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ANNUSHKA's FICTION GALLERY, Solo autore

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view post Posted on 23/3/2017, 10:53     +1   +1   -1
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-capitolo 2-
Il frinire delle cicale tacque di colpo. Un silenzio mortale calò sulla casa e sul bosco all’intorno. All’improvviso, un bagliore più intenso del sole pomeridiano attrasse l’attenzione di Ains. Una luce fredda pulsava fluttuando intermittente nel cielo, appena al di sopra delle cime degli alberi; era così potente da penetrare tra le fronde fino al terreno, illuminando a sprazzi il sottobosco. Di colpo, prese a muoversi in linea retta. Ains provò un brivido, come davanti ad un richiamo imperioso, irrazionale, irresistibile… Si alzò con cautela e si mise sulle tracce della scia luminosa: voleva capire da dove venisse. Quasi in trance, cominciò a seguire il raggio che fendeva la massa verde. Procedeva tanto velocemente, che per non perderlo il ragazzo dovette più volte mettersi a correre. Nei punti in cui il bosco diventava più fitto, fu costretto a farsi strada strappando con le mani rami e sterpaglia. Ormai sanguinava, era a un passo dal cedere, quando finalmente, dopo almeno mezz’ora di sforzi, sbucò in una radura, ansante e sudato. Uscito dal folto, alzò gli occhi: un disco stazionava a poche decine di metri dal suolo! Riuscì appena a riaversi dalla sorpresa, che il raggio traente dell’astronave lo investì in pieno e lo risucchiò velocemente verso l’alto.
Sono venuti a prenderci!
Ains era fuori di sé dallo stupore. Superata la prima incertezza, non riuscì a trattenere un moto d’entusiasmo: “Sono venuti a prenderci!” esultò, battendo il pugno destro sul palmo della mano sinistra, mentre entrava nel disco.
Subito, due soldati lo affiancarono cupi e lo scortarono in silenzio fino all’unità di comando. La sala, spoglia ed essenziale, era immersa in una gelida fluorescenza. Il grande schermo comunicatore era attivo, ma per il momento non riusciva a produrre altro che sibili e suoni graffianti, segno di forti interferenze elettromagnetiche. Dopo alcuni lunghissimi istanti, l’immagine si materializzò all’improvviso. I soldati si inginocchiarono di scatto e trascinarono a terra anche lui. Quello alla sua sinistra, con una manata alla nuca, lo costrinse a piegare il mento sul petto: “Giù la testa davanti al generale Gandal!” gridò.
Il generale Gandal!
Ains non aveva mai incontrato personalmente il comandante supremo. Ed ora, sebbene a distanza, veniva ammesso alla sua presenza! Cercò di dominare l’emozione.
“Ghemon? Ains Ghemon?”
“Sissignore!”
“In piedi!”
L’ordine lo scosse come una scarica elettrica. Scattò sull’attenti.
“E così sei tu… sei proprio tu… il giovane Ghemon.”
Il cuore di Ains era in tumulto. Non pensava che gli sarebbe mai più accaduto di sentirsi chiamare col nome di suo padre, né tantomeno di trovarsi faccia a faccia con il comandante supremo delle Forze di Vega.
Il generale sembrò rabbonirsi: “Riposo ragazzo, riposo.” In quel momento, intervenne una voce diversa; il volto del generale si era diviso a metà e aveva ceduto il posto a fattezze femminili. Ains era attonito. Come tutti, aveva sentito parlare di quella particolarità del comandante in capo, ma constatarla con i propri occhi era tutt’altra cosa.
“Che sorpresa!” esclamò Lady Gandal. “Un superstite della missione del comandante Dagil…”
“Che cosa puoi dirci a riguardo?” lo interrogò Gandal. La parte destra del volto del generale si era richiusa, interrompendo la donna. Ora entrambi lo scrutavano inquisitori.
Ains deglutì. Codardia, tradimento: ecco di cosa lo stavano per accusare. E come giustificare il fatto di essere sopravvissuto? “Signore…” annaspò.
Ma il generale lo interruppe: “Ghemon! La tua sopravvivenza per noi è un successo. Ci dimostra che Duke Fleed non è invincibile e che qualcuno potrà ben sconfiggerlo.”
Ains si fece coraggio: “Signore… io credo di dovere la vita a Duke Fleed. E’stato lui a salvarmi dal rogo del nostro robot da combattimento e, successivamente, a farmi curare.”
“Certo! Dopo avervi abbattuto e aver fatto strage della vostra squadra!” tuonò il generale, rabbuiandosi minacciosamente.
“Nonché dei migliori comandanti del nostro esercito” aggiunse sua moglie. “Tra i quali, se non sbaglio, si dovrebbe contare anche tuo padre…” concluse.
Ains strinse i pugni e chinò il capo. Cercò di mantenere il controllo mordendosi il labbro che aveva preso a tremare. Che cosa doveva dire? Che cosa volevano che dicesse? Non avrebbe mai tradito suo padre, piuttosto la morte! Eppure, adesso, non poteva nemmeno mentire a se stesso: Duke Fleed lo aveva salvato. E aveva aiutato sua madre a ritrovarlo, rischiando perfino la vita per loro, più di una volta. Al pensiero di sua madre, d’un tratto, un oscuro presentimento si impadronì di lui.
Mamma!
Il ragazzo rialzò la testa e rispose d’un fiato: “Signore! Duke Fleed mi ha salvato la vita! Me lo ha detto anche mia madre!”
“Sì… lo ha detto anche a noi” rispose il generale indifferente, facendo un cenno a qualcuno alle proprie spalle. Subito, comparve al suo fianco una donna. Rimase muta, ad occhi bassi, finché fu spinta bruscamente più avanti. Allora, senza staccare lo sguardo da terra, cominciò a parlare, ancor prima di essere interrogata.
“Ains…”
“Madre!”
“Ho avuto… la possibilità… di raggiungere… il nostro comando supremo.” Il discorso procedeva esitante, a tratti sconnesso. “Grazie… alla generosità… del generale Gandal, potremo… presto… tornare su Vega!”
Il tono era incerto, sembrava che quelle poche parole le costassero uno sforzo incredibile. O che aspettasse un suggerimento. Ains si allarmò: “Mamma! Guardami!” La donna alzò il capo lentamente, senza scostare i capelli che in parte nascondevano il volto. Gli occhi erano gonfi e arrossati, il labbro inferiore spaccato.
“Mamma! Stai bene?”
“Sto bene, Ains. Non stare in ansia per me. Sto bene. Tu cerca di rimetterti presto” concluse con un sorriso smorto, prima di scomparire dall’inquadratura.
“Mamma!” Ains tese la mano verso lo schermo.
“Hai sentito tua madre, Ains? Cerca di rimetterti presto, così potrai riabbracciarla …” commentò suadente Lady Gandal.
“Portatemi da lei, signora! Sono pronto!”
“A suo tempo, ragazzo. A suo tempo” rispose il generale al suo posto.
“Piuttosto: parlaci di Duke Fleed. Come mai ti avrebbe salvato?” intervenne di nuovo Lady Gandal.
“Non riesco a spiegarmelo, signora. Ma sono sicuro che…” Ains ammutolì. Come far capire al comandante supremo e a sua moglie che Duke Fleed si era dimostrato generoso e leale? Insomma, che non era un nemico? “…che non sia avvenuto per caso!” concluse in fretta.
“Che altro puoi dirci di lui? Lo hai rivisto, dopo la battaglia?” indagò ancora la donna.
“No, signora. Ma presto vedrò sua sorella.”
“Bene!” esclamò lei trionfante “Significa che avrai un’altra occasione per servire il tuo signore, il grande Vega. Quando la sorella di Duke Fleed verrà da te, dovrai trasmettere a noi tutto quello che ti dirà. Riceverai attrezzatura e istruzioni nel disco di appoggio.”
“Ma, signora…”
“Ragazzo, il grande Vega sa essere generoso con chi gli dimostra la propria fedeltà.” Era stato il generale a parlare. “Purtroppo, finora, non hai dato buona prova di te” proseguì gravemente, “ma ti è concessa ancora una possibilità. Pensaci. Riabbraccerai tua madre e, se ne sarai ritenuto degno, disporremo il vostro ritorno su Vega.”
“Signore!” esclamò Ains con voce di supplica.
La comunicazione fu tolta. Veloci e silenziosi come all’inizio, i soldati lo riportarono indietro. Prima di azionare il dispositivo di trasporto all’esterno, il graduato gli mise in mano un minuscolo trasmettitore: “Si attiva da solo in presenza di suoni a partire da 0,5 decibel di intensità. Devi mantenerlo costantemente in funzione. Si carica ad energia solare: mezz’ora di esposizione al giorno. Bada: qualsiasi interruzione sarà considerata occultamento di informazioni sensibili.”
Poi iniziò l’espulsione. Il raggio depositò Ains al centro della radura . Barcollando, il ragazzo tornò sui suoi passi, cercando la strada di casa. Prima, senza rendersene conto, si era allontanato parecchio e ora stentava ad orientarsi. Prese a vagare nel bosco in preda a un tumulto angoscioso.
Sua madre! Che cosa le avevano fatto? Era stata picchiata? Sua madre non l’avrebbe mai abbandonato di propria volontà, ne era sicuro. Aveva attraversato la galassia per ritrovarlo. Non se ne sarebbe mai andata dalla Terra senza di lui! Ma forse… quella possibilità di tornare su Vega… forse voleva soltanto precederlo. Si aggrappava con tutte le forze a quel barlume di speranza, ma poi tornavano ad assalirlo i dubbi peggiori. Perché scomparire così, perché non dire nulla a suo figlio?
Mamma, ti troverò! Torneremo a casa e tutto sarà come prima!
Un poco rassicurato da quella risoluzione presa tra sé e sé, finalmente sbucò sul sentiero. Ancora un piccolo sforzo e sarebbe arrivato alla baita. Ormai la luce pomeridiana declinava velocemente, il sole sarebbe calato di lì a poco. Ains era sfinito. L’incertezza su come comportarsi era atroce. Per avere qualche speranza di riunirsi a sua madre, era necessario eseguire l’ordine del generale. Ma così, di sicuro, avrebbe messo in pericolo i suoi amici! Gli occhi gonfi di lei, il suo volto ferito, gli scavavano dentro come un tarlo implacabile. Doveva trovare una soluzione.
Dopo una curva, la casetta inondata dalla luce rosa del tramonto si stagliò nitida sullo sfondo scuro degli alberi. Quella visione lo sollevò non poco. Fece l’ultimo tratto di strada correndo in discesa, poi spalancò la porta e finalmente si lasciò cadere, distrutto, sul divano accanto al camino.
Ma certo! Ci sono! Se diranno qualcosa di pericoloso, li fermerò prima che possano continuare. Gli spiegherò a gesti che siamo ascoltati…
Cullato dall’illusione di quel compromesso, si abbandonò di colpo ad un sonno pesante.


L’alba stava incendiando il cielo a levante; una colata di raggi dorati dilagava rapidamente sulla superficie del mare; Hokkaido si stagliava all’orizzonte come una striscia scura dai contorni incerti, sfumati di bruma azzurrina. I ragazzi contemplavano lo spettacolo assorti.
“Ehi, Koji! Bisogna cominciare la discesa!” strillò Maria, piantando un gomito nelle costole del compagno.
“Ahi!” saltò su Koji.
“Avanti! O vuoi sconfinare in Russia?!?” continuò a rimbrottarlo la ragazza.
“Tranquilla, principessa, tranquilla…” fece lui, sornione.
“Come faccio a stare tranquilla con te? E non mi prendere in giro, sai?!?”
“Ho programmato il pilota automatico per la discesa” rispose il ragazzo, di nuovo serio.
In effetti, stavano arrivando a destinazione ed il suolo si avvicinava rapidamente. Koji riprese i comandi manuali del Double Spacer e si preparò all’atterraggio. Poco dopo, il velivolo si posò dolcemente sulla pista dell’eliporto della clinica.
I ragazzi saltarono fuori e si diressero veloci alla volta dell’edificio. Il tempo di chiedere indicazioni e si ritrovarono già all’uscita, sulla strada verso le baite della foresteria. Alla clinica avevano loro spiegato che avrebbero raggiunto la casa di Ains in pochi minuti.
Koji respirò a pieni polmoni e si guardò intorno, abbracciando con uno sguardo circolare il paesaggio e la struttura ultramoderna che si erano appena lasciati alle spalle.
“Mmmmh, gran bella baracca ha messo su l’amico del dottor Mizuguchi! Ci sarebbe da prenotare per una vacanza, qui!” esclamò stirandosi soddisfatto, prima di incamminarsi.
“Koji, piantala!” rispose Maria, che non trovava nulla di accattivante in quello che rimaneva pur sempre un grande ospedale.
Il cinguettio degli uccelli e il rigoglio della natura rendevano la strada molto piacevole. La breve estate di Hokkaido volgeva al termine, presto sarebbe iniziato un autunno di giorno in giorno sempre più gelido, ma quella mattina il clima era ideale. Koji avrebbe fatto volentieri una passeggiata. Maria, invece, era inquieta. L’emozione per l’incontro che aveva tanto desiderato faceva a pugni con la tristezza che si era impadronita di lei il giorno prima, quando il peggioramento di Duke le era apparso improvvisamente evidente. Cercava di scacciare la pena che provava per essersi allontanata da suo fratello, seppure il breve spazio di una giornata. La ragazza procedeva veloce, a testa bassa, sulla strada leggermente in salita. Ogni tanto si voltava impaziente: “Sbrigati, Koji! Dobbiamo tornare entro sera!”
Lui le teneva dietro in silenzio. Sapeva che quello non era un capriccio.


La campanella d’ottone accanto alla porta tintinnò allegramente. I ragazzi rimasero un momento in attesa, poi Maria si decise. Alzò il chiavistello e spinse il battente: “Possiamo?”
“Venite! Venite! Vi stavo aspettando”. Dalla penombra spuntò il ragazzo veghiano. Era pallido, ancora smagrito, ma a Maria sembrò un’altra persona! Lo ricordava sofferente, nelle lunghe settimane in cui aveva lottato tra la vita e la morte, ed ora era lì, sano, in piedi davanti a loro!
“Oh, Ains!” esclamò gettandoglisi al collo. “Sono felice di vederti!”
“Grazie…” rispose lui, in lieve imbarazzo.
“Anch’io” aggiunse Koji, facendosi avanti con un inchino educato.
“Grazie!” disse Ains, più convinto.
Maria si guardò rapidamente intorno, sentendo che mancava qualcosa.
“E tua madre dov’è?”
“Oh! E’ fuori. E’ stata chiamata alla clinica all’improvviso, e poi… credo … debba andare anche in paese… Le dispiace molto non potervi incontrare, ma sta bene, è in buona salute! Anche lei si sta rimettendo, dopo tutto quello che ha passato…”
Koji e Maria sorrisero. Ains continuò: “Ma io vorrei mostrarvi i dintorni. Qui è bellissimo! Vi va di fare una passeggiata? Ho preparato anche qualcosa da mangiare all’aperto, sull’erba…”
“Certo!” accettarono subito i due.
“Allora andiamo.”
Ains uscì per ultimo. Mentre chiudeva la porta, sfiorò il lieve rigonfiamento del trasmettitore, dentro la tasca. Poi, con un sospiro, si avviò insieme ai suoi ospiti.
-continua-
 
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-capitolo 3-
Camminarono per un po’, fino ad una radura dove scorreva un ruscello. Il luogo era davvero magnifico e la giornata non era da meno, tuttavia sembrava che qualcosa non andasse come doveva. Maria non riusciva a prestare attenzione alla conversazione dei due ragazzi: provava una sensazione di gelo e ne era dolorosamente stupita. Preparandosi a quella visita, aveva immaginato di immergersi nel calore dell’amicizia, ma inspiegabilmente non era questo che stava provando. Ciò era evidente soprattutto vicino ad Ains: quei grandi occhi neri che ogni tanto la scrutavano di soppiatto erano come due barriere opache. Per tutto il tempo in cui il ragazzo era rimasto incosciente e senza difese, Maria aveva condiviso con lui ogni suo ricordo, la paura, il dolore… Ma ora era diverso, ora sembrava quasi che lui nascondesse qualcosa.
Ma che vado a pensare! Sono troppo sconvolta. Duke! Oh, Duke! Non lasciarmi. Non lasciarmi anche tu!
Maria sospirò. Non voleva sprecare il poco tempo che aveva a disposizione per dire ad Ains quanto fosse felice della sua guarigione e del fatto che avesse ritrovato sua madre. Si sforzò di non pensare al fratello, almeno per un momento.
“Sai Ains, tu sei fortunato, perché dopo tutto quello che ti è successo, sei di nuovo in buona salute e non sei più solo, ora potrai stare per sempre insieme a tua madre. E’ magnifico!” fece allegra Maria.
Ains annuì sorridendo, ma continuò a guardare per terra.
Lei non poté fare a meno di aggiungere con un sospiro: “Questo per me non sarà mai possibile. Dovrebbe accadere un miracolo…”
“Perché, cosa è successo ai tuoi genitori?” chiese Ains senza pensare.
“Sono morti nella distruzione di Fleed, ma io non li ricordo, perché ero troppo piccola.”
Ains si rabbuiò: “Mi dispiace…” mormorò abbassando gli occhi.
“Oh, Ains! Perdonami! Non volevo rattristarti. Tu non c’entri niente! Anche tu eri molto piccolo allora!” esclamò la ragazza.
“Sì. E anche mio padre è morto durante la guerra…”
Koji era rimasto in silenzio, ma si era fatto più attento.
“… ma io lo ricordo molto bene” concluse Ains.
“Essere soli è terribile... Per questo sono felice che tu, ora, sia con tua madre!” disse lei.
Poi, chinò il capo e aggiunse piano: “Io ho tantissima nostalgia dei miei genitori. Non so cosa darei per rivederli, anche solo per un istante! So che è impossibile, ma continuo a desiderarlo con tutta me stessa. Io non voglio più rimanere sola! Mai più!”
“Perché dici questo?” chiese il ragazzo.
“Perché Duke… mio fratello…”
“Non rimarrai mai sola, Maria” la interruppe Koji, passandole un braccio intorno alle spalle con fare protettivo. “Ed ora, scusaci Ains, ma dobbiamo lasciarti. Il tempo è passato in un lampo, dobbiamo rientrare. Maria voleva dire che anche Duke, suo fratello, si congratula per la tua guarigione. E ci ha pregato di portare i suoi saluti a tua madre.”
Ains rimase sorpreso della loro fretta improvvisa, ma allo stesso tempo si rallegrò in cuor suo di potersi sottrarre al più presto a quella situazione penosa. Anche lui aveva immaginato l’incontro in modo del tutto diverso! Era stato impaziente di conoscere meglio i suoi nuovi amici: il terrestre, la principessa di Fleed, suo fratello... Gli erano venute in mente mille domande; avrebbe voluto chiedere tutto sul pianeta che li ospitava. Ma questo era stato prima di veder comparire sua madre accanto al generale Gandal, ridotta in quel modo.
Comunque, gli sembrava davvero che in quella breve visita non fosse stato detto nulla che potesse ritorcersi contro la Terra. Tutto sommato, ciò che gli era pesato di più era stato doversi nascondere, non riuscire a guardare negli occhi le persone che lo avevano aiutato generosamente a salvarsi. Gli era pesato anche aver loro mentito riguardo a sua madre. Così fu contento che tutto finisse lì.
“Grazie, glielo dirò” rispose gentile.
Sulla via del ritorno, Ains conversò ancora allegramente della varietà delle piante e degli animali terrestri, che non finiva di stupire lui che veniva da Vega… Infine, arrivati davanti alla casa, i tre si congedarono, promettendo di incontrarsi di nuovo al più presto.

***



Già da alcuni minuti dal ricevitore provenivano solo fruscii e rumore di fondo. Le voci erano cessate.
Il generale Gandal e il ministro Zuril tacquero a lungo. Poi quest’ultimo commentò noncurante: “Non mi sembra che si tratti di informazioni di particolare rilievo…”
“Uhmm… Il ficcanaso terrestre si è messo in mezzo, proprio mentre la principessa stava per dire qualcosa di interessante...” grugnì il generale.
Il volto di Gandal si aprì: “Sì! Ma quello che abbiamo sentito è più che sufficiente!” affermò Lady Gandal trionfante.
“E per quale motivo, di grazia?” la interruppe il ministro, sarcastico.
“Zuril! Invece di ironizzare su quello che non capisci” rispose la donna piccata “spiegaci, piuttosto, come mai la tua macchina per il condizionamento cerebrale non ha funzionato…”
“Che intendi?” chiese bruscamente lui.
“Quella donna, la moglie di Ghemon, ha resistito al condizionamento, ha continuato ad opporsi. E sarebbe morta, se non avessimo deciso noi che per ora è meglio tenerla in vita!”
“E sì che era stata lavorata a dovere, prima di essere sottoposta al trattamento…” ghignò il generale, dopo che il volto si fu richiuso.
“Non ha ceduto né al condizionamento, né al lavoretto dei tuoi uomini, Gandal…” riprese pensieroso il ministro.
“Ha ceduto solo davanti al ragazzo. Solo quando l’ha visto, ha detto quello che noi volevamo!” riprese istericamente la moglie del generale.
“Hai ragione” ammise Zuril, “dovremo tenerne conto in futuro...”
“E come può essere successo?” insisté la donna, sospettando un nuovo sarcasmo nelle parole del Ministro delle Scienze.
“Deve aver avuto una forte motivazione” mormorò Zuril, abbassando lo sguardo. “Ha voluto proteggere il figlio” concluse in un soffio, quasi tra sé. E strinse i pugni facendosi torvo.
E l’ha fatto! Per quanto ha potuto, l’ha fatto! Non come io con te, figlio mio…
Una smorfia amara deformò il volto crudele del ministro.
“Ma bene!” esclamò Lady Gandal compiaciuta. “Allora, invitiamo al più presto il ragazzo a farle visita” sorrise maligna, “facciamoli stare un po’ insieme, così la madre potrà spiegargli meglio che è più salutare collaborare...” aggiunse con una risatina stridula. “Poi, lo rimanderemo al suo posto, sulla Terra. Chissà che il giovane Ghemon non ci torni utile un’altra volta…”
“E allora, quale sarebbe la grande scoperta?” la interruppe Zuril, rialzando rapidamente la testa e il tono di voce.
“E’ da un po’ che ci sto lavorando” rispose Lady Gandal con sussiego. “E’ da un po’ che sono convinta che dobbiamo colpire Duke Fleed nel suo punto debole… E quella ragazzina è un punto debole…” continuò pensierosa.
“Abbiamo già tentato un rapimento con scarso successo, mi pare…” sogghignò il ministro.
“La missione era guidata da un incapace!” tagliò corto la moglie del generale. “Ma ora andrà in modo molto diverso! Non ci sarà neanche bisogno di rapirla: verrà da sola!” esclamò la donna. “Il mio piano è perfetto! E lo è sempre stato!” continuò alzando improvvisamente la voce. “Mi mancava solo un particolare per completarlo: l’esca. Ma adesso ne abbiamo una formidabile, servita su un piatto d’argento!” concluse, battendo il pugno sul tavolo.
Zuril la guardò interessato.
Lady Gandal proseguì: “La principessa di Fleed ha nostalgia dei genitori perduti… desidera con tutte le sue forze ritrovarli… e noi la soddisferemo. Attirerò telepaticamente Maria Fleed ad incontrare suo padre!” esclamò trionfante. “Zuril!” continuò la donna imperiosa.
“Sì?”
Lei non parve affatto curarsi del tono indifferente del collega.
“Procura al comandante Ashura i dati biometrici completi del defunto re di Fleed” proseguì perentoria.
“Non sarà facile recuperarli” obiettò il ministro.
“Che dici! Sicuramente furono acquisiti e archiviati ai tempi dell’alleanza” lo contraddisse la donna sprezzante.
“Credo che sia sufficiente anche un ritratto, per ottenere una valida somiglianza” affermò lui, intuendo dove volesse arrivare la donna.
“Non voglio una valida somiglianza, Zuril: voglio un’identità totale! Voglio che Maria Fleed sia assolutamente convinta di vedere suo padre, che corra ad abbracciarlo!”
La moglie del generale fece un cenno all’attendente. Due calici furono riempiti.
“E sarà un abbraccio mortale!” concluse, gettando indietro la testa con un risolino stridulo che si confuse con il tintinnio dei calici e la risata baritonale del ministro.


La stanza era spartana. Una luce opaca rendeva tutto uniformemente grigiastro.
La donna sedeva sull’orlo del letto con le spalle curve e le mani abbandonate in grembo. Fissava un punto nel vuoto, dritto davanti a sé. Al fruscio della porta automatica, non accennò reazione alcuna.
Qualcuno fu spinto ad entrare e le porte si richiusero subito.
“Mamma!”
La voce la scosse.
“Ains!”
“Mamma, che ti è successo?!”
Improvvisamente rianimata, la donna si alzò e corse incontro al ragazzo, afferrandogli le mani: “Ains, mio caro! Io… sto bene, non è successo nulla.”
“Ma… stai piangendo!” fece lui, sfiorandole una guancia con la punta delle dita.
“E’… perché … sono felice di vederti! E … perché … presto torneremo a casa!” Distolse un momento lo sguardo da lui e deglutì. “Anzi, siamo già molto vicini. Sai, qui ci troviamo … presso il nostro comando supremo…”
Ains non capiva: “Mamma, guardami.” Lei volse sul figlio gli occhi dolenti.
Il ragazzo si sentì invadere da una pena indicibile; le si gettò al collo e la abbracciò. Alla sua stretta, la sentì irrigidirsi e sforzarsi di trattenere un gemito.
“Che hai?” le disse, continuando a stringerla a sé. Mentre le accarezzava le spalle e la schiena, attraverso la stoffa sottile della casacca che l’avevano costretta a indossare al posto dei suoi vestiti, Ains si accorse delle ferite: striature gonfie, in rilievo, di un rosso vivo, ancora fresche.
Ma l’hanno… l’hanno… Inorridito, si staccò bruscamente da lei e tenendola per le braccia cercò di guardarla in viso.
“Che ti hanno fatto?!” gridò disperato.
Ma la madre non disse una parola. Rimase ad occhi chiusi. Lacrime silenziose le bagnavano le guance, mentre col capo un poco riverso all’indietro continuava lentamente a far cenno di no.
Un pensiero attraversò fulmineo la mente del ragazzo; si guardò intorno, improvvisamente guardingo.
Ci ascoltano!
Smise di insistere. Con delicatezza ricondusse sua madre per mano a sedersi sul letto, quindi la aiutò a sdraiarsi su un fianco.
“Ripòsati, mamma. Stai tranquilla.”
Le rimase vicino e cercò di mantenersi calmo almeno in apparenza, per non aggiungere strazio a quello che già le avevano inflitto. Ma nell’animo gli vorticava una ridda di pensieri angosciosi e confusi. Sua madre… sua madre nelle mani degli aguzzini…
No! No! No! Perché?!
Loro avrebbero voluto solo tornare su Vega… Lei continuava a ripeterlo, a dire che sarebbe successo presto; ma a quel punto, come poteva credere alle proprie stesse parole? Ci credeva davvero? L’avevano fatta impazzire. Le torture le avevano fatto perdere la ragione!
Maledetti! La pagherete!
Fissò a lungo quel volto sofferente che ancora non riusciva a ricambiare il suo sguardo. Cercò di confortarla, continuando a tenere le mani di lei tra le sue.
O forse… sua madre lo stava proteggendo. Si stava sacrificando per lui! Voleva tranquillizzarlo, voleva convincerlo ad obbedire senza tentare colpi di testa.
Mamma!
Le strinse più forte le mani e lei accennò un sorriso.
Ti salverò, ti riporterò a casa!
Di nuovo, il fruscio della porta scorrevole.
“Fuori!”
La baciò sulla fronte lievemente, mentre la guardia già lo spingeva via.

***



Il rientro era avvenuto senza imprevisti. Koji e Maria avevano appena lasciato il Double Spacer nell’hangar e stavano correndo in sala comando a fare un veloce rapporto. La ragazza era impaziente di tornare alla fattoria. Vi giunsero mentre Hikaru e suo padre si affannavano a ricoverare le vacche per la notte. Era un gioco di squadra: bisognava sospingere gli animali ed insieme mantenere la mandria compatta. I richiami e i movimenti del vecchio si intrecciavano a quelli della ragazza in una rete invisibile che alla fine raggiungeva l’obiettivo. In quel momento non v’era traccia di asprezze, rimbrotti, litigi: si intendevano senza parole. La sicura esperienza del padre e la forza vitale della figlia si alimentavano l’una dell’altra e insieme portavano a termine il compito…
Maria smontò dalla moto e rimase a guardarli per un lungo momento, affascinata; poi sospirando distolse lo sguardo. Duke non era con loro.
“Ehi!” salutò Koji.
“Bentornati!” si udì di rimando la voce di Hikaru. Avevano appena chiuso la stalla. La ragazza si avvicinò allo steccato. Era rossa in volto per lo sforzo di poco prima e ancora leggermente affannata. Si tolse il cappello, tergendosi la fronte col dorso della mano.
“Dov’è Duke? Come sta?” le chiese ansiosa Maria.
Hikaru sorrise: “Meglio!” Si voltò un istante verso la quercia in cima alla collina: “E’ lì.”
Cessato il frastuono degli animali, si udivano le note della chitarra portate a tratti fino alla fattoria dalla brezza serale.
“Ragazze, che ne direste di mangiare qualcosa? Ho una fame da lupi!” le interruppe Koji chiassoso. Si avviò verso casa, seguito da Hikaru.
“Io… vengo subito” mormorò Maria, ma si incamminò dalla parte opposta, verso la collina.
Quando i ragazzi si accorsero che non li aveva seguiti, era già un pezzo avanti. Procedeva spedita, senza reagire ai richiami.
“Maria!”
“Ehi, Mariaa!” Hikaru faceva grandi gesti per richiamare l’attenzione dell’amica.
La mano di Koji sulla spalla la fece fermare: “Lasciala andare, Hikaru. Ora non ha bisogno di noi.”
-continua-

Edited by Annushka18 - 27/3/2017, 15:58
 
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-capitolo 4-
La ragazza s’inerpicò rapida in cima alla salita.
“Duke!”
“Maria!” Il fratello si voltò sorpreso verso di lei. “Come è andata la vostra visita?” le chiese con un sorriso. Incoraggiata, la ragazza si gettò nel racconto dettagliato della giornata. Lui la ascoltava attento, sollevato al vederla vivace come suo solito. Alla notizia che la madre di Ains non era stata con loro rimase molto perplesso, ma non la interruppe.
Maria era un fiume in piena: “E dovresti vedere Ains, come è cambiato! Da quando si è riunito a sua madre è un’altra persona! E’ completamente guarito e…”
“Strano che sua madre non vi abbia aspettato…” osservò Duke, finalmente.
“Sì, è strano, ma di sicuro ha dovuto allontanarsi per occuparsi del figlio! Anche lui ce lo ha detto ed era felice, ti assicuro, era molto felice e …”
D’improvviso Maria ammutolì. Le si incrinò la voce e il mento prese a tremarle, mentre si sforzava di trattenersi. Duke si voltò a guardarla stupito e le mise una mano sulla spalla: “Maria…”
“Oh Duke!” esplose lei. “Anch’io vorrei tanto riavere mia madre! E… mio padre! Come vorrei che tornassero! Almeno un momento, almeno un momento!” Scossa dai singhiozzi si rifugiò sul petto del fratello. Lui la strinse a sé, scompigliandole affettuosamente i capelli, consolandola con un sussurro, come si fa coi bambini: “No… no…”
Maria… quanto può sentirsi sola una ragazzina come te…? Io alla tua età una famiglia l’avevo… Una famiglia meravigliosa… Invece tu… tra poco rimarrai sola, completamente sola!
Il pensiero lo colse improvviso. Voltò bruscamente il viso per nascondere la commozione che si era impadronita anche di lui, gli occhi fissi all’orizzonte, stretti a cogliere gli ultimi bagliori del tramonto.
La ragazza si era un poco calmata. “Sai, Duke? Non mi è rimasto nulla di loro, nemmeno un ricordo, un’immagine…”
Il fratello rimase in silenzio.
“Ti prego, Duke, com’erano nostro padre e nostra madre?”
Continuando a stringerla forte, con un profondo sospiro, il ragazzo prese a parlare.

Rimasero a lungo sotto la quercia; quando rientrarono, le stelle erano già alte e brillanti e la cena in cucina si era freddata da molto.

***



Il tintinnio dei calici si era spento da un po’, nella sala comando gravava un silenzio opprimente. Lady Gandal scorreva interminabili schermate di dati, alla ricerca di quelli del re di Fleed; Zuril faceva lo stesso, interrogando metodicamente il proprio computer oculare.
D’un tratto, la voce imperiosa di Vega e la sua figura imponente si materializzarono nella stanza, mediante lo schermo del comunicatore interno: “Lady Gandal! Zuril! Che state facendo?”
“Sire!” esclamarono all’unisono la moglie del generale e il ministro, cadendo in ginocchio.
“Alzatevi.”
“Grazie, maestà!” risposero scattando in piedi. Quindi, ostentando estrema soddisfazione, Lady Gandal prese la parola: “Ho appena messo a punto un piano infallibile, sire, il piano che ci porterà alla vittoria!” Dopo una pausa significativa, lasciò cadere con noncuranza: “E suppongo che il ministro, qui presente, non negherà la sua collaborazione…”
“Di che si tratta?” chiese ruvidamente il sovrano.
“Sappiamo da fonte sicura che la principessa di Fleed è profondamente scossa, a causa della nostalgia per i genitori, defunti all’epoca dell’invasione del loro pianeta. Farebbe qualunque cosa, pur di rivederli” spiegò la moglie del generale.
“Uhmm, andate avanti, Lady Gandal.”
“Una giovane donna in tali condizioni di esaltazione può essere uno strumento micidiale, se manovrata abilmente… ”
“Ovvero? Che cosa pensate di fare?”
“Sire! Ordinerò telepaticamente a Maria Grace Fleed di correre a liberare suo padre. Invece, al suo posto, troverà ad aspettarla uno dei nostri uomini. Appena la principessa sarà nelle nostre mani, anche se non si piegherà a collaborare direttamente, avremo comunque una formidabile arma di ricatto contro Duke Fleed! Lo costringeremo a consegnarsi insieme al suo robot, in cambio della vita di sua sorella.”
“E come pensi di riuscire a ordinare telepaticamente qualcosa a quella ragazza?” si informò Zuril, che fino a quel momento aveva taciuto.
“Cosa?” rispose indignata la moglie del generale. “Dimentichi che è un potere che ho sempre posseduto? E poi,” continuò sprezzante “dimentichi la tua stessa invenzione, l’amplificatore di onde cerebrali?”
“Non dimentico nulla” puntualizzò Zuril, gelido. “Nemmeno quei vuoti di memoria di cui mi hai parlato… quelle interruzioni di coscienza che ti affliggono ultimamente.”
“Che cosa vuoi dire?” chiese lei tagliente.
“Per guidare qualcuno telepaticamente, tanto più a così grande distanza, bisogna essere nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, senza la minima zona d’ombra, dove si potrebbero annidare punti deboli…” insinuò il ministro.
“Io non ho punti deboli!” lo contraddisse astiosa la donna.
Zuril la ignorò e proseguì rivolgendosi direttamente al sovrano, di cui aveva percepito l’interesse.
“Guidare telepaticamente un’altra persona in modo da forzarne la volontà a distanza, senza alcun contatto fisico, è qualcosa di molto difficile e faticoso, maestà. Nonostante il supporto fornito dall’amplificatore di onde cerebrali, bisogna essere sicuri che Lady Gandal sia in grado di sviluppare continuativamente la potenza necessaria a distorcere la volontà del soggetto.”
“E dunque?” si spazientì il sovrano.
“Per approvare questa missione, dobbiamo verificare che Lady Gandal abbia il totale controllo delle proprie energie mentali. Le interruzioni di coscienza che ultimamente l’hanno colpita costituiscono un grosso ostacolo. Ritengo che il problema debba essere analizzato e risolto al più presto, se si vorrà garantire il successo della missione stessa” si affrettò a concludere il ministro.
“Uhmm… Dove vuoi arrivare, Zuril?” chiese re Vega.
“Vorrei suggerire una misura che ci assicuri che tutto vada come vogliamo, sire.”
“Ti ascolto.”
“Lady Gandal dovrebbe sottoporsi ad una scansione cerebrale totale.”
Zuril tacque un momento, per assicurasi che i presenti avessero compreso fino in fondo il senso della sua affermazione, quindi ritenne necessario precisare: “Intendo dire una scansione completa di tutti i suoi livelli di memoria, quello superficiale, che le è proprio, e quello profondo, ovvero la memoria che Lady Gandal ha in comune con suo marito.”
“Io non ho niente in contrario!” disse subito Lady Gandal, ma il volto si richiuse immediatamente, senza darle tempo di aggiungere altro.
“Come sarebbe, la memoria che ha in comune con me!?” esclamò il generale. “Io non capisco come banali amnesie possano pregiudicare alcunché. Sono cose che capitano a tutti. Non vedo perché dovrei subire una tale…”
“Neanch’io ho niente in contrario!” lo zittì il sovrano. “Finalmente avrò una prova tangibile della tua incondizionata lealtà, Gandal” sogghignò il re compiaciuto. Poi aggiunse fissandolo: “Perché sono sicuro che tu non abbia segreti per me…”
Vi fu una pausa imbarazzata.
“O forse temi che io possa ricredermi?” concluse.
“Sul mio onore, sire!” rispose il generale con veemenza, corrucciato in volto e battendosi con rabbia il pugno destro sul petto. “Il vostro desiderio è un ordine! Tuttavia, oso pensare, forse non è necessario…”
“Ma certo, ma certo!” lo interruppe di nuovo Vega. “Non ho nulla da rimproverarti… Tanto più che, a suo tempo, fui io a decidere di innestare tua moglie nella tua testa, per controllarti meglio… anzi: per farvi controllare l’uno con l’altro!” ghignò beffardo.
Gandal chinò il capo. Non era la prima volta che il grande Vega si divertiva ad umiliarlo davanti a tutti. Ne aveva il diritto. Era il suo re. Ma non avrebbe sopportato di essere messo alla berlina, o forse anche duramente punito, per quelle sue… debolezze, che ora rischiavano di venire alla luce!
Vega procedeva col suo racconto, platealmente divertito e improvvisamente loquace, gioviale addirittura: “Anzi, se ben ricordo, dopo l’incendio della nave di Hydargos, fui io in persona a ordinare di ricostruire tua moglie, perché di lei era rimasto ben poco… Forse avevi cercato di sbarazzartene, eh?!” concluse, ammiccando all’indirizzo del generale.
Il volto si spalancò: “Maestà! Che cosa significa?” sibilò Lady Gandal.
Il re la gelò con un’occhiata. Poi si volse leggermente verso il Ministro delle Scienze: “Zuril?”
Al cenno del sovrano, lo scienziato prese la parola, avanzando di un passo: “Pare che quando arrivarono i soccorsi” attaccò compiaciuto, “il volto del generale fosse spalancato e completamente vuoto… I lineamenti, protetti all’interno del cranio, erano rimasti intatti, ma le fiamme avevano divorato tutto ciò che si trovava nella cavità…”
Il re lo interruppe e proseguì lui stesso, sorridendo maligno: “E chi insinuò che non fosse accaduto per caso, fu giustiziato immediatamente!”
Poi sussurrò canzonatorio: “Avreste dovuto vedere gli altri scienziati, i medici soprattutto…” Infine alzò di nuovo la voce, scoppiando a ridere sguaiatamente: “Come si ingegnarono! Lavorarono giorno e notte, finché riuscirono a ridare un corpo alla vostra mente superiore, mia cara!”
I presenti risero con lui. Anche la donna si forzò a mostrarsi divertita da quella storia e stirò il volto nella parvenza acida di sorriso. Poi, improvvisamente, il sovrano tornò serio. Con voce gelida si rivolse al ministro: “Zuril!”
“Sire?”
“Di che si tratta esattamente? Perché dovrei autorizzarti a frugare nella testa del comandante supremo delle mie armate? Quali margini di sicurezza abbiamo?”
Zuril lo guardò interrogativamente.
“Intendo dal punto di vista della segretezza delle informazioni ottenute.”
Il ministro riprese la parola, alzando il sopracciglio:
“Maestà, tecnicamente la scansione totale delle onde cerebrali è un esame di routine e privo di rischi. Nulla a che fare con la clonazione e la distorsione a fini di condizionamento, procedure invasive e potenzialmente pericolose per l’integrità del soggetto…”
“Vieni al dunque!”
“Si tratta esclusivamente di analisi, registrazione ed eventuale archiviazione del contenuto della memoria del soggetto. La particolarità del caso in questione è che siamo in presenza di due memorie superficiali individuali, del generale e della consorte, soprastanti ad un livello di memoria profonda, comune ad entrambi. E’ quello che dobbiamo scandagliare nei minimi dettagli, se vogliamo mettere la missione al riparo da qualunque incertezza. Quanto alla riservatezza delle informazioni ricavate, l’esame necessita della presenza di un solo tecnico, che riferirà a me e…”
“Basta così, Zuril. La missione è approvata. Ma prima di decidere definitivamente, voglio vedere questa scansione. Il livello di segretezza è massimo, ne risponderai di persona. Il tuo tecnico farà rapporto direttamente a me. I risultati dell’esame saranno resi noti esclusivamente a me, al generale e a sua moglie”.
“Come vostra maestà desidera” rispose Zuril visibilmente contrariato. E con un rigido inchino, fece un passo indietro.
“Vostra maestà rimarrà soddisfatta delle sue decisioni!” assicurò Lady Gandal, incassando compiaciuta l’autorizzazione al suo piano.
“Andate!”
“Agli ordini, sire!” esclamarono entrambi, mentre l’immagine sullo schermo si dissolveva.
Lady Gandal fissò il ministro con un’espressione trionfante stampata in volto. Poi, con un risolino sardonico, si congedò: “Col tuo permesso, collega, vado a mettere a punto i dettagli.”


Rimasto solo, Zuril prese a passeggiare nervosamente per la sala comando deserta. Il tentativo del generale di resistere all’ordine di re Vega non gli era sfuggito. Si trattava di un fatto del tutto insolito!
Che cosa avrà mai da nascondere Gandal?… Uhmm… Se voglio saperlo, non ho tempo da perdere...
Continuò a riflettere misurando a grandi passi la stanza.
Ci sono! Forse ho trovato…


La penombra della cella fu tagliata da una lama di luce. Ains strinse istintivamente le palpebre per adattarsi al cambiamento improvviso. Subito due soldati lo presero in consegna e in perfetto silenzio, lo scortarono a lungo per i corridoi della base. Finalmente, la meta: le porte della sala comando si aprirono davanti a loro.
Davanti al grande schermo, dando le spalle ai nuovi venuti, il ministro Zuril era intento ad esaminare una mappa stellare. Congedò le guardie senza voltarsi.
“Avvicinati, Ains” ordinò poi al ragazzo, appena furono soli.
Quando gli fu accanto, l’uomo si girò lentamente e lo squadrò con attenzione. Il ragazzo sostenne il suo sguardo.
“Vuoi salvare tua madre?” gli chiese a bruciapelo.
Ains sobbalzò.
“Vuoi portarla con te su Vega al più presto?” lo incalzò il ministro.
“Certo, signore!” rispose di getto il giovane.
L’uomo sorrise.
“Ne ero sicuro, ragazzo…”
Ains trattenne il fiato senza capire.
“E lo farai! Io ti autorizzo fin d’ora” affermò solennemente il ministro, mettendogli le mani sulle spalle e guardandolo dritto in faccia con l’unico occhio organico, mentre il computer oculare lavorava alacremente a decifrarne emozioni e reazioni.
Ains rimase in attesa, sempre più inquieto e confuso.
“Lo farai!” ripeté con sicurezza il ministro. “Io ti metterò a disposizione una nave in grado di attraversare la nebulosa, fino al nostro sistema planetario” promise. “Ma prima… tu dovrai fare qualcosa per me.”
Ains sgranò gli occhi incredulo. Il ministro sorrise di nuovo.
“Tu puoi aiutarmi…” affermò l’uomo continuando a fissarlo. “Ti interessa sapere in che modo?”
Ains serrò i pugni e la mascella riflettendo spasmodicamente, mentre il sudore gli imperlava la fronte. Era assai combattuto: come fidarsi di quell’uomo che non aveva mai visto? Come essere sicuro che l’avrebbe davvero aiutato a liberare sua madre? Del resto, da solo non aveva nessuna speranza… E non c’era tempo da perdere! Il generale aveva fatto torturare sua madre e poteva rifarlo in ogni momento! E poi…
Sì, forse sì… Lo sanno tutti che Gandal e Zuril sono sempre stati rivali… Forse con il suo aiuto, ce la farò…
“La ascolto, signore.”
-continua-

Finora mi sono dimenticata di aggiungere il link ai commenti!!! Rimedio.
Per eventuali commenti... prego, da questa parte: https://gonagai.forumfree.it/?t=71687755&st=255#lastpost
 
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-capitolo 5-
La fluorescenza di un grande schermo visore rischiarava la penombra del laboratorio. L’esame procedeva speditamente, i risultati erano visualizzati in tempo reale. Immagini e suoni venivano riprodotti nitidamente, in un flusso ininterrotto che rompeva il silenzio della sala.
La chioma viola ondeggiava soffice, seducente, seguendo il moto armonioso e continuo del corpo; le labbra si schiudevano turgide, voluttuose, sempre più vicine… Mani artigliate dal colorito bluastro affondavano nella carne morbida, spiccando sulla pelle diafana della donna, mentre un gemito flebile cresceva ritmico, febbrile, affannoso. Infine, scoppiava in un grido.
Poi, il buio.
Il tecnico alzò bruscamente la testa.
Com’è possibile?
Le mani tremanti e la fronte imperlata di sudore, fece scorrere velocemente le immagini all’indietro, per guardarle di nuovo.
Inequivocabile. Aveva visto bene. Preoccupato, gettò un’occhiata alla donna sdraiata sul lettino, attaccata agli elettrodi. Era ancora incosciente, ma per quanto?
Continuò l’esame delle immagini cerebrali profonde. Re Vega… alcune battaglie… un alterco con qualcuno, forse il ministro Zuril… Poi, ancora un black out. Trascorsi alcuni secondi, il buio fu squarciato da lampi, come lame di luce; ad ogni flash emergevano frammenti di una sequenza: una donna, diversa dall’altra, stavolta si dondolava al di sopra dell’osservatore, prima lenta, sinuosa, poi sempre più rapida, forsennata. Lo portava al delirio, finché, di nuovo, qualcosa scoppiava e tutto ripiombava nell’oscurità.
Un rumore inatteso, alle spalle, lo spaventò. Spense rapidamente il visore, ma non riuscì a fare altrettanto con lo scanner. Le immagini continuarono a scorrere, seppure oscurate.
“Raskin!”
“Comandi, signora!” esclamò il tecnico, avvicinandosi in fretta al lettino.
“Che cosa succede? Perché ci siamo fermati?”
“Nulla, signora…” l’uomo esitò impercettibilmente: “Credo… solo un guasto al visore.”
Lady Gandal lo guardò diffidente.
“Scioglimi!”
L’uomo si affrettò a liberarla dal casco ad elettrodi che le copriva la testa.
“Per oggi basta, sono stanca. Ma prima di ritirarmi, voglio vedere i risultati di questa sessione” ordinò Lady Gandal, scrollandosi di dosso l’attrezzatura per la scansione cerebrale totale e scattando in piedi.
Il tecnico impallidì. Maledizione! Devo distruggere quelle immagini ad ogni costo!
Raskin cercò di parlare nel modo più disinvolto possibile, ma l’espressione ansiosa lo tradì: “Signora, perdoni! Dovrò collegare un nuovo visore al lettore di onde cerebrali. E’ questione di poco. Se vuole, potrà riposare. La farò chiamare immediatamente!”
Lady Gandal rimase in silenzio. Intanto, era arrivata al tavolo da lavoro. Cominciò ad esaminare il visore, gettando ogni tanto un’occhiata in direzione del tecnico. L’uomo sudava, trattenendo il respiro. Le dita artigliate continuavano ad esplorare il corpo liscio della macchina, in cerca di irregolarità. “Ne sei sicuro?” rispose la donna. Aveva trovato l’interruttore. Premette. Le immagini ripresero a scorrere.
“Lei… lei è… geniale, signora!” balbettò Raskin in un soffio.
“Taci!” Lady Gandal occupò la postazione del tecnico; lui rimase in piedi alle sue spalle, tremante. Forse era l’ultima! Forse quella che ho visto prima era l’ultima! Riusciva a dominarsi a stento, mentre si aggrappava alla speranza che per quel giorno non saltassero fuori altre rivelazioni pericolose. Non poteva sapere che cosa la macchina avesse rilevato, dopo l’istante in cui lui aveva spento lo schermo. E la moglie del generale aveva ordinato di riprendere proprio da lì.
Passarono alcuni minuti. La tortura dell’incertezza serrava la gola dell’uomo, che non osava quasi più respirare. All’improvviso, quel buio maledetto! Raskin chiuse gli occhi, inghiottendo furiosamente, mentre la paura lo paralizzava. Nel video, una donna si agitava scomposta. Voci maschili la ferivano insultandola in modo scurrile. Le mani blu artigliate la afferravano, lasciando graffi profondi sulla pelle bianchissima. La donna gridava. Aveva i capelli azzurri, anche lei molto lunghi, come le altre. Ad un tratto, qualcuno sopraggiunto da dietro glieli tirava, strappandoli forte; con una mano le inchiodava a terra la testa, mentre con l’altra le bloccava una spalla. Intanto, le mani blu la stringevano al collo; il grido di lei si affievoliva, negli occhi un terrore mortale; quello di lui cresceva bestiale, finché esplodeva in trionfo.
Lady Gandal scattò in piedi, soffocando un’imprecazione. No… no. Càlmati! Prima di tutto devi capire. Si risedette.
“Voglio vedere tutto. Dall’inizio” ordinò freddamente.
Il tecnico si affrettò ad eseguire. Le immagini scorsero a lungo. Intervalli di buio improvvisi separavano quelle usuali da quelle altre… incredibili! Nella sala regnava un silenzio di tomba; gli unici suoni provenivano dal visore. I minuti passarono lentissimi, fino agli ultimi fotogrammi.
“Un momento!”
“Signora?”
Lady Gandal aveva avvicinato il volto allo schermo. “Qui! Ingrandisci qui!”
Il tecnico mise a fuoco il punto indicato: le mani dell’uomo che bloccava la donna ribelle. Sul pugno che torceva le ciocche azzurre spiccava un anello. Era un sigillo. “Ingrandisci il particolare!” Si delineò chiaramente il simbolo del direttore dell’Accademia.
Staigar! Maledetto serpente! Lady Gandal rimase impassibile. Le servirono alcuni istanti per riprendere il controllo del tumulto che la squassava. Quando fu sicura di non tradire emozioni, si alzò lentamente, puntando le nocche sul tavolo; quindi, si rivolse di nuovo al tecnico con voce incolore: “Distruggi immediatamente queste scansioni.”
L’uomo scattò sull’attenti: “Sì, mia signora!” Eseguì l’istruzione in pochi secondi e rimase in attesa di ordini.
La moglie del generale ripiombò sulla poltrona: “Ora puoi andare.”
Il tecnico si precipitò a testa bassa verso la porta, senza nemmeno rispondere.
“Raskin!” ruggì Lady Gandal.
Il sottoposto si bloccò, come colpito da una frustata; sentì che la schiena gli si ricopriva di un sudore di ghiaccio. Rispose con voce strozzata: “Signora?”
Il cigolio della poltrona girevole, l’affanno dell’uomo. Gli sguardi si incrociarono per un istante. Lady Gandal alzò su di lui il disintegratore e prese la mira, con calma. Sorrise crudele.
“Che sciocco!”
Il sibilo e il grido furono quasi tutt’uno. L’uomo cadde a terra davanti alla porta e in pochi secondi il corpo scomparve.
Lady Gandal si voltò di nuovo verso gli schermi, ormai spenti. Appoggiò i gomiti sul bancone e si prese la testa fra le mani. Un’ira feroce la mordeva dentro. Doveva controllarsi! A suo marito non voleva nemmeno pensare: un suo richiamo, anche solo mentale, l’avrebbe reso presente e in quel momento non l’avrebbe tollerato. Cercò di placarsi, riversando altrove la propria rabbia impotente. Staigar! Cane! Spero che tu sia finito nelle mani di quella donna! Verme! Avrei dovuto schiacciarti la prima volta che ti ho incontrato! Duke Fleed non sarebbe bastato per te! Lui non tortura i nemici. Ma quella donna… Spero che abbia avuto il tempo di divertirsi, che tu sia morto soffrendo! Batté i pugni sulla consolle, spazzò furibonda più volte il ripiano a mani aperte, gettando a terra tutto quello che vi si trovava. Poi balzò in piedi, spingendo via la poltrona; infuriata, uscì dal laboratorio e si diresse verso la zona residenziale. Al suo passaggio, la scorta scattò sull’attenti e prese a seguirla correndo. La donna si voltò inviperita: “Via!” e sparì oltre il varco automatico dell’appartamento.


Passarono parecchi minuti. Quando fu ben sicuro che il laboratorio fosse deserto, Ains rimosse la grata di protezione e in silenzio scivolò fuori dal condotto di aereazione che sboccava all’interno della stanza. Appoggiandosi ad uno schedario piuttosto alto, scese sul pavimento, raggiunse velocemente la porta, sgusciò circospetto nel corridoio e si dileguò nell’ombra della base, dirigendosi verso lo studio del Ministro delle Scienze.


“Gandal!” Il grido vibrò nel vuoto assoluto della stanza in penombra.
Avevano deciso così, quando le loro esistenze si erano fuse: che il loro spazio privato fosse un semplice vuoto. Pareti lisce, incolore. Luce e temperatura medie e costanti. Le strutture necessarie al nutrimento, al riposo e all’igiene si sarebbero materializzate al bisogno, per poi scomparire. Nessuna traccia di gusti o comodità personali. Che bisogno ne avrebbero avuto? La loro vita sarebbe stata tutta per Vega; ogni interesse, passione, emozione, ogni sforzo, ogni lotta, tutto sarebbe stato consacrato alla causa di Vega! Avevano deciso così, quando le loro esistenze si erano fuse.
Ed ora… ora Gandal aveva rotto il patto. Aveva distrutto quell’equilibrio perfetto. E nel peggiore dei modi! Aveva osato… vivere per le proprie meschine soddisfazioni! Le mancavano le parole. Più ci pensava, più l’enormità di quello che aveva scoperto le appariva indicibile. Insostenibile.
Non si trattava tanto della volgarità con cui il generale si era abbassato a sfogare quegli istinti inferiori. Anche quello. Non si trattava nemmeno tanto del tradimento. Sì, certo, anche quello. Il tradimento del suo corpo, che era stato aggiogato senza saperlo e senza volerlo a compiacere quelle smanie animali. Quelle mani - le sue mani! - che scorrevano sui corpi di quelle donne, provandovi gusto… Guardarsi le mani e vedersi balenare davanti le immagini di quella degradazione fu tutt’uno; ormai erano entrate a far parte della sua memoria cosciente.
“Gandal!” Il grido della donna risuonò roco.
Non si trattava di tutto questo. Era molto di più. Gandal aveva infranto l’accordo su cui si reggevano le loro esistenze. Si era creato uno spazio proprio, solo per sé, senza di lei, senza re Vega. Era questa l’enormità.
Infatti, se non vivevano più per Vega, annullandosi reciprocamente per Vega, per che cosa vivevano?
Se non vivevano più per Vega, che senso aveva tutto quello che facevano? Le conquiste, la guerra? Che senso aveva la loro stessa vita? Il sacrificio del suo corpo, della sua libertà…
Le sfuggì un grido strozzato, al pensiero di quello che aveva perduto.
L’aveva deciso, a suo tempo, per Vega, per la gloria di Vega! Aveva accettato spavalda di testare su di sé quegli esperimenti di miniaturizzazione e integrazione, che aveva contribuito ad elaborare. Era una grande idea: creare un essere superiore, innestare una mente brillante in un corpo potente e assetato di dominio… Ma la mente da sola non può funzionare, non può resistere a lungo alla pressione invadente del corpo; inoltre, la mente necessita di un sostrato organico. E allora i bioingegneri avevano deciso di conservare anche il suo corpo. La miniaturizzazione era stata una scelta obbligata; si era trattato di un processo lungo e penoso, ma aveva dato i risultati sperati. Alla fine si era potuta installare nel corpo di quel gigante, era riuscita ad occuparne il centro di comando. Così era nata la loro simbiosi.
Ma era stato un ripiego. Perché lei aveva mirato più in alto. Molto più in alto…
“Che vuoi, donna?” Il volto del generale si richiuse.
“Voglio mostrarti qualcosa” gli rispose lei gelida, da dentro la testa.
Ad un comando mentale di Lady Gandal, un campo gravitazionale miorilassante invitò il generale a distendersi. Fluttuando a mezz’aria semi-seduto, l’uomo rimase in attesa.
“Chiudi gli occhi, mio caro” disse lei, mentre avviava la condivisione della propria memoria cosciente con quella del marito.
Bastarono pochi istanti. Il generale schizzò in piedi: “Ma… Cosa?!? Cosa hai fatto?” le urlò, fuori di sé.
“Cosa hai fatto tu!” replicò la moglie con furia. La voce vibrò acuta nel cervello di lui. Le immagini scorrevano indifferenti all’effetto che producevano.
“Basta! Basta!! Gandal si portò le mani alla testa gridando. “Basta!” Prese a brancolare frenetico nella penombra della stanza, girando in tondo come un cieco o un ubriaco, finché riuscì ad appoggiare le mani ad una parete. Si fermò ansimando, a testa bassa, in preda all’angoscia e alla nausea.
La moglie continuava implacabile, commentando di tanto in tanto.
“Ti piacevano, vero? Ti piacevano così tanto, da distruggere tutto! Tutto!” urlò. Poi, a voce più bassa: “Ma non a tutte piacevi tu! Qualcuna dovevi costringerla…” concluse, sogghignando maligna.
“Sta’ zitta, sta’ zitta!” mormorò lui, scuotendo la testa. Le immagini non scomparivano, lei provvedeva a renderle vivide e ripetitive.
“Basta!” gridò lui ancora una volta, picchiando un pugno sul muro. Le immagini entrarono in pausa. “Come hai osato?! Come hai potuto?!” la attaccò. “Io sono il braccio destro del grande Vega! Qualsiasi calunnia contro di me è da considerarsi un attacco diretto contro di lui!”
“Gandal! Che dici? Fai finta di non capire?” insinuò velenosa la moglie. “Di quali calunnie parli?” aggiunse melliflua. “Questa è la prova del tuo tradimento!” sibilò. “O forse, fai finta di non ricordare la storia?” proseguì accalorandosi. “Il grande Vega… il nostro signore…” aggiunse alzando le spalle.
A quelle parole, il generale cadde in ginocchio: “Come osi tenere quel tono, mentre parli del nostro signore?!” ma d’improvviso il suo volto si aprì, interrompendolo.
-continua-

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-capitolo 6-
Lady Gandal apparve, spirando ribrezzo: “Vigliacco adulatore! Ipocrita! Non ora devi cadere in ginocchio, parlando del nostro signore, del grande Vega…”
La donna assunse di nuovo un’aria sprezzante: “Sai benissimo che io ero destinata a lui!” esclamò infine, altezzosa.
Poi continuò, come un fiume in piena: “Invece lui… preferì il metodo di riproduzione degli esseri inferiori! Non volle rinunciare al piacere che offre. Ma io ero già pronta. Già pronta! Capisci? Avevo già subito la riduzione molecolare, non sarei sopravvissuta a lungo, autonomamente.”
Si fermò a riprendere fiato. Poi, a voce più bassa: “E lui non poteva neanche lasciarmi morire… Non poteva permetterselo!”
Di nuovo, alzò gradualmente il tono fino a gridare: “Sono figlia di principi, io! E di grandi scienziati! Delle menti migliori della galassia!” Un’altra pausa, poi aggiunse: “No, non poteva permettersi di lasciarmi morire… E allora mi diede a te.”
La donna gettò il capo all’indietro e scoppiò in una risata amara, accompagnata da un’altra alzata di spalle: “Al suo cane fedele!”
Poi tornò seria: “Vega ha sempre saputo prendersi il meglio di tutto: il piacere… il potere… e il merito dei successi scientifici e militari. E’ per questo che noi divenimmo quello che siamo, perché Vega volle proseguire l’esperimento, non volle rinunciare a creare un essere nuovo…”
“Strega maledetta! Taci!” Le parole di Lady Gandal morirono, soffocate dietro il volto che si richiudeva. “Piuttosto” continuò il generale, “come hai fatto a… ottenere quella roba? E che cosa ne sa il grande Vega?”
“Hai paura?” lo sferzò la moglie da dentro la testa. Il volto si aprì nuovamente e lei sorrise compiaciuta. “Il grande Vega attende i risultati della mia scansione cerebrale profonda, per decidere se dare l’autorizzazione finale alla mia prossima missione.”
Ancora lo scatto metallico del volto maschile che soffocava le sue parole.
“E tu cosa gli dirai?” chiese il generale ansioso.
“Sciocco!” gridò la donna. “Cosa pensi che ne sarebbe di me, se tu cadessi in disgrazia? Pensi che voglia pagare io, per il tuo tradimento? Che voglia essere torturata o giustiziata, per colpa tua?”
“Perché dovrebbe accadere, donna? L’hai detto tu stessa che il grande Vega non disdegna il piacere…”
“Certo, non lo disdegna. Ma per sé! Solo per sé!” gridò lei esasperata.
Vi fu un attimo di silenzio, poi la donna riprese, scandendo crudele: “Tu sei una nullità, Gandal. Tu non sei che uno zero assoluto, senza di me e senza Vega. Io sono la tua mente e Vega è la tua ragione di vita: essere fedele a lui, ecco il tuo motivo di esistere!” Era arrivata di nuovo a gridare, ormai inarrestabile. “Come hai potuto pensare di fare qualcosa senza di me e senza di lui? Ti sei condannato con le tue mani, Gandal! Come pensi che Vega potrebbe continuare a fidarsi di te, se sapesse? Ma io non voglio morire per colpa tua. Dirò al grande Vega che sto benissimo, che quelle fastidiose interruzioni di coscienza sono sparite e tu sarai salvo. Ma quando sconfiggerò Duke Fleed, cambierà tutto! Il merito sarà mio, solo mio! E tu dovrai farti da parte!” Anzi,- aggiunse furiosa tra sé - dovrai scomparire!
La donna si fermò ansante, in piedi in mezzo alla stanza. I pugni serrati tremavano, mentre cercava di dominarsi. Ricacciò indietro violenta il rigurgito d’odio impotente che sentì salire dalle viscere del marito.
“Ed ora lasciami lavorare.” Aveva recuperato la calma, il tono si era fatto glaciale: “La mia missione sta per iniziare. Non osare importunarmi, altrimenti assaggerai anche tu l’interruttore neurale.”

***



Il vento a gelide raffiche squassava le cime degli alberi. Lampi lontani squarciavano il buio sinistri. L’aria era carica di tensione. Prometteva bufera.
La ragazza si agitava, parlando nel sonno: “Padre! Oh, padre! Dove sei?”
Cercava riparo dall’angoscia dimenandosi tra le coperte. Ma l’angoscia la tormentava da dentro, si dispiegava nella sua testa, si materializzava in vivide immagini.
“Re di Fleed!” Maria, ancora dormendo, si coprì gli occhi con le mani. Chi era a parlare? Un essere mostruoso, un gigante dal volto di strega.
“Re di Fleed! Se tieni alla tua vita, richiama tuo figlio che si trova sulla Terra e fallo venire subito qui.”
La luce di un lampo investì Maria in pieno viso. La ragazza si girò per l’ennesima volta e affondò la testa sotto il cuscino, gemendo. Anche l’oscurità informe del sogno fu illuminata da un lampo. Sul fondo scuro di una caverna risaltò la figura fiera di un vecchio. Era alto, ancora forte, il volto severo incorniciato da ciocche d’argento che arrivavano a sfiorargli le spalle. Si dibatteva, incatenato per i polsi alla roccia, le braccia innaturalmente tese e aperte sopra le spalle.
“No, non lo voglio fare! Non lo farò mai!” rispose il vecchio alla donna.
“Se non vuoi obbedire ai miei ordini, non ho altra scelta che metterti su un mostro di Vega e mandarti sulla Terra!” minacciò lei.
Lui scosse la testa, cercando ancora di liberarsi.
“In questo modo ti costringerò ad attaccare Duke Fleed e Maria anche contro la tua volontà!” continuò a tormentarlo quell’essere diabolico. “Allora?”
Maria gemette ancora; la sensazione di venire inghiottita da un abisso senza fondo la oppresse fino a farle mancare il respiro…
“Non cedo a questo ricatto. Mi rifiuto!” rispose il vecchio, altero.
La strega lo investì con violenza: “L’hai voluto tu! Ti rinchiuderò nel mostro di Vega Gavig e lo invierò sulla Terra!” La risata satanica riempì in un baleno l’enorme spazio oscuro della caverna, traboccò rimbombando e si propagò dappertutto, fino alla stanza della ragazza.
“Nooooo!” Portandosi le mani alla gola Maria scattò a sedere sul letto. L’aveva svegliata quella risata mostruosa. O forse il tuono che ora si stava spegnendo. I lampi continuavano a sciabolare e il vento fischiava inquietante intorno alla casa. La ragazza, come in trance, si avvicinò alla finestra.
“Maria, Maria!” La voce di donna si distingueva a fatica dal gelido sibilo della bufera, ma conteneva allo stesso tempo una vibrazione carezzevole, calda, stranamente attraente.
La luna fiammeggiava sinistra, alta nel cielo.
“Presto Maria, devi andare a salvare tuo padre! Maria, Maria!”
Lacrime silenziose sgorgarono dagli occhi della ragazza: “Mio padre…”
Il contatto dei polpastrelli con il freddo del vetro la scosse: “Padre!” Si vestì in fretta, raggiunse di corsa la moto e si gettò sulla strada.


Due finestre vicine si illuminarono e si aprirono contemporaneamente.
“Ehi, ma chi è a quest’ora di notte?!?” Il ragazzo si sporse, appena in tempo per vedere la moto che usciva. “Daisuke, ma quella è Maria!”
“E’ molto strano Koji, raggiungiamola!” gli rispose l’amico.
La nube di polvere si allontanava rapidamente nell’unica direzione possibile: il Centro Ricerche.
I due giovani lo raggiunsero trafelati e si precipitarono dentro. Si imbatterono subito nella guardia notturna: “Hai visto dove è andata Maria?”
“Sì, ha preso l’ascensore!” rispose l’uomo.
“Vuole andare nell’hangar!” esclamò Koji. Si gettarono per le scale, superarono le porte scorrevoli, raggiunsero l’hangar. Maria era già al posto di guida del modulo di trasporto.
Koji le si parò davanti: “Maria!”
“Ma che cosa ti è preso?” disse Daisuke.
“Diccelo!” riprese Koji.
La ragazza sembrava non accorgersi della loro presenza. Guardava oltre le loro teste, mormorando come un automa parole incomprensibili: “Padre! Oh, padre, aspettami! Sto venendo a salvarti!”
Lo schiaffo di suo fratello interruppe il delirio.

***



Un breve grido sovrastò per un attimo il ronzio metallico, sottofondo incessante nel silenzio teso del laboratorio. La donna, strappata di soprassalto all’intensa concentrazione, si portò una mano alla guancia.
“Abbiamo perso il segnale!” esclamò il tecnico.
“Dannazione!” imprecò Lady Gandal, “Ce l’avevo quasi fatta, ma qualcosa deve avere interrotto il contatto telepatico. Comunque il mio esperimento ha avuto successo.”
“Comandante Ashura, comandante Ashura! Vieni qui!” chiamò la donna nel comunicatore.
Dalla stanza accanto, un graduato si fece avanti correndo e si inginocchiò davanti alla moglie del generale: “Comandante Ashura ai vostri ordini, signora!”
“Come stabilito, prenderai le sembianze del re di Fleed e farai rotta verso la Terra a bordo del mostro Gavig.”
“Sissignora!”
“Riceverai dal ministro Zuril i dati biometrici necessari alla trasformazione somatica, nonché tutte le informazioni in nostro possesso sul defunto re e sulla principessa Maria Grace.”
Il sottoposto rimase in attesa.
“Ora vai, Ashura, e non fallire…”
L’uomo scattò in piedi e salutò militarmente: “Agli ordini, mia signora!”.
Poi corse via ad eseguire le istruzioni che gli erano state impartite.


La camera di trasformazione somatica consisteva in un bozzolo di materiale trasparente, malleabile e altamente isolante, collegato ad un computer. Il programma immagazzinava i dati biometrici del soggetto di partenza e di quello di arrivo e gestiva il passaggio; i controlli e le correzioni avvenivano a livello molecolare, ad intervalli di tempo infinitesimali. La precisione dei dati di arrivo era fondamentale per il risultato complessivo. La trasformazione era indotta materialmente da una doccia di vegatron attenuato, in grado di modellare la sostanza organica. Normalmente, un’esposizione di alcune ore garantiva un buon risultato, stabile per alcuni giorni, a condizione che la corporatura dei soggetti di partenza e di arrivo fosse simile. La macchina, infatti, era in grado di rimodellare, non di aggiungere o sottrarre materiale vivente. Tale caratteristica ne faceva anche un orrendo strumento di tortura, tra i più temuti. Era sufficiente programmare tra i dati di arrivo una statura notevolmente diversa da quella del soggetto da sottoporre al trattamento e un intervallo di trasformazione più breve del dovuto; il dolore che procurava era terribile e il limite di sopportazione molto basso. Non si aveva notizia di sopravvissuti.
Ma l’applicazione più frequente avveniva nel campo dello spionaggio e della guerra psicologica. In effetti, si trattava di un gioiello della tecnologia medico-militare veghiana, l’uso del quale era riservato a pochi elementi selezionati e appositamente addestrati. Ashura era fiero di essere tra questi. Egli possedeva al massimo grado le caratteristiche necessarie a servirsi del trasformatore in modo prolungato e ripetuto: abituato ad eseguire passivamente qualsiasi ordine senza porsi domande, si era esercitato fin da giovane ad annullare la propria personalità per risultare più convincente nell’assumere quella di coloro che interpretava. Passava da un’identità all’altra con indifferenza, attento solo al risultato finale. Era capace di introiettare in profondità le informazioni a disposizione, senza mai lasciarsene coinvolgere emotivamente. L’unica cosa che risvegliava il suo genuino interesse era la sofferenza che aveva imparato ad infliggere, in tanti anni di addestramento. L’orrore e la follia che si impadronivano delle sue vittime, quando si vedevano tradite da qualcuno di cui si fidavano, lo portavano al limite del godimento. Quanti ne aveva visti impazzire, mentre li torturava indossando la maschera di un amico, di un fratello… Quanti ne aveva spinti al suicidio… Lady Gandal lo aveva notato proprio per questo e lui era stato oltremodo orgoglioso della possibilità di lavorare alle sue dipendenze dirette. L’ingegno crudele di quella donna lo affascinava. Quando gli veniva ordinato di eseguire gli interrogatori nella camera a specchi, sapeva bene che dietro ad una di quelle finte pareti c’era lei. Poteva immaginarla esaltarsi ad ogni colpo che infliggeva, ad ogni urlo che strappava; addirittura, in quei momenti, più d’una volta, aveva osato fantasticare di alzare gli occhi su di lei… Naturalmente, nei fatti, si limitava a godere dell’onore di essere considerato un servo fidato e capace e si sforzava di compiacerla, prolungando all’estremo quegli spettacoli.


Ashura controllò i dati. Erano molto accurati… La trasformazione sarebbe stata perfetta. Non ebbe dubbi: la principessa sarebbe caduta facilmente nell’inganno!


Le porte si erano appena richiuse dietro il ragazzo. Zuril era solo.
Un tremito di ilarità selvaggia si impadronì di lui, incontrollabile. La risata gli saliva da dentro, sorda, ma irrefrenabile. Si dovette appoggiare con entrambe le mani alla scrivania e finalmente poté darle sfogo, gettando il capo all’indietro.
Non riuscì a trattenere un gesto teatrale, all’indirizzo del generale assente: “Gandal!”
Rise di nuovo. “Gandal! Proprio tu! Il luogotenente di ferro! Il milite incorruttibile!”
Si dovette interrompere per ridere ancora.
“Il servitore fedele…” La risata divenne un ghigno di scherno. Non se lo sarebbe mai aspettato: il generale tradito da se stesso… e traditore del suo re! Tra i tanti pretesti che avrebbe potuto accampare per denigrare il suo rivale agli occhi di Vega, questo proprio non l’avrebbe mai messo in conto. Ed era ben più che un pretesto. Sarebbe stato capace di trarne vantaggio. E senza perdere tempo.
-continua-

Qualche commento? Qui, prego...
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-capitolo 7-
“Cosa?”
La donna si voltò inviperita. “Come osi anche solo pensare una cosa del genere?” lo investì sdegnata. Come è riuscito a saperlo?
Il ministro si limitò a guardarla da sotto in su.
“Questa spregevole calunnia ti costerà cara, Zuril!” inveì lei. Quel tecnico! Deve averglielo detto lui, mentre ero incosciente.
L’uomo continuava a tacere. Il computer oculare analizzava ogni minimo cambiamento di tono della moglie del generale.
Ma le scansioni le ho fatte distruggere sotto i miei occhi! “E’ la tua parola contro la mia!” gridò lei esasperata.
Il Ministro delle Scienze sogghignò soddisfatto e passò al contrattacco: “Pensi che sarebbe difficile insinuare il dubbio presso chi di dovere?” osservò. “E convincerlo a sottoporti ad un’altra scansione…?” continuò freddamente.
La donna impallidì.
“Potresti sottrarti?” incalzò il ministro. “Ammetteresti forse di avere qualcosa da nascondere…?” concluse suadente.
Lady Gandal gli voltò le spalle e abbassò il mento sul petto.
Maledetto. Ti ucciderò con le mie mani!
Poi rialzò la testa di scatto, senza guardarlo: “Che cosa vuoi?”
“Questa missione… sento che avrà successo” sogghignò il ministro. “Voglio la mia parte!”
La donna fremette.
“Innanzitutto, le coordinate del quadrante operativo…” concluse lui.

***



L’alba era radiosa. Tanti filamenti di lanugine rosea affollavano il cielo man mano che diventava più luminoso.
Le grandi vetrate della sala comune del Centro Ricerche lasciavano ammirare lo spettacolo. I ragazzi erano già tutti in piedi.
“Ecco, vi ho portato del caffè caldo” disse Hikaru, porgendo a Koji il vassoio.
“Ah, grazie” rispose lui. “Avanti Maria, bevilo. Ti si schiariranno le idee” aggiunse, sorridendo alla ragazza.
Lei lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
“Ma io…”
“Coraggio, perché non provi a dirci che cosa ti è successo?” riprese lui.
“Be, non lo so neanch’io di preciso. Credo di aver fatto uno strano sogno, è solo che…”
“Un sogno?” la incoraggiò Koji.
“Sì, prima c’è stato come un balenare di lampi e poi un tuono fortissimo che mi ha spaventata. Forse è stato quello a…”
“Ma non è possibile! Stanotte è stato sempre sereno, si vedevano perfino le stelle” la interruppe il ragazzo.
Maria rimase senza parole.
“Ma che cosa hai sognato?” intervenne Hikaru.
“Mio padre che veniva fatto prigioniero dalle truppe di Vega…” cominciò a spiegare Maria con la voce che le tremava.
L’amica si portò una mano alla bocca, soffocando un’esclamazione.
“Poi lo rinchiudevano dentro uno dei loro mostri e lo inviavano qui sulla Terra.”
“Era soltanto un sogno, Maria!” affermò deciso il fratello.
“Sì hai ragione, ma tutte le premonizioni che ho avuto finora, prima o poi si sono sempre avverate!” reagì lei spaventata.
Anche quella volta, come sempre, a Daisuke bastò chiudere gli occhi un istante, perché le immagini lo assalissero vivide e le grida tornassero a tormentarlo: tutti fuggivano terrorizzati, inseguiti dalle esplosioni… ovunque il fumo, il bagliore sinistro degli edifici in fiamme… il ghigno satanico dell’ufficiale che finiva sua madre e trafiggeva suo padre, lasciandolo agonizzante. Lui aveva potuto raccogliere appena le sue ultime parole, quel testamento tremendo, poi il re di Fleed era spirato tra le sue braccia…
Fu solo un istante, riaprì subito gli occhi: “Maria, nostro padre e nostra madre morirono durante la distruzione di Fleed, lo sai” le ricordò Daisuke, paziente.
“Forse invece sono riusciti a scappare, proprio come abbiamo fatto noi due!” insisté lei.
“Maria! Dimentica quello che è successo ieri notte, era soltanto un incubo!” troncò bruscamente il fratello.
Nessuno riuscì ad aggiungere altro. Dopo qualche minuto, fu Daisuke stesso a rompere il silenzio.
“E’ da tanto che non ci concediamo un po’ di svago” riprese in tono leggero. “Perché non andiamo a trovare Danbei alla fattoria?”
“Va bene!” approvarono Koji ed Hikaru contenti. Anche Maria accettò, ma con scarso entusiasmo.


La grande cucina era calda e accogliente. Il profumo delle leccornie che il padre di Hikaru aveva preparato, metteva tutti di ottimo umore. Non si ritrovavano insieme davvero da tanto; un pomeriggio spensierato avrebbe giovato a tutti.
“Daisuke, mangia con calma! Allora, che ve ne pare?” volle farsi lodare il vecchietto.
“Ah, eccellente! Ne voglio ancora!” si intromise Koji, senza complimenti.
“Così mi piaci! Ma non starai esagerando?” sgranò gli occhi Danbei.
“Macchè, ho una fame!” biascicò di rimando il ragazzo, senza smettere di ingurgitare.
“Bene. Forza Goro, datti da fare!”
Il ragazzino era impegnato a cuocere certi dolcetti soffici, che piacevano tanto ai suoi amici.
“Sì, certo papà.”
Appena l’impasto toccava la superficie della piastra rovente, subito si gonfiava; a volte addirittura scoppiava, prima di essere cotto a puntino. Uno dei dolcetti in cottura aveva assunto la forma di una pelata ampia e spaziosa, perfettamente liscia e tondeggiante…
“Guarda, papà! E’ identico a te!” rise malizioso il bambino.
“Non dire idiozie!” si stizzì il padre.
“Basta!” li interruppe Hikaru.
“Scusa, ma era uguale…” insisté il monello.
A quell’uscita anche Daisuke rise di gusto. Danbei montò su tutte le furie: “Daisuke! Cos’hai da ridere?!?” tuonò. Ma riuscì a tenere il punto soltanto per pochi secondi, poi all’improvviso strillò divertito lui stesso: “Stavo scherzando!”
Tutti scoppiarono a ridere e andarono avanti per parecchio. Le voci si accavallavano allegre, su tutte spiccava quella chioccia di Danbei, che presiedeva entusiasta il banchetto, incoraggiando i ragazzi a rimpinzarsi senza ritegno.
“Tieni, Koji!”
“Su Hikaru, coraggio, prendine ancora!”
“No, o finirò per ingrassare. Piuttosto tu Maria…” rispose la figlia, voltandosi verso l’amica. La ragazza, però, rimase in silenzio. In quel momento, anche gli altri si girarono a guardarla e fu allora che si resero conto che finora non aveva preso parte all’ilarità generale.
“Maria!...” la chiamò il fratello, mettendole con affetto una mano sulla spalla.
In quel momento di udì il bip del bracciale cercapersone.
“Qui Daisuke. Ti ascolto padre. Che cosa c’è?”
La voce di Umon gracchiò concitata dal trasmettitore: “Si sta avvicinando un ufo, rientrate subito alla base!”
“Sì!” rispose suo figlio scattando in piedi. Maria sembrava ancora persa nei suoi pensieri: “Forse, il sogno che ho fatto…”
Daisuke si congedò a nome di tutti: “Grazie di tutto Danbei, ma adesso purtroppo dobbiamo andare.”
“Be’, con i miei piatti avete fatto il pieno di energia” replicò compiaciuto il vecchietto. “Ora potete fare qualunque cosa!” esclamò soddisfatto.
“Tornate a trovarci!” strillò Goro, mentre i quattro ragazzi erano già sulla porta.
“Certo! A presto!” gli risposero tutti.

***



“Ains?”
“Comandi signore!”
Il ragazzo si chiese con ansia se fosse arrivato il momento di partire per Vega, mentre scattava sull’attenti davanti al ministro.
“Preparati subito. Tornerai sulla Terra ad occupare la postazione avanzata da dove sei stato recuperato.”
Ains lo guardò a bocca aperta, incapace di cogliere il senso di quelle parole. Ma subito si riebbe ed osò replicare: “Signore, ho fatto quello che lei mi ha chiesto. Mia madre sta male e…”
Un colpo in faccia gli tolse la parola. D’istinto si portò la mano alla guancia e la ritrasse striata di sangue, mentre il frustino vibrava ancora nelle mani dell’uomo, davanti a lui. Il ministro gli si era avvicinato ed ora lo sovrastava, dall’alto della sua statura imponente: “Cosa credi, che questo sia un sanatorio?”
Ains lo fissò stralunato.
“Tornerai sulla Terra e ti terrai pronto ad eseguire ogni mio ordine. Se porterai a termine tutto nel modo migliore, otterrai la ricompensa che ti spetta. Ma bada! Se oserai fare di testa tua, c’è qualcuno che pagherà al tuo posto. Pagherà duramente.”
Il ragazzo si sentì sprofondare nell’orrore. L’uomo lo guardò ancora un istante, ghignando tra sé. Mio figlio ha perso la vita per salvare la mia. Vedremo se tu sarai capace di fare di meglio… Infine lo congedò secco: “Puoi andare.”


***




Nella sala comando del Centro Ricerche, la tensione era palpabile. Cinque paia di occhi seguivano attente la traiettoria di un puntolino rosso sul monitor principale.
“Come vi ho detto, si sta spostando lungo la rotta blu 1-8-6” scandì concentrato il professor Umon.
“Bene, andiamo!” esclamò Koji, scattando verso la porta.
“Aspettate!” lo bloccò Daisuke. “Gli andrò incontro io. Voi tenetevi pronti ad intervenire.” Era già sulla soglia, quando si rivolse ansioso all’amico: “Koji, pensa tu a Maria. Va bene?”
“Sì, certo!” rispose pronto il ragazzo, mentre l’altro già divorava il percorso verso l’hangar di Grendizer.
Il rombo del disco in uscita dalla base distrasse per un istante tutti i presenti. Maria ne approfittò in un lampo. Il fruscio delle porte scorrevoli mise Koji in allarme. Si girò appena in tempo per vederla dileguarsi nel corridoio: “No, aspetta, dove vai? Accidenti!”
Lei continuò a correre a testa bassa, ignorandolo. In un attimo saltò ai comandi del modulo di trasporto.
“Maria! Tuo fratello ci ha chiesto di restare alla base! E’ preoccupato per te, possibile che tu non lo capisca?”
Maria non lo ascoltava. Ormai era quasi arrivata alla Trivella Spaziale.
“Maria!” gridò Koji esasperato.
Perdonami, Koji.
“No, fermati, non andare!”
“Trivella Spaziale, avanti!”
Fa sempre di testa sua! Intanto, anche lui aveva guadagnato la cabina di pilotaggio del suo mezzo da combattimento. “Double Spacer, avanti!”
I due velivoli lasciarono la base a breve distanza l’uno dall’altro. Koji cercò di inserirsi nella scia della Trivella Spaziale, per essere sicuro di non perderla di vista.


L’orizzonte si apriva ampio al di sotto di Grendizer. Gli strumenti di bordo tenevano la rotta verso il nord. Daisuke cercava di concentrasi nella perlustrazione, ma non poteva fare a meno di ripensare allo strano racconto della sorella. Il sogno di Maria… finora le sue visioni sono sempre divenute realtà… ma come mai le è apparso nostro padre?
Le parole della ragazza gli risuonavano nella testa insistenti: “Ieri notte c’è stato un lampo abbagliante…”
Corrugò la fronte, tormentato da una sottile inquietudine. Maria era stata così sicura: “Io ho sognato mio padre che veniva catturato dai soldati di Vega!”
Catturato da Vega… ma nostro padre morì quando Maria era ancora una bambina. Cosa può significare quel sogno?

Il filo dei pensieri si spezzò all’improvviso. Un disco spaziale si materializzò davanti a Grendizer a distanza ravvicinata e subito si aprì, rivelando un mostruoso umanoide dall’aspetto simile a quello di un pipistrello. Il braccio sinistro terminava con temibili artigli; il destro portava un’ascia bipenne innestata direttamente sull’arto.
“Lame rotanti!” reagì Daisuke fulmineo. Il mostro schivò il primo colpo e gli si fece sotto, brandendo minaccioso l’ascia al di sopra della testa di Grendizer.
Daisuke tentò un’altra mossa: “Pioggia di fuoco!”
In quel mentre, comparve inattesa la Trivella Spaziale. Appena fu a distanza tale da mettere a fuoco il nemico, Maria impallidì mortalmente: “Ma quel mostro è lo stesso che ho sognato ieri notte !” urlò sgomenta.
Daisuke continuava a tenerlo in scacco: “Tuono spaziale!”
“Duke! Non distruggerlo, ti prego! Sono certa che dentro quel mostro di Vega è rinchiuso nostro padre!” gridò disperata la ragazza.
Il tono di voce della sorella, più delle sue parole, scossero Daisuke nell’intimo: “Nostro padre? Maria, ma…” quasi gemette.
Bastò quell’istante a ribaltare la situazione. Il mostro lo attaccò frontalmente e lo avvinghiò con i tentacoli che gli fuoriuscivano dal petto. Tenendolo immobile, lo tramortiva con potentissime scariche. Nel frattempo, era sopraggiunto anche Koji.
“Duke!” La voce di Maria vibrò acuta nei comunicatori dei due ragazzi. Di rimando, si udirono le grida di suo fratello. Daisuke si aggrappava al braccio ferito, quasi volesse strapparselo: il dolore era insopportabile.
Angosciata per aver causato quella distrazione fatale, Maria cercò di aiutarlo: “Missili perforanti!” I due razzi si staccarono dalla Trivella Spaziale e centrarono in pieno il bersaglio, liberando momentaneamente Grendizer dal contatto diretto col mostro. Ma a Duke non bastò per riuscire a riprendersi. Incapace di trattenersi, continuò a gridare, in preda alla tortura del braccio ferito, premendolo forte con la mano sinistra. Perso del tutto il controllo, non poté evitare l’avvitamento.
“Oh no!” Maria gemette, vedendo che il robot di Duke era ormai in caduta libera. Ma ciò che vide un istante dopo la sconvolse completamente. Il mostro di Vega le stava piombando contro in picchiata, attaccandola dal lato sinistro. In quel momento fu sicura di non avere più scampo.
-continua-

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-capitolo 8-
La voce di Lady Gandal impartì un ordine secco al pilota del mostro: “Ashura! Combatterai dopo. Limitati a farti vedere da Maria e poi ritirati, come stabilito!”
Il comandante veghiano eseguì l’istruzione prontamente: abbassò le armi e proseguì la picchiata contro il velivolo di Maria, fin quasi al limite della collisione. In quell’istante, riuscì ad incrociare lo sguardo della ragazza. Alcune frazioni di secondo più tardi si era già allontanato, dopo averla evitata d’un soffio.
Maria si sentì mancare: “Quello era mio padre! Era senz’altro lui, ne sono certa!” gridò sconvolta.
La voce di Koji cercò di riportarla alla realtà: “Maria! Ma che cosa stai facendo? Dobbiamo aiutare Daisuke, presto!” Ma lei rimase inerte; riuscì soltanto a seguire con lo sguardo il mostro nemico, che si dileguava rapidamente.


Le luci dell’infermeria erano state abbassate. La grande lampada operatoria concentrava un fascio di luce sul braccio destro di Daisuke. Il ragazzo giaceva ad occhi chiusi, semi incosciente, mentre il medico esaminava la piaga. Maria, Hikaru, Koji, Umon tacevano preoccupati in attesa, tutti in piedi intorno al lettino.
“Allora dottore, come sta?” si decise a chiedere il professore.
“Be’, ecco, la ferita al braccio si è estremamente aggravata a causa dell’ultima esposizione alle radiazioni vegatron. Predisporrò tutto per iniziare immediatamente il trattamento con i raggi” rispose il medico.
Umon annuì in silenzio. Poi sospirò, col volto aggrottato: “Koji!”
“Sì, professore?”
“E’ necessario che io torni all’osservatorio. Qualunque cosa succeda, tienimi informato, d’accordo?”
“Certo.”
Dopo che Umon ebbe lasciato la stanza, passò un lungo momento. Hikaru sembrava impietrita: immobile ai piedi del letto di Daisuke, si stringeva le braccia intorno al corpo, come a ripararsi dal freddo. Lei aveva seguito la battaglia via radio, da terra, e ad ogni suo grido aveva creduto di perderlo; ma forse, quello che l’aveva scossa più di tutto era stato il silenzio del professore: quasi una conferma del suo presagio luttuoso. Adesso era grata che lui fosse tornato, le sembrava un miracolo, ma un miracolo fragile, destinato a dissolversi da un momento all’altro… Mordendosi nervosamente le labbra, teneva lo sguardo fisso sul ragazzo, quasi a controllarne il respiro.
Anche Koji, addolorato, taceva.
“Scusa, è stata colpa mia” disse Maria con un filo di voce, facendosi più vicina al fratello.
“No, non pensarci” le rispose Duke, a fatica. “Piuttosto, che ne è stato del mostro di Vega?”
“Secondo Hayashi era nei pressi del punto 0-5-4, quando è scomparso improvvisamente”, rispose Koji, con evidente sollievo. Daisuke riusciva ancora a darsi pensiero di dove fosse il nemico.
“0-5-4? Ma è a Hokkaido!” esclamò lui.
“Duke, andrò io laggiù a controllare!” affermò impetuosa Maria.
“Non se ne parla!” la gelò subito il fratello. Avrebbe voluto convincerla a desistere da quel proposito assurdo parlandole con affetto, spiegandole tutta la sua preoccupazione per lei; per questo, con grande sforzo, aveva sollevato la mano sinistra e l’aveva appoggiata sulla spalla della ragazza, paterno, ma poi le parole gli erano venute fuori dure e ultimative.
“Ma era lo stesso mostro di Vega che ho visto nel mio sogno!” si disperò lei, alzando la voce. “E poi, mentre combattevamo… è stato solo un attimo, ma credo… anzi, sono certa che a bordo di quel mostro ci fosse nostro padre!”
“Cosa?” reagì Daisuke sconvolto. A quella notizia, tutti rimasero sbalorditi e trattennero il fiato insieme con lui. Poi Daisuke richiuse gli occhi e girò la testa di lato. Senza guardare la sorella, ripeté stancamente: “Maria, nostro padre morì quando il pianeta Fleed venne attaccato e distrutto…”
“Però io l’ho visto!” insisté ancora lei, sull’orlo del pianto.
“Ti prego!” gemette rauco il fratello.
Hikaru fremette, senza osare dir nulla. Ma non si rendeva conto Maria? Non si rendeva conto che Daisuke se ne stava andando? Che ogni istante di vita, ormai, era prezioso? Aveva bisogno di pace! Come poteva essere così cieca? Perché non smetteva di tormentarlo?
Ora la ragazza gli si era inginocchiata accanto e gli parlava quasi all’orecchio. Il tono era ancora di supplica, ma si era fatto più quieto e sommesso.
“Ascolta Duke, io ero molto piccola allora e purtroppo non posso ricordare che aspetto avesse nostro padre, ma quello dentro al mostro di Vega era esattamente identico alla persona che mi è apparsa in sogno e che mi chiedeva aiuto! E’ per questo che sono sicura che all’interno di quel mostro sia stato rinchiuso nostro padre!”
Le immagini della battaglia le apparvero vivide, fino al momento in cui gli occhi di quel vecchio, severi e benevoli insieme, l’avevano fissata in una muta richiesta d’aiuto. Ne era sicura: era lui! Era il suo genitore perduto! Altrimenti, perché cercare proprio lei, perché chiamarla in quel modo? Di sicuro, era il legame di sangue a gridare così nella sua testa.
“L’ho visto con i miei stessi occhi!” concluse affranta.
Il fratello però non cedette: “Impossibile.”
Tutti tacquero costernati. Daisuke rimaneva ad occhi chiusi, la fronte aggrottata; respirava piano, spossato dalla discussione. Nel silenzio generale, la voce di Koji risuonò del tutto inattesa.
“Be’… visto che Maria è convinta che quello rinchiuso nel mostro sia vostro padre, uscirò insieme a lei in ricognizione.”
“No Koji, aspetta!” gridò all’improvviso Daisuke, spalancando gli occhi e tendendo la mano verso di loro. “Non dovete andare, le truppe di Vega ci hanno teso una trappola!”
“Non preoccuparti, staremo in guardia”, gli replicò l’amico deciso. “E proteggerò Maria anche a costo della vita!”
“No, non andate!” Voi non dovete morire! Scosse la testa disperato.
Koji cercò di tranquillizzarlo: “So bene che può essere rischioso, ma è giusto che Maria veda con i propri occhi se quello era veramente vostro padre”, affermò sicuro. “Tua sorella non è tipo da fare capricci. Se è convinta di aver visto il re di Fleed a bordo di quel mostro di Vega, allora voglio andare anch’io con lei a verificare.”
Daisuke chiuse gli occhi di nuovo. Era vero. Maria non era più una bambina: quella guerra maledetta aveva cambiato anche lei! O forse, era solo cresciuta. Lo aveva già constatato più volte: aveva imparato il gioco di squadra, non era più la ragazzina incosciente e indisciplinata dei primi tempi… Quell’insistenza non poteva essere solo frutto di un’irragionevole impuntatura.
Hikaru non riuscì a trattenersi: “Ma Koji! Voi… dovete ascoltarlo!”
Koji era ormai inarrestabile: messa da parte ogni esitazione, continuava a rivolgersi a Daisuke, schietto e diretto, ignorando la protesta di Hikaru: “Anche a te piacerebbe poter credere che vostro padre non sia morto, non è così? Ecco, per Maria è la stessa cosa. E inoltre, pensa se davvero lui fosse vivo e tenuto prigioniero dalle forze di Vega: tua sorella è così giovane, per lei sarebbe un dolore troppo grande da sopportare!”
E senza aspettare risposta, si avvicinò veloce a Maria, la prese per mano e la fece rialzare: “Andiamo Maria!” esclamò, tirandola con sé verso la porta.
Daisuke sollevò il busto di scatto, provando ad alzarsi, ma il dolore lacerante alla spalla lo bloccò. Il respiro gli si spezzò e dovette stringere i denti per non gridare.
“Koji! Aspettate!” tentò di trattenerli Hikaru, cercando anche, senza successo, di convincere Daisuke a sdraiarsi di nuovo.
“No…” disse lui con voce tremante. “No.” Sudava per lo sforzo di controllarsi, mentre provava a recuperare la calma. “No, lasciali andare” riprese dopo alcuni secondi, leggermente più padrone di sé. “Forse Koji ha ragione e anch’io, nel fondo del mio cuore, conservo ancora un barlume di speranza…”
Il passato lo assalì prepotente: gli tornarono vive davanti agli occhi le immagini del giorno in cui i veghiani avevano cercato di farla finita con lui, immergendo il coltello nella stessa piaga che ora faceva sanguinare il cuore di Maria. Si trovava su Fleed, ma aveva la sensazione di essere piombato in un incubo. Non sapeva spiegarselo: le vie, gli edifici, ogni cosa era al suo posto; da lontano, sulla collina, poteva scorgere perfino il familiare profilo del palazzo reale, ma allo stesso tempo nulla poteva essere come sembrava… Fleed era stato distrutto! Infatti, le strade di quella strana città erano completamente deserte. Tutti erano morti… All’improvviso, in quel vuoto pauroso, era comparsa la figura flessuosa e morbida di sua madre; gli andava incontro e lo invitava a fare altrettanto; lo attraeva a sé irresistibilmente…
All’abbraccio dolce di Hikaru, le parole gli vennero fuori spontanee: “Quella volta, quando mia madre che sapevo essere morta si avvicinava a me, pur sapendo che era impossibile riaverla viva e che doveva trattarsi di una trappola, non potevo fare a meno di correrle incontro.”
Un’esplosione dal bagliore accecante aveva dissolto quella fascinazione malvagia. Daisuke continuò a guardare fisso davanti a sé, perso in quel ricordo doloroso.
“Sapevo che quella donna non era mia madre, ma speravo con tutte le forze che lo fosse!” aggiunse abbassando gli occhi. “L’amore per i genitori è eterno...” Una fitta più forte gli tolse il fiato, strappandogli un gemito: “La ferita… mi fa male.”
“Oh Daisuke! Ti prego! Devi riposare…” Hikaru lo tenne abbracciato, sperando che si calmasse, finché il medico rientrò e annunciò che avrebbe cominciato subito il trattamento. Quella volta l’esposizione al vegatron era stata più intensa del solito e la procedura di stabilizzazione avrebbe richiesto diverse ore più del normale. Probabilmente sarebbe durata tutta la notte.
Hikaru avvertì il professore, poi si preparò a restare vicina al ragazzo.


Il Double Spacer e la Trivella Spaziale volavano paralleli. Tra le nubi rade si intravedevano lembi di terra emergere scuri dall’azzurro intenso del mare. Sempre più spesso le isole apparivano qua e là chiazzate di bianco. La prima neve aveva già coperto i rilievi e man mano che procedevano verso nord, il manto candido diventava sempre più ampio e continuo.
“Il mostro di Vega era qui prima di scomparire” osservò Koji.
“Sì, ma dove ci troviamo?” gli rispose Maria.
“Stiamo sorvolando la penisola di Shatodara, Hokkaido.”
“Ehi! Ma è vicino al rifugio di Ains e di sua madre!” esclamò la ragazza.
“Sì, è la stessa zona. Ma a questo penseremo più tardi, Maria.”
Continuarono per un po’ la perlustrazione in silenzio, quando il ronzio uniforme dei motori fu interrotto dal crepitare degli strumenti di bordo della Trivella.
Maria reagì spaventata: “Rilevo del vegatron! Attenzione!”
“Mantieni la calma, Maria. Atterriamo!” ordinò lui sicuro.
I due velivoli planarono velocemente, posandosi al centro di un altopiano innevato. I ragazzi balzarono fuori e subito si riunirono. Koji si guardò intorno con circospezione: “Laggiù c’è qualcosa di sospetto.”
“Guarda! E’ l’ingresso di una caverna!” esclamò Maria eccitata.
“Sembra enorme…” replicò lui, preoccupato.
“Avanti, andiamo a dare un’occhiata!” lo spronò lei.
I ragazzi si avvicinarono all’imboccatura della grande cavità naturale. “Ho un brutto presentimento” si impensierì Koji, mentre ne varcavano la soglia.


Il raggio fluiva continuo, spandendo una debole luminescenza rosata sul braccio di Daisuke. Per aiutare il ragazzo a resistere, erano stati costretti a immobilizzarglielo con una fascia rigida. Lui cercava di controllare il respiro, ma nonostante tutti gli sforzi, ogni tanto gli sfuggiva un lamento.
“La prego dottore, faccia presto” disse tra i denti. “Aumenti l’intensità.”
“Non dire assurdità! Se lo facesse si avrebbe l’effetto contrario e la ferita finirebbe per aggravarsi.” Raramente Umon parlava a suo figlio così duramente. L’estrema tensione stava mettendo alla prova anche lui.
“Ma Koji e Maria sono in grave pericolo!” esclamò Daisuke con voce rotta.
“Figliolo, ti prego…” riprese il padre, raddolcendosi.
Un grido del giovane lo interruppe.
“Daisuke, se non mi dai la possibilità di stabilizzare la ferita e questa dovesse peggiorare, non resterebbe altra scelta che ricorrere all’amputazione” osservò preoccupato il dottore.
Hikaru, seduta sul divanetto vicino alla porta, alzò la testa di scatto e si coprì il volto con le mani. Quando le ritrasse, vide che Daisuke aveva smesso di fare resistenza e aspettava paziente che la seduta finisse. Soltanto gli spasmi che ogni tanto gli contraevano i muscoli, mostravano quanto stesse soffrendo. Lottava con tutte le forze contro il dolore invadente. Avrebbe superato anche quella prova. Doveva superarla. Maria e Koji avevano bisogno di lui.
“Su, coraggio, cerca di resistere” lo accarezzò la voce di suo padre.


Uno stormo di pipistrelli volò via stridendo, disturbato dall’intrusione nel loro rifugio. Koji sobbalzò; Maria, invece, non li notò nemmeno; avanzava decisa nella penombra che si infittiva, man mano che si allontanavano dall’ingresso. Era divorata dall’impazienza.

-continua-

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-capitolo 9-
“E’ identica alla caverna che ho visto nel mio sogno” disse con sicurezza.
“Dici davvero?” fece Koji con interesse.
“Eh?!?” La ragazza si bloccò di colpo: “Ascolta Koji, lo senti anche tu?” sussurrò.
“Cosa? Io non sento nulla.” Il ragazzo rimase perplesso.
“Io sento una voce!”
“Maria, Maria! Tuo padre è quaggiù: presto! Vieni a salvarlo!”
Quella voce di donna! La stessa che aveva udito la notte del sogno! Adesso era un sussurro che sembrava scaturire da ogni fessura della roccia, come un fumo impalpabile che man mano la avviluppava tra le sue spire. Diventava sempre più vibrante, caldo e suadente come il canto di una sirena... Maria ne era ammaliata; si sentì invadere da una sottile, elettrizzante euforia: irresistibile! Ora udiva la voce rimbombare per tutto l’enorme spazio oscuro della caverna, o forse solo nella sua testa, come un’eco imperiosa e avvolgente.
“Hai sentito?! Hai sentito?!?” chiese ansiosamente al suo compagno.
“No Maria, continuo a non sentire nulla” rispose Koji stupito.
“E’ laggiù!” gridò all’improvviso la ragazza e scattò di corsa in avanti.
“Ferma! Dove vai?” Koji prese ad inseguirla nel buio insidioso del budello di roccia. “Aspetta, Maria!”
Alla fine di un interminabile corridoio, Maria sbucò trafelata in una enorme camera sotterranea. Sulla parete di fondo, leggermente al di sopra del livello del suolo, era incatenato un uomo di statura imponente. Al rumore dei passi della ragazza, alzò di scatto la testa canuta e la vide.
Maria gemette, fuori di sé dallo stupore: “No…!”
L’uomo strinse i pugni, scuotendo le catene che lo imprigionavano.
“Sei proprio tu Maria?” mormorò incredulo, scrutando la figura sottile che era emersa dal buio.
Maria si portò le mani al volto: “No! Non è possibile!”
“Sì invece! Sono proprio io, il re di Fleed, tuo padre!”
La ragazza cadde in ginocchio, sopraffatta dall’emozione: “Padre!” Allora eri tu nel sogno, non mi ero sbagliata! Non mi sembra vero: mio padre è vivo!”
Maria scoppiò a piangere, poi si rialzò in fretta e si gettò verso di lui a braccia tese, come per raggiungerlo prima: “Padre!”
“No, aspetta!” le gridò Koji, afferrandola per un gomito.
“Koji!” si voltò lei risentita.
“E tu chi saresti? Perché l’hai fermata?” intervenne il vecchio.
“Chi sei tu piuttosto?” replicò Koji, senza timore.
“Come osi parlarmi così?” tuonò l’uomo incatenato. “Io sono il re del pianeta Fleed, il padre di Maria.”
Koji non si lasciò intimidire: “Può darsi che il tuo aspetto sia uguale a quello del re di Fleed, anche perché io non l’ho mai visto…” ribatté spavaldo. “Ma come facevi a sapere che lei è Maria?” lo incalzò. “E’ passato molto tempo e nemmeno suo fratello Duke l’aveva riconosciuta subito, la prima volta che si sono incontrati qui sulla Terra. Quando vi separarono, Maria era appena una bambina, tanto che non ricorda nemmeno che faccia avesse veramente suo padre. Adesso è cresciuta ed è cambiata molto da allora. Come fai a dire che questa ragazza è veramente Maria?” concluse indagatore.
L’impercettibile esitazione nella risposta non sfuggì al ragazzo, rafforzandone il sospetto.
“Io… l’ho capito dai suoi occhi” ribatté il vecchio. “Quelli sono gli occhi di mia figlia Maria” rincarò. “Ne sono assolutamente sicuro!”
“Pensi che questo basti a convincermi?”
Maria si intromise, molto agitata: “Koji, ma cosa dici?” Lui la teneva sempre ben stretta per un braccio; allora lei gli premette una mano sul petto per liberarsi e insisté angosciata: “Non perdiamo tempo, dobbiamo liberare mio padre!” Uno strattone più forte e si slanciò verso la figura legata.
“Maria! No!” le gridò dietro Koji.
“Maria, fidati di me! Liberami da queste catene, prima che…” la supplicava di rimando il vecchio.
“Certo padre!”
“No! Aspettiamo che arrivi Daisuke!” prese tempo Koji, riuscendo a bloccarla di nuovo. Ma lei si divincolò e gli sottrasse la pistola laser dal fianco. Sempre lottando con Koji, che cercava con tutte le forze di farla desistere, si avvicinò ancora un po’ al re di Fleed e centrò con un colpo una delle catene, liberandogli un polso.
Koji non si diede per vinto: “Ferma!”
“Koji! Che fai? Lasciami! Devo salvare mio padre, non lo posso abbandonare qui!” gridava lei disperata. La furia le moltiplicava le forze. Ad un tratto, anche Koji perse il controllo: “Basta!” e la colpì con un pugno allo stomaco.
Lei cadde in ginocchio, senza fiato. In quell’istante, la terra tremò minacciosamente; alcune schegge di roccia si staccarono dal soffitto e li investirono.
“Oh no! Rischiamo di rimanere intrappolati qui dentro!” disse Koji, chinandosi rapido a prendere in braccio Maria e affrettandosi verso l’esterno.
L’uomo, rimasto legato per un braccio alla parete, prese a scuotere freneticamente l’anello d’acciaio che lo bloccava, mentre un rombo sordo saliva spaventoso dalle viscere della terra. Il terrore di finire sepolto lo fece gridare: “Lady Gandal! Mia signora!”

***



“Dannazione! Eravamo ad un passo dal prendere in ostaggio Maria Fleed!” sibilò la moglie del generale. Per alcuni lunghi secondi, la donna rifletté sul da farsi, incurante delle grida d’aiuto che provenivano dalla caverna. Si avvicinò lentamente alla consolle di comando e si sedette, proprio mentre lo schermo centrale cominciava a rimandare l’immagine del disco di Grendizer, che si avvicinava come un fulmine alla zona della grotta.
Solo allora Lady Gandal ruppe gli indugi: “Comandante Ashura! Grendizer si sta avvicinando. Presto, entra subito in azione con il mostro Gavig!” e premette un pulsante.

***



L’anello d’acciaio che serrava il polso del comandante Ashura scattò; il pavimento ai piedi della piattaforma rialzata dove si trovava sprofondò di alcuni metri, rivelando una cavità di dimensioni minori, al di sotto della camera principale della caverna. Il veghiano vi si calò e raggiunse il disco-mostro che vi stazionava nascosto, prese posto ai comandi e si sollevò fino alla volta dell’antro. Quindi, dal disco fuoriuscirono due bracci meccanici che cominciarono a trivellare vorticosamente la roccia, in verticale, verso l’esterno. In un turbine di scintille e di schegge impazzite, Gavig riuscì a guadagnarsi un’uscita, sulla cima della montagna.


Arrivata fuori, la nave veghiana decollò e raggiunse velocemente una quota superiore a quella di Grendizer. Quando quest’ultimo fu in vista, le valve di Gavig si schiusero e il mostro gli si gettò contro dall’alto con la forza di un missile. I sensori apicali dello Spacer permisero a Daisuke di accorgersi del pericolo appena in tempo per scartare bruscamente da un lato. Fallito l’attacco a sorpresa, il mostro terminò la discesa in posizione eretta e si posò a terra ad attendere il nemico.
Daisuke reagì prontamente. Tirò la leva alla sua destra e iniziò la manovra di sganciamento: “Grendizer, avanti! Grendizer, fuori!”
I due giganti si fronteggiarono per un istante. Daisuke cercò di non perdere la concentrazione, ma gli occhi di sua sorella gli apparvero all’improvviso pieni di lacrime e un brivido di sdegno rabbioso lo scosse: “Vigliacchi! Avete fatto soffrire Maria illudendola di essere riuscita a ritrovare suo padre!”
Il pilota nemico gioì maligno di quel cedimento: “Forza, uccidimi!” lo provocò. “Così Maria penserà che tu hai ucciso vostro padre!”
“Maledetto! Tra poco ti smaschererò!” gli urlò Daisuke di rimando. “Doppio maglio perforante!”
Ma Gavig schivò il colpo e riuscì ad abbrancarlo con i tentacoli. Cominciò a inondarlo di vegatron. Il pilota di Grendizer gridò di dolore. “La ferita!” ruggì, portandosi la mano alla spalla.
Ashura lo osservò attentamente attraverso i cristalli dell’abitacolo ed esultò: “Il braccio destro è il tuo punto debole. Con le mie fruste al vegatron te lo ridurrò a brandelli. Soffri! Sì, devi soffrire!”
Daisuke gridava in modo atroce, mentre il veghiano infieriva su di lui, ridendo senza ritegno del suo strazio.


In quel momento, Koji uscì di corsa dalla caverna portando in braccio Maria, priva di conoscenza.
“C’è Grendizer!” esclamò rincuorato. Subito tornò sui suoi passi e adagiò la ragazza al riparo tra le rocce, rientrando poco oltre la soglia della cavità naturale. Qui sarà al sicuro. Daisuke ha bisogno d’aiuto. Lo affiancherò con il Double Spacer.


Appena Koji si fu allontanato, mentre i due robot continuavano il loro corpo a corpo feroce, un piccolo veicolo che si muoveva su ruote gommate si avvicinò al punto in cui era nascosta Maria. La ragazza stava tornando in sé e ancora stentava a capire che cosa fosse successo, quando un’ombra scivolò furtiva nella grotta.
“Ains! Che ci fai qui?” si stupì lei, spalancando gli occhi.
“La mia casa è dietro quella macchia. Ho sentito dei colpi e sono venuto a vedere. Piuttosto tu, come sei arrivata di nuovo fin qui?” le rispose il giovane.
“Oh, Ains! Qui c’è mio padre!”
“Cosa?”
“Sì, sì! Mi devi aiutare! Lo devo raggiungere!” disse agitata, aggrappandosi a quella speranza.
“Vieni! Salta su!” la invitò il ragazzo, indicandole il veicolo fermo all’ingresso.
Lei scosse il capo stizzita: “Ma è nella caverna!”
“Allora cerchiamolo!” fece lui, seguendola all’interno.


Nel giro di pochi minuti, Ains tornò indietro portando la ragazza a spalla, esanime.
Perdonami Maria, perdonami Duke Fleed, se puoi… Anche tu faresti lo stesso per salvare tua madre… ma tua madre è morta! La mia invece… Rabbrividì pensando alle ferite sul corpo di lei.
Arrivato al veicolo, vi issò in fretta la ragazza e partì a tutta velocità dirigendosi verso il bosco.


Koji aveva quasi raggiunto il Double Spacer, quando fu assalito da un presentimento inquietante, qualcosa a cui non aveva affatto pensato. Dannazione! Se Maria si svegliasse prima del mio ritorno, nello stato in cui è, potrebbe fare qualsiasi sciocchezza. Devo portarla con me!
Tornò indietro di corsa, ma era già troppo tardi. Quello che vide lo gettò nella costernazione: Maria era scomparsa!
“Maria! Maria!”
Si guardò intorno disperato. Il casco della ragazza giaceva abbandonato sul terreno e una lunga striscia di impronte di pneumatici si dipartiva pressappoco da quel punto, in direzione della macchia.
“No! Noo! NOO!”
Koji si lanciò all’inseguimento, ma arrivato al limitare del bosco, realizzò che a piedi non l’avrebbe mai raggiunta. L’unica possibilità era sorvolare la zona. Si precipitò di nuovo verso il Double Spacer, decollò alla massima potenza e rapidamente prese quota. Dall’alto, individuò facilmente il veicolo alieno: stava attraversando un tratto in cui il bosco si diradava ed era ormai ad un passo da una radura. All’improvviso, Koji capì.
“No! No! Daisukeee!!! E’ una trappola! Il mostro è una trappola! Stanno rapendo Maria!” urlò nel comunicatore con quanto fiato aveva in gola, dirigendosi verso i due robot con l’intenzione di aiutare Grendizer a liberarsi.
“Co-cosa?” articolò Daisuke.
La voce dell’amico gli giunse flebile e incerta; la pioggia di vegatron lo stava riducendo all’impotenza, non riusciva più nemmeno a pensare.
“Ok, tocca a me!” si disse Koji, messo alle strette. Con un’ampia virata si riportò sopra la macchia.
In quel mentre, vide due figurette lasciare il modulo a ruote e correre a piedi verso il centro della radura. Esattamente sulla verticale di quel punto stazionava un disco, già pronto a risucchiarli con il raggio traente. Maria si divincolava disperata, ma Ains era più forte. Stavano per entrare nella circonferenza d’azione del raggio.
“Eccoli!” gridò Koji. “Lama ciclonica!”
Il colpo andò a segno e il disco fu costretto ad aumentare la distanza dal suolo. Il raggio traente si spense, ma l’equipaggio reagì al tiro bersagliando il Double Spacer con un potente laser. Koji gridò accecato. La battaglia si accese feroce: dal disco veghiano lanciarono una salva di missili contro il terrestre, facendolo sbandare paurosamente.
“Maledizione! Dobbiamo metterci a riparo!” imprecò Ains, mentre sopra le loro teste si scatenava l’inferno.
Un altro fascio di laser, più intenso del primo, centrò i motori del Double Spacer; il fuoco divampò inarrestabile; il velivolo terrestre perse rapidamente quota e finì per abbattersi al suolo, mentre quello veghiano balzò verso l’alto. Superata di poco la distanza di sicurezza, rimase in attesa sorvolando la zona, appena al di sopra del manto di nubi.
“Oh, no! Koji! No!” urlò Maria. Tra le lacrime pregò che si fosse salvato. “Koji! Koji! Koji!” continuò ad urlare, sperando con tutte le forze che fosse accaduto un miracolo.
“Sta’ zitta! Se è vivo non deve trovarci!” Per farla tacere, il ragazzo la afferrò per il bavero del giubbino torcendone i lembi, che le si strinsero intorno alla gola; lei si divincolò, cercando di liberarsi. Si udì uno schiocco leggero, come di qualcosa che si fosse spezzato. Maria si portò istintivamente la mano al petto: “Il medaglione!” mormorò. “Il medaglione reale!” pronunciò distintamente, guardandosi intorno con ansia. “Se dovessi diventare io il pilota di Grendizer…” si lasciò sfuggire, tra i denti. “Lo devo trovare assolutamente!” riprese più forte. Di nuovo, il ragazzo la strattonò con violenza, minacciandola con il disintegratore. Ma lei gli si rivoltò contro, con la forza della disperazione: “Ains, Ains! Che cosa è successo? Perché? Perché? Che ti hanno fatto? Noi ti abbiamo salvato la vita! Perché ci odi così?” esplose inorridita.
-continua-

La risposta a questa domanda arriverà... tra qualche giorno! Se qualcuno ha voglia di commentare, si può accomodare da questa parte:
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Intanto, buona Pasqua a tutti!
 
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-capitolo 10-
A quelle parole il ragazzo rimase immobile, folgorato. Per un attimo guardò il suo ostaggio negli occhi: nella corazza si aprì una crepa. Mesi di vita gli passarono davanti: rivide sua madre, commossa fino alle lacrime mentre gli parlava di Duke Fleed, di sua sorella e degli altri che l’avevano aiutato. Erano diventati la sua vera famiglia! E ora lui li stava tradendo spregevolmente. Ma lei era ancora nelle mani degli aguzzini! Il muro si sgretolò in un istante.
Ains diede un grido straziante, mollò la presa e cadde in ginocchio.
“Ains, Ains, che ti succede?” Maria lo scosse per le spalle. Mentre gli parlava così, lo fissò a sua volta. Finalmente, d’un tratto, la barriera che prima aveva reso opaco il suo sguardo crollò e lei poté oltrepassarla. Le si rivelò uno spettacolo orrendo: una figura informe, simile a un sacco, pendeva insanguinata da un muro, sospesa per i polsi ad un gancio. Sembrava priva di vita. Invece, all’improvviso, sollevava la testa e si voltava a guardarla: il volto era tumefatto, ma perfettamente riconoscibile. Il grido nella testa di Ains lacerò la visione da incubo: “Madre mia! Madre mia! Madre mia!”
“Ains! Oh Ains!” Maria di colpo comprese: un ricatto crudele! Abbracciò teneramente il ragazzo e cercò di consolarlo. “Si salverà, vedrai. Si salverà. Ti aiuteremo, la libereremo!” disse alzando il viso e un pugno verso il cielo, mentre lui singhiozzava a testa bassa, in silenzio, senza riuscire a fermarsi.


Dall’altra parte della macchia innevata, continuava a risuonare sinistro il rimbombo della battaglia.
Solo allora, alzando gli occhi, Maria si rese conto che Grendizer stava combattendo senza esclusione di colpi contro il mostro di Vega con a bordo suo padre. Al di là del groviglio di rami spogli, li vide rotolarsi furiosamente, stretti in un abbraccio mortale. All’improvviso, sembrò che Grendizer riuscisse a prevalere sull’avversario, schiacciandolo a terra con tutto il suo peso.
Maria scattò verso di loro, impazzita: “No! Là dentro c’è mio padre!”
Incurante dei rami che la sferzavano in faccia, cercò di raggiungerli, correndo forsennata in mezzo alla neve.
Ains provò a trattenerla, ormai solo per proteggerla: “Non andare! E’ pericoloso!”
In quel momento, il veghiano sovrastò di nuovo il suo nemico e urlò minaccioso: “Ora morirai!”
Daisuke cercò di recuperare il vantaggio. Grendizer inarcò la schiena e il collo, protendendo in avanti la sommità della testa: “Tuono spaziale!”
Con il micidiale raggio riuscì a tranciare i tentacoli del mostro, che perse la presa e si ribaltò sulla schiena. Subito Grendizer gli fu sopra, ma Gavig riuscì ancora una volta a scrollarselo di dosso e a farlo rotolare nella neve. Riprese a martellarlo dall’alto, ma, ormai mutilato delle terribili fruste al vegatron, i suoi colpi erano molto meno efficaci. Appena fu alla giusta distanza, Grendizer lo bloccò: “Raggio antigravità!”. Gavig fu proiettato molti metri più in alto.
Maria avanzava a fatica in mezzo alla neve ed era quasi arrivata al centro della radura. In quel momento, dalla parte opposta, sbucò Koji. Maria gridò felice e incredula: “Koji! Sei salvo!” Ora il ragazzo si precipitava verso di lei a braccia alzate.
“Ferma Maria! Torna indietro! Va’ subito al riparo! E’ pericoloso!!!”
Maria continuò ad avanzare, fino a scontrarsi con lui. Koji la afferrò, tenendola stretta.
“Lasciami Koji!” Il ragazzo non la mollava: l’aveva agganciata da dietro, passandole entrambe le braccia sotto le ascelle, per sicurezza. Ma non aveva fatto i conti con la determinazione di lei.


All’apparire di Koji, Ains si era acquattato dietro un cespuglio. Sperò che la sua tuta bianca lo aiutasse a mimetizzarsi nell’ambiente innevato. Spiando la battaglia da dietro i fusti degli alberi, si assicurò che nessuno lo vedesse. Allora, guardingo, tornò sui suoi passi. Quando fu nel punto giusto, lanciò un segnale e rimase in attesa. Si guardò intorno desolato. Sperò ardentemente che Grendizer sconfiggesse il mostro di Vega. Quanto a lui, aveva sbagliato tutto, aveva completamente fallito! Aveva tradito i suoi amici e non aveva salvato sua madre. Avrebbe affrontato il suo destino: gli restava un’unica speranza, che la lasciassero in vita, che si accontentassero di uccidere solo lui. Avrebbe supplicato per questo, avrebbe implorato pietà. Aveva troppo sofferto: dovevano risparmiarla!
Il fruscio del disco che si apprestava a raccoglierlo lo distrasse dai suoi pensieri. Si avviò rapido verso il contorno del raggio traente, ma inciampò in un sasso nascosto e cadde lungo disteso in mezzo alla neve. Quando risollevò il capo, qualcosa a breve distanza attirò la sua attenzione: un oggetto luminescente era incastrato in un ciuffo di erba secca, sporgente dalla terra nera, in un tratto che lui, scivolando, aveva involontariamente liberato dalla neve. Lo afferrò d’istinto e se lo rigirò tra le mani, alzandosi e riprendendo a correre trafelato verso il raggio: un medaglione azzurro, ornato di piccole punte smussate disposte a croce. Aveva ancora infilato un sottile nastro di seta, spezzato in un punto. Maria! Il medaglione di Maria! Se lo strinse al petto, mentre già cominciava a salire verso il ventre del disco.


Grendizer si era rialzato con un potente scatto di reni. Gavig era atterrato in ginocchio. All’improvviso Daisuke ordinò al suo robot di arretrare di alcuni metri, per avere lo spazio della rincorsa, e di raccogliersi in ginocchio anche lui. Pochi istanti di sospensione e poi lo lanciò verso l’alto e in avanti, con tutta la forza di cui era capace. Mentre scattava, le due mezzelune lampeggiarono sinistre, guizzando fulminee fuori delle sue spalle: “Alabarda spaziale!” urlò a squarciagola, afferrando l’arma sopra la propria testa.
“Fermati Duke! Non puoi ucciderlo!” gridò Maria. Si era liberata di Koji!
Anche Gavig si era rialzato ed era balzato all’indietro per evitare il colpo mortale. L’arma di Grendizer gli sibilò accanto e il corpo del robot terminò il suo slancio, cozzando violentemente contro di lui. Il mostro scattò in verticale e vomitò ancora una volta un fiume di fuoco dalla bocca, sperando che l’attacco dall’alto fosse risolutivo, ma Grendizer lo schivò.
Maria ormai era arrivata al centro della battaglia: “No Duke! Ti prego, non farlo!”
Allora Grendizer si piegò di nuovo sulle ginocchia; poi scattò in piedi e contemporaneamente, con un’estrema torsione del busto, lanciò l’alabarda con entrambe le mani, dal basso, imprimendole una potenza letale. Le micidiali lame raggiunsero Gavig, mentre era ancora sospeso a decine di metri dal suolo, e affondarono nel corpo del mostro tranciandolo senza pietà. Il pilota fu sbalzato a terra, lontano.
Maria prese a correre all’impazzata verso di lui: “Padre!”
Koji la inseguiva da vicino: “Nooo! E’ pericoloso! Ferma!”
Il mostro decapitato, con il collo e un braccio in fiamme, stava precipitando. Esplose in volo a poca distanza dal suolo.

***



Lady Gandal impallidì violentemente, serrando i pugni convulsa: “Di nuovo… Di nuovo!” sussurrò e poi urlò. “Duke Fleed, la pagherai!” Di scatto volse le spalle allo schermo, che continuava impietoso a rimandare l’immagine della pioggia di detriti in fiamme. Accanto a lei, il volto del Ministro delle Scienze era una maschera impenetrabile. L’uomo si godé ancora un po’ lo spettacolo della rabbia impotente della moglie del generale, poi, senza una parola, abbandonò la sala comando per raggiungere il suo studio privato. Mentre percorreva i corridoi a grandi falcate, una certa infantile impazienza lo invadeva, suo malgrado, al pensiero del successo che stava per cogliere…

***



Koji si gettò su Maria e la protesse dall’esplosione con il suo corpo. L’aria e la terra vibrarono a lungo, paurosamente, mentre i rottami infuocati piovevano dappertutto. Quando tutto fu finito, i ragazzi riaprirono gli occhi: “Maria, stai bene?” le disse lui nell’orecchio.
“Lì c’è mio padre, lasciami andare!” reagì lei, spingendolo via.
La ragazza raggiunse il corpo che giaceva prono in mezzo alla neve. Gli si inginocchiò accanto, scuotendolo debolmente e singhiozzando: “O padre! Non puoi morire! O padre mio!” Lo strinse forte tra le braccia e lo girò sulla schiena. Poté contemplarlo appena un istante: poi, i lineamenti del re di Fleed si sciolsero in una maschera orrenda, rivelando le sembianze del comandante di Vega.
Koji le mise una mano su una spalla: “Hai visto? Ecco il suo vero volto…” commentò tristemente.
Mentre parlava, il cadavere si disintegrò sotto i loro occhi.
Maria continuava a piangere desolata: “Mio padre…”
“Maria…” Koji non sapeva che dire per consolarla.
“Ti odio,ti odio, non ti voglio vedere!” La ragazza gli si rivoltò contro e lo spinse via, fuori di sé.
Poi si mise a correre a perdifiato, finché crollò in ginocchio in mezzo alla neve, quasi sul ciglio del burrone dove la radura si interrompeva. Koji la raggiunse e la circondò con le braccia, sperando che questo bastasse a calmarla.
“Ti stavamo per perdere…” le mormorò più volte.
Koji… Oh, Koji! Il suo amico l’aveva salvata tre volte, quel giorno: dal raggiro orribile dei veghiani, dal tentativo di Ains di portarla via con la forza, e ora dai rottami infuocati del mostro di Vega. Gli era profondamente grata. Ma la ferita più grande sanguinava ancora copiosa e nessuno poteva guarirla...
Si avvicinò anche Duke. Lei gli si gettò fra le braccia. “Non piangere Maria, i nostri genitori saranno sempre nei nostri cuori… Se li vorrai sentire vicini, dovrai solo pensare a loro e chiamarli, con tutte le tue forze!”
“Dici davvero, Duke?” disse lei, alzando gli occhi. Lui la strinse più forte. Allora Maria si asciugò le lacrime con un gesto nervoso e si girò rapida verso la valle, senza staccarsi da suo fratello. Prese un respiro profondo e gridò a squarciagola: “Mammaaa! Papaaà!” Le rispose l’eco delle montagne, mentre Duke dietro di lei continuava a tenerla abbracciata.

***



Per tutto il tragitto fra la Terra e la base lunare, Ains si era rigirato tra le mani il medaglione reale di Fleed e aveva riflettuto febbrilmente su quell’esile, inattesa speranza. Seduto in disparte, a testa bassa, si teneva con i palmi la fronte. L’esplosione di Gavig era stata ripresa chiaramente anche dal minidisco che lo aveva raccolto ed era balenata nitida sullo schermo dei piloti. Maria era finita lì sotto; l’ultima immagine che ne conservava era quella di lei che correva impazzita in mezzo alla neve, verso il centro della battaglia. Lo sguardo gli cadde sul medaglione. Maria! Questo è il tuo ultimo regalo per me! …e per mia madre! Gli si velarono gli occhi di lacrime. Ricordò all’improvviso lo sgomento della ragazza, quando si era accorta di aver perso il monile; ricordò anche di aver intuito che il gioiello era legato in qualche modo al controllo di Grendizer. Forse, quell’oggetto gli avrebbe offerto un’ultima possibilità di sopravvivere e di aiutare sua madre…
La chiamata a rapporto gli giunse mentre il disco era ancora in fase di attracco. Appena completata l’operazione, il ragazzo si precipitò nel labirinto di corridoi della base.
Arrivò ansante al varco d’accesso alla zona degli alloggi dirigenziali e fu immediatamente autorizzato a raggiungere lo studio del Ministro delle Scienze.
L’uomo lo aspettava seduto dietro un’enorme scrivania, ma quando le porte si schiusero si alzò di scatto e gli andò incontro, senza nemmeno dissimulare l’impazienza che lo rodeva.
“Allora Ains, vediamo come ti sei comportato…” sogghignò avvicinandoglisi. Il ragazzo si era gettato in ginocchio e non osava alzare lo sguardo.
“Signore…”
“Dov’è l’ostaggio?” gli chiese brusco il ministro.
“Signore, chiedo umilmente perdono! La ragazza è morta!”
“Cosa?” gridò rauco l’uomo.
“E’ rimasta travolta dall’esplosione del mostro del comandante Ashura!”
Ains si sentì sollevare per il bavero della giubba. Il manrovescio lo spinse all’indietro. Ricadde in ginocchio, vicino alla porta.
“Incapace!” sibilò il ministro con furia.
“Signore…”
“Taci!” gridò l’uomo, picchiandolo di nuovo.
Ains si coprì la testa con le braccia. Sentì il sapore del sangue che colava dal labbro spaccato. Questo è solo l’inizio… Strinse i denti, cercando di rimanere fermo e di non lamentarsi.
“Maledetto incapace!” L’uomo continuava a colpirlo con pugni e calci, imbestialito. Ains era raggomitolato a terra, stretto contro la parete. Un calcio più forte gli fece mancare il respiro. Allora raccolse le forze e decise di tentare il tutto per tutto.
Zuril, intanto, si era fermato un momento a riprendere fiato. Si massaggiava il dorso delle mani e rifletteva, respirando affannosamente. Non ricordava l’ultima volta che aveva perso il controllo dalla collera. Non era da lui… Ma dopo la morte di Fritz non era più lui! Sì, doveva essere per questo che aveva perso la testa. Non sopportava che altri dell’età di suo figlio potessero ancora vivere indisturbati, respirare, combattere, correre, amare… Quell’Ains la doveva pagare. Lentamente, allo smacco per aver mancato quella vittoria che considerava già sua, subentrò una sottile, maligna soddisfazione. Il bamboccio non era stato da più di suo figlio, del suo amato, unico figlio. Nessuno sarebbe potuto essere migliore di lui. Nessuno.
L’uomo gettò un’occhiata al ragazzo rannicchiato ai suoi piedi e si accorse che gli stava tendendo qualcosa. Ains si teneva ancora la mano sinistra sul capo, ma con la destra stringeva il medaglione azzurro, sollevandolo verso il ministro.
-continua-

Qualche altro commento sulla sorpresa dell'uovo? Di qua, prego...
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-capitolo 11-
“Signore…” mormorò, sperando che Zuril si fosse placato. “Signore, questo sono riuscito a strapparlo alla principessa Maria Grace.” Ains rialzò la testa e il ministro non lo interruppe. Un poco rassicurato, il ragazzo continuò: “E’ il medaglione reale di Fleed.” Si drizzò in piedi sulle gambe malferme e glielo porse: “La principessa era sconvolta, mi supplicava di restituirglielo, perché per qualche motivo il pilota di Grendizer non può farne a meno.”
Zuril gli strappò il gioiello dalle mani e lo esaminò. Il computer oculare ne fece un rapido scan e lo mise a confronto con le informazioni d’archivio dei laboratori di ingegneria aerospaziale di Fleed. Era stata un’ottima idea incamerarle, prima che tutto andasse in malora…
Il ragazzo non mente … E’ proprio il medaglione reale di Fleed: la chiave d’accesso a Grendizer!
Chiuse il pugno e intascò il medaglione. Poi strinse gli occhi e squadrò Ains con disprezzo. Dovrò risparmiarti. Non posso permettermi sprechi. Potresti di nuovo essermi utile. “Per ora resterai al mio servizio” disse tra i denti. “Presentati al capo della mia scorta” ordinò seccamente.
“Grazie signore!” esultò Ains.
“Vattene!”
“Sissignore!” esclamò il ragazzo e piegò subito il capo, arretrando verso la porta.
Zuril gli volse le spalle, già preso da altri pensieri. Duke Fleed è vivo, ma ancora per poco… La morte della sorella, se risulterà confermata, sarà sicuramente un colpo durissimo...
Non poté fare a meno di congratularsi con se stesso: il piano di Lady Gandal era fallito miseramente sotto i suoi occhi, mentre lui ora aveva in mano il medaglione reale di Fleed! Avrebbe saputo trarne vantaggio.

***



“Koji! E tu come stai?” Daisuke lo guardava dritto negli occhi, tenendogli entrambe le mani sulle spalle. “Sei tutto intero?” scherzò.
“Eh?! Sì!” rispose il ragazzo grattandosi imbarazzato la nuca. “Per fortuna, l’espulsione d’emergenza del Double Spacer è molto più sicura di quella del TFO!” rise.
“Ma cos’era quel disco che ti ha abbattuto?” chiese Daisuke all’amico.
Koji rimase in silenzio, incerto su cosa rispondere.
Maria riprese a singhiozzare sommessamente: “Duke, era… Ains!”
“Cosa?”
Gli raccontò in breve tutto quello che era successo mentre lui combatteva contro il mostro di Vega ed anche l’atroce destino della madre del ragazzo veghiano, tutto ciò che gli occhi di lui, finalmente, le avevano rivelato.
Daisuke parve colpito da una frustata: “Maledetti! Maledetti! Continuano a torturare degli innocenti! Dobbiamo distruggerli!” urlò agitando i pugni verso il cielo. Raramente si lasciava andare alla rabbia, ma quel racconto lo aveva ferito profondamente. Anche lui, tempo prima, aveva guardato negli occhi di quella donna e vi aveva visto tutto il dolore dell’universo. Non poteva dimenticarlo. Aveva sperato che Ains e sua madre potessero vivere in pace.
“Dove è successo? Andiamo a cercarlo!” esclamò deciso.
Si incamminarono veloci e presto arrivarono alla radura, ma trovano solo i segni del passaggio del disco: un ampio cerchio all’interno del quale la neve si era sciolta completamente ed aveva lasciato il posto ad una fanghiglia mista ad erba e a rami spezzati.
Maria scrutò a lungo in giro, desolata, poi si portò le mani a cono intorno alla bocca: “Ains!” gridò. “Aiiins!” ripeté, girandosi dalla parte opposta. Le rispose un silenzio spettrale.
“Ehi! Guardate qui!” Koji era arrivato al limitare della radura; dietro un grosso cespuglio era abbandonato il veicolo alieno con cui il ragazzo veghiano aveva tentato di rapire Maria, ma di lui nessuna traccia.
“L’hanno preso” disse Daisuke scuro in volto. “L’hanno portato alla loro base, probabilmente…” Fu interrotto da una fitta improvvisa; si portò una mano alla spalla e strinse i denti: “E noi non sappiamo dov’è” concluse, sforzandosi di rimanere lucido. Ma di colpo gli si annebbiò la vista e le ginocchia gli si piegarono.
“Daisuke!”
“Duke!”
Koji e Maria si gettarono contemporaneamente su di lui, appena in tempo perché non cadesse. Poi, sorreggendolo da entrambi i lati, si passarono le sue braccia ciascuno su una spalla e si avviarono verso i loro veicoli.


***



Il ministro uscì a precipizio dalla sua stanza e ordinò ai soldati incappucciati di seguirlo immediatamente. La convocazione doveva essere stata improvvisa.
Superarono a passo di corsa decine di metri, tra corridoi e ascensori, e finalmente giunsero in un’enorme anticamera. La stanza era tagliata in due da una cortina iridescente di raggi a scansione protonica, l’ultima frontiera dei controlli di sicurezza. Tutti i presenti la attraversarono, senza che fossero rilevate anomalie. Ancora pochi secondi e il grande portale di fondo si aprì. Entrarono senza indugio al seguito del Ministro delle Scienze e si disposero su due file, lungo le pareti ai lati dell’ingresso, irrigiditi sull’attenti, tutti perfettamente identici.
Per un istante, impercettibilmente, uno di loro si guardò intorno. Quel cappuccio gli pesava… Lui avrebbe dovuto comandarli quegli altri, era stato cresciuto per questo! Ma ora doveva solo aspettare… aspettare l’occasione propizia…
Nella penombra dell’ampio locale l’illuminazione metteva in risalto un unico punto, sul fondo: una piattaforma rialzata su cui poggiava un imponente sedile. Erano nella sala del trono! Il generale Gandal era immobile, ritto alla destra del seggio; il ministro Zuril arrivò trafelato ad occupare il posto a sinistra. In quel momento, fece il suo ingresso il sovrano, il grande Vega in persona! Il generale, il ministro e tutti i soldati caddero in ginocchio come un sol uomo. Yabarn si sedette pesantemente, con un cenno distratto. I presenti scattarono in piedi e rimasero in attesa, ognuno al proprio posto.
Il re sembrava di ottimo umore, vagamente impaziente. Scambiò alcune battute con i collaboratori, evidentemente in attesa di un incontro importante. Quasi subito, il portale di accesso alla sala del trono si spalancò di nuovo e vi si stagliò una figura possente. L’uomo, di alta statura, spalle squadrate, procedette deciso fino al centro della stanza.
“Markus! Sei il benvenuto!” lo apostrofò il re in modo esageratamente cordiale.
L’altro si irrigidì in un saluto militare, ma poi, di colpo, si accasciò a terra sfinito.
“Aiutatelo!” ordinò Gandal. Subito, due soldati scattarono verso di lui per sorreggerlo, così Ains poté guardarlo in faccia da vicino: i lineamenti affilati erano resi ancora più spaventosi dall’estrema magrezza.
Il comandante Markus! La sua fama lo precedeva. L’intero quadrante nord della nebulosa era stato pacificato grazie al suo pugno di ferro… E questo aveva permesso alle Forze di Vega di continuare ad espandersi inarrestabili, fino agli estremi confini dello spazio esplorato, fino al rifugio di Duke Fleed…
L’uomo si riebbe rapidamente e si liberò in malo modo dei soldati che lo attorniavano. Questi tornarono ai propri posti, mentre lui fu invitato ad avvicinarsi al trono. Arrivato presso il sovrano, gli si inginocchiò davanti con deferenza. Il colloquio fu breve. Da lontano, Ains si sforzò di cogliere le parole: capì che il re aveva ordinato a Markus di uccidere Duke Fleed. Poi, lo vide appuntare una decorazione al braccio del militare, prima di congedarlo. Subito, questi lasciò la sala, duro e marziale come era arrivato.
Ains fu invaso da un cupo terrore. Se qualcuno poteva sconfiggere Duke Fleed, costui era Markus. No! No! Non deve succedere… Non deve succedere… Chiuse gli occhi, mentre il sudore gli imperlava la fronte sotto il cappuccio.
In fondo al salone, Vega, Gandal e Zuril continuavano a conversare. Il re appariva sicuro di sé; gli altri due sembravano preoccupati. Ad un comando del generale, emerse dal pavimento al centro della sala un grande schermo olografico, sul quale tutti e tre presero a seguire l’azione di Markus. I soldati schierati all’ingresso potevano vedere le stesse immagini, ruotate di cento ottanta gradi.
Durò tutto pochissimo: il mostro veghiano coprì in un lampo la distanza fra la Luna e la Terra e presto si trovò di fronte a Grendizer. I due si sfidarono; quasi subito il robot fleediano cadde disteso con la faccia a terra e nell’urto il pilota fu sbalzato all’esterno.
Il re, il generale e il ministro si fecero attenti. Duke Fleed era ancora a terra e Markus gli diede il tempo di rialzarsi e combattere, ma il codardo non volle. Lo vedevano parlare. Evidentemente cercava di convincere il comandante veghiano a risparmiarlo. Ma d’improvviso, inspiegabilmente, abbandonò ogni prudenza e si fece sotto al nemico. Un colpo deciso e la decorazione, strappata dal braccio di Markus, volò alcuni metri più in là ed esplose subito prima di toccare terra.
Gandal e Zuril si volsero sbalorditi verso il sovrano: “Maestà…” azzardò il generale.
“Maledetto Duke Fleed!” gridò Yabarn, calando un pugno rabbioso sul bracciolo del trono. “Se non fosse stato per lui, li avrei tolti di mezzo entrambi in un colpo solo! Quel Markus… sarà affidabile solo da morto…” terminò digrignando i denti torvo.
Duke Fleed stava ancora in piedi, inerme di fronte al nemico. Finalmente Markus sparò, poi volse le spalle e si diresse correndo verso il suo mostro spaziale. Vega e i suoi luogotenenti esultarono, ma non per molto, perché poco dopo tutti videro chiaramente il fleediano rialzarsi, aiutato dal suo amico terrestre.
“Dannazione!” inveì Vega. Di voi mi occuperò più tardi!” aggiunse rabbioso.
Intanto, il robot veghiano aveva preso il volo, ma all’improvviso, con un boato, si trasformò in una palla di fuoco.
Il generale e il ministro gridarono sbigottiti, ma la loro meraviglia giunse al colmo quando guardarono in faccia il sovrano. Non era affatto contrariato, anzi sembrava stranamente soddisfatto.
Ains era sollevato e sbalordito allo stesso tempo. Di nuovo, poté cogliere solo alcuni tratti della conversazione di Vega col generale e il ministro: “Markus… un potenziale pericolo… una minaccia da eliminare…”
Il ragazzo rimase turbato. Si sentì oppresso da un indefinibile senso d’angoscia. Chi era davvero re Vega? E come poteva assicurare la pace un impero che divorava i suoi figli migliori? Gli avevano inculcato il dovere di combattere, e morire se necessario, per la gloria di Vega. Per ricevere cosa? La morte! E proprio da colui che gli avevano insegnato a venerare, proprio da colui che avrebbe dovuto gioire della sua dedizione! Come era successo a Markus… D’improvviso, le parole di Duke Fleed nel loro primo e unico incontro gli risuonarono in mente comprensibili, chiare, sincere! Ains chiuse gli occhi. Lasciò che il ricordo lo riportasse indietro di quei pochi mesi, di mille anni! “Desidero solo che mi ascoltiate!” Duke Fleed avrebbe voluto parlare con loro! Proprio come aveva fatto con Markus, poco prima. Ma loro non avevano voluto ascoltarlo. “Io voglio solo che qui regni la pace!”
Il ragazzo scosse il capo e ricacciò indietro lacrime amare. Ormai era solo. Ormai non c’era più tempo per questo. Lui doveva continuare a lottare. Per la vita sua e di sua madre.


Quel giorno Ains non era di turno. Seppe della partenza del Ministro delle Scienze per il pianeta Terra dalla squadra a cui diede il cambio, la sera. Tutti sembravano insolitamente di buon umore.
“Che c’è da ridere?” fece Ains brusco ai colleghi che sorvegliavano la porta insieme con lui.
“Ancora un po’ e Zuril prenderà moglie!” sussurrò uno, ridacchiando.
“Ma prima dovrà domare la principessa…” sghignazzarono gli altri. Il ragazzo non capì e non volle chiedere nulla. Si dispose ad aspettare il ritorno del suo superiore.
Il turno trascorse senza incidenti, ma la mattina seguente fu loro ordinato di smontare, senza aspettare di ricevere il cambio. E’ molto strano… Nessuno fece domande, nessuno comunicò nulla.
Quella fu l’ultima convocazione a servire nella guardia del Ministro delle Scienze. Da allora, Ains rimase confinato negli alloggi dei militari, senza che gli venisse assegnato nessun compito in particolare.
L’inattività gli pesava. Il pensiero di sua madre, sola nella sua cella, lo tormentava. Anche lui era quasi recluso. In quell’isolamento forzato non poteva nemmeno illudersi di cogliere, da un momento all’altro, l’occasione giusta per correre da lei a liberarla. Confusamente, si faceva strada nella sua testa la paurosa certezza di poter contare esclusivamente sulle proprie forze.
Trascorsero vari giorni senza che nulla cambiasse. Il ragazzo cominciava ad inquietarsi: forse per qualche motivo aveva perso la sua protezione…
“Ehi, Ghemon! Che stai guardando?”
La finestra dava su uno stretto cortile interno, ma la loro camerata era all’ultimo piano dell’alto edificio. Oltre la terrazza di fronte si scorgeva, abbastanza vicino, il fungo centrale della grande struttura d’attracco. Ains stava in piedi a braccia conserte, ormai da diverso tempo, fissando un punto lontano oltre il vetro.
“Ehi, Ghemon! Mi hai sentito?” insisté il compagno. “Non sarai mica una spia?” gli ghignò acido sul collo, appoggiandogli pesantemente una mano sulla spalla.
“Lasciami in pace!” reagì Ains brusco, scrollandoselo di dosso. “Piuttosto, che cosa si sa della guerra?”
Di norma, i comunicati ufficiali destinati alle truppe erano perfettamente inutili, troppo vaghi o retorici, per poter essere presi sul serio. Per avere informazioni di un qualche interesse bisognava accontentarsi delle voci contraddittorie e confuse del passaparola. L’ultima notizia, non confermata, diceva che Lady Gandal in persona era appena partita all’attacco di Duke Fleed, a bordo di un mostro di inaudita potenza. Ains corrugò la fronte. Il comandante supremo e sua moglie non hanno mai combattuto in prima linea... Questo può significare una cosa sola: si avvicina la resa dei conti!
Poi, si staccò di scatto dalla finestra, inquieto e impaziente.

***



-continua-

Evvabbe'... se c'è ancora qualcosa da dire...
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-capitolo 12-
Duke Fleed! A noi due! Con me non avrai scampo… L’ombra rapace del mostro spaziale Guragur scivolava carica di minaccia verso il Centro Ricerche, disegnandosi scura sui boschi, sulle pietraie, sulle conche innevate. Al suo interno, Lady Gandal rifletteva rabbiosa.
Vega… vecchio idiota! In altri tempi non avresti mai ceduto davanti a una donna… Ma adesso non hai alternative! Ormai solo io posso salvare il salvabile!
L’immagine di Yabarn le balenò davanti: gli ultimi tragici eventi lo avevano fatto improvvisamente invecchiare di anni. A lei, che era sempre stata nella cerchia degli intimi, appariva evidente: non era più l’uomo che con un gesto spargeva il terrore per la galassia, annientava o graziava interi pianeti...
E l’impero non era stato mai così fragile.
Al primo passo falso, se lo figurava chiaramente, dai pianeti più imbelli e remoti sarebbero sorti mille vendicatori, come iene, a sbranare la belva morente mentre ancora respirava… No… lei non l’avrebbe permesso…
“No! Non lo permetterò!” gridò, vedendo Grendizer avvicinarsi. Subito le punte uncinate che fuoriuscivano dal petto del suo robot emisero un raggio laser accecante. La battaglia divampò, repentina e crudele.
“Ti annienterò, Duke Fleed!” tuonò Lady Gandal, colpendolo ancora con il raggio.
“Dannazione, mi si è annebbiata la vista!” Daisuke, stordito, non riuscì a tenere l’assetto, cadde in avvitamento e rovinò al suolo.
Si udì la risata diabolica della donna: “È la tua fine, Grendizer!”
Il robot veghiano avanzò a passi pesanti. Daisuke era ancora accecato. Se ora verrò sconfitto sarà stato tutto inutile. Devo rialzarmi!
“Forza Grendizer, non abbandonarmi!” urlò con foga il pilota. Ma non ebbe il tempo di fare nulla: di nuovo, ad un comando di Lady Gandal, dal petto di Guragur partirono i due potentissimi laser e Grendizer fu costretto a rotolare sul terreno per evitarli. Lei gli fu subito sopra e lo colpì in faccia con un calcio violento.
Grendizer cadde e il mostro veghiano lo abbrancò per le spalle, vomitandogli contro, a distanza ravvicinata, un fiume di fuoco radioattivo.
“Va’ all’inferno dannato Grendizer!”
Daisuke gridò di dolore, ma con uno sforzo sovrumano, riuscì a staccare da sé la nemica e a respingerla.

***



Yabarn seguiva gli eventi dalla solitudine oscura della sala del trono. Non aveva più nessuno vicino. Gandal era l’ultimo ed ora stava rischiando la vita in quella battaglia, impotente, nelle mani di sua moglie. Come aveva potuto permettere che succedesse? Lui, il grande Vega, come aveva potuto lasciarsi convincere da quella donna? Un demonio! Una strega! Quella donna era pericolosa: l’aveva sempre trattata con rispetto, ma, anche, tenuta alla giusta distanza… Ora, invece… aveva preso il sopravvento!
Lo schermo olografico inquadrò all’improvviso gli alleati di Grendizer in avvicinamento. Il fleediano era ancora a terra, ma cercava di tornare in vantaggio.

***



“Doppio maglio perforante!” I pugni urtarono Guragur di striscio e non riuscirono a frenarne l’impeto. Di nuovo il mostro veghiano corse avanti all’attacco, sputando il terribile raggio di fuoco. Di nuovo Grendizer fu costretto a fuggire rotolando via davanti al nemico.
Risuonò un’altra volta la risata crudele della moglie del generale.
Ancora sdraiato, Grendizer la bersagliò: “Disintegratori paralleli!”
“Daisuke! A terra sei svantaggiato! Presto, agganciati a me e in due lo distruggeremo!” urlò Koji.
“Sì! Va bene!” Grendizer si rimise in piedi e scattò verso l’alto. Appena fu in posizione, Koji lo raggiunse col Double Spacer. I portelli di agganciamento si aprirono e lo sfiorarono, ma la manovra andò a vuoto. Lady Gandal era stata più veloce a colpire.
In quel momento, però, le sopraggiunsero dietro le spalle la Trivella e il Delfino Spaziale.
“Doppio missile!” Il fuoco congiunto dei due mezzi la fece sbandare.
“Maledette!” imprecò la donna.

***



Vega si agitò sull’ampio sedile. Le grida di Lady Gandal lo infastidivano: lo mettevano di fronte a un dilemma che non avrebbe mai creduto possibile e che ora gli si affacciava pauroso alla mente: vittoria o… sconfitta!
La sconfitta: avrebbe significato che l’ultima carta era stata giocata senza successo! Non sarebbe rimasto che scendere in campo di persona, per la gloria di Vega! Per la propria gloria…
Rise nervoso. Improvvisamente quelle parole solenni gli apparvero vuote, spettrali, ridicole!
Rise di nuovo, soppesando l’altra possibilità: la vittoria.
La vittoria avrebbe aperto finalmente nuovi scenari, scenari ignoti… Se Lady Gandal gli avesse portato la testa di Duke Fleed, la potenza dell’impero di Vega non avrebbe più avuto limiti… Ma lei… lei, chi l’avrebbe fermata? Chi l’avrebbe trattenuta dal pretendere tutto?
Un’altra risata. Si sorprese a parlare da solo, o con un altro se stesso: “Tutto cosa?”
“Ma tutto, tutto! Il controllo, il potere… l’impero!” gridò agitando le mani stizzito, sotto il naso dell’interlocutore illusorio. Chi avrebbe troncato l’esaltazione smodata di quella donna? Il suo orgoglio sfrenato? Ora lui era solo… Non aveva più uomini… Non aveva più eredi… Era stretto in un angolo!
“Maria! Hikaru!” La voce di Duke Fleed risuonò dallo schermo angosciata. Le sue due alleate continuavano ad attaccare la moglie del generale, scaricando tutti i colpi a loro disposizione.
“Raggi ciclonici!”
“Bomba a scintillazione!”
Illuse! Le vostre armi ridicole non possono nulla contro di noi! Ma il ghigno di soddisfazione del re si dissolse in un attimo. Impallidì davanti alle immagini, rendendosi conto che quel diversivo aveva dato a Duke Fleed il tempo di ritentare con successo l’agganciamento al suo veicolo d’appoggio.


***



Il Double Spacer ritornò in posizione, al di sopra di Grendizer. Quest’ultimo cominciò la manovra: “Giravolta spaziale!”
“Agganciamento!”
Lady Gandal gridò indispettita: “Dannato Koji Kabuto!”
“Sei pronto?” chiese Daisuke all’amico.
“Certo! Raggi ciclonici!”
“Disintegratori paralleli!”
“Lama ciclonica!”
Il martellamento congiunto andò a segno: gli uncini sul petto di Guragur furono tranciati di netto. Il mostro veghiano sbandò paurosamente.
Era il momento! Daisuke si staccò dal Double Spacer e piombò sul nemico dall’alto: “Grendizer! Colpisci!”
Guragur cadde. Grendizer brandì la sua arma più micidiale.
“Alabarda spaziale!”

***



Yabarn si sorprese a sperare che Lady Gandal venisse sconfitta: l’avrebbe duramente punita, e poi, finalmente, sarebbe andato lui stesso ad annientare il fleediano e a rifondare il potente, glorioso, immortale impero di Vega!
“Maledetto Grendizer!” gridò Lady Gandal dallo schermo.
Grendizer la stava assalendo a passo di corsa, tagliando deciso la barriera di fuoco che lei gli opponeva. Appena le arrivò vicino, lanciò l’alabarda e d’un colpo tagliò la testa di Guragur.
“Noooo!” Il capo del mostro si staccò di netto e andò a precipitare lontano, in una gola deserta, accompagnato dal grido di Lady Gandal. Il corpo del robot esplose lì stesso.
“Sì!” ruggì irragionevolmente re Vega, battendo i pugni sui braccioli del trono. Ora sapeva esattamente come procedere. Avrebbe impartito a quell’incapace presuntuosa una punizione difficile da dimenticare e poi l’avrebbe fatta finita per sempre con Duke Fleed.
Immobile nel suo seggio regale, si preparò a ricevere la moglie del comandante supremo che tornava sconfitta.

***



Un gemito soffocato, un dolore acuto in tutte le ossa scossero Lady Gandal. Sperò di non avere nulla di rotto. Strinse i denti e i pugni, trattenne il fiato per non gridare. Con estremo sforzo sollevò il capo dalla consolle, riprendendo lentamente coscienza e si guardò intorno: era precipitata!
“Duke Fleed è imbattibile: ha vinto!” mormorò tra sé. Un impeto di disperazione la sconvolse, il dolore le fece mancare le forze. Fu in quel momento che suo marito riuscì a sopraffarla. Il volto si richiuse di scatto.
“No! Non siamo ancora sconfitti!” rispose aspro il generale. “Abbiamo ancora la nave appoggio. Lanceremo un attacco globale con tutti i minidischi!”
Facendo appello a tutte le proprie energie, Lady Gandal costrinse il marito a lasciarle libera la parte destra del volto: “Aspetta! Credi di riuscire a sconfiggere Grendizer così?” intervenne sdegnosa.
“Certo! Ce la farò. Se io, il generale Gandal, non riuscirò ad eliminare Duke Fleed, non potremo mai fondare un nuovo regno di Vega!”
“Non bastano le intenzioni…” fece lei sprezzante.
“Sta’ zitta!” gridò lui incollerito. “Sei appena stata sconfitta, non ti intromettere! Ci penserò io a battermi” concluse il generale deciso.
“In questo caso… è meglio che tu te ne stia buono per un po’!” Prima che il marito potesse reagire, Lady Gandal estrasse veloce un medaglione stordente e lo premette forte sulla guancia dell’uomo. Era un vecchio modello, piuttosto doloroso, ma molto efficace, almeno quanto i più nuovi e invisibili interruttori neurali… Un intenso campo elettrico crepitò sulla faccia del generale, strappandogli un grido rauco e infine costringendolo a scomparire.
Lady Gandal ghignò soddisfatta: “So io cosa fare… Sono stufa di mettere il mio destino nelle mani degli altri!”


“Professore, c’è una strana interferenza” notò Yamada allarmato.
“Presto, passa il segnale sullo schermo!” ordinò Umon.
Dopo alcuni secondi, l’immagine si delineò: la testa del mostro spaziale appena sconfitto fluttuava minacciosa davanti a loro! Evidentemente, era stata predisposta per fungere anche da capsula di salvataggio, pensò il professore.
“Professor Umon, mi ascolti!”
Lo scienziato corrugò la fronte, cercando di capire: “Chi è a parlare?”
“Sono Lady Gandal, del pianeta Vega. Ma non ho intenzione di combattere. Ho un messaggio che vorrei riferisse a Duke Fleed.”
Umon rimase in attesa.
“Sono pronta ad uccidere re Vega. In cambio voglio solo un posto dove potermi stabilire. Ormai non ho più un pianeta dove vivere e voglio poter condurre un’esistenza pacifica sulla Terra. Riferisca questo messaggio!”
Poi, senza aspettare risposta, si dileguò sfrecciando verso la Luna.



E adesso, Vega, vedremo chi di noi due l’avrà vinta…
Il passato le tornò in mente feroce, a morderla nell’amor proprio senza pietà. Sofferenze, umiliazioni, sconfitte, tutto per la gloria di Vega, tutto senza mai la minima ricompensa… E soprattutto, il sacrificio più grande! Sé stessa! Il suo corpo! Immolato a quel… mostro, a quel vecchio impotente che era diventato Yabarn… E tutto, come fosse dovuto, senza ricevere mai il più piccolo cenno di riconoscenza! Aveva sbagliato Yabarn, aveva sbagliato i suoi conti quando l’aveva respinta, costringendola a sottomettersi a quel gigante ottuso di suo marito!
Ma ora avrebbe pagato. Le pagherai tutte, Vega! E anche tu, Gandal, vedrai…
Di nuovo, il rancore tornò ad assalirla. Che spreco! Nobiltà! Intelligenza! Ambizione!
L’avevano sempre sottovalutata perché era una donna… E lei li aveva ricambiati con pari disprezzo, ma non ne aveva mai ricavato nulla. Il potere le era sempre sfuggito… Ma ora, l’avrebbe afferrato in un colpo. Avrebbe rifondato lei il vero impero di Vega!
Si sarebbe alleata con Duke Fleed, guadagnandone la fiducia con l’uccidere il suo mortale nemico; poi, forse, col tempo, si sarebbe liberata anche di lui…
Sì! Allora avrebbe sottomesso con facilità quel pianeta selvaggio, ne avrebbe sfruttato le energie fresche. E finalmente, grazie al suo ingegno e alle sue conoscenze avanzate, l’impero di Vega sarebbe risorto più forte che mai!
E lei ne sarebbe stata l’artefice e la sovrana. Lei e nessun altro!
Skarmoon era in vista. Lady Gandal si precipitò fuori della capsula di salvataggio, ignorando chi voleva prestarle soccorso. Attraversò fremente tutta la base e irruppe nella sala del trono.
“Fuori!”
Al sibilo furibondo della moglie del generale, l’ufficiale a capo delle guardie del corpo di Yabarn abbozzò una debole resistenza.
“Fuori, ho detto!” tuonò la donna rauca. I soldati uscirono tutti, immediatamente. Il vecchio sovrano accennò un gesto con la mano per fermarli, ma non riuscì a proferire parola. Riuscì solo ad alzarsi con fatica dal trono: dall’alto della sua statura imponente aveva sempre dominato qualsiasi interlocutore. L’avrebbe fatto anche adesso.
Ora erano soli, lui e quella donna. Ma che cosa voleva? Come osava guardarlo con quell’aria di sfida? Avrebbe dovuto implorare perdono in ginocchio, piuttosto! E suo marito dov’era?
Gandal! Dove sei? Gandal!
La donna gli si avvicinava a passi lenti e sicuri. Quando fu a sufficiente distanza, estrasse la pistola laser: “Vega! E’ la tua fine!” Il re impallidì e indietreggiò: “Che fai? Ferma! Che fai?” balbettò.
“Perché io viva, tu devi morire!” gridò lei con voce agghiacciante e sparò. Il colpo ferì Yabarn ad una gamba. Il vecchio cadde e continuò a indietreggiare strisciando seduto e poi, terrorizzato, carponi. La donna incombeva su di lui, eretta in tutta la sua mostruosa figura.
“Muori, Vega!” gridò ancora, protendendo l’arma con entrambe le mani. Ma prima che potesse sparare di nuovo, metà del suo viso scomparve di colpo, cancellata dalle sembianze del generale: “Dannata traditrice! Che cosa hai fatto?” I due lottarono furibondi, sotto gli occhi sbarrati del sovrano. L’imperatore della nebulosa assisteva impotente all’ultima faida che dilaniava il suo impero: il generale Gandal e sua moglie si azzannavano davanti a lui come cani rabbiosi. E dall’esito della lotta dipendeva la sua vita…
“Dovevo farlo!” gridò isterica lei.
“Maledetta! Sta’ zitta! Farai la fine dei traditori!” la investì lui, cercando di torcerle il braccio che reggeva la pistola laser. Un colpo partì verso il soffitto e la lampada sospesa rovinò in mille pezzi sul pavimento. Lei resisteva ancora ansimando, ma infine l’uomo la sopraffece: con un ultimo strappo violento le puntò l’arma in faccia.

-continua-

E siamo quasi alla fine... Per dire "Ciao ciao!" a Lady Gandal, di qua:
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-capitolo 13-
Il colpo fu secco, perfettamente udibile anche all’esterno: uno schiocco sinistro, seguito da un urlo inumano. Il generale Gandal si abbatté in ginocchio davanti al suo re, premendosi con le mani l’orbita vuota, da cui il sangue usciva inarrestabile a fiotti.
Il volto di Lady Gandal era sparito per sempre dietro quello crudele del generale. Ora non si udivano più le grida selvagge di poco prima, ma solo un gemito a tratti spezzato: “Perdono sire, perdono!” Il generale Gandal implorava pietà ai piedi del re, che lo fissava attonito. “Mi riscatterò, sire, ucciderò Duke Fleed!”
Le porte si aprirono e si richiusero in un istante. Il generale Gandal si precipitò fuori a testa bassa, piegato in due dal dolore, e corse alla volta dell’hangar centrale lasciandosi dietro una scia di sangue. I soldati vedendolo sobbalzarono, ma non osarono seguirlo, né entrare nella sala del trono senza espliciti ordini. Era un’iniziativa che poteva costare la vita…
Rimasero in attesa, in silenzio. Dall’interno non proveniva alcun suono.
Yabarn aveva tentato di alzarsi, ma era ricaduto in ginocchio. Chiamando a raccolta tutte le forze, era riuscito a girarsi. Adesso era seduto con le mani puntate a terra e le spalle al muro. Cercò ancora di rimettersi in piedi, ma le gambe non lo reggevano. La ferita non cessava di sanguinare e di torturarlo con una fitta continua.
Allora si lasciò scivolare di nuovo a terra e si voltò a faccia in giù. In quella posizione prese a strisciare sul pavimento, a forza di braccia, trascinando le gambe che diventavano sempre più pesanti. Nessuno mi deve vedere… Nessuno mi deve vedere così…
Si morse a sangue la lingua perché nessuno nemmeno lo udisse: la fitta alla gamba non gli dava tregua. Strisciò ancora per alcuni metri penosamente, finché riuscì ad aggrapparsi a un bracciolo del trono. Lentamente, a prezzo di sforzi indicibili, si issò sul sedile e vi si lasciò cadere, esausto.
Passarono alcuni minuti. Yabarn si disse che di sicuro presto si sarebbe sentito meglio. Da qualche parte lontana lo schermo olografico gli rimandava le immagini della missione suicida di Gandal contro Duke Fleed.
Passò ancora del tempo, ma l’affanno non accennava a diminuire, la vista gli si appannava e nella testa qualcosa ronzava insistente. La ferita sanguinava ancora. “Aiuto…” sussurrò il vecchio. “Aiuto!” gemette appena più forte. I soldati, all’erta nel corridoio, appena captarono quel lamento, si precipitarono dentro.
Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi era agghiacciante: il pavimento era imbrattato di sangue; il vecchio re, terreo in volto, sedeva irrigidito sull’orlo del trono; respirava a fatica e si aggrappava ai braccioli, tentando disperatamente di contrastare il lento scivolamento che minacciava di farlo rovinare a terra. In quel momento lo schermo mostrò lo schianto della nave madre di Gandal contro un’alta scogliera e la cabrata violenta con cui Grendizer, invece, riuscì ad evitarla.
“Grande Vega! Nooo!” gridò, travolto dai flutti e dall’esplosione, colui che si era sempre proclamato il più fedele dei servi di Vega.
I soldati proruppero in esclamazioni confuse e agitate, alcuni gettarono a terra le armi.
“Traditori!” imprecò il comandante, ma subito fu costretto a ignorarli per soccorrere il re; quelli rimasero un istante paralizzati, poi si gettarono fuori scompostamente.
“Cani! Venite qui! Dove andate?” gridò il capo squadra. Ma quelli sciamarono urlando nei corridoi: “Via, via, via! Gandal è morto! Re Vega è ferito!”
Il capo della guardia affidò il sovrano alle poche guardie rimaste fedeli, poi suddivise lo scarso drappello e si gettò con un pugno di soldati lungo i corridoi della base, per raggiungere la sala comando.
Skarmoon sembrava un vespaio impazzito. La notizia della morte del generale era già dilagata e si ingigantiva di minuto in minuto.
“Gandal è morto!”
“Anche Vega è morto!”
“Duke Fleed sta per sbarcare!”
“Si vendicherà! Ci massacrerà tutti!”
Privi di guida, i reparti si dissolvevano uno dopo l’altro: alcuni soldati si erano attestati nei loro settori, pronti a resistere; la maggior parte però continuava a riversarsi in massa nei corridoi, cercando di raggiungere un mezzo qualunque per mettersi in salvo.
Il capo della guardia si era asserragliato nella sala comando. La sua voce risuonava insistente e impotente per tutta la base: “A tutte le unità! A tutte le unità! La diserzione non sarà tollerata! Nessuno deve lasciare Skarmoon! Re Vega è vivo! Viva l’imperatore della nebulosa! Nessuno deve lasciare la base senza autorizzazione! Chi oserà farlo sarà abbattuto senza pietà! Spareremo a vista! A tutte le unità! A tutte le unità…”
Il panico imperversava. Molti decisero di ignorare gli avvertimenti. Cominciarono le prime sparatorie. Dappertutto suonavano le sirene d’allarme; alcuni settori erano rimasti privi di energia ed erano illuminati debolmente dai generatori di emergenza. Qualcuno gridò al sabotaggio. Due tecnici in camice bianco furono strappati ai loro laboratori e fucilati sul posto.
Ains fu catapultato in un corridoio spettrale, sospinto da un fiume di uomini che cercavano di raggiungere gli hangar.
“No! NO! Le celle sono dall’altra parte!” Il ragazzo si buttò a testa bassa contro corrente, deciso a raggiungere sua madre. La folla lo trascinava via, ma lui con la forza della disperazione riuscì a guadagnare l’ingresso alla zona carceraria. Anche lì regnava il caos. Pregò che nessuno avesse fatto del male a sua madre. La trovò rannicchiata in un angolo, tremante, ancora dentro la cella.
“Mamma!” Senza aggiungere altro la prese con sé, stringendole forte una mano. Stavolta seguivano il flusso. I corridoi rimbombavano di grida e di colpi. Man mano che avanzavano verso i terminali a forma di fungo dello spazioporto, incontravano corpi di uccisi, sfigurati da quelli che fuggendo dopo di loro li avevano calpestati. Ains continuava a correre stringendo il polso di Leyra, fino a illividirle la mano. La donna era sfinita. I colpi erano sempre più frequenti e vicini.
Fu un attimo.
Da dietro un angolo sbucò una pattuglia di soldati leali e si parò loro davanti: “Traditori! Tornate indietro!” Il raggio li falciò. Ains e la madre caddero, mentre quelli correvano via furiosi, senza guardarli un secondo di più.
“Mamma! MAMMA!” Era stata colpita, perdeva sangue da un fianco. Ains miracolosamente era rimasto illeso. Se la caricò sulle spalle e percorse gli ultimi metri, fino al portello di un minidisco. Scivolò all’interno del mezzo e l’adagiò delicatamente sull’ampio sedile del pilota. Si sedette accanto a lei e la sostenne con il suo corpo, passandole un braccio dietro la schiena.
“Ains… mi dispiace…” mormorò la donna, cercando di guardarlo negli occhi. Il ragazzo la fissò, stringendola fra le braccia. “Non sono… riuscita a… proteggerti!” concluse in un soffio.
Ains si mise ai comandi. E’ viva! E’ viva! Devo salvarla! “Mamma, stai tranquilla, ti porto via!”
“Qui minidisco, qui minidisco! Chiedo codice di decollo e autorizzazione!” urlò nel comunicatore.
Intanto, impostò le coordinate spaziali di Vega. Il computer di bordo ci mise un tempo infinito, poi sentenziò: “Coordinate di destinazione inesistenti.”
“Che significa inesistenti?!? Sono le coordinate del pianeta Vega!” scattò Ains.
Interrogò di nuovo la macchina. La voce metallica del processore fornì senza fretta i particolari richiesti: a quelle coordinate corrispondeva una immensa nube di pulviscolo e detriti radioattivi. Impossibile programmare atterraggio.
Ains era fuori di sé. Sforzandosi di mantenere la lucidità, si chiese cosa mai potesse giustificare quella risposta. Impostò una ricerca diacronica, a partire dalla data della sua partenza da Vega. Le immagini del collasso del suo pianeta natale gli scorsero davanti impietose.
Vega… distrutto! Vega non esiste più! Era annichilito dallo stupore. Un gemito di sua madre lo riportò alla realtà. La guardò ansioso. Maledetto Zuril! Mi hai ingannato!
“Mamma, resisti! Ti porterò in salvo! Ti porterò… da Duke Fleed!” Sì: se Vega è distrutto, torneremo sulla Terra!
“Qui minidisco, qui minidisco!” urlò ancora nel comunicatore, sul canale della sala comando. “Chiedo codice di decollo e autorizzazione!”
“Negato!”
“Soldato! Ti ordino di generare un codice di decollo! Ho l’autorizzazione del Ministro Zuril in persona!” si inalberò il ragazzo.
Dalla sala comando gli giunse il suono incongruo di uomini che ridevano sguaiati.
“Con l’autorizzazione di un morto puoi andare all’inferno, bastardo!”
La comunicazione fu chiusa.
Morto! Zuril è morto! Ains fu assalito dalla disperazione. Si voltò a controllare sua madre: respirava a fatica, la fronte coperta di sudore freddo. “Mamma!” Le toccò una mano. Fredda anche quella. Ains si sentì soffocare. Non importa! Decollerò ugualmente, con un codice manuale!
Il minidisco si staccò dall’ombrello del fungo d’attracco. Dal pennone centrale spararono un laser. Il raggio li colpì in pieno. In pochi secondi la cabina di pilotaggio si arroventò, come se si fosse trovata improvvisamente dentro un incendio. Ains e Leyra gridarono. Il raggio cessò momentaneamente. Il ragazzo ebbe appena il tempo di prendere fiato, quando un’altra scarica colpì il minidisco e gli strappò un grido più forte. Sua madre, invece, rimase muta. Ains si girò inorridito. Inserì il pilota automatico e la prese tra le braccia scuotendola forte.
“Mamma, mamma, mamma!”
Il grido lacerò il silenzio di tomba della cabina. D’istinto, le premette due dita sul collo e subito le ritirò, tutto tremante.
“L’hanno uccisa…” balbettò.
“Maledetti!” inveì, “l’avete uccisa!”
Se la strinse al petto convulsamente e scoppiò in un pianto dirotto. Le lacrime fluivano inarrestabili, gli scorrevano sulle guance e bagnavano il volto cereo della donna. Prese ad accarezzarla gemendo.
Vega… la pagherai!
Il disco proseguiva in linea retta, guidato dal pilota automatico. Ormai era uscito dalla portata del laser.
Singhiozzando forte, stringendo a sé il corpo esanime di sua madre, Ains si rimise ai comandi con lei accanto e afferrò saldamente la cloche con la mano libera.
La Terra galleggiava davanti a lui sospesa sull’orizzonte, bella come la prima volta che l’aveva vista: un gioiello blu, rilucente sul velluto nero dello spazio profondo.
Alzò lo sguardo deciso, indurì la mascella: “Duke Fleed, ormai è troppo tardi per riscattarmi ai tuoi occhi! Ma, forse, questo ti aiuterà.” Poi tirò la cloche di lato e infine la spinse con fermezza in avanti. Il disco eseguì docilmente un’ampia virata e puntò la superficie lunare.


Tutti i monitor della sala comando trasmisero in contemporanea la traiettoria del minidisco fuggiasco… Di colpo, i presenti compresero.
“Maledetto!” imprecò il capo squadra, “vuole schiantarsi contro il generatore centrale vegatron!”
Manciate di secondi all’impatto, poi si sarebbe prodotta un’esplosione devastante!
L’allarme di evacuazione totale lacerò l’aria con il suo inconfondibile suono. Stormi di minidischi si alzarono in volo, cercando di abbattere quello ribelle. Nella sala del trono, le guardie del corpo rimaste fedeli afferrarono il re per le braccia e le gambe, fantoccio inerte, e lo sospinsero rapide nel raggio traente che pioveva attraverso il soffitto, spalancato sopra di loro.
Da più parti, diversi laser colpirono il disco suicida, ma tutti di striscio, senza riuscire a disintegrarlo. Il proiettile impazzito terminò la sua corsa piantandosi nel cuore del generatore.
Ebbe inizio una tremenda reazione a catena; esplosioni a ripetizione scossero, orribili, la faccia nascosta della Luna, distruggendo ogni cosa, mentre l’ammiraglia della flotta di Vega si staccava dalla superficie lunare, lasciandosi dietro un mare di fiamme.

***



L’emissione anomala di luce e di radiazioni fu subito rilevata dagli strumenti.
“Professore, guardi qua!” esclamò Hayashi.
Umon si avvicinò rapido alla consolle: “Per favore, inquadra l’immagine della Luna e passala sullo schermo centrale” rispose, scrutando con attenzione il fenomeno. I ragazzi si radunarono subito alle sue spalle, col fiato sospeso.
Quello era un giorno di Luna nuova, ma incredibilmente il satellite era visibile: il disco bruno si stagliava netto su uno sfondo sanguigno, pulsante, che alternativamente si espandeva oltre il profilo lunare e si restringeva dietro di esso.
Dal monitor principale del Centro Ricerche bagliori sinistri piovevano sui volti attoniti dei presenti; li illuminavano e scomparivano a intermittenza, come lampi di una catena interminabile di esplosioni.
Daisuke fremette, con impressa un’ombra di rimorso sui lineamenti severi. Abbassò il capo e serrò i pugni. Rubina…
Maria si coprì la bocca con una mano e chiuse gli occhi angosciata. Ains!
Hikaru e Koji si strinsero ai loro amici in silenzio.
Il lungo momento di sospensione fu rotto dalla voce ferma e composta del professore: “Tenetevi pronti, ragazzi: temo che questo sia solo l’inizio” scandì gravemente, fissando lo schermo. “L’inizio dell’attacco finale.”

Fine



E per correre ai nostri posti, durante l'attacco finale... da questa parte:
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view post Posted on 12/4/2018, 10:23     +1   -1
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Seguo a ruota le mie colleghe e posto qui il link al mio contributo al contest per i quarant'anni di Goldrake in Italia, dall'originale titolo "Goldrake 40".

#entry619664063

E sostengo con entusiasmo il suggerimento di Pianetaazzurro di inserire eventuali ulteriori commenti :dribble: :dribble: :dribble: , nei thread appositi!
 
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view post Posted on 10/6/2019, 23:06     +1   +1   -1
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Ciao a tutti! Si riciccia!
Per chi non ha mai ascoltato Il ruggito del coniglio (ma chi non ha mai ascoltato Il ruggito del coniglio? :asd: ), “mi ripresento”, “mi rifaccio viva”…
E ricicciando, confesso di essere stata, negli ultimi tempi, assente per rubinite. Ebbene sì: ha contagiato anche me e così anch’io ho scritto un racconto basato sull’episodio 72 di Goldrake.
È un what if in trentacinque puntate, con finale alternativo; si intitola Promesse. Praticamente un racconto a tesi. E la tesi è… Ve ne accorgerete mooolto presto. Buona lettura!


Promesse



1.
Nitriva, sbuffava, s’impennava, scalpitava. Da sotto gli zoccoli la terra umida schizzava in alto da tutte le parti e si spargeva ovunque, in larghe sventagliate di polvere scura e pesante. Il recinto pareva un campo di battaglia! Da quanto tempo non veniva montato? Da quanto tempo nessuno lo aveva più portato all’aperto? Quanto gli era mancato quel ragazzo forte, sincero, senza paura! E quella volta, all’improvviso, l’aveva chiamato! Finalmente! Non lo aspettava più! Ma non l’aveva dimenticato. E ora fremeva felice alle sue carezze, alla sua voce, sentendo le sue ginocchia che gli stringevano il ventre. E mostrava tutto il suo entusiasmo animale con quel rodeo improvvisato. Sgroppava come un forsennato, ma non lo voleva disarcionare: voleva solo giocare con lui. Era fuori di sé dalla gioia, non voleva che finisse troppo presto…
“Buono Silver… buono!” gli sussurrò Daisuke all’orecchio.
Un nitrito squillante, una sgroppata più forte, un’impennata più alta. “Ehiiiiiii!” fece il ragazzo. Un grido di pura esultanza, lanciando in aria il cappello e ridendo di cuore.
“Bravo Daisuke! Bravo!” Goro e Danbei facevano un tifo arrabbiato, Koji e Maria applaudivano felici.
In quel momento la porta della cucina si spalancò. Hikaru uscì di corsa in cerca del fratello: “Goro!” Alzò gli occhi. Lo spettacolo la lasciò senza fiato. Daisuke!
Provò un brivido in tutto il corpo, arrossì violentemente. Era di nuovo lui! Era guarito! Lo sapeva, certo, ma non se ne era ancora capacitata del tutto. Da quanto tempo non lo aveva più sentito ridere? Solo gridare straziato, in battaglia… o gemere, durante le interminabili cure. Le vennero le lacrime agli occhi, mentre lo ammirava in silenzio. È proprio così… È proprio vero…
Mosse alcuni passi, dimenticando il motivo per cui era uscita di casa, e arrivò allo steccato; vi puntò i gomiti e appoggiò il mento sulle mani riunite a coppa. Il cavallo aveva ceduto: ormai docile, girava per il recinto al passo, fiero ed elegante, di tanto in tanto scuotendo la testa con un breve nitrito. Le passò davanti più volte.
“Hikaru!” La voce di Daisuke la fece trasalire. “Porto Silver a fare una corsa. Vuoi venire con Stella?”
Subito si riebbe: “Cosa?” Inavvertitamente, col gesto meccanico di chi è abituato da sempre, scrutò per un momento l’aspetto del cielo: era plumbeo, non incoraggiava a uscire…
“Ma… sembra che stia per piovere…”
“Ti importa?”
“No! Oh, no!” rispose lei ridendo entusiasta e corse alla stalla senza aggiungere altro, a prendere la giumenta pezzata.
Partirono al galoppo.
“Ehi! Ma che fate?! Dove volete andare?” li rincorse Danbei, ma i suoi richiami queruli si persero presto alle loro spalle.
Il vento era inebriante, l’aria satura di elettricità. La tensione era palpabile, prima del temporale estivo. Corsero a lungo in silenzio, fino alle prime balze della montagna. Qui smontarono brevemente e fecero abbeverare i cavalli al ruscello. Loro stessi bevvero a sazietà e si sdraiarono a terra per riposare, contemplando le nubi che correvano come puledri selvaggi, negli spazi vuoti in alto, tra i rami.
“Daisuke…”
Lui si girò a guardarla.
“Sei guarito…” cominciò lei timidamente. Da quando era successo, non aveva ancora potuto parlarne con lui e ne sentiva il bisogno.
“Sì!” le rispose felice.
Anche lei si girò verso il ragazzo; si sollevò un poco appoggiandosi su un braccio piegato e allungò l’altro verso di lui, la punta del dito a toccargli la spalla destra, scivolando giù fino al gomito. Sorrise in silenzio, poi si decise: “Come è successo?”
Lui era tornato disteso a guardare all’insù, con le mani intrecciate dietro la nuca.
“Markus. La medicina su Vega è molto avanzata.”
La ragazza sgranò gli occhi. Daisuke si rese conto di non esserle stato d’aiuto. Provò a spiegarsi meglio: “Era mio amico, mio amico fraterno. Poi Vega lo ha reso schiavo. Alla fine, l’ha mandato contro di me, l’hai visto anche tu.” Lei annuì seria. Il ragazzo continuò: “Ma in qualche modo ha capito e si è liberato… E allora, mi ha reso un antico favore: ha voluto guarirmi. Mi ha salvato la vita!” Hikaru continuava a sfiorare leggera il braccio che era stato piagato e ora era liscio e perfetto.
“L’hanno ucciso…” soggiunse lui triste. “Ma almeno è morto da uomo libero!” esclamò.
Vi fu una lunga pausa. Daisuke si coprì gli occhi con una mano: “Tutti quelli che tocco, finiscono male!” mormorò.
“Che dici?” fece lei scuotendo la testa.
“È il mio destino.”
“No, no!” protestò lei. “Anche la morte lo era! E ora… non è più così” concluse ferma.
Lui la guardò sorpreso. Non si aspettava quel ragionamento e nemmeno quel tono deciso. Si mise a sedere e poi, agile, in piedi. Le porse una mano per aiutarla a rialzarsi. “Andiamo a guardare il tramonto.”
“Ma… forse dovremmo tornare…” rispose lei incerta.
“Non andremo lontano. Avremo tutto il tempo di tornare, il crepuscolo è lungo. Comunque, nella sacca ho la torcia.”
La ragazza non replicò. Risalirono a cavallo e si avviarono senza fretta per il sentiero che si inerpicava sulla montagna. Da alcuni punti, anche non troppo alti, si godevano viste magnifiche. Di tanto in tanto il brontolio di un tuono lontano si sovrapponeva all’acciottolio cadenzato degli zoccoli dei cavalli. Dopo una svolta, raggiunsero la prima terrazza naturale, proprio mentre all’orizzonte una sottile porzione di cielo sereno si incendiava improvvisamente: il sole stava calando in quel momento e tingeva di bagliori sanguigni e violacei le nubi temporalesche incombenti. I ragazzi ristettero affascinati davanti a quello spettacolo.
Di colpo, il vento girò dalla loro parte; Hikaru si tenne il cappello: “Ehi! È meglio andare!” Cominciarono a cadere grosse gocce di pioggia, prima sporadiche, poi, in un attimo, sempre più fitte. Lo scroscio del temporale li investì in pieno. Daisuke inspirò profondamente; chiuse gli occhi, gettò il capo all’indietro e si lasciò inondare per un momento dalla pioggia battente. Un lampo balenò non lontano e il tuono sembrò far tremare le rocce. “Dobbiamo metterci a riparo!” gridò la ragazza scuotendolo per un braccio. Lui si riscosse: “Sì! Andiamo!”
Salendo avevano notato una cavità naturale. La ritrovarono facilmente e vi entrarono. All’interno era buio pesto. La torcia di Daisuke ne rivelò le dimensioni. “Siamo fortunati!” disse. “È grande abbastanza da riparare anche i cavalli!” Smontarono e condussero dentro gli animali per le briglie. “Uhuuu! Che freddo!” disse lei un po’ ridendo, un po’ battendo i denti, mentre legava la giumenta. “Faremo un falò” le rispose il giovane. Per fortuna l’occorrente era rimasto asciutto, nella sacca sotto la sella, e le radici degli alberi soprastanti fornivano abbondante sterpaglia.
Hikaru si inginocchiò tremando accanto a Daisuke, intento ad accendere il fuoco. Dopo alcuni minuti di sforzi, la fiamma divampò. Lui si tolse rapidamente la maglia, la strizzò e la posò ad asciugare lì vicino. Poi, protese le mani a scaldarsi.
Lei poteva osservarlo di profilo: le ciocche bagnate gli lasciavano colare sottili rivoli d’acqua sul petto, sulle braccia, sul dorso. D’un tratto, provò l’impulso di sfiorare di nuovo quel braccio che aveva tanto sofferto, come per asciugarlo; senza sapere che cosa facesse, lo strinse e vi posò un bacio.
Lui si voltò vivamente: “Hikaru!” mormorò sorpreso. La fiamma illuminava a tratti la figura di lei: gli abiti estivi, completamente inzuppati, le aderivano al corpo, disegnando con precisione ogni particolare. “Hikaru!” ripeté piano e le sfiorò i seni, a palmi aperti. La sentì fremere, mentre gli posava le mani sopra le sue e cercava di trattenerle un istante di più, premute sul petto. La fissò serio, intenso, sentendosi accelerare il respiro. La accarezzò su una guancia: “Hai i vestiti tutti bagnati… Dovresti asciugarli.” Lei annuì, sorridendo inebriata a quella richiesta senza domanda. Lui cominciò a sbottonarle la blusa, facendogliela scivolare lungo le spalle.
Con le labbra le strinse i capezzoli, prima uno, poi l’altro. La scossa le strappò un gemito e le mozzò il respiro. Si aggrappò alle spalle di lui, lisciandole con i palmi tremanti; si stese al tepore del fuoco, senza smettere di abbracciarlo; gettò il capo all’indietro, mentre lui la percorreva tutta, leggero, sicuro, con le mani aperte, con la punta delle dita, senza stancarsi.
Era pronta.
La guardò negli occhi: “Hikaru…” mormorò di nuovo, in attesa. Lei li socchiuse sorridendo e annuendo ancora, non osando sentirsi rispondere ad alta voce.
Si immerse in lei, dolce e deciso. Piccole grida, parole spezzate, mentre lui si muoveva e lei lo seguiva. Carezze insistenti. Baci. Un’onda che cresceva dentro, a ogni spinta più forte, e saliva, incontrollabile, irrefrenabile, fino a travolgerli.
D’un tratto s’infranse.

Il fuoco continuò a crepitare a lungo, mentre il temporale, all’esterno, si scaricava in tutta la sua potenza.

***



Colpi secchi di tacchi in un corridoio. Il ministro Zuril raggiunse trafelato la sala comando.
“Maestà! Maestà! Una notizia gravissima! È scoppiata una rivolta su Ruby!”
Il volto di Vega comparve sullo schermo. “Cosa?”
“È così, sire! La situazione è fuori controllo!” continuò concitato il ministro.
“Non è possibile!” esclamò deciso il sovrano. “Mia figlia Rubina è perfettamente in grado di sedare qualsiasi rivolta.”
“Chiedo perdono, maestà, ma la principessa Rubina ha appena lasciato il pianeta e ora si sta dirigendo qui” insisté il ministro, ancora in ginocchio.
“Cosa?” ripeté il re, stavolta seriamente allarmato. “Com’è possibile?”

***



La navicella solcava lo spazio come una sottile lama di luce, lasciandosi dietro in pochi secondi miliardi di chilometri, ammassi stellari, corpi celesti… D’improvviso lo schermo inquadrò un’immagine familiare al pilota.
“Ma quello è il pianeta Fleed!” La ragazza non credeva ai propri occhi. Si affrettò a dare un comando: “Esci da modalità interstellare.” Il computer di bordo dimezzò la potenza dei propulsori. “Attiva modalità esplorativa.” La nave cominciò ad avvicinarsi al pianeta, non tanto da essere attratta dal suo campo gravitazionale, ma abbastanza da permettere al pilota di osservarlo con attenzione. Quel tenue bagliore rosato significa che il vegatron è quasi scomparso… La figlia di Vega ricordava bene come l’inquinamento radioattivo avesse stravolto il suo pianeta d’origine. Quando era stata costretta a lasciarlo l’aveva guardato per l’ultima volta e le era rimasta negli occhi l’immagine di un’orribile coltre vermiglia: l’atmosfera su Vega già da lungo tempo era inabitabile, invece ora, sotto i suoi occhi, quella di Fleed sembrava promettere vita! La principessa esultò, mentre fotografava la scena che aveva davanti. Poi si abbandonò alle fantasticherie. È una notizia incredibile!... È… è molto più di ciò che avrei osato sperare…
Il tono furente del padre invase la cabina, interrompendo le sue riflessioni: “Rubina! Perché hai lasciato il pianeta Ruby? Sedare la rivolta era tuo preciso dovere!”
“Ho abbandonato Ruby perché ho scoperto che mi hai sempre mentito!” gli rispose la ragazza risentita.
“Ti avrei mentito? Io? Ma di cosa parli?” la rimbeccò duramente il re.
“Di qualcosa che ho scoperto su Ruby: Duke Fleed è vivo!” gli gridò in faccia la figlia, avvicinandosi allo schermo del comunicatore.
“Ma cosa dici, Rubina…” prese tempo l’uomo.
“Duke Fleed è vivo?” lo mise alle strette lei, rabbiosamente. “Dimmi la verità!”
Le rispose il suono metallico della comunicazione interrotta. Anche il video si spense. La ragazza si portò le mani alle guance e poi si coprì la bocca, in preda alla più forte delle emozioni. Allora è vero… È tutto vero! Duke, sei ancora vivo!

***



“Zuril!”
“Vi ascolto, maestà!” rispose pronto il ministro, facendosi avanti. Cosa ancora può essere successo, per convocarmi così urgentemente…? si chiese tra sé.
“Purtroppo mia figlia ha saputo che Duke Fleed è ancora vivo.”
“Non era possibile nasconderglielo per sempre” si permise di osservare il ministro. “Prima o poi l’avrebbe scoperto…”
“Il punto non è questo” fece il re infastidito. “Il guaio è che lei lo ama ancora!”
“Dopo otto anni?” trasalì Zuril.
Vega ignorò la domanda e proseguì, quasi parlando tra sé: “L’idea di mandarla su quel pianeta per far abbassare la guardia ai fleediani si rivelò un grosso errore…”
“Un errore non vostro, sire!” lo adulò il ministro. “Voi vi limitaste ad assecondare il desiderio di quel pusillanime del loro re di darla in sposa a suo figlio, per suggellare la pace tra i popoli” gli ricordò.
“È vero, Zuril…” sogghignò Vega, lisciandosi con la destra il mento e la barba. “È proprio così…”

***



Il sole appena sorto aveva incendiato un cielo terso e splendente; dopo la notte di pioggia, il paesaggio si accendeva di mille sfumature di verde brillante. I cavalli procedevano placidi verso la valle, la cavezza della giumenta legata alla sella dell’altro animale. I due giovani, assorti, si lasciavano cullare dal ritmo monotono. Lei sedeva all’amazzone davanti a lui e teneva il capo reclinato sulla sua spalla. Un punto leggermente scosceso costrinse Daisuke a tirare le redini, stringendo la ragazza in un lieve abbraccio. “Hikaru…” Il ragazzo esitava. La giovane rimase in silenzio. “…la guerra non è finita…” riprese lui. “E io potrei in ogni momento…”
Lo fermò, sfiorandogli le labbra: “Lo so”, disse piano.
I polpastrelli scivolarono lievi dal mento al collo di lui e si fermarono sul suo petto: “Non devi promettermi nulla” gli sussurrò nell’orecchio. Lui afferrò le dita sottili tra le proprie, le baciò, baciò ancora il palmo della sua mano e poi cercò le sue labbra. Ti amo, Hikaru. Ti amo! Ti amo più di me stesso!
Chiuse gli occhi un istante, poi la guardò con tenerezza, ammirato, mentre lei gli si abbandonava di nuovo.



Presto i tetti della fattoria li salutarono da lontano con il loro rosso squillante. Daisuke sorrise tra sé al pensiero che per un po’ sarebbe stato meglio girare alla larga da Danbei e dal suo schioppo… Un’occhiata d’intesa, poi si fermò, smontò e afferrò la ragazza alla vita per aiutarla a scendere. Proseguirono a piedi, prolungando ancora un po’ quel momento di pace.
-continua-

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view post Posted on 13/6/2019, 22:43     +1   +1   -1
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2.
“Duke è da qualche parte su una di queste grandi isole, non è vero?” osservò la ragazza, puntando l’indice su una foto satellitare dell’arcipelago giapponese. Il grande schermo occupava quasi un’intera parete dell’ampia sala del trono.
Il padre la interruppe brusco: “Pensa piuttosto a risolvere la questione di Ruby.”
“Padre…” riprese lei conciliante. “Gli abitanti di Ruby desiderano solo la pace. Se concederai loro l’indipendenza, rimarranno fedeli alleati di Vega. Vedrai, abbandoneranno ogni proposito bellicoso! E sono certa che anche i terrestri faranno lo stesso! Ti prego, padre” aggiunse in tono di supplica, “smetti di lanciare attacchi contro la Terra!”
“Sciocca! Non sai che Vega è perduto? Conquistare la Terra è di vitale importanza per noi. È la nostra ultima speranza!” rispose cupo il sovrano. “Non è forse così, Zuril?” aggiunse volgendosi lievemente alla propria sinistra.
Il ministro scivolò fuori dalla penombra dalla quale fino ad allora aveva assistito alla conversazione non visto: “Certamente, maestà” confermò chinando il capo, con espressione impenetrabile.
La principessa sussultò all’inatteso intervento. Una sgradevole sensazione d’allarme la colse, ma non si lasciò distogliere dal proprio obiettivo, limitandosi a passare alle forme dovute.
“Oh padre!” proseguì supplichevole, “vogliate ascoltarmi: non è così!” lo contraddisse. “C’è anche il pianeta Fleed!” affermò, di nuovo decisa.
“Cosa?” fece il re incredulo.
“Vi prego, padre, lasciatemi dire quello che ho visto con i miei occhi!” insistette. “Fleed sta tornando a vivere. Abbandoniamo questo avamposto remoto, trasferiamoci sul pianeta verde e fondiamo lì un nuovo regno. Sono sicura che Duke Fleed sarà felice di collaborare. Se solo voi mi permetteste di incontrarlo e di parlare con lui…!” concluse giungendo le mani.
“Mai! Potremo dirci sicuri solo dopo aver distrutto Grendizer e conquistato la Terra!”
“Ma padre…!” supplicò ancora la ragazza.
“Basta!” la investì Vega, senza cedere minimamente alle sue insistenze.
Il bel volto della principessa si oscurò all’improvviso; le sopracciglia si aggrottarono e il mento prese a tremarle. Volse le spalle al padre con rabbia e, incapace di aggiungere altro, fuggì dalla sala, inseguita dalla voce sorpresa del re: “Rubina! Che fai? Dove vai? Aspetta!” Ma la ragazza non tornò indietro. Si gettò a correre per il labirinto della base, sfogando in un pianto dirotto l’ira e il dispetto che le attanagliavano la gola.
Passò appena un istante, poi il re, con un cenno nervoso del capo, ordinò al suo ministro: “Seguila! Che non faccia pazzie!” L’uomo batté i tacchi e scattò oltre le porte scorrevoli della sala del trono.
Rubina, intanto, si era fermata un momento a riprendere fiato. Senza più lacrime, appoggiandosi ansante a una parete, aveva preso la sua decisione.
Andrò lo stesso a parlare con Duke… Lui deve sapere! Ti prego, Duke, aspettami, aspettami ancora un poco! Alzò la testa orgogliosa, gettando indietro la chioma fulva. Io non ho paura di mio padre… Non ho paura di nessuno, io! Io… ti farò felice, Duke!
Era ormai arrivata all’uscita di imbarco dove sostava la sua navicella, quando si avvide che qualcuno le sbarrava la strada.
“Principessa Rubina! Fermatevi!”
La ragazza involontariamente rabbrividì; alla prima inattesa apparizione del Ministro delle Scienze accanto a suo padre, aveva provato un sottile disagio e ora di nuovo, più forte. Quell’uomo… Zuril…
“Spostatevi, ministro!” ordinò irrigidita.
“Principessa, dove andate? Che cosa volete fare?” tentò di blandirla lui.
“Vattene, Zuril!” sibilò lei stizzita.
Un impercettibile mezzo sorriso increspò la bocca del ministro, mentre la guardava maligno. Tu vuoi Duke Fleed… e io voglio te. Vedremo chi vincerà la partita…
“Principessa, ascoltatemi. Volete davvero ristabilire la pace, per il bene di tutti i popoli della galassia?”
Rubina spalancò gli occhi sorpresa: “Certo!” esclamò, con un guizzo fiero del capo.
“Ne ero sicuro!” si illuminò lui, atteggiando il volto a un largo, cordiale sorriso.
La ragazza lo guardò, poi aggiunse: “Ministro! Io ho visto l’odio e il terrore negli occhi dei sudditi… Se quell’odio e terrore si trasformassero in fiducia e lealtà, finalmente l’Impero di Vega sarebbe al sicuro per mille anni!” concluse ispirata.
Certo, ragazza… Certo. Anche io la pensavo così… tanti anni orsono.
“Siete molto saggia, principessa. Lungimirante. E proprio per questo, oso proporvi il mio aiuto.”
“Che intendete, ministro?” indagò lei guardinga.
“Vorrei che la vostra iniziativa ottenesse il successo che merita” le rispose l’uomo.
Rubina rimase in attesa.
“Se vostro padre vi appoggiasse… Con il suo consenso, le probabilità di riuscita sarebbero molto maggiori” continuò lui.
La ragazza sospirò sconsolata: “È impossibile, Zuril. Non credo che cambierà mai idea.”
Il ministro accennò a un inchino, portandosi una mano sul cuore: “Permettetemi di tentare, altezza. Datemi un po’ di tempo. Cercherò di convincerlo, gli suggerirò gli enormi vantaggi che la pace potrebbe arrecarci.”
Lei lo guardò interrogativa.
“Cercate di mettervi nei suoi panni, principessa…” continuò Zuril conciliante: “Il grande Vega è un uomo di profonda esperienza, saggio, autorevole, fiero. Mai accondiscenderebbe a dare ragione a vostra altezza, che, nonostante la grande intelligenza e avvenenza, ai suoi occhi rimane pur sempre una giovane e inesperta ragazza: sua figlia!”
Rubina arrossì lievemente, ma tacque. Quelle parole avevano avuto il potere di riportarla, suo malgrado, a un passato lontano, sepolto, a giornate di sole e di studio, quando tutto doveva ancora accadere, e di farle tornare alla mente, prepotente come uno schiaffo, un ricordo inquietante, ma allo stesso tempo anche piuttosto intrigante...
Il ministro continuò: “Ma forse presterà ascolto ai suggerimenti di un vecchio consigliere avveduto…”
“Voi non siete vecchio, Zuril!” protestò graziosamente la principessa, seguendo il filo di antichi pensieri. Il ministro chinò di nuovo il capo, con un sorriso se possibile ancora più largo e cordiale del primo: “Lasciatemi tentare.”
Rubina parve colpita; rifletté ancora un istante, poi decise: “E sia, ministro. Rimanderò la mia partenza del tempo necessario al vostro colloquio con mio padre. Informatemi immediatamente dell’esito.”
Zuril esultò per aver guadagnato quel punto. Perfetto, Rubina, perfetto!
“Grazie altezza!” concluse l’uomo, inchinandosi profondamente.



La porta della grande anticamera si spalancò, il ministro entrò nella sala del trono e si inginocchiò deferente.
“Vieni avanti Zuril” lo invitò il sovrano. “Che cos’hai da dirmi?” Zuril si avvide con disappunto che accanto al re c’era Gandal. Dannazione, avevo chiesto un’udienza privata… Dovrò vedermela anche con quell’imbecille.
“Sire! Ho riflettuto sull’incresciosa intenzione di vostra figlia di entrare in contatto con Duke Fleed: sono arrivato alla conclusione che potremmo sfruttarla a nostro favore!”
“Uhmm, che vuoi dire, Zuril?”
“Perdonate l’ardire, maestà: la principessa… è molto bella e di ingegno brillante!” Una pausa per vedere se quei complimenti sortivano l’effetto sperato… Il volto di Yabarn rimase di pietra. Il ministro andò avanti: “Queste sue doti potrebbero molto giovare alla causa dell’Impero di Vega…”
Il re continuava a riflettere appoggiato col gomito a un bracciolo del trono, lisciandosi distrattamente la barba.
“Inoltre, maestà, finora Duke Fleed si è rivelato un nemico imbattibile” proseguì Zuril, sicuro di toccare un nervo scoperto del suo rivale.
“Cosa?” lo interruppe il generale sdegnato, muovendo un passo in avanti.
“Sta’ zitto, Gandal…” lo tacitò il sovrano, scuro in volto.
Zuril esultò malignamente tra sé e proseguì il suo ragionamento: “Ma noi lo batteremo, grazie a vostra figlia!”
“Vuoi usare mia figlia come esca?!” ringhiò il re minaccioso.
“Sire, giammai! La sua vita è troppo preziosa, più di qualsiasi vittoria!”
Questo lascia che sia io a stabilirlo… “E dunque?” lo interrogò rabbonito il sovrano.
“Sire, ritengo che vostra figlia sia la persona più adatta a trovare un’intesa con Duke Fleed e a convincerlo a lasciare la Terra, almeno temporaneamente, facendo leva sul suo… spirito umanitario…” Il ministro s’interruppe sogghignando complice all’indirizzo del re. Poi continuò: “…sull’amore verso il proprio pianeta natale e, non ultimo, sulla promessa che un tempo lo legò a lei.”
Yabarn ormai lo seguiva sempre più interessato. Gandal fremeva impaziente.
“Naturalmente, Duke Fleed non è uno stupido: la principessa dovrà fornirgli solide garanzie” soggiunse Zuril.
“Ovvero?” chiese re Vega.
Il ministro chiarì: “Tregua abbastanza prolungata da risultare credibile; dati evidenti sul ritorno alla vita del pianeta Fleed; supporto logistico per il trasporto e l’insediamento su Fleed dei fleediani attualmente in esilio su Ruby.”
“E noi cosa ci guadagniamo?” gli fu obiettato.
“Duke Fleed si allontanerà dalla Terra e, rassicurato dalla tenuta della tregua, si dedicherà alla ricostruzione del pianeta natale. Una volta eliminato il principe di Fleed, le Forze di Vega potranno procedere indisturbate a occupare la Terra!”
“Un passaggio mi sfugge, Zuril” lo interruppe il sovrano con lieve sarcasmo. “Tu eliminerai Duke Fleed?” aggiunse scettico.
“Non io, maestà: i fleediani superstiti!” rispose trionfante il ministro.
“Cosa?” mormorò il re, colpito. “E come intendi procedere?” s’informò.
“Li condizioneremo. Chi vorrà salire sui cargo da Ruby dovrà sottoporsi al trattamento. Non sarà difficile alimentare il risentimento di una massa di schiavi, sfruttando il tradimento del loro principe e la sua fuga su Grendizer: tutti ne furono testimoni! Sarà sufficiente, al momento giusto, ordinare loro di vendicarsi. Ci saranno grati dell’occasione di fare a pezzi il colpevole della loro disgrazia.”
Un sorriso crudele si insinuò nel volto feroce di Yabarn, che tuttavia chiese ancora: “Perché Duke Fleed dovrebbe credere a quello che mia figlia gli dirà?”
“Secondo la mia modesta opinione, sire, la principessa possiede la più forte delle motivazioni, per sforzarsi di guadagnare la fiducia di Duke Fleed. Credo che avrà successo. Ma se noi la volessimo favorire, potremmo suggerirle di passare al suo interlocutore qualche rivelazione di peso… Ad esempio, l’ubicazione della base Skarmoon…”
“Ma è una pazzia!” scattò Gandal. “È tradimento!” tuonò.
“È strategia, Gandal! E… psicologia” gli replicò il ministro, deciso ad arrivare fino in fondo. “E come ogni strategia vincente, richiede anche una certa capacità di giocare d’azzardo! Ragiona: sono sicuro che Duke Fleed non vorrà correre un rischio gratuito, avventurandosi fin qui da solo, senza l’aiuto della sua squadra d’appoggio che, come dovrebbe essere noto anche a te, non è in grado di lasciare l’atmosfera terrestre.”
Gandal digrignò i denti, subendo impotente l’ironica insinuazione.
“Ma, - proseguì imperterrito Zuril - seppure ciò dovesse accadere, ritengo che potremmo facilmente respingerlo. In ogni caso, sono sicuro che presto la base lunare non ci servirà più. Anzi, appena avremo invaso la Terra, noi stessi saremo costretti a distruggerla, per evitare che diventi una minaccia per noi, qualora in futuro cadesse in mano nemica.”
Vega annuì vigorosamente a quest’ultima osservazione.
“Al contrario, un’informazione del genere senza dubbio confermerà in Duke Fleed l’impressione che la principessa sia in buona fede” concluse il ministro.
“Mia figlia è in buona fede” rimarcò Vega critico.
Gandal non si trattenne: “Questo piano è una follia totale! Il nostro potenziale bellico non è stato ancora sfruttato completamente! Invece di rischiare alla cieca, dobbiamo concentrarci su un attacco globale!” esclamò concitato. “Inoltre, se non l’avessi capito, - si rivolse al ministro, ricambiando il sarcasmo - c’è una rivolta in corso su uno dei nostri pianeti carcerari maggiori! Dobbiamo stroncarla, prima che il cancro dilaghi in tutto l’Impero!” concluse reciso.
“Gandal, taci!” Il tono di Vega non lasciava adito a repliche.
Il generale sobbalzò, come colpito da una frustata.
“Se pensi che sia così urgente, andrai tu a sedare la rivolta su Ruby. Potrai dimostrare il tuo valore schiacciando quei cani!” lo irrise. “Vedremo che cosa sai fare.”
Gandal strinse i pugni sgomento.
“Puoi andare!” lo congedò bruscamente il sovrano.
“Ma sire…” balbettò il generale.
“Puoi andare!” ruggì Vega. “E non osare mai più giudicare al mio posto cosa sia folle e cosa no.”
Gandal impallidì mortalmente, chinò il capo di scatto e si precipitò furibondo verso la porta.
Non finisce qui, Zuril!
Il Ministro delle Scienze lo seguì con lo sguardo, esultando in silenzio della disfatta del suo rivale.
Quando le porte si richiusero, si voltò verso il re, in attesa della sua decisione. Passarono alcuni minuti, in cui Vega parve riflettere. Poi si risolse a parlare: “Zuril, il tuo piano è convincente: c’è bisogno di un diversivo. Se non altro, una tregua prolungata servirà a far abbassare la guardia ai terrestri. Ma non hai risposto alla mia domanda: perché Duke Fleed dovrebbe credere a mia figlia…”
“Sire” rispose il ministro, “i regnanti di Fleed sono sempre stati in simbiosi con il loro pianeta e la loro gente; oso pensare che il superstite della dinastia non abbia perso questa caratteristica… Al contrario: strappato violentemente al suo popolo e al suo destino regale, sono sicuro che la prospettiva inattesa di recuperare, almeno in parte, quello che per anni ha creduto perso per sempre lo attirerà irresistibilmente.”
“E mia figlia? Dovrei gettargliela tra le braccia un’altra volta?”
Il ministro rimase in silenzio.
“Non lo farò mai, Zuril. Giammai!” esclamò battendo il pugno su un bracciolo. “Non accadrà mai che un veghiano s’inchini a quel cane. Tantomeno mia figlia!” gridò.
“Sul mio onore, sire, e per la gloria di Vega, veglierò perché ciò non accada!” rispose pronto il ministro. “Tuttavia,” aggiunse, “è auspicabile che vostra figlia dia inizio a questa missione: la sua bellezza e la sua innocenza fugheranno ogni dubbio del fleediano.”
“Tu… veglierai, Zuril?” sogghignò il re.
Il ministro fece un cenno d’assenso: “Col vostro permesso, maestà.”
Il re lo squadrò per un attimo ridendo malignamente tra sé. Rubina non potrà lamentarsi… “Il nostro permesso ti viene accordato, Zuril” rispose con ironico sussiego il sovrano. “E se eliminerai Duke Fleed,” riprese brusco, abbassando la voce, “mia figlia sarà tua!”
Il ministro rimase impassibile, tuttavia non poté reprimere un fremito di soddisfazione. Alzò il sopracciglio: “Vostra figlia, maestà?”
“Mia figlia, sì… Te la do. Potrai farne ciò che vorrai. In cambio della Terra e della testa di Duke Fleed, beninteso…”
“Certo, maestà!” rispose Zuril battendo i tacchi.
“E ora, chiamala. Le parleremo insieme.”
“Agli ordini, sire!” esclamò il ministro, e si allontanò velocemente a eseguire il comando.
-continua-

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