definitivamente scappato. L’ira di Koros divampò in un lampo, colpendo Midori con un potente manrovescio. Anche se quest’ultima era a terra, la violenza del colpo la fece sollevare, facendola sbattere duramente contro un macchinario: l’impatto fu così forte che lei morì all’istante.
“Midori! No! Midori!” gridò il dottor Sozo, sconvolto, cercando di divincolarsi dalla presa dei meganoidi che lo bloccavano, insieme alle manette che portava ai polsi. Alla fine, i soldati dovettero picchiarlo con forza per tenerlo fermo. Abbattuto a terra, mentre perdeva sangue dal naso, guardò dal basso all’alto Kronin Krask, o Don Zauker, che gli disse:
“Lei mi ha deluso, dottor Sozo. Il suo posto sarà preso dal suo assistente Minamoto, che abbiamo recuperato. Non ci serve più, dottore. Koros, uccidilo.”
“Sissignore”
I soldati alzarono di peso Sozo, che ormai non aveva più la forza di reagire. Koros lo colpì al collo con un movimento secco, spezzandolo e uccidendolo sul colpo. Ma, inaspettatamente, ci fu una conseguenza spaventosa a questo gesto: Krask urlò, preso dal dolore, mentre il suo corpo fu avvolto dalle fiamme. Il dottor Sozo, infatti, che aveva trasformato Krask in un meganoide, aveva impiantato su di lui un impianto di autodistruzione che sarebbe scattato automaticamente appena il dottor Sozo sarebbe morto.
Koros, sconvolta, ordinò ai meganoidi di usare gli estintori automatici, ma era troppo tardi. Il corpo meganoide di Don Zauker era stato distrutto: ciò che si salvò fu solo il suo cervello, che aveva ancora qualche parvenza di vita. Sotto la minaccia di Koros, il dottor Minamoto costruì per Krask una struttura meccanica di supporto per il cervello umano, dando forma e aspetto al Don Zauker attuale. Era vivo, ma non poteva più parlare con la bocca né muoversi: forse in futuro sarebbe stato capace di farlo, ma doveva essere tenuto in costante osservazione. Comunque, era capace di mandare messaggi telepatici a Koros, che da allora comandò l’esercito meganoide al suo posto. La “ricostruzione” di Don Zauker durò molti mesi, un tempo sufficiente per Banjo di prepararsi e organizzare la sua lotta contro i Meganoidi sulla Terra.
Infatti, seguendo le direttive del computer di bordo, programmate dal Dottor Sozo, le cinque astronavi di Banjo raggiunsero la Terra, evitando di essere notate sia a occhio nudo che col radar, grazie alla tecnologia meganoide. Atterrarono davanti alla villa di Garrison Tokida, amico del dottor Sozo e suo ex compagno d’armi sotto l’esercito.

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Prossima puntata (5 Giugno): Lupin e compagni in azione; poi, il primo incontro tra Garrison e Banjo.

Se volete commentare, potete farlo qui: https://gonagai.forumfree.it/?t=50887256&st=15#lastpost

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Riassunto: Fujiko Mine, la donna della banda di Lupin, facendo finta di essere una giornalista, intervista Banjo per avvicinarsi a lui e rubare il suo oro. In questo momento, Banjo sta raccontando alla falsa giornalista il suo passato: dopo essere fuggito da Marte, arriva alla villa di Garrison Tokida, un vecchio amico di suo padre…
Intanto, Lupin III e i suoi compagni hanno raggiunto su Marte la base dei meganoidi per rubare l’oro ivi nascosto, ingannando Koros. Infatti, Lupin sostiene di poter curare Don Zauker, diventato completamente inerte dopo l’ultimo scontro con Daitarn III. La donna non si fida di loro e imprigiona Jigen e Goemon in gabbie elettrificate, mentre Lupin le dovrà dare i dati per salvare Don Zauker.


Quello sbadiglio che Lupin aveva fatto era il segnale. Jigen e Goemon, in gabbie separate ed elettrificate, avevano finora osservato in silenzio il loro compagno che parlava con Koros, facendola distrarre con grande abilità: alla fine, lui era riuscito a far sì che tutte le guardie se ne andassero e rimanessero solo loro due: Lupin e Koros. Oltre, ovviamente, ai due in gabbia.
Davvero diabolico, quell’uomo…pensò Jigen con un sorriso. Si tenne pronto, come pure il suo amico samurai: quel segnale significava che tra un po’ sarebbe stato il momento di muoversi.

“Per guarire Don Zauker è necessario prelevargli…il…il sangue? Lui non ha sangue, Lupin! Che diavolo dici?” disse Koros sconcertata.
“Non parlavo del sangue del suo corpo, mia cara. Parlavo del tuo.”
“Il mio?”
“Sì. Tu non sei un meganoide come gli altri, Koros. Sei stata forgiata ad immagine del tuo signore. Il tuo sangue si è trasformato in una copia vivente di quella di Don Zauker. Solo in questo modo, infatti, poteva esserci quella simbiosi delle menti che c’è sempre stata tra di voi. Così dicono gli appunti del nostro bravo dottor Sozo.”
Koros stette in silenzio, osservando il ladro con aria dubbiosa. Tenne una mano sotto il mento e rifletté.
C’è del vero in quanto ha detto. In tutti i tentativi fatti per rianimare Don Zauker, non ho mai pensato a questo. Forse ha ragione. Forse è l’unico modo. Però…
“Una volta che si è prelevato il mio sangue, che cosa se ne dovrebbe fare?” chiese la donna, diffidente.
“Ci sono certe informazioni sul nostro corpo che solo il sangue ci può dare. Il DNA è utile, ma indica solo le linee guida, troppo generiche per “rianimare” una persona. Ricorda poi che un cervello deve essere irrorato dal sangue, quindi un po’ di sangue Don Zauker deve averlo. Però è rimasto, come dire, “danneggiato”. Sostituendolo con sangue fresco – il tuo, appunto – lui tornerà fresco come prima. So che sembra una cosa un po’ stile “Conte Dracula”, d’altra parte il tuo Don Zauker un po’ ci somiglia…”
La sberla partì col rumore di uno schiocco.
“Non permetterti di deridere il mio signore!” gridò furiosa Koros.
Lupin si massaggiò la guancia: era stato uno schiaffo di tutto rispetto. La sua testa era piena di campane che suonavano a festa.
“Hai le mani pesanti, milady…bè, a parte questo, cosa decidi di fare?” chiese Lupin, mentre tirava via la chiave USB e la lanciava in alto, giocherellando.
Koros era stizzita. Non aveva scelta. Doveva provare.
“Va bene! Ma tu verrai con me. Non ti voglio perdere di vista un solo secondo. Cammina davanti!”
“Lo sapevo che mi trovavi irresistibile, bellezza. Il mio fascino è sempre stato devastante…”
Lei preferì non replicare. Ne aveva abbastanza della sua ironia. L’avrebbe ammazzato appena sarebbe finita questa storia.
I due si diressero verso la porta principale, ignorando Jigen e Goemon, ancora imprigionati nelle gabbie, che rimasero soli nell’enorme stanza computerizzata (a parte ovviamente Don Zauker, ma nel suo stato la sua presenza era irrilevante).
Appena uscirono, Jigen estrasse il filo di gomma che aveva nascosto nelle maniche della giacca. Anche Goemon fece lo stesso. Con velocità e destrezza, tagliarono un paio di sbarre con quello strumento: sembrava un normalissimo filo di gomma, ma era fatto di un materiale altamente isolante, sul quale l’elettricità non funzionava, e, una volta attorcigliate attorno alla sbarra, bastava tirarle agli estremi per tagliare con calma la sbarra e scappare.
Loro erano stati imprigionati mille volte in diversi modi: questa gabbia elettrificata era normale routine. Quel “filo speciale”, inoltre, era l’invenzione di uno scienziato, che Lupin aveva trafugato tempo fa. Certe scoperte gli interessavano sempre: erano assai utili per il suo “lavoro”.
Una volta usciti, si nascosero silenziosamente dietro alcuni macchinari e non si mossero. Jigen iniziò a parlare, sussurrando:
“Ho visto il codice di apertura della porta. Si può aprire, ma ci saranno decine di meganoidi in giro.”
“Sapresti trovare l’oro? L’oro dei meganoidi?” disse Goemon, pensieroso.
“Certo. Basta usare questo piccolo rintracciatore. Il problema è arrivare fin laggiù. Interi.”
“Bene” concluse il samurai, alzandosi e digitando il codice.
“Cosa fai?” sbottò l’altro, allarmato.
“Non muoverti” comandò deciso Goemon “Io li attirerò a me, distraendoli. Così, avrai via libera”
“Non essere stupido! Sei disarmato! Anch’io non ho la pistola…”
“Proprio per questo. Rivoglio la mia spada. E sento la sua posizione. Vado da lei. Anche per questo ci separiamo. Addio, Jigen”
Il samurai scomparve appena aperta la porta. Seguirono urla concitate e passi di inseguimento. Il pistolero iniziò ad uscire dal nascondiglio e a dirigersi verso l’oro, muovendosi cautamente. Qualcosa però lo turbava.
Perché mi ha detto “addio”?
La risposta era semplice. Goemon aveva percepito la pericolosità del comandante meganoide Demian: con la spada era persino più veloce di lui. Sapeva che avrebbe dovuto affrontarlo, e che forse non ne sarebbe uscito vivo.

Jigen si mosse di soppiatto, radente alle pareti: riuscì – anche se a fatica - ad eludere le guardie. In quanto a silenziosità, aveva imparato molte cose da Lupin. Non era un caso se la maggior parte dei colpi era stata fatta da loro due. Arrivato al portone che lo strumento gli indicava, lo studiò con calma, usando le tecniche che gli aveva insegnato Lupin. Il portone si aprì senza far rumore. L’oro, tutto in lingotti, era laggiù: una montagna impressionante, un incredibile Eldorado. Fujiko sarebbe impazzita al solo vedere tutto questo. Ma Jigen, anche se era ammutolito dallo stupore, non si sentiva soddisfatto. Era stato troppo facile. Non poteva credere che i meganoidi fossero così deficienti da permettere ad un estraneo di arrivare senza troppi sforzi al loro oro. In quel momento, il portone si chiuse all’istante, lasciando tutto al buio. Poi, dopo un momento di smarrimento, si accesero le luci.
Jigen vide una figura nera stagliarsi in piedi con aria arrogante proprio sopra la montagna dell’oro. Portava un impermeabile nero di pelle, che brillava del riflesso delle luci, e un cappello a tese ampie, anch’esso nero. Portava due cinture incrociate alle quali erano appese due pistole. Jigen aveva già capito chi fosse appena aveva visto la figura in alto. Era quella donna dagli occhi diabolici che aveva visto prima. Lei saltò, volteggiando attorno a se stessa ed atterrando in piedi con la massima semplicità. Con un sorriso che pareva un ghigno, disse beffardamente:
“Il pistolero Jigen Daisuke, suppongo”
“Indovinato. Con chi ho l’onore?”
“Sono il comandante meganoide Tanja Rasputin, dell’ordine dei Cosacchi del Don. Lieta di conoscerti” rispose, sollevando per un attimo il cappello in segno di saluto. I suoi capelli biondi si fecero vedere, luminosi.
Jigen avvertì l’aura omicida che quella donna emanava.
Ha ucciso, capì Jigen. E l’ha fatto innumerevoli volte. Quelli sono gli occhi di una belva. Devo stare in guardia.
“Ti aspettavo. Sapevo che saresti venuto. Ti ho facilitato la strada per arrivare qui.”
“Perché?” La voce di Jigen era cupa. Non gli piaceva quella situazione.
“Ti voglio uccidere nel pieno delle forze. Sei famoso nel sottobosco criminale, Jigen Daisuke. Voglio aggiungere il tuo scalpo alla mia collezione”
La pistola di Jigen comparve nelle mani del capitano meganoide. La lanciò verso di lui, aggiungendo:
“E’ scarica”
Jigen l’afferrò al volo, aprendola. Il tamburo era vuoto. La osservò con aria interrogativa.
Rasputin lasciò cadere a terra un mucchio di pallottole.
“Hai un minuto per caricarla. Appena avrai finito, inizierà la danza”
La donna fece un salto impossibile per un essere umano, raggiungendo in un balzo la cima della montagna d’oro, e in un attimo scomparve.
Jigen si mosse subito: non aveva tempo da perdere. Si inginocchiò e iniziò a raccogliere freneticamente le pallottole per caricarle nel tamburo della pistola. Sudava freddo.

Nello stesso momento, sulla Terra, il racconto di Banjo si stava avvicinando alla fine.
“Avete incontrato Garrison, allora, signor Banjo, quando eravate atterrato sulla Terra dopo essere fuggito da Marte?” chiese con aria fintamente ingenua la giornalista Hitomi Kant. E, nella sua mente, il suo alter ego – Fujiko Mine – non vedeva l’ora di iniziare il colpo. Mancava poco. Tra poco tutto l’oro di Banjo sarebbe stato nelle sue mani. E poi quello di Marte…no, non doveva pensarci, se no impazziva dalla gioia.
Inconsapevole del pericolo che stava correndo, Banjo continuò: “Certo. Ma non fu un caso. Vedete, Garrison era un vecchio amico di mio padre, e le astronavi erano state programmate proprio per atterrare vicino alla sua residenza, che poi divenne la villa nella quale io iniziai a vivere e a programmare la battaglia contro i meganoidi. Ma forse qui è meglio lasciar parlare Garrison. Giusto, vecchio mio?”
“Come desidera, signore” rispose flemmatico il maggiordomo “Sì, conoscevo il professor Haran Sozo, il padre del signor Banjo. Un’ottima persona, mi creda: mi salvò addirittura la vita, in circostanze assai pericolose. Vede, avevamo combattuto insieme in una missione segreta sul fronte coreano…”
“Durante la seconda guerra mondiale?” chiese Fujiko.
“No, dopo. Fu una missione top secret a nome del governo giapponese. Purtroppo sono vincolato dal segreto di stato e non posso dirle altro. Però le posso dire che il dottor Sozo era deputato alle analisi e ricerche; inoltre, fu anche un buon medico, e mi salvò da morte certa in tali circostanze. Da allora, fui in debito con lui. Fummo molto amici, anche se poi ciascuno prese la sua strada. Il professor Sozo si sposò, e io mi ritirai a vita privata”
“Mi scusi, ma lei che vita faceva? Prima di incontrare il professor Sozo, intendo”
“Sono discendente di una nobile famiglia samurai, i Tokida, e di una famiglia inglese altrettanto nobile, i Pinkerton. Mia nonna materna era inglese, e conobbe mio nonno, il signore del casato Tokida: si innamorarono e si sposarono. Fui allevato all’università di Cambridge e sostenni la mia tesi sulle onde elettriche a Oxford. Oltre alla meccanica, una mia passione, ero soprattutto esperto di armi da fuoco. Senza falsa modestia, devo dire che vinsi di seguito per cinque anni i campionati di tiro al fucile e di scherma. Collaborai anche al MI-6, l’organizzazione segreta inglese, e dovetti fare una missione in incognito in cui dovetti collaborare appunto col professor Sozo, che divenne, come ho detto, un mio caro amico. Il patrimonio della mia famiglia è sempre stato ragguardevole e mi permise di ritirarmi a vita privata senza problemi, dove contavo di scrivere le mie memorie o un paio di romanzi. Ho sempre avuto il desiderio di scrivere qualcosa. L’arrivo del signor Banjo modificò radicalmente i piani che avevo per la mia vita. Comunque, non mi pentii mai di averlo aiutato”
“Come accadde il vostro primo incontro?”
“Difficile descrivere quello che pensa una persona che stava leggendo Dickens davanti al fuoco del camino e vede, attraverso le finestre, atterrare cinque astronavi gigantesche e silenziosissime davanti al prato della propria villa, in mezzo alla neve. Sì, eravamo in pieno inverno, miss Kant. Credevo che fossero arrivati gli alieni. Pensi che la servitù nemmeno si allarmò. Capii che solo io potevo vedere quelle astronavi. Inoltre, mi ricordavo di un trucchetto simile che aveva fatto proprio il professor Sozo in passato, in uno dei suoi esperimenti. Oggetti silenziosi ed invisibili. Scesi in fretta verso il parco…”
“Scusi se la interrompo, ma il suo parco poteva ospitare cinque astronavi, delle quali una col Daitarn 3?”
“E’ un parco molto grande, miss Kant. Una volta era un bosco selvatico, fonte di pericolo e malattie per generazioni. La famiglia Tokida lo rese vivibile. Appena mi avvicinai alla prima astronave, si aprì uno sportello e ne uscì fuori un ragazzo, completamente sconvolto e con i capelli insolitamente verdi, cosa che mi fece credere per un attimo di essere davvero davanti ad un alieno. Era stanco e denutrito. Lo accompagnai all’interno della villa e mi presi cura di lui, chiamando un medico. Dopo diversi giorni, si riprese e mi raccontò tutta la storia. Ovviamente, fui diffidente e feci dei controlli: ma mi accorsi che tutto quello che mi aveva raccontato, per quanto assurdo, corrispondeva al vero. E quella sera mi decisi a parlare apertamente a quello che avevo riconosciuto come il figlio del dottor Sozo. Ma, con mia grande sorpresa, scoprii che il letto era vuoto. Il signor Banjo era scappato in piena notte e in mezzo alla neve”
“E come mai?” chiese la falsa giornalista.
L’imbarazzo in quel momento fu palpabile.
“Bè…ecco…” iniziò Banjo “…io…ero andato per…per uccidere il signor Tachibana. Il padre di Beauty.”
La ragazza bionda, che era stata la prima assistente di Banjo, voltò la testa verso la finestra, silenziosa. Allora non sapeva nulla di quello che aveva combinato suo padre e del suo rapporto con Kronin Krask, il futuro Don Zauker.
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Sabato 18 Giugno: Jigen contro Rasputin!

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Ill.mo Fil. della Girella

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Riassunto: Fujiko Mine, la donna della banda di Lupin, facendo finta di essere una giornalista, intervista Banjo per avvicinarsi a lui e rubare il suo oro. In questo momento, Banjo sta raccontando alla falsa giornalista il suo passato: dopo essere fuggito da Marte ed essere accolto da Garrison, vuole vendicarsi dell’inganno di Don Zauker uccidendo il padre di Beauty.
Intanto, Lupin III e i suoi compagni hanno raggiunto su Marte la base dei meganoidi per rubare l’oro ivi nascosto, ingannando Koros. Infatti, Lupin sostiene di poter curare Don Zauker, diventato completamente inerte dopo l’ultimo scontro con Daitarn III, usando il sangue di Koros. Goemon e Jigen, scappati dalle prigioni dei meganoidi, si dirigono in strade diverse: il primo vuole recuperare la sua spada, il secondo si dirige verso l’oro. Ma, insieme all’oro, trova la comandante meganoide Rasputin, esperta pistolera…


I meganoidi cercarono in continuazione quell’ombra che li aveva distratti: un intruso era entrato nella base? Eppure non vedevano nulla. Goemon, nascosto in una camera chiusa, riprese fiato. La schermatura anti-meganoide che Lupin aveva dato loro funzionava: gli apparecchi meganoidi non potevano così percepire la presenza umana. Una delle tante sorprese che Lupin aveva sviluppato dagli appunti di Sozo che aveva duplicato alla villa di Banjo.
“Cosa facciamo?” chiese un meganoide al suo collega “Avvisiamo Sua Altezza Koros? Forse c’è un intruso qui.”
L’altro scosse la testa.
“Hmm. Aveva dato ordine di non essere disturbata. Non credo sia saggio contraddirla. Avvertiamo prima i comandanti, per sicurezza”
Dopo un paio di chiamate, i soldati conclusero:
“Il comandante Harrison ci lascia carta bianca. E’ sempre troppo tranquillo, quello”
“E il comandante Demian?”
“Ha detto di non preoccuparsi: la situazione è sotto controllo”
“E la..”
“No. Lei no. Non ho nessuna voglia di parlare alla comandante Rasputin. Sei pazzo? E’ capace di ammazzarti solo perché non hai saputo identificare l’intruso”
“Hai ragione. Continuiamo a cercare”

In effetti, dei tre comandanti, Tanja Rasputin era la più temuta: comandava col pugno di ferro la sua divisione femminile, definita addirittura “spartana”. Imponeva le antiche regole tipiche dei Cosacchi del Don, famosi per la loro disciplina e spietatezza: era chiamata “Ataman” (capitano) dalle sue soldatesse. Inoltre, la sua abilità con le pistole non aveva eguali, come Jigen scoprì subito.
Nella sala del tesoro, dove Rasputin e Jigen stavano combattendo il loro duello con le pistole, gli spari si susseguivano velocemente, per poi ricadere in un cupo silenzio: poi ricominciavano. Jigen era impressionato: non solo la mira della donna era straordinaria, ma poteva spostarsi da un punto all’altro con estrema facilità. Il suo corpo meganoide le permetteva di muoversi con velocità superiori a quelle umane. Un’ombra animata si mosse poco distante: Jigen sparò in un attimo, ma l’ombra era già scomparsa. In compenso, una pallottola fischiò ad un millimetro dalla sua faccia, lasciando una leggera scia di bruciato sulla guancia. Jigen impallidì e si ritirò al riparo.
Ricaricando in fretta la pistola, soppesava intanto la situazione. Era stato colpito più volte di striscio, e ormai la sua giacca aveva una collezione di strappi dovuti al passaggio delle pallottole: era ridotta da schifo. E lei, non era riuscito neanche a sfiorarla. Peggio, le pallottole stavano diminuendo.
Avrebbe potuto farmi fuori da tempo, con le sue abilità inumane. Sta solo giocando con me. Ma presto si stancherà. Sono svantaggiato: devo trovare un modo per beccarla…
Jigen si guardò attorno, e gli venne un’idea. Una possibilità c’era. Ma piccola davvero.
Nello stesso tempo, da un’altra parte della sala del tesoro, Tanja Rasputin si stava divertendo. Finalmente qualcuno che poteva resistere per più di due minuti contro di lei. Forse, poteva persino fare sul serio. Si alzò sorridendo e caricando con calma la sua pistola. Nelle prove usava le pistole laser, più difficili da usare, ma nei combattimenti veri e propri adorava usare le armi vecchio stampo. Il rinculo del tamburo era qualcosa alla quale lei non poteva rinunciare. Saltò su un alto mucchio di lingotti d’oro, senza fare il minimo rumore, tenendo nelle mani entrambe le pistole: era arrivato il momento di concludere. Aveva identificato la scura sagoma di Jigen che si era nascosta tra due pile di lingotti d’oro: prese la mira con calma verso l’avversario. Poi si volse di scatto e sparò: Jigen, alle sue spalle, fu colpito in pieno. Insieme allo schizzo di sangue, il suo cappello volò via per un attimo, seguendo poi nella caduta a terra il suo padrone.
“Il vecchio trucco del fantoccio, Jigen Daisuke” disse divertita la comandante “Mettere lì dei vestiti e nasconderti da un’altra parte, per sparare alle spalle. Questa tecnica non funziona per noi cosacchi, gunslinger. O pistolero, se preferisci.”
Camminando serena ai bordi della pila di lingotti d’oro, dall’alto Rasputin osservò il corpo inerte di Jigen a terra, col volto coperto dal cappello. Saltando da lassù, gli si avvicinò e, alzando le pistole, fece scattare i cani delle armi, dicendo soddisfatta:
“Ricordati di me nel luogo dove andrai, gunslinger.”
Scaricò tutte le due pistole contro il corpo di Jigen, bucherellandolo come un groviera. Alla fine, rimase solo un cadavere sanguinante e quasi ridotto a brandelli.
“Anche questa è fatta” concluse la donna, ricaricando le armi e rimettendole nelle fondine. “Ora bisognerà pensare agli altri due idioti…eh?”
Una luce accecante le apparve alle spalle: voltandosi stupita, si accorse che l’oro che era lì un momento fa non c’era più. Si voltò di nuovo: il cadavere di Jigen era ancora lì.
Cosa diavolo è successo? Dov’è finito l’oro? si chiese lei, confusa.

Pochi minuti prima, Koros e Lupin, all’infermeria, stavano osservando il dottore dei meganoidi, Moreland, attendendo la sua risposta. Lisciandosi un attimo i suoi baffi, questi cercò di capire la situazione, chiedendo:
“Il suo sangue, altezza Koros? Vuole che le prelevi il suo sangue per iniettarlo in Sua Eccellenza Don Zauker?”
“Basteranno pochi decilitri. E’ una normale trasfusione, doc!” spiegò Lupin.
“Tu, stai zitto!” disse dura Koros “Non mi fido ancora di te. Una mossa falsa e ti ammazzo, ricordalo! Dottor Moreland, cosa ne pensa?”
“Si può prelevare il suo sangue, altezza, se desidera, ma non so se possa funzionare per svegliare il Maestro…”
“Dobbiamo fare tutto il possibile per svegliare al più presto l’eccelso Don Zauker! L’Omegatron è già attivo, ormai è questione di poco tempo!”
Omegatron? Che sarebbe? si chiese Lupin, perplesso. Questa proprio non la sapeva.
“Come desidera, Altezza. Si sieda e mi mostri il braccio, per favore.”
Koros eseguì senza parlare. La guardia teneva Lupin sotto osservazione puntandogli contro il fucile. Mentre la siringa iniettata iniziava a prelevare il sangue della donna – un rosso brillante, diverso da quello umano – Lupin sudava freddo. Ora tutto si decideva in quell’attimo. Se gli appunti del dottor Sozo fossero stati errati, questa sarebbe stata la sua fine.
All’improvviso Koros si sentì bloccata e incapace di muoversi.
“Cosa…cosa mi succede?” disse a fatica.
Perfetto, si disse Lupin. Voltandosi subito, approfittando dell’attimo di stupore della guardia, afferrò il fucile e sbattè il calcio dell’arma sul mento della guardia, facendola tramortire all’istante. Poi fece lo stesso col dottore, che cadde a terra svenuto. Si trovò davanti alla figura di Koros seduta e immobile, ora incapace di parlare, con gli occhi che lanciavano fiamme d’ira.
“Penso che ti chiederai perché non puoi più muoverti” spiegò Lupin “Vedi, tesoro, il dottor Sozo doveva conoscerti bene. I suoi appunti dicono che prelevare del sangue da un meganoide di classe “A” – appunto tu, che sei l’unica ad esserlo – comporta il suo immobilismo totale. Non preoccuparti, durerà solo una decina di ore. Nel frattempo, ovviamente, non potrai chiamare nessuno”
Si guardò l’orologio “Oh, si è fatto tardi. Scusa, tesoro, ma devo scappare. I soliti affari, sai. Non essere triste, è stato bello! Ciao!”
Lupin diede un bacio sulle labbra di Koros, che semplicemente bruciava dentro di sé dal desiderio di muoversi e strozzarlo. E’ una fortuna per il ladro che non si possa ammazzare con lo sguardo. Lupin prese la fiala col sangue di Koros, aggiungendo:
“E poi, hai fatto una buona azione, tra l’altro. Il tuo sangue servirà a guarire Kelly, una bambina fatta ammalare indirettamente dai tuoi uomini. Fa’ conto che questo bacio te l’abbia dato lei. Au revoir, tesoro: teniamoci in contatto.”
Il ladro uscì dalla porta, tenendo in mano il fucile della guardia meganoide e indossando una maschera simile alla sua. Ovviamente si era già messo addosso i suoi vestiti. Mentre si stava dirigendo verso l’hangar dove c’era la loro astronave, cercò di contattare Goemon e Jigen. Il suo orologio-strumento indicava che il sistema di teletrasporto dell’oro aveva funzionato efficacemente. Però nessuno dei due rispondeva. In particolare, la comunicazione con Jigen era completamente interrotta, mentre quella con Goemon rimaneva sempre aperta, anche se lui non rispondeva ancora.
Strano, si disse preoccupato. Cosa sarà successo a Jigen?


Il racconto di Banjo ormai era arrivato alla fine. Davanti alla falsa giornalista, iniziò a raccontare quello che fece appena ritornato sulla Terra nella villa di Garrison:
“Sì…” iniziò imbarazzato “…non so se volevo uccidere il padre di Beauty, in quel momento ero fuori di me. Mia madre e mio fratello erano morti, mio padre mi aveva tradito, ero solo al mondo e pieno di rabbia per il tradimento. E anche il padre di Beauty lo consideravo un traditore. Era stato quasi come un altro padre per me: mi aveva portato alle fiere, mi faceva sempre il regalo di compleanno, mi portava a vedere i suoi possedimenti e a giocare nei suoi parchi…certi ricordi felici della mia infanzia erano dovuti proprio a lui. Per questo, la delusione e la rabbia che avevo verso di lui fu terribile. Con una pistola in mano, ero riuscito ad infilarmi di nascosto nella villa di Shinichi Tachibana – così si chiamava il padre di Beauty – e a percorrere in silenzio le buie sale, in cerca dell’uomo che volevo uccidere. Era notte fonda, e stranamente nella villa non c’era nessuno. Cominciai a pensare che lui non fosse lì: forse era scappato. All’improvviso, inaspettatamente, notai una luce, e mi incamminai in quella direzione: era un camino acceso, in una grande sala, dove una persona ravvivava il fuoco in silenzio, gettandovi ogni tanto qualche coccio di legno. Era lui. Mi avvicinai con la pistola in pugno: volevo vederlo in faccia prima di sparargli”
I dialoghi della scena vennero tutti in mente a Banjo, come se fosse stato ieri.
“Chi è?” chiese l’uomo, spaventato, pensando che fosse un ladro.
“Non mi riconosci, Tachibana?”
“Non è possibile…Banjo? Sei tu? Sei vivo? Cosa ti è successo? Tuo padre dov’è?” rispose l’altro, sconvolto, alzandosi dalla poltrona.
“Dovresti saperlo bene, Tachibana. Hai partecipato al progetto di Krask anche tu.”
“Certo, ma non so più nulla di lui da un mucchio di tempo. La Krask Corporation non ha mai voluto rispondere alle mie domande, e non sapevo che fare. Cosa è successo ai tuoi capelli, ragazzo? Sono diventati verdi!”
“Lascia stare i miei capelli! Krask si è trasformato in meganoide, e voleva trasformare in meganoide anche me! Ha ucciso mia madre e mio fratello!” gridò esasperato Banjo. Non riusciva più a trattenere la sua rabbia.
“Cosa?” sussurrò sconvolto Tachibana “E…e il dottor Sozo? Tuo padre?”
“E’ diventato alleato di Don Zauker”
“Chi?”
“Don Zauker. Krask si fa chiamare così adesso. Mio padre mi ha tradito!!! E anche tu, Tachibana! Ora la pagherai!”
Banjo alzò l’arma puntandola verso l’uomo, che però non si mosse. Con calma, anche se impaurito, disse:
“Banjo, puoi credermi o meno. Ma di queste cose non ne sapevo nulla. Dall’ultima volta che eravate partiti di nuovo per Marte – due anni fa – sentivo che c’era qualcosa che non andava. E non rispondevano più alle mie chiamate. Eravate semplicemente scomparsi tutti dalla faccia della Terra. Avevo pensato di rivolgermi alla polizia, ma alcuni uomini misteriosi mi avevano minacciato e mi avevano fatto capire che era meglio non intromettermi. Avevano minacciato di uccidere mia figlia, quindi sono rimasto in silenzio. Non sapevo cosa fare.”
“Vostra figlia?” chiese Banjo sorpreso, abbassando l’arma. Si era dimenticato di lei. “Beauty?”
“Ciao, papà!” disse all’improvviso una voce allegra dietro di loro. Beauty Tachibana era appena entrata, a loro insaputa. Portava una borsa a tracolla. I due si voltarono sorpresi e stupefatti. La ragazza bionda si avvicinò a loro sorridendo: si tolse il cappotto e lo appoggiò ad un divano vicino al camino e vi si sedette. Portava una T-shirt bianca e una gonna corta rosa e aveva l’aria più tranquilla di questo mondo. Banjo nascose subito l’arma dietro la schiena, imbarazzato. La ragazza lo stava guardando incuriosita.
“Beauty, non devi venire a casa così all’improvviso, senza avvisare!” la rimproverò Tachibana.
“Su, papà, non fare così!” rispose lei seccata, aggiustandosi i capelli “Ho voluto farti una sorpresa” aggiunse, frugando nella borsa ed estraendo una coppa che mostrò orgogliosamente ai due: “Ho vinto il primo premio al torneo di tiro con l’arco!”
Il padre non fu sorpreso di questo: collezionare vittorie sportive e artistiche era l’hobby di Beauty. Non sapeva più dove mettere le coppe e premi che vinceva. Però ne era molto contento. Afferrò la coppa e la ammirò con piacere.
“Sei stata bravissima, Beauty. Ah, scusa, non ti ho ancora presentato il ragazzo. Ti ricordi di Banjo?”
La ragazza si alzò verso di lui, per un momento incerta, poi lo riconobbe subito e lo abbracciò.
“Ma sì, sei proprio tu, Banjo! Quanto tempo! Ma che ti sei fatto ai capelli? Non sono male così però, sai?”
Il fiume di parole di Beauty fece ammutolire il ragazzo, che non sapeva cosa dire. Per errore, lasciò cadere la pistola, che Beauty notò subito.
“Una pistola?”
Banjo la raccolse subito, sorridendo: “Ah, sì, sai, avevo vinto un torneo di tiro al bersaglio con questa…”
“Tiro al bersaglio?” la ragazza appariva poco convinta. Ma il padre intervenne subito:
“No, Beauty, è una faccenda più seria. Io e Banjo stavamo parlando proprio di questo. Siediti, e anche tu, Banjo. Dobbiamo parlare”
“Giusto. Dobbiamo parlare tutti quanti” disse una voce. Era Garrison Tokida, che era arrivato alla villa di Tachibana seguendo le tracce di Banjo: voleva evitare che il ragazzo facesse una sciocchezza. Per fortuna, non era successo nulla. Si tolse i guanti e si avvicinò al fuoco, dicendo a Tachibana con un inchino:
“Sono Garrison Tokida, il tutore del signor Banjo. Mi scuso per non essermi presentato prima e per essere entrato di soppiatto. Ma capirà che le circostanze lo imponevano…”

“Da quell’incontro” concluse Banjo “ci organizzammo per affrontare i meganoidi“ Banjo soffocò uno sbadiglio, e continuò. Si sentiva intorpidito. “Tachibana mi avrebbe offerto il suo aiuto organizzativo, Garrison la sua villa e Beauty – nonostante le mie proteste – volle starmi vicino come assistente. Affrontai diverse volte i meganoidi, e anche i comandanti diventati megaborg, usando il Daitarn 3: da allora diventai famoso tra i meganoidi come ‘il famigerato Haran Banjo’. Nello scontro contro il comandante Sandrak, conobbi Reika dell’Interpol, che da allora…mi è sempre …stata…vicina…” Banjo non riuscì a trattenere lo sbadiglio, stavolta.

La giornalista si accorse che lui sembrava stanco. Anche troppo, forse.
“Forse vi ho fatto parlare troppo, signor Banjo…” si scusò, sollevando la testa dai suoi appunti ed osservando il registratore acceso: la spia lampeggiava.
Lui si scosse e riprese: “No, tutto bene, scusi, solo che mi è venuta una sonnolenza improvvisa…”
“Anche a me…” disse Toppi, con gli occhi semichiusi.
“Forse è meglio se preparo un po’ di caffè. Ho un po’ di sonnolenza anch’io” consigliò Garrison.
“Buona idea” affermò Reika, mentre Beauty sbadigliò all’improvviso.
“Anche per me, allora, un caffè, per favore” disse la giornalista.
“Certamente” rispose il maggiordomo, allontanandosi. Ma crollò a terra dopo pochi passi.
“Garrison!” gridò Banjo alzandosi, o meglio, tentando di alzarsi. Ma cadde sul divano sprofondando nel sonno più totale. Pure Toppi e Beauty non riuscirono a tenere gli occhi aperti e si addormentarono. Solo Reika Sanjo riuscì a stare sveglia.
“Cosa…è successo?” chiese lei, estraendo stancamente la pistola.
“Si sono addormentati, miss Sanjo” disse la giornalista, spegnendo il registratore. “Un gas inodore che diventa sempre più efficace a mano a mano che passa il tempo. Ovviamente, su di me non funziona.”
“Non…è possibile” disse l’altra, puntando la pistola verso la giornalista e cercando di tenere a fuoco l’immagine “Ho tenuto d’occhio il tuo registratore…non…non aveva fatto niente!”
“Infatti, è un comunissimo registratore. Ci avevo girato attorno proprio perché tu lo osservassi con sospetto. Il gas invece partiva da un piccolo strumento che avevo attaccato alla porta quando mi avevate portata qui svenuta. Non potevate vederlo, era troppo piccolo: io l’avevo attivato appena ero tornata qui ad intervistarvi. Dormirete per un bel pezzo”
Reika cercò di resistere, ma le parole della giornalista la fecero addormentare ancora di più. Crollò sul divano, lasciando cadere la pistola.
“Sono proprio un tipo noioso, vero? Mi spiace, cara” commentò ironicamente la giornalista, mentre si spogliava mostrandosi in tuta nera e liberando i capelli. Fujiko Mine era pronta: tra poco l’oro di Banjo – e quello dei Meganoidi – sarebbe stato tutto suo.

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Prossima puntata: Sandy.

Tra un pò sarò in ferie, quindi il seguito lo posterò il 16 Luglio. Se volete commentare, qui c'è il link: https://gonagai.forumfree.it/?t=50887256&st=15#lastpost

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Ill.mo Fil. della Girella

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Riassunto: Nella villa di Banjo, Fujiko Mine è riuscita a ingannare il pilota del Daitarn e gli altri: dopo averli fatti addormentare con un gas, si prepara a prelevare l’oro della villa.
Lupin, Jigen e Goemon intanto sono su Marte per prelevare l’oro dei meganoidi. Ma Jigen ha affrontato il comandante meganoide Tania Rasputin e sembra sia stato ucciso da lei…


All’inizio, tutto era buio. Poi Jigen si accorse che il fianco gli faceva male. Anche la schiena. Era stata la caduta.
Sì, era caduto: quella donna tutta vestita di nero gli aveva sparato…era caduto da tutto quell’ammasso di lingotti d’oro. Maledizione, quant’era stata veloce. Troppo veloce. Lei l’aveva centrato in pieno, prima ancora che si accorgesse dello sparo. Ricorda ancora quel ghigno, quel suo sguardo folle e spiritato quando l’aveva colpito…Quella donna era un demonio. Non era umana.
Lui aveva cercato di atterrare in piedi, ma il dolore dell’impatto non gli aveva permesso di restare eretto. Era caduto a terra svenuto, e non sentiva più nulla. E adesso? L’avevano catturato?
Si mosse piano, senza farlo capire: prima le dita, leggermente, poi il corpo. Nessuna corda, laccio o simile. Non era prigioniero. Ma l’odore dell’ambiente meganoide era ancora lo stesso: quell’odore asettico e simile all’ammoniaca, quasi come in un ospedale. Era ancora lì. Aprì gli occhi appena: c’era una luce fioca: quella di una candela. Dappertutto era buio. Lui era sdraiato su un panno: accanto, sentiva la presenza di qualcuno. Si alzò di scatto: era una persona inginocchiata a gambe strette davanti a lui. Il suo vestito sembrava quello di un soldato meganoide, ma Jigen capì che la persona era una donna. La vide in volto: aveva un viso giovane e serio, incorniciato da capelli corvini che le scendevano fin quasi sulle spalle, con una frangetta sul mento che Jigen ricordava bene.
“S…Sandy? Sei tu?” chiese lui, completamente spiazzato.
Lo schiaffo partì come un fulmine.
“E’ il minimo che ti meriti” esclamò la ragazza, guardandolo furiosa.
“Non me l’hai ancora perdonata?” rispose lui, toccandosi la guancia dolorante.
“Per forza!”

Anni fa, Jigen non conosceva ancora Lupin III ed era uno degli uomini di punta del clan mafioso Cardona di Chicago: i tempi del proibizionismo e di Al Capone erano finiti da lungo tempo, ma la criminalità rimaneva assai potente ed influente. Jigen preferiva comunque essere un cane sciolto: partecipava ai lavori di Cardona solo se gli garbava la proposta.
Quella sera si stava dirigendo verso il suo appartamento, percorrendo una strada diversa (ogni giorno cambiava percorso per sicurezza), quando vide un negoziante che stava trattenendo per la mano una ragazza che tentava di sfuggirgli.
“E’ inutile che tenti di scappare, ladra! Hai cercato di rubare la frutta: adesso arriva la polizia e ti arrestano!”
La ragazza si dibatteva protestando, ma non c’era niente da fare: il fruttivendolo era troppo grosso per lei. Era scarmigliata, coi capelli neri, vestita di stracci: avrà avuto sì e no quindici anni. Jigen si avvicinò al negoziante e, con una banconota in mano, disse:
“Un chilo di mele. E anche quello che ha rubato la ragazza”
I due lo guardarono sorpresi.
“Aspetti solo un momento” rispose l’uomo “tra poco arriva il poliziotto per questa ladra”
“Sei sordo?” replicò Jigen, seccato “Ho detto che pago anche per lei”
“Come? Paga per lei?”
“Certo. La lasci andare, quindi”
“Mi spiace, ma non posso. Questa ladruncola ha già colpito in passato, se la lascio andare tornerà ancora a colpire. Adesso che finalmente finisce dentro, staremo più tranquilli”
“Le prigioni di Chicago sono delle topaie. La lasci andare. Se finisce là dentro, tira le cuoia di certo”
“Adesso basta! Non ti intromettere…”
Jigen l’afferrò subito per il bavero, soffocandolo quasi.
“Stavi dicendo?”
Le loro facce quasi si toccavano. Il negoziante impallidì: Jigen aveva una presa di ferro. La ragazza ne approfittò per scappare e il pistolero abbandonò la presa, allontanandosi.
“Ho cambiato idea. Non ho più voglia di mele. Buona serata”
Il fruttivendolo cercò di riprendere fiato, spaventato, mentre osservava con sollievo l’altro allontanarsi.
Jigen aveva appena camminato per un pò, quando si accorse che qualcuno lo pedinava. Si infilò in un vicolo ed afferrò subito l’inseguitore: era la ragazza di prima. Rimase senza parole per un attimo. Poi sbottò:
“Perché mi segui?”
“Non lo so”
Jigen sentì che il braccio di lei era assai magro. Non doveva mangiare molto. La lasciò andare.
“Come ti chiami?”
“Sandy”
“Bene. Senti, Sandy, vai a casa. Non sarai così fortunata la prossima volta”
“Non ho una casa”
La ragazza sembrava stanca. Jigen le toccò la fronte.
“Ma…hai la febbre! E vai in giro così? Vieni, sciocca!”
Jigen la portò in appartamento e, dopo averle dato una medicina, la fece dormire sul suo letto; lui si addormentò pensieroso sul divano, con la pistola vicino.
E adesso cosa faccio? si chiese.

Da allora, Jigen e Sandy divennero inseparabili: lei era diventata un aiuto importante per il pistolero: sapeva raccogliere informazioni, aveva imparato la manutenzione delle pistole, era diventata insomma il suo braccio destro. Nel frattempo, i rapporti di Jigen col clan Cardona cominciarono a guastarsi.
“Vorrei sapere perché rifiuti questa offerta” disse con calma il vecchio Cardona. Ma si vedeva che era infuriato. Gli altri uomini fissarono cupi Jigen senza dire nulla. Seduto di fronte al capo, lui si accese una sigaretta con calma prima di rispondere.
“L’ho già detto una volta, Cardona, e lo ripeto: non lavoro per te. Sono un sicario a pagamento e lavoro se mi aggrada”
“Non farai certo carriera comportandoti in questo modo” disse Donovan, il pistolero ufficiale di Cardona.
“Sei gentile a preoccuparti per me, Donny-boy”
L’altro ebbe un gesto di stizza. Jigen sapeva che Donovan odiava quel diminutivo.
“Jigen” disse il vecchio, cupo “non è saggio dirmi di no”
“Trovati un altro scagnozzo. Buona giornata” concluse lui, alzandosi ed uscendo dalla stanza. Gli uomini intorno a Cardona osservarono il loro capo, che annuì in silenzio.
Jigen sapeva che la terra intorno a lui iniziava a scottare. Lui e Sandy avrebbero dovuto andarsene subito da Chicago. Anzi, dall’America, per un po’, per sicurezza. Magari in Giappone. Si diresse pensieroso nel suo appartamento, e rimase sorpreso appena aprì la porta. Era sfatto e in disordine, coi segni di una lotta. Su un foglio trovato per terra, c’era un messaggio degli uomini di Cardona, che spiegavano per filo e per segno cosa sarebbe successo a Sandy se lui non avesse fatto quel lavoro. Jigen accartocciò il foglio con rabbia, senza dire nulla.
Se volete il gioco duro, l’avrete.

Il clan Cardona cessò di esistere quella notte. A Chicago ricordano ancora le esplosioni a catena che si susseguirono su tutti i magazzini, case da gioco, e ogni cosa fosse di proprietà del clan. Jigen penetrò con un camion direttamente nella villa di Cardona, facendo una strage di tutti i suoi uomini, compreso Donovan, ed eliminando anche il vecchio. Sandy era ferita per le botte prese, ma illesa. I due se ne andarono da Chicago a bordo di una macchina di seconda mano: Jigen era al volante, fasciato alla bell’e meglio, e Sandy dormiva esausta sui sedili posteriori. Mentre i fari della macchina illuminavano la strada nella notte, Jigen si accese una sigaretta e rifletté. Era il momento di fare una decisione.

Sandy non ne era per niente contenta, e, mentre cambiava le bende a Jigen, ribattè con forza:
“Perché mai dovrei separarmi da te? Noi siamo insieme! Siamo un gruppo, Jigen! Non voglio andarmene! Né ora, né mai”
“Sandy” rispose lui, gemendo un attimo: la ragazza gli aveva stretto troppo forte la benda “La mia strada è troppo pericolosa per te. Non avrei dovuto coinvolgerti sin dall’inizio nelle mie cose. In quel collegio crescerai bene e ti farai una vita normale”
“Non mi interessa fare una vita normale! Voglio stare con te!”
Jigen era l’unica persona che l’avesse trattata bene: Sandy non poteva nemmeno pensare ad una vita senza di lui.
Il pistolero la fissò negli occhi.
“Sandy. Se mi vuoi bene, farai come ti dico”
La ragazza capì che non c’era niente da fare.

Il collegio di Lakewood era uno dei più rinomati, e Jigen aveva fatto in modo che la retta le fosse sempre pagata. Dopo che la ragazza fu ricevuta dalla direttrice, Suor Grey, Sandy incontrò per l’ultima volta Jigen nel parlatorio. Ovviamente, entrambi si erano registrati con nomi falsi. Ma laggiù nessuno poteva sentirli.
“Jigen” sussurrò lei “Avrei voluto stare con te. Perché non hai voluto?”
Lui non sapeva cosa rispondere.
“Sandy…qui starai bene. Con me, rischi di morire o peggio. Non voglio che ti succeda. Trovati un bravo ragazzo e costruisciti una tua vita.”
“Ma perché? Almeno scrivimi!”
“Se lo facessi, ti metterei in pericolo. Credimi, è meglio così. Addio, Sandy”
Jigen si voltò e iniziò ad andarsene. La ragazza gli corse incontro abbracciandolo da dietro e singhiozzando:
“Ti prego, non andare via!”
Jigen rimase turbato. Avrebbe voluto ascoltarla. Avrebbe voluto restare. Andare via, scappare con Sandy. Insieme. Sarebbe stato bello. Ma non poteva. Con uno sforzo, si staccò da lei e si allontanò senza voltarsi. Sandy, sconvolta, osservò Jigen che se ne andava. Quando sparì dalla sua vista, si accasciò inginocchiata sul pavimento, nascose il volto tra le mani e iniziò a piangere.

Per Jigen ci volle molto tempo per dimenticarla. Ed ora, su Marte, in mezzo a una banda di meganoidi mezzi umani, mezze macchine e completamente pazzi, Jigen si trovò davanti proprio lei. L’ultima persona che si aspettava di vedere.
“Cosa ci fai qui, Sandy?” chiese lui, sconcertato. Ma subito la sua bocca divenne una smorfia di dolore: aveva sentito una fitta feroce al fianco. Si osservò il punto: era bendato, e si vedevano le macchie di sangue.
“Non ti muovere, Jigen. Ti ho curato come potevo, ma è meglio se ti riposi” lo avvertì Sandy.
Il pistolero si rimise in posizione sdraiata, mentre lei rinnovava le bende.
“Sandy…sei una meganoide, adesso?”
La donna rimase in silenzio per diverso tempo. Poi, guardando fissa in un punto del pavimento, inziò a raccontare:
“Dopo che mi avevi abbandonata in quel collegio, volevo cercare assolutamente di tornare da te. Non mi avresti mai accettato di stare con te perchè ero troppo debole: per questo, avevo iniziato a specializzarmi con le pistole. Ma non avrei mai raggiunto il tuo livello. Alcune mie amiche mi avevano parlato di questa possibilità di diventare meganoidi per raggiungere livelli superiori a quelli umani: alla fine, accettai di diventarlo, pur di poter tornare accanto a te. E poi, all’improvviso, oggi ti ho rivisto proprio qui, insieme a Lupin. E avevo visto che la mia superiore, Rasputin, ti aveva messo gli occhi addosso: è una pazza sanguinaria, ed ama affrontare pistoleri abili. Sapevo che, per quanto tu fossi in gamba, non ce l’avresti mai fatta, con lei. Per salvarti, quindi, mi ero rifugiata subito al laboratorio dove costruiscono meganoidi robot simili agli umani e ne ho fatto uno simile a te. Ti ho sostituito con quel meganoide quando eri caduto a terra. Gli avevo messo addosso anche il tuo cappello e i vestiti, oltre alla pistola”
Jigen non credeva alle sue orecchie.
“E hai fatto tutto questo in così poco tempo?”
“Non è stato facile, ma sono stata fortunata. Rasputin ha perso tempo a riempire di buchi la tua copia…”
Sandy iniziò a piangere in silenzio. Jigen la abbracciò, ed entrambi rimasero così per diverso tempo, pensando ad un passato ormai lontano.
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Next (Sabato 30 Luglio): Goemon e Demian; e molto altro…

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Ill.mo Fil. della Girella

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Riassunto: Nella villa di Banjo, Fujiko Mine è riuscita a ingannare il pilota del Daitarn e gli altri: dopo averli fatti addormentare con un gas, si prepara a prelevare l’oro della villa.
Lupin, Jigen e Goemon, intanto, sono su Marte per prelevare l’oro dei meganoidi. Ma Jigen ha affrontato il comandante meganoide Tanja Rasputin: apparentemente sembra sia stato ucciso, ma Sandy, una delle donne soldato di Rasputin e vecchia fiamma di Jigen, gli salva la vita…


Goemon Ishigawa camminò cautamente lungo i corridoi della base meganoide di Marte, cercando di non fare rumore e di non farsi scoprire. Ma avvertiva che non c’era questo pericolo: da qualche minuto, non incontrava nessun soldato meganoide.
E’ chiaro, pensò il samurai. Lui mi sta aspettando. E mi sta dando via libera.
Goemon ritornò ancora con la mente al momento in cui erano arrivati alla base meganoide: appena era passato accanto al capitano Demian, lui aveva estratto la sua spada colpendolo senza preavviso, con una velocità sconvolgente. Goemon aveva parato il colpo con la sua Nagareboshi, ma non abbastanza velocemente da evitare di essere colpito. Era stata solo una leggera ferita al braccio: ma avrebbe potuto essere peggio.
Goemon si toccò la ferita bendata: nessuno era riuscito a ferirlo così facilmente. E non contava il fatto di essere stato colpito di sorpresa: per un samurai non esiste la sorpresa. Quello era stato un gesto di sfida. Si diresse decisamente dove sentiva la presenza della sua spada: era proprio dietro a quella porta. Una porta scorrevole che si aprì all’istante, appena lui si avvicinò. Goemon entrò senza esitazione, osservando una grande sala, arricchita di armi bianche appese al muro, armature di samurai, tatami e pareti scorrevoli. Un ambiente familiare per lui: ma Goemon avvertiva anche qualcosa di finto, alterato. Qualcosa che non era armonico.
“Benvenuto nella mia residenza, samurai. Che ne pensi?” disse una voce serena ma arrogante. Goemon non aveva neanche bisogno di voltarsi per sapere a chi apparteneva.
“Non ho intenzione di discutere con te. Restituiscimi la mia spada”
L’uomo si avvicinò a Goemon porgendogli la sua arma. Era alto, coi capelli lunghi e neri; portava una tonaca rossa e decorata con arabeschi gialli e arancioni. Goemon sguainò la spada, osservandola con attenzione. Era davvero la sua. Rimettendola nel fodero, osservò cupo lo sconosciuto, dicendo:
“Cosa vuoi da me?”
“Prima le presentazioni. Sono il Comandante Demian Nach. Visto che uno di noi morirà, mi sembra giusto che tu dica il tuo nome”
“Goemon Ishigawa”
“Ah, il discendente del famoso ladro giapponese”
“Non hai risposto alla domanda” commentò Goemon, ignorando l’osservazione. Quell’uomo lo metteva a disagio “Cosa vuoi da me?”
“Ho una vera passione per le spada, Goemon Ishigawa. E anche per uccidere chi le sa usare”
“La spada non è una passione, Demian. E’ uno stile di vita. Non esiste passione per il samurai”
“Ma io non sono un samurai, Goemon Ishigawa. Sono molto peggio.”
Goemon all’improvviso sentì che la stanza era diventata fredda. Un freddo innaturale.
Ma cosa…
“Hai mai sentito parlare di patti col diavolo? Nella mia terra, la Germania, il mito di Faust è nato lì.”
Il volto dell’uomo cambiò, diventando più scuro, con gli occhi che brillavano e i denti che si facevano più acuminati, mentre estraeva con calma la sua spada. Goemon osservò tutto con occhi allucinati: davanti a lui si stava sviluppando un incubo.
“Sai cosa significa Demian in tedesco, Goemon Ishigawa?” chiese lui con voce roca.
L’attacco fu veloce e ferocissimo: il samurai lo parò appena in tempo.
“Significa demone” concluse Demian, mentre del fumo sembrava uscire dalla sua bocca. Non era più umano.

Intanto, Lupin III correva in fretta verso l’hangar dove si trovava la loro astronave: non c’era più tempo da perdere.
Ora Koros avrà già recuperato la capacità di muoversi e sarà furibonda. Bisogna scappare da qui al più presto.
Il rintracciatore che aveva al polso continuava a chiamare senza alcun risultato.
Jigen, rispondi, maledizione!
Come in risposta alla preghiera, la voce di Jigen uscì all’improvviso dal rintracciatore.
“Sei tu, Lupin?”
Meno male. “Jigen, stai bene? Stai andando verso l’hangar?”
“Sono ferito, ma me la cavo lo stesso. Una persona mi ha dato una mappa. Sto andando all’hangar. Ci vediamo lì, passo e chiudo”
Lupin rimase dubbioso. Chi è che ha aiutato Jigen? E Goemon, dov’è finito?
All’improvviso, altri meganoidi apparvero all’improvviso.
“E’ uno di loro!”
“Sparate, presto!”
Lupin fece esplodere delle altre bombe a gas, che immobilizzarono i meganoidi per qualche minuto.
Queste sono le ultime. Dobbiamo filare subito!

Dalla sala di controllo, una Koros furiosa come non mai mandava ordini e chiedeva rapporti in continuazione.
“E Jigen sarebbe morto? Sei sicura, comandante Rasputin?”
“Ho il suo cadavere davanti a me, altezza Koros.”
La comandante non aveva ancora scoperto che, grazie a Sandy, aveva ucciso solo un meganoide con l’aspetto di Jigen.
“Va bene, ora bisogna eliminare gli altri due! Soprattutto Lupin! Eliminatelo, subito!”
Koros si sedette, ribollente d’ira. Lupin l’aveva giocata. E l’aveva anche ingannata, facendole credere che poteva guarire Don Zauker…come ha potuto essere così stupida?
Sbattè un pugno sulla consolle di comando, facendo trasalire le sue guardie. La posata e tranquilla Koros non si era mai comportata così. Sudarono freddo.
Dopo un silenzio di tomba, Koros si decise. Non è più tempo di indugi. Bisogna farlo ora. Aprì il contatto.
“Comandante Harrison!”
In una stanza completamente spoglia, un uomo, dalla barba e baffi neri e una corporatura vigorosa e asciutta, era seduto a braccia incrociate nella posizione del loto, silenzioso e inerte, con addosso solo un perizoma. Aveva gli occhi chiusi ed era immerso nella meditazione zen. Appena sentì la voce di Koros, aprì gli occhi e disse freddamente:
“Sì, altezza Koros?”
“E’ il momento Omega, Harrison. Parti con la Death Battle e attiva l’Omegatron!”
“Sissignora” Harrison si alzò e si vestì rapidamente, uscendo subito dalla stanza.
“Sì…” disse Koros, serrando davanti a sé il pugno tremante “Ora è il momento della fine della razza umana e l’inizio dell’era dei meganoidi!”

Banjo si svegliò, intorpidito. L’uomo lo stava scuotendo fin troppo bruscamente per farlo tornare in sé.
“Ispettore…Zenigata?”
“Sì! Sono io! Quella donna era Fujiko, vero? Lo sapevo! Lo sapevo! Dov’è andata? Dov’è andata?” rispose istericamente il commissario scuotendo Banjo in un modo degno di un vibromassaggio.
“Calma, calma, ho la testa come una zucca…non capisco più niente…Fujiko? La giornalista, intende?”
Banjo si guardò in giro, alzandosi incerto. Reika si stava riprendendo, ma era ancora stordita. “Devo andare un attimo in bagno…”
Toppi e Beauty dormivano ancora il sonno dei giusti, abbracciati insieme come una bambina con l’orsacchiotto. Si era persino messa il dito in bocca. Una scena allucinante. Garrison invece era l’unico abbastanza cosciente e quindi capace di rispondere a Zenigata:
“Si calmi, signor ispettore…credo che la donna sia scappata via, forse è lontano da qui...avrà voluto prendere qualche oggetto prezioso…”
“No, maledizione! Stiamo parlando di Fujiko Mine, della banda di Lupin, non una qualunque! Deve puntare su qualcosa di più grosso! Avete una cassaforte di preziosi qui, nella villa?”
Banjo e Garrison si guardarono stupefatti, pensando subito alla stessa cosa. Il deposito di oro in fondo al mare! Ma non era possibile che…
Banjo si diresse subito verso un quadro che spostò, mostrando un video che accese subito. Apparve sul visore l’interno del caveau dell’oro in fondo al mare, vuoto come una zucca vuota. Rimasero tutti senza parole: solo Beauty borbottava nel sonno.
“Maledizione!” Non era un granchè come esclamazione, ma a Banjo non venne in mente altro. Quando una persona si accorge di esserci cascato come un pollo, è difficile che possa dire cose intelligenti.
“Cosa facciamo ora, signor Banjo?” chiese Garrison, sottintendendo con delicatezza il problema di base. E cioè che non avevano più neanche un soldo. Una situazione assai sgradevole, pensò flemmatico il maggiordomo, mentre i pensieri di Banjo non erano degni di un gentleman.
“Dovunque sia finita, la troverò!” esclamò alla fine, dando un pugno alla parete. Zenigata stava dando ordini via telefono agli agenti di perquisire tutta la villa, quando, all’improvviso, un terremoto scosse la zona, e tutti fecero fatica a restare in piedi. Anche Beauty e Toppi si svegliarono. Fu breve ma intenso, insieme a una luce misteriosa che veniva dall’alto.
“Cosa diavolo sta succedendo?” chiese Zenigata al telefono.
“Commissario, una cosa incredibile! A Sendai qualcosa si è mostrato nel cielo e ha provocato il terremoto…forse è un UFO. Non sappiamo cosa sia, comunque sembra qualcosa di maledettamente grande!”
L’Omegatron si stava assemblando.

Lupin e Jigen si videro finalmente faccia a faccia davanti all’hangar dove si trovava la loro astronave. Curiosamente, Jigen aveva una tuta da meganoide e non aveva il suo inseparabile cappello. Cosa diavolo era successo? Ma non c’era tempo per le spiegazioni: un rumore terribile li fece subito voltare la testa. La parete dietro di loro si spaccò all’improvviso, e ne venne fuori Goemon che stava fronteggiando con la sua katana un avversario che sembrava portasse addosso una maschera demoniaca: solo dopo si accorsero con spavento che quella era davvero la sua faccia. La velocità delle lame era qualcosa di impressionante, ma Lupin notò anche che i meganoidi si stavano avvicinando con le armi in pugno. Bisognava filare adesso. Accese il comando a distanza dell’astronave, che iniziò subito a partire rombando: Lupin prese al volo l’ala della nave con un rampino e fu trasportato via, portando con sé anche Jigen sottobraccio. Goemon si tolse la sua tunica e la gettò addosso al comandante Demian, poi, con un balzo, afferrò la mano di Jigen. Tutti e tre si allontanarono subito all’orizzonte, inseguiti dai raggi laser dei fucili meganoidi. I soldati si diressero verso le astronavi, mentre Demian, riprendendo il suo aspetto umano, afferrò la tunica di Goemon. Il messaggio era molto chiaro: “Io non scappo da te, Demian. Tornerò a prendere questa tunica. Aspettami fino a quel giorno”
“Ci rivedremo molto presto, Goemon Ishigawa” sussurrò Demian, osservando l’astronave allontanarsi.

Le astronavi dei meganoidi non riuscirono a catturare quella di Lupin, visto che il ladro aveva fatto sabotare tutti i loro sistemi di comando, attraverso un virus che aveva inserito nel computer centrale. Di conseguenza, senza alcuna guida coordinata, le astronavi sbatterono l’una contro l’altra come tante falene impazzite, mentre sullo schermo di comando di ognuna compariva l’immagine stilizzata di Lupin che faceva le boccacce. I pensieri di Koros in quel momento erano indegni di una signora.

Lupin atterrò esattamente in mezzo al mare, dove Fujiko sarebbe stata lì a prenderli a bordo di una nave, mentre l’astronave sarebbe finita in fondo al mare senza tante storie. Tutto accadde come previsto, tranne che per un piccolo particolare.
Non c’era nessuna nave all’orizzonte. Il mare, dovunque si potesse vedere, non finiva più. E l’astronave stava cominciando ad inabissarsi. Goemon e Jigen guardarono Lupin con aria severa e nello stesso tempo con uno sguardo del tipo “Te l’avevo detto”.

Fujiko era di nuovo scappata con tutto l’oro: sia quello di Banjo che quello dei meganoidi.
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Sabato 13 Agosto: Entra in scena Daitarn 3

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Riassunto: Nella villa di Banjo, Fujiko Mine è riuscita a ingannare il pilota del Daitarn e gli altri: dopo averli fatti addormentare con un gas, ha prelevato tutto l’oro della villa. Lupin, Jigen e Goemon, intanto, sono fuggiti da Marte, insieme all’oro dei meganoidi. Koros, furiosa, anticipa l’ora della conquista: l’Omegatron si prepara. E’ l’inizio della fine per l’umanità. Mentre Banjo si riprende, Lupin e soci si accorgono di essere stati di nuovo truffati da Fujiko e sono in mezzo al mare sopra un’astronave che sta affondando…

La zattera in mezzo al mare era qualcosa di decisamente strampalato. Sembrava fatta di metallo, anziché il classico legno, e riusciva a galleggiare per miracolo. Lupin, Jigen e Goemon, tutti e tre in mutande, stavano pescando con delle canne ed esche di fortuna, sperando che qualche pesce particolarmente scemo abboccasse. La situazione non era delle più rosee. Erano riusciti a staccare un pezzo dell’astronave in tutta fretta prima che affondasse, ed ora si trovavano sotto il sole cocente da ore cercando di coprirsi il capo con fazzoletti bagnati.
“Quella maledetta Fujiko l’ha fatta troppo grossa. Lupin, stavolta gliela faccio pagare cara!” esclamò Jigen, seccato nel vedere che gli era sfuggito di nuovo un pesce.
“Bè, devo ammettere che la mia dolce ha un tantino esagerato. Comunque stiamo andando nella direzione giusta…” concluse Lupin, osservando il suo orologio.
“Quale direzione?” chiese Goemon, silenzioso fino ad adesso.
“Prendete i remi, dobbiamo dirigerci laggiù!”
In fondo, nascosta in una foschia, si intravedeva una piccola isola. Era uno dei rifugi nascosti di Lupin: il rendez-vous che avrebbe dovuto esserci tra Fujiko e gli altri infatti era non molto distante da lì. Ovviamente, Fujiko era già andata via dall’isola, ma almeno Lupin e gli altri potevano raggiungere un approdo. Forse. Infatti, all’improvviso si formarono dei nuvoloni neri ed iniziò a piovere a catinelle, mentre le onde si ingrossarono sempre di più. Tutti e tre avevano in mente non solo di raggiungere l’isola, ma anche un mucchio di pensieri poco carini sulla loro ex-compagna Fujiko.

A quasi mezzo mondo di distanza, nella villa di Banjo, stava accadendo una discussione piuttosto animata.
“Cosa diavolo significa che non potete dire cosa sta succedendo?” sbraitò l’ispettore Zenigata alla radio dell’autopattuglia “E’ successo un terremoto, è stato visto qualcosa a Sendai che secondo voi l’ha provocato...COSA CAVOLO AVETE VISTO???”
“Ispettore, non…”
Seguirono delle voci alterate, poi una persona sconosciuta disse:
“Ispettore Zenigata?”
“Chi diavolo siete? Dov’è l’agente?”
“Sono Yukari Kumira, dei servizi segreti di stato. Da ora in poi, questa zona è off limits. Non è possibile entrare qui. Dica ai suoi uomini di andarsene subito via da qui. Ordini superiori”
“Come sarebbe a dire, ordini superiori? Sentimi bene, imbecille…”
All’improvviso, una mano portò via la cornetta a Zenigata.
“Mi scusi, ispettore” disse la ragazza, portandosi il telefono all’orecchio “Sono Reika Sanjo dell’Interpol, priorità A4. Numero di codice: Tinkerbell. Parola d’ordine: Peter Pan. Voglio sapere il suo numero e grado”
L’altro, perplesso, rispose:
“145, Tenente colonnello Kumira. Non posso…”
“Tenente, lei sta rischiando il posto in questo momento. Mi basta una telefonata al suo superiore Togusa e lei finirà a pulire i bidoni dell’immondizia domani stesso. Voglio subito un rapporto dettagliato della situazione. Cosa sta succedendo a Sendai?”
Il tono deciso di Reika fece capire all’agente che era meglio cedere: conosceva di fama Reika Sanjo e sapeva che non era tipo da scherzare. Seccato, rispose:
“Ecco…sta comparendo una specie di struttura metallica a mezz’aria, all’altezza di circa diecimila metri: da diversi punti stanno volando degli oggetti che si stanno combinando l’uno con l’altro…non abbiamo ancora capito bene cosa sia…dev’essere qualcosa di alieno. Appena è comparso, è accaduto questo terremoto ed è spuntata una specie di grossa piramide di metallo nell’area montuosa di Akita. Abbiamo appena evacuato la zona…”
Reika sentì stringersi lo stomaco e divenne pallida in volto. Non è possibile…
“Quanto è grande questa piramide? Che colori ha? Presto, tenente Kumira, mi risponda!”
“Molto grande, credo sui cinquecento metri d’altezza: nessuna piramide normale è così. E’ scura e con tratti luminosi…”
“Tenetela sotto osservazione e informatemi subito ad ogni cambiamento!”
Spense subito la comunicazione, rivolgendosi con aria sconvolta a Banjo:
“E’…è pazzesco…è stato attivato l’Omegatron!”
Banjo rimase senza parole dalla sorpresa, e così pure gli altri. Solo Garrison conservò il suo aplomb, commentando:
“Le disgrazie non vengono mai sole. Ci aspetta un lavoro duro, signor Banjo…”
Zenigata non capiva più niente.
“Cos’è questo Omegatron? Di che parlate?”
“Non è questo il momento, ispettore! Vada a dare la caccia ai ladri: io devo partire!” esclamò Banjo, correndo verso il ciglio della scogliera dove si trovava la villa. Non riusciva a crederci. L’Omegatron, l’arma finale di Don Zauker! Solo i Meganoidi avrebbero potuto attivarlo: quindi sono ancora vivi! Possibile che anche Koros sia viva? E persino quel mostro di Don Zauker? Il problema di Fujiko dovrà aspettare. Togliendosi il medaglione che portava al collo, gridò:
“Daaaaaaiiitaaaaan…AZIONE!”
Davanti a Banjo, l’acqua del mare iniziò a ribollire, come se qualcosa di gigantesco si fosse mosso dal fondo: in poco tempo, l’enorme forma del Daifighter, il Daitarn 3 in forma di astronave, uscì dalle acque, come un immenso mostro marino, mentre, nello stesso tempo, arrivò, col comando automatico, la macchina-astronave di Banjo, la famosa Mach Patrol. Si fermò a pochi centimetri dal suo padrone, aprendosi subito a metà, quasi come una macchina decappottabile. Al suo interno c’erano la tuta e il casco di Banjo, come nuovi: Garrison se ne era sempre curato in tutto questo tempo, preciso e rigoroso come sempre. Banjo sorrise per un attimo, pensando all’incredibile efficienza di quell’uomo: a volte rasentava l’assurdo. Come si poteva pensare che avrebbe usato ancora quella tuta?
Si vestì alla svelta, salendo in un balzo sui comandi della macchina, chiudendola e mettendola in moto: in un attimo superò lo strapiombo di roccia e iniziò a cadere nel vuoto. Banjo, per nulla preoccupato, esclamò:
“Mach Patrol, cambio aerosistema!”
In pochi attimi, la macchina diventò un’astronave che volava veloce verso la gigantesca mole del Daifighter: subito, un paio di linee traccianti luminose collegarono la microscopica astronave all’enorme complesso volante. Banjo mosse il volante con cura, posizionando la Mach Patrol nell’assetto corretto: appena il video si illuminò, scattò l’azione automatica: si aprì uno sportello del Daifighter e la Mach Patrol venne assorbita all’interno, passando in una sala macchine, dove un paio di braccia meccaniche staccarono la parte superiore della Mach Patrol e la collocarono su una rotaia. L’apparecchio scorse veloce lungo i binari, fino a raggiungere la sala comando del Daitarn 3. Banjo accarezzò le leve che non toccava da tempo. Non avrebbe mai pensato di sentirne la mancanza. A quel tempo, odiava i meganoidi e basta, non gli interessava pilotare il Daitarn. Eppure…in qualche modo…
Si tolse di testa questi pensieri. Non c’era il tempo per le analisi psicologiche. Il Daifighter si allontanò in un attimo dalla villa, diventando subito un puntino nell’orizzonte.
“Ma quello lì fa sempre questa scena?” chiese Zenigata, che era rimasto a bocca aperta nel vedere tutto questo. Avrebbe voluto fare qualche foto, magari di nascosto, ma ormai era troppo tardi (e poi non aveva nemmeno la macchina fotografica, se era per questo: il suo magrissimo stipendio non gli avrebbe mai permesso un lusso simile…). Si voltò verso gli altri, ma non c’era più nessuno. Garrison e Toppi erano andati sulla Garrison Special, il camion attrezzato, in direzione Sendai. Sentendo un rumore come di pale, Zenigata alzò gli occhi, osservando due elicotteri, uno verde e uno rosa, che stavano partendo dal tetto della villa. Erano quelli di Reika e Beauty, che si allontanarono subito in direzione Sendai. L’ispettore era rimasto solo. Infuriato, sbattè il cappello per terra, urlando:
“MA MI STATE PRENDENDO IN GIRO TUTTI??? Fujiko che vi deruba e andate tutti via! Non so cosa cavolo sia successo, ma Keibu Zenigata non si fa mettere da parte!”
Rivolto verso il poliziotto in macchina, iniziò a salire dicendo:
“Vai dritto a Sendai. Qualunque cosa stia succedendo lì, scommetto che c’è Lupin di mezzo! Muoviti!”
“Ma…ispettore…è una zona off-limits…se ci scoprono rischiamo di essere licenziati in tronco…” rispose balbettando il poliziotto.
“Me ne frego. Scendi da lì! Vado da solo!” rispose l’ispettore, buttandolo fuori e sbattendo la portiera. La macchina partì a razzo in modo spericolato in direzione Sendai, mentre le altre automobili del traffico si fermarono subito per lasciar passare quel bolide impazzito che somigliava ad una macchina della polizia con la sirena a tutto volume. I poliziotti osservarono interdetti la volante di Zenigata allontanarsi sfracellando senza pietà il traffico ordinato dei lavoratori giapponesi.

Il Daitarn, intanto, sempre nella forma del Daifighter, si stava avvicinando a Sendai, mentre i due elicotteri di Reika e Beauty, più lenti, erano assai indietro. All’improvviso, Beauty fece attenzione ad un “bip” piuttosto insistente. Osservando, si accorse con stupore che indicava la posizione di uno dei suoi vestiti preferiti. Erano tutti estremamente preziosi per lei: infatti, erano la sua chiave per conquistare Banjo. E aveva persino messo un piccolo trasmettitore in ognuno di loro, per sapere dove poterli trovare nel caso ne avesse smarrito uno (Beauty era PARECCHIO confusionaria). Ebbene, il trasmettitore acceso – Beauty non si ricordava mai di spegnerlo – indicava la posizione di un suo vestito in una villa appartata e nascosta in un’area boscosa, visibile dall’alto del suo elicottero. Beauty controllò con attenzione il tipo di codice del suo vestito (li catalogava tutti): era uno dei vestiti che aveva lasciato sul suo letto l’altro giorno. Cosa ci faceva lì? Era stato rubato? Ma a chi interessava rubare un vestito da donna? Una ladra? All’improvviso, nella mente di Beauty si accese una lampadina: forse aveva trovato Fujiko! E se Fujiko era lì, sicuramente c’era anche l’oro!
“Reika, Reika” esclamò la ragazza alla radio “Devo dirti una cosa importante!”

Nello stesso momento, a Sendai, capoluogo della prefettura di Miyagi, si stava valutando l’epicentro del terremoto: si trovava più a nord, nella prefettura di Akita, una zona così montuosa che veniva chiamata “Il piccolo Tibet”. In quella zona quasi inesplorata, il cielo era pieno di scariche elettriche, che avevano provocato la fuoriuscita di una gigantesca piramide di metallo in mezzo ai monti, evento che aveva dato l’origine alla scossa. E, in mezzo alle nubi, si stava assemblando la gigantesca Death Battle del comandante Harrison, che assisteva silenzioso all’interno del componente principale dell’enorme struttura. La forma della Death Battle era simile a quella di un teschio con un elmo dalle estremità affilate: ai lati aveva due strutture simili a serpenti che si attorcigliavano attorno alla forma del teschio.
Osservando la piramide sullo schermo, sorrise soddisfatto: in tutti questo tempo, l’Omegatron non aveva subito danni.
“Comandante, sta arrivando Banjo!” esclamò il meganoide ai comandi.
“Ha fatto presto. Non vedo l’ora di affrontarlo. Mandate avanti la Death Battle: assalto a rete!”
Il Daifighter si trovò circondato da un intenso allineamento di raggi luminosi che partivano dalla bocca del teschio gigantesco, formando alla fine un’enorme rete, che catturò letteralmente il Daifighter come un pesce in acqua. Ovviamente l’astronave fu subito attraversata da una scossa elettrica: ma Banjo conosceva da tempo il trucco, ed isolò la sua cabina.
“Decisamente i meganoidi non sono cambiati per niente…dopo tutto questo tempo, ancora le scosse elettriche!” commentò sconsolato, ordinando il lancio di missili dirompenti che distrussero subito la rete elettrica. Appena uscì dalla trappola, lanciò i missili sulla Death Battle, senza però provocare danni particolari.
“Incredibile, è riuscito ad uscire dalla rete elettronica!” esclamò un soldato meganoide osservando i quadranti.
“Perfetto. Questo significa che, anche dopo tutto questo tempo, Haran Banjo è rimasto un combattente di altissimo livello. Non avrei avuto soddisfazione nel battere un nemico indebolito…” commentò Harrison. Guardandosi attorno, osservando i suoi uomini ai posti di comando della Death Battle, gridò a loro, alzando il pugno:
“BENE! Rispondete, uomini! Chi sono io?”
“Voi siete pietra, capitano!” esclamarono urlando.
“Esatto! Io sono Stone! Harrison Stone, la pietra angolare dell’Omegatron! Ed ora questa pietra schiaccerà il grande nemico Haran Banjo, il distruttore dei meganoidi! Aura, altezza Koros!”
“Aura!” gridarono tutti, alzando il braccio nel saluto romano. Harrison si voltò subito, dirigendosi verso la sala di trasformazione in Megaborg.
“Sicuramente Banjo penserà che il nostro capitano sia un megaborg come gli altri” sogghignò un soldato.
“Poveraccio. Non sa quanto sia terribile Stone, la Pietra…è il capolavoro di sua altezza Koros!”

Gli apparecchi si allontanarono ai quattro punti cardinali attorno alla massiccia figura di Harrison, che attendeva impassibile il terribile e dolorosissimo processo di trasformazione in Megaborg. Una quantità enorme di luci lo investì in pieno, cerchi colorati in ogni direzione: la spaventosa energia imbrigliata da Koros e Don Zauker investì come un uragano il corpo di Harrison, che si piegò per il dolore, urlando, mentre le sue dimensioni cambiavano, diventando sempre più grande. I vestiti, ridotti a brandelli, volarono da ogni parte, mentre Harrison assunse un colore grigio come quello della pietra, e il suo volto divenne una scultura viva. Spine enormi, catene con sfere chiodate, muscoli giganteschi di roccia durissima ricoperti da un vestito con borchie massicce che sembrava anch’esso di pietra, per quanto si muovesse quasi come i vestiti normali: Harrison stava diventando un massiccio megaborg dall’altezza spropositata. Lo sportello aperto in alto permetteva appena l’uscita del gigantesco capitano. Anche Banjo rimase sorpreso nel vederlo: era piuttosto grande, anche per un megaborg. Il comando di trasformazione del Daifighter in Daitarn 3 fu quasi immediato. La gigantesca ala gialla dell’astronave si mosse, percorrendo in lungo tutta la struttura, mentre iniziarono a separarsi le gambe, spuntarono le braccia e la punta del Daifighter si divise in due parti uguali. La testa spuntò, brillando in fronte, mentre ai suoi lati le due estremità del Daifighter erano diventate le sue spalliere. Assunse una posizione verticale, mentre la sua trasformazione allo stato antropomorfo era stata completata: muovendosi con grande agilità, colpendosi a vicenda le braccia come per prepararsi al combattimento, l’enorme Daitarn 3 si stagliò sul cielo, illuminato dai raggi del sole, e Banjo completò la trasformazione gridando:
“DAAAAITAAANNN…TRE!”
Per un attimo tutto l’ambiente attorno al Daitarn sembrò attraversato da un lampo luminoso. Il robot di Banjo, come pure il pilota, era ancora in grado di combattere come sempre. E Banjo concluse, gridando ad Harrison:
“Per la pace del mondo, combatterò i meganoidi col Daitarn 3! Se non hai paura di questa potenza…fatti avanti!”

Nello stesso tempo, il camion di Garrison divorava i chilometri in autostrada, diretto alla zona di Sendai e Akita. Toppi, alla fine, non riuscì più a trattenere la sua curiosità:
“Ma, Garrison, si può sapere una buona volta cos’è questo “Omegatron”? Io non ne avevo mai sentito parlare!”
“Bè, signorino Toppi, era un’ipotesi così remota che non ne avevamo mai parlato molto tra di noi. Comunque, ne abbiamo parlato…evidentemente, signorino, lei era stato poco attento!”
Toppi ignorò il velato rimprovero e sbottò:
”Va bene, va bene, ma almeno dimmi cos’è! Una macchina che distrugge il mondo?”
“Mi meraviglio di lei, signorino Toppi. Un’idea degna solo di scienziati pazzi dei film di 007. Anche se, a dire il vero, qualcuno di loro li incontrai, in gioventù…comunque, no, nulla di così banale. E’ molto peggio, invece”
“Distrugge l’universo?”
“Sempre con questa idea di distruggere! No, signorino Toppi, lei dovrebbe sapere che l’obiettivo dei Meganoidi è sempre stato non la distruzione del mondo, ma la sua trasformazione!”
“Cioè…trasformare gli uomini in meganoidi, giusto?”
“Esatto, signorino. L’Omegatron era un progetto di Koros e Don Zauker, che però richiedeva troppo tempo ed energia per essere realizzato. Evidentemente hanno avuto entrambe le cose…E’ una gigantesca struttura a forma di piramide, da dove vengono emessi i raggi invisibili Omega, che trasformeranno tutta l’umanità in meganoidi in poco tempo”
“Tutta l’umanità? Anche noi, Garrison?” chiese lui, incredulo.
“Vedo che sta cominciando a capire la gravità della cosa, signorino Toppi. Sì, anche noi”
Il ragazzo si sentì rivoltare lo stomaco.
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Sabato 27 Agosto: Daitarn 3 e Haran Banjo contro Pietra, il comandante Harrison; la vendetta di Koros; e altro...

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Ill.mo Fil. della Girella

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Riassunto: Nella villa di Banjo, Fujiko Mine ha prelevato tutto l’oro della villa. Lupin, Jigen e Goemon, intanto, sono fuggiti da Marte, insieme all’oro dei meganoidi. Koros, furiosa, anticipa l’ora della conquista, attivando l’Omegatron, una gigantesca piramide che emette radiazioni che trasformeranno tutti gli umani in meganoidi. Banjo interviene con Daitarn 3, ma viene ostacolato da Harrison, il comandante meganoide diventato megaborg. Nel frattempo, Beauty e Reika hanno scoperto il nascondiglio di Fujiko…


Sorseggiando il daiquiri ghiacciato davanti alla piscina della sua villa, Fujiko Mine era al settimo cielo. Tutto era andato come voleva. Mentre Lupin e gli altri si erano occupati dell’oro dei meganoidi, lei aveva razziato l’oro di Banjo. Tutto grazie ai teleportatori che erano nella villa di Banjo: apparecchi inventati dal dottor Sozo su Marte, durante la sua prigionia tra i meganoidi. Apparecchi straordinari mai usati, né dai meganoidi né da Banjo: furono portati via da Marte durante la fuga di Banjo. Una volta che Fujiko ne era entrata in possesso, mentre Banjo e gli altri dormivano profondamente grazie al gas, la donna, seguendo le istruzioni (trafugate) del dottor Sozo, aveva attivato i teleportatori, facendo trasportare l’oro di Banjo nel bunker della sua villa. E non era tutto: grazie agli apparecchi di ricezione, assai piccoli, che Lupin aveva già rubato in precedenza e portato di nascosto su Marte mentre incontrava Koros, Fujiko aveva persino potuto fare l’incredibile: un intero teletrasporto, da Marte alla Terra, di tutto l’oro dei Meganoidi. Un capolavoro. Il bunker di Fujiko era diventato strapieno e avrebbe fatto concorrenza persino al deposito di Zio paperone. Ormai Fujiko era diventata la donna più ricca del mondo.
Per un attimo, lei pensò a Lupin. Un peccato averlo abbandonato in mezzo al mare, pensò con una leggera punta di dispiacere. Ma tanto Lupin se la caverà anche questa volta, e quando sarà tornato sarà troppo tardi…ormai l’oro è diventato mio legalmente!
Fujiko finì il daiquiri e osservò sul giornale la pagina della borsa. Su cosa poteva investire? Le possibilità erano sterminate. Si alzò pigramente, stirandosi le braccia. Con tutto questo caldo, una nuotatina ci voleva. Si tuffò, immergendosi totalmente e tornando su più volte: quando pensò di essere stata abbastanza in acqua, si avvicinò alla scaletta, osservando sorpresa Reika Sanjo in piedi davanti a lei. Lo shock la fece restare a bocca aperta.
“Ciao, giornalista!” disse Reika con un ghigno, dandole una spinta e ributtandola in acqua. Fujiko riemerse, dicendo:
“Come…come avete fatto a trovarmi così presto?”
“Mi spiace, giornalista, adesso non rispondiamo più alle domande. L’intervista è finita. Dimmi dove hai messo l’oro, cocca”
“L’oro? Bè, ecco, è una storia lunga” rispose lei, sudando freddo. Doveva trovare un pò di tempo per pensare a qualcosa.
“Falla breve, questa storia. Beauty!” gridò.
“Sono qui” rispose la collega bionda, con un filo elettrico scoperto in mano. Fujiko nel vederlo rimase sconvolta.
“Aspetta...non vorrete mica… qui sono in acqua! Se gettate quel filo…”
“Eh, sì. Sarebbe un peccato, vero?” disse Reika con aria afflitta, mentre Beauty muoveva minacciosamente il filo scoperto (e staccato dalla corrente). L’importante è che Fujiko non se ne accorga, pensarono le donne.
“Aspettate…se…se mi ammazzate…non saprete mai dov’è l’oro!”
“Bè, lo cercheremo. Certo, ci metteremo un po’ di tempo, ma pazienza. Su, Beauty, vai!”
“NO, ASPETTATE! VI DIRO’ TUTTO!”
“Brava” disse Reika, soddisfatta “Vedi come le cose sono più facili se sei ragionevole? Su, esci di lì, e non fare scherzi. Le tue tecniche femminili su di noi non funzionano”
Fujiko lo sapeva bene: inoltre, era fuori discussione l’idea di affrontarle col karatè o altre cose simili. Reika era un’esperta e Beauty…bè, era armata. Affrontare due avversarie era troppo anche per lei. Si lasciò legare i polsi in silenzio.
“Bene, cammina! E fai in fretta, abbiamo altre cose da fare!” disse Reika, dandole una spinta da dietro, mentre Beauty la teneva sotto mira.
Fujiko si diresse verso l’interno della villa, seguita con attenzione dalle altre due, quando all’improvviso cadde a terra.
“Cosa?” disse Beauty, facendo per chinarsi verso di lei. Ma Reika la fermò subito.
“Non cascarci, è un vecchio trucco. Alzati, furbona!”
Ma Fujiko non si mosse. Reika rimase incerta, poi la spinse di lato con un piede: la donna era davvero svenuta. O morta? Cos’era successo? All’improvviso, una voce si alzò gridando:
“Buttate via tutte le armi! Avanti!”
Alzando la testa, Beauty e Reika riconobbero Koros sul tetto della villa. Sorprese, alzarono le armi, ma un paio di spari gliele fecero saltare di mano in un attimo. Una donna vestita di nero e con un cappello da cowboy rimise la pistola nella fondina, sorridendo sinistramente.
“Siete fortunate, Sua Altezza Koros vi vuole vive. Io vi avrei già ammazzate come tordi. Alzate le mani, o il prossimo colpo sarà alle gambe”
Obbedirono subito: quella donna aveva qualcosa di inquietante che era meglio non scoprire. In un attimo, furono circondate da altre donne vestite di nero, evidentemente le soldatesse della pistolera.
“Sei una comandante meganoide?” chiese Reika.
“Sì. Tanya Rasputin dei Cosacchi del Don, per servirvi. Mani sul capo, e andate dove vi dicono le mie atamanski” Rivolgendosi alle sue donne soldato, disse: “Portate con voi anche la donna a terra. Le ho mandato una pallottola stordente, dovrebbe riprendersi tra un po’. Se fanno le furbe, fatele il trattamento speciale”
“Cosa sarebbe?” chiese Beauty, un po’ spaventata.
“Credimi, non vuoi saperlo. Muoviti!” concluse, dandole una spinta. Mentre tutti si allontanavano, Rasputin si rivolse verso una delle atamanski:
“Tu no, Sandy. Resta qui. Devo parlarti”
La ragazza si voltò, perplessa, rimanendo davanti a Rasputin mentre le altre si allontanavano.
“Cosa…cosa c’è, comandante?”
“Dirigiti verso la piscina. Muoviti”
“S…sì, comandante!”
Camminò esitante verso il bordo della piscina, fermandosi poco vicino.
“Adesso ascoltami bene e non voltarti. Perché hai aiutato Jigen Daisuke e mi hai ingannata mettendo un meganoide al suo posto?”
La ragazza si sentì il cuore in gola: era stata scoperta.
“Cosa...cosa dice, comandante? Come fa a dire che sono stata io?”
“Ho fatto le mie indagini, ed è inutile che tenti di negare” Mentre parlava, estrasse la pistola “Hai ingannato la tua comandante, Sandy. Questo è un reato capitale. Prima che esegua la sentenza, ti ripeto: perché l’hai fatto?”
Sandy capì che era perduta. Non era possibile sfuggire, in nessun modo, alla pistola di Rasputin, nemmeno se si fosse tuffata in acqua. Era la fine.
“Io…” sussurrò rivolta verso il basso ”…io...una volta…amavo Jigen…”
Lo sparo echeggiò per un momento che a Sandy sembrò un’eternità. Era già morta prima ancora di toccare terra.
“E’ così?” rispose la comandante “Bene, non preoccuparti, tu e lui vi rincontrerete molto presto”
“Hai finito?” chiese Koros, che era comparsa dietro di lei. “Adesso che l’Omegatron è in funzione, abbiamo poco tempo”
La comandante si voltò e si inginocchiò davanti a lei.
“Sì, altezza Koros. Riavrete tutto l’oro, ve lo prometto!”
“Me lo auguro. La responsabilità è tua, visto che ti sei lasciata sfuggire i lingotti sotto il tuo naso”
“La responsabile è stata quella ragazza: ora è stata punita. Costringerò Fujiko a dirmi dov’è l’oro”
“Perché dovrebbe essere lei ad avere l’oro?”
“Conosco la banda di Lupin quando ero umana. Fujiko Mine ruba sempre i soldi a Lupin alla fine. Il mio servizio di spionaggio l’ha trovata facilmente.”
“Capisco. Comunque, io voglio lo stesso Lupin. Deve pagare per il suo affronto. Comandante Demian!”
Davanti a Koros apparve un’immagine olografica.
“Aura, altezza Koros” disse Demian, in ginocchio.
“Adesso torniamo all’Omegatron. Ti do un incarico: voglio che tu mi porti le teste di Lupin e dei suoi due compagni. Hai carta bianca,”
“Eseguirò subito, altezza Koros. Aura!”
L’immagine di Demian scomparve.
“Andiamo, adesso” concluse Koros. In pochi attimi, tutti scomparvero: rimase solo il cadavere di Sandy sul bordo della piscina, sotto il quale la chiazza di sangue si stava allargando sempre di più.

Nel frattempo, lo scontro tra Daitarn 3 e il Megaborg era già iniziato.
“Daitarn Missile!”
Lo sportello del robot, a livello ombelicale, si aprì scagliando una raffica di missili contro il Megaborg Harrison: ma la durissima pietra di cui era composto non avvertì nulla. Harrison fece ruotare la palla incatenata con le punte, scagliandola contro il Daitarn, che la evitò per un soffio, mentre l’arma tornava nelle mani del Megaborg.
“Credi di essere resistente solo perché sei fatto di pietra? Mi sembra una trovata alquanto misera” commentò Banjo.
“La mia non è semplice pietra, e te ne accorgerai!”
Dei raggi luminosi partirono dagli occhi di Harrison, che furono parati dal Daitarn Ventaglio. Il robot alzò un ginocchio, dal quale uscì un’asta che afferrò con una mano: in un attimo, l’asta si allungò ed una delle estremità mostrò una quadrupla lama. Era il Daitarn Giavellotto, o Daitarn Javelin. Il robot lo fece roteare e si mise poi in posizione: l’attacco fu simultaneo.

Mentre la battaglia infuriava, dietro di loro la piramide di metallo, o Omegatron, iniziava ad emanare le onde Omega, che avrebbero trasformato in poche ore tutti gli umani del pianeta in Meganoidi. All’interno della costruzione apparvero Koros, Rasputin e le loro donne soldato atamanski, con le tre prigioniere legate ed imbavagliate.
“La situazione?” chiese Koros ad un’attendente.
“L’Omegatron è stato attivato. Però sarà necessaria un’energia assai vasta perché le radiazioni Omega possano raggiungere tutto il mondo”
“Lo so” Rivolta a Rasputin, Koros disse: “Pensa tu alle prigioniere e fatti dire da Fujiko dov’è l’oro”
“Aura!”
Koros si allontanò in fretta. Ormai il dado era stato tratto: ed ora, in un caso o nell’altro, bisognava ottenere l’aiuto di Don Zauker.

Il Megaborg Harrison sbattè le mani una contro l’altra: all’improvviso, apparve un’asta di pietra con due mazze ferrate alle estremità. Il Daitarn Javelin fu parato all’istante, mentre con una mossa rapida la terribile palla di pietra colpì il Daitarn in pieno petto, e il contraccolpo fu avvertito persino nella cabina protetta di Banjo. Lo squarcio sulla corazza del Daitarn era evidente.
Quella non è normale pietra… pensò Banjo, preoccupato.
Il robot si mise di lato, per evitare l’arma, e colpì a fondo col Javelin. Inutile: l’arma di Daitarn volò via in mille pezzi, spaccata dalla mazza ferrata di Harrison. Banjo aveva fatto un secondo errore. Infatti, non solo la “pietra” con cui era stato fatto il Megaborg era più resistente del previsto, ma anche la sua velocità era uguale a quella del Daitarn.
Anzi, no…pensò Banjo. Forse è addirittura superiore!
“Daitarn spada!”
All’improvviso, un’elsa comparve davanti al Daitarn, che la afferrò: in poco tempo, partirono dei raggi che convergevano in un unico punto, formando come d’incanto una tozza spada.
Non posso usare l’attacco solare per due motivi, pensava Banjo mentre attaccava: la spada si spezzò, come previsto. La pietra di Harrison non era di questo mondo.
Il primo motivo è che il Daitarn non è ancora carico: per questo posso solo attaccarlo con armi bianche.
“Daitarn Hammer!”
Dal piede del Daitarn uscì una mazza ferrata e incatenata: l’unica cosa da fare per adesso era affrontarlo con le stesse armi. Le mazze cozzarono con violenza.
Il secondo motivo è che lì vicino c’è l’Omegatron! Potrebbe rimanere coinvolto nell’esplosione, e in questo caso i raggi Omega che emette diventerebbero incontrollabili e distruggerebbero in un attimo tutto il Giappone! Tutto il paese diventerebbe un mare di fuoco!
L’abilità di Harrison era fuori dal normale: in un attimo, con la sua asta ferrata fece in modo che il Daitarn Hammer vi si attorcigliasse intorno, strappandola via dalle mani del robot. E, prima ancora che Banjo avesse potuto riprendersi dalla sorpresa, il Daitarn fu colpito in pieno petto da una mazza chiodata dell’estremità dell’asta. Il rimbombo echeggiò tra le valli semideserte e i monti indifferenti.

Una gran quantità di gente e curiosi osservava da lontano lo spettacolo, con binocoli e simili, nonostante l’esercito cercasse di tenerli lontani. Quando arrivò una macchina della polizia mezzo distrutta, con le gomme fumanti come se avessero percorso migliaia di miglia, scese da lì una persona esagitata che assomigliava ad un ispettore della polizia. Rivolgendosi verso il colonnello Kumira, che era il responsabile delle operazioni, salutò militarmente e disse:
“Ispettore Zenigata, Interpol. Quali sono le novità, colonnello?”
Kumira lo guardò in modo strano.
“Scusi, ispettore, non lo vede coi suoi occhi? Il Daitarn 3 sta combattendo contro quel mostro!”
“Ma chi se ne frega del mostro e del Daiban! Avete visto Lupin? E’ lui che mi interessa, altro che il Doucan!!”
“Si calmi, ispettore...qui non c’è nessun Lupin!” rispose Kumira, allarmato.
“Impossibile! Ha rubato l’oro di Banjo, sono sicuro che lui è dietro tutto questo! Vuole impadronirsi del mondo coi suoi soldi! Ecco! Finalmente ho capito il suo piano! Maledetto Lupin! Ma il mondo non sarà tuo!”
Kumira fece un cenno. In poco tempo, tre soldati nerboruti afferrarono Zenigata e lo portarono via, senza badare alle sue urla e minacce.
“E’ decisamente un tipo troppo emotivo, l’ispettore. Avete fatto bene, signor colonnello. Ora starà tranquillo per un pò” disse una voce calma. Voltandosi, Kumira vide un uomo anziano vestito in modo elegante ed accompagnato da un ragazzino.
“Permetta che mi presenti” disse l’uomo, porgendo la mano “Garrison Tokida, maggiordomo del signor Banjo. Il mio amico qui presente è il signorino Toppi”
“Non voglio bambini qui in giro!” esclamò Kumira.
“Ha ragione, colonnello, ma queste sono circostanze eccezionali. Il signor Banjo ha bisogno di tutti noi. Infatti, temo che tra poco perderà”
“Ma cosa sta dicendo?”
“Ha ragione, Garrison. Perché dici questo?” chiese Toppi, allarmato.
“Quello” rispose il maggiordomo, alzando la testa per osservarlo “non è un megaborg come gli altri”
“Ma se sta combattendo il Daitarn come tutti!”
“Sì, ma non se n’è accorto, signorino Toppi? E’ il signor Banjo ad essere in difficoltà, non lui. Inoltre, temo che il nemico non abbia ancora usato tutto il suo potenziale.”
“Cosa?”

Nel frattempo, Banjo perse la pazienza.
“Daitarn stella!” La croce sopra il petto del Daitarn si staccò, tagliando in due come una mannaia l’asta di Harrison. Sorpreso, il megaborg fu catturato dal Daitarn laccio, che lo trascinò vicino alle gambe del robot. Il Daitarn, alzando il piede, sparò il Daitarn Cannon a distanza ravvicinata. Ma nessun risultato. Harison si mise a ridere, ad afferrò per la prima volta il Daitarn con le sue mani. Sorpreso, Banjo vide che il robot stava diventando di pietra.
“Cosa?”
“Questo è il mio potere, Banjo. Tutto ciò che tocco diventa pietra. E tra poco lo diventerai anche tu.”
Banjo osservò inorridito tutto l’interno del Daitarn che stava diventando pietra. Non aveva tempo da perdere. Fece staccare subito la navetta, ricollegandola con la Mach Patrol: la macchina uscì a gran velocità fuori dal robot, che era diventato un enorme blocco di marmo.
Harrison scagliò i suoi raggi ottici contro la Mach Patrol, ma Banjo riuscì ad evitarli. Una volta lontano, rifletté sul da farsi: ma Harrison ormai non pensava più a lui. Insieme al Daitarn, diventato pietra, tornò preso l’Omegatron, che lo inglobò insieme al robot. Daitarn 3 era caduto in mano ai meganoidi.
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Sabato 10 Settembre: Conto alla rovescia

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Ill.mo Fil. della Girella

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A causa degli impegni per i lavori sul grande Mazinga e su Jeeg Robot, senza contare la fanfic dell'Ombra, devo interrompere momentaneamente la fanfiction, che riprenderà appena finirò la fanfic dell'Ombra.

Portate pazienza! :nagai:

daitarn3mini lupiniiimini

 
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