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shooting_star's fiction gallery - solo autore

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view post Posted on 5/7/2013, 17:12     +1   -1
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Comm.Grand.Pres. della Girella

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LA GUERRA DI DUKE - ultima parte

Fu la madre di Rurik ad aprire insonnolita. Una guardia incappucciata le agitò in faccia la pistola laser. “Perquisizione! I suoi figli devono seguirci al Palazzo!”
“Mio figlio sta dormendo… non ha fatto niente.” Il calcio della pistola la colpì alla tempia, facendole perdere i sensi. Le guardie sciamarono nella casa, sollevarono di peso il marito che era corso ad aiutare la donna. Quello che sembrava il capo lo schiaffeggiò: “I vostri figli. Hrafin…” lesse lo schermo del comunicatore “…e Rurik. Sono implicati nell’attentato al governatore Varg. Se non oppongono resistenza sarà meglio per loro.”
Rurik guardò fuori dalla finestra: la casa era circondata, inutile tentare la fuga. Lanciò il segnale di allarme al comunicatore dei compagni, poi schiacciò il suo, distruggendolo. Cercò di assumere un’espressione di innocente stupore e uscì dalla sua stanza.
“Lasciate stare i miei genitori. Mio fratello è in viaggio per studio… state prendendo un grosso abbaglio.”
Due guardie lo immobilizzarono a terra, mentre le altre mettevano a soqquadro l’abitazione. La madre gridò.
“Se non troveremo niente di compromettente sarà libero già domani.”
Un bip metallico, sempre più forte. “Comandante, il rilevatore segnala qualcosa all’interno della parete.”
“Sfondatela!”
Le armi laser sottratte nell’ultimo assalto al deposito di armi di Vega si rovesciarono a terra sotto gli occhi stupefatti dei genitori. Rurik si diede dell’idiota: se ne avesse lasciata fuori una gli avrebbe fatto molto comodo.
“Loro non ne sanno niente… l’unico responsabile sono io.”

Dopo aver letto l’appunto di Varg, Barendos aveva sguinzagliato le sue guardie alla ricerca di armi o altri materiali sospetti nelle case di tutti coloro che erano stati a scuola con Bryn.
Nell’anticamera delle scuderie del palazzo, una decina di ragazzi ammanettati volse in silenzio gli occhi verso il nuovo arrivato: Rurik si guardò intorno e vide con sollievo che Naida non era tra di loro. Lui era poco più di una recluta, le informazioni che avrebbe potuto rivelare sotto interrogatorio sarebbero state ben poca cosa… per lei sarebbe stato diverso.

Comunicazione urgente.” La voce di Naida, insolitamente concitata. “Tryg? È in corso un rastrellamento nella capitale. Hanno preso Rurik, e chissà chi altri.
Il coordinatore rifletté. “Dovevamo aspettarcelo, Naida. Evacuiamo le sedi e stiamo pronti a reagire. Se saremo abili riusciremo a volgere la situazione a nostro vantaggio.”
Forse l’attentato era stato un errore, pensò Naida: ora erano tutti in pericolo. Si ricordò che il fratello di Rurik era alla base lunare, ed avvertirlo era compito suo.
Digitò la connessione con la morte nel cuore. Le grida di Hrafin la fecero sentire fortunata al pensiero che suo fratello Sirius era al sicuro, fuori dalla città assediata.

Markus di Altair 2 a base di Fleed… Markus a base di Fleed… Duke, se ci senti, vieni in aiuto…
Il messaggio si era ripresentato per la seconda notte consecutiva. Duke si stropicciò gli occhi. Non sto sognando. Controllò i codici di provenienza: senza dubbio, quelli della nave di Markus. Accese il microfono:
“Duke Fleed per Markus di Altair 2. Dove siete?”
In rotta verso Fleed.” La voce era disturbata e metallica. “Cinquanta superstiti. I mostri di Vega ci attaccano…
La comunicazione si interruppe.
Markus era vivo! Il suo migliore amico aveva bisogno di lui… non poteva stare con le mani in mano: Altair 2 non era lontano, se la nave era diretta verso Fleed li avrebbe raggiunti in breve tempo. Li avrebbe guidati verso la base lunare, cinquanta uomini in più avrebbero fatto comodo negli scontri che si preparavano.
Doveva dirlo a Lykus… no, meglio di no, si sarebbe opposto; dal giorno dell’attentato gli era diventato molto difficile parlare con lui. Se lo scopo dell’operazione cui il suo vice aveva tenuto tanto era quello di riportare il popolo di Fleed dalla parte dei ribelli, il risultato era stato un fallimento, e lui ne era ben consapevole. Duke, che pur avendolo messo in guardia aveva collaborato alla messa a punto del piano, si era impegnato a non rinfacciargli l’errore; ma Lykus sembrava aspettarsi un rimprovero da un momento all’altro, e le sue reazioni erano imprevedibili. Si esprimeva a monosillabi; nonostante le ferite gli facessero ancora male, aveva intensificato il lavoro di pattugliamento, e quando tornava si buttava spossato sulla branda senza rivolgere la parola a nessuno.
Decise che sarebbe andato da solo.

La solenne cerimonia commemorativa per la morte di Varg si svolse nella capitale sotto un cielo plumbeo. Tenuta sotto il controllo delle armi dalle guardie incappucciate, una folla grigia e silenziosa riempì la piazza: se alcuni piangevano sinceramente la morte di chi era riuscito ad apparire come un amico di Fleed, molti erano consapevoli che dopo i rastrellamenti di due notti prima la situazione sul pianeta era diventata estremamente precaria. Le notizie passavano sottovoce di bocca in bocca tra i presenti alla commemorazione, la prima occasione, dopo l’istituzione delle disposizioni speciali di sicurezza, in cui veniva permesso a molte persone di riunirsi. Giungevano voci di scontri nelle città più a nord, ma non c’era certezza, le comunicazioni erano impedite dalla polizia veghiana; si diceva che i ribelli avessero approfittato del momentaneo sbandamento del governo di occupazione per attaccare le sedi distaccate. Quello che era certo era che la capitale rimaneva saldamente nelle mani di Barendos, e che i pochi passanti che si incontravano per le strade un tempo frequentate camminavano veloci e con gli occhi bassi per evitare le onnipresenti guardie incappucciate e i loro brutali controlli a campione.
Barendos prese la parola: “Le indagini sull’attentato che ha portato alla morte del nostro amato governatore sono in corso e porteranno rapidamente a risultati conclusivi. La responsabilità dei ribelli è chiara, così come temiamo che sia da ravvisare una complicità da parte della famiglia reale di Fleed. Per questo motivo il re e la regina non sono presenti, come sarebbe stato previsto, a questa triste cerimonia. Se il loro coinvolgimento dovesse essere accertato, la condanna per tradimento sarebbe inevitabile. Ma io mi auguro che tali accuse siano infondate e che la collaborazione tra la casa reale di Fleed e l’Imperatore della Nebulosa possa proseguire senza che questo drammatico evento provochi conseguenze.”

Il patto era di resistere almeno un giorno, per dare modo ai compagni di organizzare la fuga. Rurik si era lasciato picchiare a sangue per proteggere i suoi amici; il vegatron gli aveva strappato urla, ma nemmeno una parola. Solo quando avevano minacciato di irradiare sua madre se lui non avesse parlato, era crollato. Aveva firmato il foglio che Barendos gli aveva messo davanti, prima di essere finito con un colpo alla nuca.

Goldrake, avanti!
Il robot oltrepassò la barriera di radiazioni e fece rotta verso Altair 2; la prima luna spiccava insolitamente luminosa, rossa sullo sfondo scuro del cielo.
I minidischi di sorveglianza inviarono immediatamente alla nuova base, ormai operativa, le coordinate del punto da cui avevano visto sbucare Goldrake dal nulla. Barendos si sfregò le mani: la trappola aveva funzionato. L’attacco poteva avere inizio.

L’allarme richiamò tutti i residenti alla base fleediana in sala comando. Uno stormo di minidischi di proporzioni mai viste stava dirigendosi verso di loro.
“Ci hanno identificato”, disse semplicemente Lykus. “Mi aspetto che tutti voi facciate del vostro meglio.”
Il piano per reagire a un eventuale attacco era pronto da tempo, anche se nessuno aveva mai creduto che sarebbe stato messo in atto. Ciascuno andò in silenzio al posto che gli era stato assegnato: chi a difendere la struttura, chi a combattere sui dischi.
Prima di salire sul suo, Lykus cercò di raggiungere Duke, che in un appunto in sala comando gli aveva lasciato scritto che era andato in soccorso di Markus; ma il segnale era troppo disturbato, non c’era tempo da perdere.
Le speranze che qualcuno di loro si salvasse erano prossime a zero… passò accanto alla stanza dov’era rinchiuso Bryn.
D’impulso aprì la porta, parlò senza guardarlo in faccia: “Vega ci sta attaccando. Sei una persona mediocre, ma un ottimo pilota. Scegli tu da che parte stare.” Poi corse verso lo spazioporto inondato dalla luce rossa della luna.

Lo scontro fu tanto breve quanto disperato. Anche se i ribelli fleediani potevano fare poco contro un nemico tanto più numeroso e potente, combattevano senza tirarsi indietro, rispondendo colpo su colpo con determinazione e infliggendo perdite che il nemico non si sarebbe aspettato. Ma quando il mostro a forma di drago apparve al di sopra delle loro teste tutti ebbero la certezza che la battaglia era persa.
“Lykus, ma dov’è Goldrake?”
“In missione… forse è meglio così. Qui sarebbe stato inutile, una volta scoperta la base è indifendibile. Si renderà utile su Fleed.”
“Allora per una volta saremo noi a distruggere un mostro, finalmente” commentò calmo Hrafin.
“Sì. Io punto alla coda, ti lascio la testa.”
Diressero alla massima velocità i dischi contro il drago ed esplosero con lui.

Barendos scese dalla sua nave con un seguito di guardie ed esplorò la base lunare ormai distrutta: non c’era traccia di vita, i ribelli che non erano morti in combattimento avevano scelto di uccidersi piuttosto che cadere vivi nelle loro mani. Non poteva dar loro torto, pensò il comandante sogghignando. Cercò tra i cadaveri quello di Bryn, senza trovarlo: ma se si era infiltrato come pilota, probabilmente era a bordo di uno dei dischi che avevano abbattuto. Meglio così: non poteva rischiare che Vega venisse a sapere del loro piccolo segreto… Risalì sul suo veicolo e diede ordine alle guardie di far saltare quel che restava con le bombe al vegatron.
Fiamme radioattive avvolsero le costruzioni e lo spazioporto. Nell’infermeria, il fuoco divorò ogni cosa, anche il foglio ormai consunto ripiegato sotto il cuscino, una famiglia sorridente disegnata da una mano infantile.

Duke cominciava a sentirsi inquieto. La traiettoria era giusta: non poteva volerci ancora molto… ma dell’astronave di Markus non c’era traccia. Forse quella luce fioca in lontananza? Inserì la velocità fotonica.

Gli altoparlanti che diffondevano i messaggi pubblici si attivarono all’unisono su tutto il pianeta, ripetendo ossessivamente il comunicato:
In seguito al tradimento perpetrato dal re e dalla regina, il Grande Vega, Imperatore della Nebulosa, ha dichiarato guerra a Fleed. I sovrani verranno giustiziati. I cittadini che vorranno collaborare sono invitati a riunirsi nelle piazze per essere messi al sicuro.
Nel cielo offuscato da una caligine rossastra, i mostri di Vega giungevano a portare la morte sul pianeta un tempo pacifico. I ribelli si prepararono a difendere le loro posizioni contro la guardia imperiale.
Base di Fleed a Goldrake! Duke, sono Tryg, rispondi! Vega ha dichiarato guerra! Duke, dove sei?

Duke Fleed a Markus di Altair 2! Markus, ti prego, rispondi!
Duke cercava di mettersi in contatto con il grande disco luminescente che galleggiava nello spazio di fronte a lui, ma senza risultato. Si avvicinò per guardare attraverso le feritoie, ma all’interno non c’era luce. Goldrake tese le mani avanti per toccarlo… e la lega leggera di cui era costruito si deformò. Un’intuizione spaventosa si fece strada nella mente del principe. Quello non era che un guscio vuoto, morto. Non c’era mai stato nessuno là dentro. Una trappola.
Avevano voluto allontanarlo da Fleed… un sudore gelato gli scorse lungo la schiena. Invertì la rotta e inserì la velocità massima.

Era difficile risintonizzare il comunicatore sulle frequenze fleediane con le mani che gli tremavano per l’angoscia, mentre Goldrake sfrecciava a una velocità vicina a quella della luce.
Su una linea disturbata da fischi e crepitii Tryg fece appena in tempo a confermare ciò che Duke temeva: Vega aveva dichiarato guerra. L’aveva fatto allontanare con l’inganno per avere via libera e ora stava distruggendo il suo pianeta come aveva fatto con Altair 2.
Goldrake a base di Fleed… resistete. Sto arrivando.” Inutile continuare, la comunicazione era caduta.
Era tutta colpa sua. Si era lasciato ingannare ancora una volta: non c’erano scusanti, né vie d’uscita. Gridò, un grido lungo, da animale in gabbia. Era solo colpa sua.

I cittadini stavano seguendo le indicazioni degli altoparlanti: prima pochi, poi sempre più numerosi, rassicurati dalla presenza degli altri, si riversavano nelle piazze nella speranza che Vega non avrebbe comandato un genocidio. Dopotutto, si dicevano, chiunque avrà il potere avrà anche bisogno di qualcuno che lavori per loro… Barendos non sapeva se essere più soddisfatto del suo piano o sorpreso della stupidità di quel popolo incapace di reagire. Di una cosa era certo: meritavano di scomparire.

Tryg trovò Naida nella piccola aviorimessa in cui erano tenuti al sicuro i dischi del loro gruppo: combattere in strada era inutile, si poteva solo tentare di tenere impegnati i mostri, in attesa che Goldrake arrivasse.
Non c’era bisogno di parlare: si diressero ciascuno verso un veicolo e azionarono l’apertura dei portelloni…
Un colpo di pistola laser colpì Tryg alla fronte, e una guardia di Vega balzò fuori dall’abitacolo in cui si era nascosta, puntando l’arma contro Naida. La ragazza, colpita di striscio a una spalla, indietreggiò, finendo tra le braccia di un’altra guardia che le stava dietro. Gridò, tentando di divincolarsi, ma un colpo di taglio sul collo la tramortì, facendola cadere a terra nella pozza di sangue che si allargava intorno al compagno.
Il nuovo arrivato osservò il suo corpo esile e femminile al tempo stesso, i lunghi capelli lucenti. “Io aspetterei a ucciderla… è troppo carina per non divertirci un po’.”
Quello che aveva sparato rise. “Ottima idea!” Con un calcio verificò che il ribelle steso a terra fosse morto davvero, poi si avviò all’uscita con la prigioniera esanime caricata sulle spalle.

Finalmente giunse in vista del pianeta: entrambe le lune ora risplendevano della stessa luce rossastra, e Duke capì con sgomento che per la base non c’era più niente da fare. Erano riusciti a trovarla: anzi, forse era stato proprio lui a indicarla a Vega, uscendo senza precauzioni per gettarsi nella trappola che gli avevano teso.
La consapevolezza atroce di aver sbagliato tutto esplose nella sua mente. Se non poteva rimediare, avrebbe pagato il suo errore con la vita, avrebbe combattuto fino all’ultima goccia di sangue… inspirò profondamente. Doveva dominarsi, non lasciare che la disperazione prendesse il sopravvento. Se c’era ancora qualcosa che avrebbe potuto fare per Fleed, l’avrebbe fatto, e per riuscirci aveva bisogno di tutto il suo sangue freddo.

Lo spettacolo che vide abbassandosi sopra la capitale era agghiacciante: i minidischi sparavano sulla folla inerme riunita nelle piazze, i superstiti correvano impazziti inciampando nei corpi dei caduti, per essere a loro volta falciati senza pietà. Era la fine… tutto era rosso di sangue e di fuoco, delle fiamme che devastavano gli antichi palazzi orgoglio della città. Anche il palazzo reale stava bruciando… doveva raggiungere i suoi genitori, salvarli…

Un mostro, un enorme rettile corazzato, sollevò la testa e gli rovesciò contro una scarica purpurea di radiazioni.
Goldrake, fuori!
Il vegatron gli bruciava il braccio destro, ma Duke si impose di ignorarlo. Le sue mani correvano agili sui tasti, i comandi mentali manovravano il robot con una naturalezza che lo faceva sembrare una parte del suo corpo. Impugnò l’alabarda spaziale e con quella tentò di tagliare la testa del mostro: ma quella si staccò dal corpo e, ruotando su stessa, colpì violentemente il torace di Goldrake, facendolo ricadere pesantemente sulla schiena, per poi tornare a vomitare il suo fuoco sulla cabina di pilotaggio.
Raggio antigravità!
La testa si sollevò e Duke prese fiato, poi con il tuono spaziale fece esplodere prima la testa poi il corpo del mostro. Rimesso faticosamente il robot in piedi, si riagganciò all’astronave e osservò la città dall’alto: tutto emanava lo stesso mostruoso bagliore rosso. Si diresse verso il palazzo reale: un mostro alato stava incendiando la torre principale, e al suo arrivo cercò di sollevarsi in volo. Troppo tardi: le lame rotanti gli tranciarono prima le ali poi il lungo collo. Senza uscire dall’astronave, Goldrake sollevò il grosso corpo decapitato e lo scagliò nel cielo affinché lo scoppio non danneggiasse ulteriormente l’edificio già pericolante; poi si posò a terra nel giardino ormai distrutto.

Nel suo rifugio nel nord del pianeta, ancora non attaccato dai mostri di Vega, l’istitutore che aveva avuto in consegna Maria stava preparandosi a un lungo viaggio interstellare. Aveva giurato che avrebbe difeso con la sua vita la sicurezza della principessa: e anche se non gli piaceva l’idea di abbandonare il pianeta come un codardo, avrebbe mantenuto la sua parola. Cercò di usare il suo tono più rassicurante, camuffando il tremito della voce con un colpo di tosse:
“Coraggio Maria, dobbiamo partire”
“Andiamo a trovare la mamma?”
“Sì, principessa… andiamo a Fleed.”
La bambina scoppiò in un pianto disperato e improvviso: “Mamma! Mamma! Papà! Mamma e papà stanno male… è tutto rosso… mamma…”
Una visione… quel potere era tutt’altro che una benedizione, rifletté l’uomo. “No Maria, è solo un sogno, va tutto bene. Rialzati, dobbiamo fare in fretta.”
La piccola alzò gli occhi pieni di lacrime e afferrò obbediente la mano che lui le tendeva.

Duke scivolò agile fuori dall’abitacolo e si precipitò su per la scalinata, fino all’appartamento dove sapeva che i suoi genitori erano tenuti prigionieri. L’aria era impregnata di un fumo spesso, il braccio mandava fitte. Tutto era contaminato, distrutto… se solo fosse arrivato prima, invece di cadere nell’inganno di Vega, forse avrebbe potuto salvare le persone che aveva visto uccidere. I suoi compagni. Naida… chissà cosa ne era di loro. Si fermò lungo un corridoio, il respiro affannoso, il cuore che batteva impazzito. Che cosa aveva fatto…

Maria portò le mani alle tempie e gridò con tutto il fiato che aveva in corpo:”Duke! Duke! Duke!”
L’uomo le accarezzò la testa e mentì: “Stai tranquilla, Maria. Tra poco lo rivedrai.”
Il disco si sollevò da Fleed, diretto nello spazio profondo.

Duke!
Tese le orecchie: per un attimo gli era sembrato di sentire la sua sorellina. No, era impossibile… strinse i pugni fino a conficcare le unghie nei palmi. Doveva agire, non dar modo ai pensieri di distrarlo. Doveva trovare i suoi genitori e caricarli su Goldrake.

Ecco la porta. Dalla stanza usciva una corrente arroventata: vicino alla finestra, due corpi a terra. Sua madre prona, la gola tagliata da parte a parte… era arrivato tardi, troppo tardi! Si inginocchiò accanto all’altro corpo: suo padre aveva una larga macchia di sangue tra il petto e l’addome, ma respirava ancora.
Gli sollevò dolcemente la testa e lui aprì gli occhi.
“Duke, figlio mio… sapevo che ti avrei rivisto…” lo sforzo di parlare assorbiva tutte le sue forze. “Tu lo sai vero, che sono stato costretto… avrebbero ucciso Maria. Avrebbero ucciso tua madre…”
“Non stancarti, padre.” Suo padre stava morendo… Duke si sforzò di sorridergli. “Non ho mai avuto dubbi sulla tua fiducia. Ora ti porterò al sicuro su Goldrake e poi tornerò a combattere contro Vega.”
“Duke… tua madre è morta, e io sto morendo. Vega ha vinto, e Fleed è distrutto, per sempre. C’è solo una cosa da fare.” La voce si fece all’improvviso ferma. “Non devi più combattere. Devi portare via Goldrake, subito.”
Duke si sentì gelare. Suo padre gli stava chiedendo di rinnegare tutto ciò per cui aveva lottato e sofferto, per cui i suoi amici avevano perso la vita.
“Ma padre, io voglio combattere… difenderò Fleed finché avrò respiro, e morirò difendendolo.”
“Fleed è finito, Duke. Difenderlo è inutile… devi preoccuparti del resto della galassia. Devi portare Goldrake dove Vega non potrà mai averlo… devi abbandonare il pianeta”
“Questo è fuggire, padre… questa è codardia. Non mi sono mai tirato indietro, non lo farò ora.”
“Questo è un ordine, il mio ultimo ordine. E so che lo rispetterai.” Chiuse gli occhi in uno spasmo. “Vai ora, e non voltarti indietro.”
Con delicatezza Duke adagiò il capo del padre morente sul pavimento, e si rese conto di avere le mani bagnate di sangue. Si avviò, la vista offuscata dal fumo denso che saturava le stanze, cercando a tentoni l’uscita e Goldrake.

Era la fine di tutto quello che aveva conosciuto fino allora. Il padre aveva ragione, il pianeta era perduto; ma che senso avrebbe avuto la sua vita senza Fleed? Markus era andato a morire su Altair 2, il destino di un principe era di finire con il proprio popolo. Fuggire sarebbe stato un tradimento.
Avrebbe combattuto fino allo stremo… e avrebbe disobbedito all’ultimo ordine di suo padre, del re. Anche quello sarebbe stato tradimento. Ed era vero, sarebbe stato inutile, sarebbe stato solo un modo di evitarsi una vita carica di sensi di colpa… sempre che fosse riuscito a sopravvivere.
Avrebbe spinto Goldrake fuori dall’atmosfera di Fleed, nello spazio profondo. Vega non lo avrebbe avuto, e mentre il robot correva veloce verso il nulla, Duke avrebbe potuto finalmente lasciare che la morte lo avvolgesse piano in un bozzolo di tenebre, come un ragno la sua preda.

Era quasi fatta… si diresse verso il rettangolo di luce rossastra che indicava il portale spalancato del palazzo. Un boato fortissimo, poi lo spostamento d’aria lo fece cadere in avanti. La ferita al braccio cominciò a pulsare violentemente. Duke cercò di alzarsi senza riuscirci, portò la mano sinistra alla spalla ma anche solo sfiorarla gli annebbiò la vista. Non posso svenire ora… devo rimanere lucido. Con le ginocchia e il gomito sinistro puntati sul pavimento, chiamò a raccolta tutte le sue forze per rimettersi in piedi.

“Principe, ci rivediamo!”
La voce beffarda di Barendos echeggiò nella sala, poi i contorni della sua figura cominciarono a delinearsi sullo sfondo bruno di fumo.
Forse non sarebbe riuscito a raggiungere Goldrake… non doveva lasciarsi prendere vivo. Cercò di tendere il braccio destro verso la pistola laser che gli era sfuggita nella caduta, ma si accorse di non riuscire più a comandarlo. Era disarmato.
Un altro boato, ed un’altra scarica di vegatron lo investì. Il dolore, insopportabile, si estese dal braccio a tutto il corpo. Duke strinse i denti e si impose di rialzarsi: non sarebbe rimasto in ginocchio davanti al suo aguzzino.
“Coraggio principe, alzati… devo ammetterlo, hai combattuto bene. Peccato che tu sia arrivato tardi” rise sguaiatamente. “Chissà cosa ti ha trattenuto?”
Senza fiato per lo sforzo, ora Duke era in piedi di fronte al suo nemico: a schiena diritta anche se barcollante, il braccio sinistro con il pugno stretto per impedire alla mano di tremare, l’altro che pendeva inerte sul fianco.
“Infame. Hai distrutto il pianeta… non abbiamo più la nostra patria, ma non l’avrà neanche Vega.”
“Non capisco a chi ti riferisci quando dici noi…il tuo popolo è finito, Fleed. Ma ci sono tanti altri pianeti, e conquistarli sarà più facile ora che possiamo avere Goldrake.”
Soddisfatto, Barendos puntò la pistola elettrica contro Duke per stordirlo. La caccia era stata fruttuosa: Vega sarebbe stato molto generoso con lui.

“A terra, Duke!”
Bryn?
I raggi della pistola laser colpirono Barendos al collo: il comandante veghiano cadde al suolo, la bocca piena di sangue.
“Fuggi!” Bryn fece appena in tempo a voltarsi e scaricare la sua arma contro le guardie che accorrevano in difesa del loro comandante prima di essere abbattuto. Dando fondo alle sue ultime energie, Duke strisciò nel fumo oltre il portone. Goldrake lo attendeva nel piazzale, la sua silhouette spiccava nel buio alla luce rossa delle esplosioni.

Si arrampicò a fatica fino all’abitacolo, pronto a eseguire gli ordini di suo padre. Doveva ignorare il terribile senso di vuoto che gli chiudeva lo stomaco, doveva obbedire… Il robot si sollevò, inseguito da uno stormo di minidischi; come un automa, Duke schiacciò i pulsanti per far partire le lame rotanti e distruggerli. Stava fuggendo…
Velocità fotonica!
Goldrake si slanciò oltre l’atmosfera.

Era tutto finito? Le battaglie, il dolore, la speranza di salvare il suo pianeta… la strada che aveva percorso non l’aveva scelta lui, ma si era impegnato a seguirla fino in fondo, dando tutto sé stesso; non era bastato.
Guardò il suo mondo che si allontanava, avvolto in un’innaturale coltre rossa di morte, un puntino vermiglio presto invisibile nella distanza. Fleed non esisteva più, e neanche il suo principe… Ora che la sua guerra, e la sua vita, volgevano alla fine, poteva finalmente tornare a essere solo Duke. Non aveva più paura: lacrime di consolazione scorsero sul suo volto. Lasciò che la stanchezza lo vincesse e si addormentò come un bambino, mentre Goldrake sfrecciava nel vuoto.

FINE

(per commenti definitivi: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st)


CODA
Le riserve energetiche di Goldrake si stavano ormai esaurendo. Al termine del suo lungo viaggio, il robot giunse in vista di un pianeta azzurro. Il pilota era incosciente ormai da molto tempo quando l'attrazione gravitazionale lo fece precipitare su una località sperduta del Giappone...

Edited by shooting_star - 5/7/2013, 23:18
 
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view post Posted on 16/7/2013, 15:04     +1   -1
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ECO ROBOT GREENDIZER!

L’”Aria sulla quarta corda” sfumò sui titoli di coda. Actarus andò verso la cucina, dove gli altri stavano prendendo una tazza di tè, in preda allo sconforto:
“Ragazzi, così non va. Parliamo tanto di difendere la Terra, ma ci sono moltissimi errori nel nostro operato! Ho appena visto un documentario.”
Venusia esclamò incuriosita: “Oh, Actarus!”
Alcor ribatté: “Se è l'ennesima replica di quel filmato sull’estinzione dei gorilla di montagna, piantala di sentirti in colpa per la fine del King Gori, se la meritava. Probabilmente Alberto Angela non ha mai visto la puntata 52!”
“Non è a questo che mi riferisco… il documentario parlava dell’effetto serra… se continuiamo così non ci sarà bisogno di Vega per ridurre la Terra come Fleed. Dobbiamo dare una svolta al nostro modo di agire… Tanto per cominciare da oggi Goldrake si chiamerà Greendizer!”
“Guarda fratello che si dice Grendizer, e che se ti chiami Goldrake è solo per un problema di doppiaggio”, disse Maria levando gli occhi al cielo.
“No, no, Green-dizer, con la doppia “e”…! D’ora in poi sarò il difensore della Terra e anche della natura! Di questa verde Terra!”
“Oh, Actarus!” esclamò Venusia con ammirazione.
“Tu per esempio Alcor… chiamare il tuo mezzo Goldrake 2 non ha molto senso se io piloto Greendizer… potresti guidare, che so, il… vediamo, qual è il simbolo del WWF? Ecco, il “Panda Spaziale”! Che ne dici?”
“Beh Actarus… non mi sembra adatto alla sua personalità… troppo pacioso, puccioso… potremmo fare “Aquila”, per piacere?”
“Tu non guardi i film della Disney, vero? Ma comunque, certo, ci sono sicuramente aquile in estinzione!”
Actarus si girò verso Venusia e le sorrise. “Delfino Spaziale” è semplicemente perfetto…”
“Oh, Actarus!” esclamò lei in ringraziamento.
“…e… Maria? Che ne dici di “Grillotalpa Spaziale”?”
“Eeeh? Grillotalpa? Dov’è il grillotalpa? Che schifo!” gridò Maria, già in piedi su una seggiola.
“Actarus, temo che il nome non le piaccia… senza contare che non mi risulta che il grillotalpa sia a rischio di estinzione...”
“…purtroppo”, concluse Maria.
“Allora… Toporagno? Talpa? Tarlo? Termite?”
“Santo cielo, qualcosa di meno disgustoso no?”
“Ok allora, vada per “trivella” finché non ci viene in mente qualcosa di meglio. E… padre?”
Il professor Procton sollevò preoccupato gli occhi dalla sua tazza.
“Tu sai bene il rispetto che ti porto... Non ho mai osato dirtelo, ma il tuo cognome mi ha sempre ricordato una specialità della medicina, come dire, utile ma sgradevole...”
Il ragazzo sorrise speranzoso.
“…che ne diresti di cambiarlo in “Compost”?”
“Mi sembra che si tratti di una cosa altrettanto sgradevole per quanto utile” rispose Procton pensando al cumulo maleodorante che Rigel teneva in un angolo del ranch. Ci aveva messo anni a superare le battutacce dei compagni di facoltà. “Non se ne parla. Discorso chiuso.”
“Ah… vabbè, meglio cominciare con un piccolo passo alla volta.”


“Eeek! Dov’è finita la mia moto?” L’urlo di Maria echeggiò alla base. E manca anche quella di Alcor! E la tua! Actarus, dobbiamo andare a denunciare il furto!”
“Ma no!... Ecco qua!” esclamò Actarus tutto contento scaricando dal furgone di Rigel quattro biciclette nuove fiammanti.
“Ho venduto le moto… Tutta quella CO2… Hai mai sentito parlare dell’effetto serra? Del riscaldamento globale? D’ora in poi andremo dalla fattoria al Centro con queste… e ci terremo anche in forma! Tutte quelle ore seduto alla guida mi stavano facendo venire un po’ di pancetta.”
“Oh, Actarus!” esclamò Venusia in segno di approvazione.
La sua moto? Alcor cercò di trattenere Maria dal colpire il fratello: voleva essere lui il primo a prendere Actarus a sberle. Cominciò: “Io ti picch…”
“Ottima idea, Alcor! Maria, che ne diresti di “Picchio Spaziale”?”
Presi alla sprovvista, i due ragazzi non seppero far altro che annuire. Mentre regolava l’altezza del suo sellino, Alcor ebbe un’illuminazione:
“Se proprio non vuoi che usiamo le moto, perché non prendiamo i cavalli? Più ecologico di così… Sono più veloci e si fa meno fatica…”
“Ah già, dimenticavo: mi sono anche iscritto al WWF. E non mi piace l’idea di sfruttare i nostri fratelli animali… è meglio che Silver rimanga a brucare tranquillo. Dai, facciamo a chi arriva primo alla fattoria? L’ultimo che arriva spala il letame!”
E partì alla volta della fattoria scampanellando allegramente.


“Oh, Actarus!” esclamò Venusia con il fiatone, mentre un Alcor visibilmente irritato spalava, a quanto pare senza condividere l’entusiasmo di Actarus, e di un buon numero di mosche e tafani, per un fertilizzante completamente naturale ed ecologico. Lo squillo del comunicatore di Actarus interruppe il suo lavoro: Procton – non insistere, Actarus, ho detto Procton – li stava chiamando.

I quattro ragazzi inforcarono i loro bolidi e sfrecciarono verso la base…
Sfrecciarono, si fa per dire. Era mezzogiorno e c’erano quasi trenta gradi di temperatura. A un certo punto Maria si rese conto che Alcor era rimasto indietro…
“Maledizione, mi è caduta la catena! Non preoccupatevi per me! Andate avanti, vi raggiungo!”

Sulla base Skarmoon, uno Zuril elettrizzato si sfregava le mani. Quel documentario gli aveva dato proprio una bella idea… Re Vega avrebbe smesso di lamentarsi dei costi eccessivi nella produzione di mezzi di offesa. Mostrò il grande rinoceronte con malcelato orgoglio.
“Un eco-mostro! Ho creato un eco-mostro! Guarda Gandal, ha un motore ibrido ad elevate prestazioni con emissioni ridotte di polveri sottili, il sistema di recupero dell’energia in frenata, ricircolo dei liquidi di raffreddamento, luci led a basso consumo, start-and-stop… devo lavorare ancora un po’ sulle emissioni di metano, è vero, ma, sai com’è, trattandosi di un erbivoro...” l’occhio gli sfavillava di entusiasmo.
Il viso del Comandante si aprì e apparve la sua consorte: “Molto carino, ma poco curato nei dettagli…si potrebbero avere la carrozzeria metallizzata ed i cerchi in lega?”
Il volto si richiuse e Gandal diede sfogo a tutta la sua irritazione:
“Zuril, devo ricordarti che noi siamo i cattivi? Quelli che hanno distrutto decine di pianeti con il vegatron? Che usiamo la radioattività anche per la macchinetta del caffè? Che dove passiamo noi non crescono più nemmeno le erbacce? E che ne siamo orgogliosi? Che ce ne facciamo noi di un eco-mostro?”
Il volto tornò ad aprirsi: “Ma insomma, proprio non sai nulla delle ultime tendenze! Questo è trendy! E' eco-chic!”
“Ed è completamente riciclabile!” rincarò Zuril.
Gandal prese il sopravvento sulla sua signora. “Finché Goldrake non lo farà esplodere.”
“Nessun problema, è anche biodegradabile, si ricicla nell’umido!”
Il comandante supremo scosse la testa, sconsolato. Due contro uno, non poteva farcela.

Al Centro Ricerche, Procton aspettava i suoi piloti davanti al video.
“Oh, padre, che bel documentario! Vuoi forse incoraggiare i nostri sforzi per salvare il pianeta mostrandoci che con i nostri piccoli sacrifici possiamo contribuire a evitare l’estinzione del rarissimo rinoceronte bianco dell’isola di Giava?” esclamò Actarus tutto pimpante, le gote appena arrossate dalla pedalata in salita.
“No, figliolo. Si tratta di un mostro di Vega che sta devastando Tokyo.”
Venusia, ancora ansante e coperta di sudore, esclamò “Oh, Actarus!” in tono di disapprovazione; Maria, ancor più ansante e coperta di sudore, stava per dire al fratello il fatto suo quando Alcor, anche lui ansante e coperto di morchia oltre che di sudore, si unì al gruppetto.
“La situazione è preoccupante.”
“Lo penso anch’io” commentò Alcor, “soprattutto per Actarus… rivoglio la mia moto!”
“Non è questo il momento per le tue pur comprensibili rivendicazioni… la Terra ha bisogno di voi! Andate!” esclamò Procton.
“Ma padre!” cominciò Actarus.
“Non m’importa se il rinoceronte bianco è nella lista dei dieci animali più a rischio, figliolo. Ne abbiamo già parlato. Distruggetelo e salvate Tokyo!”

I quattro corsero, con un po’ meno slancio del solito, verso i loro mezzi. Maria si accorse, ancora una volta, che Alcor era rimasto indietro…
“Maledizione, un crampo al polpaccio! Non preoccupatevi per me! Andate avanti, vi raggiungo!”

“Green-dizer, avanti!”
“Delfino Spaziale, avanti!”
“Picchio Spaziale (ma Maria dentro di sé pensava “picchio Actarus”…) avanti!

“Aquila Spaziale, avanti!”


Il rinoceronte stava allegramente passeggiando su un isolato di villette a schiera, mandando sinistri bagliori led dagli occhi ed emettendo dal corno raggi all’idrogeno (una tecnologia pulita, il futuro nel campo della distruzione planetaria, assicurava Zuril), quando i quattro eco-eroi arrivarono a fermare la sua avanzata devastante.

Actarus guardava dubbioso l’enorme rinoceronte. Forse era il caso di colpirlo con un proiettile soporifero - l’aveva visto fare su “National Geographic Channel” - per poi trasportarlo in un pianeta in cui non potesse fare troppi danni, magari a casa sua, a Vega…
“Guardate che occhi buoni… in fondo non è colpa sua se ha già ucciso qualche centinaio di persone… Vega dovrà pagare anche per questo!” esclamò sdegnato.
Maria e Alcor, che avevano voglia di andare un po’ più per le spicce, colpirono il mostro con i loro raggi ciclonici, ribattezzati per l’occasione “raggi biodegradabili”… ovviamente non era vero, ma suonava molto bene.
Il mostro, irritato, sollevò il capo e sparò un raggio all’idrogeno proprio su Goldrake che era fermo di fronte a lui, mentre Actarus ancora rifletteva.
“Oh, Actarus!” esclamò Venusia preoccupata.
Di fronte all’attacco del mostro, la coscienza ambientalista di Actarus fece un rapido passo indietro per lasciare il posto al maglio spaziale - pardon, naturale.

“Ma brutta bestiaccia! Boomerang ecologici!”
Le mezzelune rimbalzarono sulla carrozzeria, non metallizzata ma molto solida, dell’eco-mostro, che avanzò ancora, gettando Goldrake a terra…
“Oh, Actarus!” esclamò Venusia francamente terrorizzata.

Sulla base Skarmoon, un gongolante Zuril e un Gandal speranzoso osservavano la lotta tra il mostro e il robot.
“Vai Eco-mostro! Distruggi Goldrake… Green-dizer… insomma fallo a pezzi!”

Il mostro non si muoveva.
“Eco-mostro! Mi senti? Fai il tuo dovere! Uccidi Duke Fleed!”
Nessuna reazione.
Zuril mise in azione il computer oculare. Non potendo diventare rosso, il suo viso assunse un’accesa tonalità verde bandiera. SI schiarì la voce tossicchiando, poi con un tono fintamente tranquillo, spiegò:
“Pare che si sia fulminato il motorino dello start-and-stop. Una tecnologia migliorabile.”
Un istante dopo, l’effetto combinato dei raggi biodegradabili e del tuono ambientale faceva saltare in aria il mostro, in una nuvola di vapore acqueo.
“Te l’avevo detto che era a basso impatto” ribadì Zuril a un Gandal fuori di sé.

Greendizer, l’Aquila, il Delfino e il Picchio spaziale tornavano soddisfatti al Centro Ricerche sullo sfondo infuocato del tramonto.
Il timer della puntata ticchettava... quasi ventidue minuti. Era il momento del discorso.
Actarus pensò alla battaglia vittoriosa e declamò con voce un po' impostata: “Ancora una volta abbiamo salvato questa verde Terra!”
Maria e Alcor pensarono alle loro moto e commentarono acidi: “Vediamo se ti salvi da noi quando atterriamo! I sorci verdi ti facciamo vedere!”
Venusia pensò agli sceneggiatori... e non esclamò niente.


Per eventuali eco-commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st
 
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ECO ROBOT GREENDIZER E LA RACCOLTA DIFFERENZIATA!

Il sole si abbassa lentamente sull’orizzonte, lingue di luce rossa infuocano l’oro del cielo a occidente… Ma cos’è quella figura piegata in due il cui profilo si staglia contro gli ultimi bagliori del tramonto?
È forse Goldrake – ora meglio noto come Green-dizer? E sono forse, quei mezzi volanti che gli si affaccendano intorno, come ad aiutarlo, i suoi fidi amici – l’Aquila, il Delfino ed il Picchio Spaziale?
Che cosa ha ridotto in ginocchio il nostro eco-eroe? Riavvolgiamo…

È una mattina come tante altre al Ranch Betulla Bianca. Actarus sta facendo la sua abituale eco-colazione: uova da galline allevate a terra, latte a chilometri zero, biscotti fatti in casa.
“Venusia, questi biscotti ai cereali integrali biologici sono buonissimi… anche per la nostra verde Terra!”
“Oh, Actarus!” esclama lei ancora un po’ insonnolita: da quando Actarus ha impresso la svolta ecologica alla serie si deve alzare alle cinque per preparare tutto, ma cerca di convincersi che ne vale la pena.
Actarus si alza, raccoglie gusci e briciole e va a gettarli nel contenitore dell’umido…
Ahia, ancora una volta ci trova l’involucro in plastica del superdiserbante iperchimico che Rigel si ostina a usare nei campi.
Con le mani nei capelli e la bottiglia in mano, corre dal fattore con l’intenzione di spiegargli per l’ennesima volta come conferire correttamente i rifiuti – e cercare inutilmente di convertirlo all’agricoltura biologica… mentre corre, vede una a terra l’incarto di un chewing-gum (ah, quel birichino di Mizar!), si china e lo raccoglie per gettarlo nell’apposito cassonetto.
Certo, si dice, questo periodo di assestamento è un po’ duro per tutti, ma per il bene del pianeta si può fare questo e altro! Il petto gonfio d’orgoglio, si dirige nel cortile, dove ha fatto sistemare i quindici contenitori per la raccolta differenziata; sta per sollevare il coperchio del primo – plastica – quando una voce alle sue spalle lo fa sobbalzare.
“Salve, è lei il signor Actarus Procton?”
L’incarto del chewing-gum e la bottiglia del diserbante cadono a terra…
“Ahi ahi, cominciamo male!”
L’omino guarda da sotto in su quel giovinastro spettinato: “Un attimo, che prendo un appunto: inquinamento a terra da rifiuti riciclabili… ecco.”
Rialza gli occhi dal taccuino, e Actarus vi legge sgomento uno sguardo di riprovazione.
“Piacere: Ufficio Gestione Ambientale. Sono il Signor Blücher.”
I cavalli nitriscono.
“Lei lavora al Centro Ricerche Spaziali, vero? Abbiamo ricevuto una denuncia anonima secondo la quale le vostre attività sono altamente inquinanti… la prego di accompagnarci per un sopralluogo. E da quello che vedo la situazione è veramente grave anche qui… cosa le costa gettare quei rifiuti al loro posto? Si vergogni! Li tiri su da terra e proceda immediatamente! (a parte) Ah, questi giovani!”
Venusia, che ha visto tutto, esclama impensierita “Oh, Actarus!”
Ma lui, sollevato dal fatto che non si tratta di un nemico venuto dallo spazio ma di un terrestre alleato nella sua lotta contro la distruzione del pianeta, risponde con convinzione:
“Non si preoccupi, signor Blücher" un nitrito "sono certo che potrò dimostrarle che si tratta di un’accusa fasulla! Al centro ho impo… abbiamo adottato una politica ecologica molto rigorosa! E… mi sa dire se l’incarto del chewing-gum va nella carta o nella plastica?”
“Ma si documenti!”
L’omino alza gli occhi al cielo visibilmente seccato, poi fa dietro-front e salta sul suo SUV, mentre Actarus lo segue in bicicletta.

Quando Actarus arriva al centro trova il SUV che blocca l’ingresso alla rastrelliera cui sono già legate le bici di Alcor e Maria. Come hanno fatto ad arrivare prima di lui? Lega il mezzo con la catena a un paletto all’ingresso e corre verso la sala dove è in corso la riunione.
“Ah lei, le sembra rispettoso del mio lavoro metterci tanto ad arrivare? La informo che non sono qui per sprecare il mio tempo!” esclama l’omino irritato quando finalmente Actarus, ansimante, gli si trova davanti.
Alcor e Maria, per niente sudati, ridacchiano, mentre Procton cerca di calmare le acque: “Figliolo, questo signore sostiene che noi non mettiamo adeguatamente in atto la raccolta differenziata. Gli ho suggerito di attendere il tuo arrivo affinché tu potessi illustrargli ciò che noi facciamo per la salvaguardia dell’ambiente.”
“Certo, padre!” Actarus tira fuori il suo sorriso migliore, quello che fa sciogliere anche i sassi… ma solo Venusia, arrivata anche lei nel frattempo, lo nota, esclamando in estasi “Oh, Actarus!”
“Come può vedere signor Blücher – in mancanza di cavalli, gli assistenti di Procton fanno la ola – tutto il nostro operato qui ha l’unico scopo di difendere il nostro pianeta! La verde Terra!”
Solleva fiducioso le sopracciglia, sgrana gli occhi… inutile. Un altro timido sorriso viene incenerito dallo sguardo severo di Blücher.
“A tal proposito ho anche suggerito agli assistenti di mio padre di cambiare i loro nomi da Yamada, Hayashi e… coso… insomma, di cambiare il loro nome in Ry Duci, Ryu Tilizza e Ry Cicla… come le tre R…”
“E loro?” chiede il funzionario.
I tre rispondono in coro: “Non se ne parla!”
Un altro appunto finisce sul taccuino: “Atteggiamento oppositivo”
“Avevo proposto anche a mio padre…” lo sguardo di Procton fulmina Actarus che non se la sente di proseguire, e torna ad illustrare le meraviglie del nuovo corso.
“Tutti i nostri mezzi hanno propulsori a fotoquantum … niente combustibili fossili, niente CO2! E anche le armi sono eco-sostenibili! Abbiamo l’alabarda biologica e le lame biodinamiche!”
“Sì, ma quando si chiamavano “spaccatutto” facevano tutto un altro effetto…” sussurra Maria ad Alcor.
L’omino scrive: “far notare a questi mentecatti che il fotoquantum non esiste e che con i pannelli solari che hanno loro al massimo ci si ricarica il telefonino” e risolleva gli occhi.
“E anche i nostri computer sono alimentati in modo pulito, guardi!”
Con malcelato orgoglio mostra all’omino le postazioni ipertecnologiche di Hayashi, Yamada e… comunque si chiami: sotto i sedili ci sono pedali su cui i tre assistenti devono pigiare indefessamente se non vogliono che i loro elaboratori si spengano.
“Tra l’altro Ry Duci, volevo dire, Hayashi ha già perso cinque chili!”
“E anche la pazienza!” esclamano in coro i tre assistenti.
“Mi segua, le faccio vedere la postazione della differenziata.”
Lungo dieci metri di parete, i contenitori sono ordinatamente allineati: carta, vetro (bianco, verde, marrone), plastica (diversi tipi), alluminio, pile, toner, oli, umido… e infine, indifferenziato.
Blücher apre a caso il contenitore della carta: contiene effettivamente carta.
Rovista tra le pile e la sua irritazione cresce: solo pile.
Che abbia fatto il viaggio a vuoto? Eppure la denuncia era ben circostanziata: rifiuti speciali pericolosi in gran quantità.
L’umido lo sbagliano sempre tutti: “Ah - ha. Qui c’è della plastica.”
“Controlli pure signor Blücher… è PLA, si fa con il mais… sa, qui abbiamo anche eliminato le bottiglie di plastica…”
“D’accordo”, concede di malavoglia il solerte funzionario, di pessimo umore. “Sembra che all’interno del Centro la situazione sia accettabile anche se migliorabile. Ma…” un colpo di genio: si affaccia alla finestra che dà sulla valle. “Ma…quello?”
Sparsi nella verde erba della verde vallata sfavillano al sole innumerevoli rottami di mostri di Vega. Zampe, artigli, corazze…
“Questi sono rifiuti speciali! Radioattivi per di più! Ecco! Non avete il cassonetto per i mostri! Dov’è il cassonetto per i mostri?”
“Ma…” Actarus per una volta è preso davvero alla sprovvista “dove possiamo mettere un contenitore così grande…”
“Questo è un problema vostro!” ridacchia, finalmente soddisfatto, l’omino. “O lo risolvete, o una megamulta, anzi, una multa galattica, non ve la toglie nessuno!”
“Oh, acc.. cioè, oh, Actarus!” esclama Venusia preoccupata.

Il signor Blücher esce dal Centro Ricerche Spaziali sbattendo la porta con fare indignato, si assicura che nessuno lo veda e grida “hippy-ya-ye!” battendo tra di loro i calcagni; poi monta sul suo SUV e se ne riparte travolgendo la bicicletta di Actarus, non senza essersi appuntato sul suo taccuino che deve segnalare ai vigili la necessità di una visita al Centro per rimuovere i velocipedi dai luoghi non consentiti per la loro sosta.

Riavvolgiamo ancora…
Qualche ora prima, Base Skarmoon. Gandal è impegnato nella messa a punto del nuovo mostro: sguardo demoniaco, artigli d’acciaio, alimentato completamente a vegatron… qualcosa che sta all’eco-mostro di Zuril come un Hummer a un monopattino.
“Coraggio, bello di papà… dì qualcosa.”
Un’emissione di gas velenoso sfugge dalle fauci aperte dell’essere infernale.
“Splendido!” esclama Gandal con gli occhi che brillano, anche per l’accesso di tosse causato dall’esalazione. “Ti chiamerò Mostro Cof-Cof!”
“Tsk” Zuril scuote la testa alle sue spalle.
“Guarda collega, questo sì che è un mostro… cattivo e inquinante, proprio come piace a me! Ma… cosa stai facendo?”
Ridacchiando sornione, Zuril appende alla parete un poster su cui campeggiano le parole “Riduci, Riutilizza, Ricicla”.
“Questo sarà il nostro motto d’ora in poi!”
“Basta paturnie ecologiste! Qui nessuno è verde!”
Gandal osserva meglio il ministro della Scienza: “Beh, tu in effetti un po’ verde lo sei.”
“Non farò caso al tuo commento razzista e punterò a un argomento che anche tu puoi comprendere…il risparmio!”
Il volto di Gandal si apre per lasciar intervenire la moglie.
“Visto? Non sono solo io che ti do del tirchio! Qui lo sanno tutti! Mai un regalino!”
Il viso si richiude immediatamente.
“Di questo ne parliamo dopo. Risparmio, dicevi?” Gandal appare finalmente interessato.
“Non ti sarà sfuggito che c’è la crisi”, spiega Zuril serafico. “Quanti mostri ci hanno distrutto? Mostri nuovi dico! Con quello che costano le superleghe! E con il serbatoio pieno! Lo sai a quanto è arrivato il prezzo del vegatron al barile?”
“Sai meglio di me che stiamo ancora pagandoci su le tasse per la guerra contro Fleed. Dunque cosa proponi?”
“Credevo che tu sapessi leggere.” Zuril inarca il sopracciglio. “Riduciamo lo spreco. Riutilizziamo i pezzi usati. Ricicliamo i mostri. E risparmiamo… dobbiamo solo recuperare i pezzi usati.”
Il computer oculare mostra l’Ufficio Gestione Ambientale. Sullo schermo si proietta il volto di un omino dall’aria solerte.
“Questo è il signor Blücher.”
Dalla gabbia del King Gori un terribile ruggito scuote la base.
“Sarà lui il nostro alleato… basterà inviargli una denuncia anonima”

Torniamo all’inizio…
Ed ecco che Greendizer, pilotato da un Actarus in preda a devastanti sensi di colpa, si trova in ginocchio nella valle a raccogliere uno ad uno i pezzi di robot che anni di scontri vi hanno disseminato.
“Come ho fatto a non pensarci… sono stato un incosciente. Tieni, Aquila, getta questo nel cassonetto delle teste. Delfino? Questo credo che sia un artiglio. E questo… ah no, questo è il vicino di casa. Scusa Banta, ti metto giù subito!”

Dopo tre durissimi giorni di raccolta certosina, la valle è tornata al suo antico splendore, il ruscello brilla riflettendo i raggi del sole, gli uccellini cinguettano nel cielo… e i nostri eco-eroi tornano alla base con dieci container separati per tipologie.
“Coraggio ragazzi, ora ci facciamo una bella pedalata fino alla fattoria e domani pensiamo a come smaltire tutti questi rifiuti… meno male che quel signore gentile ci ha reso consapevoli del nostro errore!”
“Oh, Actarus!” esclama Venusia con partecipazione.
“Andate pure avanti voi, noi prendiamo la scorciatoia alternativa… abbiamo proprio voglia di una bel giro in bici sotto il sole, vero Maria?”
“Certo Alcor!”
Appena sono certi di essere soli, accendono il motorino elettrico – pesantemente truccato – che hanno applicato alle biciclette e si lanciano lungo la strada a tutta velocità.
“Meglio che niente… in attesa che al concessionario arrivino le moto che ho ordinato” sospira Alcor.

Ancora una volta Alcor e Maria arrivano prima di Actarus e Venusia, e senza alcun accenno di fiatone. Actarus è orgoglioso dei progressi dell’amico:
“Visto Alcor, che miracoli che fa un buon allenamento? Ti ricordi i crampi dei primi giorni?”
Venusia, cui Maria ha confidato tutto, esclama “Oh, Actarus!” scuotendo la testa.

Il giorno dopo, la mattina presto, un tizio dal colorito olivastro con occhiali da sole scuri e grandi orecchie suona circospetto alla porta del ranch Betulla Bianca per contrattare con Rigel la vendita di quel materiale di scarto che è accumulato nell’aia.
“Davvero vuole prendersi quella robac… cioè quel prezioso materiale? Ma lo sa che è di provenienza spaziale? Lei mi è simpatico però, le farò un prezzo di favore!”

Di nuovo alla base Skarmoon: stavolta è Zuril a inorgoglirsi per la sua nuova creazione. Ha corpo di granchio, testa di toro, coda di topo, una zampa di leone ed una da canguro; le braccia sono lunghe, gialle, con due grossi pugni in fondo.
“Hmm, forse queste non sono originali veghiane, ma mi sembrava che ci stessero bene.”
Gandal è poco convinto, ma sua moglie è tutta un gridolino entusiasta:
“Sei il solito zuccone, non vedi più in là della tua navicella spaziale! questo è mix-and-match, è patchwork, con un tocco vintage! È l’ultimo grido!”
Gandal, richiusa la faccia, effettivamente grida: “Continua così e ti annullo l’abbonamento a Vogue Vega! E … le armi?”
“Ecco, ci sto lavorando. Pensavo al raggio all’idrogeno recuperato dall’eco-mostro…” lo sguardo di Gandal non promette niente di buono “ma ho anche trovato un serbatoio di vegatron che suona pieno, preso da un mostro dell’anno scorso. Non dovrebbe essere ancora scaduto. Vediamo… mostro, avanza!”
Il mostro si muove emettendo un suono sferragliante.
“Va bene. Ti chiameremo “Mostro Pot-Pot””

Mentre la pattuglia ecologica si precipita a salvare la Terra per l’ennesima volta, Actarus non riesce a reprimere una sensazione di dejà-vu:
“Io quella testa di toro l’ho vista da poco… e le braccia, non sono quelle di Boss Borot?”
“In effetti ha l’aria un po’ raffazzonata… questo è un mostro di riciclo. La crisi deve picchiare duro anche su Vega”, conferma Alcor.
“Ehi, ma quello non è il serbatoio di vegatron che avevamo riempito di viti e bulloni?”
“Brava Maria! Se lo colpisci con la lama spac… voglio dire biodinamica la battaglia è già finita!”
“Certo fratello… che ne diresti di spostarci sul mare però? Così evitiamo di dover raccogliere tutto daccapo!”
“Ma Maria, e l’inquinamento ambientale? I nostri amici pesci? Le tartarughe? Le balene?”
“Oh, Actarus!” esclama Venusia chiaramente scocciata.
“Ok, Venusia, se la metti così vorrà dire che solo per stavolta ci passeremo sopra… con te proprio non si può discutere!”
Cinque minuti, e Pot-Pot esplode sul mare. Il guscio di granchio si posa dolcemente sul fondo marino, per essere subito colonizzato da coralli e pesci: ed il vegatron conferisce loro fattezze nuove… occhi multipli… pinne artigliate… quando Zuril li troverà funzioneranno benissimo come mostri, e ancora una volta niente sarà andato sprecato.

La puntata volge al termine, e l’eco-pattuglia è ormai in vista della base. Restano solo pochi secondi, urge discorso…
“Alcor, Maria, com’è che siete diventati così veloci in bicicletta?” chiede Actarus.
“Ecco…”

Tempo scaduto.
Titoli di coda.

Per uova da allevamento a terra e pomodori da coltivazione biologica: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st

Edited by shooting_star - 22/7/2013, 17:07
 
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Questo racconto si svolge parallelamente ad alcune delle puntate della parte finale dell'anime, più o meno dalla 66 in poi; ed è dedicato a Isotta, che mi ha convinto a tirarlo fuori dal cestino e a lavorarci su!

Un'annotazione riguardo i nomi: ho preferito usare i nomi giapponesi perchè alcuni - Procton in particolare, ma anche Alcor e Venusia - li trovo un po' ridicoli, e soprattutto perché non sono realistici per personaggi che vivono in Giappone (d'accordo, ammetto che anche i robottoni non sono realistici.) Al tempo stesso non vedo perché un robot proveniente da un pianeta remoto debba usare comandi in inglese; così, visto che il racconto è scritto in italiano, ho lasciato in italiano i nomi delle armi. Se qualche lettore lo trova incoerente, ha pienamente ragione.

PASSAGGIO
1.
Anche solo sfilarsi la maglia era un tormento. Stringendo i denti, Daisuke lasciò che il professor Umon lo aiutasse a scoprire la ferita e a sdraiarsi sul lettino. Quasi non osava guardare il braccio destro, vedere quanto le radiazioni avevano fatto estendere la cicatrice. Forse non avrebbe fatto in tempo a vedere la sconfitta di Vega.
Alzò lo sguardo verso suo padre, e lesse l’angoscia nei suoi occhi: gli restava poco.
“Padre, la fine si sta avvicinando… quanto tempo mi rimane?”
In silenzio, Umon accese la macchina per la terapia ed iniziò a irradiare la lesione.
“Padre, ti prego. Mesi, settimane… giorni?
Per qualche secondo l’unico suono fu il ronzio dell’apparecchio. La voce del professore esitò.
“Mesi, spero. Se tutto va bene, se non ti esponi troppo… due mesi. Forse due mesi e mezzo. Dirò ai ragazzi di proteggerti.”
“Non possono fare più di quello che fanno ora,” scosse la testa “sono io che dovrei proteggere loro… e non ci riesco più.”
Era tanto che ci pensava, doveva dirglielo.
“Devo cominciare ad addestrare Koji a pilotare Grendizer”.
“Sto studiando giorno e notte per trovare una cura. Ti prometto che la troverò.”
“L’addestramento alla guida di Grendizer è durato quasi un anno… ma io ero solo un ragazzino, Koji è un pilota esperto. Imparerà in fretta.”
Guardò il padre negli occhi e li vide riempirsi di lacrime. Gli faceva male parlargliene, ma non aveva scelta: del resto Umon era un uomo di scienza, se gli avesse mentito se ne sarebbe reso conto.
“Padre, oggi sono stato almeno due volte a un passo dal perdere i sensi. Presto non sarò più in grado di combattere, e la fine della guerra è ancora lontana; e voi avrete bisogno di Grendizer anche quando io non ci sarò più.”
“Daisuke…”
“Non piangere per la mia morte, padre… sarei dovuto morire molto tempo fa, insieme ai miei compagni. Avrei voluto assistere alla fine di Vega, ma questo è ciò che mi merito per aver abbandonato la mia patria. Mi è stato concesso di riscattarmi qui… non credo che vedrò la vittoria, ma sono felice per aver contribuito.”
Accennò un timido sorriso.
“Sono certo che Koji saprà fare molto bene.”
“Daisuke, se tu non avessi lasciato il tuo pianeta e non fossi arrivato qui, ora non solo Fleed, ma anche la Terra sarebbe nelle mani di Vega. Hai fatto la scelta migliore, la più giusta anche se forse la più dolorosa.”
Il giovane scosse di nuovo il capo.
“Ho solo obbedito agli ordini di mio padre, e non c’è giorno che non me ne sia pentito… l’oblio della morte sarebbe stato tanto più dolce di questa guerra senza fine. Ma amo questo pianeta azzurro e sono pronto a qualsiasi cosa per difenderlo, anche a ritirarmi dalla lotta quando diventerò inutile.”
Sfiorò la cicatrice con la mano e non riuscì a trattenere un brivido.
“Ormai non mi dà un attimo di tregua, sai? Il dolore è quasi intollerabile, sempre, giorno e notte. Eppure è un bene… mi ricorda che il tempo è poco e che devo darmi da fare.”
Non aveva ancora finito di parlare quando la porta si aprì ed entrò Koji. Aveva sentito? Daisuke raccolse tutte le sue forze per alzarsi, ma ciò che il suo amico vide fu il volto pallido e tirato, il sudore che brillava sul viso e sul petto; la brutta cicatrice che dal braccio destro aveva esteso i suoi tentacoli rossi fino alla base del collo. Il principe di Fleed stava soffrendo, e il suo sorriso forzato non riusciva a nasconderlo.
“Daisuke. Come stai?”
“Molto meglio.”
Cercò di saltar giù dal lettino ma un capogiro lo fece vacillare. Con noncuranza, si sostenne sulla seduta ma l’espressione preoccupata di Koji gli fece capire che non era riuscito a ingannarlo.
“Sto male… non credo che ne avrò ancora per molto. Padre…”
Il professor Umon annuì.
“Credo che dovresti imparare a pilotare Grendizer.”
“Non dirlo neanche per scherzo!”
“Non sto scherzando, Koji. Potrei morire molto presto, prima della sconfitta di Vega; e se così fosse, voglio che sia tu a prendere il mio posto. Gli Spacer possono poco senza Grendizer, e tu sei la persona più adatta a guidarlo.”
“Ma i sistemi di sicurezza… “
“Si possono disattivare. Se vuoi possiamo cominciare oggi stesso.”
“Certo che voglio… ho sempre desiderato pilotare Grendizer. Ma non al posto tuo.”
Daisuke sorrise: “Tranquillo… ci vorrà ancora un po’ prima che venga il tuo turno!” Il suo era un sorriso sincero, stavolta: finalmente era riuscito a sciogliere il nodo che si portava dentro da tempo. C'era qualcuno che sapeva, e che avrebbe capito.
“E le ragazze?”
Aveva sperato che Koji non lo chiedesse... il suo sguardo tornò a rannuvolarsi. Non se la sentiva, non ancora.
“Forse è meglio aspettare. Padre…”
“È loro diritto sapere, e devi essere tu a dirglielo, Daisuke. So che non appena sarai pronto lo farai.”

“Non è difficile rimuovere il sistema di allarme… basta un comando vocale.”
Daisuke si avvicinò a Grendizer finché gli occhi del robot non lampeggiarono.
“Disattiva il sistema!”
Gli occhi del robot lampeggiarono due volte.
“Ecco fatto. Vieni avanti… ora l’allarme è disattivato. Quando sarai a bordo faremo in modo che venga riattivato per chiunque tranne te e me.”
“Tutto qui?” Koji avanzò lungo la passerella, con un misto di curiosità e inquietudine. Quante volte aveva desiderato quel momento… ma non era così che l’aveva immaginato, non era giusto. L’abitacolo si aprì: Daisuke entrò per primo e tese la mano per aiutare l’amico.
“Tutto qui… quasi. Grendizer identifica la mia voce e analizza automaticamente le mie onde cerebrali. Se i circuiti cerebrali fossero modificati non mi riconoscerebbe.”
Mentre Koji, con gli occhi sgranati, osservava per la prima volta la cabina di comando dello Spacer, Daisuke spiegò:
“Gli scienziati di Fleed conoscevano l’abitudine di Vega di condizionare i prigionieri, e volevano evitare che la nostra arma più potente – la nostra unica arma – finisse nelle mani del nemico.”
“Quindi i Veghiani sanno che solo tu puoi pilotare Grendizer?”
“Lo sanno molto bene…”
Duke esitò un attimo: non ne aveva mai parlato con nessuno, neanche con Umon.
“Quando decisero di rompere l’armistizio, Grendizer era nelle loro mani, ma il sistema di allarme fulminava chiunque si avvicinasse. Mi interrogarono a lungo per sapere come disattivarlo.”
“Ti hanno torturato?”
“Come tutti i prigionieri.”
Daisuke chiuse gli occhi, ricordando.
“Ho partecipato alla resistenza su Grendizer. I miei compagni erano quasi disarmati, ma hanno difeso Fleed fino all’ultimo, finché Vega ha scelto di annientarlo. Grendizer era la nostra ultima speranza… ma non è stato sufficiente.”
Si riscosse, aveva raccontato anche troppo.
“Basta ora, guarda qui.”
Daisuke indicò le manopole.
Prima di tutto dobbiamo insegnare a Grendizer che sei un amico. Mettiti al mio posto e posa le mani su entrambe le manopole… così. Ora chiudi gli occhi e grida il tuo nome.
“Koji Kabuto!”
“Molto bene, altre due volte.”
“Koji Kabuto! Koji Kabuto!”
La voce risuonò nell’abitacolo:
Duke Fleed concede a Koji Kabuto il comando?
“Sì… Duke Fleed condivide il comando con Koji Kabuto.”
Daisuke si voltò sorridendo verso Koji per trovarlo che singhiozzava.
“Questo non è giusto… Grendizer è tuo, hai rischiato la tua vita per difenderlo e ora lo dai a me… non lo merito…”
“Tu lo meriti più di chiunque altro. Ne hai evitato la sconfitta innumerevoli volte. E presto lo porterai alla vittoria.”
“Voglio che sia tu a farlo, Umon troverà una cura…”
“Me lo auguro anch’io, ma nel frattempo dobbiamo preoccuparci di ciò che accadrà se non ci riesce. Rimetti le mani sulle manopole. Koji, ti prego! Rimetti le mani… bene. Ora, le armi partono chiamandole per nome e prendono la direzione impartita dalla manopola. Dovremo registrare i tuoi comandi vocali, e sarà un lavoro lungo. Cominciamo.”

Dopo tre ore, Koji e Daisuke tornarono alla fattoria. Daisuke era provato, ma sereno: come previsto, Koji era un ottimo allievo.
A cena, Koji osservava l’abilità con cui Daisuke sapeva dissimulare la sua sofferenza: nessuno avrebbe sospettato lo strazio che ogni movimento del braccio destro provocava nel giovane che scherzava allegramente con Maria e Hikaru.
“È bello vederti così di buon umore, fratello!”
“Oggi non ci hanno attaccato. È stata una buona giornata, vero Koji? Tutto il giorno in officina…”
Koji annuì, l’aria assente.
“Ehi Koji? Scendi dalle nuvole… a cosa stai pensando?”
“Koji, tutto a posto?” Maria alzò le sopracciglia preoccupata.
Non poteva rischiare che intuisse, meglio allontanarsi.
“No, sono solo un po’ stanco… tuo fratello è uno schiavista!”si sforzò di ridere. “Credo che andrò a riposarmi…”
Sgusciò via dalla stanza sentendosi quasi colpevole; solo ora cominciava a intuire il peso che il suo amico portava chiuso nel suo cuore. Per la prima volta Daisuke, anzi Duke, gli aveva lasciato intuire qualcosa del suo passato. Sarebbe stato degno di pilotare il robot che era stato l’ultima difesa del suo pianeta perduto?

- - -

Nell’inverno gli attacchi di Vega si seguirono in un crescendo che alternava alla brutalità l’inganno: così come Duke, anche i nemici sembravano aver fretta di precipitarsi verso lo scontro finale. Per il Centro di Ricerche Spaziali, impegnato nella progettazione di nuovi veicoli che potessero finalmente uscire dall’atmosfera per poter identificare e attaccare le postazioni veghiane, sarebbe stato impossibile creare un simulatore: l’addestramento di Koji si svolgeva direttamente su Grendizer nei pochi momenti lasciati liberi da perlustrazioni o combattimenti, mentre Maria e Hikaru erano così impegnate nelle ricognizioni da non rendersi conto delle frequenti assenze dei loro compagni.
L’esperienza fatta sul Mazinger aveva preparato solo in parte Koji a quello che lo attendeva: memore della durezza del proprio addestramento su Fleed, Duke sapeva essere un maestro severo sino alla spietatezza. Grendizer doveva diventare un’estensione del pilota, quasi della sua anima, e ogni gesto doveva essere naturale ed automatico anche nelle situazioni più critiche.
Il grande robot si controllava non solo con il corpo ma anche con la mente: era necessaria molta forza, sia fisica che mentale, per dominare la tecnologia aliena di un organismo così complesso, che non concedeva nulla al caso e richiedeva sempre la massima concentrazione. Nonostante le rassicurazioni di Duke sui progressi compiuti, sempre più spesso Koji, stremato, scendeva da Grendizer convinto che non sarebbe mai stato all’altezza del suo compito.

Gli anni di guerra contro Vega avevano insegnato ai due giovani ad affidare la propria vita l’uno nelle mani dell’altro; ma solo in quegli ultimi mesi Koji aveva avuto l’impressione che Daisuke lo considerasse finalmente suo amico. Come lui, aveva dovuto imparare a pilotare Grendizer in tempi stretti, sotto l’incalzare di una guerra incombente, e sembrava rivedere nelle incertezze e nei timori di Koji le sensazioni che aveva provato lui la prima volta che si era messo alla guida del robot; forse anche per questo, nelle interminabili ore trascorse ad esercitarsi su comandi e manovre, si era lasciato sfuggire qualche accenno a ciò che aveva dovuto affrontare sul suo pianeta.
Nomi, episodi che aveva cercato inutilmente di dimenticare… brandelli della storia di una guerra persa, orrore per ciò che era stato necessario compiere, rimpianto per un mondo che era stato felice, perduto per sempre. Una sorte che era loro dovere evitare alla Terra, ad ogni costo.

- - -

“So che molti sulla Terra credono in una vita dopo la morte. Sul mio pianeta non avevamo questa credenza: per noi l’unico modo per sopravvivere era nel ricordo di chi ci ha conosciuto e amato. Maria per fortuna ha dimenticato la guerra, voglio che di Fleed ricordi solo la bellezza e la pace… “
La mano di Daisuke si posò accanto a quella di Koji sulla balaustra della terrazza.
“Ma so che tu non dimenticherai. E finché qualcuno si ricorda dei miei compagni, di come hanno lottato per salvare il pianeta verde, essi non moriranno. È una grande consolazione.”
Con la gola che gli si chiudeva, Koji cinse con il braccio le spalle dell'amico.
“Neanche tu morirai… nessuno di noi potrà mai dimenticarti.”
Daisuke si abbandonò per un istante al calore di quella stretta. Con un gesto ormai abituale, portò la mano al braccio destro, a quella ferita che lentamente stava portando via la sua vita.
“Non penso alla morte con paura. È da tanto che la sento avvicinarsi, sono pronto… ora che so che tu potrai condurre Grendizer alla vittoria, l’unica cosa che mi addolora è sapere che i miei amici soffriranno per la mia fine.”
Dalla finestra della base, il professor Umon osservava i due giovani ammirare in silenzio la bellezza sfolgorante del tramonto, gli ultimi bagliori di luce prima del buio.

...continua...

Se vi va di dire che cosa ne pensate: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st
 
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2.
“Daisuke, ho pensato a una modifica del Double Spacer… se sarai d’accordo ne parleremo anche con Koji.”
“Perché non subito, padre? È lui il pilota del Double Spacer.”
Umon sembrava in imbarazzo mentre stendeva i disegni sul tavolo della sala riunioni.
“Perché riguarda te… nel caso perdessi il controllo di Grendizer.”
Dietro l’espressione neutra, il significato era chiaro: ogni battaglia poteva essere l’ultima, lo sapevano entrambi. Daisuke annuì.
“Ho ipotizzato un passaggio interno per permettere al pilota del Double Spacer di passare nella cabina di pilotaggio di Grendizer e prenderne i comandi.”
Indicò sul foglio la correzione al progetto originale del veicolo di Koji.
“Il distacco sarebbe possibile con qualche modifica al pilota automatico… e il pilota di Grendizer verrebbe trasportato automaticamente sul Double Spacer, anche se fosse incosciente.”
Umon abbassò gli occhi sul foglio.
“Mi dispiace, figliolo…”
Daisuke tacque per un momento: era una situazione che si sarebbe presentata molto presto.
“Mi sembra un’ottima idea, padre. Dovremmo cominciare a lavorarci subito. Sono certo che Koji ne sarà entusiasta.”
“Come procede il suo addestramento?”
“Bene… anche se è più difficile del previsto. Grendizer non è stato creato sui canoni terrestri. Koji non si risparmia, ma non ha la forza fisica o la resistenza allo stress di un fleediano; e usare i comandi mentali è molto faticoso, anche per me. Pilotare Grendizer gli costa uno sforzo che posso solo immaginare… ma ce la farà, non ho dubbi.”
La sua espressione sembrava negare le parole che aveva appena pronunciato.
“Daisuke, sei preoccupato.”
Il professor Umon si aspettava ciò che il figlio stava per dire, ma lo lasciò continuare. Sfogare la sua angoscia l’avrebbe aiutato ad affrontare un destino cui non poteva sottrarsi.
“Padre, so che sono stato io a proporre a Koji di prendere il mio posto. E la mia ragione mi dice che è la soluzione migliore… ma mi è difficile accettare il rischio che correrà.”
“Avete già rischiato la vita insieme.”
“Lo so, padre. Ricordo tutte le volte in cui senza il sostegno dei miei compagni non sarei riuscito a vincere, o anche solo a sopravvivere: ma ero io il bersaglio degli attacchi di Vega. Ora invece sarà lui a doverli affrontare; lui a dover proteggere Maria e Hikaru.”
La voce di Daisuke si incrinò per un attimo.
“Vorrei tanto che il lavoro che stiamo facendo fosse inutile… vorrei che l’ultima battaglia arrivasse prima della mia fine.”

- - -

“Non rientreremo alla base finché non riesci nella manovra di agganciamento.”
La bufera rendeva la visibilità pari a zero. Mulinelli di neve ghiacciata brillavano accecanti nel sole basso di gennaio.
“Duke, stiamo lavorandoci da ore, lo sai che sono capace.”
Koji era sfinito. Non avrebbe mai creduto che pilotare Grendizer si sarebbe rivelato così spossante.
“Dimostralo. Non puoi vedere lo Spacer, dovrai usare solo i comandi mentali.”
“Ti prego Duke, questa luce mi sta facendo impazzire, mi sembra che la testa mi scoppi…”
“Lo so, ed è la situazione ideale. Se non sai affrontare le difficoltà in addestramento…”
“…Come potrò affrontarle in battaglia?” non sapeva più quante volte Duke avesse ripetuto quel ritornello. Aveva ragione… raccolse le ultime energie.
“D’accordo… Giravolta spaziale! Rientro…”
Grendizer si slanciò alla cieca nel riverbero bianco che come un velo nascondeva il suo obiettivo, e colpì malamente lo Spacer. Duke trattenne a stento Koji dal battere il mento contro la consolle.
“Non basta eseguire la manovra, Koji, devi pensarla! Devi concentrarti! Di nuovo…”
“Duke, no… basta…”
“Ora!” Un ordine perentorio.
Non ce la poteva fare… riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti, la fronte pulsava, le manopole gli sfuggivano dalle dita malferme… Koji gridò il comando un’ultima volta.
Giravolta spaziale!
Lo Spacer si mise in posizione.
Rientro!
Gli occhi chiusi per dominare la nausea, Koji tirò le manopole verso di sé e sentì il robot eseguire la manovra che la sua volontà gli imponeva. Grendizer scivolò con naturalezza all’interno dell’astronave.
“Ottimo lavoro, Koji!”
Koji si accasciò tremante nella cabina di guida. Ce l’aveva fatta… per la prima volta, la sua mente aveva pensato un movimento e il robot l’aveva realizzato. Scoppiò a ridere, e mentre rideva i singhiozzi cominciarono a scuotergli il petto: ce l’aveva fatta. Duke gli strinse una spalla.
“Bravo, sapevo che saresti riuscito. Riposati ora… Rientro alla base.”

- - -

Era febbraio inoltrato quando Danbei invitò tutti a pranzo alla fattoria. Daisuke non riusciva a partecipare alle pigre chiacchiere intorno al tavolo, e stava affacciato alla finestra senza vedere il paesaggio. All'improvviso dal brusio era emersa la voce di Hikaru, rivolta a Umon:
“Daisuke fa ancora fatica ad accettare il nostro aiuto.”
“Ma senza di noi la sua vita sarà in pericolo”, aveva aggiunto Maria.
Un presentimento? Daisuke si era drizzato in piedi di scatto:
“È la mia vita, Maria. Le mie scelte non ti devono riguardare.”
Aveva parlato in un tono insolitamente brusco, e se ne era pentito non appena aveva finito di pronunciare la frase, vedendo gli occhi della sorella spalancarsi, pieni di rimprovero e delusione.
“Sei intrattabile in questi giorni, non sembri più mio fratello!”
Avrebbe dovuto scusarsi… ma poi sarebbe stato necessario dare spiegazioni. Daisuke era corso verso la sua moto e si era lanciato a tutta velocità sul sentiero che attraversava il bosco innevato, mentre, ormai in lontananza, Koji cercava di convincere Maria, già in sella, a non seguirlo.

L’aria gelida gli sferzava il viso e gli faceva lacrimare gli occhi – era sicuro che fosse solo l’aria?
La sua vita, aveva detto… ma lui non aveva mai avuto una vita sua. Non su Fleed: aveva imparato presto che la vita di un principe appartiene al suo popolo, o meglio alla ragion di stato; e poi la guerra, una scelta sofferta ma obbligata, così come quella fuga ignominiosa impostagli da suo padre. L’attacco di Vega alla Terra che l’aveva richiamato alle armi, un’opportunità di riscatto cui non aveva potuto sottrarsi. Aveva cercato di vivere in modo degno, si disse. Ma in realtà aveva trascorso tutto il tempo che gli era stato dato a combattere o a prepararsi a farlo, e non c’era niente che odiasse di più; ed avrebbe continuato fino alla morte… una morte che ora era paurosamente vicina.
Aveva sperato che gli sarebbe rimasto un po’ di tempo dopo la sconfitta di Vega, forse senza più esposizioni al vegatron la lesione sarebbe regredita come nei primi due anni trascorsi sulla Terra, forse lui e Hikaru…
Fermò la moto in uno spiazzo, il respiro affannato come dopo una corsa, e si guardò intorno.
Non ho paura di morire.
Non aveva paura di morire, si ripeté…
Ma non voglio.
Intorno a lui gli alberi tendevano i rami carichi di neve contro l’azzurro limpido del cielo invernale. Anche su Fleed c’era la neve, e lui amava la Terra quanto il pianeta su cui era nato. Era così bella: il pensiero lo colpì nella sua semplicità. Era bella la Terra, ed era bella la vita, e non voleva che finisse…
Un pettirosso gli si parò davanti per niente intimorito, e Daisuke seguì con lo sguardo i suoi spavaldi saltelli nella neve. Da quando era rimasto ferito sapeva che il vegatron avrebbe trovato la strada verso il suo cuore per fermarlo, e su Fleed era giunto a un passo dalla fine; poi quegli anni di vita, ricevuti immeritatamente in dono. La guerra, ma anche momenti di gioia di cui non sempre aveva saputo godere: la bellezza della natura, l’affetto del suo padre adottivo e dei suoi amici, l’amore di Hikaru, il ritrovamento inaspettato di Maria… Non voleva lasciare tutto questo, e invece avrebbe dovuto, presto.
Inspirò l’aria gelida e tersa, riempiendosene i polmoni fino quasi a stordirsi. Il suo tempo stava finendo, e aveva sprecato anche la sua seconda occasione; non aveva saputo difendere la Terra e non aveva saputo rendere felici le persone che aveva accanto. Sentiva ancora su di sé gli occhi delusi della sorella, che lo avrebbe avuto accanto ancora solo per pochi giorni: aveva voluto evitarle di soffrire e invece l’aveva ferita.
Scese dalla moto e si chinò a raccogliere una manciata di neve, se la portò alle labbra nella coppa delle mani per spegnere la febbre che gli bruciava il viso. Incuranti del gelo, i bucaneve cominciavano arditi ad affacciarsi nel candore che ricopriva il terreno, e Daisuke li ammirò senza coglierli. Il manto bianco che copriva i rami proteggeva le prime gemme, e tra poco più di un mese i boccioli avrebbero dischiuso alla primavera le loro corolle, il terreno ora ghiacciato sarebbe stato un morbido prato coperto di fiori… ma per lui la primavera non sarebbe mai arrivata. Cadde in ginocchio nella neve e pianse.

Il sole stava abbassandosi sull’orizzonte, e gli alberi proiettavano in un ritmo spezzato le loro ombre sul sentiero che la moto di Daisuke percorreva in senso inverso. Era calmo ora, le lacrime avevano trascinato via con sé i dubbi e la disperazione, lasciando la sua mente sgombra e lucida, così come la nevicata aveva lavato il cielo cristallino che era stato l’unico testimone del suo crollo… non avrebbe permesso che ce ne fossero altri. La guerra contro Vega correva ancora una volta verso la sua conclusione, e non poteva permettersi di perdere il controllo. Aveva deciso: se non poteva sfuggire alla morte, avrebbe fatto in modo che non fosse una morte inutile. Doveva proteggere i suoi amici, non avrebbe lasciato che Vega si prendesse le loro vite oltre alla sua.

..continua...

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Edited by shooting_star - 11/9/2013, 17:51
 
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3.
Quando fu sulla porta della fattoria, Maria gli corse incontro.
“Duke, mi dispiace. Non avevo diritto di parlarti così… Koji mi ha spiegato tutto”.
Dall’interno della stanza, l’amico gli fece cenno di non preoccuparsi.
“Sapevo che sei stanco, che state lavorando giorno e notte… Ma per un attimo ho sentito che eri in pericolo, ed ho avuto paura di perderti per una seconda volta.”
“Avevi ragione, Maria. Non posso fare a meno di voi, e non devo dimenticarlo mai.”
La sua espressione si fece seria. “Ti prometto che non rischierò inutilmente la mia vita.”
“Vieni ora, sei tutto infreddolito. Hai bisogno di qualcosa che ti riscaldi.”
Hikaru versò il tè sorridendo. Il liquido aromatico gli scaldò prima le mani che reggevano la tazza e poi il corpo, senza riuscire a sciogliere il gelo che sembrava tornato a circondare il suo cuore come anni prima, sul pianeta Fleed.

Suo padre aveva ragione: le ragazze avevano diritto di sapere. Se non aveva detto loro niente era per egoismo. Non sembri più mio fratello… se Maria avesse saputo quanto poco gli restava da vivere non gli avrebbe risposto così, probabilmente gli avrebbe dato ragione senza reagire; e questa risposta l’avrebbe ferito più di qualsiasi altra.
Dietro la pacatezza di suo padre, Daisuke percepiva il suo dolore per l'incapacità a salvargli la vita; e anche Koji aveva mutato il suo atteggiamento nei suoi confronti, era più arrendevole, quasi protettivo. Non voleva che anche le ragazze cambiassero: non voleva vedere pietà o commiserazione nei loro occhi. Aveva bisogno degli sbalzi d’umore di Maria, dell’ottimismo e della tranquillità di Hikaru per continuare ad avere quel barlume di serenità che ormai riusciva a sentire solo accanto a loro e che gli permetteva di non lasciarsi andare alla disperazione.

- - -

“Non c’è più niente che debba insegnarti. Sei pronto per pilotare Grendizer ormai.”
Koji avrebbe voluto gridare che no, non era pronto, non voleva. La responsabilità della salvezza della Terra stava per passare nelle sue mani: nelle mani di un giovane uomo, non del ragazzo impulsivo e scapestrato che aveva pilotato il Mazinger Z. E che stavolta ne sentiva tutto il peso… un peso che avrebbe dovuto portare da solo, che Hikaru e Maria avrebbero solo in parte alleviato.
“Quando sarà il momento ti darò il medaglione che ti permetterà l’accesso ai comandi anche in mia assenza.”
Koji abbassò il capo e strinse le mascelle per non sentirle tremare.

- - -

“Ascolta Koji. Ho un piano… ti chiedo di non farne parola con mio padre, non lo accetterebbe mai.”
Koji annuì.
“Vega è convinto che solo Duke Fleed possa pilotare Grendizer. Cosa pensi farebbero se mi catturassero?”
“Duke Fleed senza Grendizer? Probabilmente crederebbero di aver vinto.”
“Appunto. Molto presto non sarò più in grado di combattere – ma pilotare il ricognitore spaziale che ormai è quasi a punto…”
“Scusa… Cosa vuoi fare, consegnarti?”
“No, ma con la scusa del collaudo posso provare a uscire dall’atmosfera e cercare di andare verso la nave madre, colpire i minidischi di difesa. Mi attaccherebbero, e se riesco a farmi riconoscere cercheranno di prendermi vivo. Mi porteranno alla loro base…”
Parlava sottovoce e insolitamente in fretta, come preso da un’eccitazione anomala. O forse voleva solo evitare di essere interrotto.
“A quel punto, come hai detto tu, crederanno di aver vinto e abbasseranno la guardia. Ma dal mio rilevatore di posizione voi finalmente riuscirete a scoprire dove si trova la base; e tu con Grendizer potrai attaccarla e distruggerla, quella e la nave madre. Sarebbe la fine di Vega, questa volta per sempre.”
“Ma… sei pazzo Daisuke? Hai idea di cosa ti faranno?”
Daisuke abbassò la testa.
“Sì.”
“D’accordo, allora dillo. Dillo a voce alta!”
“Non ce n’è bisogno. Lo sappiamo tutti e due.”
“Tu però forse non te ne rendi conto. Sono anni che ti danno la caccia, vogliono il comando di Grendizer, ti…”
Daisuke alzò la testa e lo fissò negli occhi, uno sguardo duro e luminoso.
“Mi tortureranno con il vegatron, certo. Ma nelle mie condizioni non durerò molto, qualche ora al massimo.”
“Daisuke, ci sono passato anch’io, so cosa vogliono dire pochi minuti di radiazioni. E per te, con la tua ferita, sarà dieci volte più doloroso.”
“Sì. Ed è quello che hanno dovuto subire tanti ragazzi della resistenza fleediana quando io sono fuggito abbandonando il mio popolo al suo destino. Poche ore di sofferenza non potranno ripagare il debito che ho con loro; ma forse salveranno la Terra.”
Senza curarsi di Koji che scuoteva disperatamente la testa, Daisuke insistette:
“Sono certo che anche il Grande Vega non vorrà perdersi lo spettacolo, il tuo Grendizer avrà la strada aperta. E se sarai veloce nel far saltare la nave madre, renderai più veloce anche la mia fine.”
Koji si coprì il viso con le mani.
“Ed io dovrei far saltare la nave con te dentro… No, no e no. Non posso accettarlo.”
“Koji. Morirò comunque tra poco. In questo modo, almeno, la mia morte potrà essere utile. Promettimi che ci penserai.”

- - -

La battaglia era durissima. Individuato il punto debole di Duke, il mostro di Vega aveva artigliato in volo Grendizer e, mentre il Double Spacer lo trascinava verso l’alto, lo bombardava di raggi vegatron. Nell’abitacolo arroventato Duke cercava, senza riuscirci, di tendere la mano destra verso i pulsanti per liberarsi dalla presa. Inutile, doveva usare un comando mentale…
“Raggio antigravità!”
Il robot non rispose. Una morsa spietata gli attanagliava il corpo e gli paralizzava il pensiero; ma doveva ignorare il dolore e concentrarsi, se voleva che il robot eseguisse l’ordine. Chiuse gli occhi; rivoli gelidi gli colarono lungo il viso.
“Raggio antigravità!”
Per la seconda volta, il comando non ebbe effetto. Gemendo, Duke si premette la mano sinistra sul braccio ormai immobile, in cui l’unica traccia di vita era un dolore lancinante, lo stesso che gli lacerava il petto, oppresso da un peso insostenibile. La vista era annebbiata: sollevò la visiera del casco, ma il cielo diventava sempre più buio, un sapore metallico gli bruciava in bocca… sentiva la sua volontà scivolare via nell’oscurità ardente che stava invadendo l’abitacolo.
Non riusciva più a controllare Grendizer. Non ci riusciva…
“Koji, ti prego… non resisto più…”
Era arrivato il momento… Koji si preparò alla manovra.
“Eccomi, Duke. Passaggio!
Il sedile del Double Spacer scivolò verso l’interno di Grendizer, fino alla cabina di guida. Koji si sentì soffocare nell’aria spessa di sudore; il fuoco delle radiazioni era appena sopportabile. Duke, il respiro ormai poco più di un rantolo, sollevò a fatica il capo dalla consolle.
“Grazie, Koji,” riuscì a mormorare prima di svenire.
Dal Centro Spaziale la voce di Umon non riusciva a mascherare la tensione.
“Usa il raggio antigravità per staccarlo da te, e poi il tuono spaziale.”
Il sedile di Duke ruotò di 180° scambiandosi con quello di Koji per portare il suo passeggero, ormai esanime, al sicuro nel Double Spacer. L’astronave si staccò dal robot portandosi a distanza e Grendizer, privo di sostegno, ricadde sulla schiena.
“Raggio antigravità!”
I Veghiani si sarebbero accorti che il pilota non era Duke Fleed? Scagliato con violenza verso l'alto, il mostro si staccò da Grendizer e si richiuse nel suo guscio.
“Tuono spaziale!”
La prima scarica colpì la corazza del mostro senza causare danni evidenti. Dannazione, doveva essere più veloce! La corazza si riaprì e gli occhi del mostro ripresero a lanciare raggi avvelenati…
“Non devo sbagliare ora… Tuono spaziale!
Grendizer si alzò in piedi mentre il mostro di Vega esplodeva in una nube di fumo denso.

Sollevato ma incapace di rallegrarsi per la sua prima vittoria alla guida di Grendizer, Koji cercò subito il collegamento audio con il Double Spacer.
“Duke, tutto a posto? Duke?”
“Sì, ora sì… Torniamo alla base.”

Per la prima volta, non fu Duke a riportare Grendizer al Centro Ricerche.
Koji raggiunse l’amico mentre percorreva lentamente il corridoio che portava al centro, concentrando tutte le sue energie nello sforzo di non cadere.
“Appoggiati a me, Daisuke.”
“No Koji, non toccarmi… non credo che potrei sopportarlo.” Articolava le parole a fatica, e a Koji si strinse il cuore.
Dall’inizio del corridoio provenivano le voci squillanti delle ragazze che commentavano allegre le prodezze compiute: i minidischi le avevano tenute lontane dallo scontro tra i robot, non si erano accorte dello scambio.
Daisuke si scosse: non dovevano vederlo in quello stato. Strinse i denti e cercò di correre verso la porta sul fondo. Doveva arrivare all’infermeria il più in fretta possibile.
“Ti raggiungo!”

Quando Koji entrò nell’infermeria trovò Daisuke sdraiato sul lettino con gli occhi chiusi, la bocca serrata nel tentativo di non gridare. Il professor Umon effettuava la terapia con le mani che tremavano. Entrambi rimasero in silenzio a fissare la lesione da vegatron che ormai gli aveva invaso il petto e puntava inesorabile verso il cuore.
Lentamente l’infiammazione della pelle andava attenuandosi. “È solo una reazione superficiale,” spiegò Umon rassegnato. “Gli esami mostrano che gli effetti sui danni da avvelenamento sono minimi…ma è tutto ciò che possiamo fare.”
Dopo un tempo interminabile Daisuke aprì gli occhi.
“Ci siamo. La prossima volta sarai tu a pilotare Grendizer. Oggi hai dimostrato di essere pronto.
“Ancora no… ci sono tante cose su cui sono incerto.”
“Anch’io lo ero all’inizio, molto più di te. Non possiamo correre il rischio che io perda di nuovo il controllo… appena mi riprendo andiamo a lavorarci su.”
“Daisuke, devi riposare.”
“Non c’è più tempo. Hai iniziato l’addestramento due mesi fa, e non ero sicuro che sarei arrivato vivo a questo giorno… ma ora,” si indicò il petto ferito “ora il momento è davvero vicino.”
Si alzò di scatto.
“Padre, sto bene adesso. Koji, te la senti di andare a rivedere i comandi?”
Trattenendo un gemito, si infilò la maglia sistemandola bene in modo che non si vedesse l’innaturale arrossamento che cominciava appena sotto il collo.
Sulla porta incontrarono Hikaru e Maria che chiacchieravano allegre.
“Andiamo a far rapporto a Umon e poi ci vediamo.”
“Noi abbiamo un po’ da fare…”
Daisuke sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e Hikaru si sentì sciogliere.
“Però vi va di uscire stasera? Tu sei d’accordo, vero Koji?”
“Sì, certo…”
“Sarebbe fantastico! Hikaru, tu come ti vesti?”
Quando entrarono non si accorsero che il professor Umon stava asciugandosi gli occhi.

Daisuke, il suo passo molto più sicuro ora, si incamminò lungo il corridoio verso l’hangar, ma Koji lo trattenne.
“Sei ancora dell’idea di attaccare con il ricognitore?”
“Allora hai deciso… sei d’accordo!”
Koji si appoggiò al muro con le spalle; l’entusiasmo di Daisuke lo metteva a disagio.
“Ancora non lo so. Ma se decidessimo di provare, è necessario che i Veghiani continuino a credere che solo tu puoi pilotare Grendizer, o l’effetto sorpresa su cui contavi salterebbe, e ti sacrificheresti per niente. E comunque, te l’ho detto, non sono convinto sia una buona idea.”
Daisuke ignorò l’ultima parte del discorso dell’amico.
“Hai ragione. Il ricognitore sarà pronto tra pochi giorni, cercherò di resistere fino allora. Ma dopo quello che è successo oggi dobbiamo dire alle ragazze che tu piloterai Grendizer.”
“Ti sei deciso a raccontare la verità finalmente? È questo che hai in mente… una cena di addio?”
Daisuke scosse la testa.
“Non ho intenzione di dir loro della ferita… Vorrei solo che avessero un momento felice da ricordare quando tutto sarà finito.”
“Basta.” Koji sbottò. “Ma non ti rendi conto che è già tardi? Non puoi continuare a tenere Hikaru e Maria all'oscuro sulle tue condizioni, non è giusto. Non ti fidi di loro? ”
L’esasperazione l’aveva fatto tornare franco e diretto come non riusciva ad essere da troppo tempo. “Maledizione, rischiamo la vita insieme tutti i giorni, e sono stufo di far finta che vada tutto bene. Io sto per perdere il mio migliore amico, Maria suo fratello, e Hikaru…”
Senza scomporsi, Daisuke fissò il muro oltre la spalla di Koji.
“Maria e Hikaru sono preparate all’idea che potrei morire in battaglia, e se il piano riesce è esattamente ciò che succederebbe. Sapere la verità le farebbe solo soffrire di più.”
I suoi occhi tornarono a fissarsi in quelli dell’amico.
“La stessa sofferenza che so che state provando tu e mio padre, e che non ti avrei dato se non fosse stato indispensabile insegnarti a pilotare Grendizer. Mi dispiace.”
Gli posò la mano su una spalla, e Koji si accorse che scottava.
“Maria è così fragile ultimamente…Ti vuole bene, Koji. Promettimi che le starai accanto, e che le spiegherai tutto se io non dovessi riuscirci.”
“E Hikaru? Sai che le spezzerai il cuore.”
Daisuke abbassò lo sguardo senza parlare. Tornò ad incamminarsi lentamente lungo il corridoio.

...continua...

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4.
La serata fu tranquilla. I quattro ragazzi andarono al paese vicino per una birra in un locale affollato e con la musica troppo alta; il tipo di posto che Koji e Maria apprezzavano ma da cui Daisuke normalmente si teneva lontano. Eppure quella sera sentiva il bisogno di essere in mezzo alla gente. Essere circondato da tante persone che vivevano la loro vita, inconsapevoli della ricchezza del dono nelle loro mani, alleviava la sua angoscia al pensiero di perdere la propria.
Hikaru era di fronte a lui e lo guardava con occhi seri e tranquilli. Maria, eccitata ed allegra, gli si era seduta a fianco, di faccia a Koji.
“A cosa dobbiamo il miracolo di avervi tirato fuori dall'officina?”
I ragazzi parlarono con entusiasmo dei mezzi spaziali in realizzazione al Centro Ricerche: il Cosmo Special avrebbe richiesto ancora un po’ di tempo, ma il ricognitore spaziale era quasi ultimato.
“La tecnologia che lo rende invisibile ai radar è quella che avevano messo a punto gli scienziati di Fleed”, spiegò Daisuke con una punta di orgoglio, “a volte mi pento di non aver approfondito a sufficienza gli studi di ingegneria…”
“Sta facendo il modesto, vero Koji? Non vedo l’ora di salirci!” esclamò Maria. “Dovete esserne fieri… Ci avete lavorato come matti, non vi siete mossi dall’officina per settimane!”
“Non esattamente.” Daisuke fece del suo meglio per mantenere un tono leggero. “Non abbiamo lavorato solo ai veicoli… ho insegnato a Koji a pilotare Grendizer.”
Maria reagì piccata. “Avresti dovuto insegnarlo a me, sono io la principessa di Fleed.”
“Imparerai anche tu se sarà necessario.” concesse Daisuke.
“Io invece non voglio imparare,” ribatté Hikaru guardando Daisuke diritto negli occhi. “Io vorrei che nessuno dovesse più pilotare Grendizer e che finalmente la guerra finisse.”
Un’intuizione attraversò la mente di Maria. “Ma come mai non ce l’avevate detto? È per via di quella cicatrice?”
Daisuke cercò gli occhi di Koji, poi cercò di minimizzare con un sorriso.
“Non ancora… è solo una precauzione. Potrei rimanere ferito, non essere in grado di combattere. Non possiamo rischiare di affrontare Vega senza Grendizer”
“E io non volevo che si sapesse in giro se per caso non fossi riuscito a imparare. È stata una faticaccia,” rise Koji, e Maria sembrò rasserenarsi.
“È stata dura, ma ora è bravo quasi quanto me… Abbiamo anche modificato il Double,” continuò Daisuke, “ora si può passare dalla sua cabina a Grendizer e viceversa, come con il mio Spacer. Così Koji potrà prendere il mio posto se fossi in difficoltà.” Un gesto futile della mano sinistra sminuì la drammaticità di una tale evenienza.
“Ma non succederà, vero? Non sei in pericolo, me l’hai assicurato.”
Hikaru colse lo scambio nervoso di sguardi tra Daisuke e Koji, ma scelse di non intervenire.
“Ti ho promesso che non metterò in pericolo la mia vita inutilmente e manterrò la mia parola, sorellina.”
“Sei stato così distante in questi giorni, Duke, ed ero così preoccupata per te. Anche se non ho avuto sogni, e questo mi tranquillizzava.” Posò per un attimo la testa sulla spalla del fratello. “Ma ora sento che sei sereno.”
Certo che è sereno… ha deciso, pensò Koji con un brivido. Ha deciso di andare a farsi uccidere.

Daisuke lasciò che le moto di Maria e Koji, diretti verso casa, superassero quella su cui riaccompagnava Hikaru alla fattoria.
“È grave, vero?” La voce di Hikaru aveva il tono calmo di chi riprende una conversazione appena interrotta.
“Di che cosa stai parlando?”
“Della tua ferita… dev'essere peggiorata molto.”
Daisuke fermò la moto e si girò verso di lei.
“Cosa te lo fa pensare?”
“Oltre al fatto che sei disposto ad affidare Grendizer a Koji?"
Hikaru sospirò. “Il modo in cui ti muovi. Il fatto che usi la mano destra il meno possibile. Il modo in cui hai reagito poco fa quando Maria ti ha sfiorato la spalla… sei bravo a nascondere il dolore, ma non puoi impedirti di impallidire.”
“Maria non se ne è accorta.”
“Maria vuole solo essere rassicurata che guarirai presto.”
Sorrise amaramente. “Quando avevo più o meno l’età di Goro, mia madre si ammalò. A volte temo di aver dimenticato il suo volto… ma c’è una cosa che non posso dimenticare, ed è l’espressione dei suoi occhi quando guardava me, o mio padre, o Goro che era così piccino. Nessuno mi ha mai detto che mia madre stava morendo, non ce n’era bisogno. E nei tuoi occhi c’è lo stesso sguardo, da molto tempo.”
Aveva capito tutto, e si era tenuta tutto dentro… se avesse continuato a fingere l’avrebbe solo fatta soffrire di più. Le prese una mano; le parole che non era mai riuscito a pronunciare gli vennero alle labbra con una naturalezza che non si aspettava.
“La lesione si sta estendendo più rapidamente del previsto, e ormai è arrivata qui.” Posò la mano di Hikaru sul suo petto, dove il dolore era più forte.
“Quando raggiungerà il cuore, morirò. Mi restano solo pochi giorni.”
“Koji lo sa.”
“Lo sanno solo lui e mio padre… Per favore, non prendertela con loro, sono stato io a pregarli di non dire niente. Non voglio che altri soffrano per me.”
“Oh, Daisuke.”
“Le radiazioni sono sempre più forti… o forse sono io che sono sempre più debole. Oggi ho perso i sensi, e se Koji non avesse preso Grendizer il mostro mi avrebbe ucciso.”
La pelle di lui bruciava sotto la sua mano, e lei fece per allontanarla. “Scusa, ti faccio male…”
“No, è fresca,” sorrise lui trattenendola. “Tu non puoi farmi male, Hikaru.”
La guardò negli occhi: erano asciutti, e gli restituirono uno sguardo addolorato, ma sincero e diretto.
“Mi dispiace… so che non è questo che desideravi sentire.”
“No.” disse lei seria. “Ma è la verità, ed è quello che volevo sentire.”
Aveva temuto tanto quel momento, e lei riuscita a rendere tutto così semplice.
“Daisuke… ricordati che con me non hai bisogno di fingere.”
La moto ripartì nella notte. Mentre percorrevano il tratto di strada che ancora li separava dalla fattoria, Hikaru si strinse all'uomo che amava desiderando che quell’abbraccio potesse durare per sempre.

Nell'aia illuminata dalla luna, la ragazza appariva ancora più fragile e minuta. Daisuke la prese tra le braccia e la tenne stretta a sé, pensando a tutto il tempo che avevano atteso, e a quello che non avrebbero avuto. Le loro labbra si avvicinarono, mescolando alla dolcezza di quel bacio la consapevolezza triste delle cose che stanno per finire.
Era stato un attimo, o l’eternità… forse tutta la sua vita. Hikaru corse verso la porta di casa con il cuore che sembrava scoppiare.

Aveva creduto di essere preparata: da tanto sapeva che quel momento sarebbe arrivato. E invece…
Solo pochi giorni. Risentiva il battito del suo cuore, il suo respiro sui capelli, il calore di quel corpo che aveva tenuto stretto a sé e che era così vivo; eppure tra poco quel cuore sarebbe stato raggiunto dalle radiazioni e si sarebbe fermato per sempre.
Avrebbe dato la sua vita per salvarlo, e tutto quello che poteva fare era accompagnarlo verso la morte. Doveva essere forte fino a quel momento, e poi avrebbe dovuto continuare la sua missione per lui. E poi… per la prima volta la fine della guerra le faceva paura.

Daisuke, ancora vestito, stava seduto sul letto, lo sguardo perso nel buio oltre la finestra. Il dolore che gli impediva di chiudere occhio non aveva niente a che fare con la ferita; ed era molto più difficile da sopportare, perché non era solo suo.
Solo pochi giorni. Lo sguardo di lei aveva tremato per un attimo solo, come una fiammella nel vento. Si era aspettato che piangesse, che gli rinfacciasse la sua insensibilità: e invece l'aveva abbracciato, gli aveva dato coraggio. L'aveva sottovalutata, la sua dolcezza gli aveva fatto dimenticare la forza di cui era capace.
Le sue labbra erano morbide come le aveva immaginate tante volte… e tante volte si era trattenuto: non aveva nessun futuro da offrirle, non voleva farle male. Solo ora si rendeva conto che non aveva mai smesso di fargliene; e non c’era niente che potesse fare per alleviare la sua pena.

Dormire era impossibile.
La sua chitarra era posata accanto al letto: allungò la mano per prenderla, quando all’improvviso vide i fanali di una motocicletta illuminare il cortile, e Maria allontanarsi rombando nel silenzio della notte. Cosa poteva esserle accaduto? Si precipitò lungo le scale, seguito da Koji.
“Dobbiamo raggiungerla!”
Le due moto tallonarono quella della ragazza lungo il sentiero che portava al Centro Ricerche; quando la raggiunsero, Maria era già pronta per salire sul Drill Spacer, lo sguardo perso in quello che sembrava uno stato di sonnambulismo.
“Vieni Maria, ti riporto io a casa. Riprenderai la tua moto domani.”
“No, Koji, vado con mio fratello… Duke, forse era un sogno, ma sono sicura che ho visto nostro padre.”

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5.
Koji aprì la porta della saletta del Centro Ricerche. “Come stai?”
Hikaru era pallida, ma sorrise come sempre. “Bene, ora. Ho parlato con Daisuke ieri sera.”
Koji le mise una mano sulla spalla. “Coraggio. Credo che stanotte nessuno di noi abbia dormito.”
“Allora vado a fare il caffè.” Aveva bisogno di darsi da fare per non perdere il controllo.
“Hikaru…”
“Sto bene, davvero… Lui è vivo. Avrò tutto il tempo per stare male dopo.”

“Bevi una tazza di caffè. Ti sveglierai, coraggio.”
Il viso di Maria era inespressivo, come se non si fosse mai svegliata dall’incubo.
“Forse è stato semplicemente un brutto sogno… ma ho veduto mio padre prigioniero dei soldati di Vega. E tutto quello che ho veduto nei miei sogni finora è sempre divenuto realtà.”

- - -

“Si sta avvicinando un UFO.” Umon li aveva riuniti con urgenza. “Abbiamo individuato la sua rotta.”
Daisuke pensò rapidamente. Dopo il crollo del giorno prima, aveva bisogno di mettersi alla prova; e ora che non era più indispensabile per guidare Grendizer poteva permettersi di correre il rischio. Maria era troppo scossa per affrontare un combattimento… e non poteva lasciarla sola.
“Andrò io solo incontro all’UFO. Voi aspettatemi qui. Koji…,” gli posò le mani sulle spalle “pensa a Maria, d’accordo?”
L’amico annuì. “Sta’ tranquillo.”
“Hikaru… andrà tutto bene.” Sentì il suo sguardo come una carezza accompagnarlo mentre correva verso l’uscita.

C’era qualcosa di strano nel comportamento di Maria. Era da quando si era dovuta scontrare con il suo amico d’infanzia Kein, divenuto comandante di Vega, che attraversava periodi sempre più lunghi di malinconia; i suoi ricordi di Fleed si erano fatti più nitidi, le sue domande più pressanti…
I sogni di Maria erano sempre divenuti realtà. Ma nostro padre non può essere prigioniero. Io l’ho visto morire…
Il disco nemico apparve all’improvviso, attaccandolo di lato, e Duke lo scartò appena in tempo. Non devo perdere la concentrazione… Lame rotanti!
Un mostro dal corpo di demone spuntò dal disco, e respinse facilmente l’attacco di Duke.
Disintegratori!
Il mostro schivò i raggi e si preparò ad attaccare.
Tuono spaziale!
Dal Drill Spacer gli giunse la voce della sorella. “No, Duke! È il mostro che ho veduto in sogno ieri! Ti prego, non distruggerlo, nostro padre è tenuto prigioniero in quel mostro!”
Duke girò il capo. Maria? Le aveva raccomandato di aspettarlo al Centro Ricerche…
Un istante di distrazione, e il mostro colpì con le appendici simili a fruste che partivano dal suo petto: la luminescenza rossa delle radiazioni avvolse il robot, e Duke, la carne trafitta da una lama rovente, si piegò in avanti, portandosi la mano alla spalla. Un grido gli sfuggì dalle labbra.
Non devo perdere il controllo, non un’altra volta. Il sangue gli pulsava rimbombando alle tempie, schegge di luce gli abbagliavano la vista. Il fuoco lo avvolgeva...
É troppo. Il suo corpo torturato dal vegatron si inarcò in un estremo tentativo di resistenza, e cedette al dolore.

Il Drill Spacer di Maria si avvicinò agli avversari cercando disperatamente di separarli: il demone che sferzava Grendizer con i suoi tentacoli radioattivi, e Duke che, in agonia, non riusciva più a reagire…
Lama ciclonica!
Con un tentacolo tranciato, il mostro lasciò che Grendizer, ormai senza guida, precipitasse al suolo, e sfrecciò via sfiorando il veicolo di Maria. Gli occhi dei due piloti si incontrarono per un istante.
“Papà!”

“Maria! Cosa stai facendo? Presto, andiamo in soccorso di Daisuke!”
Koji atterrò accanto al robot. Maria, scesa dal Drill Spacer, fissava impietrita oltre la finestra dell’abitacolo: Daisuke giaceva abbandonato sulla consolle di guida. “Koji, l’ho ucciso… l’ho ucciso io…”
“No, Maria, respira ancora. Aiutami a caricarlo sul Double… porterò io Grendizer alla base.”

- - -

Il medico abbandonò la stanza scuotendo la testa, e Maria si inginocchiò a fianco del letto.
“Mi dispiace fratello, è stata colpa mia… avrei dovuto ascoltarti, ma era più forte di me.”
“Non preoccuparti, Maria.” Il braccio gli doleva al limite della sopportazione, ma non voleva spaventarla più di quanto il dottore, nella sua evasività, avesse già fatto. “Se tu non l’avessi colpito mi avrebbe ucciso… e hai rischiato di essere uccisa anche tu.”
“Duke… Hayashi dice che il mostro è sparito a Hokkaido. Ti prego, lasciami andare là.”
Daisuke tese la mano sinistra e la accarezzò. “No, Maria, non muoverti.”
“Ti ripeto che ho già visto quel mostro nel mio sogno. E poco fa mi sembra di aver visto nostro padre tenuto prigioniero nel mostro. Ti prego, lasciami andare… voglio liberarlo.”
Koji e Hikaru si guardarono, stupiti. Era impossibile…
“Maria…” Daisuke chiuse gli occhi e rivide il pianeta in fiamme, il palazzo reale devastato, il corpo della madre riverso nel suo sangue; risentì la voce del re morente che gli ordinava la fuga… parlare gli costava dolore quasi quanto ricordare. “Nostro padre è morto durante l’invasione del pianeta Fleed.” La voce gli si spezzò. “L'ho visto con i miei occhi. Non può essere altro che una trappola.”
Una trappola simile l'avevano tesa a lui stesso non molto prima, ed era stato a un passo dal cadervi: e ora non poteva lasciare che sua sorella corresse un tale rischio, non ora che in pochi giorni la guerra poteva essere vinta…
Ma Maria si era seduta a terra come una bambina sgridata, e con la testa tra le mani insisteva, implorante.
“Duke, lo so che è un rischio ma deve essere convinta. Lasciamola andare.”
“No, Koji!”
Se Maria fosse stata in pericolo Koji l’avrebbe difesa a costo della vita, e questo per lui non era un modo di dire. E se anche lui fosse morto, la Terra sarebbe rimasta senza più difese, Vega avrebbe avuto la strada spianata…
Senza dargli retta, Koji si inginocchiò accanto a Maria e le tese la mano: “Vieni con me.”
“Koji!”
Disperato, Daisuke cercò di alzarsi, ma crollò senza fiato sul lettino.

Il medico sarebbe tornato dopo poco per sperimentare la nuova terapia. Come promesso, Umon non smetteva di cercare la cura che gli avrebbe salvato la vita, ma Daisuke era scettico: la sua incapacità di resistere al vegatron anche per pochi istanti era la prova che ormai l’avvelenamento era in fase troppo avanzata per essere curabile. Il trattamento, gli aveva detto, sarebbe stato progressivo e doloroso… e lui era così stanco di soffrire.
Hikaru, che non si era mossa dal suo fianco, cercò di aiutarlo a mettersi seduto. La sua presenza gli infondeva tranquillità. “Forse Koji ha ragione… Maria deve convincersi da sola.”
“Dopo la terapia starai meglio e potrai raggiungerli.”
“Sì.” Una fitta più forte lo piegò in due, la mano a stringere la spalla. “Mi fa male…”

Gli assistenti entrarono nell'infermeria trasportando il nuovo macchinario e il medico invitò Hikaru a uscire.
“Padre, perché non può restare?”
“Un eccesso di radiazioni può essere pericoloso, è meglio evitare di esporsi inutilmente.”
Lei gli sfiorò il petto con una mano. “Coraggio, Daisuke. Sono qui fuori.”
Ricadde con la testa sul cuscino e porse il braccio al medico.

Suo padre non avrebbe mai rinunciato a cercare di salvarlo e gliene era grato… ma era inutile, pensava Daisuke imponendosi di tenere il braccio fermo sotto i raggi che colpivano la lesione. Se anche la terapia fosse servita ad allungare di qualche giorno la sua vita, la loro situazione di inferiorità nei confronti di Vega sarebbe continuata. E l’unico scopo della sua vita era porre termine alla guerra.
Le parole gli vennero alle labbra quasi senza che se ne accorgesse. “Padre… finché non troviamo la base di Vega la guerra non finirà.”
Umon gli asciugò la fronte: vedere suo figlio soffrire lo dilaniava. Pregò che la cura fosse efficace.
“Presto sarà possibile, Daisuke. Ti prometto che vivrai per vedere la sconfitta di Vega.”

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6.

Il trattamento durò a lungo. Fino alla fine, Hikaru rimase con la schiena appoggiata alla porta dell'infermeria: ogni gemito di Daisuke era una pugnalata.

“Mi hai aspettato.” Era pallido ed il braccio era fasciato: ma sorrideva. “Riesco a muovere il braccio…vado ad aiutare Koji e Maria.”
“Daisuke, ti prego… fai attenzione.”

I veicoli dei suoi compagni erano affiancati nella neve, ma di Koji e Maria non c’era traccia. Cosa era successo?
Duke riconobbe con un brivido il demone che lo aveva abbattuto quella mattina: fece uscire il robot dallo Spacer per fronteggiarlo in piedi, faccia a faccia. Tra gli occhi, nella cabina di guida, il comandante aveva il volto dell’uomo che gli era morto tra le braccia nel rogo di Fleed. Si sentì invadere da una rabbia sorda. “Tu hai ingannato mia sorella facendoti passare per suo padre. Non te la perdonerò mai.”
Una voce dal timbro familiare gli rispose beffarda: “Se tu mi ucciderai, Maria ti odierà.”
Bene, allora sua sorella era viva… e probabilmente anche Koji. Attaccò.
Doppio maglio!
I pugni di Grendizer rimbalzarono sul mostro, che con un balzo lo stese spalle a terra e gli fu addosso a cavalcioni: i suoi tentacoli si avvolsero intorno ai polsi del robot. Ancora una volta, la cabina venne invasa dalle radiazioni; di nuovo, il dolore al braccio destro lo costrinse a gridare.
“Conosco il tuo punto debole, ti brucerò con i raggi di vegatron.”
L’effetto calmante della terapia gli avrebbe concesso di resistere solo pochi minuti prima di soccombere alla radioattività: doveva fare in fretta… Grendizer afferrò i tentacoli con i pugni cercando di strapparli; poi i due robot si rotolarono in un corpo a corpo violento. Doveva colpirlo ora, mentre era sopra di lui…
Tuono spaziale!
La scarica elettrica sollevò il mostro di slancio, spezzando i tentacoli radioattivi, e facendolo ricadere pesantemente di schiena. Libero dal tormento del vegatron, Duke riprese fiato e tornò ad attaccare.

“No, fermatevi, sarebbe un delitto!”
Piccolissima nella distanza, Maria seguiva la battaglia con angoscia, trattenuta invano da Koji.


Era finita. Sotto gli occhi disperati di Maria, l’alabarda elettronica tranciò prima un braccio, poi la testa del demone; il comandante nemico venne espulso e ricadde prono nella neve.
“Aspetta, Maria!”
Il mostro stava per esplodere… incurante del pericolo, Maria si slanciò di corsa verso il corpo inerte; lo spostamento d’aria la fece cadere a terra e Koji le si gettò sopra per farle scudo.
“Maria, non è tuo padre.”
Ma lei aveva già raggiunto il corpo e lo stava voltando sulla schiena. “Padre!”
Il volto tanto amato si dissolse lasciando il posto al ghigno del comandante veghiano; poi il cadavere svanì in un bagliore rossastro.
“Hai visto, sei convinta adesso?”
Maria si girò e corse via piangendo. Aveva perso suo padre per la seconda volta, ed aveva rischiato di perdere suo fratello… Koji smise di inseguirla. Aveva bisogno di stare da sola.


Aveva ripreso a nevicare, e Maria guardava in silenzio i fiocchi che vorticavano nel grigiore del crepuscolo per andare a sciogliersi nelle acque buie del mare; il gelo che la circondava era lo stesso che sentiva dentro di sè. Era sola…
“Maria, non devi piangere, nostro padre non è morto.”
Duke l’aveva raggiunta sul promontorio. Gli posò la testa sul petto, come quando era bambina.
“È sempre vivo nei nostri cuori. Nostro padre e nostra madre sono vivi, e ci saranno vicini sempre, con il loro amore.”
Duke chiuse gli occhi e la tenne stretta a sé. La sua sorellina aveva dovuto affrontare una prova durissima, e la aspettava un’altra forse peggiore. Anch’io ti sarò sempre vicino, te lo prometto. Anche quando non potrai più vedermi, non sarai mai sola.

- - -

“Avete fatto un ottimo lavoro. I test a terra sono tutti positivi… Siamo pronti per collaudare il ricognitore.”
“Se lei è d’accordo, professore, oggi farò un primo giro di prova rimanendo all’interno dell’atmosfera”, disse Koji.
“Però, padre, vorrei essere io a sperimentare per primo il volo spaziale… Non sarebbe la prima volta per me, se sorgessero problemi avrei meno difficoltà a risolverli.”
“Hai ragione, figliolo. Se oggi tutto va bene, domani farai il primo collaudo spaziale.”
“Va bene domattina, mentre gli altri sono in perlustrazione? Se parto presto potrei terminare il giro insieme a loro”, chiese Daisuke fissando intensamente Koji.
Umon, che stava esaminando soddisfatto la cabina di guida del nuovo veicolo, non notò l’espressione tesa che aveva preso il posto del sorriso sul volto di Koji.
“D’accordo. Domattina.”

Il mio ultimo giorno. Voglio che sia un giorno come tanti.


Umon studiava il video. Tutti i settori erano stati perlustrati senza che fosse emerso alcun elemento sospetto. La riunione si sciolse.
“La situazione sembra tranquilla, e se non c'è bisogno di me vorrei andare ad aiutare mio padre al ranch.”
“Vai pure Hikaru, ma tieni il cercapersone acceso... e Daisuke, devi sottoporti a un altro ciclo di terapia.”
“Sì, padre.”
“Poi, spero di poter lasciare a tutti il pomeriggio libero. Avete lavorato duro, vi meritate un po' di riposo.”

Daisuke si diresse subito verso l’infermeria: voleva che il trattamento finisse prima possibile. Le irradiazioni erano riuscite ad aumentare la sua resistenza al vegatron nell'ultimo combattimento, ma avevano scavato la lesione fino a ulcerarla in profondità; Daisuke aveva fatto del suo meglio per non gridare, ma era inquieto al pensiero della sofferenza che lo aspettava.
Non sarà niente in confronto a ciò che mi faranno domani.
Suo padre si era aggrappato a quel piccolo miglioramento, e anche Hikaru era fiduciosa; ma tutto quel dolore sarebbe servito solo a spostare poco più in avanti il giorno della sua morte. Non voleva deluderli, ed aveva accettato di proseguire la cura: se si fosse presentato un mostro di Vega, quei pochi istanti in più gli sarebbero stati utili. Ma il giorno dopo avrebbe messo in atto il suo piano, e con l’aiuto di Koji avrebbe posto termine alla guerra una volta per tutte.
Oggi sono vivo. Non devo pensare a cosa mi succederà domani.
L’indomani, la Terra avrebbe conosciuto di nuovo la pace. E forse avrebbe avuto pace anche lui…

Posò la mano sulla porta dell’infermeria e udì una voce alle sue spalle.
“Allora sei sicuro. Vuoi andare a morire… vuoi che sia io…” Koji aveva le mascelle contratte, come un bambino quando vuol trattenere le lacrime.
“Koji, non capisci. Non ho nessun desiderio di morire; ma accadrà, e molto presto. Posso finire i miei giorni in un letto, ucciso da una ferita che Vega mi ha inflitto anni fa: e allora Vega mi avrà battuto. Ma se il piano riesce, sarà Vega a essere sconfitto, già domani. La guerra finirà.”
Non avrebbe voluto coinvolgerlo, ma non aveva avuto scelta. Si chiese come avrebbe reagito lui, se fosse stato il suo amico a fargli la stessa proposta… gli strinse l’avambraccio per tranquillizzarlo.
“So che ti chiedo molto, Koji. Ma ho bisogno di te… ho bisogno del tuo aiuto per dare un senso alla mia morte. Io… io ti prego.”
Koji chinò il capo in un singulto strozzato. “Sì.”

“Il prof. Umon mi ha detto che posso farti da navigatore. Andiamo?”
Koji cercò di darsi un contegno prima di girarsi verso Maria. “Certo… Daisuke, ci vediamo dopo alla fattoria.”
“Koji, Umon mi ha chiesto di ricordarti di accendere il localizzatore.”
“Allora, buona fortuna per il collaudo.”
Daisuke spinse la porta dell’infermeria; il medico lo attendeva accanto al lettino, la macchina era già accesa.

- - -

Parcheggiò la moto vicino alla stalla: Hikaru si stava occupando dei cavalli. Senza parlare, prese una striglia e cominciò ad aiutarla. Era tanto che non dava una mano al ranch… ricordò il tempo in cui lui era stato semplicemente il fattore della famiglia Makiba, e Hikaru una ragazzina di campagna, timida e gentile; la prima ragazza che avesse incontrato sulla Terra. Era cambiato tutto da allora, ma non la sensazione di benessere che provava quando era con lei, che l’aveva fatto subito sentire a suo agio con la sua semplicità. Quei giorni sereni che aveva sperato sarebbero durati per sempre si erano rivelati solo una breve parentesi, che la durezza della guerra illuminava di rimpianto. Aveva cercato di proteggere Hikaru, allontanandola da sé e dal pericolo; ma lei aveva saputo accettare che fino alla vittoria su Vega la vita di lui sarebbe stata tutta consacrata alla lotta, e che anche quando la guerra fosse finita la malattia avrebbe cancellato il loro futuro insieme. Era riuscita a stargli vicino e a dargli forza; non c’erano parole per la sua gratitudine.
Cercò con lo sguardo i suoi occhi. Gli sorrise in silenzio, e lui fu sicuro che aveva capito.

Le giornate stavano allungandosi: rimanevano ancora più di due ore prima del tramonto. Hikaru sellò il suo cavallo.
“Andiamo a fare una passeggiata?"
Daisuke condusse Silver nel bosco lungo il sentiero che aveva percorso in moto poche settimane prima, e Hikaru gli si tenne di fianco a un passo tranquillo. La neve chiazzava ancora il terreno, ma si era in gran parte sciolta e le prime gemme cominciavano a gonfiarsi sui rami ormai quasi sgombri. Anche a Fleed sarebbe stata primavera tra breve... ma sarebbe stato solo un fenomeno astronomico, il sole avrebbe riscaldato invano acque morte e una terra sterile, uccisa dalla radioattività.
“La primavera è vicina”, disse, senza sapere se si rivolgeva a Hikaru oppure a sé stesso. Non sarebbe arrivato a vedere la fioritura, ma lei sì, e come lei i suoi amici, e tanti che non conosceva e che non sospettavano il rischio che il loro pianeta correva.
Un frullo d'ali fece cadere a terra la neve che ancora resisteva su un ramo. Hikaru alzò gli occhi.
“Sì, arriverà presto”, rispose lei, guardando l’uccellino posarsi con un rametto nel becco.
Daisuke alzò lo sguardo verso il nido in costruzione e ne fu certo: ne valeva la pena. Una grande pace discese a scaldare il suo cuore.

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7.

Il sole si stava abbassando; la luce del tramonto dipingeva lunghe strisce dorate sul pavimento del soggiorno del ranch. Nel silenzio che sembrava avvolgere ogni cosa, Daisuke suonava la chitarra a occhi chiusi, la schiena appoggiata contro la parete. Era di nuovo su Fleed, nel palazzo reale ancora intatto; la guerra incombeva ma non l’aveva ancora segnato…

“Cosa ci fai qui al buio?”
La voce di Maria riscosse il fratello dai suoi pensieri.
“Io… com’è andato il collaudo?”
Koji accese la luce. “Anche meglio del previsto, veloce e maneggevole, e i radar del Centro Ricerche non riuscivano a rintracciarlo.”
“Già, senza localizzatore Umon si sarebbe convinto che eravamo caduti in mare. Domani ti divertirai a provarlo!”
L’entusiasmo di Koji parve spegnersi in un attimo.
“Non vedo l’ora, Maria”, rispose tranquillo Daisuke alzandosi a riporre la chitarra.
Il soggiorno si ripopolò rapidamente.
“Daisuke, Hikaru dice che devo rifare questi calcoli da solo, ma io non ci riesco! Mi dai una mano?”
“Goro, tua sorella ha ragione. Prova e poi ti aiuterò a controllarli, d’accordo?”
Dalle scale arrivò la voce di Hikaru: “E non chiedere aiuto a Koji!”
Il ragazzino si sedette al tavolo con la penna tra i denti e riprese a fare i suoi compiti.
Danbei uscì dalla cucina con in mano un forchettone. “Voi vi fermate a cena vero? Stasera cucino io! Non per niente in Texas mi chiamavano il re delle grigliate…”

Non era a Fleed, e non era nello sfarzo di una reggia: ma in quel soggiorno arredato con semplicità aveva trovato il calore di una famiglia, e aveva vissuto momenti di serenità. Si guardò intorno per imprimersi tutto nella mente e portarlo con sé nel suo ultimo viaggio.

Nell’allegria della serata, solo Hikaru si accorse che Koji, che pure sembrava più vivace e chiassoso del solito, non aveva quasi toccato la cena; mentre Daisuke, seduto accanto a lei, era ancora più silenzioso del solito, e portava il cibo alla bocca meccanicamente, assorto nei suoi pensieri. C’era qualcos’altro che i ragazzi le stavano nascondendo… si ripromise di chiedere chiarimenti l’indomani.
“Ne volete ancora o possiamo passare al dessert?”, chiese cercando di nascondere la sua ansietà; Goro e Maria accolsero la proposta con entusiasmo.

Sulla porta, Daisuke prese la mano di Hikaru per il consueto saluto prima di andare a dormire; e per un attimo, la tentazione di prolungare quella stretta in un abbraccio fu fortissima. Le mani rimasero unite solo un istante di più, ma entrambi sentirono che in realtà non si sarebbero divise quando si sarebbero allontanati.
Addio, Hikaru. Meglio che tu non sappia niente… meglio che la tua notte sia serena come questo cielo.
La luna non era che una piccola falce bianca; le stelle illuminarono la corsa delle tre moto lungo il sentiero.

- - -

Fleed. Stanno fuggendo dai minidischi.
Markus grida “Indietro, presto!” ma un’esplosione lo fa precipitare dalla terrazza, è sospeso nel vuoto… Gli lancia la sua sciarpa, lo tira su; il tessuto gli taglia le mani, la seta verde si macchia di rosso. I minidischi gli sono sopra… Un dolore lancinante alla spalla lo fa gridare.
Era solo un incubo.
Il suo migliore amico. L’ultima volta che l’aveva visto, Markus si preparava a tornare sul suo pianeta per un’ultima disperata battaglia. Ora lo stava chiamando a sé…
I ricordi stanno tornando.
Aveva tolto la fasciatura alla spalla scoprendo una piaga aperta, così dolorosa da costringerlo a dormire a torso nudo per evitare il contatto con la stoffa del pigiama. Si alzò: la notte al di là della finestra era fredda e tranquilla.
Il futuro della Terra è nelle mie mani. Sfiorò la ferita e rabbrividì. Aveva la febbre.
Re Vega, hai distrutto il pianeta Fleed. Non gli avrebbe permesso di distruggere anche la sua seconda patria. Non avrai mai la Terra, mai!
Tirò la tenda e si costrinse a tornare a letto: avrebbe avuto bisogno di tutte le sue forze l’indomani. Chiuse gli occhi. Nel sonno il suo pianeta era verde e luminoso come prima dell’attacco di Vega, le acque del lago scintillavano tranquille sotto i colpi dei suoi remi. Sto tornando a casa… finalmente.

- - -

La luce pallida dell’alba filtrava tra le tende; Koji dormiva abbracciato al suo cuscino, le spalle alla finestra. Senza far rumore, Daisuke si sfilò dal collo il medaglione che permetteva l’accesso illimitato ai comandi di Grendizer e lo posò sul comodino, poi spostò la suoneria della sveglia avanti di mezz’ora: quanto gli bastava per essere certo di partire sul ricognitore prima che lui arrivasse al Centro Ricerche. Non poteva permettergli ripensamenti…
Koji, amico mio. Arriva in fretta. Non lasciarmi a lungo nelle loro mani.
Chiuse piano la porta e scese le scale; un biancore lattiginoso riempiva il cortile, cancellando i colori. Accese la moto.

Il prof. Umon sorseggiava il suo caffè nella saletta del Centro Ricerche.
“Ti sei svegliato di buon mattino. Facciamo colazione insieme?” Porse una tazza al figlio. “È appena fatto.”
“Grazie, padre… volevo essere sicuro di avere tempo per il collaudo.”
“Non è necessario che tu ti allontani troppo dalla Terra. È sufficiente che verifichi il funzionamento del ricognitore in assenza di resistenza atmosferica. I dati che ci invierai saranno utilissimi anche per calibrare le regolazioni del Cosmo Special.”
Umon lo guardò con aria preoccupata. “So che la terapia è pesante, figliolo… sembri molto stanco. Sei sicuro di voler andare da solo? Se aspettiamo Koji, sono certo che sarà felice di aiutarti.”
“No, padre, meglio che lui non corra rischi inutili. Il pilota di Grendizer non è sacrificabile.”
“Il pilota di Grendizer sei tu.”
“Non so ancora per quanto tempo. Padre…” Aveva usato tante volte quella parola per rivolgersi a lui, ma stavolta avrebbe voluto caricarla del suo significato reale: il prof. Umon gli aveva dato una vita degna di essere vissuta e la possibilità di riscattare gli errori commessi su Fleed. Era stato davvero suo padre: desiderava abbracciarlo, dirgli addio; ringraziarlo. Ma non poteva… se avesse intuito avrebbe cercato di fermarlo; e, come a un vero padre, Daisuke non sarebbe stato capace di disobbedirgli.
“Andrà tutto bene, vedrai. Presto saremo in grado di trovare la base di Vega.”
Si avviò verso l’hangar.

Il ricognitore percorse la pista di uscita e si sollevò in volo nel cielo in cui il rosso e l’oro dell’alba stavano diluendosi nell’azzurro di una giornata che si annunciava serena.
Ci siamo.
Accelerò gradualmente fino a raggiungere la velocità massima: i motori obbedirono senza sforzo. La Luna si tinge di rosso prima degli attacchi… anche su Fleed era così. Tirò verso di sé la cloche puntando verso il satellite, la cui falce si stagliava nitida sopra di lui.
Dopo la notte agitata, era perfettamente calmo: concentrarsi sulla sua missione lo tratteneva dal pensare alle sue conseguenze. Doveva affrontare un obiettivo alla volta prima di preoccuparsi del successivo, ed il primo era riuscire a farsi intercettare dal sistema di difesa della nave madre veghiana senza che lo eliminassero. Avrebbe simulato un’avaria del sistema antiradar.

- - -

La porta della camera di Koji si spalancò con un botto.
“Allora pelandrone, sei ancora a letto? Non lo sai che ore sono?” La voce di Maria aveva la capacità di perforare i timpani.
“Ma non ha ancora suonato…” Una mano spuntò da sotto le coperte e afferrò la sveglia: quasi le sette e mezza. Ma lui aveva puntato il risveglio alle sette, ne era certo.
Daisuke. Koji si svegliò di colpo.
“Ci credi ora? Dammi quella sveglia e muoviti, dobbiamo essere al Centro Ricerche tra un quarto d’ora!” Maria ripose la sveglia sul comodino e vide il suo ciondolo sul ripiano.
Non era possibile, non se lo toglieva mai; infilò la mano sotto il collo del vestito ed eccolo, era lì. Non poteva essere che quello di suo fratello… Ma perché l’aveva Koji? Lo prese tra le mani e gridò.
“Koji, Duke è in pericolo… dobbiamo correre al Centro Ricerche, subito!”
Una visione? Koji respinse la tentazione di raccontarle tutto. Con ogni probabilità Daisuke era già partito per realizzare il suo piano, e anche se lui non era d'accordo gli aveva promesso che l'avrebbe aiutato.
“Maria, tuo fratello è andato in anticipo al Centro Ricerche per il collaudo, lo sai. Sono sicuro che...”
Lei non gli lasciò finire la frase e gli mostrò il medaglione. “Quando l'ho toccato ho visto Duke dirigersi verso la base di Vega, con il ricognitore.”
Strinse il ciondolo nella mano. “L'ha lasciato a te... vuol dire che a lui non serve più. Koji, non capisci? Duke vuol farsi uccidere!”
Koji, già vestito, tentò di temporeggiare. “Calmati, Maria, sono sicuro che c'è un'altra spiegazione.” Magari ci fosse...
“Adesso andiamo. Vedrai che è tutto a posto.”
Mentre le due moto correvano verso il Centro Ricerche Spaziali, Koji pensava a come fare in modo di coprire il progetto di Duke per un tempo sufficiente perché lo realizzasse; e soprattutto, come far sì che Maria e Umon non sospettassero il suo coinvolgimento… se l’avessero scoperto non sarebbe più riuscito a guardarli in faccia.
Se solo si fosse accorto del medaglione prima di Maria…

-continua: la prossima puntata è l'ultima -

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Edited by shooting_star - 26/9/2013, 07:23
 
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8.

Hikaru entrò nella sala dell’osservatorio, pronta a partire per il giro di perlustrazione: ma i suoi compagni non erano ancora arrivati.
“Tutto procede come previsto”, le disse Umon sorridendo, senza staccare gli occhi dal suo monitor. La pressurizzazione e la protezione termica si stavano dimostrando efficaci anche all’altissima velocità necessaria per superare la gravità terrestre.
Il video si accese mostrando la postazione di guida; gli occhi dietro la visiera del casco erano freddi e intenti. Hikaru ebbe un brivido, ma cercò di scacciar via la sua apprensione. Andava tutto bene, non doveva farsi prendere dall’ansia.
“Stai per uscire dall’atmosfera, fai molta attenzione e non correre rischi inutili.”
“Certamente, padre.” Senza l’attrito atmosferico, avrebbe presto raggiunto velocità che finora aveva toccato solo su Grendizer: ma il veicolo non era fatto di gren. Doveva essere prudente se voleva riuscire nel suo intento… Presto avrebbe staccato le connessioni e il localizzatore, per riaccenderli solo quando non sarebbe più stato possibile ritornare sulla Terra.

La porta alle loro spalle si spalancò.
“Professor Umon, la prego, dica a mio fratello di rientrare!” gridò Maria ansimante, subito raggiunta da Koji.
Umon si girò perplesso: forse un altro sogno? Vega aveva scoperto la sua sensibilità paranormale, avrebbe potuto riprovare a sfruttarla per i suoi scopi. “Non devi preoccuparti, Maria. La missione sta andando perfettamente… perché credi che dovrei interromperla?”
La ragazza gli mostrò il ciondolo. “Era sul comodino di Koji stamattina… e la sveglia era stata messa avanti.”
Il medaglione. Umon intuì immediatamente: Daisuke aveva lasciato Grendizer a Koji. Non aveva intenzione di tornare… Presto saremo in grado di trovare la base di Vega. Era questo che voleva fare? Daisuke era stato anche più laconico del solito in quegli ultimi giorni. Ma lui era troppo impegnato nella gestione della difesa, nella messa a punto dei nuovi progetti, nella ricerca di una nuova terapia, per ascoltare veramente suo figlio. Ripensò al loro dialogo di un’ora prima: Koji non era sacrificabile; ma lui sì.

La luna appariva sempre più grande, ancora illuminata dai raggi del sole. Ancora poco e, se la sua intuizione era giusta, il ricognitore sarebbe stato visibile al sistema di protezione di Vega. Attivò il cronometro: cinque minuti e avrebbe spento i collegamenti con la base. Dieci, e avrebbe disattivato il dispositivo antiradar.

Umon guardò i tre piloti: si tenevano per mano, nei loro occhi c’era la stessa angoscia. “È una missione suicida”, mormorò Hikaru. Koji abbassò la testa perché non gli leggessero in viso ciò che solo lui sapeva.
Il professore posò l’indice sul pulsante che accendeva il contatto video con il ricognitore, e si fermò esitando. Daisuke aveva sempre mostrato il massimo rispetto e obbedienza nei suoi confronti: ma ne conosceva bene l’ostinazione. Per la prima volta suo figlio aveva agito senza prima discuterne con lui, e se non l’aveva fatto era proprio perché sapeva che sarebbe stato contrario. Al punto in cui si era spinto, sarebbe stato difficile convincerlo a tornare indietro.
“Professore, la prego, faccia in fretta! Lo richiami indietro!”
Umon premette il tasto. “Maria, fallo tu. Sono certo che ti ascolterà.”

L'indicatore dell'energia residua segnalava il 55%, presto non sarebbe stata sufficiente per il ritorno: se il piano non avesse funzionato, il ricognitore sarebbe diventato uno dei tanti corpi orbitanti intorno alla Terra…
Basta. Doveva rimanere concentrato sull’obiettivo, non concedere alla mente di vagare. Non era più Daisuke ora, e nemmeno Duke… era solo il mezzo che avrebbe permesso a Grendizer di distruggere Vega una volta per tutte.

Era il momento di staccare i contatti… all’improvviso, il viso di Maria apparve sullo schermo.
“Duke, ti prego, torna indietro!” una voce tenue, implorante.
“Maria, non puoi chiedermelo… non puoi capire…” Lo sto facendo per te. Per voi.
“Quello che capisco è che stai per abbandonarmi per la seconda volta.”
“Cosa…” No. Non voglio più che tu, che nessuno di voi sia più costretto a combattere. Vi sto proteggendo.
“Quando te ne sei andato da Fleed non mi hai certo portato via con te. Poteva essermi successa qualsiasi cosa…”
“Maria, nostro padre…” Maledizione, perché non riesco a parlarle?
“…e ora te ne vai senza neanche dirmi addio. Ero l’unica a non sapere niente. Conta così poco per te tua sorella?”
Duke! Era di nuovo nel palazzo reale in fiamme. Aveva sentito la sua voce e non si era fermato a cercarla, l’avrebbe lasciata morire. E adesso… l’aveva delusa, ancora.
“Maria, no!” Tutto ciò che aveva represso fino allora – la paura, la colpa, la disperazione – stava emergendo e travolgendolo. Non doveva permetterlo… strinse gli occhi, le lacrime gli traboccarono tra le ciglia. Non doveva lasciarsi andare…
“Mi avevi promesso che non avresti rischiato la vita inutilmente. Mi hai mentito…”
“Non è inutile!” gridò. “Se riesco a individuare la base di Vega…”
“Daisuke, il ricognitore funziona alla perfezione e il Cosmo Special è quasi pronto. La individueremo e vinceremo, insieme.”
“Padre… ti prego… Maria…” Non poteva, non ora… La lancetta segnava il 50%.
“La scelta è solo tua, figlio mio. Ma noi abbiamo bisogno di te, qui, e non solo per vincere.”
Virò.

Umon si abbandonò sullo schienale, terreo.
“Sta tornando… ha invertito la rotta. Sta tornando.”
“Ragazze. Ve la sentite di andare in ricognizione?” chiese Koji. Aveva bisogno di fare qualcosa o sarebbe impazzito.
“Sì”, rispose Hikaru sicura. Maria la seguì in silenzio.

Il viaggio di rientro sembrava non finire mai. Stava fuggendo per la seconda volta, e sapeva che, anche stavolta, non se lo sarebbe mai perdonato.

Quando Umon lo vide rientrare, non disse niente. Lo accolse tra le sue braccia.
“Perdonami, padre. Avrei dovuto parlartene… forse avresti capito, avresti accettato.”
“Ho capito tutto, Daisuke, ma non avrei mai accettato.”
La voce di Koji chiamò dal monitor. “Base Terra: interrompo la procedura di rientro. Sembra che Vega ci prepari un’altra sorpresa nel settore Z4.”
Daisuke si precipitò verso l’uscita.

Il mostro: un cavallo, o meglio la sua enorme carcassa, con grandi ali gialle e una trivella che gli fuoriusciva dal petto, avanzava circondato da sei minidischi in formazione.
Maledizione, sono tanti. Avrebbe cercato di tenere la posizione fino all’arrivo di Grendizer…
I minidischi attaccarono contemporaneamente e Koji non si sottrasse allo scontro, riuscendo a eliminarne tre: solo a quel punto il comandante del mostro lo degnò della sua attenzione, parandoglisi davanti.
L’inferiorità del suo mezzo non fece arretrare Koji, che si lanciò all’attacco. “Lama ciclonica!” Il rostro del cavallo fermò la falce e la scagliò indietro, costringendo il Double Spacer a una capriola per evitarla.
Si riportò di fronte, sperando che Daisuke si affrettasse… “Raggi neutronici!”
Dagli occhi del mostro un lampo bianco respinse l’attacco del Double e colpì l’alettone, facendogli perdere l’assetto. Koji batté violentemente il capo sulla consolle di guida e sentì che cominciava a precipitare. Davanti ai suoi occhi annebbiati il pendio ghiacciato si faceva sempre più vicino, più grande… Prima di perdere i sensi gli sembrò di vedere il profilo di Grendizer all’orizzonte.

Quando Koji rinvenne, Grendizer giaceva immobile, la schiena a terra: il cavallo gli era sopra, la trivella a scavargli il petto. Lo stridore del metallo sul metallo era spaventoso; il gren scricchiolava sotto la pressione.
Coraggio Duke, reagisci!
Il raggio antigravità scaraventò indietro il mostro. Bravo, ora il tuono spaziale… ma cosa fai?
Invece di colpire, Grendizer si era gettato a terra per schivare l’attacco. Doveva fare qualcosa…
Riuscì a sollevare il Double Spacer in volo e scagliò i raggi ciclonici contro il mostro. “Arrivano i rinforzi!”
“Fermati, Koji!” il tono di Duke non ammetteva repliche. “Markus era il mio migliore amico. Non puoi colpirlo!”
Il cavallo balzò in avanti: la trivella spezzò il vetro del Double, che ricadde di nuovo al suolo. Il mostro si avvicinò per dargli il colpo di grazia… nel disperato tentativo di fare scudo a Koji, Duke slanciò in avanti il robot, rovinando ancora una volta a terra; l’abitacolo si spalancò, scaraventandolo fuori.

Dal ventre del mostro, un cono di luce gialla portò il comandante nemico all’esterno: avvolto in un mantello nero, una sciarpa verde che gli sventolava al collo, si avvicinò a passi lenti, puntando la sua pistola verso Duke, che, a terra nella neve, cercava di alzarsi.
Duke… no! Koji armeggiava freneticamente cercando di sbloccare le uscite per accorrere in soccorso dell’amico; ma tutto ciò che poteva fare era assistere a quell’ultimo duello impari. Strinse i pugni per la rabbia. Forse allargando la frattura nel vetro…
Duke si era rimesso in piedi ora; il vento portava via le parole che rivolgeva a quell’uomo che aveva chiamato suo amico e ora stava per ucciderlo…
Un lampo improvviso: la pistola sparò, Duke si slanciò verso Markus per strappargli il distintivo dalla spalla e scagliarlo lontano. L’esplosione, pur attutita dalla neve, fu violentissima e li scaraventò al suolo uno accanto all’altro.

Duke fu il primo ad alzarsi. Si inginocchiò accanto all’uomo che giaceva supino, gli sollevò il capo.
Sei un incosciente, Duke, stagli lontano!
Parlavano. Non poteva sentire la loro conversazione, ma Duke pareva tranquillo…D’un tratto, il comandante di Vega scattò in piedi. Regolò la pistola, la puntò contro Duke e lo colpì; Koji udì distintamente il suo grido mentre cadeva. Poi, più niente.
Con calma, il comandante Markus ritornò verso il suo veicolo.

Koji strisciò fuori dal varco che era riuscito ad aprirsi nella calotta della postazione di guida, e corse verso Daisuke inerte nella neve, pregando che fosse ancora vivo… sì, aveva aperto gli occhi.
“Markus mi ha sparato.”
“Duke… coraggio. Torniamo al Centro Ricerche. Ti medicheranno.”
Duke portò la mano alla spalla con cautela e la ritirò stupito. Nessun dolore. Incredulo, esaminò la ferita: si era richiusa, la pelle era liscia, integra. Non capiva… o forse sì.
“La ferita, Koji… è rimarginata. Markus mi ha sparato raggi vegatron attenuati…ho pensato che mi uccidesse, invece voleva guarirmi.”
Markus gli aveva salvato la vita e si era allontanato senza salutare, ancora una volta, come sulla base di Fleed.
Alzò lo sguardo verso il cielo: il cavallo infernale stava galoppando verso la luna per la sua ultima missione. Un’esplosione lo fermò; il fumo si dissolse lentamente, confondendosi nelle nubi.
“Era il mio migliore amico.”
Le nuvole si aprirono e il sole emerse a illuminare i monti coperti di neve.

Guarito. Sono guarito… da anni aspettava che quella ferita lo uccidesse, e ora non riusciva a concepire l’idea. Quella mattina si era alzato convinto che quel giorno sarebbe stato l’ultimo… e invece era il primo: aveva di nuovo una vita. L’avrebbe vissuta al meglio, lo doveva a Markus, a tutti quelli che non avevano avuto la sua fortuna; a chi gli era stato vicino sapendo che sarebbe stato lasciato presto.

- - -

Il volo di rientro era stato insolitamente silenzioso, come se anche Koji avesse dovuto prendere coscienza di ciò che era accaduto. Risalì verso la sala dell’osservatorio chiedendosi come avrebbe dato la notizia al padre e alle ragazze: sicuramente avevano seguito lo scontro sullo schermo ed erano in apprensione.

Maria gli corse incontro. Stava per abbracciarlo, ma si fermò, guardandolo con aria di rimprovero.
“Come hai potuto? Senza neanche un saluto.” Aveva gli occhi rossi.
“Non ci sarei riuscito, sorellina. Non sarei riuscito a partire… e dovevo.”
“La mamma, il papà. E ora anche tu.” Gli gettò le braccia al collo. “Non voglio perdere anche te, Duke.”
“Forse non mi perderai”, sussurrò.
Koji raggiunse Hikaru e Umon davanti alla finestra.
“Allora, vi ha dato la bella notizia?”
Lo guardarono stupiti; Maria chiese, “Cosa vuoi dire, non ti perderò?”
Daisuke sollevò la manica sul braccio destro, a mostrare la pelle intatta.
“È successo qualcosa oggi… bisognerà fare degli esami, ma credo di essere guarito. Un mio amico mi ha salvato la vita… e ha perso la sua.”
Umon si avvicinò. Ricordava bene l’aspetto che la piaga aveva solo il giorno prima.
“Questo è un miracolo, Daisuke. Possiamo verificare il livello di contaminazione da vegatron nel tuo corpo… ma qui non c’è neanche una cicatrice.” Si stropicciò gli occhi con una mano, come per vederci meglio – o per asciugarseli.
”Stamattina ero quasi sicuro che ti avrei perso, figliolo… e ora posso sperare che tu viva a lungo. È un miracolo.”

Daisuke cercò Hikaru con lo sguardo: in disparte, gli sorrideva con gli occhi che brillavano, mentre ascoltava il racconto di Koji. Era giusto così, era giusto che Daisuke condividesse la gioia di quel momento con il padre e la sorella; la sua felicità non sarebbe stata minore per questo, e ora sapeva che il tempo per lei sarebbe arrivato.
Dalla terrazza dell’osservatorio, il suo sguardo accarezzava il verde tenero dei prati che preannunciava la primavera.

- FINE -

per eventuali, graditissimi, commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=180#lastpost

Edited by shooting_star - 25/9/2013, 15:45
 
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ECO ROBOT GREENDIZER E IL RISCALDAMENTO GLOBALE!

Settembre volgeva ormai al termine, le giornate si accorciavano ed il tempo per proclamare discorsi concettosi davanti allo sfolgorante sole che infuocava il tramonto dopo la quotidiana vittoria del Bene sul Male era sempre di meno. Eppure il termometro sembrava non farci caso: più che alla fattoria Betulla Bianca sembrava di trovarsi su una spiaggia tropicale. Peccato che al ranch non ci si potesse limitare a prendere il sole e a qualche pigra nuotata… c’era sempre parecchio da fare, sia là che al Centro Ricerche: e se sui veicoli spaziali la temperatura era passabile, domare puledri era un lavoro duro, per tacer della raccolta della frutta che appesantiva i rami degli alberi, e dei pomodori e delle bietole che crescevano rigogliose nell’orto.
“Sono stato uno stupido a dire a Rigel che l’avrei aiutato con il fieno!”
Alcor accolse con sollievo la chiamata al cercapersone: mise giù la falce e per darsi un contegno fece due passi nel campo mentre ascoltava la chiamata di Procton che gli proponeva di unirsi agli altri nell’osservazione di un curioso fenomeno.
“Mizar, mi dispiace, dì a tuo padre che il professor Procton ha urgente bisogno di me.”
Nel dire ciò, posò inavvertitamente il piede destro sul rastrello, il cui manico gli schizzò prontamente in faccia, sullo zigomo sinistro per la precisione. “Acc… Ah che bello!” esclamò, alla vista degli occhi innocenti del ragazzo che lo osservavano perplessi.

Inforcò la bicicletta e prese ad arrancare lungo il sentiero arroventato dal torrido sole di mezzogiorno: forse Actarus aveva ragione quando diceva che il clima stava cambiando… ma non vedeva l’ora di ricevere la telefonata con cui il concessionario lo avrebbe informato che le loro nuove moto – sua e di Maria – erano finalmente arrivate. Ormai doveva essere questione di giorni… anzi, gli avevano promesso che sarebbero arrivate agli inizi del mese. Scacciò una mosca che pareva irresistibilmente attratta dal sudore che gli grondava dalla fronte. Non era possibile andare aventi così: avrebbe chiamato il venditore e gliele avrebbe cantate.

Era arrivato. Mise giù con un calcio il catorcio a emissioni zero, cercò di scollarsi di dosso la maglia appiccicata alla pelle e si avviò verso l’ingresso del Centro, pregustando la frescura dell’aria condizionata.

All’apertura della porta a vetri, si sentì investire da una folata d’aria. Calda. In preda a fondati presentimenti, si diresse verso la sala riunioni, da cui proveniva la voce cortese ma ferma di Actarus al telefono:“Temo che abbia sbagliato numero… la ringrazio ma non ci interessa. Buona giornata.” Il giovane mise giù la cornetta scuotendo la testa, e gli venne incontro con un sorriso. “Finalmente ce l’abbiamo fatta, Alcor! Basta sistemi di raffreddamento inquinanti ed energivori, che per raffreddare inutilmente una stanza surriscaldano l’ambiente circostante! Ora abbiamo una ventola a soffitto!”
Alcor guardò in alto: in effetti una ventola, appesa al di sopra delle loro teste, girava flemmatica, spostando l’aria calda verso il basso.
“Ma… Actarus, e l’energia per farla andare?” Alcor temeva di conoscere la risposta.
“Ci alterneremo ai pedali!” esclamò il suo amico entusiasta. “In questo momento è Venusia a rinfrescarci!” Ecco… i suoi presentimenti si erano avverati. Alcor si palpò il bozzo causato dalla rastrellata sulla faccia e cominciò a pensare che quella non era giornata.
“Oooh, Actarush…!” ansimò la ragazza dalla sua postazione.
“Coraggio Venusia, possiamo resistere per un po’ anche senza che la ventola giri… tanto più che prendere troppa aria potrebbe farci male.”
“Oh, Actarus!” Venusia smontò con riconoscenza dalla cyclette e si unì ai suoi amici.

Maria era già nella sala riunioni, il cui clima ricordava da vicino quello di una serra per piante tropicali: invece del consueto, e troppo caldo, vestitino con volant si era messa una canottiera e un paio di shorts, ed Alcor si trovò a riflettere che non tutto il male viene per nuocere. Procton, che solo per un innato senso della dignità non indossava una canotta da muratore, li accolse con un sorriso; gli assistenti, alla loro postazione ciclistica, pedalavano a torso nudo e si passavano borracce di integratori isotonici. Mentre i suoi compagni vigilavano perché non si facesse scoprire, Ry Duci (aka Hayashi) stava contrattando via internet l’acquisto di una fornitura illegale di EPO.
Alcor si sfilò il giubbotto di jeans e notò che anche Venusia non aveva niente sotto il bolerino azzurro… solo Actarus pareva a suo agio con gilè e maglia a maniche lunghe. Per un attimo si chiese quando fosse stata l'ultima volta che se li era tolti.
Procton richiamò il gruppo all'attenzione.
“Non esistono più le mezze stagioni”, esordì il professore con tono sconsolato.
Per un attimo, Alcor fu tentato di rispondere “si stava meglio quando si stava peggio”, ma si trattenne.
“Giugno e settembre sono sempre stati i mesi ideali per andare al mare” continuò col tono di chi aveva scoperto una grande verità “ma quest’anno giugno è stato così freddo che non si poteva andare in spiaggia e ora che settembre è ormai finito c’è questo caldo anomalo.” Sospirò. “Con un tempo così non si sa più come vestirsi.”
Actarus aggrottò le sopracciglia.”Credi forse che nello sconvolgimento climatico che la nostra verde Terra si appresta ad attraversare possiamo ravvisare la malvagia mano di Vega? Che gli ammirevoli sforzi dei nostri assistenti – sentendo posarsi su di sé il suo sguardo carico di gratitudine, Hayashi premette rapidamente Alt + Tab per passare dal sito dopingxtutti.com a quello di GNN – potrebbero essere vanificati dalle azioni dei nostri nemici?”
Procton premette un tasto e sullo schermo apparve, circondata da un’aura rosso cupo, l’astronave di Vega:
“Come vedete, il rilevatore termico la rappresenta così. Significa che la sua temperatura è molto superiore a quella normale…”

Sulla base di Vega sembrava di soffocare.
Gandal, stravaccato a gambe larghe sulla sua postazione, tentava di rinfrescarsi con un vezzoso ventaglio di piume di struzzo preso in prestito dalla moglie; Hydargos teneva in equilibrio sul cranio puntuto un fazzoletto a fiori annodato ai quattro angoli; Re Vega si era tolto il pesante mantello e, dopo decine di puntate passate a domandarsi di quale sfarzoso costume potesse adornarsi l’Imperatore della Nebulosa, tutti avevano potuto scoprire che sotto il ponderoso simbolo del suo potere lo ieratico sire indossava boxer a pois bluette, calze bordeaux rette da giarrettiere e una pancera. Il volto stupefatto di Gandal si era aperto per pochi secondi, quanto era bastato a permettere ad un’inorridita Lady Gandal di soffiare “Ma questo abbinamento è out! È démodé!” per poi rinchiudersi di scatto.
“E’ una fascia lombare! Io non ho mai avuto la pancia!” aveva ruggito il sovrano al risolino di Zuril.
“Non ho dubbi, Maestà”, aveva risposto il Ministro delle Scienze inchinandosi ed assumendo un’espressione di impenetrabile serietà, “anni di battaglie lasciano un segno anche sui fisici più allenati.”
In effetti il dito indice della mano destra, quello che il Grande Vega usava per spedire le bombe al Vegatron sui pianeti da vaporizzare, doveva essere dotato di una muscolatura fuori dal comune… ma non era il caso di controbattere, il momento era cruciale. La tanto bramata vittoria era a un passo!
Sventolando appena le ali di pipistrello per rinfrescarsi, l’occhio sfavillante di soddisfazione, Zuril presentò la sua ultima, devastante, invenzione. Sullo schermo apparve un mostro dagli enormi occhi rotondi, con collo possente e durissimi zoccoli in superlega; ma ciò che più impressionava erano le larghe corna a falce.
“Ma che cos’è, Goldrake 2?” ironizzò Hydargos, recandosi verso il frigobar. La sua recente iscrizione agli Alcolisti Anonimi e la conseguente astinenza da bevande consolatorie lo rendevano ancor meno amabile del solito.
“Guarda che ora si chiama Aquila Spaziale” puntualizzò Zuril con l’abituale precisione. “In effetti, quelle corna sono un’arma micidiale… ma ciò che darà il colpo finale alla Terra si trova altrove, nel suo… ehm… tubo di scappamento. Il suo sistema di alimentazione riesce a sintetizzare quantità enormi di gas, quanto basta a creare un effetto serra locale…”
Re Vega annuì con convinzione, il che fece capire a Zuril che era meglio non dare nulla per scontato. “Il gas crea uno strato isolante che impedisce al calore di disperdersi nello spazio. Immagino non vi sarà sfuggito come la temperatura della nave ultimamente si sia un tantino innalzata.”
Hydargos, una bottiglia di chinotto ghiacciato appoggiata sulla fronte alla ricerca di un po’ di refrigerio, lo fulminò con lo sguardo.
“È la prova che il mostro Mu-Mu lavora a dovere! Ho sperimentato i suoi effetti qui sulla base, che si trova sul lato della luna non esposto al sole, e dovete convenire che funziona.”
“Funzionare funziona… l’unica contenta qui è mia moglie che può fare la sauna senza andare in palestra”, ammise un Gandal gocciolante in un frusciar di piume di struzzo. “Ma non potresti fermare la produzione di gas finché il mostro si trova qui? Che tra l’altro c’è anche un odore strano in giro.”
“Purtroppo non è possibile, si tratta di una sintesi di tipo, come dire… digestivo. Ma quando attaccherà, ogni territorio terrestre nel raggio di decine e decine di chilometri verrà definitivamente trasformato in un deserto rovente. Se vuole che la Terra rimanga verde come piace tanto a lui, Duke Fleed dovrà arrendersi!”
Vega strappò il ventaglio di piume di mano a Gandal e prese ad agitarlo con vigore. “Mi pare un’ottima idea. Ma intanto che prepariamo l’attacco, qualcuno ha a portata di mano il raggio congelante che aveva inventato quella… Shira si chiamava?”

Un disco dall’inusuale manto pezzato (su suggerimento di Lady Gandal, secondo la quale le stampe animalier erano il must del momento) venne avvistato durante l’abituale perlustrazione mentre si dirigeva su Tokyo. L’eco-squadriglia si affrettò per bloccarne l’avanzata sul mare.
Mentre ne studiavano il curioso aspetto, il disco si aprì e l’essere cornuto si mostrò in tutta la sua taurina potenza.
“Muu-uu-uu-uh!”
“Fratello, un po’ ti somiglia!” esclamò Maria alla vista del testone.
“Oh, Actarus!”, ammise Venusia.
Actarus osservò bene la pilota del Delfino cercando di capire se gli nascondesse qualcosa, poi si riscosse ed andò all’attacco.
“Attento Actarus” ansimò la voce di Procton dal Centro Ricerche Spaziali. “Il mostro emette quantità enormi di gas serra. Tenetelo lontano dalla Terra o la temperatura aumenterà ancora… ed io ho un’età, non ne posso più di pedalare per far andare quella maled… er, magnifica ventola. Cosa, Ryu Tilizza? Una bibita? Grazie, volentieri…”
La ventola accelerò da 0 a 100 km/h in 5 secondi netti. “Bella fresca, proprio come piace a me… cos’è, cedrata? Potrei averne un altro po’?”

Il mostro attaccò a testa bassa, puntando a Green-dizer che lo schivò agilmente; poi, nel tornare indietro per una nuova carica, sollevò la coda… la temperatura aumentò di cinque gradi centigradi.
“Procton ha ragione, qui si schiatta dal caldo!” esclamò Alcor arrotolandosi le maniche della tuta.
“Dobbiamo allontanarlo dalle zone abitate!”
La voce del professore all’interfono venne in loro soccorso. “Actarus, ti ricordi il circo che ha piantato le tende vicino alla fattoria? Dirigiti subito lì!”
“Ma padre, lo sai bene che sono contrario allo sfruttamento dei nostri amici animali per il divertimento degli esseri umani…”
“Vacci e basta!” esclamò Procton, con un cipiglio inusuale e gli occhi che brillavano di una strana luce. “E voi ragazzi, cercate di stancarlo!”
Senza smettere di pedalare, il professore gettò indietro la testa esclamando “Ho scelto il giorno sbagliato per smettere di bere cedrata!” e si versò in gola un’altra generosa sorsata. La ventola sibilava minacciosamente, ma in sala comandi si era creata una piacevole brezza.
I tre mezzi d’appoggio iniziarono a scagliare i raggi biodegradabili mentre roteavano intorno al mostro che, irritato, dardeggiava raggi di fuoco dagli occhi rotondi e dava terribili colpi di coda, o meglio, di sottocoda… Il calore era ormai insopportabile: ben presto i nostri eroi si trovarono a combattere in deshabillé.
“Alcor, non fare quella faccia soddisfatta o stacco il contatto video!” gridò Maria.
“Oh… Actarus?” esclamò Venusia spazientita dal ritardo del principe.
“Eccolo che torna!”
Seguendo gli ordini del professore, Green-dizer si era impadronito del telone rosso che copriva il circo equestre: agitandolo davanti al naso del mostro, riuscì a farlo desistere dal proseguire verso la città e a farsi seguire verso un isolotto disabitato.
Guardando lo schermo, Actarus si rese conto che la pilota del Delfino era in bikini. “Ma Venusia, non trovi che combattere così abbigliata sia poco pratico?” chiese incuriosito.
“Oh, Actarus…” rispose Venusia ormai priva di speranze.
Dalle nari dilatate del mostro, la voce di Zuril risuonò all’indirizzo del comandante del quartetto: “Duke Fleed, arrenditi, o il mostro Mu-Mu trasformerà il tuo amato pianeta in un ammasso di sabbia e cenere!”
“Mai! Olè toro!” Il mostro caricò all’indirizzo del telone rosso, e Green-dizer si fece elegantemente di lato.
“Oolè!” esclamò Alcor.
“Ahio!” esclamò Maria, il cui Picchio (già noto come Trivella) era stato preso di striscio da una cornata.
“Tieni questo!” esclamò Venusia piantandogli un raggio ecologico nella cervice “Eh??? Ma cosa ho detto?!? Oh… Actarus!”
“Usa l’alabarda, figliolo!” suggerì dallo schermo un Procton con il camice slacciato e il volto rubizzo.
“Padre, devo ammettere che questo gioco è più divertente del previsto, ma per amore degli animali credo che userò il Tuono Naturale!”
Le corna di Green-dizer si inclinarono contro quelle di Mu-Mu in uno scontro drammatico…
“Ho scelto il giorno sbagliato per smettere di fumare il sigaro!”esclamò Procton accendendosi un cubano con mani un po’ incerte.
“Muuuuuuuuh!”
Mu-Mu esplose con una fiammata.
“Ancora una volta la verde Terra è stata salvata, anche se i nostri cuori sono gonfi di tristezza per la morte di un essere innocente!” dichiarò pensoso Actarus.
“Tristezza un corno!” ribattè Alcor, “Tu piuttosto Maria, non senti un odorino appetitoso?”
“Sì, chissà cosa gli hanno dato da mangiare, altro che mucca pazza…”
“Oh, Actarus!” tagliò corto Venusia, ora molto più a suo agio.
Mentre i quattro veicoli spaziali tornavano alla base, una pioggia battente cominciò a cadere sulla terra riarsa.

Sulla Base Skarmoon, il soffitto della sala comando era irto di ghiaccioli, e gli oblò alle finestre erano resi inservibili dalla brina: avvolto in una stola di visone, Gandal strofinava le mani l’una contro l’altra, mentre Hydargos batteva i piedi sul pavimento per riscaldarli.
Zuril, più livido che verde, cercava disperatamente di sbloccare il tasto d’accensione del raggio congelante. “Grande Vega, vi avevo avvertito che se avevamo deciso di abbandonare il progetto il motivo c’era!”
Il sovrano, che si era impadronito dell’unica stufetta a vegatron della base e l’aveva nascosta sotto il pesante mantello, non seppe trattenersi. “Si stava meglio quando si stava peggio! Non esiste più la mezza stagione! Con questo tempo non si sa come vestirsi!”

Al Centro Ricerche Spaziali fortunatamente non c’era più bisogno della ventola, che si era fulminata: il professor Procton russava pesantemente disteso su una brandina. “È crollato di botto, chissà perché” spiegarono con aria innocente i tre assistenti.
Attorniato dai suoi compagni di battaglia, Actarus guardava la pioggia cadere fuori dalla finestra, rasserenato: le pesanti gocce stavano finalmente portando refrigerio al mondo minacciato dal riscaldamento globale.
Il telefono squillò, riscuotendolo dalle sue riflessioni.
“Uffa, siete ancora voi.” Il tono della voce era insolitamente irritato. “È almeno un mese che ve lo ripeto: avete sbagliato numero! Qui non c’è nessuno interessato all’acquisto di motociclette!” e sbatté giù la cornetta.

“Actarus… chi era al telefono?” gli occhi di Alcor erano iniettati di sangue.
“Alcor, Maria. Perché mi guardate in quel modo? Appena spiove ci facciamo un bel giro in bici, eh? Alcor, non ti ho mai visto così…”
“Oh, Actarus!” esclamò Venusia inorridita al vedere che anche Maria si stava dirigendo verso il suo amato con i denti digrignati.

Appena in tempo: ventidue minuti. Titoli di coda.

…il pestaggio però potete immaginarvelo…

Link per “calorosi” commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=195#lastpost

Edited by shooting_star - 3/10/2013, 15:12
 
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Ehm... oggi sono di pessimo umore.

LA RIUNIONE DEL LUNEDÌ

“Ciao. Mi chiamo Hydargos e sono un alcolista.”
“Ciao, Hydargos.”
“Sono quattro settimane che non bevo.”
Un applauso che lo avrebbe fatto arrossire, se la sua carnagione plumbea glielo avesse consentito. Non pensava sarebbe mai riuscito a resistere così tanto, e lo doveva a loro. Era giusto che lo sapessero.
“Prima di arrivare a queste riunioni credevo che la mia abitudine a soffocare il mio dolore nell’alcool avrebbe portato la mia vita alla rovina. Ora mi sento un altro.
“Sono sempre stato insicuro, fin da piccolo. Mia mamma mi preferiva il mio fratello maggiore, che era più bello. Lui aveva – la voce gli si incrinò – gli occhi azzurri, non rosa come i miei…”
“Guarda Hydargos che gli occhi azzurri sono molto più comuni”, disse una signora seduta accanto a lui.
Un altro applauso.
“La prima volta che mi ubriacai vuotai d’un fiato il flacone dello sciroppo per la tosse. Era buono, sapeva di anguilla marinata…”
L’uditorio emise versi sconcertati.
“Hydargos, tu non sei di qui vero?” chiese un tizio.
“No, in effetti no… ma è un gusto molto comune dalle mie parti.”
“Lo dicevo io che ha l’aria un po’ esotica” sussurrò una ragazza.
“Comunque dopo mi sentii subito più forte e picchiai mio fratello, mandandolo in ospedale. Stavo molto meglio. Però mamma si arrabbiò molto e mi mandò in collegio…”
Calde lacrime gli corsero giù per le guance scavate. “Tutti mi prendevano in giro per via delle orecchie a sventola. Le ragazze dicevano che avevo la testa a punta.”
“In effetti…” si sentì mormorare.
“I bambini sanno essere molto crudeli”, sentenziò una voce.
“Coraggio, Hydargos!”
Un altro, sentito, applauso.
“Allora andai nell’ufficio del direttore e presi una delle bottiglie che offriva ai suoi ospiti. Dopo averla bevuta tutta, trovai la forza di dar fuoco all’intera camerata!”
Hydargos si asciugò le lacrime e le sue labbra si stirarono in un largo sorriso. Era stato, quello, l’inizio della sua riscossa, e ricordarlo lo faceva stare così bene che non si rese conto che la reazione dell’uditorio era stata una di sbigottito silenzio.
“Venni sospeso dalle lezioni. Papà si arrabbiò perché gli toccò di pagare i funerali e le spese di ristrutturazione del collegio; ma io avevo trovato la mia strada nella vita.”
“Il piromane?” si incuriosì un signore.
“La carriera militare.”
Il generale ora si sentiva rinfrancato come e meglio che dopo un bel brindisi. Rievocare i suoi primi successi gli dava sempre quella sensazione di calore e sicurezza.
“Il principe ereditario in persona, un tipo in gamba, pensò che a un giovane con la mia vocazione non poteva essere negata l’occasione di sviluppare i suoi talenti. Sapete, aveva in programma la conquista dell’universo…”
“Ahhh.”
“Certo, distruggere i pianeti non è un compito alla portata di tutti… ed io mi sentivo sempre insicuro di fronte ai miei compagni di corso. Ma dopo una bella bevuta tutto appariva più semplice, ed è così che sono riuscito a polverizzare prima loro, poi l’intera Nebulosa del Centauro. Sono diventato Comandante delle Forze d’Invasione di Vega. Ormai ero un uomo di successo, le insicurezze erano sparite: bevevo solo per festeggiare i miei successi. Mi sono perfino fidanzato…”
“Bravo Hydargos!”
Applauso collettivo… chissà perché però nessuno sorrideva.
“Beh, lei non era tanto d’accordo, ma re Vega le ha fatto vedere un paio di foto di mio fratello ridotto a un vegetale, e lei si è convinta che era meglio accontentarmi… e sono arrivato qui sulla Terra. Credevo che sarebbe stato un lavoretto da niente, e invece… invece quel maledetto Goldrake continua a distruggere i miei mostri. Io li progetto con tanto odio e lui, puf! Un colpo di Tuono Spaziale, e avanti un altro!”
“Il mio capo non mi capisce… è succube di sua moglie che mi tratta come un incapace… ed allora sono tornato a bere…”
“Ma ora sono quattro settimane che non lo faccio più, e questo grazie voi! A questi meravigliosi gruppi di supporto.”
Un tale che non aveva smesso di prendere appunti tutto il tempo alzò la mano.
“Vuoi dire, Hydargos, che tu hai massacrato tuo fratello, sterminato i tuoi compagni di collegio e di accademia, e vaporizzato una quantità di pianeti per superare le tue insicurezze?”
Con un sorriso a tutta dentatura e gli occhi che brillavano, Hydargos annuì. Ecco... c'era quasi...
“Ma… ma è orribile! Il tuo problema non è l’alcool… è la malvagità!”
Tutti gli astanti, che erano rimasti muti fino a quell’istante, manifestarono contemporaneamente la loro solidarietà al coraggioso che aveva parlato.
Finalmente! Era giunto il momento che aspettava.
“Sì!” Esclamò Hydargos trionfante. Estrasse la pistola laser e, procedendo in senso antiorario dalla signora alla sua destra, eliminò sistematicamente tutti i presenti. Infine uscì dalla sala, chiuse la porta, tirò un calcio alla macchinetta delle bibite e ne estrasse una bottiglia di chinotto, che si scolò in un sol fiato.

Mentre il pilota automatico lo riportava sulla base Skarmoon, il Comandante in Capo consultava le pagine gialle. Le sedi degli alcolisti anonimi di Tokyo ormai erano finite: avrebbe dovuto cercarne un’altra nelle vicinanze per il lunedì successivo.

Poi tirò un bel sospiro di sollievo: non sentiva più il minimo desiderio di bere. Quelle riunioni funzionavano davvero alla grande.



Per dirmi a che tipo di riunioni dovrei partecipare: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=195#lastpost
 
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LA MIA DOLCE METÀ

“…E quindi lei ritiene che il vostro matrimonio sia in crisi. Che cosa pensa ne sia la causa scatenante?”
L’uomo si grattò la testa.
“Beh, intanto devo dire che è molto cambiata, anche fisicamente. Ma il problema maggiore è che mi sta sempre addosso e mi critica. Non ho un attimo di intimità.”
Lei intervenne, con tono distaccato:
“Si è trattato di un incidente sul lavoro, lo sai benissimo.”
Poi, rivolta al consulente, ammise: “Devo dire che mi è stato vicino per tutto il tempo, anche quando mi sembrava di non essere più me stessa. È sempre stato molto, come dire… presente.”
“Capisco. Però ora vi siete allontanati, giusto?”
“No” risposero i due all’unisono.
“Soprattutto dopo l’incidente… ci sentiamo ancora più legati”, disse lui.
“Condividiamo tutto”, confermò lei.
“L’aiuta nei lavori di casa?”
“Sì, anche se tende a lasciare le pistole laser in giro… e mi accompagna anche a fare la spesa.”
Lui scosse la testa: i pomeriggi interminabili al centro commerciale, i tre per due, i bollini delle raccolte punti… una bella requisizione sarebbe stata tanto più semplice. Eppure si era sempre prestato, anche quando si trattava di accompagnarla in boutique a provare quei vestitini frou frou che poi non si metteva mai. E tutte le scarpe tacco dodici che riempivano il loro armadietto. Grazie, con il lavoro che facevano certe mise erano improponibili…
“Ecco, forse i problemi nascono anche dal fatto che lavoriamo insieme”, tentò di spiegare il marito. “E il nostro capo spesso mostra di apprezzare le idee di mia moglie più delle mie. Non vorrei passare per sessista, ma per un uomo è… imbarazzante, sì, sentirsi inferiore alla propria compagna.”
“Un bravo marito dovrebbe sentirsi orgoglioso del successo della propria moglie”, ribatté lei. “E poi, se proprio volessi comportarti come un uomo d’altri tempi, ne avresti decine di occasioni… mai che mi porti fuori, mai un regalino… mai un cinemino… l’ultima volta mi hai portato a vedere Frankenstein, quello con Boris Karloff… anno 1931!”
“Hai sempre detto che lo trovavi un bell’uomo”, sgranò gli occhi lui sorpreso.
Non comunicano, si disse il consulente. “Magari qualche gentilezza…”
“Le tengo sempre aperta la portiera dell’astronave.”
“A dire il vero faccio sempre io!”
Ahia, non avrebbe dovuto toccare quel tasto… lo psicologo cercò di farli tornare col pensiero a un periodo precedente, più sereno.
“Provate a pensare a qualche bel momento vissuto insieme… per esempio, a quando vi siete conosciuti.”
“Ah, che tempi, non riuscivo a togliermela dalla testa…” ricordò lui con aria sognante.
“Sa che mi sembra di conoscerlo da sempre?” sorrise lei.
“Passavamo ore al poligono di tiro…”
“E dall’estetista.”
Ecco, ora che erano più rilassati poteva provare a parlare di temi più delicati.
“E la vita di coppia?”
“Cosa intende?”
“I rapporti intimi… tutto a posto?”
“Tutto nella norma, credo” disse la moglie non del tutto convinta; lui annuì. Il giorno prima delle nozze suo padre gli aveva fatto un lungo discorso che non era sicuro di aver capito.
C’era di certo qualcosa di strano, si disse lo specialista.
“Non c’è mai stato motivo di sospettare infedeltà?”
“Mai”, rispose lei con assoluta sicurezza.
“Per forza, mi stai sempre col fiato sul collo… non mi lascia solo un attimo, gliel’ho detto. Non ho più spazi miei.”
Un caso classico nelle dinamiche di coppia… sempre che coppia fosse la parola giusta.
“Normalmente proporrei una pausa di riflessione, ma in questa situazione non mi pare si tratti della soluzione migliore.”
“Una separazione, anche temporanea, è un argomento che non prenderemo nemmeno in considerazione” esclamarono i due simultaneamente.
Ecco, succedeva di nuovo… il viso di quel folle si era diviso a metà un’altra volta. Un caso di schizofrenia così serio non l’aveva mai visto in vita sua. Se fosse riuscito a studiarlo a fondo, c’era di che diventare famoso, e ricco. Doveva provarci.
“D’accordo, d’accordo. Potrei proporvi dei colloqui a turni… una volta viene il signore, un’altra la signora…”
“Impossibile. Quello di cui abbiamo bisogno è una soluzione immediata.”
“Allora ci sarebbero queste pasticche, che potrebbero aiutare a sopprimere una delle due personalità.”
“Quali personalità? Guardi che ho capito che cosa sta cercando di insinuare! Amore, questo tizio ci sta dando dei pazzi!” disse lei.
“Come sopprimere? Come potrei fare senza di te?” rispose lui estraendo la pistola laser da sotto il mantello.
“Ti ho detto di non mettere le armi nelle tasche, che le sformi!” esclamò la signora.
Lo psicologo piombò a terra con un tonfo sordo, svenuto.
“Uff…” per un attimo Gandal soppesò l’arma in mano, poi la rimise al suo posto.
“Di nuovo. Anche stavolta niente di fatto. Ma vedrai che troveremo chi ci saprà aiutare, ciccino!” cinguettò Lady Gandal. Le aveva appena detto che non poteva fare senza di lei… allora l’amava ancora…
“Andiamo a fare un po’ di compere? Mi sono accorta che non ho neanche un paio di sabot col plateau!”
“Però prima o poi l’ammazzo” disse cupo il marito tra sé e sé, aprendo la portiera dell’astronave.

CODA
Lo psicologo ingoiò l’ennesima manciata di pillole, mandandole giù con un’abbondante sorsata di quello buono. Da giorni continuava ad avere quella visione: un omaccione dalla pelle blu con due facce intercambiabili, come il Big Jim di quando era piccolo, che gli puntava contro un'arma dall'aspetto tanto stravagante quanto pericoloso.
Così non poteva andare avanti.
Aprì le Pagine Gialle alla ricerca di un gruppo di auto-aiuto e decise di recarsi alla riunione del lunedì sera. Strano: era chiuso. Neanche un suono da dietro la porta…
Inserì una monetina nella macchinetta e si consolò con una bottiglia di chinotto.

Se pensate che avrei bisogno di una consulenza: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=210#lastpost

Edited by shooting_star - 23/10/2013, 10:07
 
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Il Natale, proprio perché dovrebbe essere gioioso, spesso ispira sentimenti malinconici...
Con questo racconto faccio a tutti i miei auguri di Buon Natale!

REGALO DI NATALE

“Cosa vorresti per Natale?”
Daisuke era nella sua stanza alla fattoria, intento ad accordare la chitarra.
Era dicembre ormai e il lavoro non era molto; ma gli piaceva trascorrere là il tempo libero, come prima dell’aggressione di Vega. Negli ultimi mesi l’intensificarsi degli attacchi aveva reso preziosi quei pochi momenti di distensione, spesso interrotti dal vibrare del cercapersone. Ma nel crepuscolo invernale tutto sembrava tranquillo, e guardando dalla finestra il prato imbiancato poteva provare a immaginare che là fuori ci fossero solo gli alberi, e la neve che attutiva i suoni in un silenzio pieno di pace.

Hikaru.

Aveva bussato alla sua porta con un vassoio di biscotti ed era arrossita sorridendogli: “Li ho fatti per te… buon Natale!”
Lui l’aveva ringraziata senza capire… doveva avere sbagliato qualcosa, forse si trattava di un’usanza di cui suo padre non gli aveva parlato, si era detto un attimo dopo vedendo l’espressione delusa della ragazza. Per fortuna Danbei era arrivato a controllare che la figlia non si abbandonasse a confidenze sconvenienti con il nuovo fattore, facendola scappare giù per le scale e togliendolo dall’imbarazzo.
“I regali si fanno ai bambini ed agli innamorati, e tu non mi sembri né l’uno né l’altro!” aveva strillato. “Ehm… buon Natale Daisuke!”
“Buon Natale”, aveva ricambiato lui cercando di sembrare naturale.
Era sceso in soggiorno, dove Hikaru apparecchiava per la cena.
“Ti do una mano… i tuoi biscotti sono squisiti.”
“Ma dalle tue parti non si festeggia la sera del 24 dicembre?” aveva chiesto lei con occhi insieme stupiti e risentiti.
“Sì, cioè… non mi ero accorto della data. Scusami… buon Natale!”

Dopo cena aveva aiutato Hikaru e Goro a decorare l’abete con ghirlande colorate e sfere luccicanti.
“Sistemi tu il puntale?”
In piedi su uno sgabello, aveva preso dalle mani di Hikaru la stella di vetro soffiato: la sua bellezza e la sua fragilità gli avevano fatto tremare le mani al ricordo di un’altra stella, che splendeva per un pianeta ormai morto. Danbei aveva scosso la testa di fronte a quelle mode occidentali, ma si era lasciato andare ai suoi ricordi di giovinezza in America al momento di accendere le luci.
Il volto di Hikaru, i grandi occhi nocciola che riflettevano lo sfavillare delle candele colorate… si era accorto allora di quanto fosse bella; o forse era solo dolce e gentile. Era stata lei a farlo sentire a casa fin dal primo momento in cui aveva messo piede alla fattoria, ed ora lo aveva accolto nella sua famiglia, con un affetto che gli scaldava il cuore e gli faceva sentire ancora più forte la nostalgia per il suo mondo perduto. A mezzanotte aveva abbracciato suo padre e suo fratello, e aveva fatto altrettanto con lui.
Una nuova vita era possibile…
Non poteva immaginare cosa sarebbe successo nemmeno un anno dopo.

Continuò a tendere le corde.

Il Natale successivo non era stato altrettanto sereno: Vega aveva dato il via al suo attacco, e lavorare alla fattoria, accudire gli animali, vedere crescere la vita, era diventato per lui ancora più importante. La guerra era iniziata da poco, sperava che si sarebbe conclusa presto; e poi, forse, avrebbe potuto dimenticare per sempre il suo passato e tornare a quella routine semplice e tranquilla che era riuscita per un tempo troppo breve a cancellare i suoi incubi.
Combatteva per salvare la Terra, per i milioni di persone che non aveva potuto salvare su Fleed… ma la Terra era soprattutto Hikaru e la sua famiglia, che nulla sospettavano del motivo per cui ogni tanto il loro fattore sembrava sparire nel nulla; e al ritorno dagli scontri con i mostri di Vega, le ramanzine di Danbei per la sua assenza gli ricordavano che la sua vita vera era al ranch Makiba, non nella cabina di pilotaggio di Grendizer.
A Natale gli innamorati si scambiavano regali… prima dell’arrivo di Vega, aveva pensato che avrebbe potuto approfittarne per saggiare le intenzioni di Hikaru. Poi, la guerra aveva cambiato le sue prospettive: non poteva rivelare alla ragazza la sua vera identità, non poteva chiederle di legarsi a qualcuno che sarebbe potuto morire in battaglia in qualsiasi momento; non poteva condannarla all’ansia di salutarlo senza sapere se lo avrebbe visto tornare. Si era imposto un atteggiamento gentile ma distante.

Il Natale si avvicinava… era stato suo padre, sorridendo, a rispondere alla domanda che Daisuke non aveva avuto il coraggio di fargli, ed a suggerirgli di pensare a un piccolo dono per contraccambiare quello che aveva ricevuto l’anno precedente. Aveva chiesto consiglio a Koji, che gli aveva suggerito di escludere i cioccolatini (“le ragazze sono sempre a dieta!”) e i fiori (“troppo impegnativi”) e le aveva comprato un pupazzetto, un piccolo delfino.
C’erano animali simili ai delfini anche su Fleed. Aggraziati, amichevoli, e con un’espressione sorridente sul viso; capaci di grande forza senza darlo a vedere. In quei mesi aveva visto Hikaru conciliare ottimi risultati a scuola con la gestione della fattoria e degli impegni familiari; sempre serena nonostante una vita dura e piena di responsabilità, certo non usuale per una ragazza così giovane.
Lei era corsa a portare il peluche nella sua cameretta e gli aveva donato una sciarpa fatta con le sue mani, lo stesso regalo che aveva fatto a Goro: gialla per il fratellino, rossa per lui. Ne aveva fatta una azzurra anche per Miyuki, una bambina che pochi giorni prima era rimasta ferita nell’attacco di Vega dove avevano trovato la morte i suoi genitori: Hikaru non aveva esitato ad accoglierla alla fattoria in attesa che i suoi parenti potessero occuparsi di lei.

Era molto più che bella. Non era una principessa come quella che avrebbe dovuto sposare se fosse stato l’erede al trono di Fleed; ma era così che avrebbe voluto la sua compagna.
Quando gli aveva avvolto la sciarpa al collo, le sue mani gli avevano sfiorato il viso, ed era stato difficile per lui resistere alla tentazione di baciarle… poi, di nuovo, era corso via, per esaudire il desiderio di Natale di Miyuki.
Per una volta Grendizer, da macchina di morte, si era trasformato nel veliero al di là del ponte dell’arcobaleno, con cui il Principe delle Stelle avrebbe portato la bambina nel Paese dei Sogni. L’abbraccio della piccola gli aveva ricordato quello della sua sorellina l’ultima volta che l’aveva vista, nelle prigioni di Fleed…

È questo il Natale.

Hikaru era rimasta da sola alla fattoria, e forse era stato meglio così. Non poteva permetterle di farsi illusioni: poteva solo guardarla da lontano ed aspettare che il loro tempo venisse. Se mai fosse venuto…
Quando era tornato al ranch indossando la sua sciarpa rossa lei gli era corsa incontro, lo aveva abbracciato sorridendo. “Miyuki ha ripreso a camminare!” gli aveva detto. Era felice.

Le dita si mossero sulle corde.

Era passato solo un anno, ma sembrava una vita. Hikaru non solo aveva scoperto il suo segreto, ma combatteva Vega accanto a lui, con un coraggio che lo faceva tremare ogni volta che partivano per difendere la Terra da attacchi sempre più brutali; la sua sorellina, ormai una ragazza, era viva ed era entrata anche lei a far parte della squadra.
Aveva fatto di tutto per proteggere Hikaru: dal dolore, dal pericolo, dalla solitudine cui si sarebbe condannata restando insieme a lui; ma lei, testarda e sorridente, non aveva sentito ragioni.

Il braccio gli faceva male.
Era stata lei ad aiutare suo padre a curarlo nei primi, terribili giorni in cui aveva scoperto che la condanna a morte che credeva di aver evitato era stata solo rimandata, quando la ferita da radiazioni si era risvegliata: aveva saputo da subito che cosa lo aspettava e invece di allontanarsi gli era stata ancora più vicino.

La mia ragazza coraggiosa.

Quest’anno le avrebbe lasciato qualcosa che le sarebbe rimasto per sempre.

Lavorava a quella canzone da tempo… c’era così tanto che avrebbe voluto metterci dentro. Lo splendore dei suoi occhi e il brillare del sole sui suoi capelli quando cavalcava; la dolcezza della sua voce che pronunciava il suo nome; la serenità che riusciva a mantenere anche nei momenti più difficili e che sapeva infondergli quando la disperazione sembrava prendere il sopravvento; e la consapevolezza che i rari momenti di felicità che erano stati concessi loro presto sarebbero finiti.
La lesione era sempre più estesa, sempre più vicina al cuore… il dolore sempre più intollerabile.

Non ci sarà un altro Natale.

Aveva rinunciato a scrivere le parole: quello che sentiva non sapeva dirlo. La musica, invece…

La musica scorreva dolce e malinconica sotto le sue dita, e parlava delle albe e dei tramonti, così simili sulla Terra e su Fleed, della bellezza del pianeta che l’aveva accolto e del suo amore per la ragazza che era diventata il suo rifugio, la sua sicurezza, la sua vita.
Parlava di tutto quello che le parole non potevano dire.
Ogni volta che Hikaru l’avrebbe sentita, sarebbe stato accanto a lei, sempre.

“Cosa vorresti per Natale?”
Hikaru gliel’aveva chiesto quella mattina, al ritorno dalla ricognizione. Lui le aveva preso la mano.
“Ho già quello che desidero”, aveva mentito.
Era così bella quando sorrideva.

Ecco, la canzone era finita… si rese conto delle gocce che bagnavano la cassa della chitarra e si portò le mani agli occhi in un gesto automatico. Stava piangendo, un pianto dolce e sommesso che sembrava portare via con sé il dolore della sua anima.

“Vorrei… vorrei che ci potessero essere altri Natali insieme a te, Hikaru.”

-fine-



Per eventuali commenti sulla mia inaspettata conversione ai buoni sentimenti (poi mi passa): https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=210#lastpost
 
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