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Dalla spada all'alabarda spaziale, L'eroe dal mito classico a quello moderno

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Eliodora
view post Posted on 16/1/2015, 10:28 by: Eliodora     +1   -1




Chiedo scusa, non riesco a rispondere rapidamente: ho l'intera famiglia ammalata e sono costretta ad accorrere ai vari capezzali - con il particolare insignificante che si trovano talvolta a qualche chilometro di distanza...- :29784128hj5.gif:

Andiamo per ordine:

@Daisuke:

Complimenti! Bella domanda! ;)

Di primo acchito mi viene da rispondere di no. L'evoluzione di un personaggio all'interno di un'opera presuppone un progetto e un piano dell'opera, quindi una visione complessiva dell'autore e un autore che ne ipotizzi lo sviluppo a dimostrazione o a conferma di una tesi che egli assume come propria.

Contempla inoltre uno studio del personaggio, del suo carattere e dei suoi comportamenti, il tutto filtrato dalla sensibilitá di chi scrive o compone.

Per l'epica arcaica parliamo di tradizioni, di miti e di racconti orali, che si sono sviluppati per quattro secoli in maniera piuttosto fluida, ad opera di un imprecisato numero di aédi, che sicuramente hanno sviluppato personaggi in sé coerenti, ma con fluttuazioni legate all'innesto di altre lezioni del mito, talvolta in sé contraddittorie, perché derivanti da differenti tradizioni locali.

Intendo dire che la tradizione ha affidato alla trasposizione letteraria l'idea di un Agamennone capo superbo ed arrogante o di un Odisseo astuto e versatile (πολύτροπος); lo sforzo delle varie generazioni di aédi e di rapsódi è piuttosto quello di rimanere fedeli, per quello che è possibile, al personaggio che è a loro pervenuto, perché i valori poetici vigenti sono quelli della ripetizione e della continuità, gli unici che possano garantire la sopravvivenza della società che li ha elaborati.

Piuttosto, se di evoluzione del personaggio si vuole parlare, bisognerebbe vederlo in un'ottica diacronica , in una sorta di continuum ideale tra autori successivi e differenti generi letterari.

Ad esempio l' Andromaca dell'Iliade, che appare solo in due momenti in tutta l'opera, verrà ripresa da Euripide nella tragedia omonima, ma l'autore sceglierà di trattare una parte del mito che la vede, dopo la morte di Ettore e la caduta di Troia ( ed essendo tutto ciò sottinteso e presupposto come noto alla collettività degli spettatori) schiava e compagna di letto del figlio dell'uccisore del marito, Pirro o Neottolemo, a cui ha partorito anche un figlio, ed odiata dalla legittima moglie di costui che, in sua assenza, ne trama la morte.
Ad Euripide non interessa lo scavo psicologico, almeno nel senso moderno del termine, ma dimostrare l'infelice sorte dei vinti e lo fa in un momento storico particolare: la sua città è imbarcata nella guerra del Peloponneso in lotta con Sparta ed ha appena subito una cocente sconfitta nella spedizione contro Siracusa.

Virgilio nell' ENEIDEsi riallaccia dal punto di vista della storia alla caduta di Troia e volutamente riprende personaggi ed eventi omerici, cosicché Enea arriva nella terra dei Ciclopi poco dopo che vi è passato Ulisse, infatti Polifemo è già accecato, e fa riferimento a quella parte del mito ancora successiva a quella trattata da Euripide: Andromaca , alla morte di Pirro, ha sposato Eleno, fratello di Ettore e compagno di schiavitù che ,insieme ad un piccolo numero di profughi troiani è giunto in Epiro,, dove ha fondato una piccola Troia.
Qui appunto la incontra Enea, donna ormai persa nel passato e nel ricordo del primo marito. Al vedere Ascanio, figlio di Enea, viene assalita dal ricordo del piccolo Astianatte, figlio suo e di Ettore, precipitato giù dalle mura proprio da Pirro, durante la presa della città. L'omaggio ad Omero è evidente, ma Virgilio è latino, autore colto e consapevole, contemporaneo di Augusto, vissuto quindi almeno sette secoli dopo il supposto Omero, in pieno classicismo augusteo vuole dare a Roma il suo poema e dimostrare che questa è stata voluta ab aeterno da sempre, intende dimostrare il dolore dei vinti e di coloro che sono costretti ad abbandonare la propria terra, sulla scorta della propria personale esperienza, e persegue fini eziologici , cercando nel passato mitico la giustificazione di realtá contemporanee, in questo caso l'amicizia tra l'Epiro e Roma in seguito alla vittoria di Ottaviano...non so se mi spiego.

Se vogliamo quindi vedere una "evoluzione del personaggio all'interno del singolo autore, quindi,non possiamo cercarla in epoca arcaica. Diverso è per l'età classica, nella tragedia ( ma in quella più antica di ha bisogno di tre tragedie, una trilogia): così incontriamo un Edipo che all'inizio del dramma è cieco( non vede o si rifiuta di vedere la realtà) ed alla fine si acceca per non vedere...
Famoso è l' άρτι μανθάνω arti mantáno: ora capisco! di sofoclea memoria, ma anch'esso da ricondurre alla poetica dell'autore per cui su certe cose è bene non indagare perché è meglio non sapere, la conoscenza è fonte di dolore e l'ostinazione nel perseguirla è solo un atto di ybris
tracotanza che porterà immancabilmente l'eroe verso la sua rovina.

Il problema di fondo è che l'uomo greco, fino all'età ellenistica, è solo un cittadino e come tale interessano solo gli aspetti connessi alle necessità ed alle esigenze della polis.

Solo con l'avvento dei regni ellenistici e la conseguente scomparsa delle poleis il cittadino diventando suddito e quindi un privato, si rinchiude in se stesso, comincia ad analizzare i suoi sentimenti e nella commedia di Menandro si inizia a vedere un primo rudimento di evoluzione psicologica...

Edited by Eliodora - 16/1/2015, 10:32
 
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