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Delari
view post Posted on 3/11/2017, 15:49 by: Delari     +1   -1
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Grand Pez di Girella

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Baviera

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Tarde rose

Ambientazione: Schleswig-Holstein, circa 1880


Mi ero recato, di quei tempi, in periferia di una città al Nord, nella casa di campagna di un amico. Avevamo trascorso insieme gran parte della nostra gioventù, finché, quasi alla fine di questa, la diversità delle nostre professioni ci aveva separati. Durante i vent’anni nei quali non ci eravamo visti lui aveva fondato ed era diventato il capo di una fiorente casa commerciale; io ero stato spinto dal destino a vivere in un altro paese, dove ero rimasto. Ma ora ero tornato a casa, per un breve periodo.
La moglie del mio amico non l’avevo ancora conosciuta. Non era più tanto giovane, ma le sue movenze avevano ancora la grazia della giovinezza, e i suoi occhi tranquilli avevano uno sguardo chiaro e franco come quello di una bambina. Non impiegai molto per notare che i coniugi si trattavano con un riguardo e una gentilezza come di norma si vede in una coppia in luna di miele: quando ella entrava nella sala delle colazioni, abbigliata in abito da mattina, come prima cosa cercava lo sguardo del marito e sembrava chiedergli, senza dire parola, se gli piacesse. Allora dalla fronte di lui per un breve momento scompariva la ruga profonda che la solcava, e accettava la mano che lei gli porgeva come se l’avesse appena ottenuta in sposa. Certe volte, quando lui sedeva nel suo studio davanti alla scrivania, la donna entrava silenziosamente dal salotto, o dall’antistante sala del giardino, e si sedeva per qualche minuto vicino a lui; o, invisibile, si avvicinava alla sua sedia e gli posava la mano sulla spalla, come ad assicurargli che gli era vicina, che era lì qualora avesse bisogno di lei.

Ciò di cui narra il mio racconto si svolse durante un chiaro pomeriggio di ottobre. Il mio amico era ritornato dalla città dopo avere svolto i suoi affari, e ora ci trovavamo, discorrendo dei tempi andati, sulla larga terrazza situata dinanzi alla casa, da dove si poteva guardare sul giardino antistante e oltre a questo si vedeva, dietro a un ricco prato verde, la scura acqua dell’insenatura del Mar Baltico e dall’altra parte di questo i boschi di faggi sulle loro dolci colline, che si stavano già tingendo di colori autunnali. Tutto questo insieme al profondo cielo azzurro autunnale era incastonato dagli alti pioppi che si ergevano ai lati della terrazza come enormi e oscure quinte teatrali. La moglie del mio amico era uscita dalla porta-finestra aperta del salone da giardino con la figlioletta più giovane alla mano, e ci aveva oltrepassati con il suo sorriso tranquillo; non voleva intrudere nel nostro mondo fatto di ricordi di cui non era partecipe. Ora si trovava, con la bambina in braccio, sul ciglio della terrazza, e insieme le due seguivano con lo sguardo una nave a vapore che con il rimbombo delle sue ruote aveva già da un po’ interrotto il silenzio della campagna. La sua alta figura e il delineamento del suo capo aristocratico si stagliavano nitidamente contro il cielo crepuscolare.
I nostri sguardi dovevano averla seguita senza che ce ne rendessimo conto, perché il nostro discorso si interruppe. Soprappensiero presi un grappolo d’uva che si trovava in un vassoio di cristallo sul tavolino di marmo dinanzi a noi.
„E così è dovuto accadere,” dissi infine, raccogliendo il filo del nostro discorso, „che io, che sin da bambino mi dilettavo di smerciare di tutto, perfino le castagne e i noccioli di ciliegia, sono divenuto un uomo di scienza; e quanto a te - cosa ne è diventato dei bei drammi che scrivevi al liceo?”
„La ragioneria italiana,” mi rispose egli sorridendo, „è una medicina sicura contro la poesia; e inoltre ho dovuto aggiungere molta forza di volontà affinché portasse i suoi frutti.”
Mi guardò con i suoi occhi bruni, che facevano ancora riconoscere il giovane idealista che era stato.
„Deve esserti costato molta fatica,” risposi.
„Fatica?” egli rispose lentamente. „Credo che sia stato il prezzo minore che io abbia pagato.” Dicendo così gettò uno sguardo alla moglie, così tenero e orgoglioso di saperla sua come se l’avesse portata all’altare solo poco tempo prima.
Al che mi venne in mente una scena accaduta il primo giorno del mio arrivo. Il mio amico, nel mostrarmi la sua casa, mi aveva fatto entrare nel suo studio, e il mio sguardo era caduto spontaneamente su un quadretto appeso vicino alla sua scrivania. Rappresentava una ragazza, dipinta in olio con colori freschi e chiari, e di una serenità e gioia di vivere che sembravano traboccare dalla tela.
Quando gli chiesi chi rappresentasse, mi rispose: „È un ritratto di mia moglie. Cioè,” aggiunse, „della fanciulla che divenne mia sposa e più tardi mia moglie. Era stato dipinto per i suoi nonni ed è tornato qui come eredità.”
Dicendo così anche lui si era avvicinato al quadro, mentre io mentalmente facevo il paragone tra questo ritratto e sua moglie, che avevo finora visto soltanto di sfuggita. Quando mi rivolsi verso di lui sul suo viso era dipinta una tenerezza al limite del dolore, che non riuscii a spiegarmi e ancora meno dopo avere passato qualche giorno sotto il suo tetto; in fondo la fanciulla era divenuta sua, era viva e vegeta al suo fianco e, a quanto pareva, lo rendeva felice oggi come aveva fatto allora.
In questo momento, quando la bella e tranquilla figura della donna scese dai gradini della terrazza per addentrarsi nel giardino insieme alla figlia, ed io non temevo più di toccare una ferita non risanata, non potei trattenermi dal comunicare la mia osservazione all’amico. „Cos’è successo, Rudolf?” chiesi stringendo lievemente la mano all’amico di gioventù. „Dimmelo se puoi.”
Egli guardò ancora una volta nel giardino, dove dal prato cominciava già a salire la nebbia serale; quindi passò una mano sulla fronte per ravviarsi i capelli, e mi disse, con il tono gentile e la voce che avevo conosciuto per tanto tempo: „Si tratta di qualcosa di intimo, ma nulla di grave o scandaloso. Posso anche raccontartelo - fino a dove si può raccontare una cosa simile.”

A suo tempo ti avevo scritto, nelle mie lettere, come avevo conosciuto la mia futura moglie, quasi quindici anni fa, nella casa dei miei genitori. Era venuta a trovare mia sorella, con la quale aveva stretto amicizia in occasione di una visita su un’isola dell’ovest, dove le nostre famiglie si trovavano per fare i bagni. Quel periodo della mia vita è stato il più faticoso e il più logorante; uno dei compagni, che con i suoi mezzi aveva appoggiato in parte la costruzione della nostra casa commerciale, si era improvvisamente ritirato; e il denaro mancante ora doveva essere ricavato in altri luoghi, e nel più breve tempo possibile. A questo si aggiungeva l’edificazione della nostra società per navi a vapore, che a quei tempi progettavo già, ma che veniva sempre impedita dalla gelosia dei nostri vicini. Dopo avere passato la giornata con lavoro estenuante e spossante, sentivo il bisogno di una partecipazione umana, di un rifugio onde far riposare il mio cuore: trovai entrambe queste cose nell’amica di mia sorella. Di sera, nel giardino dei genitori, mentre passeggiavamo tra i prati recintati di ligustro, i miei progetti e le mie preoccupazioni erano l’oggetto delle nostre conversazioni; ella ascoltava e a tutto aveva una risposta comprensiva. La semplicità e sicurezza della sua natura, che anche tu hai ammirato in lei sin dal primo giorno del tuo arrivo, si notavano in lei sin da allora.
Ma anche la spavalderia della gioventù non le mancava. Mi ricordo di una sera, dove mi trovavo seduto di fronte alle due ragazze, davanti al vecchio tavolo da giardino nel pergolato. Era stata una giornata nera, molte cose erano andate storte. In un momento di sconforto esclamai: „È al disopra delle mie facoltà!” In luogo di una risposta, ella posò il mento sulla mano senza parlare e mi guardò per un momento con uno sguardo sorpreso e un po’ stizzito. Quindi voltò il capo verso mia sorella e disse, sorridendo: „Lo vedi? Anche lui non ci crede più!”
E aveva ragione; nelle settimane che seguirono, mi avvidi che le mie forze erano sufficienti per risolvere le difficoltà.
Alla fine fu la cosa più naturale del mondo per lei posare la sua mano nella mia; come lo fu per me accettarla. Molti mi fecero dei complimenti per avere trovato una bella moglie; ma non era per quello che volli sposarla, e anche dopo il nostro matrimonio non diedi tanto peso alla sua bellezza. Ella divenne mia moglie, la compagna della mia vita, al mio fianco in ogni dovere che mi poneva la vita affinché lo risolvessi.
Ti ricorderai forse - perché te ne ho spesso scritto - come ora un problema dopo l’altro mi si presentò davanti, ma finiva sempre per essere risolto. Mi sembrava quasi che tutto accadesse grazie alla mano di mia moglie; perché ella sapeva sempre dove si trovava il suo posto, cosa dovesse fare e quando; aveva il dono di comprendere il linguaggio silenzioso delle cose, come la ragazza laboriosa nella favola di Fata Piumetta, che quando oltrepassa il melo lo sente chiamare: „Scuotimi, i miei frutti sono maturi!”
Dopo pochi anni potei acquistare questa casa in campagna e arredarla secondo i nostri semplici gusti. Con la fortuna dalla mia parte gli affari si moltiplicarono; non ero io a condurli, erano essi a condurre me, ed io ero come catturato da un’intricata tela di collegamenti di cui uno susseguiva all’altro, e tutte le energie della mia mente erano concentrate in questo compito, che occupava interamente le mie giornate.

Il mio amico interruppe il suo racconto: la sua figlia maggiore, di dodici anni, era uscita dalla casa e gli chiedeva dove si trovasse la madre. Egli la prese in braccio ed ascoltò i suoni provenienti dal giardino. Di là, proveniendo dalla serra che oltrepassava cespuglio e muro del giardino con il suo comignolo bianco, si sentiva ridere la figlia più piccola, e di quando in quando la voce della madre che la ammansiva.
„Va’, Jenni,” le disse sorridendo, „due grossi fichi sono maturi; potete prenderli.” Ella annuì, e via giù per la scala e attraverso le aiuole che si allargavano al disotto della terrazza, fino a scomparire di lato tra i cespugli. Il padre la seguì per un attimo con lo sguardo; quindi proseguì.

Era la primavera di una domenica pomeriggio; la ragazzina che abbiamo appena mandato da sua madre allora contava forse sei mesi. Il salone da giardino qui dietro alla terrazza era appena stato tinteggiato, il sole di primavera splendeva sul pavimento, e attraverso le porte aperte entrava il profumo delle foglie e gemme che germogliavano. Mi trovavo seduto sul divano e avevo preso in mano un libro del tipo che non avevo toccato da molto tempo; non so perché, forse mi ero ricordato di te e dei nostri alacri studi del tedesco antico, o forse volevo solo assicurarmi che qui fuori si trovasse un altro mondo per me, diverso da quello in città tra le opache pareti del mio ufficio.
Il libro che avevo aperto era il poema in versi su Tristano e Isotta, scritto dal maestro Gottfried. A un po’ di distanza, di fronte a me nella nicchia della finestra si trovava mia moglie intenta a cucire o ricamare; nella stanza accanto la nostra bambina dormiva nella sua culla. Era tutto molto quieto; nulla mi interruppe mentre mi imbarcai insieme ai due eroi del poema per attraversare il mare.

Le chiglie della nave solcano il mare; durante la solitaria ora di mezzogiorno Isotta è seduta in coperta. Il vento dell’estate spira attraverso i suoi biondi capelli, ma i suoi occhi sono bagnati, per la nostalgia della patria, per il timore dell’ignoto, del paese straniero donde è stata inviata ad essere la sposa dell’anziano re. Il cavalleresco Tristano vuole consolarla, ma lei lo respinge; lo odia perché in duello ha ucciso suo zio Morolt.
L’aria è afosa, la donna ha sete. Nella caminata della nave, malcelata, si trova la bevanda dell’Amore, che è stata data a Isotta affinché con il suo aiuto possa farsi amare dal suo vecchio sposo. La fantesca esclama: „Guardate, qui c’è del vino!” E Tristano, ignaro, offre il calice alla regina.
Ella beve, esitando; quindi offre il calice all’uomo, e anche lui ne prende un sorso.
Qui comincia la magia del vecchio poeta; e noi lettori viviamo con Tristano e Isotta, con i loro dubbi e il desiderio inarrestabile dei loro cuori, come non vogliono amarsi eppure devono, come ancora sperano di potersi liberare dei loro sentimenti eppure temono il momento in cui accadrà. I dolci versi incalzano, inarrestabili, e nella loro segreta magia ammaliano il cuore. Vedevo dinanzi a me la bella giovane coppia, appoggiata al bordo della loro nave, come guardano la distesa d’acqua per non dover vedere come le loro mani si toccano di nascosto, e mentre sono ebbri l’uno dell’altra parlano di cose che in quel momento sembrano fuori posto, dicono parole come mare e nebbia, aria e odore salmastro.

L’effluvio proveniente dal calice che il vecchio maestro sa descrivere così bene al lettore salì dalle pagine del libro, e anche in me la magia destò qualcosa. Il poema mosse qualcosa dentro di me che la mia vita fino ad ora aveva lasciato addormentato; non avevo conosciuto quest’altro mondo, che imponeva le proprie inesorabili leggi a Tristano e Isotta; il sentimento con il quale il poeta stesso, come dichiara al lettore all’inizio della sua opera, desidera degenerare e prosperare.
Alzai il mio sguardo dal libro e guardai mia moglie. In quei giorni sulle sue guance c’era ancora l’alito della giovinezza; attraverso la finestra le ombre delle foglie di pioppo cadevano sulla sua fronte e si muovevano lentamente, mentre gli occhi di lei erano chini sul suo lavoro. Non era ella forse bella come Isotta, una creatura fatta per essere amata? Oppure il calice dell’Amore era solamente un simbolo? Era veramente necessario prendere un sorso di una bevanda misteriosa per far nascere questa tenera follia?
In questo momento nella stanza accanto si svegliò la nostra bambina. La giovane madre si alzò, mettendo da parte il suo lavoro; ma mentre attraversava la sala mi guardò con i suoi begli occhi sereni e mi fece un cenno di seguirla.
Sorrisi tra me e me. ‘Cos’altro desideri?’ mi chiesi a mezza voce, e chiusi il vecchio e magico libro. Intanto lei era ritornata nella sala e mi portò la bambina, che spalancò i grandi e assonnati occhi al chiaro sole di primavera.

Così tutto rimase tra noi due come era sempre stato. Un anno dopo l’altro passò, e lentamente la bella giovane donna al mio fianco sfiorì. Non lo vidi subito; non notai come i lineamenti del suo bel viso perdettero la morbida forma della giovinezza, e i suoi capelli biondi perdettero il lustro che li aveva fatti sembrare di seta; ma il suo animo mi era vicino più che mai, lo osservai rinforzarsi sempre più, ed ero consapevole di amarla sempre più profondamente.
Tre anni fa ci fu donata un’altra figlia - ascoltala! Sono nella serra, sta bisticciando con sua sorella.
Nel frattempo, il mio lavoro si era agevolato; gli affari adesso andavano lisci, cosicché potevo lasciare alcuni compiti ad altre persone, e la mia vita finalmente ritrovò più tempo per altre cose. Dato che il necessario finalmente accadeva senza costrizione, l’umano desiderio per la bellezza ritornò a farsi sentire.
Donai al giardino la sua forma attuale, e lì in fondo lasciai allestire un giardino di rose. (Ti avevo già detto che mia moglie ama le rose più di ogni altro fiore.) L’anno dopo, dietro a questo costruimmo il padiglione in legno. Il mosaico di legno del pavimento, le poltroncine e il resto dell’arredamento li feci costruire da abili artigiani secondo i disegni di un architetto nostro amico; alle alte finestre appendemmo tende di seta in grigio chiaro, affinché diffondessero una luce soffusa e benefica.
Qui, in questo idillico giardino lessi per la prima volta senza interruzione i vecchi poemi che avevo sempre amato, l’Odissea e i racconti dei Nibelunghi; spesso ad alta voce, giacché ella era seduta vicino a me e mi ascoltava, e le sue mani industriose a volte inconsciamente lasciavano riposare il lavoro nel suo grembo.
Non dimenticammo di fare musica da casa; il mio lavoro non mi aveva concesso il tempo di eseguire un’arte, ma mia moglie sapeva cantare bene, e lo aveva spesso e volentieri fatto per me e per le nostre figlie. Con il passare del tempo si aggregarono altre persone esperte in questo campo; quasi senza che ce ne accorgessimo una piccola cerchia di amici interessati ad ascoltare o partecipare si formò intorno a noi.

Così, nel giugno scorso giunse il mio quarantesimo compleanno. Quel giorno mi svegliò il sole mattutino; il resto della casa era ancora addormentato. Mi vestii e, attraversata la casa silenziosa, uscii in terrazza. Il tappeto erboso al disotto di questa si trovava ancora in ombra; solo le punte degli alberi e il pomo dorato del padiglione del giardino scintillavano al sole; e dall’altra parte, sull’acqua si trovava ancora la bianca nebbia, da dove di quando in quando si vedeva, oscillante, l’albero di una nave. Scesi lentamente nel giardino, pervaso dalla sensazione della dolce e intoccata mattina; andavo in punta di piedi, come se temessi di svegliare il giorno.
La sera prima avevo nuovamente preso in mano il poema di Tristano e Isotta e mi ero perduto tra le pagine, le ultime che la leggiadra mano del poeta aveva tracciato.

Il filtro d’Amore ha fatto il suo effetto: la bella regina Isotta e il nipote del re, Tristano, non riescono a stare lontani l’uno dall’altra. Il vecchio e paziente re alla fine li ha esiliati; ma il poeta, pur di offrire soddisfazione al proprio cuore pulsante, conduce i suoi amati protagonisti in una foresta selvaggia, lontani dal resto degli uomini. Nessuno li ha seguiti; il sole splende, le erbe profumano; e nella sconfinata solitudine non ci sono che lui e lei, e intorno a loro il bosco sussurrante e, invisibile nell’aria, l’incessante canto degli uccelli. Nella luce del sole che cala essi passeggiano attraverso il prato dove si trova un pozzo di acqua fresca; insieme siedono sotto il tiglio e guardano verso la grotta tra le rocce, dove hanno trascorso la notte. Al sorgere del sole si recano a caccia a dorso di cavallo, attraversando la brughiera bagnata di rugiada; Tristano impugna la balestra, i cavalli si avvicinano uno all’altro, i capelli dorati di Isotta ondeggiano intorno alle spalle del cavaliere.

Nella tranquilla aria mattutina le immagini del poema salivano dentro di me come le figure di un sogno. Il tempo trascorse; il sole incominciò a illuminare e riscaldare i sentieri del giardino, la rugiada gocciolava dalle foglie, i profumi dei fiori si spargevano, e nell’aria si facevano lentamente e sommessamente udire le vocine degli insetti. La ricchezza della natura mi travolse e mi sentii improvvisamente giovane, come se il segreto della vita si trovasse ancora dinanzi a me, sigillato ma in attesa di essere scoperto. Accelerai il passo, camminai con più baldanza; inconsciamente allungai una mano e staccai un ramoscello fiorito da uno dei cespugli vicino al prato. Dabbasso, davanti al padiglione si trovavano ancora le sedie da giardino come le avevamo lasciate la sera prima; la rugiada cadeva lentamente dalle persiane chiuse. Presi la chiave dal suo nascondiglio sotto a uno dei gradini e aprii la porta affinché entrasse l’aria mattutina. Quindi tornai indietro, nel passare diedi una leggera scossa alla porta della serra per trovarla chiusa, e dopo un po’ attraversai il salone da giardino per entrare nel salotto, che da sempre era stato il dominio di mia moglie. In casa ancora non si muoveva nulla, la calma mattutina era sparsa in ogni angolo.
Ma un forte e fresco profumo di rose sembrava rivelarmi la vicinanza del posto dove avrei trovato i regali in onore del mio compleanno. Quando aprii la porta del mio studio il mio sguardo cadde su un ritratto a olio, in forma di un medaglione ovale, che si trovava appoggiato sulla mia scrivania. Raffigurava il profilo di una ragazza in grandezza naturale, e sopra alla cornice pesante e dorata che lo racchiudeva si trovava una ghirlanda fatta di ricche centifoglie rosse. Il capo della ragazza era leggermente gettato all’indietro, i lucenti capelli biondi sembravano appena lisciati da una mano leggera, e sulle labbra lievemente aperte era posata la dolce baldanza della giovinezza.

Trattenni il respiro mentre fissavo quel bel viso giovane; mi sembrava di dovermi tenere nascosto, come se un soffio inaccorto potesse far scomparire tutto in una nube profumata. Doveva essere un mondo pieno di luce primaverile, quello che guardavano questi occhi ridenti. Senza accorgermene, avevo chinato il capo. Vidi colei che era lei la mia musa, colei con cui sarei fuggito nel rifugio della solitudine che ogni cuore umano brama, almeno una volta nella vita…
E perché non lo era stata? Perché mi ero lasciato sfuggire l’attimo? Tu lo conosci, quel quadro. Ciò che avevo visto non era la fantasia di un pittore, non la bionda regina Isotta che forse non è mai esistita realmente. Questo viso che guardavo era stato parte della vita, della mia vita; così era stata lei una volta, colei che anni prima aveva riposto la sua mano nella mia, e che oggi viveva al mio fianco.
Alzai nuovamente lo sguardo, ma la sensazione non se ne andò; il profumo della bellezza mi pervase completamente. Mi venne in mente la prima frase di una vecchia canzone: „O giovinezza, o felice tempo di rose!” Lei stessa l’aveva cantata spesso, nella casa dei suoi genitori. Sentii l’impulso di trarre tra le mie braccia la fanciulla del ritratto, come se potessi farla ritornare, come se la dolce giovanile figura non fosse ancora scomparsa e divenuta parte del passato.

E mentre mi sentivo ancora ricolmo di rimpianto e di inutile languore, mi balenò in mente una felicità tanto indescrivibile quanto indubitabile. Colei che era stata questa ragazza non era un sogno, una chimera descritta in un libro, no; era una creatura vera, viva, che mi era vicina, ed io potevo trovarla ed esserle vicino ogni momento.
Lasciai la stanza, andai a cercarla; ma ella non si trovava in casa. Quando scesi nel giardino, mi venne incontro da sotto alla terrazza. Mi guardò sorridendo, come potesse leggere nei miei occhi la gratitudine per la corona di fiori che aveva intrecciato per il mio compleanno. Ma non le lasciai il tempo per le congratulazioni; le presi la mano e, silenziosamente, mi incamminai insieme a lei nel giardino. E mentre la guardavo nel suo semplice abito bianco, il modo in cui mi camminava accanto con il suo passo giovanile, che era rimasto quello di una fanciulla, i suoi occhi tranquilli mi guardavano con lieve sorpresa, domandandomi senza parlare cosa mi stesse succedendo; e al sentire la sua mano leggera nella mia, dove si concedeva come aveva sempre fatto, io non riuscii a resistere al desiderio di gettarmi ai suoi piedi, adorante; perché sentii la passione repressa di tutta una vita risvegliarsi in me e correrle incontro, impetuosa, inarrestabile.

Rudolf tacque per un attimo; quindi aggiunse a bassa voce, guardando dinanzi a sé il tramonto che stava giungendo al crepuscolo: „E così, anche noi abbiamo bevuto un sorso dalla coppa dell’Amore, un sorso profondo, delizioso… Tardi, ma non troppo tardi!”
Rimanemmo seduti insieme in silenzio, mentre intorno a noi inoltrava il buio della sera. Ormai nel giardino tutto taceva, ma nel padiglione erano state accese delle luci che mandavano bagliori attraverso il fogliame.
Un attimo dopo arrivò a noi l’accordo di uno strumento, seguito da una bella voce di contralto che penetrava la notte:

„O giovinezza, o felice tempo di rose!“



Traduzione: novembre 2017
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.


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Edited by Delari - 3/11/2017, 16:25
 
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