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CALATEA's FICTION GALLERY, Solo autore

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view post Posted on 26/12/2020, 11:32     +1   -1
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Comm.Grand.Pres. della Girella

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Altra precisazione: leggendo la ff troverete nomi di personaggi che avrete di sicuro trovato in altri lavori in questo forum. Vuole essere un mio omaggio a chi ha contribuito ad allietare le mie giornate.

-La macchina del tempo- 2 -

Nel suo studio, la regina la costrinse a mangiare e a bere del succo di frutta, mentre lei digitava su un terminale. Venusia aveva sempre desiderato sapere di più del passato di Actarus e ora ne avrebbe fatto parte, forse per sempre. Era talmente persa nei suoi pensieri che non sentì bussare alla porta e trasalì quando la regina salutò i nuovi venuti.
-Ecco il mio principino! Grazie Dara.-
Un bellissimo bimbo di circa due anni era entrato nella stanza, accompagnato da una donna matura.
Venusia incrociò lo sguardo del bimbo che, dopo un attimo di incertezza, ricambiò timidamente il sorriso, prima di correre dalla sua mamma. Nascosto dietro le gambe della regina, il piccolo guardò la nuova venuta e qualche attimo dopo, preso coraggio, le si avvicinò.
-Chi tei?-
-Mi chiamo Venusia.-
-Nuttia?-
La ragazza annuì e il bimbo le si arrampicò sulle gambe. La regina espresse il suo stupore.
-Duke è un bambino socievole, ma cauto con gli estranei: è la prima volta che si comporta così.-
Qualcuno bussò alla porta ed entrò.
-Maestà, è tutto pronto.-
-Bene. Duke, devi rimanere qui con Dara.-
-No!-
Venusia gli parlò con pazienza.
-Duke, devi obbedire alla mamma. Rimani con Dara e, se farai il bravo, dopo ti costruirò un gioco.-
Il bimbo riacquistò il sorriso e lei gli arruffò i capelli.
Due uomini armati entrarono nella stanza, per la sicurezza del principe, mentre Venusia seguì la regina e Amauta alla sala del Consiglio, dove il re li attendeva.
Appena vi giunsero, egli prese la parola:
-Grazie a tutti per averci raggiunto così in fretta. Questa Viaggiatrice ci ha portato notizie allarmanti. Alcuni soldati della guardia scelta di Vega sarebbero arrivati su Fleed, presumibilmente per compiere un attentato contro la regina e nostro figlio.-
La sala si riempì di voci, finché il sovrano non ordinò il silenzio. Allora un consigliere intervenne:
-Da dove viene la Viaggiatrice? Non è una veghiana.-
Il re rispose con prontezza:
-Da un pianeta al di fuori di questa galassia.-
Di nuovo tante voci insieme, finché qualcuna si levò sulle altre:
-Che ci facevano dei veghiani fuori dalla galassia e perché mai dovrebbero compiere un attentato qui? Siamo in pace.-
Un altro consigliere si intromise:
-Forse vogliono creare un incidente per rompere gli equilibri.-
-Con che mezzo questa “viaggiatrice” sarebbe arrivata fin qui? Come facciamo a capire quello che dice? Ma soprattutto, perché a una donna di un’altra galassia interesserebbe ciò che succede qui? Cosa guadagnerebbe venendo ad avvertirci?-
Questo commento portò il silenzio. Con voce tranquilla, la regina rispose:
-Consigliere Barsagik, esistono persone compassionevoli.-
Il fleediano fece una risatina cinica.
-Compassionevoli tanto da compiere un viaggio così lungo e arrivare proprio in tempo per avvertirci del pericolo, senza volere nulla in cambio? Più facile che sia complice degli attentatori! Poi, come può sapere che si tratta di veghiani?-
Il sovrano rispose senza indugio:
-Ha descritto lo stemma che quegli uomini portavano sulle divise.-
Un altro consigliere intervenne, con più moderazione:
-Ci sono prove della presenza di questi veghiani?-
Di nuovo, il re rispose:
-Ci sono indizi, nessuna prova certa.-
L’uomo che rispondeva al nome di Barsagik colpì il tavolo con il palmo della mano.
-Io dico di imprigionare la straniera e di dimenticarci di tutto questo.-
Il sovrano non nascose il suo disappunto.
-Consigliere, non possiamo sottovalutare un potenziale pericolo!-
Finalmente Venusia ricordò dove aveva sentito il nome Barsagik: era quello di Naida. Il consigliere doveva essere un parente della sfortunata ragazza e il suo ricordo la riempì di tristezza.
-Continuo a dire che la faccenda è troppo strana e che non c’è da fidarsi di questa donna.-
Il re, spazientito, si rivolse all’uomo in fondo alla sala che finora era rimasto in silenzio, con il capo chino e le braccia incrociate sul petto:
-Alistar, tu cosa ne pensi?-
L’uomo girò la domanda alla regina.
-Astrida?-
-La ragazza è sincera, ha un animo buono.-
-Per me basta questo. Mia figlia non si è mai sbagliata nel giudicare qualcuno. Si può supporre che agiranno durante la notte, pensando di sfruttare l’elemento sorpresa. Tu cosa dici Egron?-
Il re annuì.
-La penso allo stesso modo.-
Il consigliere Barsagik scosse la testa.
-Secondo me commettiamo una leggerezza a lasciare libera la straniera. Almeno, chiudiamola da qualche parte!-
La regina si rivolse al consigliere con fermezza:
-Mi fido di lei, sarà la mia Ancella!-
Il capitano Amauta si irrigidì, ma non proferì parola. Nella sala lo stupore era palpabile.
Il re concluse la riunione del consiglio.
-Bene. Se dovesse succedere qualcosa questa notte, e tutti ci auguriamo il contrario, ci riuniremo domani per fare il punto della situazione. Per ora, vi ringrazio.-
Prima di andare via, Alistar si avvicinò a Venusia. La somiglianza con Actarus e il suo sguardo severo le fecero male.
-Attenta ragazza! Astrida e mio nipote sono le persone più preziose che ho. Difendili… e cerca di rimanere viva: sembra che mia figlia tenga molto a te.-
Detto questo, si allontanò, lasciando Venusia profondamente turbata.
La regina le mise una mano sulla spalla.
-Vieni, hai bisogno di rinfrescarti.-
La camera che le avevano preparato era bellissima. Amauta non approvava né la posizione della stanza, attigua a quella del principe, né l’abito che era stato destinato alla straniera: era composto da una maglia e un pantalone neri di un tessuto opaco ed elastico che si adattava al corpo come un guanto; era provvisto di una sopravveste lunga alla caviglia, bianca, aderente sul busto; si chiudeva con un bottone alla vita e si allargava a trapezio, lasciando aperta tutta la parte dell’ampia gonna, per agevolare i movimenti di chi lo indossava, stivali neri.
Era l’abito destinato alle Ancelle della regina.

Venusia non aveva dimenticato la promessa fatta al principino e, mentre la regina lavorava nel suo studio, seduta per terra in un angolo con il piccolo Duke, costruiva per lui origami di animali, con i quali il bambino giocava, ridendo alle storie che la ragazza raccontava.
La regina la osservava incuriosita.
-Hai bambini tuoi, Venusia?-
-No maestà, ma ho cresciuto mio fratello.-
-Come mai, tua madre non poteva?-
-Mentre aspettava mio fratello, scoprì di essere gravemente malata e per proteggere la salute del bambino, non poté essere curata. Dopo la sua nascita, la mamma era sempre molto debole. E’ morta pochi anni più tardi.-
-Mi dispiace… e tuo padre?-
-Viviamo in una fattoria, lui doveva occuparsi degli animali e dei terreni… Io mi occupavo di mio fratello, della casa, della mamma e della scuola.-
-Non deve essere stato facile.-
-No, ma sono contenta di averlo fatto.-
Astrida annuì comprensiva.
-Immagino che avrai avuto poco tempo per gli amici.-
-Avevo troppo da fare e prima di Actarus non posso dire di averne avuti. Poi sono arrivati anche Alcor e Maria: loro sono i miei amici.-
-Anche loro hanno combattuto contro Vega?-
-Sì.-

Nello studio del re, i due sovrani stavano guardando sorgere la prima luna.
-Duke dov’è?-
La regina sorrise.
-Ha voluto che Venusia lo mettesse a letto e gli raccontasse una storia.-
-Incredibile come si sia affezionato subito a quella ragazza. E tu? Perché ti piace tanto?-
-Non so spiegartelo. In qualche modo quella ragazza è legata a me.-
Bussarono alla porta.
Il capitano Amauta era teso.
-Maestà, le ronde iniziano ora. Sarebbe bene che la regina si ritirasse nella sua stanza: i miei uomini sono già appostati. Il principe?-
La regina rispose:
-C’è Venusia con lui.-
Amauta si irrigidì:
-Con il vostro permesso, sorveglierò io il bambino.-

Un rumore dietro la porta la svegliò.
In un lampo Venusia si alzò e fece scudo con il suo corpo al letto del principino.
-Mossa inutile: prima ammazzo te e poi il bambino.-
Nonostante il sollievo, Venusia rispose al capitano piccata:
-Se il bambino fosse nel letto!-
Il letto era pieno, ma solo di cuscini.
-Dov’è?-
La ragazza alzò piano il coperchio del baule in fondo alla stanza: il bimbo dormiva sereno al suo interno, tra coperte e giocattoli.
L’uomo prese mentalmente nota della necessità di modificare la stanza del principe. Era un’abitudine che aveva da tempo: usare la sua mente come fosse un foglio per gli appunti smorzava la tensione, ma non la concentrazione.
Nel pieno della notte, rumori di lotta arrivarono dal piano inferiore.
Amauta si irrigidì e sfilò l’arma dalla fondina che portava legata in vita.
-Sono arrivati!-
L’ufficiale era inquieto: si era offerto di badare al principe perché non si fidava di Venusia, ma era un uomo d’azione: non riusciva a concepire di stare lì fermo mentre il suo re rischiava la vita. In quel momento desiderava di poter essere in due posti contemporaneamente.
La ragazza capiva il disagio del soldato:
-Capitano, gli uomini di Vega forse conoscono la pianta del palazzo e la posizione delle stanze della regina e del principe. Spostiamoli entrambi nella mia stanza e ci faccia sorvegliare da quattro uomini armati: io non potrei avere la meglio contro quattro soldati, non crede? Così lei potrà andare in aiuto del re.-
Amauta camminò nervoso per la stanza per pochi attimi, soppesando la proposta.
-Va bene… Venusia?-
Quando la ragazza si girò, si trovò il capitano a pochi centimetri dal volto.
-Se oserai alzare un dito su di loro... ti ucciderò con le mie mani!-
Lei rispose con estrema tranquillità:
-Esattamente quello che farei io al suo posto.-
Il capitano accompagnò la regina nella stanza di Venusia; la ragazza vi aveva già trasportato il bimbo addormentato e lo aveva adagiato, avvolto in una coperta, nell’armadio che si trovava sul lato della camera più lontano dalla porta, quindi, aveva spostato davanti alle ante alcune poltrone, per proteggerle. Quattro soldati armati erano con loro.
Il fragore al pianterreno aumentava e la regina diveniva sempre più ansiosa.
Rumore di passi che si avvicinavano, la maniglia girò. Venusia costrinse la donna ad abbassare la testa al riparo del letto, mentre i soldati si fecero scudo con gli arredi della stanza. La porta si aprì: erano altri due militari fleediani.
-Il re ci ha mandati in aiuto.-
Un colpo di disintegratore e uno dei due soldati cadde senza vita sulla soglia. L’altro si voltò, ma non fece in tempo a sparare: venne colpito in pieno petto e morì all’istante.
Venusia continuava a spingere in basso il capo della regina e a farle scudo con il proprio corpo.
I soldati cercavano di trattenere i veghiani fuori dalla stanza.
-Signora, sa sparare?-
La domanda era stata rivolta a Venusia, che prontamente rispose:
-Sì!-
-Allora prenda e difenda la regina!-
Il soldato spinse verso di lei il disintegratore di uno dei compagni morti.
Mantenendo ancora al riparo il corpo della regina, Venusia aprì il fuoco contro i veghiani.
-Mamma?-
La vocina ebbe il potere di gelare il sangue nelle vene delle due donne.
Duke aveva aperto le porte dell'armadio e guardava spaventato verso di loro.
-Fermo, non ti muovere!-
La regina era terrorizzata e tentò di alzarsi per correre da suo figlio.
Venusia la fermò spingendola verso il pavimento.
-No! Stia qui, ci penso io!-
Lo sguardo determinato della ragazza e il tono di voce imperioso immobilizzarono la sovrana.
-Duke, torna indietro! Non uscire!-
-Mamma!-
Il bimbo iniziò a gattonare fuori dall'armadio.
-Fermo!-
Ma Duke non ascoltava: era troppo spaventato.
Un altro soldato fleediano rimase ucciso.
Un veghiano si accorse del bimbo, che aveva superato la protezione delle poltrone.
Con un’azione suicida, entrò nella stanza. Venusia si slanciò sul bambino e lo avvolse tra le braccia, il veghiano sparò un colpo contro Duke, la regina urlò, il veghiano venne freddato dai soldati fleediani.
Colpi di disintegratore fuori della porta e in pochi attimi fu tutto finito.
Re Egron ed il capitano Amauta entrarono nella stanza.
-State tutti bene?-
La regina si alzò da dietro il letto.
-Duke? Duke?-
Il bimbo non rispose: stava scuotendo la sua nuova amica.
-Nuttia, Nuttia? Mamma, Nuttia domme.-
Una macchia di sangue si stava allargando sotto il corpo di Venusia.

-continua-

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Edited by calatea4 - 13/1/2021, 13:45
 
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view post Posted on 28/12/2020, 09:24     +1   -1
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-La macchina del tempo- 3 -

-Maestà, la Viaggiatrice non è grave: un colpo è entrato nella spalla, uno ha toccato il capo di striscio.-
La regina rimase sola con Venusia, ancora priva di conoscenza.
Solo poche ore prima, Astrida l’aveva creduta morta: tutto quel sangue a terra. Il re aveva preso la giovane tra le braccia e l’aveva portata in infermeria, per non perdere neanche un minuto. Lei aveva faticato a calmare Duke.
-Piccola ragazza triste, hai rischiato di morire per salvare mio figlio. Grazie.-
Un sospiro, un’ultima carezza sui capelli, la regina si allontanò dall’infermeria per raggiungere suo marito e suo figlio nelle stanze reali.

Al risveglio, Venusia aveva faticato a ricordare gli ultimi avvenimenti.
Poi aveva parlato con il medico.
Non sono ferita gravemente, ma è un bene o un male? Sei qui, ma sei solo un bambino: ti vedrò crescere, diventare un uomo, amare un’altra… io non…
Si era girata, per nascondere il volto bagnato dalle lacrime.

Il consiglio era di nuovo riunito. Il clima era molto diverso da quello del giorno precedente.
Venusia aveva salvato il principe. Le avevano stretto la mano, le avevano augurato una pronta guarigione. Alistar non le si era avvicinato: le aveva indirizzato un cenno di ringraziamento da lontano: forse si era accorto del turbamento che le provocava.
La cosa che le fece più piacere fu di aver conquistato la stima del capitano Amauta.
Il sovrano fornì il resoconto dei fatti: dopo il blitz, avevano perquisito tutto il palazzo ed era stata esclusa la presenza di altri veghiani, oltre i dieci che erano rimasti uccisi.
Alla fine della riunione, il re prese da parte Venusia.
-Abbiamo trovato un congegno nelle mani di uno dei veghiani. Pensiamo serva ad attivare la macchina sul tuo pianeta. Fidia lo sta studiando per capirne il funzionamento, se tutto va bene tra qualche giorno potrai tornare a casa. Sei contenta?-
-Sì maestà, grazie.-
Venusia, a dispetto della bella notizia, rimase molto triste. Solo giocare con Duke sembrava sollevarle il morale.
-Venusia il tuo amico, Actarus, è sulla Terra?-
La domanda della regina la colse alla sprovvista mentre stava costruendo un origami per il principe.
-No, è tornato a casa.-
La regina pensò di aver individuato il motivo della tristezza della ragazza.
-E tornerà sul tuo pianeta?-
Venusia trattenne il respiro per un attimo, per ricacciare indietro le lacrime.
-Non lo so, forse...-
Il piccolo Duke iniziò a emettere strani versi, mentre muoveva un animaletto di carta e la ragazza terrestre non potè fare a meno di sorridere.

Erano passati due giorni dall’aggressione dei veghiani, Venusia aveva trascorso il suo tempo a giocare con Duke, nello studio della regina: aveva costruito origami per popolare uno zoo intero! Le piaceva vedere lo stupore negli occhi del bimbo, davanti a ogni nuovo animaletto di carta.
Ora il piccolo stava riposando nella sua cameretta. Venusia completò l’ultimo origami: un passerotto. Lo mise sulla poltroncina che aveva accanto, si alzò da terra e si appoggiò allo stipite della finestra, guardando il parco rigoglioso, inondato di sole.
Pochi anni ancora e sarebbe sparito tutto: l’erba, i fiori, gli alberi, gli animali.
Tutte quelle meravigliose persone erano destinate a soffrire orribilmente e a morire. Lei sapeva tutto e non poteva fare nulla per loro.
La regina, seduta al terminale, percepì un dolore e una disperazione così forti da toglierle il respiro. Alzò la testa: Venusia sembrava del tutto persa in un altro mondo, il volto bagnato dalle lacrime.
-Venusia? Venusia, cos’hai?-.
-Vega inizierà a conquistare e a devastare i pianeti della nebulosa per costruire un impero...-
La regina si alzò e si accostò alla ragazza, che sembrava insensibile al mondo esterno e continuava a parlare con voce piatta.
-Zitta, per carità! Non parlare più!-
- Vega imporrà a Duke un fidanzamento con sua figlia Rubina, ma sarà solo un inganno...-
Astrida afferrò Venusia per le spalle, per farla uscire dallo stato di stupore.
-Venusia, basta!-
Il re, entrato in quel momento, rimase sconcertato.
-Richiamerà sua figlia e poco tempo dopo attaccherà Fleed… e morirete tutti...-
Astrida si ritrasse di colpo: Il re, avvicinatosi per cercare di zittire la giovane, non mosse più un muscolo. Venusia non sembrava accorgersi di nulla: guardava nel vuoto e continuava a parlare, dominata dalla disperazione.
-Morirete tutti, tutti! Il pianeta sarà devastato dal vegatron... Duke fuggirà con Goldrake, l’enorme robot, Maria sarà salvata da un maestro… alcuni saranno fatti prigionieri e torturati, costretti a combattere.-
Il re e la regina erano sconvolti. Venusia faceva fatica a parlare, come se avesse esaurito tutte le proprie energie.
-Non dovete soffrire… nessuno… Lui… lui non deve soffrire tanto!-
Scivolò a terra lentamente, priva di forze.
-Maestà, sarà vero quello che ha detto?-
Amauta era entrato nello studio poco dopo il re, attirato dalla voce concitata della regina e aveva ascoltato parte del racconto.
Egron si avvicinò al capitano.
-Credo di sì… sì: nessuno può fingere cose del genere. Devo parlare con Fidia, dobbiamo capire come gestire la situazione. Amauta, resta qui per favore.-
La regina teneva Venusia tra le braccia e le carezzava la testa. La ragazza aveva ancora lo sguardo assente.
-Mi spiace, io non potevo accettare… andare via senza fare niente.-
-Va tutto bene, tranquilla. Venusia, Actarus è Duke?-
-Sì.-
-Hai pensato che potresti non incontrarlo più, perché hai alterato il corso degli eventi?-
-Non voglio che soffra.-
-Lo ami così tanto?-
La ragazza annuì.
-Dov’è ora mio figlio?-
-Sono tornati su Fleed, per ricostruire.-
-Tornati?-
-Duke e sua sorella Maria.-
A dispetto del momento, Astrida non potè non sorridere alla notizia.
-Avrò una figlia, allora!-
Un brivido scosse il corpo di Venusia.
-Maestà, mi sento strana.-
Si aggrappò al braccio della regina, ma le sue mani stavano perdendo consistenza.
-Ho paura. Cosa succede?-
La regina non riuscì a trattenere le lacrime.
-Va tutto bene, sono con te.-
Tentava di stringerla, ma Venusia stava lentamente svanendo.
Amauta era pietrificato dall’orrore, come il re e Fidia, entrati nella stanza da pochi istanti.
-Egron, è sparita… è… sparita.-
Lo scienziato si schiarì la voce e tentò di spiegare:
-Il futuro è cambiato... è complicato, non avrebbe dovuto…-
Il re lo interruppe in tono grave:
-Ci ha salvati, tutti. Un intero pianeta le deve la vita.-
Amauta e Fidia lasciarono con discrezione la stanza.
Astrida piangeva, Egron la teneva stretta.
-Non ho mai percepito tanto dolore come quello che provava quella ragazza. Egron, ho capito perché la sentivo così legata a me: era innamorata di Duke.-
-Cosa?-
-Venusia, nel suo tempo, amava Duke.-

I progetti per la costruzione del grande robot e del doppio campo di forza a protezione del pianeta iniziarono il giorno dopo la scomparsa di Venusia.
Re Egron si impegnò in una capillare opera diplomatica per stringere rapporti di fiducia e collaborazione, promuovere gli scambi commerciali e condividere tecnologie tra i pianeti della nebulosa.
Furono necessari tre anni per individuare il professor Procton, sulla Terra. Re Egron e Fidia si recarono al Centro di Ricerche Spaziali a parlare con lui. Decisero di metterlo al corrente di tutto: la realizzazione di una macchina del tempo da parte dei veghiani, le rivelazioni di una ragazza terrestre di nome Venusia sul futuro di Fleed e le contromisure che da allora avevano intrapreso, a difesa del proprio pianeta.
Il professore dimostrò di possedere una mente eccezionalmente aperta per accettare un racconto che, ad altri, sarebbe risultato assurdo. Aveva anche compreso il dilemma dei fleediani: temevano di attirare pericolose attenzioni con il loro viaggio, ma dovevano considerare la possibilità che la Terra venisse individuata dai veghiani, nella loro incessante ricerca di risorse. Non era possibile lasciare un pianeta strategicamente importante privo di protezione. Egron e Fidia dovettero scartare molti dei dispositivi di difesa in via di realizzazione sul loro pianeta, perché non avrebbero potuto affidarli a nessuno, in mancanza di una figura unica al comando della Terra. Decisero che la soluzione migliore sarebbe stata costruire tre velivoli da guerra, che avrebbero potuto affiancare ed essere di supporto al grande robot di Fleed. Installarono un sistema di comunicazione tra i due pianeti, da usare solo in caso di estrema necessità.
Prima di ripartire il sovrano volle conoscere la famiglia Makiba e la piccola Venusia.

Il popolo di Vega era sempre stato arrogante e poco ospitale. Nessuno si stupì quando il sovrano attuò una politica interna di segregazione razziale, che spinse i pochi stranieri presenti a lasciare il pianeta. I veghiani erano divisi in tre caste principali: militari, scienziati, operai, che godevano di oneri e onori nettamente differenti, però tutti dovevano sottostare alla legge marziale e ai capricci del tiranno. Con una rapidità impressionante, furono costruiti impianti di estrazione, industrie chimiche e fabbriche di armamenti in numero tale che presto sembrarono ricoprire l’intera superficie del corpo celeste e del suo satellite. In breve tempo, l’aria e l’acqua divennero veleno, la popolazione fu costretta a vivere in strutture artificiali.
La politica estera del sovrano era guidata dalla stessa arroganza e senso di superiorità. Alti ufficiali vennero inviati, e più spesso imposti, come personale diplomatico presso i governi dei pianeti della nebulosa.
Ovunque regnava un’atmosfera di sottile tensione.
Un giorno, senza nessun motivo apparente, improvvise esplosero la malvagità e la violenza.
Con un dispiegamento di forze esagerato, con fiumi di vegatron, ad una velocità impressionante, un ricco paradiso pacifico, votato allo sviluppo delle scienze, fu trasformato in un inferno. La popolazione fu ridotta in schiavitù, costretta a lavorare nelle miniere, a strappare alla terra le sue ricchezze per convertirle in armi.
Da quel momento, il nome di quel pianeta divenne Akerebe rosso di sangue.

Quando la notizia del tragico destino di Akerebe si diffuse, alcuni pianeti espulsero i veghiani residenti. Dove, con minacce e ricatti, Vega era riuscito a insediare presidi militari, si scatenarono scontri sanguinosi. Il tiranno inviò la flotta per supportare le sue truppe di terra.
Nel suo palazzo, il sovrano seguiva le operazioni osservando compiaciuto i segnali luminosi che si muovevano su una riproduzione in scala della nebulosa: stemmi rossi corrispondevano alle sue truppe che incombevano sugli avversari, contrassegnati da luci di un debole giallo. Con avidità aspettava che queste ultime si spegnessero e che tutte le posizioni risplendessero del suo blasone purpureo.
Con sempre maggiore disappunto vide, invece, alcune delle sue insegne sparire, prima quelle più piccole che indicavano gli avamposti sul campo, poi quelle più grandi, nello spazio . Contemplò con orrore alcune che tornavano indietro: si stavano ritirando. Solo su poche posizioni, alla fine della battaglia, spiccava lo scudo cremisi.
Con un feroce pugno infranse lo schermo. Si alzò e ordinò di interrogare i vigliacchi, prima di sterminarli.

-continua-

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Edited by calatea4 - 13/1/2021, 13:45
 
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-La macchina del tempo- 4 -

I caccia da combattimento rientrarono sulle astronavi madre. Egron scese dal suo velivolo e si tolse il casco lentamente: aveva le braccia stanche e un livido sulla fronte. Un sottoposto gli si avvicinò con deferenza e gli porse un terminale con il rapporto. Agli occhi del sovrano quelli non erano solo nomi di luoghi e cifre, ma persone in carne e ossa, vite perse. Il dolore era evidente sui suoi lineamenti.
-Mio re.-
Egron accolse il nuovo venuto con un sorriso tirato e gli consegnò il rapporto.
-Amauta, felice di rivederti. Dobbiamo fare di meglio. Le nostre previsioni non erano esatte.-
Indicò i nomi di alcuni pianeti sullo schermo del terminale.
-Questi non erano nella lista dei possibili obiettivi. Dobbiamo capire cosa ha guadagnato il tiranno con la loro acquisizione, dobbiamo essere più efficienti nell’anticipare le mosse del nemico, più rapidi, ma soprattutto più numerosi.-

Dopo pochi giorni Vega decise di sferrare un secondo attacco, contro gli stessi pianeti che non era riuscito a conquistare. Prima della loro esecuzione, i vigliacchi che si erano ritirati avevano parlato dell’intervento di navi da guerra fleediane e rubiane. Solo in un modo potevano aver saputo in anticipo i suoi piani: doveva esserci almeno un traditore in uno degli avamposti; anche per questo il re aveva ignorato il consiglio del suo ministro delle scienze, Zuril, di cambiare obiettivi. Dovevano pagare lo scotto per la sua umiliazione. Ancora una volta, gli stemmi rossi avanzarono decisi verso i deboli puntini gialli. Vega fece aprire le comunicazioni: era impaziente di ascoltare le grida di vittoria dei suoi generali. Apprese, invece, dell’esistenza di campi di forza intorno ai corpi celesti e di uno spiegamento di mezzi superiore a quello calcolato: erano nuovamente presenti le insegne di truppe estranee al conflitto. Diede l’ordine di attaccare. Sul grande monitor vide le luci muoversi in un macabro carosello intorno ai pianeti da invadere. Le piccole pedine purpuree iniziarono a sparire: una modica quantità di perdite era necessaria per ottenere un risultato. Ma più passava il tempo, più lo scenario si riempiva del colore chiaro. Vega prese coscienza che stavano per essere sopraffatti. Un ruggito sovrastò le voci concitate dei guerrieri.
Il tiranno stesso aveva ordinato la ritirata.

Egron manovrò con maestria il suo caccia ed evitò un raggio mortale. Vide il suo avversario eseguire una virata in cabrata, per rientrare nell’astronave madre. Iniziò ad inseguirlo, finché una voce non riempì l’abitacolo.
-Si ritirano! Si ritirano!-
Il fleediano continuò nel suo proposito, si predispose a lanciare una salva di missili. Un altro velivolo con le sue stesse insegne gli sfrecciò davanti, costringendolo ad un brusco cambio di direzione. La voce di Amauta lo riscosse.
-Maestà, non sia così imprudente!-
Solo allora il re si rese conto di essersi spinto troppo vicino alla linea di fuoco del nemico. Un brivido lo scosse. Ringraziò il capitano e insieme si diressero verso la loro nave madre.
Alle loro spalle, la flotta di Vega sparì.

La catena di produzione di strumenti di morte fu avviata anche sui pianeti conquistati, i popoli furono ridotti in schiavitù, la forza lavoro superflua venne spostata su Akerebe. Su consiglio di Zuril fu selezionato un gruppo di uomini, scelti per le abilità e per il loro aspetto anonimo, che consentisse loro di girare per la nebulosa senza destare sospetti. Le spie riportarono che i membri della coalizione di Fleed aumentavano ogni giorno e che re Egron era visto come un eroe. Si decise di far circolare notizie false, infamanti, per screditare l’avversario e incrinare la fiducia tra i membri dell’alleanza. Re Vega inviò anche la sua giovanissima figlia come emissaria, arrivando al punto di prometterla in sposa ai governanti di diversi pianeti. Quando ritenne di aver ammassato una flotta sufficiente e di aver isolato il nemico, il tiranno sferrò il suo attacco contro Fleed.

Il primo giorno di primavera gli abitanti di Fleed furono svegliati dalle sirene di allarme. Nella reggia, lo schermo nella sala tattica rimandò l’immagine di decine di navi madre che si avvicinavano minacciose al pianeta. La flotta fu immediatamente allertata.
Sarebbe stato il battesimo del fuoco per Duke: erano anni che si addestrava per quella guerra. Egron non aveva bisogno dei poteri esp di sua moglie per sapere che suo figlio, seduto nella cabina del grande robot, aveva paura. Portò il suo caccia da guerra al livello dello Spacer, allungò la mano per attivare una comunicazione privata.
-Io sarò al tuo fianco, tutto il tempo. Ricorda: anche se Goldrake è il nostro robot più forte, non è certo l’unico. Non sarai mai solo.-
La tensione nel corpo di Duke non diminuì, ma sorrise al suo re che lo guardava con affetto dal velivolo che gli si era affiancato: amava e rispettava suo padre e sentire la sua voce sicura gli dette coraggio.
Sulla superficie del pianeta, genitori, figli, fratelli, compagni, avevano il volto rivolto al cielo, dove le persone amate stavano per rischiare la vita per tutti loro.
-Mamma, andiamo a seguire la battaglia dalla sala tattica?-
Astrida sorrise a sua figlia.
-Vai tu se vuoi, Maria, io rimango ancora un po’ qui.-
La regina non riusciva a trovare la forza di staccare lo sguardo dal punto in cui era sparita la flotta, come se quel semplice gesto potesse assicurare la salvezza dei suoi uomini.

A distanza di un anno dalla disfatta della battaglia di Fleed molto poco era cambiato. Il tiranno sentiva la furia montare alla vista delle luci rosse che lentamente ma inesorabilmente si spegnevano e di quelle gialle che aumentavano intorno al globo verde che rappresentava il pianeta Ruby. Sempre lo stesso schema: quando l’ago della bilancia era sul punto di pendere a favore delle sue armate, ecco arrivare i rinforzi da ogni direzione. Proprio come era successo l’anno precedente.
-Basta!-
Venne chiamata la ritirata e gli schermi furono spenti.
Il tiranno urlò con quanto fiato aveva in corpo:
-Voglio più navi spaziali, Zuril! Voglio più robot! Voglio sterminarli tutti! Voglio veder sparire quelle maledette cupole!-
Facendo appello a tutta la calma che possedeva, il ministro delle scienze fece un lieve inchino col capo:
-Non abbiamo abbastanza materiali, sire e…-
-TrovalI! Non mi importa dove, ma trovalI, se vuoi vivere!-

Erano tutti stanchi i volti delle persone che stava partecipando al briefing della Coalizione in video conferenza. Furono enumerate le perdite nella battaglia di Rubi e dichiarate nella norma ed Egron pensò con sgomento come fosse facile abituarsi anche all’orrore: quei numeri che erano stati spaventosi all’inizio della guerra, ora davano un senso di sicurezza. Si cercò di individuare gli obiettivi futuri e una strategia di difesa per ciascuno. Venne approvata la costruzione della nuova base operativa nella cintura di asteroidi al centro della nebulosa, tutti i pianeti avrebbero dovuto contribuire al meglio delle proprie possibilità.

L’industria della guerra di Vega accelerò la produzione al massimo. Per tutto l’anno successivo gli impianti di estrazione e le fabbriche sui pianeti già conquistati vennero implementati. Zuril individuò ricchi pianeti e grandi asteroidi al di fuori della nebulosa. I più vicini vennero depredati, le popolazioni deportate e ridotte in schiavitù o passate per le armi tutto per dare a Vega una potenza di fuoco impressionante e la capacità di rimpiazzare subito i mezzi e gli uomini persi nelle battaglie. Nel medesimo tempo la flotta del tiranno aveva ingaggiato la Coalizione su più fronti simultaneamente con l’intento di dividerne le forze e fiaccarne lo spirito. Ora che il sistema era a pieno regime e collaudato il tiranno disegnò una nuova strategia per la costruzione del suo impero.

-... E allora Sirius ha lanciato la palla e… -
Naida sapeva che stava parlando di sciocchezze, ma sapeva anche che il ragazzo sdraiato sull’erba accanto a lei non la stava ascoltando.
Duke era cambiato, come erano cambiati tutti i loro amici: i ragazzi spensierati di prima adesso erano diventati uomini silenziosi e schivi.
All’inizio, Naida aveva litigato con suo padre per ottenere il permesso di contribuire alla difesa del pianeta e aveva ceduto solo perché Duke l’aveva pregata di rimanere al sicuro. Ora, tremava al solo pensiero che le venisse chiesto di partecipare allo sforzo bellico. Aveva ascoltato storie raccapriccianti, ma non da Duke: nei rari momenti di libertà che potevano passare insieme, lui stava molto attento a quello che diceva, per non turbarla. Anche per questo, però, Naida aveva cominciato a percepire tra loro una distanza, che aumentava man mano.
La guerra sarebbe finita presto e tutto sarebbe tornato come prima: la ragazza se lo ripeteva in continuazione. Doveva essere vero, perché aveva paura di non poter amare il nuovo Duke.
Accanto a lei, il principe di Fleed si stava lasciando cullare dalla sua voce melodiosa, ma per quanti sforzi facesse, la sua mente vagava distratta: ritornava di continuo alla guerra, ai suoi amici impegnati anche in quel momento nei combattimenti, alle tante vite perse. Gli sembrava di tradire i suoi compagni, in quei brevi istanti in cui poteva godere la pace del suo pianeta, ma gli pareva di non essere corretto neppure nei confronti di Naida, perché non le prestava la giusta attenzione: le pause di riposo erano rare e ancora più rara era la possibilità di trascorrere del tempo da solo con lei. Non sapeva mai quando sarebbe potuto accadere di nuovo.
Con la nuova base spaziale mobile, i tempi di reazione dei mezzi della Coalizione sarebbero diventati più tempestivi e forse la guerra sarebbe finita prima. Avrebbe potuto mantenere la promessa fatta a Naida: l’avrebbe sposata e sarebbero stati felici, perché lui avrebbe dimenticato e sarebbe tornato quello di un tempo.
Il comunicatore sul polso di Duke vibrò.

-Non è possibile che siamo avanzati così poco in due anni! Ho l’esercito migliore della galassia, i robot più potenti, io sono Vega il grande!-
Il sovrano scagliò la coppa che aveva in mano contro il monitor che indicava le posizioni dei contendenti nello scacchiere planetario.
Zuril si schiarì la voce, il computer oculare lavorava senza sosta.
-Sire… -
-Cosa, ancora!-
-Quel pianeta che abbiamo studiato è ideale: è molto grande, vi potremmo trasferire tutta la popolazione di Vega. Inoltre, possiede risorse naturali così abbondanti, da sostenere il nostro sforzo bellico ancora per anni e gli abitanti sono tecnologicamente molto arretrati. Non ci creeranno nessun problema.-
Il sovrano emise un suono di sdegno.
-Peccato che sia in un’altra galassia!-
-Sire, questa circostanza va a nostro vantaggio: mentre terremo occupati i nostri avversari qui, potremo mettere in salvo… -
-Non fuggirò come un coniglio! Siamo superiori a quegli insetti!-
Il ministro serrò la mascella.
-Maestà, lasci che le ricordi la situazione: il nostro satellite è vicinissimo al collasso, anche il pianeta mostra evidenti segni di cedimento, il tempo a nostra disposizione è poco.-
-Procurami quello che mi serve per il mio esercito, non mi importa dove lo vai a trovare.-

-continua-

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-La macchina del tempo- 5 -

Due navi madre vomitavano il loro carico di minidischi nell’atmosfera della Terra.
-Fratello, le affrontiamo?-
-La loro potenza di fuoco combinata è eccessiva anche per Goldrake e il professor Procton ha parlato di un robot .-
La possente astronave che entrava nell’atmosfera a velocità fotonica catturò l’attenzione dei capi veghiani, sulle ammiraglie.
-Goldrake? Che ci fa qui? Come può aver saputo… ?-
-Mantieni la calma, Hydargos. Fate rientrare i minidischi.-
-Ma… Generale, l’offensiva è appena iniziata… -
-Il nostro robot è stato scelto per combattere contro i mezzi arretrati di questo pianeta, quanto pensi ci metterà quel diavolo fleediano a farlo a pezzi?-
-Con il sostegno delle navi madre, possiamo liberarci di quel maledetto!-
Gandal fece girare la poltrona sulla quale era seduto, per guardare negli occhi il suo sottoposto.
-Non c’è solo Goldrake, ci sono anche quei due mezzi terrestri di cui non conosciamo le caratteristiche. Gli ordini sono di conquistare e invadere il pianeta, senza sprecare risorse. Attaccare alla cieca in questo modo è troppo rischioso.-
Il generale ruotò nuovamente il sedile, per tornare a guardare le immagini sullo schermo.
-Vega non apprezzerà la notizia. Ritirata!-
I due velivoli terrestri stavano tenendo egregiamente a bada un gigante dalle fattezze umanoidi, che aveva due scudi attaccati alle spalle per proteggersi dai colpi degli avversari.
-Professore, dica ai suoi ragazzi di non rischiare oltre le loro vite: quel robot non è un problema per Goldrake.-
Una giovane voce maschile risuonò nell’abitacolo dello Spacer.
-Guarda che ti ho sentito! Posso cavarmela anche da solo! Combattevo già, quando tu ancora giocavi con i soldatini!-
La lama ciclonica lanciata da Alcor rimbalzò sullo scudo di destra del nemico e costrinse Duke a una brusca virata per evitarla.
Goldrake e Goldrake 2 incrociarono vicini e il robot avversario sparò contro di loro i propri raggi oculari.
Il Delfino Spaziale ebbe la strada libera per tranciare lo scudo del braccio sinistro del mostro con le lame cicloniche.
Nella sala di controllo del Centro Ricerche, Procton schiacciò il pulsante per le comunicazioni con più forza del necessario.
-Alcor! Siete una squadra, ricordalo!-
La risposta sarcastica del giovane pilota fu immediata.
-Certo, professore.-
-Goldrake, fuori!-
Il robot di Fleed atterrò a pochi metri dall’avversario, ma un passaggio a volo radente di Alcor distrasse Duke, permettendo al mezzo di Vega di colpirlo con lo scudo che gli era rimasto e di bloccarlo con il proprio peso. Dalla bocca del mostro, una pioggia di vegatron si riversò sul volto di Goldrake.
Il Delfino Spaziale e il Goldrake 2 spararono una salva convergente di missili, contro il collo del robot nemico. Questo alzò la testa per colpirli, ma prima che potesse tentare qualsiasi mossa, il raggio antigravità lo scagliò lontano, l’alabarda spaziale lo tagliò in due e il tuono spaziale lo fece esplodere.

Nella sala di controllo, il professore stava seguendo il rientro dei piloti. In precedenza, aveva temuto di non riuscire a rintracciare Alcor, ma le passate vicende terrestri avevano facilitato anche troppo il suo compito. Quando aveva spiegato al ragazzo della guerra in un’altra galassia, della possibilità di un’invasione aliena, si era aspettato incredulità, scherno… Invece Alcor si era grattato la testa e aveva chiesto quando sarebbero arrivati.
Neanche Venusia aveva sollevato dubbi o questioni: aveva annuito e chiesto cosa avrebbe potuto fare per essere d’aiuto.
Amava quei due ragazzi, avrebbe dato qualsiasi cosa per risparmiare loro una prova così difficile.

I quattro giovani si incontrarono per la prima volta di persona, nel corridoio che conduceva alla sala di comando del Centro Ricerche.
Prima che Maria potesse dire o fare qualcosa di inopportuno, Duke la trattenne con fermezza per un braccio, ma nel rivolgersi ad Alcor, il suo tono di voce suonò gelido:
-Non si può dire che il tuo benvenuto sia stato caloroso.-
-Avrei potuto farcela anche da solo, non avevo bisogno del tuo aiuto.-
-E per questo hai cercato di colpirmi?-
-Cosa avrei fatto?-
I due ragazzi si erano avvicinati con fare minaccioso, ma Venusia si frappose tra loro.
-Basta, voi due!-
Alcor parlò senza distogliere gli occhi dal fleediano.
-Togliti di mezzo Venusia, potresti farti male.-
Lei rispose piccata:
-Posso sistemarvi tutti e due, se serve.-
La voce imperiosa del professore raffreddò gli animi:
-Ora basta! Duke, Maria, una comunicazione da Fleed.-

-Ben arrivati sulla Terra.-
Il volto della regina di Fleed campeggiava sul grande schermo. Duke poggiò il pugno della mano destra sul petto, all’altezza del cuore.
-Grazie. Com’è la situazione nella nebulosa?-
-Stazionaria, Duke.-
-Dovrei essere lì a combattere, non…-
Astrida lo interruppe con tono severo.
-Ne abbiamo già discusso: è nostro dovere difendere un alleato strategicamente così importante. Immaginate cosa potrebbe succedere, se Vega avesse accesso alle risorse della Terra. Ora fate parte di una squadra diversa e mi aspetto che facciate del vostro meglio!-
Duke rispose per tutti e due, dopo aver zittito la sorella stringendole il braccio.
-Certo.-
La regina sorrise e addolcì il tono di voce.
-Vi voglio bene, ragazzi. Fate attenzione, mi raccomando.-
La comunicazione si interruppe. Duke rimase qualche secondo pensieroso, poi prese un gran respiro e rilasciò l’aria lentamente.
-Professore, penso che siano necessarie delle scuse.-
Maria lo guardò incredula.
-Ma cosa dici, Duke?-
Il principe stemperò il tono severo, rivolgendo alla sorella uno sguardo affettuoso.
-La regina ha ragione, dobbiamo integrarci.-
Il professore sorrise al ragazzo.

La Jeep del Centro Ricerche Spaziali si fermò davanti alla fattoria Makiba, un ometto piccolino accolse gli occupanti.
-Benvenuti! Voi siete i piloti che vengono da lontano? Io sono Righel, vedrete come è brava mia figlia: è un asso su quel coso... come si chiama?-
Duke fece un lieve inchino e rispose:
-L’abbiamo vista questa mattina in azione, è molto brava. Volevamo ringraziarla per l’aiuto.-
L’ometto gongolò per il complimento.
-La trovate nella stalla dei cavalli.-
Mentre Duke e Maria si dirigevano verso il luogo indicato, Righel e il professore entrarono in casa.
Venusia stava pulendo i box.
La voce maschile, calda e profonda, la fece sussultare.
-Ti devo ringraziare per l’aiuto contro il robot.-
La ragazza alzò le spalle con noncuranza e accennò un sorriso timido.
-Di nulla.-
-Io sono Maria e lui è mio fratello Duke.-
-Piacere, io sono Venusia-
Duke ebbe la curiosa impressione che lei gli ricordasse qualcuno.
Maria si sedette su un mucchio di fieno pulito.
-Cosa stai facendo?-
-I box dei cavalli devono essere mantenuti liberi dalla sporcizia, altrimenti i loro zoccoli si potrebbero infettare.-
-Sembra faticoso.-
Venusia sorrise.
-Un po’.-
Duke prese un altro forcone che era infilato nel fieno poco distante e si mise al lavoro, copiando i gesti della ragazza.
Venusia si fermò un attimo stupita, ma riprese subito con energia. Maria gironzolava intorno e con aria distratta continuò a fare domande.
-Quel ragazzo… com’è che si chiama?-
-Alcor?-
-Sì. Che arrogante!-
Venusia sostò un momento, si asciugò il sudore dalla fronte con l’avambraccio e sospirò:
-Non ha avuto una vita facile.-
-Ha detto di aver combattuto.-
La ragazza terrestre riprese il lavoro di buona lena.
-È vero, ma non conosco i particolari.-
-E’ il tuo ragazzo?-
Venusia arrossì.
-Come? No, io non ho un ragazzo!-
Alcor non le aveva mai detto nulla e lei non aveva chiesto, ma si era presto accorta che il suo amico stava soffrendo per una delusione d’amore.
Maria passò ad altro argomento.
-Questa fattoria è tua?-
-Di mio padre.-
-E tu ti occupi dei cavalli?-
Venusia si fermò di nuovo un istante..
-Io mi occupo della casa, di mio fratello e aiuto mio padre con gli animali.-
-E piloti il Delfino Spaziale.-
Duke cercò di porre un freno all’interrogatorio e si rivolse alla sorella in fleediano:
-Non essere invadente Maria, non è cortese.-
Senza sforzo Venusia rispose nello stesso idioma:
-Non importa, è normale che sia curiosa.-
I due stranieri la guardarono stupiti.
-Il professore ci ha pregato di studiare la vostra lingua, quando ci ha spiegato della possibile minaccia veghiana. Voi parlate molto bene il giapponese.-
-Grazie.-
L’entrata irruenta di Mizar nella stalla interruppe la conversazione.

Era quasi buio quando la moto di Alcor si fermò davanti alla fattoria, Duke scese le scale del portico per raggiungere l’altro ragazzo. Alcor lo squadrò con arroganza.
-Abbiamo un discorso in sospeso noi due, o sbaglio?-
Duke rispose senza astio.
-Vuoi fare a pugni per caso?-
Alcor sfoggiò un sorriso cattivo.
-Forse prendere a pugni il tuo regale faccino mi farà sentire meglio!-
Il principe restituì il sorriso.
-A tua disposizione, quando vuoi.-
Alcor ridiventò serio, quasi triste.
-Lascia perdere, non servirebbe a niente.-
Dalla veranda Venusia intervenne:
-Hai sentito il profumo del cibo di papà?-
Il ragazzo terrestre si sforzò di trovare un sorriso per l’amica.
-Si sente per chilometri!-
Alcor scese stancamente dalla moto e si avviò verso l’abitazione. Venusia si accorse che il fleediano era rimasto fermo.
-Tu non vieni?-
Duke le sorrise e salì le scale, entrarono insieme nella casa.

-continua-

Per i vostri graditi commenti usate questo link grazie.

Edited by calatea4 - 13/1/2021, 13:46
 
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-La macchina del tempo- 6 -

Il briefing era iniziato presto, quella mattina.
Duke aveva ricordato loro chi fosse Vega e quali fossero le sue intenzioni. Alcor fece una risatina sprezzante.
-Se i robot di questo Vega sono tutti come quello di ieri, avete fatto un viaggio inutile, caro principe.-
Duke annuì e rispose con voce cupa:
-Temo che fosse solo un test per verificare la risposta di questo pianeta.-
Sullo schermo scorsero terribili immagini di guerra.
-I veghiani sono esseri spietati, capaci di fare tutto quanto di peggio potete immaginare.-
Alcor non aveva nessuna intenzione di lasciarsi intimidire.
-Staremo a vedere quanto possono essere pericolosi!-
Il professore concluse la riunione.
-Alcor, ti ricordo, e ricordo a tutti, che siete una squadra e dovete pensare e comportarvi come una squadra. Ora andate ad allenarvi al simulatore nella manovra di aggancio a Goldrake.-
Venusia rimase indietro.
-Professore, posso farle una domanda?-
-Dimmi pure.-
-Perché io? Non mi fraintenda, non sto cercando di tirarmi in dietro. È solo che… Alcor è un gran pilota e ha esperienza, Duke e Maria sono abilissimi, ma io, perché?-
-Sei altrettanto abile come pilota, lo hai dimostrato in questi anni di addestramento, ma c’è anche il tuo carattere: tu sai mettere le persone a proprio agio. Non sei stata scelta a caso, credimi. Ora vai ad allenarti con gli altri.-

All’attacco successivo, le previsioni del principe si dimostrarono tristemente esatte: sotto il controllo della nave madre, si muovevano strettamente coordinati tre robot micidiali: il primo somigliava a un colossale dinosauro, che sputava vegatron dalle tre bocche di metallo; il secondo era un gigante antropomorfo, munito di fruste elettrificate al posto delle braccia; il terzo si presentava come un disco, che nascondeva al proprio interno due teste di serpente.
I primi due avversari si avventarono su Goldrake, appena uscito dalla gondola. Il robot umanoide si avvinghiò con le fruste alla schiena del gigante fleediano, mentre le bocche del dinosauro lo bersagliavano con il vegatron.
Gli altri piloti non riuscivano a liberarsi dal disco con le sue teste di rettile che sparavano missili a ripetizione.
L’urlo di dolore di Duke si diffuse negli abitacoli.
Alcor parlò velocemente e a voce alta, per sovrastare il rumore:
-Così non andiamo da nessuna parte! Duke, riesci a scagliare lo Spacer contro questo disco?-
Il principe si mosse a fatica.
-Sì. Raggio antigravità!-
Il dinosauro venne colpito in pieno e scagliato a grande distanza. La temperatura nell’abitacolo calò immediatamente. Goldrake iniziò a divincolarsi con movimenti bruschi per cercare di liberarsi dalle fruste dell’altro robot.
-Appena lo Spacer colpirà il disco io andrò ad aiutare Duke, voi ragazze approfittatene per liberarvi di questo scocciatore. Ora teniamolo occupato: missili ciclonici!-
Il Delfino e la Trivella lanciarono i loro missili nello stesso momento, il disco si chiuse a protezione delle teste e venne colpito dallo Spacer. Mentre il Goldrake 2 cabrò per raggiungere Duke, Goldrake piegò il busto, tirò con violenza staccando da terra il robot antropomorfo e lo scagliò contro il dinosauro che stava correndo per riunirsi alla battaglia.
Le fruste fendettero l’aria per cercare di intrappolare nuovamente il fleediano, ma furono troncate dalla lama ciclonica, l’alabarda si conficcò nel torace del robot di Vega e il tuono spaziale lo fece esplodere.
Il dinosauro colpì Goldrake facendolo cadere, lo tenne fermo con le zampe anteriori mentre le teste colpivano il vetro della cabina con il vegatron. Alcor bersagliava il corpo dell’avversario con i missili senza provocare danni consistenti.
Venusia e Maria stavano ancora impegnado il disco con i missili.
-Aspetta Venusia, io provo ad attirare la sua attenzione, tu cerca di prenderlo alle spalle.-
Quando il disco si aprì per contrattaccare, la Trivella passò a breve distanza dalle teste per poi cambiare bruscamente direzione. Allora la lama ciclonica del Delfino separò definitivamente dal corpo le teste, che esplosero.
Rimaneva un ultimo robot veghiano. Alcor passò a volo radente sopra il dinosauro di metallo, costringendo una delle teste a distrarsi da Goldrake, per tenerlo sotto tiro, mentre le altre due continuavano a vomitare vegatron contro il fleediano. Duke era allo stremo.
Maria disegnò in aria un ampio cerchio, si abbassò quasi a livello del suolo e si diresse verso Goldrake.
-Missili perforanti! Ora fratello, scrollatelo di dosso!-
Il missili della principessa centrarono le due bocche del dinosauro, il raggio antigravità lo allontanò da Goldrake, la lama ciclonica di Alcor troncò la terza testa, l’alabarda e il tuono spaziale lo distrussero.

Nella sala della guerra sul pianeta Vega, Zuril aveva appena finito di visionare le immagini della battaglia sulla Terra.
-Maledizione! I fleedianoidovevano già essere a conoscenza di quel pianeta e hanno anticipato le nostre mosse. Non c’è più tempo per cercare una via di fuga alternativa. Vega avrebbe dovuto darmi retta: ci saremmo dovuti trasferire in massa.-
Il suo computer oculare elaborava dati. Spostò la mano sulla consolle di comando e sullo schermo apparve il volto di Gandal.
-Mi dica, ministro.-
-Nel suo rapporto non è riportata l’ubicazione della base di Goldrake e dei suoi alleati.-
-... Eravamo sicuri della nostra vittoria e non abbiamo… -
Zuril si alzò di scatto.
-Incapaci! Il pianeta Vega ha i giorni contati e voi vi permettete di… -
Il viso del generale si aprì e mostrò una donna in miniatura.
-Moderi i termini, ministro!-
-Signora?-
-Quei tre velivoli terrestri sono più potenti di quello che ci saremmo aspettati.-
Zuril piegò leggermente il capo in segno di assenso.
-Non potremo mantenere lo sforzo bellico a questo livello ancora per molto: siamo impegnati su troppi fronti. Il prossimo obiettivo sarà la base dei nostri avversari.-

-Chiudete la cupola!-
Un reticolo di energia creò un ampio scudo intorno al Centro Ricerche e ai terreni circostanti, proteggendo anche la fattoria Makiba. Nessuna arma del robot alato di Vega sarebbe riuscita a penetrare.
-Professore, dobbiamo avvertire Duke?-
-No, hanno già abbastanza problemi.-
Sullo schermo scorrevano le immagini della battaglia tra i suoi ragazzi e tre nuovi robot di Vega.
Lontano nello spazio, Zuril lanciò contro le pareti tutto quello che aveva a portata di mano.
-Quelle cupole ancora! Come è possibile? Come hanno fatto a realizzarle così in fretta?-

Il grande video della sala tattica, nella reggia, trasmise l’immagine di un capitano fleediano.
-Siete riusciti a scoprire la base veghiana che comanda gli attacchi contro la Terra?-
-Mi dispiace ministro Fidia, il loro sistema di dissimulazione è formidabile e hanno individuato e distrutto la navetta che avrebbe dovuto liberare i rilevatori spia.-
-È inutile che vi ricordi l’importanza di questa informazione: prima metteremo in sicurezza quel pianeta, prima i nostri principi ritorneranno nella nebulosa.-
La comunicazione si chiuse. Fidia si passò le mani sul volto stanco. L’unico modo che avevano per individuare la base veghiana era tracciare gli spostamenti delle navi spaziali ma quel sistema di occultamento smorzava anche le onde termiche dei motori. Nella nebulosa stavano utilizzando dei minuscoli rilevatori spia che venivano liberati a migliaia, come sassolini su un strada, e vibravano al passaggio di corpi massicci e, anche se urtati e distrutti, inviavano segnali di allarme e informazioni di posizione. Era facile rilasciare i piccolissimi dispositivi nella nebulosa, dove il movimento di navi stellari era sostenuto, si era rivelato impossibile dove il traffico era del tutto assente.
Fidia si sarebbe dovuto impegnare al massimo per trovare una soluzione alternativa.

-Ministro Zuril, almeno ci consenta di costruire da soli i nostri robot: possiamo sfruttare le risorse di questo pianeta gassoso e dei suoi satelliti e… -
-Pensavo di essere stato chiaro, Gandal: in questo momento la nostra carta vincente è l’invisibilità. Se iniziaste a estrarre minerali, verreste scoperti.-
-Goldrake da solo non può competere con la nostra potenza di fuoco.-
Zuril sbuffò: non aveva mai stimato troppo quel generale ed era stato contento che Vega lo avesse relegato in quell’angolo di universo. Poteva però capire la sua insofferenza.
-Non siamo neanche sicuri di cosa sia veramente in grado di fare quel robot, perché rischiare?-
Il volto del generale si aprì.
-Ministro, questa inattività, questa attesa, sta snervando non solo noi al comando, ma anche le truppe. Non possiamo garantire l’efficienza dei nostri sottoposti.-
-Mia signora, posso comprendere, ma per ora non ci sono alternative.-
-E il piano di trasferire qui la popolazione e il grosso dell’esercito?-
-Vega non ne vuole sentir parlare.-
Il volto del generale si chiuse.
-Zuril, parla chiaro: qual è la situazione reale?-
Il ministro scelse con cura le parole.
-Il nostro satellite attraversa una fase delicata, dal punto di vista ambientale. Per non rischiare di trovarci nelle stesse condizioni anche su Akerebe, sono stato costretto a ridurre le estrazioni su quel pianeta. Dobbiamo muoverci con maggiore prudenza. Questo non significa che non riceverete i vostri robot.-
Fece una pausa e si schiarì la voce:
-Come si sta comportando Hydargos?-
-Forse è quello che sopporta meno queste attese.-
-Capisco. Se dovesse diventare un elemento di disturbo, non esiti a liberarsene.-
Chiuse la comunicazione. Se stimava poco Gandal, Zuril provava sincero disgusto per il comandante Hydargos e non capiva come potesse essere ancora vivo: fosse dipeso da lui, lo avrebbe già eliminato da tempo.

L’ultima comunicazione da Fleed era stata il messaggio della regina, al loro arrivo sulla Terra. La loro assenza dalla nebulosa si stava protraendo più del previsto.
-Sei preoccupato per la tua famiglia?-
Duke trasalì alla domanda di Venusia.
-Sì, la mancanza di notizie è snervante.-
La ragazza uscì da uno dei box dei cavalli per entrare a pulire il successivo.
-Non dovresti sentirti in colpa per essere qui: stai lo stesso proteggendo la tua gente.-
Il principe fermò il forcone a mezz’aria: come faceva quella ragazza a sapere cosa stava pensando o provando, senza avere poteri esp?
-È vero, ma io posso godere di questa pace, del sole, mentre i miei compagni sono chiusi in una base artificiale, tra pareti di metallo… -
Quando si girò, vide due grandi occhi scuri che rispecchiavano i suoi sentimenti.
-Non so se riuscirei a vivere a lungo in un posto del genere… - sospirò la ragazza.
Il cicalino dei comunicatori annunciò un altro attacco alieno.

L’allarme risuonò forte in ogni angolo della base artificiale che la Coalizione aveva costruito tra gli asteroidi. Tutte le astronavi alla fonda si alzarono in volo, in attesa dei nemici. I tunnel di comunicazione si divisero in segmenti autonomi e ognuno di essi si spostò in una zona sicura. Le varie sezioni della base si staccarono dal suolo con i loro supporti e si allontanarono.
Le astronavi e i robot di Vega divennero visibili solo quando entrarono nella cerchia degli asteroidi. A guardarla da lontano, la battaglia sarebbe potuta sembrare un balletto di insetti, se non fosse stato per le esplosioni e le collisioni con le rocce in movimento.
Ricacciati indietro i nemici, i diversi moduli della base si stabilirono su un nuovo, grosso asteroide e i tunnel si ricomposero.
I piccoli rilevatori avevano svolto ancora una volta il loro vitale servizio.

L’astronave atterrò nello spazioporto di Fleed. Egron trovò Fidia ad accoglierlo.
-Bentornato! Maestà, mi permetta ancora una volta, lei non dovrebbe partecipare alle battaglie.-
Il re di Fleed camminava eretto e spedito, ma sul suo volto erano ben visibili i segni della fatica.
-Non posso pretendere dalla mia gente sacrifici che io stesso non sia disposto a sostenere. Poi, non riuscirei a stare qui ad aspettare e basta. Ci sono novità su quel dispositivo di dissimulazione?-
-Nessuna. Sembra che ogni passo avanti nella comprensione del suo funzionamento sia seguito da due passi indietro. Sono mortificato.-
-So che state facendo del vostro meglio. A breve arriveranno anche gli scienziati di Ruby, con i quali desideravi collaborare.-
Fidia salutò il re e lo lasciò in compagnia della sua sposa. Astrida toccò con delicatezza la fasciatura che copriva la fronte di Egron.
-Fa molto male?-
Lui le sorrise.
-No, tranquilla. Notizie da Duke?-
-Nessuna: i veghiani stanno bloccando tutte le comunicazioni da e verso la Terra. Sono preoccupata.-
-Andrà tutto bene, vedrai: quei ragazzi hanno sconfitto Vega una volta, lo faranno di nuovo.-
-Lo sai anche tu che il futuro è cambiato, non c’è nessuna certezza… -
L’abbracciò.
-Abbi fiducia nei tuoi figli e nei loro amici. Andrà tutto bene.-

-continua-

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Edited by calatea4 - 13/1/2021, 13:46
 
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-La macchina del tempo- 7 -

Gandal entrò nella stanza come una furia.
-Come ti sei permesso di mandare delle spie sul pianeta, senza avvertirmi?-
Hydargos non si scompose e continuò a far girare il liquido rosso nel bicchiere.
-Come si è permesso lei di avere conversazioni private con Zuril.-
Il generale si avvicinò minaccioso.
-Come osi?-
-Oso, perché alla fine sarò l’unico a pagare questi insuccessi. Ho solo cercato di risollevare le mie possibilità di sopravvivenza.-
-Tu, maledet… -
-Lascialo continuare!-
Hydargos alzò il calice verso la donna che si era mostrata dividendo a metà la faccia di Gandal.
-Ciò che Vega desidera più di tutto è scoprire il modo di neutralizzare le cupole. Ho pensato che su quel maledetto pianeta si possa trovare la soluzione.-
Si alzò di scatto e scagliò il bicchiere contro il muro.
-Sono stufo di stare qui ad aspettare che quel dannato Zuril ci mandi i robot! Non possiamo estrarre materie prime per non essere scoperti, non possiamo andare in ricognizione per lo stesso motivo. Siamo schiavi, prigionieri! Dobbiamo eseguire gli ordini e basta! Io sono un comandante e lei un generale, eppure siamo relegati qui a fare la guardia a Goldrake.-
-E se il tuo piano fallisse? Se fossimo scoperti? Hai pensato alle possibili ripercussioni?-
-Basta!-
Lady Gandal si intromise:
-Qualsiasi cosa succeda, non sarà mai peggiore di questa situazione snervante.-

-Questo è l’ultimo settore.-
-Ci sono alcuni terrestri, potrebbero essere d’intralcio.-
-Uccidiamoli e iniziamo l’ispezione.-
-Potremmo aspettare la notte e agire con più tranquillità.-
-E perché? Se questa gente è cara al principe di Fleed, trovare i loro cadaveri servirà a fiaccarne lo spirito.-
I tre veghiani si spostarono più vicino alla recinzione.
-Due se ne stanno andando.-
-Peccato. Mi sarebbe piaciuto fare fuori quel piccolo essere rumoroso.-
Mizar e Righel si allontanarono sul carro.
I cavalli erano nervosi già da un po’, ma ora il chiasso nella stalla era diventato assordante. Nel recinto esterno, Silver scalciava e si impennava sulle zampe posteriori.
Venusia si affacciò all’uscita della stalla, per capire la causa di tanto scompiglio. Una figura nera, troppo imponente per appartenere a un terrestre, occupò la luce della porta e le sbarrò la strada. Non pensò neanche: affondò il forcone nell’addome che aveva davanti con tutta la forza che aveva. Un urlo disumano, altre voci concitate. La ragazza riuscì solo a inquadrare mentalmente il fucile che suo padre teneva appeso accanto all’altra uscita della stalla.
Le voci si fecero più vicine. Corse a testa bassa per evitare i colpi di disintegratore. Un cavallo, alla sua destra, scomparve. Il contatto freddo con il metallo. Pregò che Righel avesse caricato l’arma.
Il comunicatore al suo polso suonava senza sosta da alcuni secondi, ma l’attenzione di Duke era stata catturata dallo strano comportamento di Silver. Accelerò e si fermò sgommando, vicino al recinto del cavallo bianco. Mentre scendeva dalla moto, sentì due colpi d’arma da fuoco. Impugnò il disintegratore e si avviò verso la stalla con il cuore in gola.
Impiegò pochi secondi per adattare gli occhi alla luce interna e subito vide tre cadaveri, uno a soli due passi dalla ragazza, che dall’altro capo della stalla gli stava puntando contro il fucile. L’unico colore sul volto delicato era il rosso degli schizzi di sangue.
-Venusia, sono Duke, calmati. È tutto finito.-
Le canne del fucile si abbassarono. La raggiunse, le mise una mano dietro la nuca e l’attirò a sé. Tremava come una foglia.
-Non guardare. È tutto finito.-
Non voleva che lei fosse costretta a scavalcare i corpi per uscire, li disintegrò. Finalmente i cavalli si calmarono.
Duke accompagnò Venusia in casa, al tavolo della cucina. Le servì un caffè caldo e le si sedette accanto. Lei non riusciva neanche ad afferrare la tazza: le tremavano troppo le mani.
-Io… non avevo mai ucciso nessuno… -
Duke si perse in quegli occhi nocciola.
Il rumore di due moto lo riscosse, si alzò per andare alla porta. Maria quasi lo travolse nell’entrare in casa, Alcor si fermò sulla soglia.
-Cosa è successo, Duke?-
-Venusia ha ucciso tre veghiani. Stavo venendo alla fattoria per aiutarla nei lavori quando… non sarei arrivato in tempo.-
Alcor guardò l’amico e un brivido gli percorse la schiena.
-Lei come sta?-
-Sconvolta.-
Alcor sospirò e si massaggiò la nuca.
-Maria ha avuto una delle sue premonizioni, ho provato a contattarti… per fortuna lei è viva.-
Alcor entrò in casa. Duke si diresse verso la stalla per finire di pulire i box.
Cosa gli stava succedendo? Era stato sul punto di baciarla. Era tanto che non vedeva Naida, doveva essere quello il motivo, ma Venusia non doveva pagare per il suo senso di solitudine.

-Hydargos, novità dalle spie?-
-Nessuna comunicazione.-
Per giorni, il comandante di Vega aveva dormito pochissimo, in attesa di una buona notizia.
Gandal controllò i rapporti e si sedette sulla sua poltrona.
-È passato troppo tempo, dobbiamo considerarli persi. Comunque, tra poche ore arriverà un nuovo modello di robot progettato da me e Zuril. Sicuramente questa volta avremo successo.-
Hydargos bevve d’un fiato il liquido rosso nel bicchiere e lo riempì un’altra volta.

L’infermeria del Centro Ricerche era affollata.
-Sei fuori di testa o cosa? Non possiamo pensare anche a difendere te!-
Alcor stava urlando con le mani strette a pugno, per impedirsi di prendere la sua amica per le spalle e darle una sonora scrollata. Venusia stava a testa bassa, Maria le dava le spalle mentre guardava il medico fasciare la testa di suo fratello.
-Se esiti di fronte al nemico, ci sei di impaccio, non ci servi!-
-Alcor!-
Il professor Procton aveva alzato la voce. Venusia trasalì e lasciò la stanza di corsa, con gli occhi pieni di lacrime.
Il principe di Fleed parlò con voce pacata.
-Hai esagerato.-
-Ho detto la verità, Duke, e preferisco farla piangere che dover dire a suo padre che l’abbiamo persa in battaglia.-
Si era rifugiata nell’hangar dove stavano riparando il Delfino spaziale. Alcor aveva ragione. Aveva incrociato gli occhi del pilota di quel robot e non era riuscita più a combattere, era stata abbattuta. Nonostante il mezzo in meno, i suoi compagni avevano vinto, ma non ne erano usciti indenni. Anche lei era stata ferita alla testa e a un braccio.
Era furiosa con se stessa: come aveva potuto lasciare soli i suoi amici? Sapeva che i veghiani erano spietati, ne aveva avuto la prova appena pochi giorni prima, ma togliere di nuovo una vita... Rabbrividì: non si era mai soffermata a pensare che ci fossero dei piloti, dentro quei robot.
La fatica la vinse e si addormentò, seduta in terra con la testa appoggiata sulle ginocchia.
Quando si svegliò, Duke era alla balaustra, di fronte a lei, a osservare gli ingegneri al lavoro.
-Ti senti meglio?-
Venusia non rispose.
-Non sei l’unica ad aver esitato: è successo anche a me, all’inizio.-
Più fissava quelle spalle, più Venusia desiderava che lui si girasse a guardarla. Era stata sciocca a innamorarsi di un uomo che era già di un’altra. Il frastuono dei macchinari sotto di loro riempiva l’aria. Una mano le tese una tazza fumante, quando alzò lo sguardo vide Alcor. Maria le si sedette accanto. Non erano più in collera con lei, non le portavano rancore. I suoi amici.

Doveva esserci un errore. Vega rilesse il rapporto da capo: non era possibile che la loro situazione fosse così disastrosa. Alzò il viso, furente.
-Ti ordino di ricontrollare queste cifre: non possono essere esatte!-
Zuril trattenne a stento la collera e si sforzò di usare un tono di voce neutro.
-L’ho già fatto tre volte, maestà. Nessun errore.-
Il sovrano affondò le unghie nei braccioli della poltrona.
-Mi stai dicendo che dobbiamo arrenderci? E’ inaccettabile!-
Zuril ingoiò per mantenere la calma: erano mesi che cercava di metterlo in guardia circa la loro posizione, si era illuso che l’esplosione del satellite del loro pianeta avrebbe convinto il re ad ascoltare i consigli...
-Quel rapporto signifca solo che non abbiamo abbastanza risorse per mantenere lo sforzo bellico allo stesso livello, almeno non nel modo in cui abbiamo fatto finora.-
-Voglio una soluzione, subito!-
-Se vostra maestà avrà la bontà di osservare queste immagini, troverà la soluzione di proprio gradimento.-

-Generale Amauta, il pianeta Xerion è collassato.-
-È il secondo questo mese e quei folli non accennano a deporre le armi. Ancora nessun indizio sull’ubicazione della base nel sistema della Terra?-
-Nessuna, generale.-
-E’ passato un anno e non hanno commesso neanche un errore e Fidia non è riuscito a fare nessun passo avanti… -
-Generale, generale Amauta, dieci pianeti sotto attacco, compreso Fleed.-
-Dieci?-
-... Non si tratta dei soliti robot… sono mostri spaventosi!-
-Che vuol dire “mostri spaventosi”? -
Le sirene di allarme risuonarono in ogni angolo della base tra gli asteroidi.
-Suppongo che potremo vederli con i nostri occhi tra poco.-

-continua-

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Edited by calatea4 - 13/1/2021, 13:47
 
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-La macchina del tempo- 8 -

L’allarme sulla Terra scattò in piena notte: un terremoto scosse il Centro Ricerche dalle fondamenta. Due mandibole bucarono il pavimento dell’hangar di Goldrake, pochi minuti prima che un drago alato attaccasse dall’esterno.
La Trivella Spaziale creò un tunnel per raggiungere il grande verme che tentava di entrare nel Centro Ricerche dal sottosuolo, mentre i suoi compagni si occupavano del drago.
Altre immagini di distruzione raggiunsero la base.
-Duke, un’altro drago sta devastando Tokyo. Venusia, due navi sono state distrutte in mare aperto.-
Sulla nave madre, perfettamente occultata, Gandal e Hydargos dirigevano le mosse dei quattro mostri.
La Trivella fu avviluppata dalla tela del verme, che si girò e continuò ad erodere il pavimento della base.
Procton divise il grande schermo in quattro settori, per seguire i diversi fronti.
-Yamada, chiudi le comunicazioni tra i ragazzi, mantieni aperto solo il canale con noi: una distrazione potrebbe essere fatale. Maria, prova ad azionare le trivelle.-
-Ci ho provato, ma non riesco a fare breccia!-
-Riprova aumentando la velocità gradualmente.-
Il drago che Duke stava affrontando sui cieli di Tokyo era due volte più grande di quello che stava combattendo contro Alcor. Doveva ad ogni costo allontanarlo dalla città.
Venusia era stata abbrancata da una piovra gigante che cercava di sfondare il tettuccio del Delfino con i rostri che aveva alle estremità dei tentacoli. I missili ciclonici non penetravano la corazza esterna del mostro marino, la lama ciclonica era riuscita a tagliare un paio di tentacoli, ma questo aveva fatto infuriare l’animale che aveva intercettato la lama e ora la stava usando per scalfire il metallo del velivolo.
-Elettrifica l’esterno dello scafo, Venusia. Devi impedire a quella bestia di bloccarti.-
-Ricevuto.-
-Maria, ora che ti sei liberata, cerca di portarlo all’esterno.-
Procton era teso e concentrato, la scena nella nave di Vega era analoga.
La Trivella agganciò il verme con un arpione d’acciaio che si aprì dentro le sue carni e iniziò a trascinarlo lungo il tunnel. La bestia si divincolava e si difese rilasciando un liquido corrosivo, che ruppe la catena e danneggiò una delle trivelle.
Alcor era riuscito a bucare una delle ali del drago, simile a quelle dei pipistrelli, ma il mostro l’aveva agganciato con la coda uncinata e lo stava facendo roteare. Dal Goldrake 2 partì la lama ciclonica, che colpì la coda nella sua traiettoria di rientro, il mostro inondò il velivolo di vegatron.
Venusia era riuscita a recuperare la lama ciclonica, dopo aver elettrificato lo scafo, ma faceva fatica a tenere la piovra a distanza di sicurezza. Uno dei rostri intaccò il tettuccio del Delfino.
Intanto, l’enorme drago si era agganciato allo Spacer e vomitava vegatron sulla testa del robot di Fleed.
Nella sala di controllo del Centro nessuno osava parlare, gli occhi erano fissi sullo schermo.
Il verme avanzava verso la Trivella, continuando a sputare liquido corrosivo. Maria non aveva altra scelta, se non indietreggiare. Il mostro sembrò prendere fiato per un momento e la ragazza lo colpì una seconda volta con un arpione. Doveva aver colpito un centro vitale, perché la bestia emise un lungo suono stridulo e si dimenò ancora per pochi istanti, prima di lasciarsi trascinare inerme verso l’esterno.
Hydargos si alzò di scatto.
-Bestiaccia inutile!-
Premette un pulsante su un apparecchio di controllo che aveva tra le mani e le immagini del tunnel scomparvero.
Un’altra forte scossa di terremoto colpì il Centro Ricerche e il quadrante dello schermo dove fino a qualche secondo prima era ben visibile la Trivella Spaziale divenne nero.
-Maria! Maria, rispondi! Maria!-
Dopo alcuni secondi, la sua voce giunse disturbata da scariche elettriche.
-Sto bene professore… solo un po’ stordita… una frana mi ha protetta.-
Un sospiro di sollievo, una risatina nervosa. La voce tesa del professore riportò tutti alla realtà: non era ancora finita.
-Rientra alla base.-
-Ma gli altri… -
-Rientra, è un ordine!-
-Ricevuto.-
La crepa nel vetro del Delfino si stava allargando e l’acqua iniziava a penetrare all’interno. Non aveva molto tempo. La lama ciclonica lasciò alla piovra due soli tentacoli, ma un rostro fece breccia nel metallo e si conficcò nella carlinga del velivolo. Quando la bestia alzò l’altro tentacolo per colpire nuovamente il tettuccio, per la prima volta scoprì l’apparato boccale. I missili lo centrarono, entrando nel corpo dell’enorme mollusco, che si contorse furiosamente. Venusia fu scagliata lontano, mentre il mostro esplodeva..
Dal Delfino prese a salire un sottile filo di bolle.
-Il pilota deve essere morto.-
-Non esultare anzitempo, Hydargos: quei maledetti sembrano avere una fortuna sfacciata.-
-Prima o poi, la fortuna deve finire!-
Venusia respirava a fatica; con grande sforzo, riuscì a riaccendere i motori e a tirare le leve di comando. Uscì dall’acqua prima che la vista le si annebbiasse del tutto.
-Professore…-
-Tranquilla Venusia, ti riportiamo a casa noi. Attivate i comandi da remoto!-
Maria entrò nella sala controllo accolta da sorrisi sollevati, ma rimase basita al vedere le immagini che scorrevano sui due quadranti dello schermo rimasti attivi.
Alcor cercava di evitare che il drago gli si agganciasse alla carlinga. Era stato fortunato, in precedenza, a riuscire a trapassare un’ala del mostro con un missile, perché la parte debole era quella interna, ma ora la bestia era doppiamente prudente, dopo aver subito lo smacco.
Intanto, Goldrake era uscito dallo Spacer e aveva colpito il mostro con i pugni, per staccarlo dalla gondola. Quindi, lo aveva stordito con il tuono spaziale e con le lame rotanti gli aveva danneggiato le ali. Poi, era rientrato nello Spacer.
Maria trattenne il respiro.
In quel momento, la lama ciclonica del Goldrake 2 mancò il bersaglio, i missili vennero bloccati dalle ali del drago, ma, nel tornare indietro, la lama colpì la schiena del mostro, che si distese e riaprì le ali. Un’altra salva di missili lo raggiunse al torace e al collo. La bestia precipitò sulla cupola che proteggeva il Centro Ricerche ed esplose.
Nello stesso istante, il drago contro cui stava combattendo Goldrake emise un suono straziante, inondò di vegatron il robot di Fleed per l’ultima volta, poi e puntò verso l’alto.
Il generale di Vega si alzò di scatto.
-Ma che fa? Viene verso di noi?-
Hydargos si sporse in avanti e cercò di mettere le mani sull’apparecchio di comando.
-Gandal, fallo esplodere!-
-Aspetta, forse riesco a riprenderne il controllo… -
Il generale cercava di inviare impulsi alla creatura.
-È troppo vicino, fallo esplodere!-
Gandal non voleva arrendersi, non poteva accettare un’altra sconfitta.
-Ancora un attimo… forse… -
La donna da dentro il volto di Gandal urlò.
-Ora, idiota!-
L’esplosione del drago investì l’astronave madre.
Il professor Procton si abbandonò contro lo schienale della poltrona.

Amauta si tolse il casco a fatica: stava decisamente invecchiando.
-Generale, il rapporto sulle perdite… -
Non gli lasciavano neanche il tempo di tirare il fiato. Tante giovani vite strappate, per colpa di un pazzo... Era stanco di leggere quelle cifre e di sapere che corrispondevano a volti che conosceva. Quella guerra doveva finire il prima possibile.
-La situazione sugli altri fronti?-
-Sette dei dieci pianeti sotto attacco hanno respinto il nemico, uno di questi è Fleed. Gli altri fronti sono ancora aperti.-
Si vergognò di aver provato sollievo a sapere che la sua gente era al sicuro, visto che altri ancora stavano cercando di venirne fuori. Si lasciò cadere sulla poltrona: era stanco.
-Generale, abbiamo individuato la base dei veghiani nel settore della Terra-
-Finalmente una buona notizia! Mettetemi subito in contatto con Fleed.-

-continua-

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-La macchina del tempo- 9 -

Quattro navi madre fleediane avanzavano nello spazio.
Nella sala comando dell’ammiraglia, Amauta era teso.
-Avvertite tutti: sono vietate anche le comunicazioni interne. Meglio essere prudenti.-
-Ho sentito che il sistema di occultamento non è stato testato, generale.-
-Ha sentito bene, comandante: noi siamo il test.-
-Crede che funzionerà?-
-Ho piena fiducia in Fidia, comunque lo sapremo presto.-
Non visto, Amauta si concesse un gesto scaramantico.

-Cosa conti di fare, Gandal?-
La donna nella sua testa era preoccupata e ciò avveniva di rado..
-Hai sentito anche tu quello che ha detto Zuril: è rimasta troppo poca energia, il pianeta è in una situazione critica.-
-Ha sottovalutato il nemico.-
-Anche se fosse, non possiamo far altro che aspettare.-
Si fermò di fronte a una porta, attese che si aprisse ed entrò. La scena che vide lo lasciò disgustato.
-Sei ubriaco, Hydargos? È un comportamento indegno di un comandante di Vega.-
L’altro veghiano tolse i piedi dal tavolo evitando per un soffio una delle tante bottiglie.
-Ah! Se Vega mi considerasse ancora uno dei suoi comandanti, mi avrebbe lasciato combattere per lui nella galassia, invece di tenermi relegato qui ad aspettare i comodi di quel ministro. A proposito: è stata interessante la vostra chiacchierata?-
Il generale si versò un bicchiere di una delle bevande sul tavolo.
Un boato, la sirena di allarme, altri due boati in sequenza scossero la base.
-Che sta succedendo?-
Sullo schermo dell’ufficio di Hydargos comparve il volto di un soldato.
-Quattro navi fleediane ci stanno attaccando.-
Gandal ruggì.
-Fate uscire le astronavi, che aspettate?-
Mentre correva fuori dalla stanza, il generale sentì la risata folle di Hydargos sfociare in un accesso di tosse.

Il mostro di Vega gli era esploso di fronte, lui aveva il fiato corto. Si era messo in contatto con il Centro Ricerche: “Professore, dove sono gli altri? Mi mandi le loro coordinate.” Dall’altra parte, solo il silenzio. “Professore, mi risponda! Dove sono gli altri? Che succede? Mi dica cosa succede!” Aveva dato un pugno sulla consolle. Finalmente una voce: “Duke… mi dispiace sono morti… sono… tutti morti.”
Erano passate ora da quando si era trovato seduto sul letto, con il cuore che sembrava volergli uscire dal torace. Era quasi sicuro di aver urlato, prima di riuscire a svegliarsi. Per fortuna, nessuno se ne era accorto. Quell’incubo gli era sembrato così reale che ancora non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di terrore e disperazione che gli aveva provocato.
Era un bene che il lavoro nelle stalle lo tenesse occupato.
-Che fai, Maria! Quando ti dico di tenerlo fermo, intendo che lo devi tenere fermo!-
-E secondo te, io che ho fatto?-
Si fermò con il forcone a mezz’aria per assistere all’ennesimo battibecco tra sua sorella e Alcor.
-Allora, perché si è mosso? Accidenti! Con questo ritmo non finirò di riparare la moto prima di sera: ora devo ricominciare tutto da capo!-
-Senza di me! Fatti aiutare da Mizar, sempre che non ti prenda a calci negli stinchi, con quel caratteraccio che ti ritrovi!-
Maria si diede una rapida pulita alla mani sporche di grasso, inforcò la sua moto e si allontanò a tutta velocità.
-Brava, vattene che è meglio, mi sei solo d’impiccio! Mizar, vieni a darmi una mano tu.-
Il ragazzino si illuminò e non si fece ripetere l’invito una seconda volta.
Duke sorrise appoggiato al manico del forcone: ce ne voleva di pazienza per trattare con sua sorella, ma Alcor non era da meno. Era stupito che tra due persone così simili fosse nato qualcosa di speciale. Il disagio di quell’incubo si fece di nuovo strada nel suo animo. Una tazza di caffè fumante gli spuntò davanti al viso, accompagnata da due occhi dolci.
-Sono sicura che su Fleed stanno tutti bene.-
Venusia scambiò la tazza per il forcone e si mise subito al lavoro.
-E noi siamo pronti a fare quello che serve, come sempre.-
Il principe sorrise e appoggiò la schiena alla parete di legno. Non aveva neanche finito la tazza di caffè, che il cicalino del comunicatore suonò.
-Duke, è meglio che tu venga a vedere.-

Il sistema di occultamento era stato un successo, Amauta annotò mentalmente di complimentarsi con Fidia: era una sua vecchia abitudine, per rompere la tensione, ma non la concentrazione. Dall’ammiraglia vedeva le altre astronavi della flotta bersagliare la base veghiana, che si sbriciolava lentamente. Non era neanche stato necessario far uscire il robot: merito della sorpresa, certo, ma si era aspettato una strenua resistenza. Non che gli dispiacesse, ma chissà perché quella situazione lo infastidiva: lo irritava che Vega sottovalutasse il proprio nemico.

Le pareti e i soffitti gli stavano crollando intorno. I boati delle deflagrazioni si mescolavano alle urla dei suoi uomini, l’ossigeno iniziava a scarseggiare. La donna nella sua testa urlava.
-Corri! Non ti fermare! Più veloce, più veloce!-
Gandal non l’aveva mai sentita così terrorizzata e la cosa lo avrebbe divertito, se non fosse stato tanto impegnato a salvarsi la vita. Per fortuna, era quasi arrivato alle capsule di salvataggio. Avvicinò l’occhio allo scanner, le pesanti porte si schiusero, ma si bloccarono quasi subito. Imprecando, forzò l’apertura.

Lo schermo centrale del Centro Ricerche mostrava una porzione del grande pianeta Giove e la sua piccola luna Io, sulla cui superficie brillavano le luci delle esplosioni.
-Non sapevo che quella luna avesse abitanti.-
-Non ne ha, Duke. Che ne pensi?-
-Meglio essere pronti per ogni evenienza.-
Il professore si avvicinò alla consolle per attivare i comunicatori della squadra. Duke gli fermò la mano, ma la voce di Alcor lo interruppe prima che potesse dire qualcosa.
-Qual è l’evenienza per la quale essere pronti?-
Il principe sorrise: era inutile tenerli lontani per proteggerli.

-Generale, alcune navette di salvataggio stanno lasciando il suolo.-
La memoria di Amauta corse alle centinaia di vittime elencate nei rapporti che aveva dovuto firmare e, soprattutto, ai tanti nomi che era riuscito ad associare a volti, voci, mani, famiglie.
-Disintegratele.-
Si pentì subito di quell’ordine, ma non lo revocò.
Quando della base veghiana non erano rimaste che briciole, il generale ordinò di aprire le comunicazioni con il Centro Ricerche Spaziali.

Vega entrò nella sala comando come una furia e si diresse alla sua poltrona.
-Zuril, dai l’ordine di preparare la flotta al completo: ci dirigeremo tutti verso il pianeta che hai individuato.-
Il ministro strinse i pugni e cercò di controllarsi.
-Non è più possibile mio re, non abbiamo abbastanza energia.-
Il sovrano alzò la voce.
-Esigo che si eseguano i miei ordini alla lettera!-
-E io le dico che non è possibile! Non abbiamo energia! Le avevo detto che non era saggio impiegare anche le riserve di vegatron…-
Stava urlando contro il suo re e non se ne era neanche accorto. Vega si alzò dalla poltrona furioso. Una forte scossa di terremoto lo fece ricadere seduto. Zuril fu costretto ad aggrapparsi a qualcosa di stabile. Quando riacquistò l’equilibrio e rialzò lo sguardo, vide il sovrano pallido e con gli occhi sgranati: gli fece quasi pena, sembrava l’ombra di quel feroce dittatore che progettava la conquista della galassia. Zuril si schiarì la voce e riprese con più calma.
-In questo momento, non possiamo trasferire tutta la flotta e la popolazione, ma possiamo creare un diversivo: impegnare i nostri avversari e intanto rifugiarci su Akerebe. Lì potremo attingere a tutta l’energia del pianeta e così lasciare la nebulosa in tempi brevi.-
-Akerebe.-
Vega aveva pronunciato quel nome con disgusto. Un’altra forte scossa di terremoto.
-Se non c’è altra scelta, facciamo così.-
Si alzò e si avviò verso l’uscita. Una terza scossa di terremoto lo fece vacillare davanti alla porta.
Zuril sospirò: aveva taciuto al sovrano che sarebbe stata una mossa disperata, che i loro nemici non avrebbero avuto troppa difficoltà a scoprire il loro nascondiglio, che la loro difesa forse non sarebbe stata sufficiente a salvarli. Era stanco e annoiato, forse la morte sarebbe stata una piacevole novità.

Trovarsi davanti Venusia, così incredibilmente uguale alla ragazza di tanti anni prima, fu sconvolgente. Il professor Procton sospinse il generale Amauta con gentilezza verso la sala di controllo.
Il grande schermo era occupato dall’immagine del re di Fleed.
-Sono veramente felice di sapere che state tutti bene. Genzo, ti ringrazio per esserti preso cura dei miei ragazzi.-
-Non lo dica neanche per scherzo, Egron, grazie a voi per averci aiutato a difendere la Terra.-
Venusia aveva sempre saputo che i suoi amici sarebbero andati via, ma era troppo presto, non era ancora pronta.
-Duke, Maria, dovete ripartire subito: abbiamo bisogno di voi.-
-Aspetti…-
La voce di Alcor sovrastò quella del professore.
-Aspetti un attimo, re… o come si dice… e tu, non ridere!- aggiunse, dando una piccola gomitata a Maria, che si era coperta la bocca per soffocare una risata.
-Ci avete aiutato, ora è il nostro turno.-
-Le tue parole ti fanno onore, Alcor, ma non posso accettare che mettiate la vostra vita in pericolo più di quanto…-
-Odio essere in debito e non poter ripagare!-
Il professore diede manforte al ragazzo.
-Egron, Alcor ha ragione.-
-Mi dispiace, non posso…-
Alcor interruppe di nuovo il sovrano.
-Con tutto il rispetto, re, noi possiamo fare come ci pare! Venusia, ci stai?-
Nel silenzio assordante che aveva accompagnato la sfrontatezza di Alcor, Venusia annuì.
Il re di Fleed scoppiò in una fragorosa risata.
-Ammetto la sconfitta! Vi aspetto il prima possibile.-

-continua-

Se avete piacere potete commentare a questo link, grazie

Edited by calatea4 - 13/1/2021, 13:44
 
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-La macchina del tempo- 10 -

Erano stati chiamati in plancia. Era difficile distinguere le voci concitate delle comunicazioni in entrata, che li accolsero: idiomi diversi che il traduttore all’orecchio dei ragazzi terrestri non riusciva neanche a elaborare. Le immagini provenienti dall’esterno erano impressionanti: decine di mostri che combattevano contro robot e astronavi. Alcor non riuscì a trattenersi.
-Ma quanti cavolo… da dove diavolo vengono quei mostri?-
Il generale Amauta rispose, senza distogliere gli occhi dallo schermo.
-Sono povere creature esposte a speciali radiazioni. Animali mutati e impazziti dal dolore. Abbiamo il sospetto che siano controllati da remoto. Un pensiero fantasioso di Vega.-
Duke annuì.
-Avevo sospettato una cosa del genere.-
Il generale girò la sedia e guardò direttamente Alcor e Venusia.
-Non vi siete mai trovati in una situazione simile: non ci sono solo i mostri e i minidischi lì in mezzo, ma anche le astronavi di Vega e quelle della Coalizione. Ora siete inquadrati nella flotta di Fleed e siete ai miei ordini. Abbiamo modificato i vostri visori in modo che siate in grado di distinguere tra amici e nemici, ma anche così sarà difficile. Fate molta attenzione! E ora, preparatevi per l’uscita.-
Duke e Maria scattarono sull’attenti battendo il pugno destro sul cuore, si girarono e uscirono dalla plancia, i ragazzi terrestri li seguirono. Il professor Procton, seduto accanto al generale, li guardò con preoccupazione e in cuor suo disse una preghiera.
Nell’ascensore che li avrebbe portati nell’hangar, Duke ricordò per un attimo l’incubo e venne pervaso da quella stessa disperazione. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, per liberare la mente e ritrovare l’equilibrio delle emozioni. Non era più il novellino che tremava di fronte al nemico. Era un guerriero esperto e troppe vite dipendevano da lui. Riaprì gli occhi e fissò per alcuni secondi uno per uno i suoi compagni, come a imprimersi le loro fattezze nella memoria. Quando parlò, la sua voce era calma e profonda.
-Il generale ha ragione: non vi siete mai trovati in una situazione simile. È impossibile schivare tutti i colpi, soprattutto quelli che non sono destinati a voi. Cerchiamo di rimanere in gruppo il più possibile.-

Non ebbero neanche il tempo di provare paura. Quello che li avvolse fu il caos. Lo spazio era ingombro di astronavi e di mostri, raggi e ordigni sfrecciavano in ogni direzione. Non c’era modo di pensare, si poteva solo agire per colpire e non essere colpiti. Goldrake combatteva in piedi sullo Spacer, usava l’alabarda come scudo e come arma, insieme a tutto l’arsenale a sua disposizione. Presto i quattro ragazzi vennero separati e non ebbero tempo di preoccuparsi neanche di questo: i visori erano pieni di mezzi blu o rossi, le cabine di pilotaggio risuonavano di voci concitate e richieste di aiuto.
Era follia.
Ma altrettanto improvvisi, scesero il silenzio e il vuoto.
Sembrava irreale.
Goldrake era in ginocchio sulla gondola, sostenendosi all’alabarda, e mancava di un braccio.
-Duke, stai bene? Venusia, Maria?-
Alcor era stato il primo a riprendersi e a individuare Goldrake tra i robot e le astronavi che si stavano lentamente ritirando.
-Io… io sto b-bene.- fu la risposta di Venusia. Poi il silenzio.
-Maria… Maria… Maria?-
Il terzo richiamo era stato un urlo che aveva sovrastato la voce del generale Amauta.
-Alcor, calmati! La principessa è sull’incrociatore. L’abbiamo fatta rientrare perché la Trivella Spaziale era troppo danneggiata. Ora rientrate anche voi. Bel lavoro. Davvero un bel lavoro.-

La grande astronave atterrò pochi minuti dopo aver recuperato tutti i reduci della battaglia. Un piccolo esercito di tecnici era pronto per riparare i mezzi danneggiati.
I quattro piloti e il professor Procton, accompagnati dal generale Amauta, furono accolti da re Egron in una piccola struttura a cupola, collegata all’incrociatore di Fleed da un condotto retrattile.
-Duke, Maria. E’ un vero sollievo!-
Il re abbracciò con calore i suoi ragazzi. Era stato in apprensione per loro. Poi si girò e posò il suo sguardo severo sull’altro giovane.
-Alcor.-
L’interpellato arrossì fino alla punta dei capelli e iniziò a temere la ramanzina che avrebbe meritato, per i suoi modi sfrontati, ma il re sorrise e gli tese la mano.
-Grazie per il tuo aiuto.-
Tutti sentirono il sospiro di sollievo del pilota.
-Di nulla, maestà.-
Il re poi si diresse verso Venusia con uno sguardo paterno e le strinse la mano tre le sue.
-Venusia. Grazie.-
Dopo i saluti il re condusse i ragazzi nella struttura situata sull’asteroide più grande, attraverso una serie di condotti pneumatici. I terrestri non smettevano di guardarsi intorno e Alcor non seppe trattenersi dal chiedere spiegazioni.
-Non subite attacchi qui, maestà?-
-Questo quartier generale non è un segreto per Vega.-
-E come fate a proteggere questi condotti?-
-Si dividono in settori dotati di propulsori e di supporto vitale: in caso di pericolo, i segmenti si sigillano, si staccano e portano gli occupanti al sicuro. Possiamo anche muovere o tenere fermi gli asteroidi, con raggi traenti o repulsivi. La stessa struttura che stiamo raggiungendo è solo ancorata e può essere spostata.-
-Caspita, che lavorone!-
Nella struttura centrale, il re di Fleed accompagnò i quattro ragazzi al reparto medico.
-Fatevi visitare e poi andate a dormire, ne avete bisogno. Ci vediamo domani mattina per il briefing. Genzo, ho bisogno del tuo parere.-
Maria rimase per qualche istante indietro a osservare il padre che si allontanava con il professore e il generale Amauta, poi si girò e raggiunse i compagni.
-Maria, tutto bene?-
La ragazza guardò il fratello.
-Papà è invecchiato…-
Duke le sorrise.
-É stanco… C’era anche lui lì fuori, non hai visto la sua astronave?-
Maria si fermò di colpo.
-No… Ma avevo capito che il consiglio gli avesse vietato di partecipare alle battaglie in prima persona!-
-Suggerito, non proibito. Lo sai come è fatto il re: non potrebbe stare a guardare senza fare nulla.-
Duke si fece per un attimo pensieroso, poi riprese:
-Magari è invecchiato un po’.-
Ascoltando i due amici, Alcor si chiese tra sé quanti anni potesse avere il re di Fleed. A giudicare dall’aspetto, doveva essere più o meno coetaneo del professor Procton e come lui aveva ancora un fisico asciutto e un viso abbastanza liscio. I capelli erano brizzolati, ma nessuno dei due mostrava i segni dell’età. Si disse che anche lui sarebbe invecchiato con la stessa grazia.
Duke fu il primo a uscire dal centro medico e trovò un amico ad aspettarlo.
-Markus!-
-Ehi, ma quanto diavolo ci hai messo! Le infermiere ti volevano tenere per la notte?-
Il principe di Altarir 2 era seduto in terra, con la schiena contro il muro. Tese la mano al suo amico e invece di farsi aiutare ad alzarsi, tirò a sé Duke, perché si sedesse accanto a lui.
-Allora, com’è la Terra?-
-Bella! Verde e blu come Fleed.-
-Bisognerà che ci faccia un salto, se non tiro le cuoia qui in mezzo. E i terrestri?-
-Coraggiosi. Come stanno tuo padre, i tuoi fratelli e i tuoi nonni?-
-Mio padre è il solito bastardo! I miei fratelli e i nonni stanno bene, è tanto però che non torno. È più facile che incontri tua madre, che tra parentesi è in piena forma.-
-Dimmi Markus, com’è veramente la situazione?-
-Che Vega sia a corto di energia penso lo sappiano anche i sassi. Per questo siamo invasi da quelle amabili bestiole!-
Il giovane si sfregò vigorosamente gli occhi.
-Dannazione! Se non sto attento, mi addormento qui. Il loro satellite è già andato e sembra che il pianeta abbia le ore contate. Spero che gli salti tutto sotto i piedi! Oh, ecco la sorellina!-
Markus si alzò lentamente e si inchinò alla ragazza.
-Maria, incantevole come sempre.-
Lei sorrise e gli tese la mano.
-Markus, contenta di vederti ancora in piedi.-
Lui afferrò la mano che gli era stata offerta e trascinò la ragazza in un abbraccio fraterno. Quando alzò lo sguardo, incontrò due scuri occhi gelosi, sorrise e tese di nuovo la mano.
-Sono Markus, tranquillo, io e questa piccolina ci conosciamo da una vita e siamo praticamente famiglia.-
-Alcor, piacere.-
La ragazza si sciolse dall’abbraccio dell’amico e si avvicinò all’altro giovane, che le girò il braccio intorno alle spalle.
-È uno dei piloti terrestri con cui abbiamo combattuto.-
Maria seguì la direzione dello sguardo del fratello e si voltò.
-E lei è Venusia.-
Markus andò incontro alla nuova venuta, le prese la mano e gliela baciò. Lei arrossì vistosamente.
-Adorabile! Fai colazione con me domani mattina e se poi i veghiani…-
-Dacci un taglio, Markus!-
I due giovani fleediani lo interruppero all’unisono. Il principe di Altair 2 si girò verso di loro, fintamente offeso.
-Non si può neanche fare un complimento ad una bella ragazza che subito…-
Maria prese per mano la sua amica e la liberò da Markus.
-Andiamocene a dormire, che siamo tutti esausti.-
Si avviarono insieme per il corridoio che li avrebbe portati agli alloggi, parlando tra loro. Duke si rivolse al suo amico a bassa voce.
-Markus, lascia in pace Venusia.-
-Perché? È impegnata con qualcuno?-
Non gli era sfuggito lo sguardo che il fleediano gli aveva lanciato, qualche minuto prima.
-Lasciala in pace e basta!-

Il riposo fu di breve durata: la sveglia suonò nella camerata e ad Alcor sembrò che fossero passate solo un’ora, o al massimo due, da quando si era sdraiato. Gli alloggi altro non erano che corridoi, con cuccette su entrambi i lati. Quando Venusia si guardò intorno, le vennero in mente i capsule hotel: qui i letti erano su quattro piani e le scalette per accedere erano fissate sulle pareti, da entrambi i lati. Alcor e Maria erano sistemati sotto di lei, Duke e Markus erano nella fila accanto. Per fortuna, i bagni per uomini e donne erano separati.
Ebbero tempo per darsi una rinfrescata e fare una rapida colazione. prima del briefing.
I capi delle varie squadriglie si riunirono in una grande sala, c’era uno schermo su una parete.
Un uomo di bassa statura, scuro di pelle e con una folta barba, si posizionò di fronte a tutti. La sua voce profonda risuonò chiara.
-Come tutti sapete, il pianeta Vega è arrivato a un punto critico. Il collasso totale è imminente.-
Sullo schermo passavano immagini impressionanti: la superficie del pianeta era devastata da esplosioni e i suoi contorni sembravano espandersi e contrarsi.
-Mentre eravamo impegnati nella battaglia, quattro incrociatori si sono alzati dal pianeta e sono atterrati su Akerebe.-
La sala si riempì di voci diverse. Venusia sentì Duke irrigidirsi accanto a lei e Markus proruppe in un’esclamazione che la ragazza non conosceva, ma che immaginò essere un insulto. L’uomo che aveva preso la parola di fronte all’assemblea alzò la voce e richiamò tutti al silenzio.
-Lo so, pochi civili saranno sopravvissuti e in generale il numero dei nostri nemici sarà diminuito, ma non possiamo permetterci di abbassare la guardia.-
Lo schermo venne spento.
-Colpiremo ora, prima che abbiano il tempo di riorganizzarsi. Il grosso della flotta porterà il primo attacco. Come al solito, ci saranno gli incrociatori di supporto nelle retrovie. Questa volta interverrà anche un terzo gruppo, che si occuperà di bloccare eventuali fughe.-
Una singola voce ruggì:
-Perché non un gruppo che distrugga gli incrociatori di Vega al suolo per stermini quei bastardi?-
Nella sala cadde il gelo, lo si poteva sentire nelle ossa, finché un gigante con il corpo coperto di peluria d’argento, si alzò.
-Akerebe non si tocca.-
Non aveva alzato la voce, ma le sue parole erano rimbombate come rintocchi di campane. Un altro uomo, da un altro settore della sala, si alzò.
-Su Akerebe ci sono i nostri fratelli.-
Mentre il secondo uomo stava parlando, altri si alzarono, compreso re Egron.
L’uomo piccolo si schiarì la voce per chiedere di nuovo silenzio e riprese.
-Akerebe non si tocca. Invito ciascuno a controllare la propria posizione e lo scaglionamento delle partenze. Fate attenzione e buona fortuna a tutti!-
Sullo schermo apparvero le informazioni necessarie.
Le persone sciamarono velocemente fuori dalla sala, per riferire le notizie e affrettarsi a eseguire le procedure di partenza.
Trovarono re Egron poco fuori della porta. Aveva il volto stanco, ma la sguardo fiero.
-Stavolta sarò nelle retrovie. Fatevi onore e… tornate!-
Maria abbracciò brevemente il padre, che strinse le mani di tutti gli altri, prima di avviarsi verso la zona di imbarco.
Le parole del re riportarono alla memoria di Duke il suo incubo. Di nuovo guardò uno per uno i suoi compagni, poi fissò Markus e riconobbe in lui il proprio medesimo sentimento.
-Cerchiamo di rimanere in gruppo e di guardarci le spalle… il più possibile.-

-continua-

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view post Posted on 18/1/2021, 16:26     +1   -1
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-La macchina del tempo- 11 -

Questa volta il viaggio era stato breve e i piloti lo avevano trascorso nei loro singoli velivoli.
Alcuni avevano attivato le comunicazioni tra amici e avevano esorcizzato l’attesa e la tensione con scherzi e risate. Altri avevano pensato ai propri cari. Altri ancora avevano pregato.
Quando erano usciti dagli incrociatori, non c’era stato tempo per altro, se non per la concentrazione e l’azione. Di nuovo le cabine di pilotaggio si riempirono di voci e di urla. Di nuovo Goldrake affrontò i mostri di Vega in piedi sullo Spacer. Di nuovo lo spazio traboccò di violenza e di morte.
Di nuovo, quasi improvvisi, il silenzio e la calma irreali.
Venne dato l’ordine di rientro agli incrociatori; alcuni obbedirono, quelli con i piloti feriti o che avevano riportato troppi danni. Altri, come api attirate da un fiore, si diressero verso il pianeta dallo spettrale alone rossastro.
Un’astronave madre si portò a poca distanza dal suolo. Dalla carlinga partì un raggio che consentì la discesa di alcuni mezzi cingolati. La maggior parte di essi trasportava personale e attrezzature mediche, gli altri erano pieni di soldati.
L’aria al suolo era ferma, sembrava pesante tanto era piena di polveri; era faticoso respirare, c’era un odore pessimo, malsano. Povere figure ingobbite dalla fatica vagavano senza meta, in ogni direzione
Re Egron scese dal suo caccia da guerra e guardò quel mondo distrutto. Poco più avanti vide Alcor che cercava di fermare Maria.
-Alcor, porta via da qui mia figlia.-
-Hai sentito? Anche tuo padre…-
-No! Non posso andare!-
Di nuovo la ragazza cercò di liberarsi dalle braccia che la trattenevano.
-Ti fa male stare qui e poi che puoi fare?-
-Non lo so, ma…-
-Maria, è un ordine: vai via da qui!-
Finalmente la giovane smise di opporre resistenza. Alcor scambiò un eloquente sguardo con il re di Fleed e condusse la sua compagna alla Trivella Spaziale.
Il re prese a camminare e a cercare con gli occhi tra i fantasmi di coloro che erano stati uomini e donne qualche figura familiare, ma non riuscì a riconoscere nessuno.
Alcuni soldati erano entrati nei cunicoli delle miniere per catturare i carnefici e liberare i prigionieri che ancora si trovavano nelle profondità del pianeta, tra loro anche Duke e Markus.
I due ragazzi camminavano per le gallerie tra le ombre di chi era stato persona, senza avere la forza di parlare. Alcuni soccorritori, sopraffatti dall’orrore, erano costretti a uscire o piangevano in mezzo ai cunicoli. Markus si bloccò all’imboccatura di un corridoio laterale.
-Duke!-
Indicò all’amico una ragazza inginocchiata in terra, vicino a una donna.
Il principe le si avvicinò e la chiamò con dolcezza.
-Venusia.-
La ragazza piangeva e tremava.
-Mi ha chiesto di aiutarla a trovare suo figlio, ma… si è accasciata… è morta... non ho potuto...-
-Non avresti potuto fare nulla per lei. Vieni, usciamo.-
-Non può rimanere sola, io devo...-
-Vieni, ci penseranno altri, questo non è posto per te.-
La costrinse delicatamente a lasciare la donna e la aiutò ad alzarsi, insieme a Markus uscirono dalle gallerie...
-Te la senti di pilotare?-
Nonostante fosse sconvolta, Venusia annuì. Mentre la guardavano salire sul Delfino Spaziale, Markus mise una mano sulla spalla dell’amico.
-Qui non c’è nulla da fare per noi. Ci vediamo al quartier generale.-

La sala ristoro della base tra gli asteroidi era piena di volti terrei e occhi stanchi. Duke aveva davanti una tazza di liquido caldo e aromatico.
-Porto le ultime novità.-
Il principe trovò un mezzo sorriso per il suo amico.
-Allora puoi sederti.-
Markus si lasciò cadere sulla sedia, esausto. Prese un sorso dalla sua tazza di bevanda aromatica.
-La maggior parte dei veghiani stava rintanata nelle baracche degli ufficiali. Stanno ancora cercando alcuni fuggitivi.-
-Si sa nulla di Vega?-
-Morto.-
Duke alzò di colpo la testa.
-Come?-
Markus alzò le spalle con indifferenza.
-Omicidio, suicidio, che importanza ha? L’hanno trovato in una stanza spoglia e sporca ed era da solo.-
Dopo un attimo di silenzio, riprese con odio:
-L’importante è che sia morto!-
Portò alla bocca la tazza con mani che tremavano leggermente e bevve un sorso, poi un altro e sospirò.
-Come sta Venusia?-
Duke scosse il capo leggermente.
-Spero riesca a dormire.-
Le aveva ceduto il suo letto, perché era più in basso. Seduto sul bordo, le aveva tenuto la mano, finché lei non aveva chiuso gli occhi e aveva smesso di stringergli le dita. Aveva invidiato ad Alcor la libertà di poter tenere sua sorella tra le braccia e carezzarle i capelli.
-Non avresti dovuto permetterle di scendere.-
-L’ho persa di vista.-
-Maria?-
-Non sta molto meglio. C’è Alcor con lei.-
-A te sta bene?-
-Non potrei desiderare di meglio per mia sorella.-
I due amici rimasero in silenzio per alcuni istanti.
-E Venusia?-
-È speciale.-
Duke aveva risposto senza riflettere. Corrugò la fronte e bevve un sorso di bevanda calda.
-Una buona amica.-
-Naida è ancora la tua ragazza?-
-Si, certo.-
Markus sorrise speranzoso.
-Un altro caso di ragazza che si innamora di te e poi viene a farsi consolare da me?-
Duke ammonì di nuovo l’amico:
-Ti ho già avvisato, lascia in pace Venusia!-
Markus sorrise alla sua tazza che si stava raffreddando. All’improvviso allungò le braccia sul piano del tavolo e appoggiò la fronte sulla superficie liscia.
-Ahhh! Potrei dormire per giorni! Dici che me lo permetteranno?-
Quando girò il volto verso l’amico aveva lo sguardo perso nel vuoto.
-Ammesso che si riesca a chiudere gli occhi e non vedere niente.- concluse.

Venusia uscì dalla doccia meno rinvigorita di quello che avrebbe pensato. Forse era talmente abituata a sbrigarsi, a casa, per evitare di essere disturbata, che occuparsi di sé stessa con calma le provocava l’effetto contrario. O forse, erano solo troppe le cose che l’acqua avrebbe dovuto portare via: la guerra, le morti, Akerebe... Duke con un’altra donna tra le braccia.
Venusia si sedette sul bordo del letto e asciugò con le dita una lacrima che era scivolata dal bordo delle ciglia. Aveva saputo fin dall’inizio dell’esistenza di una persona speciale nel cuore di Duke, ma darle un volto, per giunta bellissimo, era diverso. Alta, con quegli incredibili occhi esotici, tipici dei fleediani, i capelli verdi che non facevano altro che esaltare la pelle diafana. Si esaminò le mani, prima il dorso, poi il palmo: la pelle era ispessita e, anche se chiara per una terrestre, era sicuramente scura per una fleediana. Sbuffò rumorosamente e si sfregò il viso con quelle mani, per asciugare le lacrime che continuavano a scendere. Si alzò dal letto e andò alla finestra. Il sole illuminava gli alberi all’esterno del palazzo. Una cosa che non voleva dimenticare era l’abbraccio con cui li aveva accolti la regina. Era stato inaspettato e dall’espressione sulla faccia di Alcor, anche lui aveva provato la stessa sensazione. Era stato bello, come se l’affetto fluisse fuori dal corpo della sovrana e si riversasse nel suo. Aveva dimenticato come fosse l’amore materno. Duke e Maria erano fortunati ad avere ancora la mamma. Venusia si asciugò gli occhi con le maniche dell’accappatoio. Inutile piangere per qualcosa che non poteva cambiare. Si riavvicinò al letto e osservò con attenzione l’abito che le avevano destinato: pantaloni e maglia a maniche lunghe di un colore nero opaco; quando li indossò, si accorse che si adattavano al corpo come un guanto. Una sopravveste bianca con il corpetto aderente, chiuso con un solo bottone alla vita, e la gonna a trapezio che lambiva le caviglie. Stivali neri.
La porta della stanza si aprì, prima che Venusia avesse il tempo di accorgersi che avevano bussato. Maria si bloccò con un piede nella stanza, Alcor le sbattè addosso.
-Ma che… Ehi Venusia, sei uno schianto!-
-Un’Ancella!-
Venusia era arrossita per il commento, ma si riscosse in fretta.
-Cosa?-
-Quella è la divisa delle Ancelle della regina: ragazze che fungevano da aiutanti.-
Alcor fece una smorfia.
-Tipo cameriere personali, o cosa?-
Maria rispose piccata:
-Tipo aiutare la regina nel suo lavoro, tipo proteggerla se necessario, tipo consigliarla se richiesto. Sono anni che nessuna ricopre questa posizione.-
Alcor osservò attentamente la principessa.
-Il tuo abito è simile.-
-Già, e tu non mi hai detto che sono uno schianto!-
Maria indossava pantaloni e maglia neri simili a quelli di Venusia, ma aveva una sopravveste verde che sfiorava le ginocchia.
-Perché tu sei sempre uno schianto.-
Venusia ritrovò la voce.
-Ma tua madre mi conosce appena…-
-Mia madre ha il dono di percepire la natura delle persone attraverso le loro emozioni. Quindi, mio caro Alcor, stai attento, molto attento!-
Maria afferrò i suoi amici per le mani e prese a tirarli verso la porta.
-Abbiamo perso fin troppo tempo in chiacchiere, ci sono un sacco di cose che voglio farvi vedere!-
Venusia oppose una certa resistenza.
-Allora, non dovrei chiedere a tua madre se ha bisogno di me?-
-È stata la mamma a dirmi di mostrarvi il palazzo e il parco e...-
Alcor le strattonò la mano.
-Non dovremmo aspettare Duke?-
Maria sbuffò.
-È con Naida. Ora vogliamo andare?-

-continua-

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view post Posted on 20/1/2021, 18:12     +1   -1
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-La macchina del tempo- 12 -

Gli alberi che ondeggiavano per la brezza, all’esterno, creavano strane ombre sulle pareti illuminate solo dalla luce delle lune. Duke era sdraiato nel letto con le braccia dietro la testa. Era stata una giornata strana. Con Naida erano andati al centro medico per una visita ai compagni feriti, poi erano andati al pranzo organizzato dai loro amici. Si sarebbe dovuto divertire, avrebbe dovuto ridere insieme a loro, si sarebbe dovuto sentire a casa, come prima. Non era stato così. Si era sentito fuori posto, distaccato, alcuni commenti e battute lo avevano irritato. Tutta l’atmosfera lo aveva irritato. Della sua cerchia di amici, altri sette avevano fatto parte della flotta. Solo uno era tornato vivo e non era stato presente. Naida gli aveva sussurrato all’orecchio che gli altri avevano deciso di non invitarlo per non farlo sentire a disagio, perché aveva perso una gamba in battaglia. Anche solo per questo motivo, sarebbe voluto andare via. Era rimasto per Naida.
Quando quella sera aveva visto Venusia con la divisa da Ancella era rimasto stupito, ma lo sguardo che gli aveva lanciato sua madre gli aveva impedito di domandarne ad alta voce il motivo. Durante la cena era risultato evidente: sua madre era preoccupata per la ragazza terrestre. Lo era anche lui! Intorno alla tavola la conversazione era andata avanti grazie a Maria e alla regina; Venusia era rimasta distratta e per tutto il tempo aveva spostato il cibo da una parte all’altra del piatto, portandone alla bocca pochissimo. L’aveva vista così solo dopo l’incidente nella stalla. Sulla Terra, però, si era sforzata, perché il fratellino non si preoccupasse e per evitare di commettere errori in combattimento. Adesso era sola e la guerra era finita.
Duke sospirò e si sfregò il volto con le mani. Il sonno tardava a venire, nonostante la stanchezza.
La guerra era finita. Per anni si era raccontato che tutto sarebbe tornato come prima, a volte era stato l’unico pensiero che lo aveva aiutato ad andare avanti. Nulla sarebbe mai più stato lo stesso, non poteva far tornare indietro gli orologi. Sentiva come se Fleed, Naida, i suoi amici, fossero andati avanti a una velocità diversa dalla sua, come se il suo posto non fosse più tra loro. Lui aveva vissuto alla stessa velocità di suo padre e di sua sorella, di Markus, dei compagni all’ospedale, dei suoi amici terrestri.

La mattina dopo, a colazione, furono raggiunti dal re. Era esausto, ma rilassato. Era una gioia vederlo insieme a sua moglie. Venusia si trovò a ricordare la sua mamma, a come era solita calmare le intemperanze di suo padre con un sorriso e un bacio sulla fronte, e lui inevitabilmente arrossiva e prendeva a balbettare guardandola con tanta tenerezza. Rimise lentamente la forchetta nel piatto, prese un paio di respiri profondi, per rimandare indietro le lacrime, e si sforzò di deglutire la bevanda che aveva nella tazza.
Finita la colazione, fu annunciato l’arrivo dei consiglieri.
Venusia entrò nella sala del consiglio al fianco della regina e subito si sentì osservata: diverse persone la stavano guardando con insistenza, un paio stavano parlando evidentemente di lei. Non era una sensazione piacevole. D’istinto fece un passo indietro e cercò aiuto, ma Alcor e Maria erano lontani e stavano parlando tra loro, i sovrani e Duke si erano fermati poco distante, con un altro uomo. Si sentì sola.
-Tutto bene?-
L’uomo le bloccava la visuale della stanza e le stava sorridendo. Aveva gli stessi occhi di Duke.
-Io… sì… io… ho fatto qualcosa di sbagliato?-
-Cosa te lo fa pensare?-
-Non so… ho avuto l’impressione… -
Venusia cercò di gettare un’occhiata di lato, oltre l’uomo, ma la voce calma della regina catturò la sua attenzione.
-Papà, cosa succede?-
-Sembra che la curiosità dei nostri amici abbia turbato la tua Ancella.-
Poi si rivolse a Venusia:
-Io sono Alistar, tu sei uno dei piloti terrestri, giusto?-
-Sì, mi chiamo Venusia.-
Mentre il padre teneva occupata l’attenzione di Venusia e faceva la conoscenza anche di Alcor, Astrida fissò severamente i fleediani presenti.
Quando tutti furono seduti intorno al tavolo ovale, il re riferì che la base sugli asteroidi si stava rapidamente convertendo in struttura ospedaliera per i reduci di Akerebe. Parole di approvazione furono pronunciate da molti. Ergon confermò la morte di Yabarn. Nessuno osò proferire parola, visto lo sguardo torvo della regina. Si era trattato di omicidio: il sovrano di Vega aveva ricevuto una coltellata ai reni e una allo stomaco. Il colpevole non era stato individuato. I veghiani sopravvissuti erano detenuti nella struttura costruita appositamente sul satellite del pianeta Lupo. La principessa Rubina, invece, era ospite delle Amazzoni di Ruby, che erano state incaricate di stabilire il suo grado di coinvolgimento nelle azioni del padre e di decidere del suo futuro.
Il re decretò sette giorni di lutto su tutto il pianeta, per onorare i caduti. Solo dopo si sarebbe potuta celebrare la vittoria.

Non era la prima volta che Duke parlava in pubblico, ma era la meno facile. Prima di lui, suo padre aveva fatto un ottimo elogio. Quando alzò gli occhi sull’assemblea la sua attenzione fu catturata da Venusia che sedeva accanto alla regina: guardava nel vuoto, le mani allacciare in grembo così strette, che anche dal pulpito si potevano vedere le nocche sbiancate, un attimo dopo, la mano della sovrana coprì quelle della giovane. Duke incrociò lo sguardo di sua madre e lei gli restituì un mesto sorriso e un lieve cenno di assenso col capo. Il principe pronunciò le parole che aveva nella testa e nel cuore, ricordò i suoi amici e ciò che avevano fatto insieme. Ricordò i tanti compagni che lo avevano sostenuto in battaglia, senza distinzione di insegne. Parlò di tutti coloro che avevano sofferto per la guerra e disse che si sentiva vicino a ciascuno. Erano cose che sentiva veramente, allora perché gli sembravano parole vuote? Quando scrutò di nuovo la platea, sua madre aveva ancora il sorriso triste e uno sguardo comprensivo, ma Venusia teneva la testa bassa e piangeva in silenzio.
Il generale Amauta gli mise una mano sulla spalla e prese il suo posto. Duke andò a sedersi accanto a suo padre. Mentre sullo schermo dietro al pulpito continuavano a scorrere i nomi dei caduti e il generale esprimeva parole di orgoglio e rimpianto, Duke pensò che Venusia non sarebbe dovuta essere lì ad ascoltare quelle cose, era quasi crudele.

Era tardi, ma Alcor non riusciva a dormire. Quando la porta si spalancò, era sul pavimento a fare flessioni.
-Che diav… Maria! Vuoi farmi venire un infarto?-
-Vestiti!-
Bastò un’occhiata per capire che doveva obbedire e anche in fretta.
Maria lo prese per mano e lo trascinò per le scale, fino a un cortile interno dove erano parcheggiati diversi veicoli a due ruote. La ragazza rimase un attimo incerta a guardare per terra, spostando il peso del corpo nervosamente da un piede all’altro, prima di prendere una decisione.
-Sali dietro!-
Alcor non aveva mai distolto lo sguardo dal volto della sua compagna. Di nuovo obbedì senza discutere. Lei partì facendo fischiare le ruote, imboccò la strada esterna al palazzo e accelerò.
Il veicolo fu racchiuso in un campo di forza. Maria svoltò su una strada in salita, a velocità folle. Alcor la teneva stretta a sé. Arrivati in cima a un dirupo, la ragazza scese bruscamente dal mezzo corse fino all’orlo del precipizio e urlò con quanto fiato aveva in gola. Alcor la raggiunse dopo qualche istante e la imitò. Quando non ebbe più voce, Maria si gettò tra le braccia di Alcor e pianse. Lui la tenne stretta e lacrime amare scesero anche dai suoi occhi. I giorni di lutto erano pesanti per tutti, soprattutto per chi aveva perso amici cari e cercava di mantenere una facciata di serenità, per non essere di peso.

Duke non riusciva a capire sua madre. Lei percepiva i sentimenti degli altri. Come poteva ignorare il turbamento di Venusia, quando visitavano il centro medico, o partecipavano alle commemorazioni? Tutte le sere tornavano esauste, fisicamente e psicologicamente, ma la regina aveva suo marito che la stringeva e la consolava. Venusia non aveva nessuno. Solo pochi giorni prima, erano un gruppo di quattro, ora lei si era isolata. O forse erano stati loro a lasciarla indietro. Anche Maria e Alcor si erano chiusi tra loro. Sperava che la fine del periodo di lutto avrebbe portato un po’ di sollievo.
Sospirò e si accorse che Naida aveva smesso di parlare e lo osservava perplessa.
-Dov’eri, Duke?-
C’era rassegnazione nel suo tono e il principe si sentì in colpa: era riuscito a stento a ritagliare del tempo libero, tra una commemorazione e un’altra, e lo stava sciupando.
-Scusa.-
-Parla con me.-
-Stiamo parlando…-
-Io sto parlando. Tu non mi dici mai niente di significativo!-
Duke si allontanò da lei. Aveva provato come un’improvvisa mancanza d’aria.
-Lo vedo quanto ti costano queste commemorazioni. Perché non condividi come me i tuoi sentimenti?-
Di nuovo, quella sensazione di soffocamento. Rispose con rabbia:
-I miei sentimenti? Come mi sento in colpa quando vedo i miei compagni feriti o mutilati, per esempio? O quando leggo negli occhi dei genitori dei caduti che vorrebbero fossi stato io al posto dei loro figli? O forse vuoi sapere se mi sono mai chiesto se avrei potuto impedire una sola di quelle morti, se mi fosse impegnato di più?-
Quando si girò e guardò Naida negli occhi, si sentì svuotato. Chinò la testa.
-Scusami.-
-È la prima volta da anni che sei aperto con me.-
Qualcuno alle loro spalle si avvicinò, facendo rumore di proposito.
-Principe, è ora.-
Uno degli assistenti del palazzo era venuto a ricordargli un appuntamento.
-Scusami Naida, devo andare.-
-Sì, certo.-

La regina fu svegliata da un acuto sentimento di tristezza. Allungò il braccio accanto a sé ma trovò il letto vuoto.
-Egron?-
-Sono qui. Mi dispiace di averti svegliata.-
Astrida raggiunse il suo sposo, in piedi di fronte alla finestra. Gli cinse la vita con le braccia, posò la guancia sulle spalle e rimase in attesa.
-Domani sarà l’ultimo giorno di lutto… Sembra così poco…-
-Quanto sarebbe giusto? Un mese, un anno…?-
Il re non rispose subito.
-Tante vite perse… al pensiero di quel che sarebbe potuto succedere...-
La regina strinse di più il marito a sé.
-Non è successo.-
-Ma è successo. In un altro tempo, noi…-
-Non a noi! Abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto, perché non accadesse.-
Qualche attimo di silenzio.
-A volte mi chiedo se ho fatto abbastanza… se avessi potuto salvare una sola persona in più… una sola…-
Astrida fece voltare il marito, per guardarlo negli occhi. Una lacrima gli solcò le guance.
-Hai fatto del tuo meglio. Non è colpa tua… non è colpa nostra. Noi ci siamo solo difesi e abbiamo fatto del nostro meglio per proteggere gli altri.-
Egron le carezzò il viso.
-È giusto festeggiare?-
-Abbiamo pianto la perdita di tante vite, ora dobbiamo festeggiare perché il loro sacrificio è valso la conquista della pace.-
Le sorrise.
-Non l’avevo mai pensata così. Grazie.-

-continua-

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-La macchina del tempo- 13 -

I preparativi per i festeggiamenti fervevano.
Venusia aveva accettato di buon grado di intrattenere cinque bambini, mentre i loro genitori erano impegnati con la sovrana. Seduta sull’erba del parco, aveva trasformato dei fogli di carta in animaletti, per lo stupore dei piccoli, e stava raccontando una storia usandoli come personaggi. Era nostalgico. Era solita intrattenere così suo fratello, quando era più piccolo. Le mancava la sua famiglia, ma era piacevole, dopo tanto tempo, godere dell’affetto di una mamma, anche se non era la sua. Le sarebbe mancata, una volta tornata sulla Terra, come le sarebbero mancati i suoi amici.
Duke e Naida si fermarono a debita distanza, per non interrompere.
-La tua amica è brava con i bambini.-
-Venusia ha un fratello più piccolo e…-
Naida attese ma la frase rimase sospesa. Il principe aveva perso il sorriso e aggrottato la fronte.
-Duke…?-
Si riscosse, quando la ragazza gli toccò il braccio.
-Ah, scusa è che… questa scena mi ricorda vagamente qualcosa ma…-
I bimbi vennero chiamati all’interno. Venusia finì in fretta la storia e regalò loro gli animaletti.
Il principe si accovacciò accanto a lei.
-Li hai fatti tu?-
La giovane terrestre trasalì: non aveva sentito arrivare i due adulti.
-Sì, perché?-
-Vieni con me, per favore.-
La prese per mano e la condusse quasi di corsa dentro il palazzo, lasciando indietro Naida basita.
Duke saliva le scale a due a due e Venusia faceva una gran fatica a stargli dietro. Quando entrarono nella stanza, lei era senza fiato.
-Guarda!-
Il principe indicò delle mensole attaccate al muro, sulle quali facevano bella mostra di sé alcuni animaletti di carta, chiusi in piccole teche trasparenti. Erano in uno studio e attraverso un’altra porta semiaperta si intravedeva una camera da letto.
-Sono tuoi?-
Duke annuì.
-Tu li sai fare!-
Lo aveva detto quasi con reverenza. Venusia alzò e abbassò le spalle.
-Molti sanno fare gli origami.-
-Non su Fleed. Nessuno qui li sa fare.-
Venusia guardò di nuovo le mensole.
-Allora chi…?-
-Una Viaggiatrice, mi è stato detto, una donna che ha reso un grande servizio a Fleed. Mi hanno raccontato che ha giocato molto con me, ma ero piccolo, non ricordo.-
Venusia si avvicinò allo scrittoio. In un angolo c’era una piccola teca con un solo origami, un passerotto. Rimase a guardarlo, persa nei suoi pensieri, e non ci volevano poteri esp, per capire che non si trattava di pensieri felici.
-Venusia, tutto bene?-
La giovane non staccava gli occhi dall’uccellino.
-Ne regalai uno a mia madre…-
Dalla soglia della camera, Naida aveva osservato la scena, notando soprattutto le emozioni che avevano attraversato il volto di Duke.
-Ah, siete tutti qui?-
Maria, al solito, arrivò come un ciclone.
-Fratello, stai mostrando la tua collezione di bestiole? Ciao Naida. Visto che ci siamo tutti, possiamo andare in città, giusto?-

La città era in fermento. Fiori ovunque, cibo profumato, dolci colorati, risate e allegria.
Venusia non riusciva a sentirsi pienamente contagiata dall’atmosfera. Forse per colpa delle immagini che ancora le facevano visita di notte, forse per quell’uccellino di carta, che le aveva lasciato addosso un senso di malinconia. Forse…
-Tutta sola, Venusia?-
La ragazza trasalì, alzò lo sguardo e per un attimo si perse in un paio di occhi tanto simili a quelli di Duke.
-Dove sono i tuoi amici?-
La ragazza si guardò intorno, poi sorrise imbarazzata.
-Devo essermi attardata troppo… mi succede sempre quando ci sono tante cose belle da vedere.-
-Vorrà dire che ti farò compagnia io. Dimmi, ti piace stare su Fleed?-
-Oh sì, signore!-
-Nonno, per favore.-
Venusia lo guardò confusa.
-Non so se posso, signore.-
-Nonno. Certo che puoi. Poi non ti sembra che mi dia un’aria di saggezza?-
Alistar gonfiò il torace e sfoggiò un’espressione di eccessivo orgoglio che fece ridere Venusia.
-Ehm… mi stavi dicendo che ti piace Fleed…-
-È molto simile alla Terra, ma anche molto diverso: voi rispettate la natura al punto che la città non sembra disturbarla, anche se le attività sono molteplici. L’aria è più pulita, anche se avete veicoli da trasporto sia in terra che in cielo, e voi siete tutti così accoglienti che non ci si può non sentire a casa.-
-Quello che dici mi rende orgoglioso. Per noi, tu ed Alcor siete della famiglia.-
Venusia arrossì.
-Mi mancherete moltissimo, quando tornerò a casa.-
-Lo sai che potrai farci visita ogni volta che vorrai.-
Venusia annuì, ma sapeva che ciò non sarebbe accaduto molto presto, forse non sarebbe accaduto mai più. Il suo animo sembrava diviso a metà. Desiderava rivedere la propria casa, ma non voleva lasciare Fleed; le mancava la sua famiglia, ma non voleva rinunciare agli affetti che aveva trovato lì. Era felice per i suoi amici, ma non poteva impedirsi di essere gelosa, di sentirsi esclusa. Avrebbe lasciato il pianeta presto e forse avrebbe dimenticato quei sentimenti che le erano diventati di peso.

Non era stato l’argomento della conversazione a spingere Naida a nascondersi dietro la porta semichiusa dello studio per ascoltare, ma l’atmosfera rilassata e aperta che aveva percepito tra i due principi, l’assenza di quel muro che Duke si era eretto intorno, dall’inizio della guerra. Naida provò un misto di gelosia e risentimento.
-Come vanno le cose, da te?-
-Dopo avermi buttato addosso i veghiani e la guerra, ora il re vorrebbe riprendersi il potere… ma farà meglio a cambiare idea…-
La minaccia nelle parole di Markus era evidente. Naida sapeva che il comportamento da simpatica canaglia del principe di Altair 2 era dovuto a un’infanzia difficile e a una situazione familiare complessa, ma la crudeltà che traspariva dal suo tono di voce era nuova.
-Cosa intendi dire, Markus?-
-L’esercito gli è ostile e i militari non sono gli unici a non volerlo di nuovo su quella poltrona.-
-Tu che farai?-
-Assolutamente nulla! Starò seduto a godermi la scena, quando lo prenderanno a calci nel posteriore!-
Naida poteva quasi vedere il sorriso cattivo sul volto di Markus e si stupì per l’assenza di qualsiasi censura, da parte di Duke.
Il silenzio nello studio si stava protraendo e la ragazza si staccò dal muro per entrare, quando le successive parole di Markus le fecero cambiare idea.
-Stavo pensando di invitare Venusia al lago.-
Improvvisamente il clima nella stanza cambiò, divenne teso.
Dopo una pausa, Markus riprese:
-Dovresti decidere da che parte è il tuo cuore, Duke.-
Se Naida fosse stata nello studio, avrebbe visto Duke alzarsi dalla sedia dietro la scrivania e andare alla finestra, il volto serio, lo sguardo addolorato.
Fuori, le fronde degli alberi erano mosse da una leggera brezza e creavano giochi di luce con il sole alto nel cielo, ma Duke non stava veramente guardando.
Dov’era il suo cuore lo sapeva da tempo, ne aveva avuto conferma quando aveva visto insieme le due ragazze e il sorriso triste sul volto di Venusia lo aveva ferito. Ma non poteva lasciare Naida: lei lo amava, lo aveva aspettato, fedele, per anni. Le aveva fatto una promessa, prima della guerra, e l’avrebbe mantenuta.
Naida attese una risposta, un commento. Quasi senza accorgersene si avvicinò alla porta dello studio. Doveva aver fatto rumore, perché i due giovani si girarono a guardarla e subito lei percepì di nuovo quella distanza, che poco prima non c’era. Il muro si era alzato ancora una volta e non solo intorno a Duke, ma anche intorno a Markus.
La vita era andata avanti. Lei stessa non era più la ragazzina di prima della guerra. Era una donna ora e doveva lasciare quella ragazzina e i suoi sogni nel passato, dove era il loro posto.
Naida attese che la porta si chiudesse alle spalle di Markus, per andare alla finestra e guardare fuori.
I ricordi e i pensieri le si affollarono nella testa confusi.
Trattenne un attimo il fiato, in attesa di un sentimento specifico...
-Manca qualcosa.-
Duke la guardò incuriosito.
-Cosa?-
-È difficile…-
Duke attese in silenzio che Naida si chiarisse le idee ed elaborasse il concetto.
Nulla. La gelosia non c’era. Tristezza, disappunto, una leggera inquietudine, ma la gelosia non c’era. E non era l’unica cosa che mancava tra loro, da quando Duke era tornato.
-Eravamo ragazzi insieme ma ora... siamo come fuori sintonia.-
-Dobbiamo solo aspettare un po’, avere pazienza, tutto tornerà come prima.-
-Ci credi davvero Duke? Credi davvero di poter dimenticare e di poter tornare com’eri?-
No.
Duke non riuscì a sostenere oltre lo sguardo di Naida. Non sarebbe mai stato in grado di dimenticare alcune delle cose che aveva visto, che aveva vissuto, La ragazza sospirò, volse il volto in direzione del parco, che si estendeva al di là del vetro, e riprese a parlare con dolcezza.
-Ti sei accorto che manca qualcosa tra di noi?-
Duke aggrottò la fronte.
-Cosa manca?-
Naida si girò e lo guardò negli occhi per qualche istante, prima di riprendere a parlare.
-O forse quel qualcosa non c’è mai stato davvero.-
-Non ti capisco Naida, cosa intendi?-
Lei sorrise dolcemente.
-Per anni siamo stati inseparabili, potevamo facilmente indovinare i pensieri l’una dell’altro, ricordi? Ci siamo scambiati sogni e confidenze. Ci sembrava di volere le stesse cose... ma quello che volevamo allora non è quello che vogliamo adesso.-
Vide la perplessità lasciare il posto al rimpianto, nello sguardo di Duke. Naida riprese:
-È inutile nasconderlo, non siamo più le persone che eravamo, siamo cambiati e sono cambiati i nostri sentimenti.-
Lui le prese la mano e la strinse.
-Ma tu mi ami.-
Lei sorrise ancora con tenerezza e gli accarezzò la guancia.
-Il mio meraviglioso Duke che è disposto a prendersi il peso dell’universo sulle spalle. Certo che ti amo e sono sicura che anche tu mi ami… ma non è quell’amore.-
Duke abbassò il capo.
-Se non ci fosse stata la guerra…-
-Sai, anche io per tanto tempo, ho dato la colpa alla guerra. Ma da quando è finita e tu sei tornato sano e salvo, ho avuto modo di riflettere che forse eravamo più innamorati dell’idea dell’amore.-
Lui raddrizzò la testa chiuse gli occhi, prese un gran respiro e rilasciò l’aria lentamente. C’era ancora rammarico nei suoi occhi.
-Mi dispiace, Naida.-
-Lo so, e so anche che non c’è colpa.-
Sospirò e il suo viso fu illuminato da un sorriso.
-Ti offendi, se ti dico che mi sento sollevata?-
Duke ricambiò con un sorriso triste.
-No, va bene…-
Naida si alzò in punta dei piedi e gli diede un bacio sulla guancia, si diresse verso la porta e si fermò sulla soglia.
-Sarai sempre il mio miglior amico?-
-Sempre… e tu la mia.-
Lei annuì.

-continua-

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-La macchina del tempo- 14 -

Venusia sorrise alla propria immagine riflessa allo specchio, mentre si asciugava i capelli. Non riusciva a smettere di pensare agli avvenimenti della sera precedente.
Il palazzo si era riempito di personalità di Fleed e di rappresentanti dei pianeti della Coalizione. La regina aveva tenuto a puntualizzare che Venusia e Alcor erano della famiglia. Era questo il motivo per cui lei e Maria, come Astrida, avevano sfoggiato un abito lungo che ricordava vagamente gli abiti tradizionali coreani, confezionato con una stoffa rossa elaborata, che sembrava rigida e pesante ma che non lo era affatto. Il re, Alcor e Duke avevano indossato i colori di Fleed: pantaloni neri e casacca rossa, con mantelli neri agganciati sulle spalle, lunghi fino alle ginocchia. Sul petto, sotto la spalla sinistra, i tre uomini avevano portato con orgoglio la fenice di Fleed, in gren lucido.
Durante il discorso dei sovrani, Venusia si era sentita molto nervosa, in piedi sulla pedana rialzata, finché Maria aveva iniziato a commentare sottovoce, in modo assai poco cortese, l’aspetto degli ospiti: quel signore pingue, con indosso una tuta che sembrava sul punto di scoppiare, o quella dama, con un'acconciatura che ricordava un enorme nido di uccelli... Avevano fatto fatica a trattenere le risate. Anche Duke, che pure aveva rimproverato la sorella. Quando la regina si era voltata verso di loro, alla fine del discorso, avevano temuto un severo ammonimento, ma la sovrana li aveva stupiti con una frase sui colori infelici scelti da un’altra donna presente in sala. Il resto della serata era stato sfiancante: passare da un gruppo di ospiti all’altro cercando di sorridere a tutti e di rispondere alle domande. Per fortuna Duke non l’aveva mai lasciata sola, perché non tutti parlavano fleediano e il traduttore che Venusia portava all'orecchio faticava a distinguere le singole voci e a produrre un discorso di senso compiuto.
Venusia sospirò: la serata era finita e, come Cenerentola, anche lei aveva ripreso i panni di tutti i giorni. Scese le scale per unirsi agli altri per colazione, ma cambiò idea quando scorse un uomo dall’atteggiamento bellicoso dirigersi spedito verso lo studio della regina ed entrarvi. La voce adirata dell’uomo la raggiunse già lungo il corridoio, ma non riuscì a distinguerne le parole, finché non arrivò a pochi metri dalla porta.
-... ha umiliato mia figlia: tutti si aspettavano di vederla accanto a lui ieri sera, invece…-
La regina rispose con tono calmo. Barsagik non era il suo consigliere preferito, perché era di carattere rigido e anche piuttosto arrogante, ma in fondo era un buon uomo, leale.
-Duke non ha espresso nessuna richiesta al riguardo…-
L’uomo continuò ad alta voce, come se la regina non avesse parlato:
-Lei ha sempre rifiutato di rendere ufficiale il loro legame, e ora capisco perché. La Viaggiatrice.-
-Prego?-
Astrida si irrigidì, ma il consigliere parve non accorgersene e proseguì il discorso, focalizzando la propria attenzione su Venusia, che si era fermata sulla soglia della porta, in attesa di essere invitata ad entrare.
-Tutto è cominciato con la Viaggiatrice ed eccola qui, quando tutto finisce!-
L’uomo si rivolse apertamente alla ragazza, che lo stava fissando sgomenta.
- Sei tornata ad esigere la tua ricompensa? Era questo il tuo prezzo per tradire i tuoi amici veghiani?-
La regina si alzò con tale energia, che la sedia cadde all’indietro.
-Di cosa sta parlando?-
Una massa scura passò davanti al campo visivo di Venusia e la voce profonda del re, all’apparenza tranquilla, rimbombò nello studio.
-Credo sia meglio, consigliere, che lei rientri alla sua abitazione e rifletta, con calma, sulle sue parole e il suo atteggiamento. Accetteremo di buon grado le sue scuse.-
Barsagik fissò per un attimo il sorriso glaciale del re, chinò il capo in segno di deferenza e mormorò un paio di parole incomprensibili, poi si diresse verso la porta.
Venusia sobbalzò, quando due mani forti la afferrarono per le braccia e quasi la sollevarono di peso, per allontanarla dall’uomo che stava uscendo. Quando la ragazza alzò lo sguardo, vide un’espressione dura sul volto di Alcor e accanto a lui Maria, livida di collera. Il consigliere fu costretto a girare intorno a Duke che gli sbarrava la strada. I toni inusuali della conversazione avevano attirato altri spettatori.
Alcor accompagnò la sua amica nello studio e la fece sedere su una sedia, Maria raccolse da terra quella caduta della regina, che ci si abbandonò mormorando un ringraziamento. Egron, spalle rivolte alla stanza, guardava fuori dalla finestra, perso nei suoi pensieri. Duke chiuse la porta e, gambe leggermente divaricate, braccia conserte sul petto, spostò lo sguardo da sua madre a suo padre.
-Credo che ci dobbiate una spiegazione.-
Astrida si soffermò su Venusia, che teneva gli occhi fissi sulle mani intrecciate in grembo; poi osservò Alcor e Maria al fianco della ragazza, in attesa; infine, incrociò lo sguardo determinato di Duke. Sospirò, si alzò e raggiunse suo marito alla finestra. Il re si girò, le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé. La regina raccontò che, anni prima, una giovane era apparsa nel parco e li aveva avvisati che un gruppo di veghiani stavano tramando un attentato per eliminare lei stessa e il piccolo Duke. Solo grazie al suo avvertimento, le loro vite erano state salvate. Pochi giorni dopo, la Viaggiatrice era partita.
Duke iniziò a spazientirsi.
-Questa storia la conosciamo già.-
Maria fissò intensamente i volti dei genitori.
-C’è qualcosa che non ci volete dire.-
Astrida scambiò uno sguardo con suo marito e continuò.
-La Viaggiatrice veniva da un pianeta molto lontano e… da più di venti anni avanti rispetto a noi. Allora i veghiani avevano inventato una macchina per viaggiare nel tempo e nello spazio.-
I volti che aveva davanti erano attoniti. Alcor fu il primo a riscuotersi.
-Con tutto il rispetto, maestà, non giriamoci intorno, il pianeta di cui sta parlando era la Terra, giusto?-
-Sì, la Terra.-
Alcor si rivolse a Duke.
-Un manipolo di veghiani deve essere nascosto sul pianeta. Devo stanarli e…-
-Non è necessario.-
Tutti gli sguardi si fissarono sul re.
-Non è stato difficile sabotare i loro esperimenti, l’ossessione per la vittoria si è presa cura del resto. Dovete capire che già soltanto tornando indietro nel tempo, i veghiani e la Viaggiatrice hanno alterato gli eventi.-
-Allora perché coinvolgere di nuovo la Terra? O perché non mandare una flotta o due? Forse siamo stati noi…-
-Duke!-
Il re aveva alzato la voce per interrompere la veemenza di suo figlio. Prese un respiro e continuò con un tono più pacato.
-Non potevamo rischiare di lasciare la Terra senza protezione, ma non potevamo attirare troppa attenzione sul nostro lontano alleato. Eravamo pronti a mandare una flotta in difesa, l’attacco purtroppo è partito in un momento delicato per noi. Abbiamo preso la decisione che ci è sembrata più giusta per tutti.-
A queste parole seguì un attimo di silenzio, interrotto da Alcor.
-Venusia e io non siamo stati scelti a caso, vero? -
Il silenzio fu risposta sufficiente.
-Scusatemi- sussurrò Venusia e in un un lampo si ritrovò fuori dalla stanza. Qualche secondo dopo, anche Alcor si avviò a grandi passi verso la porta, Maria gli corse dietro.
Duke non aveva mai distolto lo sguardo accusatore dal volto del padre. Il re riprese con tono triste:
-Conoscere il peggior finale possibile e poterlo cambiare è stata una benedizione… ma anche una maledizione… sapere che un solo errore, una sola scelta sbagliata avrebbe potuto farci perdere il vantaggio… Abbiamo preso decisioni difficili, a volte dolorose, ma nessuna senza aver valutato le possibili ripercussioni… e anche così mi chiedo spesso se avremmo potuto fare di più o di meglio.-

Il veicolo a due ruote non seguì la curva della strada ma andò dritto a velocità folle e il campo di forza intorno al pilota aumentò d'intensità all’avvicinarsi del dirupo. A un passo dal ciglio, il pilota frenò bruscamente, poggiò un piede a terra e costrinse la macchina a ruotare quasi su se stessa, lanciando una pioggia di detriti nel vuoto. Il campo di forza intorno ad Alcor ancora crepitava di scariche di energia, quando lui spense il motore pochi metri più avanti, aveva il fiato corto e un sorriso di trionfo sul volto. Un altro veicolo a due ruote si fermò a poca distanza, qualche attimo dopo, e Maria corse verso il suo amico e gli urlò contro mentre gli colpiva il torace con i pugni.
-Sei pazzo? Volevi suicidarti? Se vuoi morire, dimmelo che ti butto di sotto io! Non provare mai più…-
Alcor rise nervosamente e la strinse tra le braccia per calmarla.
-Va bene hai ragione, hai ragione, ho esagerato, scusa.-
I due giovani rimasero in silenzio a guardare lo scenario mozzafiato che avevano di fronte: oltre il dirupo, si estendeva un bosco e oltre ancora la città di Fleed.
-È dura da digerire… la storia che hanno raccontato i tuoi genitori.-
-Sei arrabbiato con loro?-
-No. Sinceramente non so come mi sarei comportato al loro posto. So solo che sono contento che non sia capitata a me quella responsabilità.-
Dopo alcuni momenti di silenzio, Maria chiese quasi in un sussurro:
-Che futuro credi che abbia rivelato la Viaggiatrice?-
-Non ne ho idea… Credo che dovremmo essere molto grati di quello che abbiamo conquistato… ma è comunque dura da digerire.-

Il buio intorno a Venusia era così fitto, che non riusciva a vedere dove metteva i piedi: la luce della prima luna non riusciva a penetrare il fogliame degli alti alberi del bosco. Ormai avanzava passando da tronco a tronco.
-Non mi sarei neanche dovuta alzare dal letto stamattina, per quanto orribile è stata questa giornata!-
Allungò il braccio e si protese fino a toccare l’albero successivo con la punta delle dita, solo allora azzardò il passo. Si appoggiò al fusto, d’istinto la mano andò ancora una volta al comunicatore che avrebbe dovuto avere al polso, ma che aveva perso chissà dove.
-Che diavolo faccio, ora!-
Due grosse lacrime le scesero lungo le guance, le asciugò stizzita, con il dorso di una mano.
-Come se servisse a qualcosa piangere, o parlare da sola, se è per questo!-
Prese un grosso respiro per cercare di calmarsi, ma non servì a molto.
Era uscita dallo studio della regina quasi di corsa, ricordò, e aveva continuato a camminare. In città, come nel palazzo, si era sentita addosso gli occhi di tutti. Aveva alzato lo sguardo e aveva visto, in alto sulla collina, il complesso scientifico. Procton era lì. Sapeva che avrebbe dovuto camminare a lungo, ma doveva assolutamente vedere il professore.
Aveva risalito l’altura costeggiando la strada ed era arrivata in cima senza fiato.
L’avevano fatta accomodare in una saletta, mentre cercavano lo scienziato che era a pranzo con i colleghi, le avevano detto.
-E nessuno mi ha chiesto se avessi fame, ho anche saltato la colazione.-
La risatina nervosa si tramutò in singhiozzo di pianto, Venusia prese un altro gran respiro, per ricacciare indietro le lacrime. Appena il professore era arrivato, lei lo aveva tempestato di domande, ma lo scienziato era parso subito a disagio e le aveva risposto in modo brusco. Aveva capito, in sostanza, che anche lui sapeva, anche lui l’aveva ingannata. Stavolta la ragazza non fece nulla per fermare le lacrime e i singhiozzi leggeri che le accompagnarono. Per tutto il tempo, si era illusa di essere stata scelta perché era speciale, si era illusa che l’affetto fosse per lei. Invece tutto era accaduto solo perché lei assomigliava a quell’altra. O era quell’altra a somigliare a lei. Non capiva più nulla. Prese un altro gran respiro e si asciugò le lacrime.
-E mi sono anche persa!-
Era corsa fuori dal complesso scientifico e si era inoltrata nel bosco senza badarci e aveva continuato a camminare, incurante delle ore che passavano. Ora era completamente immersa nel buio e senza comunicatore. Allungò il braccio per cercare il tronco successivo, non ne trovò nessuno, fece un paio di passi cauti. Si sentì scivolare verso il basso e con lei la terra intorno, il fiato che aveva nei polmoni le uscì in un grido strozzato.

-continua-

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-La macchina del tempo- 15 -

Alcor e Maria entrarono di corsa nello studio del re.
-Niente, in città non l’abbiamo trovata, se è scesa dalla collina non può avere avuto tempo di allontanarsi troppo e noi abbiamo perlustrato un ampio raggio.-
-Ancora nulla dal comunicatore?- chiese la principessa.
Il re scosse la testa. La regina si avvicinò a uno dei tre grandi schermi posti su un lato dell’ampia stanza, che mostrava la mappa della città e dei dintorni. Alcune strade erano marcate in rosso, quelle che Alcor e Maria avevano pattugliato con i loro veicoli. Quattro puntini rossi si muovevano al di sopra del grande bosco che ricopriva i versanti scoscesi della collina, su cui era situato il complesso scientifico.
-Ha ragione mio padre allora, si è persa tra gli alberi. Avrei dovuto fermarla… era così sconvolta stamane...-
-La colpa è mia, Astrida, è venuta da me per trovare conforto. Sono io che avrei dovuto fermarla.-
Aggiunse Procton mestamente. Aveva preso in considerazione l’eventualità che la ragazza scoprisse i fatti del passato e si era preparato mentalmente, ma alla resa dei conti, vedere Venusia così confusa lo aveva turbato e non era riuscito a gestire la situazione in modo adeguato.
Il re poggiò una mano sulla spalla dell’amico scienziato.
-Questo però non ci aiuta. Speriamo che le pattuglie riescano a individuarla con i rilevatori. Lassù non è sicuro di notte.-
Maria non riusciva a stare ferma, si sedette alla postazione del padre, sul lato corto del grande tavolo rettangolare che occupava il centro della stanza. Digitò sul terminale e le immagini catturate dai velivoli che pattugliavano la foresta apparvero sui grandi schermi: un mare di fronde scure praticamente impenetrabile.

Quando Venusia aprì gli occhi, non avrebbe saputo dire se aveva perso conoscenza, ma la testa le doleva parecchio. Aveva della terra in bocca e un braccio sepolto sotto la frana. Dopo diversi tentativi, con un ultimo strattone, riuscì a liberarsi. A fatica si mise seduta e fece il conto dei danni: la caviglia sinistra poteva essere rotta, il braccio destro le bruciava, forse stava sanguinando e non riusciva a muovere il polso. Aveva dolori ovunque. Era ancora immersa nell’oscurità. Un suono lungo e sordo, sempre più vicino. Un ringhio. A Venusia si gelò il sangue nelle vene. Improvvisamente, dal buio sbucarono delle fauci enormi, irte di denti aguzzi e bianchi. Un altro suono corto, il ringhio si tramutò in lamento e le fauci sparirono. Una voce di uomo le urlò contro.
-Che ti è saltato in testa di andare a zonzo quassù, da sola e disarmata, e di notte, per giunta! Sei stata fortunata che quello gnarl fosse isolato, altrimenti avrei trovato la tua carcassa!-
Venusia si rese finalmente conto di essere illuminata da una luce.
Alistar appoggiò la schiena a un tronco, poi si piegò e poggiò le mani sulle ginocchia leggermente flesse buttando fuori il fiato tutto insieme.
-Sono troppo vecchio per queste cose. Sei tutta intera?-
Venusia annuì e subito dopo scosse la testa in segno di diniego. Le lacrime le bagnavano il volto.
Alistar alzò la luce per illuminare meglio la ragazza in terra e sospirò. Si portò la mano al lato del casco che indossava.
-L’ho trovata, è ferita e confusa. Tracciate la mia posizione e mandate un’unità medica.-
Nel suo velivolo di soccorso, Duke toccò in rapida successione diversi tasti sulla consolle e si diresse verso un punto che appariva luminoso sopra gli alberi, in lontananza. Non si sarebbe rilassato finché non avesse visto Venusia con i propri occhi.

Astrida ricordò un’altra notte, un altro letto di ospedale, la stessa ragazza triste.
La prima persona che Venusia vide, quando aprì gli occhi, fu la regina che le sorrideva con tenerezza.
-Come ti senti?-
-Bene.- sussurrò, ma subito dopo fece una smorfia di dolore. La regina le accarezzò lievemente i capelli.
-Sarai in piedi in pochi giorni. I progressi in campo medico e scientifico sono una delle poche cose buone che abbiamo ottenuto da questo periodo terribile.-
Dopo un attimo di silenzio, Venusia si fece coraggio e diede voce alla domanda che la spaventava di più.
-La Viaggiatrice… ero… sono… io?-
Astrida le sorrise con dolcezza.
-La Viaggiatrice era una ragazza buona e coraggiosa, come te.-
-Quell’uomo ha detto che era amica dei veghia…-
La regina non la fece neanche finire e rispose con sdegno:
-Idiozie! La Viaggiatrice ha combattuto contro i veghiani, come te.-
-Ma io avevo paura…-
-Pensi che il re di Fleed non avesse paura ogni volta che volava in battaglia, o il principe di Fleed o Alcor? Nonostante la paura, tu hai combattuto e non solo per la salvezza del tuo pianeta, ma anche per quella di altri che neanche conoscevi. Questo è coraggio!-
Astrida poteva percepire le insicurezze della ragazza terrestre.
-Sei speciale perché sei tu, Venusia, non solo per le tue azioni!-
Venusia aggrottò la fronte, lo sguardo incerto.
-Quell’uomo ha detto anche…-
La regina sospirò rumorosamente.
-Barsagik è un brav’uomo, ma il suo ego è monumentale! Parla di cose che non sa. Ti fidi di me?-
Venusia annuì, senza neanche pensarci. Astrida le sorrise con affetto.
-Le azioni della Viaggiatrice sono state dettate unicamente dalla sua bontà d’animo e dal suo coraggio. Esattamente come le tue. Abbiamo voluto bene alla Viaggiatrice e la sua partenza ci ha addolorato. Vogliamo bene a te e siamo felici che tu sia con noi.-
Astrida fece una pausa, prima di continuare sottovoce:
-E non ho mai pensato a voi due come la stessa persona.-
La sovrana si alzò dalla sedia accanto al letto.
-Ora riposa. Devi rimetterti in forze, per affrontare le visite dei tuoi amici e… la ramanzina di Maria e Alcor. Ci hai fatti preoccupare davvero, sai. Siamo felici che tu stia bene.-

Nel suo studio, Duke cercava di visionare alcuni progetti, con scarsi risultati: la sua mente continuava a vagare. Raddrizzò le spalle e mosse la testa per rilassare il collo, cercò di nuovo di concentrarsi sul lavoro. Sua madre lo aveva avvisato che Venusia sarebbe stata ancora confusa e insicura, che avrebbe dovuto agire con cautela. Ugualmente, non gli era piaciuto che la ragazza avesse evitato di guardarlo negli occhi quando era andato a visitarla in ospedale. Le aveva parlato con dolcezza, le aveva spiegato brevemente il cambiamento del suo rapporto con Naida e il motivo per cui era avvenuto. Non era andato oltre, almeno non con le parole. Aveva sperato che i suoi modi, il suo sguardo, comunicassero i suoi sentimenti. Non era sicuro di esserci riuscito.
Qualcuno bussò alla porta. Duke buttò la penna sul tavolo con un sospiro e invitò a entrare.
-Duke, è vero che Venusia è tornata sulla Terra?-
-Naida, accomodati. Sì è vero.-
-Mi dispiace tantissimo.-
La ragazza si sedette su una sedia, di fronte al suo amico.
-Avrei dovuto parlare con mio padre per tempo, spiegargli la situazione… ma pensavo di aver raggiunto un’età adulta e… indubbiamente mi sono sbagliata.-
Duke ridacchiò in modo indulgente. Poi sospirò, tornando serio.
-Sarebbe partita comunque. Suo padre e suo fratello hanno ancora bisogno di lei.-
-Cosa conti di fare, ora?-
Il principe di Fleed sorrise.
-Lasciarle un po’ di tempo per pensare e adattarsi alle nuove informazioni. Poi andrò sulla Terra: una vacanza non potrà che farmi bene.-

Era una giornata tiepida. Righel stava urlando come al solito. Venusia si stava occupando dei cavalli, come al solito, e come al solito stava pensando alle persone che aveva lasciato su Fleed e che le mancavano così tanto. Soprattutto Duke. Era di fatto fuggita da Fleed, perché si sentiva osservata da tutti. Nonostante le rassicurazioni della regina e del nonno, non riusciva a togliersi dalla testa che potessero vedere in lei solo la Viaggiatrice. Ora, a casa, si chiedeva se avesse fatto bene a decidere di tornare.
Una jeep si fermò nel piazzale, di fronte alla fattoria. Venusia uscì dalla stalla per ricevere il professor Procton, ma l’uomo che stava in piedi accanto alla macchina non era il professore.
Duke la vide subito e, in pochi passi, dimezzò la distanza che li separava. Aprì le braccia e le sorrise. Venusia attese solo un istante e poi corse a tuffarsi in quell’abbraccio.

Fine

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view post Posted on 6/11/2023, 10:25     +1   +1   -1
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Comm.Grand.Pres. della Girella

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Anche i cattivi più cattivi sono stati ragazzini.

I dolori del giovane Hidargos

Non. Poteva. Crederci.
Giallo…
Ora che andavano di moda quelli rosa fosforescente, il meglio che era riuscito a produrre era un foruncolo giallo. Anche Sgrunt, lo sfigato della classe, ne aveva uno rosa pallido.
Il ragazzino di fronte allo specchio del lavabo, girava e rigirava il volto, spostava la mascella a destra e sinistra, ma il colore del brufolo sul mento non cambiava. Giallo era e giallo rimaneva.
Meglio sbarazzarsene prima di venire sbeffeggiato dai compagni. La pressione di due dita mise fine all’esistenza di quell’orrore. Nessuno veniva additato per una crosta cremisi.
Sospirò alla sua immagine riflessa e toccò un lato dello specchio. Tra le voci che iniziarono a scorrere selezionò quella che cercava con ansia: “Unguento del dot. Corok”.
Un nuovo sospiro. Era sicuro di aver seguito le istruzioni alla lettera e non vedeva l’ora di vedere il risultato.
Doveva funzionare!
Aveva investito tutto il suo capitale per acquistare l’intruglio e la fascia speciale.
Ricontrollò le indicazioni:
1) Spalmare l’intruglio puzzolente e appiccicoso sulla parte da modificare. Fatto.
2) Strizzare a morte con la speciale fascia elastica lasciando spazio per la crescita. Fatto
3) Sagomare a piacere. Fatto.
4) Andare a dormire con tutta quella roba e attendere il mattino. Fatto
Chiuse gli occhi e si vide entrare a scuola sfoggiando un doppio riccio in cima alla testa. Vide la bella Freva sgranare gli occhioni viola, lasciare il fianco di quell’odioso di Camargo Ishtar con il suo riccio singolo e abbrancare il suo braccio per farsi accompagnare in classe di fronte a tutti gli altri compagni verdi di invidia. Con il suo nuovo doppio riccio, finalmente, sarebbe stato il ragazzino più popolare della classe, forse dell’intera scuola!
Basta perdere tempo. Era ora di continuare con la procedura. Lesse ad alta voce:
5) Srotolare delicatamente la fascia elastica partendo dalla base.
Con diligenza il ragazzino staccò dalla fronte uno dei capi e lentamente eseguì la procedura senza guardarsi nello specchio. Quando tutta la benda era stata rimossa alzò gli occhi.
Non era cambiato nulla. Il cono era netto come era sempre stato.
Anzi ora aveva dei solchi che salivano come una scala a chiocciola fino alla punta della testa.
L’immagine che vide riflessa era così ridicola, così deprimente… così tipica della sua vita che non ebbe neanche la forza di arrabbiarsi. A capo chino e spalle curve si infilò nella doccia sonica per togliere il puzzo dell’inutile poltiglia che si era spalmato la sera prima e si massaggiò vigorosamente la testa per cercare di togliere i segni sulla pelle.
Avrebbe volentieri dato una capocciata al muro ma aggiungere un bernoccolo multicolore al già triste spettacolo era decisamente troppo.
Possibile che solo a lui non avesse funzionato? Aveva letto tutte le recensioni prima di investire i suoi risparmi fino all’ultimo spiccio, e non aveva trovato neanche un’opinione negativa: l’Unguento del dot Corok” aveva fatto crescere e permesso di stilizzare a piacere diverse parti del corpo, tutti gli utilizzatori erano rimasti entusiasti dei risultati ma lui… magari… magari aveva utilizzato poco prodotto… magari la testa era cresciuta ma così poco che… perché aveva usato poca poltiglia o l’aveva tenuta qualche minuto di meno…
Uscì a precipizio dalla doccia e toccò febbrilmente lo specchio per scegliere la funzione appropriata e dare il via alla scansione. Un raggio blu avvolse l’intero corpo del giovane e dei numeri apparvero sulla superfice riflettente. Era alto nella media, come il giorno prima, secco allampanato come il giorno prima. La testa era identica a quando era andato a dormire: non c’era una variazione nella lunghezza neanche nei decimali e nemmeno un minimo accenno di riccio sulla punta.
Spense lo specchio con un singolo colpo di asciugamano.
“Hiddino? Hiddino, sei ancora nel bagno? Sbrigati! Farai tardi a scuola!”
Si afferrò le orecchie tirandole verso il basso e pestò i piedi dalla rabbia: la voce chioccia di sua madre che lo chiamava con quel ridicolo diminutivo era troppo! Perché suo padre non poteva essere nel Genio Guastatori come il padre di Janko o nel reparto di SNADDM (Sviluppo nuove armi di distruzione di massa) come la madre di Dano invece che Manutentore dell’areazione nella cupola? E perché sua madre non era nella sezione Torture come la madre di Freva, invece che nel reparto Gestione Infanti dell’ospedale? Neanche i suoi nonni si salvavano: tutti nella produzione e manutenzione delle macchine sintetizzatrici. Ed erano pure orgogliosi delle loro occupazioni! Da non credere! Sembrava che senza di loro sarebbero tutti morti di fame o soffocati o senza infanti sani! Seee, lallero!
“Hiddino! Datti una mossa che fai tardi!”
“HD, ma’! HD!” Ruggì il giovane con quanto fiato aveva in gola.
“Sì, sì, va bene Hiddino, basta che ti sbrighi!”
“HD, ma’!”

Forse si può capire da dove arrivi quella simpatia per le bevande alcooliche del comandante di Vega. Se volete offrere anche voi un calice, qui grazie!
 
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134 replies since 27/5/2013, 09:56   16844 views
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