Go Nagai Net

shooting_star's fiction gallery - solo autore

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 28/12/2013, 17:20     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


Natale! Il 24 dicembre tutti sono più buoni: le luci, l’attesa, la magia della notte santa …poi si scartano i regali.
Il 25 dicembre trascorre nella certezza che le persone che abbiamo accanto non ci conoscono affatto, e ci si consola abboffandosi di panettone.
Il 26… il 26 si comincia a studiare un piano di contrattacco.

ECO ROBOT GREEN-DIZER E IL RICICLAGGIO NATALIZIO!

Su Skarmoon non si faceva eccezione alle regole universali citate poco sopra, anche se il panettone preparato da Lady Gandal aveva fatto sì che il pranzo di Natale avesse una chiusa molto poco consolatoria: quando il King Goli aveva ricevuto la sua insolitamente abbondante razione, il suo ruggito aveva fatto tremare tutta la base. Fortunatamente, però, subito dopo le mascelle del bestione si erano saldamente incollate tra loro, impedendogli di disturbare il pisolino necessario alla digestione di quello ed altri manicaretti preparati dalla signora della base.
Hydargos, digiuno e sobrio e quindi pericolosamente acido, tentava di capire cosa fare con il nastro di stoffa estratto da un pacchetto in carta roccia mimetica consegnatogli dal generale Gandal; Gandal stesso osservava un po’ perplesso la boccetta avvolta in carta velina rosa che Re Vega in persona gli aveva porto con il migliore dei suoi sorrisi. Sull’etichetta campeggiava, scritto in caratteri vezzosamente arrotondati, il nome del prodotto, “Sexy Boy”... lo annusò con prudenza: forse si trattava di quella nuova arma batteriologica di cui tanto aveva sentito parlare.
Il suo volto si aprì con uno schiocco:
“Guai a te se ti metti questo profumo!”
Lady Gandal abbassò la voce. “Però sua maestà poteva almeno aprire il pacchetto inviatogli l’anno scorso dalla sua fidanzata… un regalo così è adatto a chi è ancora scapolo! Hydargos…”
Il comandante militare, grande esperto di nodi, aveva appena formato un cappio con la stoffa a righe fucsia e beige, e si guardava intorno per decidere su chi farne uso.
“Hydargos, vieni qui, te la lego io!” Le manone blu adornate da una perfetta French manicure sistemarono la cravatta con perizia. “Ma questa non è la regimental che ti ho regalato per il tuo compleanno, ciccino? Ciccino? Perché non rispondi?”'
La faccia blu, lievemente viola per l'imbarazzo, si richiuse solo per un secondo. “Lo sai che certe cose io non le metto.”
“Già, mai un cambiamento di look in 70 e passa puntate... ecco fatto Hydargos, ti sta davvero un amore.” Lady Gandal scosse la testa. “Del resto faccio poca fatica ad immaginare da chi venga il libro che mi hai regalato…”
Sul grande tavolo della sala riunioni, ancora parzialmente avvolto in carta-roccia, troneggiava il volume cartonato “Stornelli da osteria per ogni occasione”.
Zuril posò accanto al libro gli occhiali da vista generoso presente di Re Vega (sull’astina dorata recavano la scritta “a papino”, che lui era stato in grado di leggere perfettamente), e rifletté.
Riciclare i regali, ancorché inelegante - si disse contemplando il manuale sull’arte di ripiegare i tovaglioli che aveva regalato cinque anni prima a Gandal e che aveva appena terminato il suo giro finendo in un pacchetto destinato a lui - era una scelta vincente: economica ed ecologica.
Un boato terribile scosse la base: a quanto pare il King Goli era finalmente riuscito a scollare le mascelle.
Mmm… gli era venuta un’idea.

Sulla Terra, Alcor rigirava tra le dita la catena per biciclette seminuova che aveva estratto da un involto accuratamente realizzato con carta da giornale ripiegata ad origami.
“Grazie, Actarus… chissà quanto tempo ci hai messo per confezionarla.”
“Fare regali agli amici è un piacere, e non si deve badare a sacrifici per la loro felicità!” esclamò lui con un sorriso modesto, indossando le cuffie regalategli da Maria e Alcor.
“Con queste non prenderò freddo in bicicletta!”
“Ehm fratello… servirebbero per ascoltare gli mp3…”
“Ah... mp3. Grazie lo stesso, Maria, è il pensiero quello che conta!”
“Grazie a te per il kit di riparazione camere d’aria, ci tenevo davvero tanto.”
“Hai visto? C’è anche la carta vetrata!” esclamò lui entusiasta.
“Oh, Actarus!” sbottò Venusia scartando il suo “Manuale delle pulizie di casa senza detergenti”
“Anche a me il tuo maglione fatto a mano è piaciuto veramente moltissimo!”
Procton osservava commosso i suoi ragazzi festeggiare, sorseggiando la cedrata che i suoi assistenti gli avevano fatto recapitare da un corriere dall’espressione losca ma tanto gentile. Indossava i mezzi guanti che - gli aveva spiegato il figlio - gli avrebbero permesso di utilizzare i computer anche ora che, con l'impianto di riscaldamento finalmente spento, in sala comando la temperatura si aggirava intorno ai 5 gradi centigradi.
Forse Actarus aveva ragione, si disse… non c’era poi tutto questo freddo. “Hayashi, vuoi un sorso anche tu?”
Si tolse il giaccone e si slacciò il primo bottone della camicia. “Ho scelto il giorno sbagliato per mettermi la cravatta!”

Sul grande schermo della base scorrevano le immagini di repertorio: uno scontro epico.
"Come vedete, si tratta di uno dei pochi casi in cui Goldrake è stato messo in serie difficoltà da uno dei nostri mostri..."
"Non so, Zuril. Riciclare i mostri, sotto le feste poi... a me pare brutto, ecco..."
"Detto da te, ha!" Lady Gandal interruppe il marito lanciando uno sguardo allusivo al libro ricevuto in dono "Certo che riciclare è out! Che figura faremo con gli altri cattivi? Sai quanto ci riderà dietro quella smorfiosa di Himika?"
"Con tutto quello che ci costa in banane transgeniche, potremmo anche fare in modo che il King Goli si rendesse finalmente utile", commentò secco Hydargos.
"Ma a me quella bestiola mette tanta allegria... è così carino quando mi ruggisce contro..." esclamò il Grande Vega con lo sguardo intenerito."Ed è tanto simpatico quando fa gli agguati alle guardie!"
"Sì, soprattutto quando ci gioca le volte che riesce ad acchiapparne una", ammise Gandal sorridendo.
"Non dovete preoccuparvi Sire, il King Goli ha la vittoria in mano!"
In quel momento i poderosi pugni del gorilla elettronico rimbombarono più forte contro il poderoso torace ed un suono simile al tuono fece vibrare le suppellettili.
"Che carino, ha fatto il ruttino!"
"Avrà digerito il panettone", commentò Zuril guardando Gandal in viso. Da vera signora, la sua consorte scelse di glissare.
"Se proprio non si può fare diversamente, almeno mettiamogli un po' di porporina sulle corna... e se Himika osa dire qualcosa possiamo sempre dirle che i mostri vintage sono il trend animalier del momento. Ed ho anche un’idea per un tocco Christmas-chic."
“È Natale… lo chiameremo King-Magi”

"Professor Procton, un nuovo attacco!"
"Come, Yamada? Uff, neanche a Natale!"
"Non c'è problema padre, un po' di movimento ci aiuterà a smaltire il pranzo… vediamo."
Un gigantesco gorilla scintillante d’oro si aggirava per Tokyo con in mano un enorme abete decorato da festoni anch’essi dorati (in pendant, aveva raccomandato Lady Gandal), usandolo come una mazza per demolire tutti gli edifici che gli capitavano a tiro.
“Ma quello… quello…”
"Quello non è il King Goli? Il mostro che aveva strappato un braccio a Goldrake? Quello che quasi aveva ucciso Actarus? Che aveva rapito Venusia? Che..."
"Sì, grazie Alcor, abbiamo capito. Quello."
“Un mostro riciclato! E con un’arma in legno!” esclamò Actarus. “Noto con piacere che anche i nostri nemici non sono sordi alle tematiche ambientali.”
"Ma non era dorato", osservò Maria.
"Non è tutto oro quel che luccica... guardate quelle sbavature nella pittura. A quanto pare i nostri avversari attraversano un momento di ristrettezze economiche. Un mostro riciclato, e dipinto alla bell'e meglio con la porporina... Conoscete già i suoi punti deboli, lo batterete senza difficoltà."
"Certo padre! Andiamo!"

Green-dizer, il difensore della verde Terra, aprì le comunicazioni: “Alcor, tu ricordi quali erano i punti deboli del King Goli, vero?”
Dall’Aquila giunse pronta la risposta: “A dire il vero, Actarus, credevo te li ricordassi tu…”
La pilota del Picchio si intromise: “Ragazzi, da quel che mi ricordo il King Gori era… invincibile…”
“Maledizione, Maria! Non potevi dirlo prima?”
“Oh, Actarus!” Ah beh, questa era sicuramente Venusia sul Delfino.
“Certo, ci sarebbe anche da dire che i gorilla sono una specie in estinzione e che se lo uccidessimo non daremmo una bella immagine di noi davanti alla stampa mondiale.”
“Non vorrai mica tirarti indietro, Actarus?”
“No, ma… è Natale… prenderlo vivo?”
“Oh, Actarus!” risposero i tre piloti in coro.
La squadriglia si diresse ad affrontare il suo nemico.

King Goli alzò il muso verso Green-dizer, roteando minaccioso il tronco d’albero.
“Che bello, mi ha riconosciuto!” esclamò Actarus. “L’intelligenza degli animali selvatici è spesso ingiustamente misconosciuta” aggiunse schivando una poderosa randellata.
“Ho un’idea… lasciate fare a me. Green-dizer, fuori!
Il possente robot cornuto si pose in piedi di fronte al possente mostro di Vega e si percosse il petto con i pugni.
“Va a finire che danneggia il raggio antigravità, vedrai” scosse la testa Maria.
Il gorilla dorato si percosse il petto con i pugni a sua volta.

“A quanto pare il nostro condizionamento non ha rimosso completamente il suo istinto di scimmia…”
Sentendosi sul collo gli sguardi degli altri generali e del sire, Zuril manovrava nervosamente il telecomando che muoveva il mostro.
“Colpisci, King-Magi! Schiaccia Green-dizer nella morsa delle tue possenti braccia!”
Il bestione grugnì.
“Colpisci ti dico! Fai a pezzi il tuo nemico!”
“Se fai il bravo c’è un petit cadeau per te!”, si intromise Lady Gandal con voce carezzevole.
Un ruggito più forte degli altri, ed il King-Magi si slanciò verso Green-dizer; questo per tutta risposta si inclinò in avanti e prese a correre caracollando, con il mostro al seguito. Presto furono fuori dalla città.
“La mia idea ha funzionato! Ora Tokyo è salva!”

L’Aquila, il Picchio ed il Delfino assistevano a distanza allo scontro titanico.
I due enormi esseri ora agitavano le braccia, saltando alternativamente ora su una gamba ora sull’altra.
“Ma è poi uno scontro? A me sembra che stiano facendo amicizia!”

Sudore freddo colava lungo la fronte del ministro delle scienze. Lo scimmione ignorava bellamente i suoi ordini.
“Guardate, ora sembra che voglia spulciarlo!” gongolava Yabarn. “Che carino!”
“Maestà, devo ricordarvi che stiamo perdendo?”
Green-dizer sollevò una mano a grattarsi la testa: il gorilla fece altrettanto e si grattò una delle corna, scrostando via la porporina che le ricopriva. I suoi occhi lampeggiarono di una nuova luce.
“Ecco… contatto! King-Magi, ascolta il tuo padrone! Stritola Green-dizer!”
Le braccia dell’enorme gorilla si tesero… abbracciarono il robot… e cominciarono a stringere...

“Guardate, giocano alla lotta!”
“È proprio vero, non è così cattivo come me lo ricordavo…”
“Eh già, in fondo è Natale…”
“Oh, Actarus!”
Da Green-dizer giunse un verso simile a un rantolo.
“Allora, qualcuno pensa di aiutarmi? Questa bestiaccia mi sta soffocando!”
“Ma Actarus! Non l’avevi detto tu che i gorilla…”
“Credevamo che volessi prenderlo vivo...”
“Fate presto! Uno in meno non farà differenza!”

Le lame ecologiche ed i raggi biodegradabili posero rapidamente fine alla rivincita del King-Magi; l’infelice bestione esplose in un tripudio di vernice dorata.

“Il mio cucciolo!” si soffiò il naso re Vega.
“Coraggio, mio sire. Chiederò a Dantus di mandarcene un altro.”

“È sempre con tristezza che poniamo fine alla vita di un animale innocente!” esclamò Actarus sullo sfondo rosseggiante del tramonto. “Ma ora andiamo a casa…” disse infilandosi le dita sotto il colletto della tuta, “temo che mi abbia attaccato le pulci!”

I ventidue minuti non sono ancora finiti… mentre Actarus, in preda ad un’incontenibile frenesia, innestava la velocità fotonica e riportava Green-dizer alla base, gli altri tre membri dell’equipaggio, rimasti volutamente indietro, setacciavano il cielo con i radar.
“Maria, Venusia! L’ho trovato!”
Un mezzo volante di foggia tradizionale, guidato da un signore anziano vestito di rosso e con una barba fluente.
L’Aquila, il Picchio e il Delfino circondarono la slitta di Babbo Natale e la costrinsero a fermarsi.
“No no, ragazzi, mi dispiace ma sono a fine turno. E poi mi sembrate abbastanza grandi per credere ancora a me. Ho Ho Ho!”
Fu Maria a farsi portavoce del terzetto, consegnando all’uomo un involto con scritto “reso” e sussurrandogli qualche parola all’orecchio.
“Ah, se è così io non posso più farci niente… ma ho un’amica che può darvi una mano. Bisognerà aspettare il sei di gennaio, ma la consegna è garantita!”
“Grazie, Babbo, e Buon Natale!”
“Buon Natale anche a voi! Ho Ho Ho!”

Ecco fatto. Mentre la slitta di Babbo Natale si allontanava nel crepuscolo, i nostri eroi ritornarono alla base, con nel cuore la certezza che non una ma due missioni erano state compiute. La Terra era ancora una volta salva; ed Actarus avrebbe ricevuto una calza ricolma di carbone.

Come, è inquinante? Peggio per lui… ormai Natale è passato!



Per mandarlo a me, il carbone: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=225#lastpost

Edited by shooting_star - 28/12/2013, 19:11
 
Top
view post Posted on 5/1/2014, 22:27     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


CODA - EPIFANIA (praticamente il trailer della nuova stagione)

Ufo robot Ufo robot!” (sigla di testa)

Come si conveniva a dei bravi cattivi, per i residenti su Skarmoon il sei di gennaio era una data molto attesa. Anche quell’anno la Befana si confermò una delle maggiori fonti energetiche della base, con una fornitura di carbone in grado di sostenerne i consumi per diversi mesi a venire.
Mentre agganciava alla sua astronave la calza ricevuta in regalo a riconoscimento delle sue malefatte – il computer oculare l’aveva rapidamente stimata ad oltre una tonnellata di carbon coke di ottima qualità – Zuril notò che tra i doni riservati a Re Vega, oltre al consueto carico carbonifero ben superiore a quello di ogni altro abitante della base, c’era una grande calza di maglina azzurra a coste, chiusa da un luccicante fiocco dorato. Oltre che per il colore che appariva incongruo nel nero uniforme del deposito postale, la calza celeste spiccava per il fatto che qualcosa al suo interno si agitava violentemente.
“Forse l’ha mandata Dantus!”
Yabarn vi si avvicinò trepidante, accompagnato da due guardie che sembravano non condividere l’entusiasmo del loro sovrano: la prima sciolse con circospezione il fiocco, l’altra, dotata di un’enorme rete elettrificata, la posizionò ben tesa all’apertura del calzettone.
“Sì! Un nuovo cucciolo!” giubilò il sire di Vega saltellando felice mentre un gorilla cornuto dell’altezza di – secondo il computer oculare – tre metri e 5 centimetri balzava dell’indumento turchino, e svelleva allegro un braccio allo sfortunato che aveva avuto in sorte di estrarre il bastoncino più corto, guadagnandosi così l’onore di sciogliere il nodo del regale omaggio.
“Tu, accompagnalo nella sua gabbia! E vedi di non fargli del male, poverino!” ordinò Vega alla guardia ancora integra, cui non sembrava vero di esser riuscito ad avvolgere il dono di Dantus nella sua rete e che ora tentava di trascinare lo scimmione fuori dal deposito.
“È ancora così piccino… lo chiameremo Junior!”

Nello stesso momento, sulla Terra, i nostri eroi aprivano i quattro calzettoni che la sera prima avevano lasciato appesi al tavolo della sala comando: dolcetti ed un casco nuovo ciascuno per Alcor, Maria e Venusia. I tre, soddisfatti, si volsero curiosi verso il capo della squadriglia.
Actarus aprì a sua volta la sua calza, trovandola piena di una sostanza nera… carbone a lui? Il difensore della Terra? Così generoso? Così buono e sensibile? Impossibile! Provò stupefatto a leccarne un pezzetto: sicuramente era di zucchero… no, bleah! Carbon coke della miglior qualità anche per lui (eh, la Befana non fa figli e figliastri). Ma perché indirizzare proprio a lui un dono così inquinante?
“Padre, non capisco…”
Gli occhioni blu si sgranarono all’indirizzo di un Procton il cui volto aveva assunto un colorito ancora più blu, nonostante il professore fosse avvolto in un giaccone imbottito.
“Fa lo stesso, figliolo. Ho l’impressione che questo dono non ti interessi… dai qua, ci penso io a smaltirlo in maniera ecologica.”
Le dita parzialmente coperte dai mezzi guanti afferrarono la calza e la fecero sparire dietro il paravento che nascondeva una vecchia stufetta annerita: Rigel l’aveva scovata, coperta di ragnatele, in fondo al capanno degli attrezzi del ranch e l’aveva generosamente donata al professore e ai suoi assistenti perché potessero riscaldarsi almeno mentre Actarus era su Goldrake.
“C’è anche questo per te, Actarus!”
Alcor indicò ghignando un quinto contenitore: un sacco nero per i rifiuti. In effetti, il biglietto appeso al pratico laccetto di chiusura lo destinava ad Actarus, che lo soppesò sorridente ed incredulo.
“Due doni per me? Che bello! Certo, potevano almeno usare un sacchetto biodegradabile… ma a caval donato non si guarda in bocca, vorrà dire che lo useremo per raccogliere l’indifferenziato, vero?”
Dal sacchetto di plastica uscirono una catena per biciclette seminuova ma in ottime condizioni, ed un kit per la riparazione delle camere d’aria completo di carta vetrata.
“Guardate!” esclamò entusiasta “Ora posso girare in bicicletta in totale sicurezza per i prossimi mesi! Ma… c’è ancora qualcos’altro… qualcosa di grosso!”
Con un certo sforzo, Actarus estrasse dal fondo del sacchetto il ponderoso volume intitolato “Manuale delle pulizie della casa senza detergenti”.
Il ragazzo era senza parole: certo che questa Befana lo conosceva davvero bene!
“Ora ho qualcosa da regalare a Rubina per il suo compleanno! O credete che la Befana se ne avrà a male? A te era piaciuto tanto, vero Venusia?”
“Oh, Actarus!” rispose lei: per una volta, senza alcuna gelosia ma con intima solidarietà femminile.
Con molto minore solidarietà, i piloti degli altri due mezzi provvedettero a…

Vaa distruggi il male vaa…

Accidenti, è partita la sigla di coda! (ma tendendo l’orecchio si distinguono inquietanti rumori di sottofondo)
In sovrimpressione la scritta: il nuovo anno inizia sotto i migliori auspici…

Per seppellirmi di carbon coke della miglior qualità: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=225#lastpost
 
Top
view post Posted on 13/1/2014, 16:55     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


Com'è stato l'arrivo sulla Terra di Duke Fleed, come il suo adattamento? Un tema non nuovo in fan section, lo ammetto.
Questa è la mia versione, che riprende dove "La guerra di Duke" si era interrotto.

Sotto spoiler un breve riassunto del finale del racconto precedente:

Dopo aver guidato una disperata, inutile resistenza, Duke Fleed vede il suo pianeta distrutto dalle armate di Vega. Il re suo padre, in punto di morte, gli ordina di portare via Grendizer per impedire che il robot cada nelle mani nemiche: Duke obbedisce e fugge nello spazio profondo, in preda ai sensi di colpa per aver abbandonato Fleed al suo destino. Al termine di un lungo viaggio, l'attrazione gravitazionale fa precipitare Grendizer ed il suo pilota ormai stremato su una località sperduta del Giappone...



TERRA - 1.

luce

tutto brucia, devo andare,

luce… nel vuoto non c’è luce…

Dove sono? Allungo le dita ma non trovo i pulsanti. Non sono più su Grendizer.
Sono sdraiato sulla schiena. Sento luce attraverso le palpebre chiuse. Ho qualcosa di estraneo in gola.

Cerco di sollevarmi, ma non riesco a muovere le mani, sono legate, anche i piedi.
Prigioniero, di nuovo.
Precipito nell’abisso, senza appigli.

La coscienza si risveglia di colpo, i sensi, in allerta, sono di un’acutezza dolorosa. Il cuore accelera fuori controllo, il sangue batte alle tempie.
Avrei dovuto dirigermi contro la Stella del Sud, il calore del sole avrebbe fuso il gren. Ma no, ho preferito la fuga alla morte, sono stato un vigliacco… un vigliacco e uno stupido, e ora dovrò pagare per il mio errore.
Non voglio essere torturato, non un’altra volta.

Piano. Devo prendere tempo, riflettere. Prima di tutto, capire dove mi trovo… non devono sapere che sono sveglio. Non devo aprire gli occhi.
L’unico rumore è un fruscio tenue e continuo, interrotto ogni tanto da un breve suono più acuto. Sono solo? Forse mi stanno riprendendo, non devo muovermi. Sono nudo ma non ho freddo, non provo dolore, solo fastidio al naso, alla gola. Sotto la schiena ho qualcosa di morbido, qualcos’altro, leggero, mi copre. Annuso l'aria, non è quella viziata di un disco spaziale o delle prigioni di Fleed... le prigioni di Fleed non esistono più, non esiste più il palazzo. Fleed non esiste più...
Mi hanno portato su un altro pianeta, un’altra preda delle razzie di Vega. Ma perché? Possono clonare le mie onde cerebrali, di certo l’hanno già fatto…

Ma solo io conosco i comandi.

Anche la mia ultima missione, portare Grendizer dove Vega non avrebbe mai potuto averlo, è fallita. Anche questa... Tutto quello che posso fare ora è tacere, proteggere fino alla fine il segreto dell’arma il cui possesso ha scatenato la guerra contro Fleed. Ci sono voluti mesi per imparare a controllare Grendizer, e più di un anno di simulazioni per essere in grado di affrontare un combattimento: loro ci metteranno molto di più, perderanno tempo e uomini.
Mi tortureranno, ancora… ancora una volta, non sapranno niente: lo giuro, sulla memoria di Fleed, dei miei compagni che hanno perso la vita per difenderlo, e che ho abbandonato al loro destino.
I ricordi ritornano crudeli, non riesco a fermarli: Fleed devastato dalle radiazioni, il mio popolo e i miei compagni, i miei genitori, massacrati; l'inganno, l’impotenza, la sconfitta… l’ultimo terribile ordine di mio padre morente, smettere di combattere, fuggire dal pianeta ormai perduto; mettere in salvo Grendizer.
La condanna ad essere l’unico sopravvissuto di un mondo che avevo contribuito, con la mia ingenuità, a distruggere.
Il viaggio, via dalla nebulosa del Centauro, senza meta, senza cibo né acqua. L’incoscienza era arrivata ancor più rapidamente di quanto avessi sperato. Ogni volta che riprendevo i sensi – pochi istanti, sempre più di rado – pensavo con sollievo che sarebbe stata l’ultima. Avevo sorriso alla fine che si avvicinava. E invece…

Un rumore lieve e secco, passi che si avvicinano. Trattengo il respiro… è inutile aspettare ancora. Qualsiasi cosa mi trovi davanti quando aprirò gli occhi, non devono vedere che ho paura.

***

Ti ho trovato durante un’escursione in montagna. Si stava avvicinando una bufera di neve e mi stavo affrettando al rifugio, quando ho sentito uno spostamento d’aria e un rumore spaventoso. Ho pensato a un terremoto, poi ho visto che qualcosa di enorme si era abbattuto sugli alberi al limitare del boschetto da cui ero appena uscito. Mi sono avvicinato, e ti ho visto: un ragazzo, probabilmente catapultato fuori da quel mezzo… cos’era? Un disco, come quelli che ogni tanto qualche squilibrato sosteneva di aver visto volare, da cui spuntava una sorta di grossa testa con due corna… il mio primo pensiero è stato “UFO”, ma mi sono subito detto che si trattava di un’assurdità. L’unica certezza eri tu, un corpo magrissimo e freddo, vestito solo di una tuta leggera, sul terreno che cominciava a coprirsi di fiocchi gelidi. Respiravi appena: non potevo lasciarti lì, chiunque tu fossi. Per un attimo il mio istinto di scienziato ha preso il sopravvento ed ho fotografato il veicolo che ti aveva portato sulla montagna; poi ti ho caricato sulle spalle e ti ho portato al rifugio. Mentre la neve cadeva ricoprendo ogni cosa, ti ho avvolto in tutte le coperte che sono riuscito a trovare e ti ho caricato sulla jeep.
Dove potevo portarti? L'ospedale sarebbe dovuto essere la prima scelta, ma l’ho subito escluso. Quel disco non aveva niente di terrestre, e conoscevo fin troppo bene l’attenzione delle autorità per qualsiasi cosa che potesse essere classificata come “aliena”: era anche il mio lavoro.
Avevo trovato un ragazzo ferito, il mio compito era proteggerlo, non potevo permettere che venisse tormentato con analisi ed esperimenti; e ti ho portato dall’unica persona di cui sapevo di potermi fidare.
Hiro era stato mio compagno di scuola fin dalle elementari, i nostri percorsi si erano divisi solo quando lui aveva scelto di studiare medicina; ma in realtà la nostra collaborazione era divenuta anche più stretta. La nostra diversa formazione ci aveva permesso di unire gli sforzi per indagare la possibilità di forme di vita nell’universo.
Casa sua era fortunatamente abbastanza isolata da poter parcheggiare la jeep e trasportarti fuori senza essere visti. Ti abbiamo deposto sul letto che era stato di suo figlio e abbiamo provato a rianimarti.

“Genzo, sei sicuro di aver visto un disco volante? Questo ha tutta l’aria di essere umano, e le sue condizioni mi sembrano serie. Dovremmo portarlo in ospedale.”
In quel momento la tuta rossa si era dissolta per lasciar posto a una specie di tunica senza bottoni… ci guardammo negli occhi come per aver conferma di ciò che avevamo visto.
“Diamoci da fare. Prima di tutto bisognerà scaldarlo, e reidratarlo. Chissà da quanto tempo è in questo stato.”

Ti abbiamo spogliato e avvolto in una termocoperta; ho aiutato Hiro a medicare alcuni tagli – sul torace, sulle braccia e le gambe – che erano solo parzialmente cicatrizzati, poi ti ho tenuto fermo mentre lui tentava l’inserimento di una flebo sul dorso della mano.
“Dopo quello che abbiamo visto non possiamo pensare che sia terrestre… ma l’hai visto anche tu, il suo corpo è identico al nostro. Cinque dita per mano, ha perfino l’ombelico. Credo che valga la pena di rischiare. Se si riprende tenterò un prelievo di sangue, potrebbe aiutarci a stabilire come nutrirlo. E… Genzo?”
Immaginavo quello che mi avrebbe detto, tante volte avevamo provato a immaginarci se gli alieni, nel caso fossero esistiti, sarebbero stati pericolosi.
“Io proverei a immobilizzarlo. Potrebbe strapparsi la flebo… e potrebbe anche attaccarci. Se anche fosse amichevole, è meglio che sia legato. Riesci a immaginare il suo terrore quando si sveglierà?”

Hai passato una notte tranquilla. Non riuscivamo a staccarti gli occhi da dosso… un ragazzo, diciannove, vent’anni al massimo, carnagione chiarissima, capelli scuri e mossi. Lineamenti europei… non proprio, c’era qualcosa di diverso, ma cosa? Un bel ragazzo, anche se quasi pelle ed ossa. Un alieno umanoide o un essere umano? Non me la sono mai sentita di approfondire troppo i temi della fede, la mia fede è sempre stata la scienza. Ma certo vederti arrivare dallo spazio, da un mondo di cui potevo solo immaginare la distanza, e vederti così identico a noi mi ha fatto riflettere. Forse ad ambienti analoghi la forza insensibile e perfetta della natura risponde con un’analoga evoluzione. O forse davvero esiste un progetto superiore…

Il giorno dopo era domenica, e visto che sembravi stabile Hiro ha deciso di portarti nella clinica dove lavora. L’ho accompagnato per aiutarlo, e per assicurarmi che non si lasciasse prendere dal comprensibile entusiasmo di poter esaminare un alieno.
“Lo sai perché non l’ho portato in ospedale. Nessun esperimento.”
“Tranquillo Genzo… svolgerò solo gli accertamenti necessari per mantenerlo in vita. Lo tratterò come se fosse mio figlio.”

“La fisiologia è analoga alla nostra. Gli organi sembrano identici, la composizione del sangue è affine, anche se non corrisponde a nessuno dei nostri gruppi sanguigni. L’unica differenza di rilievo sono le ossa e i muscoli. Le ossa sono molto più dense e solide delle nostre, e conta che il ragazzo…” Hiro sorrise “non vedo come potrei chiamarlo diversamente… il ragazzo, dicevo, deve aver trascorso molto tempo immobile. E anche la muscolatura, per quanto in parte atrofizzata dall’inattività, ha una potenza che nessun terrestre, neppure il più allenato, può sognarsi di raggiungere.”
“Probabilmente le condizioni del posto da cui proviene sono un po’ diverse dalle nostre.”
“L’ho pensato anch’io... se si riprende, avrà una forza e una velocità straordinarie. E… un’altra cosa.” L’espressione di Hiro si fece seria.
“Per quanto forti, le ossa hanno subito una grande quantità di traumi. Microfratture a diversi stadi di guarigione, compatibili con una serie di incidenti… ma quando li riscontriamo nei nostri pazienti, di solito significano una cosa sola. Il ragazzo è stato picchiato, sistematicamente, ripetutamente e con violenza. Oltre alle ferite che hai visto anche tu e che potrebbero essere dovute a una caduta, la pelle è coperta di piccole cicatrici; sulla spalla ha un’ustione molto profonda. Di sicuro ha sofferto molto.”
“Forse allora è arrivato qui perché fuggiva.”
“Può darsi. Ma la buona notizia è che con ogni probabilità possiamo alimentarlo come un terrestre, e che i suoi parametri vitali ci permettono di essere sufficientemente ottimisti… e forse riuscirà a spiegarci tutto lui. La laringe è identica alla nostra, sono certo che è in grado di parlare.”

Non potevi restare in clinica né a casa di Hiro, sua moglie sarebbe tornata di lì a breve; così ti abbiamo portato a casa mia. Hiro ha attrezzato la camera degli ospiti per assisterti: strumenti per il monitoraggio del battito cardiaco e delle attività cerebrali, per la nutrizione tramite sondino nasogastrico.
“È tanto che Kyoko mi chiedeva di restituire la strumentazione. Per fortuna ho aspettato… “
Nei suoi occhi è passata un’ombra. “Vedrai che riusciremo a salvarlo.”
Takeo, suo figlio, non si era salvato dopo l’incidente; in due anni di coma era passato lentamente dall’incoscienza allo stato vegetativo alla morte cerebrale, e sua moglie, che si era aggrappata alla speranza fino all’ultimo respiro del ragazzo, aveva dato a Hiro, alla sua incompetenza, la colpa della sua morte. Ora Kyoko passava periodi sempre più lunghi presso la sua famiglia; e quando lei tornava, Hiro restava in clinica la maggior parte del suo tempo.
“Verrò da te tutti i giorni. Dirò a mia moglie che faccio gli straordinari, non se ne preoccuperà.”

Ho sviluppato le fotografie della tua nave. È qualcosa di impensabile per la nostra tecnologia, se venisse ritrovata il mondo scientifico ne sarebbe sconvolto: sarebbe una prova incontrovertibile dell’esistenza di vita aliena, e anche tu saresti in pericolo. Ma ora la neve, caduta abbondante nell’ultima settimana, deve averla ricoperta completamente; e nessuno si avventura da quelle parti con questo tempo, è al sicuro. Intanto, con pochi giorni di nutrizione artificiale il tuo peso è aumentato, i tuoi parametri vitali sono migliorati costantemente. Hai un fisico forte e una grande capacità di recupero.
Hiro è arrivato con un borsone contenente alcuni vestiti di Takeo. “Presto gli serviranno. Kyoko non se ne accorgerà, rendimeli con calma.”

Il coma assomiglia sempre più a un sonno profondo. Reagisci ai suoni improvvisi, al tocco dell’infermiera che viene ad accudirti. Ho cominciato a chiedermi come comunicare con te, se sarà possibile.

Apro piano la porta della tua stanza. Scosto le tende, è una fredda giornata di sole: la luce colpisce il tuo letto, mi sembra che ti sia mosso. Mi avvicino trattenendo il fiato.
Hai aperto gli occhi e mi fissi in silenzio: nelle iridi di un blu profondo leggo il dolore, la paura, la determinazione. Non ho più dubbi.
Sei umano.



- continua - per chi volesse commentare: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=240#lastpost

Edited by shooting_star - 16/1/2014, 01:32
 
Top
view post Posted on 16/1/2014, 16:17     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


TERRA - 2.

Non ho mai visto una luce così bianca, ferisce gli occhi. Li chiudo, poi mi sforzo di riaprirli. Un uomo si piega su di me: ha i baffi, e porta una strana tunica bianca. Non sembra veghiano, forse viene da uno dei pianeti sottomessi… ha lineamenti regolari, piacevoli perfino; se i capelli non fossero così corti potrebbe sembrare fleediano. Parla lentamente, come se sapesse che io non posso capirlo. Non ho mai sentito una lingua simile: non somiglia a quella di Fleed, e non ha nemmeno i suoni duri del veghiano, parole aspre che nemmeno la voce di Rubina poteva addolcire. Non è neppure la lingua parlata a Ruby o una delle tante altre che ho sentito agli incontri diplomatici della nebulosa. Sembra non abbia un traduttore… forse è solo un infermiere. O probabilmente nel suo lavoro non ha bisogno di parole per farsi capire.

Ora la luce è sopportabile, giro gli occhi intorno: sono in un ambiente dalle pareti bianche e squadrate, un’apertura rettangolare davanti a me fa intravedere l’esterno. Il cielo è di un azzurro intenso.
Tra poco mi interrogheranno. Devo restare calmo: sono sempre riuscito a resistere, ce la farò anche stavolta.
L’uomo avvicina la mano al mio viso. Mi irrigidisco… si comincia, sono pronto…

No, sfila qualcosa dal mio naso, qualcosa di trasparente; il fastidio in gola sparisce. Cerco invano di muovere le mani legate, i piedi… Lui sorride, e dice qualcosa in tono gentile. Anche Barendos sorrideva, anche la sua voce era cortese e melliflua… Mi trattiene la mano destra con la sua e attraverso il tessuto la sento calda: dunque non può essere veghiano, la loro temperatura è più bassa della nostra.
Si allontana per un attimo, lo vedo premere un pulsante e parlare attraverso una sorta di grata, sembra un comunicatore; poi torna verso di me con in mano qualcosa di rigido e sottile.
Preferirei che facesse in fretta, l’attesa mi snerva… ma è proprio questo ciò che vogliono, ed io non farò il loro gioco. Agitarsi non serve, presto avrò bisogno di tutte le mie forze e non devo sprecarle inutilmente.
Mi mostra un’immagine. La testa cornuta emerge da quello che sembra un boschetto, il robot è in parte coperto da qualcosa di bianco, sembra neve. “Grendizer!” La voce mi graffia la gola, da quanto tempo non parlo?
“Gurendaiza.” Mi fa il verso, sillabando come chi sente la parola la prima volta... Ovvio, vogliono sapere di Grendizer, ma rimarranno delusi. Sono debole, ma non tanto da lasciarmi piegare… meglio anzi, vorrà dire che finirò più rapidamente. Mi lascerò spezzare, senza una parola.
Un cigolio, un nuovo rumore di passi, alla mia destra ora.
Giro a fatica la testa verso il luogo da cui proviene. Un altro uomo vestito di una tunica bianca simile a quella dell’uomo con i baffi; uno strumento allungato, con un disco di metallo lucido all’estremità, gli pende dal collo. Ha i capelli scuri, corti e radi, il naso piatto, le labbra carnose; gli occhi stretti e allungati hanno un’espressione impenetrabile. Non ho mai visto un volto così, dove sono finito? Mormora a voce bassa qualcosa di comprensibile solo al suo compagno, che annuisce con aria soddisfatta. Insieme, sollevano il lenzuolo che copre il mio corpo immobilizzato.
Gli occhi chiusi, trattengo il fiato in attesa del dolore.

Un tocco leggero sulla mano destra. Cerco di rialzare la testa per capire cos’hanno intenzione di fare e vedo che sul mio corpo nudo le ferite sono state coperte con bende bianche. Anche la mia mano è bendata, un tubicino la collega a un contenitore che pende da un sostegno. Il nuovo arrivato toglie la fasciatura; un lampo di dolore e il tubicino è staccato dalla mano. Qualche goccia di sangue bagna la pelle livida; l’uomo la tampona e rimette la benda. Il lenzuolo abbassato fino alla vita, mi scioglie prima il polso destro poi il sinistro; poi, mentre cerco di muovere le braccia anchilosate dall’immobilità, slega i lacci che mi trattengono le caviglie. Sono libero… ma di fare cosa? Non posso certo attaccarli, tantomeno fuggire. Piego le gambe, ma rispondono a malapena, sono stato fermo troppo tempo.
Mi afferrano dietro la schiena per sollevarmi; la testa mi si piega all’indietro nella vertigine, e quello dal naso piatto la sorregge dicendo qualcosa al suo compare. Insieme, mi infilano una sorta di leggera casacca aperta sulla schiena, ed io li lascio fare: non ho la forza di difendermi, a ogni movimento del capo mi sento mancare.
Sono nelle loro mani.

Non mi hanno ancora fatto niente.
Mi hanno appoggiato la schiena su un cuscino alto, e ora sono semiseduto davanti ai due uomini. Ma non li vedo… lo sguardo non riesce a staccarsi dal cielo che invade la stanza attraverso la larga finestra: non ho mai visto un azzurro così limpido, e mi sembra di intravedere profili scuri di alberi. Dopo tanto buio, la luce, il colore così bello e puro mi danno forza.

E se Grendizer mi avesse portato su un pianeta fuori dalla portata dell’Impero? Non devo farmi illusioni, la perfidia di Vega non conosce confini. Se finora sono stati amichevoli è solo per conquistarsi la mia fiducia, non appena abbasserò la guardia saranno pronti a colpire… ma non mi farò cogliere impreparato.

***

Hai paura, è evidente. Ti parlo piano per non spaventarti, anche se l’emozione mi fa tremare la voce. Sei vivo e cosciente… il sondino non ti serve più, e neanche la flebo. Per fortuna Hiro è appena arrivato; non voglio che tu resti legato per un attimo più del necessario, ma lui mi ha fatto promettere che non ti avrei sciolto se non in sua presenza, potresti essere pericoloso…
Parli! Una lingua sconosciuta, ma i suoni sono comprensibili. Forse potremo comunicare…
Corro troppo, la strada sarà lunga. Il tuo sguardo carico di diffidenza evita il mio e rimane fisso sulla finestra.

Mentre ti sleghiamo il tuo viso resta impassibile, ma il tuo corpo è rigido e contratto, le mani tremano. Cerchi di dominare il tuo terrore; mi chiedo se riuscirei a rimanere altrettanto freddo se cadessi in mano a sconosciuti alieni, e so che la risposta è no. Sei un ragazzo coraggioso. Come possiamo farti capire che non sei in pericolo?

Mi avvicino a te e mi inchino leggermente, sorrido. Mi poso la mano sul petto e dico il mio nome.
“Umon Genzo.”
Hiro fa lo stesso: “Tanaka Hiro.”
Non hai risposto, hai continuato a guardare il cielo da cui sei venuto. Hai bisogno di tempo…
Srotolo la carta stellare che ho preparato e te lo apro davanti. Indico il nostro pianeta, un piccolo punto perso in un universo di cui sappiamo così poco. “Terra”, dico.

***

Le nostre carte sono diverse, anche quelle veghiane. Questa è… primitiva, il materiale è fragile, la stampa imprecisa. Non ho mai visto i caratteri di questa scrittura, sempre che di scrittura si tratti. E se davvero mi trovassi su un pianeta non ancora schiavo di Vega? Non posso fuggire, rivelare da dove vengo non cambierà la mia situazione in ogni caso; e ci hanno insegnato a dire il nostro nome e la nostra provenienza in caso di cattura.
Nella sua semplicità, la mappa è di facile interpretazione. Calcolo rapidamente la distorsione dei rapporti tra i corpi celesti dovuta alla mia distanza da Fleed. Eccolo… la Croce del Sud, la nebulosa del Centauro. Il mio pianeta.
“Fleed.” Lo sfioro sulla carta e sento la voce spezzarsi nel pronunciarlo. La mia patria non esiste più, è solo un sasso che ruota intorno a una stella.
I due uomini ripetono, storpiandone la pronuncia. “Furido.”
“Fleed…”
Il nome è tutto ciò che ne è rimasto; il suo suono è così dolce… Porto la mano al petto. “Duke Fleed.”
Ecco, ora sanno chi sono… ma mantengono la stessa espressione di gentile curiosità. Possibile che il mio nome non dica loro nulla? O forse sono attori consumati. La testa mi fa male, torno ad appoggiarmi sul cuscino e chiudo gli occhi. La luce che proviene dalla finestra filtra rossa attraverso le palpebre, rossa come quella di cui splendeva il mio pianeta morente quando l’ho visto per l’ultima volta, quando l’ho abbandonato…
Un attimo. Riapro gli occhi e riguardo la carta. I due uomini stanno osservando il punto che io ho indicato… ma dov’è il pianeta su cui mi trovo?
“Terra”, ripeto.
Quello che potrebbe essere fleediano sembra capire e punta l’indice su un pianeta di un sistema solare in cui gli scienziati di Fleed escludevano che ci fosse la possibilità di forme di vita. Forse…

I miei inseguitori non possono essere arrivati tanto lontano, la loro tecnologia non glielo permetterebbe, per questo il Grande Vega voleva costringere i nostri tecnici a consegnargli Grendizer. Se questi uomini dicono la verità sul luogo in cui ci troviamo, per un mezzo di Vega ci vogliono almeno due anni per percorrere una tale distanza. Se dicono la verità, forse Grendizer è salvo. Se dicono la verità.

Non è possibile, non può esserci vita fuori dalla nebulosa del Centauro… almeno non vita come la intendevamo noi. Ma se quello con i baffi si trovasse su uno dei pianeti del nostro sistema solare nessuno si volterebbe a guardarlo… e con il suo naso piatto e gli occhi stretti, quell’altro potrebbe essere veghiano, a ben pensarci. Ambienti diversi portano ad una diversa evoluzione, e questi sono uomini, come me… voglio guardare là fuori, capire dove sono.
Cerco di alzarmi, ma un violento capogiro mi ributta sul letto. Indico la finestra.
Quello con il naso piatto – come ha detto di chiamarsi, Hiro? – fa cenno all’amico. Mi aiutano ad alzarmi e mi sorreggono, uno per parte, fino a portarmi alla finestra. Tendo la mano verso l’esterno ma una lastra trasparente e fredda la ferma – vetro, usano ancora il vetro qui? Quello che vedo mi toglie il fiato…
Neve. Neve ed alberi, con foglie aguzze verde scuro, come nel sud di Fleed. Un cielo così azzurro da far male, una sfumatura diversa da tutte quelle che ho conosciuto sui pianeti che ho visitato, con radi fili di nuvole. Un laghetto ghiacciato brilla in una radura.
È bellissimo.
Potrebbe essere Fleed… ma Fleed non esiste più.

Forse sto sognando, forse non mi sono mai risvegliato, forse tra poco aprirò gli occhi e mi ritroverò nel buio stagnante dell’abitacolo di Grendizer. Forse la mia mente si rifiuta di morire e immagina pensieri felici per impedirmi di lasciarmi andare. Tocco il vetro, è ghiacciato: non è un sogno, è concreto, è vero. Come si fa ad aprire…
Genzo, si chiama così? sposta una leva e un’ondata di gelo mi avvolge. Respiro il profumo di resina, l’aria umida e pulita. È tutto reale, la luce, l’odore di terra, la pelle d’oca sulle mie braccia nude… Il vetro si richiude. Sento che le gambe mi si piegano mentre mi lascio riportare al letto.
Non mi importa se penseranno che sono debole. Non riesco a trattenere le lacrime.

***

Ti sei addormentato. Sei rimasto sveglio appena un’ora, ma ti sei stancato moltissimo, sei ancora così debole.
“Ci serve una sedia a rotelle, ci vorrà un po’ prima che riesca a camminare da solo.”
Non ci avevamo pensato, non credevamo che avresti provato subito ad alzarti. Mentre ti aiutavamo ad arrivare alla finestra la tua stretta sul mio braccio era sicura e forte. Ti riprenderai, ne sono certo.

La tua freddezza si è sciolta in pianto davanti ai vetri aperti: mi chiedo cosa ti abbia colpito e perché. Un mondo diverso dal tuo, sconosciuto e inspiegabile, forse la paura? Oppure… prima che i tuoi occhi si riempissero di lacrime, per un attimo mi è sembrato che brillassero di gioia, le tue labbra hanno accennato un sorriso; ciò che vedevi sembrava esercitare su te un’attrazione irresistibile. Un istante, poi ti sei lasciato andare tra le nostre braccia. Ti sei abbandonato sul letto e sei passato rapidamente dal pianto al sonno.

***

È possibile che mi trovi davvero lontano da Vega. Il paesaggio, così simile a quello del mio pianeta ma illuminato da una luce così diversa… e altrettanto, dolorosamente, bella; la lingua, che non ho mai sentito prima, la scrittura sconosciuta – ed ho studiato tutte le lingue principali della galassia; soprattutto, il materiale così fragile e gualcibile di quella mappa, il vetro a protezione della finestra – sembra un altro mondo, un mondo parallelo, più primitivo; forse in un tempo precedente al nostro. Nostro… questa parola non ha più senso. Sono l’unico sopravvissuto di Fleed.

Se fosse così? C’è solo un modo per scoprirlo, tentare di capire quello che dicono. Non hanno usato traduttori, forse non li conoscono; ma sembrano desiderosi di comunicare con me. Non è necessario che dica loro niente di ciò che potrebbe essere utile a Vega, se davvero non sono nemici non me lo chiederanno mai. E se invece lo sono mi sarà più facile scoprire il loro gioco.
E se fosse un altro mondo… non so niente di loro, non sarei meno in pericolo. Potrebbero cambiare atteggiamento in qualsiasi istante, potrebbero passare dalla gentilezza alla ferocia. Non posso fuggire, non ora almeno, sono troppo debole. Starò all’erta.


- continua - eventuali, graditissimi, commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=240#lastpost

Edited by shooting_star - 18/3/2018, 23:57
 
Top
view post Posted on 20/1/2014, 14:22     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


TERRA - 3.

Ti guardo dormire: un sonno agitato, ti rigiri e ti lamenti, spesso apri gli occhi e fissi il vuoto. Il contrasto con la freddezza e l’autocontrollo delle ore di veglia è stridente.
Il sistema solare da cui dici di provenire si trova a più di cento anni luce dal nostro sole; secondo i nostri studi più avanzati, non dovrebbe permettere l’esistenza di forme di vita di alcun tipo. Eppure il tuo aspetto fa pensare ad un ambiente non molto diverso dal nostro; anche se i suoi abitanti sono giunti ad uno sviluppo tecnologico molto più evoluto, tale da permetterti di arrivare qui.
Mi chiedo perché tu ti sia allontanato tanto dalla tua patria: le tue ferite testimoniano una fuga drammatica, forse da una prigione o da una guerra. Il fatto che tu sia solo mi fa ipotizzare che il tuo mezzo non sia così comune, nemmeno per una civiltà più avanzata della nostra; e la tua inquietudine e la tua diffidenza mi spingono a credere che la Terra non fosse l’obiettivo del tuo viaggio. Chissà se riuscirai a parlare, a chiarire questi dubbi.
Da sempre sogno di avere la prova che la vita nell’universo non è confinata al nostro piccolo pianeta ma diffusa, e, come il seme sul terreno, si sviluppa sui pianeti che ne permettono la crescita: ma ora che l’ho trovata, tutto quello che desidero è proteggere questo fragile ragazzo alieno dalla curiosità di scienziati come me, che lo analizzerebbero fino ad ucciderlo.
Il dolore che vedo nei tuoi occhi mi impedisce di considerarti diverso da noi: sei un fratello, un figlio.
Ti giri ancora una volta, alzi le mani come a difenderti; poi ripiombi nell’immobilità, il respiro torna regolare. Te lo prometto: nessuno saprà il tuo segreto se tu non lo vorrai.

Devi alimentarti. Hiro mi ha rassicurato: il tuo apparato digestivo è analogo al nostro, il riso dovrebbe risultarti commestibile. Ho portato due ciotole, e due cucchiai oltre alle bacchette - farai come ti risulterà più facile. Hiro mi ha fatto notare che le bacchette potrebbero risultare pericolose se tu diventassi aggressivo, ma credo che sia importante dimostrarti fiducia.

Hai imparato in fretta a muoverti sulla sedia a rotelle: ti trovo davanti alla finestra, a fissare il paesaggio. Ti giri e sento che il tuo sguardo mi analizza: beh, al posto tuo farei lo stesso. Non è facile, ma cerco di essere spontaneo.
“Buon giorno Duke”, sorrido, “ecco il pranzo.”
Poso il recipiente sul tavolino accanto alla finestra e aspetto che tu ti avvicini, poi riempio le ciotole davanti ai tuoi occhi: una per me, una per te.
“Riso”, spiego, e comincio a portare il cibo alla bocca con le bacchette. Mi sento la bocca secca mentre deglutisco… forse per te è troppo caldo, o freddo, o ha un aspetto disgustoso? Mi osservi in silenzio, con occhi il cui colore non ha nulla di terrestre.
“Riso”, ripeti, poi sollevi la tua ciotola e cerchi di copiare i miei gesti.

***

Quindi è così che mangiano… posso rischiare? Genzo ha diviso il cibo con me, è chiaro che vuole conquistarsi la mia fiducia. Ed io non ho alternative…
Cerco di capire il modo con cui manovra i due bastoncini per afferrare i granellini bianchi, sembra semplice ma non lo è affatto. Lui sorride e mi passa uno strumento simile a quello che usavamo su Fleed: così va molto meglio.
Riso. È morbido e salato, diverso da ogni cosa che ho assaggiato prima… ma buono. Mi rendo conto che non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho mangiato, e sento che ho fame. Genzo versa un liquido incolore in un bicchiere: è acqua, è uguale alla nostra. Bevo con gusto.
“Ancora?”
“Ancora”, tento. Torna a riempire il bicchiere.
Mi parla, indica gli oggetti sul tavolo e il paesaggio al di là della finestra. Vuole comunicare, è chiaro che non ha accesso a un traduttore. Forse…
Vorrei potermi fidare, ma non devo. Non posso, non ancora: ma di sicuro devo imparare la loro lingua. Provo… indico il riso e ripeto: “Ancora.”
Genzo sorride, con un’espressione che sembra stupita e sincera, e mi riempie di nuovo la ciotola. Non posso evitare di rispondere al sorriso. C’è qualcosa che vorrei dire…
“Grazie”, dice lui indicando me.
“Grazie”, ripeto, e lui risponde: “Prego.”
Vediamo se ho capito… Sollevo la bottiglia, per fortuna è quasi vuota, e riempio il suo bicchiere.
“Grazie”, dice, ed io rispondo come aveva detto lui… com’era? “Prego.”
“Bravo!” Gli occhi castani ridono.
Non c’è bisogno di sapere la sua lingua per vedere il suo entusiasmo. Posa una mano sulla mia: è calda e asciutta. Il desiderio di rispondere alla stretta è fortissimo… abbasso gli occhi, e cerco di dominare il mio istinto. Forse il momento verrà. Forse… ma non oso sperare, non voglio.

***

I tuoi progressi sono impressionanti. Fino a ieri ti muovevi appoggiato allo schienale della sedia a rotelle, oggi cammini senza sostegni, anche se con una lieve incertezza nel passo; dopo appena cinque giorni dal tuo risveglio, sei in grado di mangiare da solo e stai imparando ad usare le bacchette.
Hai un’intelligenza pronta e sei un ottimo osservatore… i tuoi occhi inquieti non si lasciano sfuggire nessun particolare, sembrano sempre alla ricerca di qualcosa; ma se qualche volta cerchi di comunicare le tue sensazioni con un sorriso, questo si ferma sempre agli angoli della bocca. Non ho mai visto uno sguardo così triste.
Sono sicuro che capisci quello che noi diciamo molto più di quanto tu dia a vedere.

Hai bisogno di parole… non sarebbe prudente farti uscire, è il periodo più freddo dell’anno e sei ancora molto debole; ma forse cominciare a conoscere il luogo in cui ti trovi potrà placare la tua ansia, darti un po’ di tranquillità.
Hiro ha portato delle figure prese da una rivista: animali, persone. Un uomo, una donna. Una famiglia: i genitori sorridenti ed orgogliosi, un ragazzo e una bambina con un vestitino rosa.
Mentre ti indicavo “padre, madre, fratello, sorella” ho visto le lacrime scorrerti silenziose sul viso. Hai teso la mano a sfiorare la bambina ed hai mormorato “Maria”: allora hai una sorellina... ti ho fatto male, non volevo.
Forse è meglio fermarsi… faccio per chiudere l’album, ma tu mi fermi: “Ancora.” Il tuo sguardo è di nuovo freddo, i pugni chiusi.
Guardiamo insieme le altre figure, ti concentri nel memorizzare le parole. Il ritaglio che ti ha tanto colpito è sul comodino, ogni tanto getti uno sguardo alla fotografia. Posso solo immaginare il peso della tua solitudine; hai già dimostrato grande forza, ma la parte più difficile deve ancora venire, e probabilmente non avrà mai fine. Forse quell’immagine può alleviare il tuo dolore, o acuirlo… forse entrambe le cose. Domani ti porterò una cornice.

Hiro ti visita tutti i giorni: le ferite sono quasi completamente guarite, solo l’ustione sulla spalla è ancora fasciata ed è chiaro che muovere il braccio destro ti fa male, anche se non ti ho mai sentito lamentarti. Quando non dormi o non ti eserciti sulla cyclette, passi il tuo tempo alla finestra: stamattina nevicava, hai aperto i vetri ed hai teso una mano per raccogliere i fiocchi, li hai portati per un istante alle labbra… ancora una volta, mi è sembrato di cogliere un sorriso. Ho l’impressione che la neve ci fosse anche sul tuo pianeta, e che vederla ti rassereni. Guardi il paesaggio fuori della tua stanza con occhi pieni di curiosità e desiderio.
Credo che sia arrivato il momento di portarti fuori, di farti conoscere il mondo che spero diventerà la tua casa.

Il freddo è pungente, ma sembri a tuo agio: un po’ barcollante, ti sei voluto abbassare a terra ed hai afferrato una manciata di neve, compattandola con mani sicure. Ora sono certo che non è la prima volta che la vedi; e probabilmente, come i bambini di qui, da piccolo ci giocavi e correvi sopra... Poi hai cercato di raggiungere gli alberi che circondano la casa, ma l’altezza del manto nevoso ti ha fatto perdere l’equilibrio, ed ho dovuto sostenerti. I vestiti di Takeo, che adorava la cultura americana, ti danno l’aspetto di un ragazzo occidentale; Hiro, che ci aveva appena raggiunto, ha trattenuto a stento le lacrime quando ti ha visto indossare i jeans di suo figlio, ed ha detto che non se la sentiva di venire con noi sulla jeep.
La tua voce è ferma e sicura. “Hiro, vieni!”
Hai detto solo due parole, lasciandoci ammutoliti: sembra impossibile che tu riesca a usare la nostra lingua così presto. Hiro è salito sui sedili posteriori, dove poco più di due settimane fa ti avevo caricato disperando di poterti salvare; tu ti sei seduto accanto a me e ti guardi intorno ad occhi spalancati.

***

Questo mezzo non può essere veghiano. Sembra uno di quei veicoli primitivi che ci facevano studiare a scuola, mossi da motori ad alto consumo... è rumoroso, lento e soprattutto non è in grado di sollevarsi dal suolo: manovrare nella neve così è complicato. La tecnologia di questo posto è arretrata… osservo Genzo armeggiare con leve e pedali: uno per dare velocità, uno per toglierla, un altro per… lo scoprirò presto. Probabilmente guidare un simile mezzo, per quanto scomodo, deve essere divertente.
Il sentiero che stiamo percorrendo attraversa il bosco che da giorni osservo dalla finestra: è magnifico, gli alberi dalle foglie appuntite sono eleganti ed armoniosi, ancora più alti di come sembravano da laggiù. Una manovella sotto il finestrino abbassa il vetro: guardo Genzo e lui inclina la testa in un gesto che ho imparato a interpretare come di assenso. L’aria gelida invade l’abitacolo, inspiro a fondo, è profumata, inebriante… non credevo avrei più potuto respirare liberamente dopo la mia partenza da Fleed…
Fleed.
Non è stata una partenza ma una fuga; e nessuno di coloro che ho lasciato laggiù può più godere di ciò di cui sto godendo io. Se qualcuno ha avuto la sfortuna di sopravvivere, ora la sua vita nelle mani di Vega è peggiore della morte: e la colpa è mia. Non ho compiuto ciò che era il mio dovere, non ho saputo difendere la mia patria, e non sono degno di essere vivo… non qui, non in questo luogo così bello e così simile alla mia casa perduta.
Guardo Genzo, e per un attimo spero che da sotto la maschera gentile spunti il ghigno crudele di Barendos, che arresti il veicolo e che mi punti contro un’arma, che mi colpisca; che finalmente confermi che tutto questo è un inganno, l’ennesimo piano di Vega per conquistare Grendizer… sono pronto ad affrontare la tortura e la morte, non una vita che so di non meritarmi, in cui ogni respiro mi ricorda il mio fallimento, la mia codardia. Grido, con tutte le mie forze, finché i polmoni non mi fanno male.

***

È la prima volta che ti lasci andare, e per la prima volta ho paura di te.
No, ho paura per te: ciò che il tuo grido trasmette è dolore, il dolore più profondo e lacerante che possa concepire… solo un’altra volta ho sentito grida simili, avevo più o meno la tua età ed ho creduto che il mondo stesse finendo: e poi ho pregato che finisse.
Hiro trema, si copre le orecchie con le mani: non ha mai superato del tutto il trauma, lui che ha perso tutta la sua famiglia sotto la bomba. Ma è un attimo, il medico riprende il sopravvento: estrae il calmante che aveva preparato e te lo inietta nella spalla, attraverso il tessuto pesante del giaccone. Ti afflosci sul sedile, i tuoi lineamenti tornano a distendersi.
“C’era da aspettarselo”, commenta con tono stanco, “si è controllato per tutto questo tempo. È un bene che riesca a sfogare la sua rabbia… ed è un bene che lo abbia fatto senza attaccarci.”
“Ci considera amici.”
“Sì, credo che stiamo cominciando ad ottenere la sua fiducia… deve aver subito un trauma spaventoso, e non può esprimere la sua angoscia a parole - sempre che sia possibile farlo. Guarire la sua anima sarà molto più difficile che curare le sue ferite.”
Ti abbiamo adagiato sui sedili posteriori, come nel tuo primo viaggio: Hiro guida, io ti tengo ferma la testa per evitare che uno sbandamento nella neve possa ferirti. Il tuo viso è sereno ora, mi viene istintivo accarezzarti i capelli. Sei solo un ragazzo, come lo eravamo noi durante la guerra; e come noi devi aver conosciuto orrori che non dovrebbero nemmeno essere immaginati. La civiltà da cui vieni, sicuramente più evoluta di quella terrestre, non è ancora riuscita a liberare la vita umana dal male che l’avvelena.


- continua - se volete lasciare un commento: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=255#lastpost

Edited by shooting_star - 20/1/2014, 21:50
 
Top
view post Posted on 23/1/2014, 14:47     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


TERRA - 4.

Grendizer.
Il buio dello spazio ha esaurito l’energia dell’astronave; l’attrazione gravitazionale la richiama verso la Terra. La nave si avvita e precipita, il segnale d’allarme mi sveglia dal torpore; il sistema di sicurezza mi espelle, cado sul terreno ghiacciato...
Apro gli occhi: Grendizer è sepolto nella neve tra gli abeti; è sull’immagine che Genzo mi mostra, lo vedo dal finestrino. Il gelo mi circonda, mi riempie i polmoni, li brucia…
Apro gli occhi: il vegatron tinge di rosso ogni cosa, il calore è soffocante, devo tornare su Grendizer, portarlo via, fuggire... ma sono legato...

Apro gli occhi di colpo: sono di nuovo sdraiato sul mio letto, non ero all’aperto? Devo aver sognato… no, ho i vestiti che mi hanno fatto indossare per uscire, pantaloni di una stoffa blu e spessa ed una casacca chiusa sul davanti con un complicato sistema di occhielli. Ricordo: la neve, il freddo limpido del cielo, la bellezza del bosco… la gioia che si tramuta in disperazione. Poi, il nulla. Devono avermi dato un calmante.

Genzo è seduto accanto a me, si alza e mi prende la mano. Parla lentamente, riesco a cogliere alcune parole: “...riposo… piano… tranquillo… scusa.”
Cerco di sorridere, stringo la sua mano con la mia.
“Grazie.”
Riappoggio la testa sul cuscino. Disperarsi è inutile, non farà ritornare in vita Fleed.
Sono l’ultimo sopravvissuto di un pianeta distrutto, scomparso anche per colpa mia. Tutto quello che posso fare ora è ricordare. Finché sarò in vita io qualcosa di Fleed continuerà ad esistere; devo farmi forza e cercare di vivere, per chi non ha avuto la mia fortuna. Sento su di me lo sguardo di rimprovero dei miei compagni caduti nella lotta contro Vega: come la chiamerebbero, fortuna o disonore?
“Duke. Stai bene?”
Genzo si preoccupa per me, ma non può capire… e forse è meglio così.
“Scusa.”
Mi sento esausto, forse il calmante non ha esaurito il suo effetto. Chiudo gli occhi e spero che il sonno dia tregua ai miei pensieri.

Quel sogno.
Nell’immagine che Genzo mi ha mostrato, Grendizer è parzialmente nascosto dalla neve. Non so se gli abitanti di questo pianeta siano pacifici: ma un’arma così potente potrebbe far gola non solo a Vega… ed io non voglio più usarlo, mai più. Devo nasconderlo.

“Genzo.” Eccolo, è qui accanto a me, non si è mosso.
“Grendizer… ” Muovo le mani per indicare… ma come?
“…dove?” tento; ma se anche rispondesse non riuscirei a comprendere.
Mi porta un blocco della loro strana carta ed… anche loro usano le penne? Sì, muovendo la punta dello strumento sul foglio si possono tracciare segni. Vediamo… faccio uno schizzo di Grendizer e poi lo copro con la mano. Con l’altra mano mi copro gli occhi.
“Via!” Mi scopro gli occhi, speranzoso.
Genzo scandisce le parole… inutile, capisco ancora troppo poco.
“Grendizer… sicuro”, dice. “…neve.”
È protetto dalla neve… ma non sarà per molto. Scuoto la testa. “No…”
Mi risponde, il tono è rassicurante ma non riesco a capire cosa intende… prende il foglio e disegna una sorta di cerchio schiacciato intorno alla figura del robot: e al di sopra una linea con un grosso rettangolo. Lo indica: “Casa.”
Scuoto la testa di nuovo, frustrato. Sono certo che ha capito ciò che ho chiesto, ma non ho idea di cosa abbia cercato di dirmi.
Copre il disegno con la mano, sorride: “Sicuro.”
Non ho alternative: mi devo fidare.
Devo imparare la loro lingua in fretta.

***

Non ho mai amato la televisione: la sera, da sempre, è il momento in cui mi dedico ai miei studi con i migliori risultati. Ma da quando ci sei tu cerco di seguire qualche programma, in particolare i documentari, insieme a te. Hai imparato velocemente le parole necessarie per comunicare le esigenze immediate, ma ora hai bisogno di qualcosa di più.
Ascolti avidamente e prendi appunti, usando i caratteri della tua lingua e, se fai in tempo a copiarli dallo schermo, anche i nostri; poi ti aiuto a mettere ordine nella grafia e nella pronuncia. Sei un ottimo studente. Certo, se fosse possibile rivedere i programmi, sarebbe tutto più semplice… ho un’idea.

Una sala del Centro Ricerche Spaziali è attrezzata con un proiettore: lo usiamo quando le scolaresche vengono in visita. Abbiamo una buona scelta di documentari scientifici, e anche alcuni su argomenti naturalistici e storici, che erano compresi nel lotto che avevamo acquistato. Potrei portarti con me al Centro ed insegnarti come si usa: impareresti presto e potresti rivedere ciò che ti interessa quante volte vuoi. Poi… ricordo la facilità con cui hai letto la mappa stellare: sono certo che la tua conoscenza dello spazio potrebbe esserci di grande aiuto per i nostri studi. E soprattutto, finalmente potrai parlare con altre persone… hai bisogno di rapporti umani, vedo la gioia nei tuoi occhi ogni volta che arriva Hiro.

“Sei sicuro di poterti fidare dei tuoi assistenti? Dopo tanto impegno nel difenderlo da sguardi indiscreti potresti finire per consegnarlo nelle mani del Dipartimento di Sicurezza Spaziale.”
Hiro, il solito pessimista…
“Se il mio progetto di alloggiare il veicolo nella grotta sotto il Centro Ricerche andrà in porto, avrò bisogno del loro aiuto. Dovranno sapere la verità… ed in loro ho la massima fiducia. Il Dipartimento non verrà a sapere niente.”

Parcheggio la jeep nel cortile del Centro Ricerche: ne scendi un po’ impacciato, come se non ti sentissi ancora a tuo agio nei vestiti terrestri. Ho scelto per te un nome meno esotico di Duke, ma che lo richiami nel suono.
“Questo è Daisuke. Sta imparando la nostra lingua e collaborerà con noi per qualche tempo. Se qualcuno fa domande, è mio figlio.”
Yamada e Hayashi ti stringono la mano con calore: sanno che non devono chiedere niente, ma hanno dato la loro disponibilità ad aiutarti in tutto.
È Hayashi che ti accompagna in sala proiezioni. Per la prima volta sei in compagnia di qualcuno diverso da me o Hiro: se sei agitato, non lo dai a vedere.

***

I filmati durano solo pochi minuti e sono in gran parte privi di colore: l'apparecchiatura per proiettarli è scomoda e rumorosa. Temevo di non riuscire ad esprimermi correttamente, ma Hayashi è stato paziente e quando sono riuscito a montare la prima bobina si è profuso in complimenti. Mi chiedo quanto Genzo gli abbia detto di me.
Le immagini, traballanti e sgranate, mostrano esperimenti di fisica condotti da uomini vestiti con tuniche simili a quelle di Genzo o Hiro: sono semplici, ingenui a volte... ma le leggi fisiche sono le stesse che ho studiato su Fleed.
Riguardo il video finché non sono certo di averlo compreso, poi sfilo la bobina e passo a quella successiva.


Hiro mi ha proibito di scendere dalla jeep per camminare nella neve: ma ormai mi sento forte, e credo che una passeggiata nel bosco, come quelle che facevo su Fleed ogni volta che mi era possibile, mi farebbe bene. Fare un giro in jeep dopo il pasto è diventata un’abitudine: il paesaggio è incantevole, e non mi stanco di osservare gli animali che spesso ci tagliano la strada quando attraversiamo il bosco. Assomigliano a quelli di Fleed, di alcuni ho imparato i nomi. Come sul mio pianeta, gli uccelli lanciano i loro richiami, a volte qualcuno meno timido degli altri si posa sull’automobile ad osservarci: ed il rimpianto diventa quasi insopportabile.
Ma col rimpianto devo abituarmi a convivere… ogni sera mi addormento guardando l’immagine incorniciata sul mio tavolino. Non voglio dimenticare ciò che ho perduto; il dolore mantiene vivo il ricordo della felicità che ho conosciuto, come la ferita che ho sulla spalla mi ricorda l’ultimo abbraccio del mio migliore amico.
Solo attraverso il dolore Fleed può continuare ad esistere… non devo averne paura, devo accettarlo, accoglierlo. È il prezzo che devo pagare per essere rimasto in vita; e non esiste prezzo troppo alto per il mio debito.

Non mi sono accorto che la macchina è ferma… Genzo rigira la chiave di accensione, il motore ha un sobbalzo e si spegne di nuovo. Tira una leva ed apre il cofano: scendo insieme a lui per aiutarlo. Qualche giorno fa ho visto un documentario sui motori a scoppio… una tecnologia primitiva, che a quanto ho capito è quella più diffusa su questo pianeta.
Scuote la testa: “Bisogna spingere”, e posa le mani sul retro della macchina. Mi metto al suo fianco, ma lui fa segno di no e mi indica il posto di guida.
La strada è lievemente in discesa, il motore si avvia agevolmente: dopo giorni che lo osservo armeggiare con leve e pedali, le manovre mi vengono spontanee. Mi raggiunge correndo: mi fermo tenendo il motore acceso, e lui si siede accanto a me. Sono io a guidare la jeep al ritorno attraverso i sentieri deserti, Genzo si limita a trattenere il volante quando una manovra gli pare troppo azzardata: non pensavo che potesse essere così divertente.
Quando scendiamo dall’auto il tramonto invade il cortile. Non sono più alla finestra, ma immerso nel rosso intenso dei raggi riflessi dalle nuvole; alzo la testa al cielo infuocato e per la prima volta riesco ad ammirarne la bellezza senza pensare alla luce vermiglia che è stata la fine di Fleed.

***

Hai preso il controllo dell’automobile con una naturalezza sconcertante; e per un attimo sei diventato un ragazzo come tanti. L’eccitazione della velocità, il divertimento di guidare lungo le strade innevate: dev’essere molto diverso dal pilotare un’astronave attraverso lo spazio profondo. Ma i tuoi occhi ridevano, come quelli di un ragazzo terrestre… solo il loro colore, che non avevo mai visto prima, ti rende straniero.

Com’era la tua vita sul pianeta che hai abbandonato?
Porti sul corpo i segni di percosse brutali, ma i tuoi modi sono gentili e tranquilli, privi di violenza anche nei momenti di maggior tensione: non posso credere che tu sia un criminale fuggiasco. Sai imporre la tua volontà, come quando hai chiesto a Hiro di venire con noi: probabilmente eri abituato a comandare e ad essere obbedito. E sai importi prima di tutto a te stesso, controllarti senza lasciare spazio alla paura: ma non sei riuscito a trattenere le lacrime davanti alla bellezza della natura, all'immagine di quella bambina. La tua famiglia ti manca... non hai lasciato Fleed di tua volontà.
Un esule, ma perché?
Quel grido disperato nel bosco... Qualcosa di terribile deve essere avvenuto sul tuo pianeta.


- continua - per chi vuole lasciare un commento: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=255#lastpost

Edited by shooting_star - 23/1/2014, 20:23
 
Top
view post Posted on 27/1/2014, 09:14     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


TERRA - 5.

So cosa vuol dire sentirsi straniero.
Il taglio dei miei occhi ed i capelli troppo chiari mi rendevano immediatamente identificabile nelle aule affollate delle scuole elementari. Il cognome sul registro era quello di una famiglia importante, che aveva dato al paese condottieri prima e diplomatici poi; ma quello che i miei compagni vedevano era Genzo dal naso lungo, il figlio della straniera. Mia madre aveva conosciuto mio padre durante i suoi studi ad Oxford, ed aveva accettato di seguirlo in un paese ancora molto chiuso, se non ostile, verso il resto del mondo: non era vissuta a lungo, e lui l’aveva seguita rapidamente. La mia vita era cambiata all’improvviso.
I miei nonni mi avevano accolto con freddezza: il mio viso ricordava loro un matrimonio che non avevano mai accettato e la morte del loro primogenito. Il successo negli studi era diventato la mia unica occasione di riscatto, e più avanti mi aveva permesso di evitare la prima linea nella guerra contro le forze americane e britanniche; ciò che non era accaduto all’unico amico che mi era sempre stato vicino negli anni tristi del collegio, che da studente di medicina era diventato medico sul campo, e che mentre cercava di curare le atroci ferite radioattive di Hiroshima aveva saputo della fine della sua famiglia sotto un’altra bomba, ancora più potente.
Dopo la guerra, il mio tranquillizzante aspetto occidentale e la mia conoscenza dell’inglese mi avevano aperto le porte delle università americane, in cerca di giovani scienziati giapponesi disposti a collaborare con chi aveva causato al loro paese ferite così profonde da far sembrare impossibile che potessero, un giorno, rimarginarsi. Certo, il mio accento e la piega inusuale delle mie palpebre mi avevano creato qualche nemico tra i miei compagni di studi che si erano battuti nel Pacifico; ma io non mi sono mai sentito giapponese o inglese, o americano… e se la mia ricerca poteva essere utile al progresso dell’umanità, non era importante il luogo dove l’avrei svolta. Non ci misi molto a diventare Ken ed a costruirmi una solida carriera nel campo dell’astrofisica: senza mai integrarmi completamente in nessuno dei miei mondi, ma amandoli tutti allo stesso modo, dal di fuori.
Non ho mai trovato il tempo, o il coraggio, per una relazione duratura: sapevo troppo bene quali potevano essere le conseguenze di una scelta dettata dalla passione, ed al tempo stesso non credevo che la razionalità potesse essere una buona guida nella ricerca dell’amore. Quando la solitudine mi pesava, trovavo rifugio nei libri più che nelle persone… poi sei arrivato tu.
Quando ti ho presentato ai miei collaboratori dicendo loro di considerarti mio figlio ero alla ricerca di una scusa per giustificare la tua presenza: o forse stavo esprimendo un desiderio, così profondo da non riuscire ad ammetterlo.
Sono solo poche settimane, ma non riesco più ad immaginare una vita diversa: aiutarti nelle difficoltà, stupirmi dei tuoi progressi, intravedere un sorriso inaspettato… sono gioie che ogni padre conosce e che ero certo non avrei mai provato.
Forse non te ne rendi conto, e forse non riuscirai mai a fidarti: i traumi che hai subito ti hanno portato a rinchiuderti in un guscio che solo poche volte ho visto schiudersi, e non so se riuscirà mai ad aprirsi del tutto. Ma non ha importanza. La mia vita ha acquistato un senso che prima non aveva, e di questo devo ringraziare te.

***

Forse posso fidarmi.
Per la prima volta dopo tanto tempo, oso aprirmi alla speranza: i documentari che ho visto finora mostrano una tecnologia così arretrata da rendere improbabile che gli abitanti della Terra abbiano mai avuto contatti con Vega - ne sarebbero stati immediatamente battuti ed assimilati, o eliminati.
Sono al sicuro, almeno per ora: e sento di trovarmi tra amici. L’accoglienza, le cure, l’affetto di cui mi sento circondato, da parte di persone che non mi conoscono, mi riempiono di gratitudine. Forse, se sapessero…
Non ho mai creduto che sarei sopravvissuto alla mia fuga da Fleed: e se è accaduto, forse significa che ho un compito da svolgere, forse è giunto il momento di sdebitarmi e dare una mano a mia volta. Ho sempre preferito lo studio della natura a quello dell'ingegneria spaziale, ma credo di avere competenze che potrebbero essere utili a Genzo e alla sua squadra di ricerca.
Se ho ben compreso il filmato che ho appena visto, i terrestri sono riusciti ad arrivare sulla loro luna solo pochi anni fa. Le immagini mostrano un uomo infagottato in una tuta ingombrante che muove alcuni goffi passi sulla superficie lunare, parlando con voce metallica in una lingua sconosciuta. Tutto il filmato è nella stessa lingua incomprensibile, ma le immagini sono chiare, accompagnate da scritte in caratteri diversi da quelli che mi sto abituando ad usare: caratteri che finora avevo visto solo nelle formule con cui qui si usa rappresentare le leggi fisiche.
Dunque, nonostante la Terra sia più piccola di Fleed, vi si parlano ancora lingue diverse… diversi popoli probabilmente, gli uomini del filmato avevano capelli chiari ed occhi dal taglio diverso da quello di Hiro o degli aiutanti di Genzo. Mi chiedo se la loro convivenza sia pacifica o se, come su Fleed prima dell’avvento dell’alleanza planetaria, esistano ancora armi e guerre.

Rivedo il filmato per l’ennesima volta: la strana lingua comincia ad avere un suono quasi familiare. Il paesaggio della luna terrestre assomiglia in modo impressionante a quello del satellite su cui avevamo stabilito la nostra base nella resistenza contro Vega; la Terra stessa è molto simile a Fleed... un pensiero mi attraversa la mente, e mi rendo conto ora che sono giorni che cerca di venire alla luce: un pensiero terribile. Se Vega scoprisse che sono arrivato qui con Grendizer, non esiterebbe ad attaccare questo pianeta meraviglioso: e difenderlo contro i suoi mostri sarebbe per i terrestri un’impresa disperata.
Sono fuggito da Fleed per evitare che la sorte del mio pianeta toccasse ad altri: non fallirò di nuovo.

La Terra è in pericolo, e lo sarà finché Grendizer è rintracciabile. Devo nasconderlo in un posto sicuro: nasconderlo, per sempre, e far sì che nessun’altra guerra venga combattuta per causa sua.
Forse dopo potrò sperare in una vita tranquilla sulla Terra. Forse...

Il video è terminato: sfilo il nastro dal proiettore e lo poso sulla pila di quelli che vorrò rivedere.

***

Ogni mattina al Centro Ricerche ti unisci al nostro gruppo di studio: dopo i primi giorni trascorsi ad ascoltare, hai cominciato ad avere un ruolo attivo - e non poteva essere altrimenti, la tua conoscenza dello spazio ci dà ogni giorno nuovi spunti e nuovi impulsi. Lavorare con te è un piacere: sei intelligente e curioso, e non fai pesare la superiorità tecnologica del pianeta da cui provieni, anche se è chiaro che a volte la nostra arretratezza ti stupisce - c’era orrore nei tuoi occhi quando ho cercato di spiegarti il funzionamento delle nostre nuove centrali ad energia nucleare. La tua formazione è diversa dalla nostra: ma hai competenze avanzate nel campo della fisica, ed hai imparato ad usare i nostri numeri e le nostre notazioni con una facilità disarmante.
Anche i tuoi progressi nella nostra lingua sono rapidi: ormai riesci a comprendere quasi tutto quello che ti viene detto ed a parlare in modo abbastanza corretto. Certo, ci sono ancora molte parole, e molti concetti, che non conosci: ma guardando alcuni dei filmati - probabilmente i più interessanti per te, quelli legati ai viaggi nello spazio - ti sei accorto che erano in una lingua diversa da quella che parliamo qui, e mi hai chiesto di impararla. Così alla sera - a volte, sempre meno spesso, in compagnia di Hiro - approfitto della tua richiesta per rispolverare il mio inglese che, da quando ho diradato la partecipazione ai convegni, rischia di arrugginirsi. Quando ci siamo stupiti della tua rapidità nell’apprenderlo, ci hai spiegato con la massima naturalezza che sei abituato ad imparare lingue, che oltre alla tua ne conosci diverse altre parlate nei pianeti della tua nebulosa.

Siamo rimasti senza fiato. Dunque la vita intelligente è diffusa nell’universo, e, per il calcolo delle probabilità, non solo nella zona da cui provieni tu: forse con il tuo aiuto potremo finalmente avere contatti con alcuni dei popoli con cui condividiamo lo spazio. Sarebbe il sogno della nostra vita che si avvera, l’inizio di un nuovo mondo.
Forse la consapevolezza di non essere soli nell’universo potrebbe finalmente porre nella giusta prospettiva le rivendicazioni dei paesi che si spartiscono la Terra, per dare il via ad una fratellanza che ci veda uniti come esseri umani e non divisi secondo il luogo da cui proveniamo; potrebbe essere l’inizio di un futuro di pace.

Appena hai nominato la lingua di Fleed lo sguardo ti si è appannato, ed hai portato la mano alla spalla ferita, come a proteggerla; per tutta la serata non sei più riuscito a sorridere, nemmeno quando il film che stavamo guardando era più divertente. Il ricordo del tuo pianeta ti tormenta: e non hai ancora detto nulla del perché lo hai lasciato. Forse ti mancano le parole, o forse non te la senti di dirle… non ti forzerò a parlarne, ma quando lo vorrai sarò pronto ad ascoltarti.

***

Scuoto la neve dagli scarponi: c’è voluta più di un’ora di cammino nel boschetto di betulle per arrivare qui. Dietro un muro di rovi, imboccata un’entrata visibile solo a chi sa dove cercare, uno stretto corridoio di roccia si allarga improvvisamente in una sala naturale di proporzioni enormi, che può comodamente accogliere Grendizer; l’altro accesso è nascosto delle acque del lago su cui si affaccia il Centro Ricerche Spaziali. Nel rumore assordante della cascata la voce di Genzo si distingue appena, ma la pianta che mi mostra è chiara: ci troviamo esattamente sotto l’edificio. Torniamo indietro verso l’ingresso, dove lo scrosciare dell’acqua è un riflesso attutito. Traccio con l’indice una linea sul disegno, il profilo di un muro che sbarrerà l’ingresso sommerso della grotta, e Genzo fa cenno di sì con la testa.
“Le rocce schermano la sala. Nessuno lo potrà trovare… ma è meglio prevedere che possa uscirne se necessario.”
Annuisco; ma non ho nessuna intenzione di tornare a salire su Grendizer dopo che lo avrò nascosto nel suo rifugio. Troppe persone sono morte per causa sua; e anche Duke Fleed dovrà scomparire con lui. Questa grotta sarà la sua tomba.



- continua - il link per i commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=255#lastpost
 
Top
view post Posted on 30/1/2014, 11:23     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


TERRA - 6.

Le rilevazioni sono completate: se le stime delle dimensioni della tua astronave sono corrette, non dovrebbe essere un problema ricoverarla nella grotta. Vorrei mostrarti il progetto… ma prima voglio portarti in un posto che credo ti piacerà.

Ho conosciuto Danbei quando la morte di mio nonno mi ha richiamato dagli Stati Uniti per occuparmi della parte di eredità che mi spettava. Oltre a una consistente somma di denaro, mi era toccato un vasto terreno agricolo: la sua posizione, immerso in un paesaggio incontaminato ma al tempo stesso poco lontano dalla capitale, lo rendeva ideale per la realizzazione di un progetto cui stavo pensando da tempo.
Gli studi cui avevo partecipato negli USA mi avevano suscitato il desiderio di approfondire le conoscenze sullo spazio profondo: ma ormai la competizione con i sovietici per il dominio militare nello spazio aveva preso il sopravvento sulla ricerca. Era giunto il momento di tornare a casa e di sfruttare l’imprevista disponibilità economica per creare in Giappone un centro scientifico di livello paragonabile a quelli che avevo potuto frequentare all’estero.
Una volta costruito quello che sarebbe divenuto il Centro Ricerche Spaziali, e poste poco lontano le fondamenta della mia casa, non sapevo cosa fare della vasta porzione di terreno rimanente, che comprendeva fabbricati agricoli ed un bosco: fu un mio conoscente statunitense a farmi il nome di Danbei Makiba, il marito di una sua amica d’infanzia. Cresciuto nel Texas dove i suoi genitori erano emigrati, era tornato nel suo paese d’origine dopo aver trascorso i quattro anni della guerra in campo di concentramento, ed aveva studiato da veterinario; ma il suo sogno era dedicarsi all’allevamento come aveva fatto da ragazzo, in un paese che aveva molto amato e che, anche dopo che ne era stato rifiutato, rimaneva legato ai suoi ricordi più belli. Un ometto dai modi bruschi ma dal grande cuore, innamoratissimo della moglie americana cui desiderava dare una vita simile a quella che aveva conosciuto nel suo paese: il suo progetto di creare sul mio terreno una fattoria sul modello dei ranch americani mi piacque subito, e concordammo un affitto per una cifra simbolica.
Per molti anni lui e la sua famiglia sono stati i miei unici vicini di casa: e tra un invito a cena ed una visita al Centro Ricerche - oltre che ai cavalli, con cui ha vinto diverse competizioni, Danbei si appassiona alla ricerca della vita nello spazio - sono anche diventati cari amici. Mae, la moglie, è morta da quasi sei anni ormai, e la figlia maggiore, Hikaru, lo aiuta come una vera donnina, occupandosi della casa e degli animali.
Mi hai detto che sul tuo pianeta amavi montare animali molto simili ai cavalli, che però hai visto solo in fotografia… mi piacerebbe mostrarti quelli del ranch, e chissà, potresti provare a salirci.

***

La fattoria è molto diversa dagli allevamenti che avevamo su Fleed: ed anche i cavalli sono strani, la loro criniera si ferma alla base del collo… ma i loro grandi occhi ed il modo con cui avvicinano il muso per osservarmi mi fanno capire che il loro cuore è lo stesso. Il nervosismo che avevo al pensiero di incontrare persone estranee al Centro Ricerche - persone che potrebbero insospettirsi per il mio accento, o per qualche errore banale - scompare appena accarezzo il puledro bianco che, dall’altra parte dello steccato, sembra essere venuto incontro proprio a me.
“Silver è sempre stato piuttosto selvatico, hai fatto colpo ragazzo!” esclama dietro di me una voce gracchiante. Sorridendo, Genzo si volge verso il piccolo uomo per salutarlo: è chiaro che sono amici. Gli stringo anch’io la mano come mi hanno insegnato a fare.
“Questo è Daisuke...ti ho già parlato di lui. Starà per un po’ al Centro Ricerche ed ama molto i cavalli.”
“Si vede, loro lo sentono subito, sono animali molto sensibili... Hikaru! Vieni a far vedere la fattoria al figlio del prof. Umon!”
La figlia, di cui Genzo mi ha parlato durante il viaggio in macchina. Si affretta verso di noi sistemandosi il cappello sulla testa; ha i capelli corti e occhi grandi e scuri. La prima ragazza che incontro da quando sono arrivato su questo pianeta... Dev’essere molto giovane. Mi sorride ed arrossice:
“Scusatemi, ero impegnata con la mungitura… così tu sei Daisuke. Benvenuto.”
Tende la mano perché la stringa, ma io non sono pronto a rispondere…
“Non sei qui da molto, vero?”
Genzo mi salva: “No, ma sta imparando il giapponese… in realtà è già molto bravo.”
Ora sono io ad arrossire, ma lei non sembra farci caso. Sorride, di nuovo.
“Vieni, ti faccio vedere le capre.”
Guardo Genzo, mi fa cenno che va tutto bene. Mentre mi guida sicura attraverso il prato bagnato dalla pioggia recente, Hikaru mi indica gli edifici di cui è composta la fattoria, che assomiglia a un ranch americano… ed io che sono americano ho mai visto un ranch?
Che cosa ha detto di me Genzo?
Balbetto. “Oh, sì, certo che l’ho visto…”
Certo, nei film western che il figlio di Hiro collezionava, su cui ogni sera mi esercito con l’inglese.
Si gira verso di me, lo sguardo addolorato.
“Scusa, Daisuke. Mio padre mi aveva raccomandato di non chiederti niente dell’America, di non farti ricordare cose tristi… ti prometto che non succederà più.”
“Non preoccuparti.”
Il sole fa brillare le gocce sui fili d’erba, creando piccoli arcobaleni.

***

“Eh, doveva essere proprio bellissima…”
“Sì, il figlio somiglia alla madre”, sorrido rispondendo al commento di Danbei.
Nonostante a prima vista possa sembrare chiassoso e superficiale, è capace di grande sensibilità: sapevo che non mi avrebbe fatto più domande del necessario. Gli ho detto che sei nato da un matrimonio breve e sfortunato durante la mia permanenza negli USA; e che l’unica cosa che hai di giapponese è il tuo nome. La morte di tua madre ti ha traumatizzato e sei venuto a trovarmi per scoprire le tue radici ed allontanarti dal tuo passato… per questo ho pregato lui e la sua famiglia di evitare di parlarti in inglese e di ricordarti l’America in qualsiasi modo. So che posso fidarmi.
“Beh, sarà anche tuo figlio, ma non è il caso di lasciare quei due ragazzi soli troppo a lungo...”
Mette le mani a coppa intorno alla bocca e chiama. “Hikaru! Vai a preparare il tè!”
Si sfrega le mani nell’aria pungente e mi fa strada verso casa.

***

È stata una buona giornata. La vita all’aria aperta è stata una delle cose che più mi erano mancate durante la guerra, ed ero convinto che non avrei mai più potuto passeggiare in un bosco, o cavalcare… invece, Danbei mi ha assicurato che la prossima volta che andrò al ranch, mi lascerà fare un giro a cavallo insieme a Hikaru - e a lui, ha tenuto a sottolineare. Sembra molto attaccato alla figlia… sotto quella scorza burbera, sono sicuro che ha il cuore tenero. Dopo i primi momenti di imbarazzo, mi sono sentito a casa con lui e la sua famiglia. Non vedo l’ora di tornare a trovarli.
Ho lasciato Genzo a lavorare insieme ai suoi assistenti, e mi preparo ad un pomeriggio di studio in sala proiezioni. Scelgo un nuovo video: sulla custodia, uomini con tuniche vagamente somiglianti agli abiti di Fleed, e un grande cavallo. Sono curioso.

***

È tardi, ma la giornata è stata costruttiva. Busso alla porta della sala proiezioni con in mano il progetto di massima dell’hangar, sperando che vorrai collaborare con me nella realizzazione.

Non rispondi… spingo la porta e ti vedo seduto a terra, immobile nel buio davanti allo schermo illuminato da una luce bianca e fissa, indifferente al ticchettio ritmico della bobina che gira su se stessa.
Mi avvicino e ti tocco una spalla con la mano: sobbalzi, poi ripiombi nell’apatia.
“Daisuke.”
Ti giri verso di me e nel chiarore incerto intravedo gli occhi gonfi ed arrossati. Spengo il proiettore e accendo la luce: sembra infastidirti, ti copri il viso con le mani. Sparsi sul pavimento davanti a te, fogli e fogli scritti nei caratteri della tua lingua, e disegni: una città, un cavallo mostruoso, fiamme.
“Daisuke, cosa ti è successo?”
Alzi il viso verso di me, lo sguardo svuotato; ansimi, tanto da non riuscire a parlare.
Vedo a terra l’astuccio del documentario, che devi avere rivisto molte volte per prendere quella mole di appunti: è la storia di una città assediata e distrutta, in un posto lontano, quasi tremila anni fa. Una storia di guerra, e di morte. Hai trovato le parole che cercavi...

Muovi le labbra, ma ne esce solo un lamento inarticolato. Riprovi, la parola sembra bruciarti la voce.
“Guerra.”
Mi inginocchio accanto a te, ti poso una mano sul petto. Stai tremando.
“Basta, Daisuke. Non ce n’è bisogno. Calmati…”
Mi alzo, ti porgo la mano per aiutarti a rimetterti in piedi.
“Non dire niente ora. Vieni.”

Sono tante le domande che mi si affollano nella mente: ma condivido il tuo silenzio mentre ti accompagno fuori dalla sala buia.

Mi segui docilmente fino alla tua camera, ti lasci aiutare a metterti a letto. Lo shock ti ha fatto regredire ai primi giorni, in cui dipendevi da noi in tutto… Aspetto che tu prenda sonno, poi esco cercando di non far rumore e torno in sala proiezioni.

Su uno dei fogli, c’è il disegno di un uomo con una corona. Sparsi tra la grafia fleediana, spiccano gli ideogrammi per “re” e per “padre”.
Un principe alieno.
Dalla bocca del cavallo escono fiamme. Questa non è la guerra cantata da Omero… è la tua guerra. È da questo che sei fuggito? La città assediata venne rasa al suolo… cosa ne è stato di Fleed?

Un grido proviene dalla tua camera, corro a raggiungerti. Non avrei dovuto lasciarti solo…
Sei seduto sul letto, chiazze scure di sudore sulla maglia, gli occhi sbarrati a fissare scene che solo tu puoi vedere. Quando mi riconosci, indichi gli appunti che ho in mano, li sfogli con impazienza.
“Vega...” Il nome del tuo nemico ti sfugge dalle labbra come un lamento.
“Vega vuole Grendizer. Fleed… bruciato, distrutto.”
Indichi l’immagine del cavallo. “Robot di Vega. Mostri.”

Cerchi un altro foglio, il disegno di una nave che si allontana: “Guerrieri… amici, morti. Tutti morti. Io sono fuggito.”
Sollevi gli occhi dal disegno. “Fleed era bello, come la Terra. Morto.”
C’è odio nel tuo sguardo: odio verso di te.
“Io sono fuggito con Grendizer.” Ti colpisci il petto con violenza. “Sono fuggito!”
Vorrei abbracciarti ma temo che mi respingeresti. Ti prendo una mano, è gelida.
“Tu sei vivo, Duke.”
“Io sono vivo.”
Alzi la testa, mi guardi negli occhi.
“Non è giusto.”

Sei il principe ereditario di un pianeta distrutto. Hai perso tutto, anche la speranza di poter rivedere la tua patria un giorno. Non posso paragonare la mia sofferenza di bambino alla tua: ma so come si sente chi è sopravvissuto alla fine del suo mondo… So la fatica e la necessità di accettare la vita.

Hai bisogno di riposare. Attendo che tu ti distenda nuovamente, poi esco dalla stanza lasciando la luce sul comodino accesa.

***

Illuso, mi sono illuso… cosa credevo di fare? Ho perfino pensato a un futuro qui, sulla Terra… io che non ho diritto di vivere, che ho abbandonato coloro che dovevo proteggere.
È stata una fortuna trovare quel filmato, vederlo prima di cominciare a costruire qui qualcosa che non deve proseguire; prima di costruire legami che non causerebbero che sofferenza nelle persone che mi si sono avvicinate.
Porto la mano alla spalla destra e affondo con forza le dita nella ferita: il dolore è un lampo violento. Non devo dimenticare. Il ricordo della fine di Fleed stava sbiadendo… ora è di nuovo chiaro, le immagini della sua distruzione, del mio fallimento, sono vivide nella mia mente. Non devo lasciare che quelle fiamme si spengano, mai più. Ora so che cosa devo fare.
Ciò che avevo promesso a mio padre era di sottrarre Grendizer a Vega: ho compiuto il mio dovere. Ora per portare a termine il mio compito devo eliminare l’unico possibile pilota di quel robot maledetto.
Meglio che non trasmetta a Genzo e ai suoi niente della tecnologia fleediana: era il nostro orgoglio ed è stata ciò che ci ha perduti, ha eccitato la brama di onnipotenza di Vega a pretendere da noi la costruzione dell’arma più potente di ogni altra. I veghiani non sono sensibili alla bellezza: questo pianeta incantevole non correrà rischi quando Grendizer sarà in un luogo da cui nessuno potrà mai riprenderlo.
La bimba dal vestito rosa mi guarda dalla cornice accanto al letto, stringendo fiduciosa la mano del fratello: ma io non sono riuscito nemmeno a mantenere la promessa che ti avevo fatto, Maria, di tenere il tuo disegno sempre con me. Presto non ci sarà più nessuno che si ricordi di te o dei nostri genitori: e tra non molto anche io verrò dimenticato, e potrò disperdermi nel nulla come è successo al nostro mondo.
Ma prima ho il dovere di ripagare il mio debito alla generosità di Genzo, di Hiro e di tutti coloro che hanno reso dolci i miei giorni su questo pianeta. Devo far sparire Grendizer, presto.
La consapevolezza di avere uno scopo mi accompagna mentre chiudo gli occhi: e se anche nei sogni l’incendio di Fleed tornerà a tormentarmi, non farà che rafforzare la mia volontà. Non ho più paura.


- continua - il thread per chi desidera lasciare un commento: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=270#lastpost
 
Top
view post Posted on 3/2/2014, 07:16     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


TERRA - 7.

Quando ho bussato alla tua porta stamattina ti ho trovato sveglio. Dormire ti ha fatto bene: dopo lo sfogo di ieri, sembri più sereno.
Non sono sicuro di avere capito tutto: ma dalle tue parole e dai tuoi disegni è chiaro che il tuo pianeta è stato devastato da una guerra, e che questa guerra è stata in qualche modo causata da Grendizer. Fin da quando avevo deciso di non informare le autorità della tua esistenza mi ero posto il problema di occultare l’astronave per non destare sospetti; ma quando mi avevi chiesto di nasconderlo non avevo capito quale fosse il motivo della tua ansia.
Ora scopro che forse hai alle calcagna il tuo nemico, qualcuno che non ha esitato a distruggere il tuo pianeta per cercare di prendersi Grendizer. Non so se possa aver seguito le tue tracce sul nostro pianeta: ma presto la neve comincerà a sciogliersi e la tua astronave non sarà più protetta.
Sento scorrere l’acqua della doccia. Ti aspetto: dovremo darci da fare.


Ti sei messo d’impegno a collaborare alla progettazione dell’hangar per la tua astronave.
Le tecniche ed i materiali che noi usiamo sono per te poco evoluti, ma ti adatti in fretta e sai suggerire le soluzioni più adatte, come la creazione di una piccola centrale idroelettrica che sfrutti la caduta delle acque e intanto contribuisca a mascherare il nascondiglio.
I lavori dureranno a lungo… prima di tutto è necessario adattare la grotta e trasportare qui il robot, subito.

***

Il progetto prevede un piedistallo ed una sorta di rampa per facilitare l’uscita del mezzo: è inutile, quello che Grendizer farà per arrivare qui sarà il suo ultimo viaggio.
Ma Genzo questo non lo deve sapere: e soprattutto, non voglio che scopra quali sono le mie intenzioni. Lo scivolo renderà più semplice l’alloggiamento… d’accordo, la sua costruzione non allungherà troppo i tempi.
Il rifugio deve essere completato al più presto: e poi dovrò portare Grendizer nella sua tomba sotterranea.
Il pensiero di tornare a salirci mi dà i brividi: ma sarà solo una volta. Un’ultima volta e poi…


Da quando ho preso la mia decisione mi sento più tranquillo. Non ho cambiato le mie abitudini, e continuo a studiare con interesse il pianeta su cui il destino mi ha dato di trascorrere questi giorni inaspettati e che mi regala ogni giorno emozioni che pensavo non avrei più provato... sapere che la mia vita sta per terminare mi fa desiderare di viverla con maggiore intensità. I miei compagni hanno rinunciato alla loro giovinezza per difendere Fleed; ed io non sprecherò questi ultimi momenti che mi sono stati concessi, li devo vivere anche per loro.

Ho aspettato con impazienza il momento in cui sarei potuto montare a cavallo; e quando oggi Hikaru, vedendomi sicuro in groppa già dopo i primi approcci con gli animali, mi ha sfidato in una corsa al galoppo, non ho saputo resistere. L'eccitazione della gara, il sentirmi tutt’uno con la mia cavalcatura, la gioia di poter per un'ultima volta godere della bellezza della Terra e della compagnia dei miei nuovi amici; sono tornato a casa con il cuore gonfio di una sensazione molto simile alla felicità. Una sensazione che mi sarebbe insopportabile, se non sapessi che domani andremo a prendere Grendizer per portarlo nell'hangar ormai ultimato.
Il cavallo correva leggero; e la mia mente tornava ai giardini di Fleed, alle gare con i miei amici, che non sapevo sarebbero presto diventati i miei soldati.
Sarebbe così bello restare qui, ma non posso: ho un debito verso di loro e verso il mio pianeta. Grendizer mi ha impedito di essere con i miei uomini nel momento della fine; ma presto il robot non sarà altro che un guscio vuoto, una macchina inutile e pericolosa da abbandonare all'oblio che merita, ed io potrò raggiungerli nel nulla in cui si sono dissolti. Presto tutto sarà dimenticato, e nel silenzio Fleed troverà nuovamente la pace.

***

Mi hai chiesto di guidare tu per la strada di montagna che porta al boschetto dove sei precipitato quasi due mesi fa. Manovri con sicurezza lungo i tornanti ripidi, le labbra serrate e gli occhi fissi sulla strada… non è certo la difficoltà del percorso a renderti così silenzioso.
So che per te rivedere il mezzo con cui sei fuggito, che ti ha reso l’unico superstite del tuo pianeta, sarà duro. In tutto questo tempo hai oscillato tra il desiderio di avvicinarti alla Terra ed il legame con il tuo mondo scomparso; ed ogni volta che la tua nuova vita sembrava prendere il sopravvento su quella passata, hai reagito ritraendoti in te stesso… fino a questi ultimi giorni, in cui sei finalmente sereno. Credo che i cavalli di Danbei ti abbiano aiutato: ieri mentre smontavi i tuoi occhi brillavano, e sorridevi come non ti avevo mai visto fare prima, anche se Hikaru ti aveva battuto. So che ci saranno altri alti e bassi, ma spero che il viaggio di oggi non ti causi troppo dolore, e non ti allontani nuovamente da noi. C’è qualcosa che devo dirti…
“Dovremo comprarti dei vestiti.”
Ti volti verso di me, sorpreso. Non è il momento di conversazioni futili; e questa non lo è.
“Kyoko, la moglie di Hiro… ha scoperto che dal guardaroba di suo figlio manca qualcosa. Si è infuriata, e se ne è andata di nuovo. Questa volta, forse, per sempre.”
“Hiro aveva detto che sua moglie era indifferente alle cose di suo figlio. Che questo lo stupiva.”
“Già… e si sbagliava. Dobbiamo restituire tutto.”
“Sì.” Non stacchi gli occhi dalla strada. “È per questo che non viene tanto spesso in questi giorni, allora.”
“Me l’ha detto soltanto ieri… ci sarei dovuto arrivare da solo, fa sempre molta fatica a parlare di sé. Ma ieri sera era ubriaco.”
Sono preoccupato per Hiro. L’alcol sembrava un problema risolto: è stato ciò che in guerra lo ha aiutato ad affrontare la sua impotenza davanti ai pazienti divorati dalle radiazioni, e che in pace ha impedito alla sua carriera di elevarsi oltre ai livelli della mediocrità. Aveva promesso a Kyoko che avrebbe superato la morte del figlio senza tornare al suo vizio, ed aveva mantenuto la parola. Ma ora lei se n’è andata: ed io so a che livelli di autolesionismo può arrivare Hiro. L’ho tirato fuori dai guai troppe volte per non aver paura.
“Mi dispiace, sono stato la causa…”
“Tu non hai causato niente, Daisuke, non devi sentirti in colpa. Tu sei la cosa più bella che gli sia capitata in questi ultimi due anni. Mi ha pregato di dirtelo.”
Lo sei anche per me, figliolo… ma temo che a dirtelo non ci riuscirò mai.
“Ringrazialo”, socchiudi gli occhi per un istante “ma non lo merito. Ho creato solo fastidi. Anche ora, stiamo cercando di risolvere un problema che ho causato io.”
“No.”
Vorrei parlare a lungo, ma siamo arrivati.

Scintillante alla luce del sole, l’astronave è ancora più enorme di come la ricordassi; la neve la copre ormai solo in parte. Ti avvicini lentamente, sembri trattenere il fiato. Ti seguo ma mi fermi: “Ho inviato un ordine mentale, ma forse il sistema di sicurezza è ancora attivo. Meglio essere prudenti.”
Termini il tuo giro intorno al veicolo.
“Tutto a posto… possiamo partire. Duke Fleed!
Un grido, un gesto delle mani dalle spalle alle ginocchia, e ti rivesti della tuta rossa che indossavi quando ti ho trovato: il casco ti copre il volto, il corpetto sottolinea l’ampiezza delle spalle. Fasciati dal tessuto leggero ed aderente, i muscoli si tendono: tutto il corpo assume una postura diversa.
Il ragazzo gentile e malinconico si è trasformato in un guerriero sotto i miei occhi… dietro la visiera il tuo sguardo è serio e deciso. Allunghi una mano verso il robot per toccarlo con circospezione, quasi scottasse: gli occhi della testa cornuta lampeggiano e la calotta posta sull’astronave si apre. Davanti ai miei occhi sbalorditi, raggiungi l’abitacolo con un unico, incredibile balzo da fermo.
Torno alla jeep e aspetto.

***

Questa sarà l’ultima volta.

Odio questo robot. Odio il suo significato. Odio ciò che ha causato: è stata la sua costruzione a condannare il mio pianeta alla sua fine, lasciando al mio popolo un’unica scelta, se farsi annientare dai mostri di Vega o da un’arma che i suoi stessi scienziati avevano creato.
Lo odio, perché la mia inesperienza non ha saputo farselo bastare per salvare Fleed, e perché per impedirne la conquista ho dovuto evitare di espormi prima, e fuggire poi. Perché mi ha costretto a vivere. Perché è il simbolo tangibile della mia colpa.

Non mi hai permesso di morire insieme ai miei compagni. Mi hai costretto alla viltà e condannato a una vita di vergogna.

Ti odio.


Un ultimo volo, poi verrà sigillato nella grotta sotto il Centro Ricerche e verrà dimenticato.
E poi toccherà a me…

“Grendizer!”
I motori si avviano immediatamente. Abbiamo deciso che il robot trasporterà la jeep con Genzo a bordo: se per caso venissi intercettato la depositerò sulla strada e lui risulterà estraneo a qualsiasi cosa mi riguardi. Afferro con delicatezza l’auto e la proteggo con i pugni chiusi. Inserisco la velocità fotonica: pochi istanti e saremo di nuovo al Centro Ricerche.
Dall’alto, ammiro la bellezza del paesaggio: il bianco della neve sta cedendo il posto al verde scuro degli abeti e a quello più chiaro delle foglie nuove e dell’erba. Ogni istante in cui Grendizer è visibile mette in pericolo questa meraviglia… sto proteggendo questo pianeta, sto facendo per la Terra quello che non sono riuscito a fare per Fleed.
So che Genzo soffrirà. Spero che capirà che ho agito per amore suo e del mondo che mi ha fatto conoscere; per amore, e per odio della mia viltà.

***

Il volo è rapidissimo e silenzioso: i miei occhi non fanno in tempo ad abituarsi al buio delle mani di Grendizer che una di esse posa dolcemente la jeep sul viottolo nel boschetto di betulle, a breve distanza dall’entrata della grotta. Intravedo l’astronave per un istante, prima che scivoli quieta nel lago per raggiungere il rifugio che le abbiamo preparato. È un mezzo straordinario, ha coperto in un attimo una distanza che la jeep ha impiegato ore a percorrere. Se potessimo studiarne la tecnologia...
Quando raggiungo la sala sotterranea, sei in piedi accanto alla rampa, il casco in mano; appena mi vedi, la tuta rossa scompare, e con essa il guerriero alieno. Sei tornato il ragazzo mite che ama i cavalli e che ha dato un senso nuovo alla mia vita… o forse no. I tuoi occhi sono illuminati da una luce dura che non conoscevo; le tue mani tremano. Mormori qualcosa nella tua lingua; poi ti volti verso di me con un sorriso forzato, che non ha niente a che vedere con quello che ho visto ieri sul tuo viso.
“Come stai? La velocità non ti ha dato fastidio, spero.”
“No.” Il viaggio mi ha entusiasmato, e vorrei farti qualche domanda, ma non è il momento. “Come stai tu, piuttosto?”
Non mi rispondi, non ce n’è bisogno. Ti poso una mano sulla spalla.
“Vieni, andiamo a casa. Guido io.”

***

Abbandono il capo sul poggiatesta e chiudo gli occhi. Il viaggio è stato brevissimo, ma è stato sufficiente a farmi rivivere le battaglie e la fuga, e la lenta attesa che l'inedia portasse a termine ciò che le armi di Vega non erano riuscite a fare. Scendere da quel mostro, sapendo che non vi risalirò mai più, è stato un sollievo.
Grendizer ha segnato tutta la mia vita: sono stato cresciuto per guidarlo, ma alla fine è stato lui a prendere le redini della mia esistenza, lui a determinare le scelte e le alleanze di mio padre; lui a darmi il modo di ribellarmi a Vega e a portarmi qui. Ora sarò io a dirgli basta.
Genzo conduce l’auto in silenzio: è chiaro che brucia dalla voglia di chiedermi di Grendizer, ma so che saprà aspettare che io mi senta pronto. Ci conosciamo da poco, ma in nessuno, neanche negli amici più cari, ho mai trovato la stessa capacità di comprendermi, la stessa sintonia profonda.

Mio padre era il re. L’ho onorato ed obbedito, l’ho amato: e credo che anche lui abbia amato me. Ma non credo mi abbia mai conosciuto davvero… mi ha usato come moneta di scambio per garantire la sopravvivenza di Fleed: ed è stato giusto così, io ero prima di tutto il principe e poi suo figlio. Mi ha dato un’educazione rigida che mi ha insegnato a mettere il mio dovere davanti ad ogni altra cosa; le richieste dei miei istitutori erano altissime, le punizioni tanto più dure in quanto dovevano forgiare il futuro re. Ma sono stato un ragazzo sereno, sicuro della fiducia che era riposta in me, almeno fino a quando Vega è apparso all’orizzonte e in cambio della promessa di non attaccarci ha preteso Grendizer, l'apice della nostra tecnologia. Da strumento di esplorazione e ricerca, sarebbe stato convertito nell'arma principale del suo esercito; ed io, il pilota per cui era stato creato, sarei stato il pegno dell’alleanza. Mia madre sapeva che il destino che mio padre aveva tracciato per me mi angosciava, ma che non mi sarei mai tirato indietro: per non deluderlo, per aiutare il mio pianeta. Ho capito solo nei suoi ultimi istanti che lui aveva sofferto quanto me per quell’alleanza funesta, per l’infelicità cui mi aveva condannato; e lo stesso non ha esitato a ordinarmi di fuggire su Grendizer, legando ancora una volta la mia vita al robot.
Non avrei chiesto una sorte diversa, sarebbe stato inutile, sbagliato… vile. Ma se mio padre avesse ammesso ciò che sentiva, se mi avesse reso partecipe dei suoi timori… se fosse stato davvero mio padre oltre al mio re, ciò che mi aspettava mi sarebbe apparso forse non meno duro, ma più facile da sopportare.

Genzo ha ascoltato il mio silenzio prima delle mie parole, ha accettato la mia paura e l’ha trasformata in fiducia; mi è stato accanto quando la disperazione ha preso il sopravvento e mi ha mostrato la strada per uscirne. Quando lavoriamo insieme, o anche quando, come ora, siamo semplicemente seduti l’uno a fianco dell’altro, non ho bisogno di parlare.
Non voglio fargli del male… ma, come sempre, so di avergliene già fatto.


continua - la prossima puntata è l'ultima. Per eventuali commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=285#lastpost


Edited by shooting_star - 3/2/2014, 18:06
 
Top
view post Posted on 6/2/2014, 14:24     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


TERRA - 8.

Come.
Non voglio soffrire, e non voglio rischiare di sopravvivere. Non saprei dove procurarmi del veleno; e l'unica arma da fuoco che ho visto da quando sono qui è il fucile di Danbei.
All'Accademia ci hanno insegnato che il modo più rapido per spacciare un nemico è tagliargli la gola, l'incoscienza è pressoché immediata e la morte arriva poco dopo. Quello che mi serve è un coltello ben affilato.

***

Stai lavorando con Yamada a un aggiornamento della cartografia spaziale: le tue informazioni sulla nebulosa del Centauro, anche se per essere accettate dalla comunità scientifica dovranno essere sostenute da prove, ci saranno utilissime per indirizzare la nostra ricerca. Il tuo progetto di centrale idroelettrica è ormai pronto ad essere realizzato, e stiamo valutando i materiali per pannelli solari ad alta efficienza: purtroppo molte delle leghe utilizzate su Fleed sono sconosciute sulla Terra, ma quando riusciremo a ricrearle avremo finalmente una fonte energetica sicura e inesauribile. Sapere che i propulsori di Grendizer sono alimentati ad energia fotonica mi fa sperare che un giorno non troppo lontano potremo fare altrettanto e chiudere le centrali nucleari, per sempre.
La tua presenza ha dato un impulso alle attività del Centro, e spero che vorrai collaborare a lungo con noi - anche se ho l'impressione che al di là delle tue competenze le cose che ti appassionano di più siano la natura e la vita all'aria aperta. È tanto che cerco di convincere Danbei che ha bisogno di un aiuto alla fattoria.

La telefonata arriva alle nove di mattina. Hiro è agitato, la voce sdrucciola fino ad essere incomprensibile. Riesco ad afferrare che sta per salire in auto per venire al Centro.
“Resta là, ti vengo a prendere io.” Ma forse ha già riattaccato…
Devo fare in fretta, saluto gli assistenti. Alzi la testa, lo sguardo preoccupato.
“Hai bisogno che ti accompagni?”
“No, meglio di no… spero di tornare presto. Se no, ci vediamo a casa.”
“Sì… saluta Hiro da parte mia.”
I tuoi occhi sembrano incupirsi. “Ricordati di ringraziarlo… digli che gli voglio bene.”

Anche Hiro ti vuol bene, non ho dubbi… eppure credo che tra le cause della sua disperazione ci sia anche tu. Lui ha perso un figlio, io ne ho trovato uno; e la tua presenza qui non fa che amplificare il silenzio della sua casa vuota al ritorno dal lavoro. Spero che non commetta sciocchezze.

***

Hayashi si è offerto di accompagnarmi a casa con la sua auto, ma preferisco fare una passeggiata: è una bella giornata, e non riesco a immaginare un modo migliore di accomiatarmi da questo luogo. Il sole di mezzogiorno fa brillare le foglie degli alberi, le voci degli uccelli, invisibili tra i rami, mi ricordano la primavera che illuminava i boschi del mio pianeta. Respiro a pieni polmoni…presto sarà tutto finito.

La morte non mi fa paura, la conosco bene. L’ho vista nei corpi dei miei compagni, negli occhi dei miei genitori. L’ho affrontata in battaglia, le sono corso incontro nelle prigioni di Vega: mi ha sfiorato ma mi ha sempre respinto. Ora non potrà sfuggirmi.

Osservo i coltelli custoditi nella piccola cucina: non ho mai visto Genzo usarne uno. Ne provo il filo sul polpastrello… avrebbero bisogno di una molatura, devo trovare qualcos’altro. Del vetro, forse… no, ho un’idea.
Nel rasoio che Genzo usa ogni mattina si inseriscono piccole affilatissime lame che sono contenute in un astuccio da qualche parte in bagno. Apro l’armadietto: eccole, in bella vista.
Devo assicurarmi della precisione del taglio: la mano sinistra stesa sul lavandino, un movimento rapido e leggero. La lama scorre veloce, penetra la carne senza sforzo, senza dolore. Il sangue fiorisce rosso sul palmo. Stringo il pugno.
Sarà un attimo.
I miei occhi mi fissano gelidi dallo specchio mentre porto la lama alla gola.
Non qui... Voglio respirare un’ultima volta l’aria pulita, godere l’azzurro del cielo. Il terrazzo. Tampono il taglio con una salvietta.

***

L’automobile di Hiro è rovesciata sulla strada. Mi avvicino all’ambulanza: conosco il medico, sa che sono amico del suo collega. Hiro ha diverse fratture, dice, ma non è in pericolo di vita. Mi permette di parlargli:
“Mi hai lasciato solo anche tu”, mormora.
“No.” Seguo l’ambulanza fino all’ospedale.

Mi hanno assicurato che per tutto il giorno non potrà ricevere visite: bene, domattina andremo a trovarlo in due.


Vengo accolto in casa da una folata d’aria: la porta-finestra che dà sul terrazzo è aperta. Vado a chiuderla: sul pavimento di legno chiaro del soggiorno ci sono piccole macchie rotonde. Mi abbasso a toccarle…
Daisuke.

Sei seduto sui talloni sul cemento del terrazzo, il viso rivolto verso il sole. La mano sinistra è avvolta in un asciugamano macchiato di un rosso vivo: la destra è sollevata verso il collo.

“Non servirà.”
Muovi appena la testa, ma non ti giri.
“Il taglio deve essere molto profondo. Con una lametta arriverai al massimo a recidere le corde vocali: ti farai molto male, potresti rimanere muto, sfigurato. Ma difficilmente riuscirai a morire.”
Abbassi la mano destra, poi la riporti al collo… vorrei correre a fermarti, ma temo che reagiresti colpendoti. Parlo lentamente, a voce bassa, nel tono più calmo che l’agitazione mi consente.
“E anche se riuscissi, sarebbe inutile, Fleed non tornerà alla vita per questo. So che non ti ritieni degno di vivere… ma sei tu tutto ciò che è rimasto del tuo pianeta. Tu e Grendizer. Se ti uccidi, di Fleed scomparirà anche il ricordo. È questo che desideri?”
Rimani immobile… ma non ti sei ancora tagliato. Mi stai ascoltando: devo continuare a parlare.
“La morte sarebbe solo un’altra fuga, la via più facile. So che sei stanco di soffrire, e so che è una sofferenza che non finirà mai. Ma è questa la vita, Daisuke, figlio mio… Non ho il diritto di impedirtelo, e non lo farò. Ma se morirai, proverò lo stesso dolore che da due anni sta distruggendo Hiro.”
Abbassi la mano destra sulla coscia. La tua voce è un sussurro.
“Come sta Hiro?”
“Ha avuto un incidente a meno di un chilometro dalla curva in cui Takeo è uscito di strada… è grave, ma i medici dicono che se la caverà. Ha chiesto di te."
Ti giri, i tuoi occhi sono pieni di lacrime. La lametta cade a terra senza far rumore.
Muovo un passo verso di te con le gambe che tremano, ti tendo la mano.
"Vieni, dobbiamo medicare quel taglio."

***

Le tue parole, le stesse che su Fleed mi hanno dato la forza di continuare a lottare, un vecchio proverbio: "La morte è facile. Difficile il dolore. Più difficile la vita". Ho cercato di fuggire, ancora una volta... sono stato solo un pavido, ed un egoista; ti ho deluso. La ferita mi fa improvvisamente male.
Mi aggrappo alla tua mano come un bambino dopo una caduta, i miei occhi si alzano verso i tuoi e li scoprono umidi. Non volevo causarti dolore… mi rifugio nel tuo abbraccio.
“Sì, padre.”



FINE - se volete commentare: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=285#lastpost
 
Top
view post Posted on 14/2/2014, 08:07     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


Il 14 febbraio è difficile sfuggire alla colata di melassa che sembra espandersi come il blob di cinematografica memoria. Ma ci sono, tra noi, uomini che oppongono una disperata resistenza: riusciranno a uscirne a testa alta o verranno anche loro cancellati da due mani di vernice rosa confetto?

Con i migliori auguri di un San Valentino felice!


UNA SERATA DI GLORIA!


Tutti gli anni la stessa storia: ma no, questa volta non l'avrebbero avuto. Sayaka era ben lontana, negli Stati Uniti, e fortunatamente non le era venuto in mente di chiamarlo. Meglio.

Quel pomeriggio era andato a noleggiare un bel videogioco spara-spara pregustando una serata da vero maschio libero, senza smancerie sentimentali. Aveva bussato alla porta di Actarus… povero ragazzo.

“Come mi sta?” gli aveva chiesto quello che era stato il principe di Fleed, rigirandosi davanti allo specchio con una giacca… una giacca, da non crederci. Si era perfino pettinato!
“Venusia mi ha detto che se la porto fuori con il completo verde che avevo in Svizzera mi toglie il saluto!”

Il petto di Koji si era gonfiato di compassione.
“Certo, Actarus…” come avrebbe detto Sayaka? “Quel punto di blu ti valorizza gli occhi, sei un vero figurino!”
Gli aveva dato, comprensivo, una pacca sulla spalla. A proposito, Sayaka? Aveva controllato le chiamate in arrivo… niente. Neanche tra gli sms… Finalmente libero, che pacchia!
Beh, evidentemente Actarus era fuori gioco: peggio per lui. Con il suo videogioco in mano, aveva sceso le scale deciso a compiere un’opera buona.

Se Venusia usciva con Actarus, Mizar sarebbe sicuramente stato libero di passare la serata senza compiti… tutto solo ad annoiarsi… una bella partita con lui sarebbe stata divertente, e poi quel marmocchio gli doveva una rivincita. Incredibili i riflessi che hanno i bambini!
Era montato in sella, diretto verso la fattoria.

Seduto al grande tavolo, Mizar era intento a ritagliare qualcosa in un cartoncino rosso.
“Guarda, Koji! Che ne dici?”
Aveva proteso verso di lui la manina paffuta… eeh? Sì, si trattava decisamente di un cuore… un bigliettino a forma di cuore per la precisione.
“La mia compagna di banco mi ha invitato ad una festicciola a casa sua… ha detto che i suoi non ci saranno e che probabilmente giocheremo al gioco della bottiglia…”
Un’espressione furbetta si era disegnata negli occhioni innocenti.
“Ma Mizar non ha l’età di Shiro?” si era chiesto Koji. “Io alla sua età pensavo solo alle moto!”
Beh, sì, Sayaka sarebbe arrivata molto dopo. A proposito: Facebook e Twitter? No, nessun messaggio da quell’impicciona. Aveva emesso un profondo sospiro di sollievo.

Mizar stava continuando: “Ma a me interessa solo una delle ragazze che verranno alla festa, ed ho preparato questo per lei. Secondo te le piacerà?”
Nell’incerta grafia infantile del ragazzino, al centro del biglietto campeggiava la scritta “Be Mi Valentin” circondata da cuoricini multicolori.

Povero bambino, già rammollito dalle mode occidentali: del resto, l’aveva praticamente tirato su sua sorella. Bravissima ragazza, per carità, ottima pilota ed anche grande cuoca per giunta… ma guarda com’era riuscita a ridurre Actarus. Koji aveva ripensato con un brivido al triste spettacolo del pilota di Goldrake che si faceva sistemare il nodo alla cravatta da Venusia. Aveva guardato meglio la scritta.
“Ah… sì, c’è solo qualche correzione da fare ed andrà benone.”
“Grazie Koji! Ma… tu cosa fai stasera?”
Koji si era portato la mano dietro la testa. “Serata tra uomini! Pensavo di proporre a Banta una bella sfida all’ultimo zombi!”
Aveva estratto l’astuccio del videogame, con la speranza di suscitare almeno un pochino d’invidia nel bambino.
“Ah. Guarda che stasera lui deve restare con sua madre, mi ha detto tutto orgoglioso che lei lo considera il suo cavaliere… secondo me ha paura che qualche ragazza glielo porti via.”
Il bambino gli aveva strizzato l’occhio.
“Ma tu non sei troppo grande per certi giochi, Koji? ”
Koji non aveva potuto far altro che incassare il colpo e lasciare Mizar ad incollare brillantini iridescenti sul suo cuore di carta.

Quindi anche Banta aveva da fare. Per fortuna che l’aveva saputo prima… già s’immaginava l’accoglienza che gli avrebbe riservato Hara: uomini in quella casa ne entravano pochini, e lei faceva di tutto per trattenere i graditissimi ospiti. Soprattutto in una giornata come quella… meglio così: il ragazzo era simpatico ma non sveglissimo, sarebbe stato un avversario troppo facile.

Ok, non era ancora troppo tardi per risolvere la serata... era rimasta solo una cosa da fare.
Aveva tirato fuori il telefonino. Un rapido controllo alle chat: di Sayaka neanche l’ombra. Meno male, aveva capito che proprio non era aria! Ed aveva composto il numero di Tetsuya.

Ed ora lui, Koji Kabuto, il pilota del Mazinga Z e del Goldrake 2, era in fila per una confezione magnum di popcorn. Non si era lasciato travolgere dall’ondata di melensaggine che il 14 febbraio sembrava sommergere tutti. Avrebbe passato una serata come diceva lui, tra piloti: gente che capisce di motociclette, velocità, robottoni ed armi spaziali.
Doveva ammettere che la proposta di andare al cinema era stata azzeccata. Un anime classico: una storia di vita, dura e senza sconti, i protagonisti che affrontano con coraggio e determinazione drammi personali, la guerra e la morte dei loro migliori amici. Altro che svenevolezze e leziosaggini. Una serata come si addiceva ad un vero uomo, alla faccia di Sayaka Yumi che credeva di essere tanto furba a non farsi viva, e non sapeva che Koji Kabuto aveva ben altro da fare che preoccuparsi del fatto che quella che aveva sempre considerato la sua ragazza sembrava non curarsi più di lui.

“Jun ti saluta tanto… dice che le dispiace davvero moltissimo di non poter essere qui con noi, ma era da settimane che avevano prenotato al ristorante francese. Mi ha detto che Tez sta un amore con il farfallino!”
Maria chiuse la telefonata ed allungò a Koji il suo biglietto.
La principessa di Fleed si sistemò il vestitino rosa, prese per mano il pilota del Goldrake 2 e lo guidò sorridendo nella sala dove le luci si stavano abbassando.
“E non rimanere lì impalato! La maratona su Candy Candy sta per iniziare!”


Per mandarmi una confezione magnum di Baci (lo sapevate che in origine la Perugina voleva chiamarli Cazzotti?): https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=300#lastpost

Edited by shooting_star - 14/2/2014, 09:38
 
Top
view post Posted on 27/2/2014, 15:53     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


Tutti noi abbiamo sperato in un finale di Goldrake diverso da quello che abbiamo visto; alcuni lo hanno raccontato. Ma se tutto è andato come previsto nell'anime, se Duke è riuscito a tornare su Fleed che cominciava a rinascere e lo ha fatto rivivere, che vita avrà avuto?
Questa storia è un tentativo di rispondere a questa domanda.
Attenzione: non è un racconto allegro...


RE

Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a rivedere i colori del tramonto sulla Terra. Quante volte si era immerso in quella luce del colore del fuoco come a cercarvi purificazione dopo la battaglia; quante volte aveva spinto il suo sguardo oltre le stelle che cominciavano a risplendere per cercarvi l’ombra del suo pianeta. Per tutta la sua breve permanenza sulla Terra non aveva mai smesso di sognare Fleed, la sua patria perduta.

Il palazzo reale sorgeva su una terrazza di roccia che si apriva sul mare. Ogni sera al calare del sole, per qualche minuto, la brezza scompigliava le onde che durante il giorno accarezzavano placide la costa; e se non era trattenuto da qualche impegno Duke cercava di non mancare l’appuntamento. Il mare sembrava attendere il momento in cui il sole scivolava via sulla distesa d’acqua per lasciarsi andare alla sua inquietudine: le onde spumeggiavano e ruggivano nella luce che si affievoliva, schizzando violente fino a raggiungere chi si trovava sull’alta balconata della reggia. Solo pochi istanti; poi i cavalloni si acquietavano e il contorno cristallino delle acque riprendeva il suo tranquillo andirivieni sulla pietra levigata.
Per anni c’era stata sua moglie accanto a lui; e, forse, nello spettacolo della furia che si celava sotto l’apparente serenità della natura era riuscita a cogliere quello che lui non era mai riuscito a dirle.
Leilani non c’era più da tempo, ma lui non aveva mai pensato di risposarsi. Il futuro della dinastia era assicurato, ed il suo cuore ora era occupato dai suoi figli e dai nipotini.
Era rimasto solo sulla terrazza; ma gli sembrava di sentire lo sguardo di sua moglie che seguiva l’infrangersi brutale del mare sulla roccia, e leggeva nel suo cuore ciò che lui nascondeva sotto la sua calma e la sua gentilezza. Non gli aveva mai chiesto degli anni trascorsi sulla Terra o della guerra su Fleed, e lui gliene era stato grato; quando l’aveva portata sulla terrazza nel fragore delle onde lei aveva capito, ed era bastato.
Aveva sempre saputo che lei l’avrebbe amato più di quanto lui avrebbe mai potuto fare; ma si era sforzato di essere un compagno affettuoso. Le aveva voluto molto bene, e quando lei se n’era andata aveva sentito la sua anima sfaldarsi. Eppure, se chiudeva gli occhi sulla terrazza di fronte al mare, rivedeva il rosso di un altro tramonto, da un’altra terrazza.

I giorni della ricostruzione di Fleed erano stati duri ed entusiasmanti; allora perché quando riandava a quel poco tempo trascorso sulla Terra aveva la sensazione che solo allora avesse veramente vissuto?

Erano stati anni difficili. La violenza dei combattimenti, l’apprensione per gli amici che con lui condividevano la lotta, la paura di non riuscire a portare a termine la sua missione. Ed il dolore al braccio, continuo ed implacabile, che in ogni momento gli ricordava che la morte sarebbe arrivata presto. La consapevolezza della fine imminente aveva accompagnato ogni suo giorno e influenzato ogni sua azione; gli aveva insegnato a dare valore ad ogni vita ed a considerare ogni attimo un dono prezioso, da non sprecare.
Non aveva mai creduto che sarebbe diventato vecchio.

Quando erano partiti aveva sperato che sarebbero potuti ritornare presto. Ma già al loro arrivo era stato chiaro che realizzare il compito che si era assunto sarebbe stato lungo e complesso: recuperare i profughi, organizzare i lavori, ricostituire alleanze ed equilibri destabilizzati dalla scomparsa dell’impero più potente della galassia… Era il suo dovere, ed a lui il lavoro e la fatica non avevano mai fatto paura. Si era impegnato con tutto sé stesso, ed i suoi sforzi erano stati ripagati.

Sua sorella gli era stata di grande aiuto: dopo un primo periodo di malinconia – lei non avrebbe mai ammesso di sentire la mancanza di Koji, ma Duke, che aveva l’impressione di rivedere Hikaru dovunque posasse gli occhi, sapeva che era così – la sua esuberanza aveva preso il sopravvento. Poiché il re non era sposato, la principessa gli era stata accanto negli incontri di stato, e la sua capacità di intuire i pensieri altrui, finalmente mediata da una maturità arrivata quasi all'improvviso, era spesso stata il suo asso nella manica. Le proposte di fidanzamento non erano mancate; ed il suo primo amore era stato non dimenticato, ma messo da parte, tra i ricordi più dolci di un tempo ormai finito.
Ora Maria era ancora la sua più fida collaboratrice, ed i suoi figli erano impegnati in continue missioni diplomatiche ai confini del regno: la pace, lo aveva imparato a sue spese, non può mai essere data per scontata. Era da tanto tempo che non parlavano più della Terra… chissà se lei qualche volta lei pensava ancora a Koji. Per lui era stato diverso.

Ogni sera, il suo ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi era sempre stato per lei.
Aveva ripreso i contatti con il Centro Ricerche Spaziali non appena i suoi scienziati erano riusciti a stabilire un canale di comunicazione intergalattico. All’inizio, a causa della distanza, la trasmissione dei dati richiedeva giorni: ciononostante la notizia aveva avuto grande risonanza, e quello del professor Umon era diventato un volto popolare, su Fleed come sulla Terra. Poi, la curiosità per un pianeta troppo lontano per essere raggiunto, inutile per i rapporti commerciali, era andata via via scemando. Solo gli scienziati mantenevano ancora i contatti.
Suo padre lo aveva tenuto aggiornato sui cambiamenti che la pace aveva portato al Centro Ricerche, trasformatosi in un centro di eccellenza a livello internazionale; i rapporti con la NASA si erano rinsaldati sempre di più, finché Koji non si era nuovamente trasferito negli Stati Uniti, questa volta in modo definitivo.

Hikaru… si era ripromesso che avrebbe ripreso i contatti con lei non appena la situazione si fosse normalizzata. L’aveva vista l’ultima volta ai piedi di Grendizer il giorno della sua partenza, e si era detto che le avrebbe parlato di nuovo presto, quando le avrebbe dato la buona notizia del suo ritorno. Ma la ricostruzione si era rivelata un impegno infinito, c’era sempre qualcosa di nuovo che richiedeva la sua attenzione: aveva sempre rimandato. Il desiderio di rivederla si era trasformato in angoscia: come poteva dirle che non era vero, che avrebbe dovuto aspettare tanto, troppo... I mesi, gli anni erano passati: Umon e Goro avevano smesso di chiedergli se voleva parlare con lei. Suo padre gli aveva detto che aveva smesso la sua collaborazione come pilota ed era tornata a lavorare a tempo pieno alla fattoria, mentre Goro aveva studiato ingegneria ed era entrato a far parte dello staff. Era l’unico della famiglia con cui Duke avesse ancora contatti, sempre più radi. Attraverso di lui aveva saputo della morte di Danbei e del trasferimento di Hikaru a Nagano dopo la vendita della fattoria.

Quando gli aveva detto che Hikaru si era fidanzata, il cuore gli si era fermato. Poi si era detto che era normale, era giusto, che non poteva pretendere che lo aspettasse; e quando aveva chiesto a Genzo ed a Goro di farle i suoi migliori auguri era stato sincero, Hikaru meritava tutta la felicità che lui non aveva saputo darle.
Ricordava bene il pianto disperato di quella notte... non per gelosia, o perché era stato dimenticato. Dal giorno in cui era giunto su Fleed, sapeva che quel momento sarebbe arrivato, e capiva ora che era quello il motivo per cui non aveva mai trovato il coraggio di rivedere Hikaru. Hikaru: l'unica per cui lui era sempre stato solo Daisuke... e quella notte Daisuke Umon era morto, ucciso dal re Duke. Il matrimonio aveva messo fine ai suoi progetti di ritorno sul pianeta meraviglioso che aveva considerato la sua patria, per la cui salvezza era stato pronto a combattere e a morire: e che ora, lo sapeva, non avrebbe rivisto, mai più. Aveva deciso di seguire i consigli di sua sorella e dei suoi ministri, e si era trovato una regina.

Era stato un matrimonio riuscito, basato sul rispetto e la stima se non sulla passione. Quando il re aveva annunciato le nozze con l’erede della detronizzata dinastia di Ruby gli abitanti di Fleed, ancora impegnati nella faticosa ricostruzione del pianeta, erano impazziti di gioia. Dopo tanto dolore, avevano bisogno di sognare: anche tra i cittadini comuni i matrimoni erano aumentati e, nonostante le condizioni di vita fossero ancora ben lontane da quelle che il pianeta aveva conosciuto negli ultimi anni di regno di suo padre, i bambini erano nati numerosi. L’arrivo di una bambina, e dei due maschietti, aveva cementato l’unione della coppia regale; così come quello del re e della regina, i nomi dei principini erano diventati molto popolari tra i nuovi nati su Fleed. Leilani non aveva mai chiesto cosa significassero per il re quei nomi così inusuali e spigolosi, ma solo perché non ce n’era bisogno.

Ogni volta che ripensava agli anni difficili della ricostruzione era sopraffatto dall’ammirazione per i suoi sudditi. Erano arrivati dalle colonie minerarie, dai campi di lavoro e dai pianeti carcerari di Vega dove erano stati deportati, convinti che non avrebbero mai più posto il piede su quella che era stata la loro patria. Avevano affrontato con coraggio l’impresa enorme di ripartire da nulla, da un ambiente inospitale, inaridito dalle piogge velenose ed ancora pesantemente inquinato, ed in poche decine di anni avevano trasformato il pianeta in un mondo fiorente. Lui stesso non aveva esitato a dare l’esempio, sporcandosi le mani nei lavori agricoli: il ricostituito manto verde aveva rapidamente migliorato la qualità dell’aria. Fleed era tornato ad essere un giardino rigoglioso. Poteva essere soddisfatto: il lavoro da fare era ancora molto, ma avrebbe passato a sua figlia il governo di un regno prospero e pacifico.

Tutte le sere Duke continuava a parlare con Hikaru, a raccontarle i suoi sogni ed i suoi dubbi. Lui, che aveva sempre fatto fatica ad esprimere i propri sentimenti, chiedeva consiglio a quella che nei suoi ricordi era sempre rimasta una ragazza con i capelli alla maschietta e che ora doveva essere già nonna; quella ragazza che non lo aveva mai chiamato Duke. In quei momenti non era più l’anziano e rispettato sovrano di Fleed: aveva di nuovo vent’anni ed un futuro incerto e luminoso davanti a sé.

Il mare era calmo adesso… il vecchio re chiuse la vetrata, infreddolito, e rientrò nei suoi appartamenti. L’ultima volta che aveva parlato con Goro, pochi mesi prima, aveva saputo della morte di Genzo, a quasi cent’anni. I terrestri erano più longevi dei fleediani…

Presto sua figlia avrebbe bussato alla porta per il consueto saluto serale. Già da tempo le aveva ceduto il suo posto negli incontri più impegnativi, ritagliandosi un semplice ruolo di rappresentanza. Il suo popolo lo amava, e lo accoglieva sempre con affetto, anche ora che non era più il bel principe che era tornato da un altro mondo per salvare il suo pianeta; anche se i suoi capelli erano bianchi e la schiena curva; anche se la memoria non era più quella di una volta, e si trovava sempre più spesso a vivere nel passato. Duke sorrise. Ne era certo, sua figlia sarebbe stata una buona regina.

Era stanco… si sedette sul letto, tendendo l’orecchio per cogliere i passi lungo il corridoio. Non voleva farsi trovare sdraiato, sua figlia stava diventando così apprensiva; ma finché non la sentiva arrivare…
Chiuse gli occhi per un attimo. Chissà dov’era Genzo adesso. Chissà se l’avrebbe mai rivisto, se avrebbe rivisto i suoi amici quando sarebbe stato il momento… un momento che attendeva con curiosità più che con timore.

Avrebbe rivisto Hikaru. Goro non gli aveva più parlato di lei, ma si immaginava una bella signora sorridente dalle spalle diritte, che giocava con i suoi nipotini. Dovevano avere la stessa età dei suoi… avrebbero potuto essere i suoi. Aveva avuto una vita piena, ricca di onori e soddisfazioni; ma non la vita che avrebbe desiderato, accanto a lei.

Era il momento del loro dialogo serale: e lei era sempre puntuale. Duke alzò la testa per salutarla. Gli stava venendo incontro ora… non era mai stata così bella. "Daisuke."
“Hikaru.”

“Eccomi, padre. Padre?”
Ma Duke non poteva più sentirla.


- FINE -


Per chi volesse commentare: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=315#lastpost

Edited by shooting_star - 9/2/2016, 15:01
 
Top
view post Posted on 3/12/2014, 09:31     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


Questo racconto è nato come risposta a una serie di domande che mi sono posta nello scrivere un'altra fan fiction, molto più lunga ed ancora - chissà per quanto - in gestazione, in cui nei ricordi di Duke fanno capolino episodi della sua vita su Fleed; ed anche dalle riflessioni e discussioni, su questo forum, sul rapporto tra Duke e le due donne che dal passato arrivano sulla Terra a risvegliare sentimenti ed emozioni contrastanti - Naida e Rubina.
Cosa è successo su Fleed prima che Vega attaccasse? Beh, niente di meglio che chiedere ai diretti interessati... ho inserito i personaggi nello scenario e li ho guardati interagire. Dovevano essere al massimo tre capitoli, poi la storia ha preso a lievitare come un blob... OK, vedo che sta lievitando anche l'introduzione. Basta così.

Il racconto si svolge su Fleed, nell'estate che precede lo scoppio della guerra.

ESTATE

1.

Stava per atterrare su Fleed, finalmente; finalmente, con buone notizie. La sua posizione nella classifica degli allievi ufficiali avrebbe riempito d'orgoglio suo padre, e sarebbe potuta essere migliore se i punteggi non fossero stati abbassati d'ufficio perché, a detta degli istruttori, i suoi poteri ESP lo avvantaggiavano nei confronti dei cadetti veghiani che ne erano privi... peccato che non avessero ragionato allo stesso modo nel valutare il vantaggio che la maggiore forza fisica assicurava ai veghiani nella gran parte delle attività operative.
Poco male, si disse attivando il cuscinetto d'aria che avrebbe attutito l'atterraggio nel piccolo spazioporto riservato ai mezzi di palazzo: era riuscito far mangiare la polvere anche al compagno di corso che tutti consideravano imbattibile nella lotta. I colpi vietati che quel bisonte aveva utilizzato, a più riprese, senza che l’arbitro fiatasse gli avevano impedito di riprendersi a sufficienza per superare l’incontro finale, con un allievo dell’ultimo anno: ma la soddisfazione di salire sul secondo gradino del podio, nel silenzio offeso dei veghiani, valeva tutti i lividi che a distanza di settimane ancora costellavano il suo corpo.
Era stata dura, ma era riuscito a mantenere la promessa fatta a suo padre: aveva dimostrato al di là di ogni dubbio di avere le capacità per comandare Grendizer. Il grande robot sarebbe andato a lui e non a un pilota di Vega. L'alleanza tra il suo pianeta e quello su cui aveva appena concluso il terzo anno di accademia militare sarebbe stata alla pari; e, forse, con la potenza sconfinata di quel prodigio tecnologico sarebbe riuscito ad impedire il degenerare delle mire espansionistiche dell'imperatore Yabarn il Grande.
I due mesi di vacanza sarebbero stati occupati, come tutti i periodi di interruzione dei corsi, dell'addestramento intensivo alla guida di Grendizer, e Duke sapeva bene che lo sforzo che gli sarebbe stato richiesto era almeno pari a quello che aveva compiuto per rendersi degno di pilotare il robot. Non avrebbe certo avuto il tempo di riposare... ma sarebbe stato tra amici; e, ad attenderlo alla porta del laboratorio dopo la sessione di allenamento, ci sarebbe stata Naida.
Duke sorrise: l'ultima volta che si erano visti, l’inverno prima su Morus, si erano lasciati con un bacio. Gli era vietato su Vega ricevere comunicazioni che non venissero dai suoi genitori, ed anche quelle venivano lette e probabilmente censurate: ma era certo che lei l'avesse aspettato. Ora l'avrebbe riabbracciata... buffo, l'anno scorso era sua madre che desiderava con tutte le forze rivedere.
Il portellone si sollevò scoprendo la cabina di pilotaggio. L’aria carica del profumo dei fiori estivi gli riempì i polmoni, liberandoli dalla miscela densa e filtrata dai depuratori che aveva dovuto respirare per troppi mesi. Alzò la visiera del casco, per riabbassarla subito dopo: la luce intensa del mattino, non schermata dalla coltre gassosa attraverso cui i suoi occhi erano ormai abituati a scrutare, quasi lo abbagliava. Inspirò ancora a fondo, sentendo il calore e la luce del suo pianeta pervaderlo di energia, di gioia, di vita.
Scavalcò il bordo dell’abitacolo, stupendosi quasi nel non sentire i tacchi dei suoi stivali battere contro il cemento grigiastro che ricopriva gran parte del terreno di Vega, ma affondare silenziosi nell'erba soffice dei giardini reali; e si girò verso la direzione da cui proveniva una vocetta familiare. Dalla porta del palazzo, la sua sorellina gli correva incontro attraverso il prato color smeraldo, seguita a breve distanza da sua madre, la regina di Fleed.
Era a casa.


Guardò suo figlio posare a terra il casco, prendere in braccio la bambina e farle fare una capriola.
“Se continui a crescere così in fretta la prossima volta non riuscirò a sollevarti!”
“La prossima volta dovrà aver imparato a comportarsi da principessa e non da maschiaccio...” Cos'era quella smorfia che per un istante aveva deformato il volto del ragazzo?
“Duke... tutto bene?”
“Non è niente”, le sorrise lui tranquillizzante. “Temo di aver esagerato con gli allenamenti.”
Era diventato abile ad aggirare i suoi poteri di intuizione… le era facile riconoscere una bugia, ma non quanto di non detto ci fosse in una mezza verità. Anche se Duke non stava mentendo, era sicura che le stesse nascondendo qualcosa: e quando questo succedeva, di solito era per non preoccuparla. In quei pochi anni aveva visto l’effetto che quella scuola di guerra, su quel pianeta senza luce, aveva avuto sul ragazzino sensibile ed allegro, sempre pronto ad appassionarsi, che suo figlio era stato. Il silenzio in cui si rinchiudeva se gli si chiedeva di Vega e dell’accademia militare diceva meglio di qualsiasi discorso quanto la vita che l’alleanza con Yabarn li aveva costretti ad imporgli fosse infelice. Ma Duke era figlio di suo padre… non l’avrebbe mai ammesso. Nulla gli avrebbe impedito di portare a termine quello che considerava il suo dovere: e tra i suoi doveri la felicità non era prevista.
“Ancora!”
Un altro volteggio, il frusciare della seta rosa nell'aria, e la bambina posò nuovamente i piedini a terra ridendo.
“Lascia stare tuo fratello, Maria, non vedi che è stanco?"
Gli occhioni guardarono da sotto in su imploranti, le manine scomparvero tra quelle ormai forti e nervose del ragazzo.
“L’ultima, poi basta.”
Maria fece sì con la testa, e tese le braccia felice per l’ultima giravolta; poi si mise tranquilla accanto a Duke. Come sempre, la bambina era più obbediente con il fratello che con lei.
“Ora fai la brava.”
Si raddrizzò sorridendo, guardandola in volto per la prima volta: era più alto di lei ormai. Le sembrò di cogliere un’ombra sul fondo di quegli occhi che le erano sempre stati trasparenti: come un muro eretto a proteggere la sua anima. A proteggerla, e nasconderla… È normale, sta diventando grande.
“Mamma.”
La abbracciò quasi esitando, poi la stretta divenne più forte, il viso ad affondarle nella spalla come quando era bambino e non voleva essere lasciato da solo al buio. “Mi siete mancati… mi siete mancati da morire.”
Perché le sembrava che la voce gli tremasse un po’ troppo? O forse era solo soffocata dall'abbraccio… un abbraccio che sembrava non voler finire. Gli accarezzò le spalle, forti come quelle dell'uomo che presto sarebbe stato.
“Anche tu ci sei mancato moltissimo.”
Non avrebbe avuto tempo di godersi suo figlio: il programma di allenamento al simulatore era già pronto, e gli avrebbe concesso ben pochi momenti di pausa. Ma almeno non sarebbe vissuta nella costante ansia che gli succedesse qualcosa… qualcosa che sicuramente gli era già successo. I fleediani non erano ben visti su Vega.
Quando Duke sollevò la testa il suo sguardo era quello di sempre, dolce e sicuro.
“Dov'è mio padre?”
“Videoconferenza con l’ambasciata di Vega.”
Un’ombra di delusione; poi una smorfia di disgusto, subito sciolta in un sorriso soddisfatto. Duke strizzò un occhio.
“Credo che sarà contento di me… ho dimostrato a quei bruti che se i fleediani non fanno la guerra non è perché non sono capaci, ma perché non vogliono vittorie troppo facili.”
“Cosa…”
Duke drizzò le spalle con orgoglio. “Sono tra i primi dieci allievi dell’accademia, mamma… tra i primi cinque, a dire il vero. Il primo del mio corso. Ho mantenuto la promessa.”
Ora che Duke aveva abbassato le difese, poteva percepire tutta la fatica e il dolore che quel risultato gli era costato, la rabbia che aveva dovuto ingoiare. Gli orrori cui aveva dovuto assistere… il suo sguardo si incupì per un attimo. Non lasciare che il tuo cuore si indurisca, Duke.
“Mamma? Non sei contenta?”
Il ronzio di un motore che si avvicinava… Duke si girò tendendo l’orecchio.
“Markus? Solo i dischi di Morus fanno quel rumore assurdo!”
Le strinse forte la mani un’ultima volta e corse in lunghi, agili balzi verso lo spazioporto. A metà strada si voltò.
“Quando ha finito con quelli, dì al re di Fleed che suo figlio ha mantenuto alto il nome del suo pianeta!”
Altri due passi, poi tornò a girarsi. Batté le mani sulle ginocchia ridendo.
“Allora, Maria, non vieni a salutare Markus? Il tuo…”
Non è il mio fidanzato!”, strillò la bambina; poi si staccò dalle gonne di sua madre e raggiunse di corsa il fratello, che la attendeva tendendole una mano.
“Coraggio, piccola. Andiamo a vedere se il re di Morus è riuscito a fargli tagliare i capelli.”


“Non è possibile!”
Re Vega girò le spalle al monitor su cui il generale Varg, direttore dell’Imperiale Accademia della Guerra, cercava di mantenere un’espressione neutra. Quando tornò a rivolgersi allo schermo, il suo volto era una maschera di rabbia, la sua voce un ringhio.
“Incapace! Mi avevate assicurato che avreste estromesso Duke Fleed dall'Accademia già l’anno scorso! Cosa potete dire a discolpa della vostra inettitudine?”
“Gli insegnanti hanno seguito le nostre istruzioni, maestà. Il soggetto è stato tenuto in condizioni di stress psicofisico estremo per tutta la durata della sua permanenza.”
Abbassò gli occhi sul suo visore e prese a enumerare. “Gli sono state affidate incombenze da cui i suoi compagni sono stati esplicitamente esonerati. È stato sottoposto a punizioni palesemente ingiuste. I compagni di corso sono stati incoraggiati a provocarlo e vessarlo, anche in presenza degli istruttori.”
“Generale Varg, devo ricordarvelo io che questo è il trattamento standard? Ci siamo passati tutti. Un guerriero deve saper affrontare privazioni e anche ingiustizie! Ah, ma dimenticavo, voi non siete un soldato. Avete fatto l’università, voi…”
Dietro gli occhi inespressivi di Varg scorrevano le pagine del dossier che aveva cominciato a preparare non appena era stato trasferito dalla Polizia Speciale all'Imperiale Accademia con lo scopo di scoprire i punti deboli di quell'allievo modello, rendendosi subito conto che si sarebbe rivelato una bruttissima gatta da pelare. Come no, Yabarn. Dubito che tu sia stato preso a bastonate la notte prima di vincere la gara di corsa. Che abbia dovuto imparare a sparare con la mano sinistra perché ti avevano schiacciato la destra in una porta. O che ti abbiano costretto a ripulire una camerata lurida invece di studiare per l’esame di fine anno. Per il fleediano, ogni prova era stata solo lo spunto per rafforzarsi: Re Vega aveva ragione, la strategia che avevano adottato era stata sbagliata. Continuò a leggere.
“Il soggetto è stato più volte costretto a ricorrere alle cure dell'infermeria; tuttavia, non ha mai denunciato i suoi aggressori. Ed ha continuato ad ottenere risultati eccellenti in tutte le discipline.”
Sollevò la testa dal foglio.
“Maestà, quello che noi potevamo fare era rendere difficile la vita al principe, e le garantisco che abbiamo fatto in modo che trascorresse tre anni d’inferno. Ma il sistema di valutazione è anonimo ed oggettivo, e non permette di modificare i risultati delle prestazioni. Il problema è…”
Il generale prese fiato: da quel momento dipendeva non solo la sua carriera, ma probabilmente anche la sua testa. Alzò gli occhi e li rivolse verso il sovrano con espressione insieme umile e risoluta.
“Il problema è che il principe di Fleed è un ottimo guerriero.”
L’ululato del sire di Vega fece vibrare gli amplificatori, mentre la voce del generale Varg continuava.
“Ma se se Vostra Maestà mi concede la sua fiducia, il mio suggerimento potrà volgere questa situazione incresciosa a nostro vantaggio.”
“Cosa intendete?” ruggì il sovrano.
Bene, non aveva ordinato alle guardie di trasferirlo nelle miniere di Akereb… Varg continuò il suo discorso senza muovere un muscolo del viso.
“So che l’accordo con Fleed prevedeva che qualora il principe non fosse stato in grado di superare i corsi, il diretto controllo del robot guerriero che i fleediani ci stanno costruendo sarebbe passato a noi.”
“Esatto. Solo se il moccioso fosse riuscito a diplomarsi con una valutazione d’eccellenza sarebbe stato lui a pilotarlo, all'interno dell’alleanza planetaria. Un’eventualità tanto inconcepibile da non essere presa in considerazione. Ed ora mi dite che…”
“Il giovane Fleed ha ricevuto un’istruzione militare di prim'ordine ed ha mostrato attitudine, prontezza, e, sono costretto ad ammettere, un notevole coraggio. Se Vostra Maestà lo desidera, posso trasmettere il suo fascicolo così che possa verificarlo con i propri occhi.” Varg si interruppe: il sovrano stava seguendolo con attenzione, cercando di capire dove volesse andare a parare. Sollevò lievemente le sopracciglia, la voce assunse un tono insinuante.
“Sarebbe un peccato che tali doti andassero sprecate o, peggio, venissero rivolte contro di noi. E sarebbe assurdo che il nostro esercito non facesse uso di un simile elemento.”
Il Grande Vega ghignò canzonatorio. “I fleediani sono contrari alla guerra. Sono pacifici, loro. Che ce ne facciamo noi, generale, di un guerriero che combatte solo per difendersi?”
“Possiamo costringerlo ad attaccare, Maestà. Costringerlo a diventare uno di noi.”
“Generale Varg, sono stanco di sentirmi prendere in giro. Un fleediano è un fleediano. Venite al punto, oppure…”
“Certamente, Maestà. C’è chi sostiene che Duke Fleed sia uno dei principi più attraenti della galassia, e ad ora non mi risulta che sia stato annunciato un suo fidanzamento ufficiale.”
Il generale abbassò lo sguardo e tacque, attendendo che il suo sovrano traesse le conclusioni dal suo ragionamento. Ci mise appena meno di quello che si aspettava.
“Mia figlia… voi volete offrirgli in sposa mia figlia?”
Spiazzato, Yabarn esitò per un istante, poi sbottò.
“Mia figlia con un fleediano? La casa di Vega imparentata con una pappamolla? Uno smidollato senza spina dorsale? Siete impazzito?”
“Il fascicolo del principe dice altrimenti, Maestà…”
Lo sguardo fiammeggiante dell’imperatore non ammetteva repliche. Varg aggiustò prontamente il tiro.
“...ma non è questo il punto. Con il matrimonio, il robot da guerra entrerà a far parte dei nostri armamenti. Il principe sarà tenuto a combattere per noi e potrebbe magari rivelarsi un utile acquisto…”
“Storie!” No, Yabarn non sarebbe mai stato d’accordo. Peggio per lui. Il generale Varg parlò in fretta: era la sua ultima possibilità.
“E se non lo fosse, potrebbe sempre succedergli qualcosa di irreparabile.”

“Maestà”, una guardia di palazzo scattò sull'attenti in attesa che il sire gli concedesse la parola.
“Ti pare il momento di disturbare, idiota?”
Senza scomporsi, la guardia abbozzò un inchino.
“Maestà, il re di Fleed in videoconferenza tramite l’ambasciata. Come Vostra Maestà aveva richiesto.”
Vedere il rapporto dell’Accademia sul giovane Duke lo aveva mandato fuori dai gangheri… avrebbe fatto meglio ad essere meno impulsivo, ed aspettare a richiedere quell'abboccamento. Beh, ormai i giochi erano fatti, e spesso sul campo di battaglia l’istinto si era rivelato la sua arma migliore. Forse quel Varg aveva ragione, una soluzione c’era.
“Generale, rimarrete in collegamento audio.”
Il Grande Vega fece del suo meglio per assumere un’espressione bonariamente amichevole e premette il pulsante di connessione.


Da sotto il casco di Markus una massa voluminosa di riccioli chiari si allargò a circondargli il viso. Duke batté la mano contro quella dell’amico.
“Allora ci sei riuscito! Hai passato il test per l’Istituto di Volo Interspaziale! Al primo colpo!”
Markus rise, schermendosi.
“Cosa non si fa per evitare le forbici… mio padre era furibondo. Credo che telefonerà al direttore per imporgli di cambiare il codice di abbigliamento.”
“Tuo padre non sta nella pelle dall'orgoglio, ne sono sicuro. Il corso più selettivo sulla tecnologia di volo… quel test è tremendo, lo sai meglio di me che c'è chi lo ritenta per anni. E visto che sarai su Fleed, dubito che il re potrà costringerti a cambiare acconciatura.”
“Peccato che tu sia da un’altra parte.”
Duke si rabbuiò per un attimo. “Lo sai che non dipende da me.”
“No… e comunque quando uscirò di lì il robot che progetterò io farà sembrare il tuo Grendizer un modellino per bambini!”
“A volte vorrei che lo fosse.”
“Da grande avrò anch'io un robot più grande di Grendizer!” strillò Maria cercando di unirsi alla conversazione.
“Certo piccola”, disse Markus abbassandosi sulle ginocchia, “te lo faccio io. Promesso.”
Alzò lo sguardo verso Duke che, in piedi, guardava verso il palazzo reale: il grande robot era in costruzione nell'officina sotto l’ala nord. “Naida?”
“Naida è andata al lago con Sirius”, rispose pronta Maria, felice di dire qualcosa che i grandi non sapevano. “È arrivata ieri sera.”
Naida. Duke provò un tuffo al cuore, chiedendosi come mai non avesse osato chiedere alla madre se la ragazza fosse già a palazzo reale, dove trascorreva le estati fin da quando era bambina. Era certo che la regina aveva capito da tempo le sue intenzioni, e che in cuor suo le approvasse.
“Vieni a salutare mia madre, poi andiamo a raggiungerla.”
“E... ? Ti sei deciso allora?”
“Oggi stesso. Subito… sperando che mi abbia aspettato. E che se la senta di aspettare ancora… ho ancora un anno da passare su Vega.”
Si incamminarono verso il portale, dove la regina stava dando istruzioni al giardiniere sulla decorazione della sala per la festa di inizio stagione.
“D’accordo, avrai bisogno di tempo allora. Ai due birbanti ci penserò io.” Markus fece l’occhiolino. “Allora Maria, andiamo al lago dal tuo fidanzato?”
“Sirius non è il mio fidanzato!” protestò lei.



Continua per altri 9 capitoli... per chi volesse commentare: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=360#lastpost

Edited by shooting_star - 3/12/2014, 15:59
 
Top
view post Posted on 5/12/2014, 15:02     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


2.

“Non capisco. Ha insistito tanto per comunicare direttamente con me e poi si è limitato a farmi i complimenti per gli ottimi risultati di Duke. Mi ha detto che quando se ne presenterà la necessità sarà un onore per lui averlo al suo fianco su Grendizer.”
“E tu?”
“Ho ringraziato… ma ho aggiunto che mi auguro che tale eventualità non si verifichi, che il nostro pianeta preferisce altri mezzi di risoluzione dei conflitti.”
Lenia inclinò la testa di lato. “Avrei voluto vedere la sua faccia, Alcaesar. Vega non ha mai accettato che le parole prendano il sopravvento sulle armi.”
“Ed è questo che mi preoccupa… invece ha mantenuto lo stesso sorriso stampato sulla faccia per tutto il tempo. Lo sai che non mi sarei messo in questa alleanza se non fossi stato costretto. Che non avrei voluto coinvolgere Duke…”
La regina di Fleed pensò al muro che suo figlio aveva eretto per impedire alla sua anima di franare.
“Lo so.”
Esitò un istante: sapeva che per suo marito questo era un argomento difficile. “É stanchissimo. E già domani dovrà riprendere quell’addestramento…” sospirò. “Spero che alla festa riuscirà a rilassarsi, è così cambiato.”
“Sta crescendo.”
“Sta male, Alcaesar. Lui ti adora… dovresti cercare di essergli vicino, di parlargli.”
Non riusciva a vedere tutta quell’adorazione di cui Lenia sembrava convinta… ogni volta che cercava di interessarsi a lui, il ragazzo sembrava non voler spingersi più in là dei monosillabi. “Di cosa?”
“Ha accettato di trasferirsi su Vega per te, perché tu gli hai insegnato che Fleed viene prima di tutto, anche di sé stesso. Hai idea di quanto possa essere stata dura per lui laggiù?”
“Solo chi non la conosce può credere che la vita di chi ha la responsabilità di un popolo sia facile.”
“Certo, ma lui è solo un ragazzo. Se tu gli facessi sentire che sei orgoglioso di lui… che ti preoccupi per lui. L’hai messo nelle mani di quel…” Lenia non riuscì a trovare parole migliori delle prime che le erano venute in mente. “...di quel dittatore sanguinario. Se capisse perché è stato necessario forse…”
“Capirà, a suo tempo. É solo un ragazzo, l’hai detto tu.”
“Ma Alcaesar…”
“Capirà anche troppo… non è meglio che viva questi giorni sereno? Se penso a com’ero io alla sua età… a quello che immaginavo...”
Alcaesar distolse gli occhi da quelli della moglie e le prese una mano.
“Ho paura che accettare il trattato non sia stato sufficiente. Che Vega non si accontenterà di un’alleanza sulla carta, della possibilità di usare Grendizer come deterrente. Quel sorriso, Lenia… quel sorriso era più spaventoso di una minaccia.”
“Al ricevimento verranno ospiti dai principali pianeti della nebulosa. Potrebbe essere l’occasione per tastare il terreno.”
Il re di Fleed tese un braccio per abbracciare la moglie.
“So che tu mi starai vicino. E che starai vicino anche a nostro figlio.”
Nostro figlio.
Era vero, Duke era figlio suo quanto Maria Grace, e lui l’aveva sempre considerata sua madre, il suo punto di riferimento quando il padre, come spesso accadeva, era impegnato e distante. Eppure era Alcaesar il suo modello… avrebbe fatto qualsiasi cosa per un suo cenno di approvazione.
“Credo sia meglio che ora mi consulti con il primo ministro. Dì a Duke che lo incontrerò alla cena ufficiale.”
Ha rinunciato ai suoi sogni per te… e tu non sei riuscito a trovare un minuto per salutarlo.
Lenia chinò la testa in segno di saluto e lasciò la stanza.

Alcaesar guardò la regina allontanarsi lungo il corridoio con il passo leggero che l’aveva incantato la prima volta che l’aveva vista. Si prese la testa tra le mani. Suo figlio non aveva avuto l’adolescenza felice e spensierata che avrebbe voluto dargli; e, ormai ne era certo, anche quel periodo di relativa tranquillità sarebbe terminato presto.
“Vostro figlio si è fatto grande onore, ve lo invidio. Purtroppo io non ho che una figlia femmina, e non potrò mai provare lo stesso orgoglio che voi state provando in questo momento.”
Non poteva esistere un modo di pensare più diverso dal suo di quello di Vega… su Fleed la guerra e la violenza erano indice di debolezza, non certo motivo di orgoglio. Ma forse la vita militare, forse proprio perché era così contraria alla sua indole, avrebbe dato a Duke quella capacità di affrontare le avversità che in quel momento lui sentiva sempre più venirgli meno. Sì, suo figlio era stato fortunato, col tempo se ne sarebbe reso conto. Ecco cosa gli avrebbe detto quella sera.
“Maestà, posso permettermi?”
Il primo ministro era sull’ingresso: gli fece cenno di entrare.



“Via, questo.”
La tuta grigia e arancio dei cadetti veghiani scivolò a terra, subito sostituita da un leggero chitone rosso allacciato sulla spalla destra.
“E quello come te lo sei fatto?”
A malapena nascosti dal lembo di stoffa che scendeva dalla fibula d’oro, tre profondi graffi spiccavano sul bianco della pelle di Duke.
“Me l’avevano detto che su Vega anche le ragazze giocano pesante”, rise Markus.
“Già. L’arbitro ha deciso che, poiché un terzo degli abitanti di Vega hanno artigli anziché unghie, la presa non poteva essere ritenuta irregolare… non la smetteva di sanguinare, mi hanno costretto a interrompere l’incontro. Ma è meno brutta di quello che sembra.”
Duke risistemò il drappeggio cercando di coprire la ferita.
“Dici che si nota molto? Pensavo di non fare il bagno…”
“Lei se ne accorgerà, e noterà anche quei lividi. Spero che si beva la storia dell’incontro di lotta…”
Un lampo risentito negli occhi blu cancellò l’ilarità dal viso di Markus. Duke doveva essersela vista davvero male per prendersela tanto.
“Mi auguro che tu gli abbia reso il servizio.”
“Beh, se uno ha la pelle blu scuro i lividi si notano di meno, ma fanno male ugualmente. Il bestione ha camminato storto per un po’.”
“Se tu non fossi così malconcio ti sfiderei io… hai messo su un po’ di muscoli, finalmente. Naida non mancherà di apprezzare… Duke? Ci sei? O sei ancora su Vega?”
“Mmmm.”
Davanti allo specchio della sua camera, Duke continuava ad aggiustarsi il chitone e i calzari. Impossibile nascondere i segni meglio di così… proprio quel giorno dovevano andare al lago?
“Smettila di preoccuparti. Le ragazze vanno matte per le cicatrici.”
“E tu come…”
“Esperienza, amico mio. Non ho passato sei mesi su un pianeta dove la più bella ha la faccia verde e le orecchie più grandi della faccia…”
“Piantala di dire stupidaggini e cambiati, che andiamo.”
“Stupidaggini? Vuoi dire che su Vega c’è una più bella di Naida? Parto subito.”
“Nessuna è più bella di Naida… su Vega e su Fleed.”
La mattinata stava ormai per finire. Ci sarebbe voluta una passeggiata di mezz’ora per arrivare alla loro spiaggia sul lago, quella su cui giocavano da bambini, e dove oggi… chissà. Di certo, niente sarebbe più stato come prima. Quella mezz’ora sarebbe stata la più lunga della sua vita… e Markus continuava a cincischiare.
Duke si diresse verso la porta sentendo lo stomaco contrarsi.
“E muoviti!”


“Ottima tattica, Maestà, quella di procrastinare. La proposta di fidanzamento deve essere preparata con ogni cura, per far sì che Fleed non possa rifiutarla.”
“A dire il vero, se non ho offerto la mano di mia figlia a quel fleediano è solo perché non mi avete ancora convinto che la vostra idea sia valida. Ci dev’essere un altro modo per prenderci Grendizer… maledizione, ormai l’armamento è quasi ultimato. Non possiamo lasciarlo in mano a quei…” cercò per un istante l’ingiuria più adatta e la sputò con disgusto. “Quei pacifisti.”
“Un fidanzamento non è un matrimonio, Sire, non pregiudicherà eventuali soluzioni alternative. Ma per realizzare questa sarà necessario muoversi con rapidità… la festa per l’inizio della stagione è molto vicina, se ben ricordo.”
“Quella stupida festa. Uno spreco di risorse spaventoso, solo per permettere alla regina di sfoggiare il suo giardino.” Alla natura, su Fleed, si attribuiva un valore del tutto spropositato. Yabarn ridacchiò, seguendo il filo dei suoi pensieri: di certo la non più giovane Lenia era ancora una donna piacente.
“Evidentemente non ha di meglio da fare che potare rose… con un vero uomo al suo fianco avrebbe altro a cui pensare.”
Il generale Varg fu rapido nel riportare il discorso sui binari che aveva previsto. “Mi permetto di osservare, Maestà, che al ricevimento saranno presenti i rappresentanti di tutta la galassia. Forse potrebbe essere opportuno che quest’anno anche il pianeta Vega accettasse l’invito.”


“Sirius! Sirius! Dove sei finito?”
Quand’era l’ultima volta che l’aveva visto? Naida posò sulla tovaglia le larghe foglie che avrebbero fatto da piatti e le fermò con un sasso. Quando il fratellino aveva cominciato a prenderla in giro per le sue stramberie da femmina (“il pesce si mangia con le mani!”) lei l’aveva invitato ad andarsene a giocare da un’altra parte: ma non nel lago, lui lo sapeva bene. Ed ora…
Il piccolo chitone tortora gettato sul prato, i calzari poco più in là.
“Sirius!” La ragazza sollevò i lembi della lunga gonna ed entrò cautamente in acqua. Questa gliel’avrebbe pagata...
Un piede in fallo, qualcosa che le si avvinghiava alla caviglia: fece appena in tempo a ricordarsi di trattenere il fiato prima di scivolare all’indietro in un turbinare di bollicine.
Sirius riemerse qualche metro più in là.
“Ci sei cascata!”
Naida si rialzò scivolando sui sassi viscidi che ricoprivano il fondale, impacciata dalla stoffa azzurra che le si incollava alle gambe.
“Quando esci facciamo i conti!”
Era completamente fradicia, i capelli in faccia, la coroncina di fiori che aveva sistemato in testa galleggiava poco più in là, spezzata in due parti… Quella piccola peste le aveva rovinato tutto! Se pensava alla cura con cui aveva programmato ogni dettaglio perché la giornata fosse perfetta, le veniva da piangere.
Tornò ad abbassarsi, immerse la testa all’indietro in modo che l’acqua le ravviasse i capelli. Le alghe le si erano infilate nella scollatura… ecco, era orribile: ed era così che lui l’avrebbe vista. Tolse un ramoscello dai capelli e li torse per strizzarne via l’acqua.


Il sole ormai alto faceva brillare la superficie del lago. Duke camminava veloce per il sentiero spostando le fronde che pendevano lungo il passaggio con un gesto nervoso della mano: si era ripetuto il discorso decine di volte, e ogni volta gli sembrava meno convincente. Come poteva pretendere che lei si legasse a qualcuno che non aveva tempo da dedicarle e non ne avrebbe avuto ancora per anni… Naida conosceva bene la vita di corte, e proprio per questo sapeva che non era facile sottostare agli obblighi e all’etichetta che imponeva; e che la regina, pur molto amata dal sovrano, trascorreva gran parte delle sue giornate da sola.
Se avesse rifiutato l’avrebbe capita, certo… a ogni passo che l’avvicinava a lei, la paura del fallimento diventava certezza, e la voglia di tornarsene indietro per evitare di essere respinto aumentava. Se non fosse stato per Markus, che continuava a sorbirsi il cinguettio incessante di Maria pochi metri dietro di lui, avrebbe già ripreso la strada di casa. Ancora una curva, poi un’altra… dopo quella siepe sarebbero stati in vista della riva.
Sfiorò i rami odorosi sprigionando il ricordo di giornate estive che sembravano non finire mai e di sere trascorse, la schiena sulla sabbia ancora calda di sole, a immaginare quali mondi si celassero oltre le stelle…

Ecco, era là.
Ne distingueva il profilo in controluce: era seduta sulla grande roccia affacciata sul lago, intenta a pettinarsi i capelli che brillavano al sole di riflessi metallici. Una miriade di goccioline d’acqua scintillava sulla pelle vestendola di luce dorata.
Si sentì mancare il fiato… era così bella. Ora le avrebbe detto quello che doveva dirle, e poi si sarebbe finalmente reso conto che era impossibile, che per tutti quei mesi non aveva fatto che illudersi; e che pure era stato fortunato… tra poco non avrebbe più avuto nemmeno la speranza.
Si girò verso Markus, come a chiedergli conferma, e quello gli fece distrattamente cenno di andare avanti, che lui aveva da fare con Maria. Non aveva senso attendere… Duke si sistemò per l’ultima volta il drappeggio sulla spalla, tolse i calzari e corse verso il suo destino affondando i piedi nudi nella sabbia morbida.

Avvisata dallo scalpiccio, Naida si girò per un istante e con un gesto fulmineo si gettò in acqua, fuggendo verso l’isolotto che era stata la loro palestra di tuffi.
“Duke Fleed, non avvicinarti… e lo stesso vale per il tuo amico!”
Una leggera veste azzurra era stesa sulla roccia ad asciugare: Duke si fermò, turbato. Si conoscevano fin da piccoli, avevano sguazzato nudi in quell’acqua giornate intere ed ora lei sembrava vergognarsi… non importava, non poteva rimandare ancora: sarebbe rimasto a distanza, ma le avrebbe parlato. E se si fosse immerso, lei non avrebbe potuto vedere i lividi, e neanche quel maledetto sfregio. Si sfilò il chitone e si tuffò nell’acqua turchese.

“Markus, posso fare il bagno anch’io?”
“Aspetta Maria… da quanto tempo hai fatto colazione? Guarda che bello, Naida ha già preparato tutto… andiamo a prendere dei fiori?”
“Va bene”, acconsentì la bambina. “Ma dov’è Sirius?”
Le voci si stavano allontanando… pieno di gratitudine, Duke riemerse, tenendosi cauto a galla a diverse bracciate da Naida.
“Davvero vuoi che resti lontano?”
“Quel disgraziato di Sirius… mi ha fatto cadere in acqua e mi ha rovinato il vestito. Potrebbe saltar fuori da un momento all’altro.”
“Allora devo fare in fretta.”
Battendo adagio le gambe, Duke si avvicinò a Naida che era immersa fino alle spalle, i capelli a velarle la pelle diafana come un manto di oro verde. Ormai sarebbe bastato tendere una mano per sfiorarla… e lei non accennava a spostarsi. Prese coraggio e raggiunse l’isolotto, appoggiando la schiena sulla parete di roccia liscia.
“Qui si tocca.”
“Sì.”
Come aveva temuto: Naida taceva, e lui di colpo non si ricordava più niente di quello che si era preparato. La guardò con un misto di delizia e terrore: gli sorrideva… o stava ridendo di lui?
“Fare in fretta cosa?”
“Devo parlarti… devo chiederti”, si affannò.
Era evidente, stava ridendo. Accidenti, erano soli, la persona con cui avrebbe voluto passare ogni istante della sua vita era accanto a lui, nuda… e si sentiva paralizzato. Mandare al tappeto un energumeno veghiano era più semplice, e più piacevole.
“Dimmi.”
“Volevo… se hai pensato a quello che ci siamo detti l’ultima volta che ci siamo visti…”
“Sì.”
“Lo so che è presto, che non posso chiederti di decidere ora, che non sarà facile… che se dirai di no avrai ragione…” le parole gli uscirono di bocca in un flusso rapido e monocorde, mentre il rombo del sangue che gli pulsava alle tempie gli impediva di sentirne il suono. Vai avanti, si disse. Presto quella situazione incresciosa sarebbe finita…
“...ma se tu volessi…”
Wooosh.
Un violento scroscio d’acqua interruppe pietoso quella scena miserevole; quando, asciugandosi gli occhi, Duke provò a capire che cosa era successo, Sirius gli spuntò davanti spruzzando acqua dalla bocca.
“Ciao Duke! Hai visto che ho imparato a tuffarmi dallo scoglio più alto?” E senza neanche aspettare risposta ripartì mandando schizzi in tutte le direzioni. Il riso di Naida risuonava limpido come l’infrangersi di un cristallo...

Si guardò intorno come chi si è appena svegliato da un incubo. Lei si era allontanata appena in tempo: di sicuro aveva visto il fratellino che si preparava a saltare, e non aveva detto niente. Non ce n'era stato bisogno... una risposta chiarissima.
In silenzio, Duke si staccò dalla roccia e si preparò a ritornare a riva. Aveva aspettato tutti quei mesi per nulla: del resto era giusto così, lo aveva sempre saputo, no? Scivolò piano in avanti con la testa sott’acqua, trattenendo insieme il fiato e le lacrime. Aveva atteso quell’estate come nessun’altra, aggrappato a quella speranza, l’unica cosa che gli aveva dato la forza di andare avanti in quell’anno infernale… e quello successivo sarebbe stato anche più duro, e senza alcuna luce ad illuminarne gli abissi. Due colpi decisi di gamba lo portarono in profondità.
Poteva porre fine a tutto quel dolore. Poco più sotto c’era una piccola grotta sommersa, gli sarebbe bastato infilarsi là dentro, proseguire finché non fosse stato troppo tardi per uscire a riprendere aria.
L’acqua fredda e scura gli diede un brivido; ignorò le orecchie che gli fischiavano. Ecco, ormai l’imboccatura del cunicolo era vicina. Solo un piccolo sforzo… non sarebbe stata che una liberazione, ora che la sua vita aveva perso anche quel poco senso che aveva. L’apnea cominciava ad annebbiargli la vista, le braccia erano pesanti...
Sua madre. Maria. Suo padre. Grendizer… Non poteva. Non poteva decidere per sé… non poteva più.
Alzò gli occhi verso il sole che filtrava lontano attraverso il verde cupo dell’acqua. Doveva risalire in tempo: doveva… battè convulsamente le gambe finché la luce non sembrò accecarlo. Riemerse con un grido, gli occhi che bruciavano, i polmoni che sembravano scoppiargli. Con poche bracciate si riportò vicino alla riva, galleggiando supino per riprendere fiato. Nessuno se n’era accorto...
“Sì.”
La carezza dei lunghi capelli verdi e poi del suo corpo.
“Sì. Ho deciso, Duke.”
Le sue braccia morbide lo cinsero a pelo d’acqua, le sue labbra lo cercarono.
“Non sono mai stata così sicura di qualcosa… se tu lo vuoi ancora.”
L’abbracciò, rotolando dolcemente nell’acqua bassa che lavava via le lacrime e la disperazione, sentendo la pelle di lei scivolare lieve sulla sua, chiedendosi cosa avesse fatto per meritarsi una tale felicità.


"Ma padre, un fleediano?"
La principessa Rubina si attaccò all'ultima frase di quell'assurdo discorso che il suo padre, e suo re, aveva appena finito di farle, per manifestare il suo sconcerto. Il suo debutto in società era previsto solo per l'anno successivo; era sicuramente troppo giovane per essere considerata in età da marito… ma in fondo si trattava solo di anticipare quello cui sapeva essere destinata. Però, con un fleediano?
Certo, il principe Duke passava per essere il più bel partito della nebulosa. Sapeva che frequentava l'Accademia su Vega, ma non l'aveva mai incontrato di persona: a lei uscire dal palazzo reale era precluso, e suo padre non aveva mai degnato il pur nobilissimo ospite di un invito a corte. Il motivo era ovvio: il disprezzo di Vega per quella stirpe di imbelli, lo stesso disprezzo che aveva portato l'imperatore a nascondere che anche la sua prima moglie, madre di sua figlia e probabilmente l'unica donna che avesse mai amato, era per un quarto di origini fleediane.
Era a quelle poche gocce di sangue, probabilmente, che doveva la pelle candida e i tratti delicati... ma non il carattere, rifletté. Vega era la sua patria, e se anche era in disaccordo con suo padre, avrebbe obbedito al suo re.
"Non c'è bisogno che te innamori, anzi. È lui che dovrà innamorarsi di te. Chiaro?"
La principessa chinò il capo.
"Sì, padre."


Dal giardino interno proveniva la voce di Naida che cantava accompagnata dalla sua arpa e dalla chitarra di Duke, mentre i bambini, cui si era unito il nipotino del giardiniere, giocavano rumorosi nel viola placido del tramonto.
“Avevi ragione. Dopo cena ho parlato con Duke. Mi è sembrato più maturo… più sereno. Penso che chiarirsi abbia fatto bene a tutti e due.”
“Sì.”
Affacciata al balcone dell’appartamento reale, Lenia vedeva nel cuore dei suoi ragazzi e sentiva la gioia di Duke, l’invidia affettuosa di Markus, l’eccitazione di Maria… improvviso, un presentimento le attraversò il cuore come una pugnalata.
Sta per finire, Alcaesar. Non ci sarà un’altra estate su Fleed.


- continua - il thread per i commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=375#lastpost



 
Top
view post Posted on 7/12/2014, 17:58     +1   -1
Avatar

Comm.Grand.Pres. della Girella

Group:
Super Mod
Posts:
5,792
Reputation:
+325
Location:
lost in the stars

Status:


3.

La luce filtrava attraverso i tendaggi pesanti. Impossibile continuare a dormire… non che ci fosse riuscito molto quella notte. Pensare che Naida riposava poche porte più in là, immaginare il suo petto alzarsi ed abbassarsi, la sua gola candida, le sue labbra schiuse nell'abbandono del sonno… chissà se anche lei l’aveva sognato. Per tutta la notte aveva ripensato a quella giornata trascorsa insieme, e a quelle che sarebbero venute. Ripartire per Vega sarebbe stato durissimo, ma sapere che lei l’avrebbe aspettato gli avrebbe fatto affrontare quell'ultimo anno con il sorriso sulle labbra.
Duke aprì le tende, lasciando che il mattino invadesse fresco la camera. Neanche una nuvola a sfumare di bianco il blu del cielo: la giornata si annunciava serena e luminosa come sempre in estate su Fleed… e come su Vega non succedeva ormai da decenni. Era proprio la luce ciò di cui aveva sentito maggiormente la mancanza laggiù: e quella mattina avrebbe dovuto riprendere l’addestramento, trascorrere ore al chiuso della sala prove del laboratorio, mentre quel sole meraviglioso brillava nei prati e scaldava le acque del lago. Ma ci sarebbe stato un altro sole a illuminare la sua giornata…

“Duke? Ma non ci credo, hai dormito qui?”
Una testa di ricci spettinati spuntava dalla porta.
“Buongiorno anche a te, Markus”, rise Duke. “Dormito… non esattamente.”
Sognato. Sognato ad occhi aperti. Per una notte non aveva pensato neanche un attimo a quella maledetta accademia militare. Grazie, Naida.
“Allora sei andato da lei? Com'è andata?”
Duke scosse la testa sorridendo.
“Ho visto come vi siete baciati prima di lasciarvi…” Markus entrò, scalzo e stupefatto, nella sala. “Vuoi dirmi che non c’è stato altro?”
“Non voglio correre, Markus.”
L’espressione di Duke si fece seria per un istante. “Ho avuto anche troppe cose brutte da affrontare ogni giorno… poi arriva questa meraviglia. Voglio assaporarne ogni attimo.”
Gli occhi cobalto brillarono. “Sarà bellissimo andare in camera sua ed augurarle il buongiorno.”
“Santo cielo Duke… ma sei proprio innamorato.”



Si conoscevano da sempre, avevano giocato, nuotato e fatto la lotta su quella stessa spiaggia un’infinità di volte. Eppure ieri aveva avuto quasi paura di toccare la sua pelle, di sentire come la morbidezza infantile avesse lasciato posto alla forza, a quell'abbraccio sicuro in cui l’aveva sollevata per portarla fuori dall'acqua. Tutti quei lividi, quella ferita sulla schiena… avrebbe voluto far sparire il dolore con i suoi baci. Sorrise al pensiero di come Duke se ne vergognasse, a come sembrasse non rendersi conto di quanto era bello.
Naida chiuse gli occhi per rivederlo, trepidante e incredulo, felice per una volta, tanto da ridere agli stupidi scherzi che suo fratello aveva continuato a fare per tutto il pomeriggio… chissà se sotto c’era anche lo zampino del principe di Morus. Meglio, si disse. Se c’era qualcosa di cui Duke aveva un disperato bisogno era un po’ di leggerezza.
A lei sarebbe bastato sapere che lui era il suo ragazzo… ma no, lui era il principe ereditario, la sua era stata una proposta di matrimonio in piena regola.
“Lo annunceremo al ricevimento di inizio stagione. I miei genitori non potranno che esserne felici.”
“Ma Duke, vuoi dire che…”

“Sarai la mia regina, Naida. E tutti i fleediani ti adoreranno.”
Regina. Un ruolo che la spaventava, ed era per quello che ci aveva messo tanto tempo a decidersi.
“La fai facile, tu. È da quando sei nato che sai che diventerai il re di Fleed. Ma io…”
“Ci sono tante cose che voglio fare. Svecchierò l’etichetta, aprirò la reggia al popolo. Ma non potrò farlo da solo. Ho bisogno di te.”

Sempre che i sovrani fossero d’accordo: era il re a dover decidere della discendenza della stirpe reale, e Duke era tenuto ad accettare un suo veto, lo sapevano entrambi. La sua fretta dipendeva anche dal pericolo che i suoi genitori gli trovassero una fidanzata tra le principesse dei pianeti alleati…
Si mise a sedere sul letto, pettinandosi i capelli con le dita. Non era quello il momento di preoccuparsi del loro futuro: a lei interessava il presente. Duke si sarebbe alzato presto per iniziare l’addestramento e se non si fosse sbrigata non avrebbe potuto rivederlo fino al pomeriggio inoltrato. Doveva smetterla di sognare e cominciare a prepararsi.


Il suo appartamento dava sulla balconata che cingeva il vasto cortile interno: sulla balaustra e sparsi davanti alla porta, fiori colti dal giardino, ancora freschi di rugiada, ed un biglietto.
“L’orario degli allenamenti è stato anticipato, spero che terminerà prima. Ti raggiungo appena finisco. Ti auguro una giornata felice.”
Uno scarabocchio cancellava alcune lettere, come se l’autore avesse ripensato più volte a cosa scrivere, per poi decidersi sulla chiusa più semplice e impegnativa.
“Ti amo. Duke.”
Avrebbe dovuto abituarsi a star sola… accarezzò con il polpastrello quelle tre parole.
“Ti amo anch'io.”


Non gli avevano lasciato neanche il tempo di salutare Naida… Duke entrò nel laboratorio cercando di dissimulare la sua irritazione. Non avrebbe lasciato che il malumore prendesse il sopravvento, non quel giorno.
“Vostra Altezza ci perdoni per averla strappata tanto presto al suo riposo.”
“Sono abituato ad alzarmi molto prima”, rispose lui secco. “Mi auguro non ci siano problemi.”
“Nessuno, Altezza. I nostri scienziati hanno apportato modifiche che dovranno essere calibrate prima di iniziare l’addestramento vero e proprio. E’ stato necessario anticipare per poter rispettare la tabella oraria programmata.”
Duke chinò il capo. Due ore in meno con Naida… non poteva disporre di un attimo del suo tempo, e meno male che era il principe. Almeno durante l’allenamento la piantavano con quel ridicolo “altezza” e passavano al “tu”.
“Siamo certi, Altezza, che le novità la lasceranno soddisfatto…”
La porta si aprì ed i due tecnici scattarono in piedi.
“Maestà.”
Il re di Fleed fece cenno di star comodi e si sedette a sua volta di fronte a suo figlio.
“Perfetto. Ora possiamo cominciare.”

“Grendizer è stato dotato delle armi richieste dal sovrano di Vega. Come Vostra Maestà e Vostra Altezza senza dubbio ricorderanno…”
“Tagliate corto, Aerwin.”
“Certamente, Maestà… il problema era conferire naturalezza alle movenze del robot in combattimento. Pensiamo a una lotta corpo a corpo…”
Sul largo schermo del laboratorio scorrevano i disegni del progetto iniziale di Grendizer a raffronto con le modifiche più recenti. Gli arti erano stati rinforzati; l’aspetto benevolo della testa adorna di corna era stato stravolto da altre piccole escrescenze alla sommità del capo…
“È necessario che il pilota abbia sott'occhio la situazione intorno a sé, e che si renda conto immediatamente dei pericoli che il robot corre. Ma la sola vista frontale, sufficiente per gli scopi pacifici cui il mezzo all'inizio era destinato, non permetterebbe di accorgersi, ad esempio, di un attacco alla parte inferiore del corpo.
Il progetto su cui abbiamo lavorato prevedeva una serie di sensori collegati a monitor nella consolle di guida. Ma questi occuperebbero troppo spazio e sarebbero comunque difficili da consultare simultaneamente. In combattimento una reazione pressoché automatica è fondamentale per la sopravvivenza.”
“Dunque?”
“Dunque”, continuò lo scienziato, “abbiamo pensato ad un approccio globale. Se qualcuno mi colpisce io non ho bisogno di vederlo per capire dove sono stato colpito. Provo…”
“Dolore”, terminò Duke. Sollevò le sopracciglia, allarmato. Questa poi no. “Non vorrete…”
“Certo che no, Altezza, certo che no. Un attacco nemico non provocherà alcun dolore, a meno che non investa la cabina di pilotaggio. Però un collegamento neurologico tra i corpi del pilota e del robot permetterà di sentire e reagire a ciò che accade con l’immediatezza con cui riusciamo a scacciare un insetto che ci si posi addosso. La sensazione sarà… ecco, probabilmente sgradevole, ma non dolorosa. È su questo che dovremo lavorare oggi: sulla connessione e la sua calibrazione. Poi cominceremo a perfezionare le tecniche di corpo a corpo.”
Aerwin sorrise. “So che il principe ha dato prova di essere un eccellente lottatore. Ci aiuterà a trasferire le tecniche nella memoria elettronica.”
“D’accordo.” L’abilità nella lotta era qualcosa di cui Duke non riusciva ad essere fiero. Ma se poteva tornar utile a Fleed…
Il re si alzò, imitato da tutti coloro che erano seduti al tavolo di riunione.
“Ottimo. Immagino che sia tutto. Buon lavoro... ”
“Non esattamente, Sire”, osò interromperlo Aerwin con un sorriso orgoglioso. “Abbiamo trovato una soluzione per un abbigliamento schermante totalmente innovativo.”


“Ottimo, Altezza… credo che per oggi possa bastare.”
Duke smontò dal simulatore, spossato ma soddisfatto. La giornata era stata proficua. La connessione neurologica era perfettamente riuscita: niente di insopportabile, ma era tutto indolenzito.
“La prego di farci avere il disegno quanto prima, così potremo procedere alla realizzazione.”
Duke annuì distrattamente, mentre il suo sguardo andava alla larga finestra che arrivava fino al pavimento. Al di là delle inferriate, il cui scopo era più decorativo che di protezione, i lunghi capelli verde pallido di Naida spiccavano contro il lucido manto nero del suo cavallo preferito. Il cuore gli balzò in petto. Era proprio come l’aveva immaginato, lei che gli veniva incontro per non perdere nemmeno un attimo del poco tempo che potevano trascorrere insieme. La stanchezza si dissolse nel loro abbraccio.
“Gli altri sono alla spiaggia… ti va di cavalcare fin là?”
“Non subito però”, rispose lui baciandola. “Vieni qui.”
Dall'altra parte del vetro, i due tecnici si scambiarono uno sguardo compiaciuto nel vedere i due ragazzi dirigersi verso le scuderie tenendosi per mano: una compagnia femminile avrebbe senz'altro rasserenato il loro principe, e la scelta della duchessina Barsagik, così bella ed allegra, non avrebbe potuto essere migliore.



Il giardino del palazzo reale di Fleed era illuminato dalla luce ondeggiante di migliaia di lanterne di carta: nel crepuscolo che cominciava a scivolare nella notte, i fiori esalavano i loro profumi più intensi, come a voler impedire al buio di sbiadire i loro colori.
Gli ospiti avevano trascorso il pomeriggio ammirando le delizie di quel luogo incantato e discutendo, tra i vialetti, della situazione politica della nebulosa, che sembrava essere giunta ad un punto di svolta: da più parti si sentiva la necessità di una coalizione che si opponesse alle mire egemoniche del pianeta Vega, pur nella consapevolezza che il suo re Yabarn il Grande avrebbe potuto interpretare tale gesto come un attacco e trarne l’occasione per colpire per primo. Un’eventualità che avrebbe portato a conseguenze drammatiche: ciò che era avvenuto a quella che oggi tutti chiamavano Akereb la rossa dimostrava di cosa i veghiani fossero capaci.
E pure, il sole splendente, il cielo limpido e la bellezza di cui gli occhi di tutti si riempivano dovunque si posassero rendevano anche le discussioni più serie simili ad esercizi di stile su ipotesi remote: nessuno sembrava credere davvero che una guerra potesse essere alle porte. Scontri ai confini della nebulosa ce n’erano stati, continuavano ad arrivare notizie terribili di morti e di soprusi alle spalle di popoli di cui si sapeva solo che erano arretrati e lontani: ma Fleed era tra i mondi più fiorenti e tecnologicamente avanzati, e si trovava nel cuore della galassia, al sicuro. La quantità di invitati provenienti dai pianeti circostanti e anche da molti assai più distanti, che si mescolavano e conversavano in animati capannelli o seduti sui cuscini adagiati sulle panche di pietra scolpita, dimostrava come una politica di alleanze basate sulla cultura e sul commercio avesse portato al regno di Alcaesar molto più prestigio ed importanza di quanto una campagna militare avrebbe potuto fare.
“Certo che se ci fosse una guerra saremmo in buone mani!”
Il re di Galar, il viso color mogano ancor più scuro del normale, lanciò un’occhiata di riprovazione a Markus, che, sui pattini a reazione, zigzagava a tutta velocità tra le aiuole seguito da un gruppo di amici evidentemente di ritorno da una giornata al lago.
“Sono ragazzi, Akel. Non puoi pretendere che stiano fermi a parlare di politica.”
“Ma che rispettino la tranquillità di chi è più grande di loro, sì.”
Lenia fece gli occhiacci al principe di Morus, che rallentò chiedendo scusa. “Duke ne avrà ancora per molto, regina?”
“Maestà”, corresse Akel di Galar.
“Di solito mi chiama zia”, sorrise Lenia. “Dovrebbe essere andato a prepararsi per il ballo… fossi in te ci andrei anch'io, Markus. È molto tardi.”
“Certo, Maestà.” Il ragazzo quasi capitombolò in un ostentato inchino e ripartì accelerando.
“Sono ragazzi, dicevo: e un po’ di vita in questo posto troppo tranquillo non può che far bene. Ho pensato di invitare i compagni di scuola di Duke, non li vede da quando è andato a studiare su Vega…”
“Dunque avete mandato i vostri figli alla scuola pubblica? Non mi stupisco della piega che l’educazione dei giovani sta prendendo.” Scuola pubblica e Vega… immagino che zotico sarà diventato il principe ereditario.
“Vogliate scusarmi”, Lenia congiunse le mani e chinò il capo in un aggraziato saluto. “Sua maestà il re mi sta chiamando.”
La regina si allontanò cercando di mantenere un’espressione neutra mentre i pensieri di re Akel le risuonavano nella mente. Duke, lo sapeva, avrebbe presto dimostrato quanto fossero lontani dal vero.



Le fontane del parco presero a zampillare al suono della musica che proveniva dalla grande sala degli specchi: era il segnale che il ricevimento stava per iniziare. Gli ospiti abbandonarono quasi a malincuore il giardino, pronti a stupirsi per le meraviglie che anche quell'anno la regina di Fleed avrebbe offerto loro.

Come da tradizione, non ci sarebbe stato un banchetto. Troppo diversi i popoli ospiti, troppo differenti le culture e le necessità alimentari: ai grandi banchi ricoperti da lunghi drappi candidi chiunque poteva scegliere cibi preparati dai migliori cuochi della galassia e farseli servire ai piccoli tavoli di cui la regina aveva personalmente curato la disposizione, cercando di favorire conoscenze e prevenire eventuali scontri. Se in un primo tempo l’informalità di una simile organizzazione aveva fatto storcere più di un naso, ben presto l’idea della giovane seconda moglie di re Alcaesar aveva conquistato gli altri pianeti: le lunghe tavolate lungo le quali scalchi e coppieri servivano le vivande ed in cui gli unici interlocutori potevano essere i vicini di posto erano diventate un ricordo, relegate a paludate occasioni ufficiali in cui non era previsto un vero scambio di idee tra commensali.
Ai ricevimenti fleediani spostarsi da un tavolo all'altro era normale e doveroso, ed era uno dei motivi della loro riuscita… Lenia si guardò intorno: nella grande sala addobbata da tralci e ghirlande profumate gli invitati continuavano i discorsi iniziati in giardino, sorridenti ed apparentemente rilassati anche se la parola “guerra”, evocata nei loro pensieri, continuava a riverberare nella sua mente. Erano arrivati da tutti i pianeti principali: la famiglia reale di Morus al completo, gli slanciati galariti dalla pelle scura, i robusti deriani, perfino, per la prima volta, una piccola delegazione del pianeta Wolf. Solo da Vega, come al solito, non era sbarcato nessuno: gli unici presenti erano l’ambasciatore ed un paio di dignitari di stanza su Fleed. E dire che re Yabarn continuava a professarsi il loro principale alleato e migliore amico…
Una fitta al petto: per un attimo sentì il gelo invadere la sala, le luci cristallizzarsi immobilizzando ogni cosa nel silenzio trasparente del ghiaccio. Non ci sarà un’altra estate.
“Maestà, state bene?”
“Tutto a posto, Yaya… andate a vedere se i principi sono pronti, per favore.”
Non doveva lasciare che quella premonizione rovinasse la serata: non sarebbe servito a nulla. E forse avrebbe potuto fare qualcosa perché non si avverasse… Lenia alzò la testa, sorrise ai suoi ospiti e si diresse verso il suo posto, accanto a suo marito. Ma… dov'era?
“Sua maestà le chiede di perdonarlo, ma è stato trattenuto da una comunicazione improvvisa. La raggiungerà in un attimo.”
Di nuovo.
Lenia si compresse il petto con una mano, raccogliendo tutte le sue forze perché la seconda fitta non la facesse gridare. Sperando che il servitore non si accorgesse del suo pallore, sorrise ancora.
“Molto bene. Attenderemo il suo arrivo per dare inizio alle danze. Dite ai cuochi di cominciare a servire la cena.”



- continua - link per i commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=66037619&st=375#lastpost

Edited by shooting_star - 9/12/2014, 14:23
 
Top
87 replies since 27/5/2013, 23:07   13564 views
  Share