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| "La prima cosa bella di giovedì 26 marzo 2020 è il Gazometro di Roma che al tramonto si accende di luci bianche, rosse e verdi. Accade da tre sere. Prima era un’ombra scura davanti alle finestre. Ora è una piccola festa quotidiana che abbiamo velocemente imparato ad aspettare con trepidazione infantile. Una luce è tutto quel che cerchiamo. Ce la porta la sua storia, la sua forza: 83 anni, 89 metri.
Durante il fascismo l’unico posto di lavoro che non pretendesse la tessera erano le Officine del gas. Addirittura lo offrivano ai dissidenti scarcerati da Regina Coeli. Quegli impianti erano l’inferno in terra. Forni come grattacieli in cui pioveva carbone. Gli operai usavano zoccoli per camminare su passerelle di ferro così roventi che avrebbero sciolto la suola di semplici scarpe. Stavano in mutande, nell’aria arroventata, nel frastuono, respirando pulviscolo nero.
Sopravvivevano pensando al dopo: dopo il fascismo, dopo la guerra, dopo l’occupazione. In segreto, fabbricavano chiodi a tre punti per i sabotaggi partigiani. Ci furono giorni in cui rinunciarono alla mensa e alla paga, devolvendo viveri e soldi alle famiglie più povere del quartiere.
So che qualcuno adesso accende l’interruttore del Gazometro (e gliene sono grato), ma mi piace pensare lo faccia da sé, intuendo il nostro bisogno. Come lui, la luce più grande l’abbiamo dentro."
Fonte: La Repubblica.
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