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Delari
view post Posted on 9/5/2017, 12:16 by: Delari     +1   -1
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Grand Pez di Girella

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Baviera

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La città dove abito è rinomata per essere la più sicura della Germania. Magari anche la più benestante. Il che, ovviamente, ha i suoi svantaggi, come descritto in quest'articolo pubblicato qualche giorno fa sul giornale...

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Sono nato a Monaco di Baviera, e ho passato qui 25 dei miei 37 anni. Nei miei scritti ho lodato questa città mille volte e l’ho difesa mille altre volte. Ma negli ultimi 15 mesi ho viaggiato molto, e ho visto altri posti. Sono stato a New York, Londra, Berlino, Parigi, Milano, Vienna, Lisbona, Porto, Reykjavík, Roma, Stoccolma, Trieste, Budapest, Zurigo e Copenaghen. Non solo come turista, no, sempre per un po’ di tempo: ho vissuto in queste città, dormito, fatto la spesa, cucinato, bevuto, le ho girato di giorno in bici e di notte a piedi. E dopo ogni viaggio, tornando a Monaco mi sono svegliato un po’ più triste di prima, perché ho scoperto che in qualsiasi di queste città mi sentivo più a mio agio.
Nessuna era perfetta, per carità; ma tutte avevano qualcosa di genuinamente urbano che Monaco secondo me non ha. Una specie die addensamento, qualcosa di vivo, un polso storico, o anche solo una moderna piattaforma rotante. Ormai Monaco mi sembra diventata una sorta di quinta teatrale, portata in spalle da sei multinazionali del DAX. Gli scafisti che portano la gente qui si chiamano head-hunter e hanno creato una città dove si guadagnano soldi e si dorme, dove vanno e vengono persone per lavorare di settimana e passeggiare per le Alpi il sabato e la domenica. Con i quattrini prima si comprano una villa per dimostrare che possono farlo, poi un tradizionale abito bavarese, dopo una delle macchine nostrane, e quindi magari un altro appartamento; e non hanno più tempo per fare nient’altro, a parte forse andare al parco col cane, anche perché nei parchi di Monaco non è che ci puoi fare molto altro. I parchi sono illuminati male e vanno bene solo per i cani, non si gioca perché non ci sono campi adatti, e anche se ne trovi uno devi metterti in coda e quindi sperare che qualcuno abbia falciato l’erba.
Il Vecchio Giardino Botanico, proprio in centro: cosa ne farebbero altre città! Qui da decenni si vedono solo vecchi cespugli. Anche la piazzetta dietro al municipio praticamente la conosco solo sotto forma di cantiere. E le panchine, bruttissime (a Vienna, Londra e Parigi si trovano fitte ed eleganti in fila come poltrone, perché lì c’è qualcosa da vedere) sono rare quanto i cestini per i rifiuti, e seduta su ognuna si trova un pensionato tutto ben vestito che ti guarda in cagnesco solo perché osi passare da lì.
Tasche piene di soldi e appagamento zero. La riva del fiume, le colline con vista, i cortili interni, i marciapiedi larghi dieci metri – tutti posti esenti sia di persone che di gioia di vivere. A Stoccolma ti vendono i panini dolci alla cannella e il caffè anche nei piccoli treni regionali, Parigi è zeppa di pasticcieri, e non lasciatemi pensare a Roma o piango. Sulla riva dell’Isar invece riesci a passeggiare un’eternità prima di trovare uno che ti venda una breze, magari vecchia di due giorni, senza burro né niente.
Lo so, lo so, le città come le persone sono dotate di talenti differenti. Ma Monaco ormai mi sembra diventata la sentimentale idea di una bella città, che tutti hanno e per cui tutti leggono riviste e articoli su giornali specializzati, ma se guardi più da vicino non trovi quasi nulla. E perché? Perché tutto è proibito.
Guai a mettere una panchina su un sentiero, una seggiola su un prato, a suonare musica in un cortile, a piazzare da qualche parte una fioriera senza chiedere il permesso, a decorare un albero con una ghirlanda di luci, a organizzare un mercato delle pulci nelle stradine del tuo quartiere, e guai soprattutto a qualsiasi tipo di foodtruck. Prova un po’ a organizzare una vendita di merende in bici nel Giardino Inglese: dopo qualche mese molli il colpo. Non c’è margine di gioco, nessuno chiude un occhio, nulla può crescere spontaneamente, nessuno ha voglia di organizzarsi, e inoltre manca lo spazio. Nel cortile del Centro Culturale trovi mezza dozzina di sedie traballanti dove ti puoi sedere a mezzogiorno senza pagare, grazie tante. Se sei mai stato in Scandinavia lo sai come deve essere un centro culturale: sono fatti per persone vere, vogliono che tu ci vada, che tu ci lavori, mangi, incontri altre persone, le città ti incoraggiano a farlo, e sono pure carini da vedere. Lo spazio pubblico o cittadino a Monaco è sempre il punto più piccolo, povero e scalcinato che trovi.
E non puoi semplicemente andare a cena da qualche parte; ci sono forse due dozzine di ristoranti buoni, sempre sovraffollati, quindi se vuoi andarci devi prenotare con tre giorni di anticipo. E se esci dal cinema o dal teatro neanche a parlarne, perché i cuochi puntualmente alle 10 di sera spengono tutti i fornelli. Nella fantomatica città della birra questa bevanda non la trovi spontaneamente, no, ci vuole un’idea, devi fare un progetto. Se no, dopo lunghe camminate finisci in una delle osterie folcloriche dove vanno solo i turisti, o nell’ultima spelonca dove scovi ancora un posto libero. Dicono che Monaco sia la città italiana più del nord: ma in nessun luogo al mondo le pizzerie italiane all’angolo sono peggiori che qui, i menu più privi di fantasia, gli osti più svogliati. Lo so, ci sono eccezioni, ma non è di quelle che parlo; parlo di ciò che secondo me una grande città dovrebbe offrire ad abitanti e ospiti.
Non mi va di dovermi accontentare di una manciata di buoni esempi, di tre bei negozi in una città che vanta la bellezza di un milione e mezzo di abitanti. Dopo il lavoro quotidiano una città dovrebbe intrattenere chi sta qui, ammaliare, rilassare. Anche Londra è una città piena di uffici situati in alti edifici con le finestre a specchio, ma alle 6 di sera a Londra gli impiegati si tolgono giacche e cravatte, affollano le migliaia di pubs e bevono con solidarietà, tutti insieme appassionatamente, tutti trovano un bancone libero, nessuno li guarda storti e nessuno ha dovuto prenotare. A pranzo si va in uno dei numerosi locali o si visita uno dei banchi takeaway, che sono così curati, moderni, internazionali e interessanti che da noi dovresti prenotarci un panino con due mesi di preavviso.
Qui gli impiegati stanno a frotte davanti all’ultimo kebab rimasto nella loro strada. Il resto fa il bravo e rimane nella mensa, e si sente workhard-playhard. Eppure tutte le sere fanno i bravi e tornano a casa; chiamala casa, un piccolo appartamento con il soffitto basso e le finestre isolate, perché purtroppo settant’anni fa ci hanno bombardato mezza città e le nuove costruzioni sono tutte state fatte con uno spirito gretto da non dirsi. In Italia ti offrono un prosecco e un cicchetto a ogni angolo, a Vienna trovi fino a notte ristoranti con camerieri ben vestiti che ti portano un gulasch e un bicchiere di vino anche se non sei in abito da sera, a Lisbona puoi vettovagliare tutto il giorno in uno dei tanti minuscoli chioschi stile liberty e dopo scolarti un liquore all’amarena dopo l’altro, fino ad appiccicarti al suolo.
Santo cielo, non sono nozioni di base queste? Perché bisogna avere anche solo il bisogno di parlarne, in una comunità così grassa come questa poi? Ma qui se viene qualcuno a trovarti, o se vuoi passare spontaneamente mezz’oretta con un vicino, o intervistare qualcuno venuto da lontano in un bel locale o anche solo comprare una bottiglia di vino dopo le otto della sera, devi prima cercare su internet se c’è ancora quella stazione di servizio in città dove… no, ha chiuso.
Il metrò passa a intervalli di dieci minuti, per il treno interurbano ce ne vogliono venti. E dopo mezzanotte, scende la saracinesca ed entrambi chiudono i portoni. Scusate, ma i responsabili hanno mai visitato qualche altra città? E non sto parlando di Ratisbona. Aggiungi a tutto i ritardi quasi odierni. Sempre la stessa frase proveniente dagli altoparlanti: “Causa densità di traffico…” La città è sempre sia troppo piena sia troppo vuota. Non ama né le cose vecchie né quelle nuove. I vecchi tranvai sono stati rottamati, qualsiasi altra città ne farebbe un emblema, ma noi abbiamo già lo strafamoso carillon e quello deve bastare.
Anche a Londra il metrò è una catastrofe, lo so. Ma lì almeno i responsabili tutte le mattine scrivono cartelli informativi a mano, con messaggi originali e gentili, e tanto mi basta; c’è una risata generale in aria, si sente che gli operatori sono orgogliosi del loro lavoro; inoltre a Londra ti offrono un caffè a ogni angolo e per strada ogni seconda macchina è uno dei famosi autobus rossi. Monaco ha il senso dell’umorismo di una macchina a sei cilindri. Ma se già devi vivere in una sterile sei-cilindri, non può funzionare almeno?!
Le ultime case belle sono state sostituite da condomini a forma di scatolone. Diventeresti matto se non saresti già così intronato. Ci sono vasti quartieri in questa città dove sei già grato quando apre i battenti un nuovo panettiere, perché per chilometri e chilometri non vedi altro che uffici e isolati color giallo senape, costruiti con il gusto degli anni 70. Nient’altro. Sono cresciuto nel quartiere di Laim, e a suo tempo quando aprì il McDonald’s al crocevia ci fu scalpore. E non ci crederete, ma lo scalpore lo fa ancora. Poi dopo, prova ad attraversare la tripla corsia che porta dal centro a Pasing: dieci chilometri di edifici sterili. Ci dormono centinaia di migliaia di abitanti, orgogliosi perché l’appartamento è loro e non è in affitto; ma non c’è vita, solo marciapiedi vuoti, al massimo un parco giochi, minuscolo ma di certo fedele a ogni regola di sicurezza. E a ogni incrocio i soliti quattro supermercati, tutti delle stesse catene commerciali, per assicurarsi che nessuno muoia di fame.
Ti senti grato per ogni negozio di bibite rimasto dove non abbia ancora aperto un ambulatorio per psicologia infantile. Grato per una vecchia insegna che ti ricorda che un tempo qui ci abitava qualche essere umano. Per qualsiasi iniziativa che voglia fare più di ciò che è assolutamente necessario. Ma qualsiasi idea creativa diventa un affare politico, qualsiasi soluzione temporanea, qualsiasi festa da giardino diventa un punto d’onore, perché è così che siamo fatti qui. “Noi siamo noi” significa piuttosto “Io sono io”. Significa che “noi” tutte le mattine ci troviamo in un ingorgo, ma almeno in un BMW 5, e di sera la scena si ripete. Insomma, “noi” siamo degli stupidi.
Mamma mia, non chiedo botteghe di caffè, fiorai, negozi di pesce e di carne come a Vienna o a Milano li trovi ancora dovunque, o un vero caffè a ogni angolo come a Trieste. Ma se perfino Manhattan riesce a organizzare un’intera catena di campi sportivi attrezzatissimi per i suoi abitanti e se ci trovi un Seven-Eleven in ogni strada, dove ti vendono il necessario per vivere e il personale è sempre gentile nonostante lo stress, allora capisci. Capisci che Monaco in fondo non è una città, ma un campo prova per bidelli.
Certo, qui non siamo a Berlino, dove trovi tutto ciò che ti serve nella stessa strada e i negozi e i bar cambiano tanto in fretta quanto gli inquilini, queste cose qui non ci sono e non ci sono mai state. Frotte di gente, confusione, corri-corri, no, queste cose non ci saranno mai. Ogni centimetro quadrato è tirato a lucido e la prefettura lo supervisiona con occhi sospettosi. I dieci e mezzo abitanti che hanno ancora qualche idea creativa sono stati messi sotto la tutela dei monumenti, insieme ai quattro folli e i tre negozi tradizionali che hanno sopravvissuto. Prova un po’ a leggere i giornali regionali: per metà parlano di anziani che si sono fatti soffiare migliaia di euro da qualche furbone che si spacciava per lavoratore specializzato o poliziotto, e per l’altra metà di incidenti provocati dagli stessi anziani tamponando un BMW Mini con la loro Range Rover.
No, non desidero una sottocultura giovanile, lo so che sono sopravvalutate. Una città non ha bisogno di una scenografia stravagante per essere bella. Una città ha bisogno di bottegai, gastronomi, architetti, eccentricità, aziende di famiglia e mercati con i venditori che si sgolano da mane a sera. Ha bisogno di cultura, di richiesta eccessiva, di un bombardamento di stimoli esterni. O almeno di uno stile di vita. Hai mai visto come si festeggia una prima di teatro a Vienna? Come fanno le vasche a Milano tutte le sere? Come si accendono le luci a Lisbona quando cala il buio? Mentre quando i monacensi lasciano l’opera di sera non c’è nessun motivo per passeggiare, perché dove, poi? Sulla piazza antistante, dove si trova l’entrata al garage sotterraneo? Tempo dieci minuti e sono tutti in macchina, in fila indiana per tornare nelle loro case di campagna.
Dicono che Monaco sia ricca. Nulla in contrario. Ma per favore, da dove si nota questa ricchezza? Le belle vecchie scuole sono fatiscenti, per vedere un medico specialista devi aspettare due mesi, gli sportelli dei cittadini sono talmente antiquati, stretti e burocratici che te ne vergogneresti davanti a qualsiasi danese. C’è qualcosa di nuovo in città oltre ai due tunnel, perfettamente attrezzati, costruiti nel giro di 10 anni rompendo le p… ai vicini per tutto quel tempo? C’è un qualsiasi tipo di progresso, di generosità, di esperimento, qualcosa che ricorda che viviamo nell’epoca digitale? Sei orgoglioso di qualsiasi cosa che la città ha creato spontaneamente negli ultimi dieci anni? Se hai un ospite che si aspetta di vedere il motore del benessere europeo, cosa gli mostri - forse l’ingorgo delle utilitarie e le facce degli abitanti, tutte tirate causa esaurimenti multipli?
D’accordo, lo ammetto, in questo periodo la situazione mi scoccia particolarmente. Sì, questa città ha i suoi momenti e i suoi posti belli. Certo, qui si può vivere bene. Ma secondo me, bene solo nel senso di una persona che se vuole fare la spesa ha un buon supermercato sotto casa: sopravvive, ma non vive. Per passare il tempo libero va nei quattro bar, tre club, due teatri e un fiume come il resto del milione e mezzo di persone che abitano qui. Una volta l’anno si va al cinema all’aperto, e dopo essersi asciugati gli occhi dalla commozione causata da un film dove si vedeva Monaco com’era, si restituisce il bicchiere preso a pegno e si ritorna a casa, con i fanalini di coda ben funzionanti. Attraversando una città che, al contrario di New York, dorme sempre.


Traduzione: maggio 2017
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.



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Edited by Delari - 11/5/2017, 09:41
 
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