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Micchi's fanfiction gallery, solo autore

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view post Posted on 28/2/2020, 14:58     +1   +1   -1
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Pregiudicato per Girellate

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Nuova fan fiction! Stavolta rigorosamente a tema GM e rigorosamente conclusa prima di essere postata... :asd: Lo spunto me lo ha dato uno scambio di commenti all'ultima ff di Annushka, in cui parlavamo di come le nostre serie preferite spesso dimentichino, o non diano molto seguito, ai vari lutti che affliggono le vite dei nostri eroi. In questo racconto, che per forza di cose non è allegrissimo, mi sono rifatta all'episodio 52 del GM, "Morire giovani", nel quale Jun ritrova (e riperde) un suo amico dell'orfanotrofio. Il titolo in inglese è dato dalla mia incapacità di trovare una singola parola in italiano che comunicasse lo stesso significato di quella che ho scelto. Chiedo preventivamente venia per questo, e mi auguro che il racconto non risulti troppo melodrammatico:

CLOSURE


A volte dimenticava che erano solo dei ragazzi. Negli anni li aveva temprati con un rigore ed una disciplina che non avevano nulla da invidiare al bushido, aveva insegnato loro a combattere per un ideale superiore, padroneggiando le proprie emozioni; aveva visto i loro corpi crescere e scolpirsi grazie ad un ferreo allenamento, le loro aspirazioni allinearsi alle sue in quella che si prefigurava come una battaglia contro un nemico sconosciuto ed imprevedibile; dall’inizio della guerra li aveva ammirati mentre si battevano senza paura e senza risparmio giorno dopo giorno, ciascuno secondo le proprie possibilità, ma entrambi con la stessa devozione. Da padre adottivo e severo mentore qual era, Kenzo Kabuto si compiaceva dei risultati ottenuti dai giovani Tetsuya e Jun, sia come guerrieri che come individui, seppure non di rado i due ragazzi avevano dato qualche segno di fragilità psichico-emotiva. Solo negli ultimi mesi Tetsuya, il suo pupillo, forte nel corpo e nello spirito e dall’invidiabile lucidità in battaglia, aveva quasi avuto un crollo fisico quando il suo Grande Mazinga era finito per qualche ora nelle mani del nemico; aveva poi combattuto e vinto contro un trauma infantile ripresentatosi improvvisamente, la paura della morte e il dramma della perdita di un giovane amico, e si era colpevolizzato fino all’inverosimile per aver involontariamente provocato la morte di un cane e la conseguente disperazione della sua padroncina. Era caduto e si era rialzato tante di quelle volte, che Kenzo aveva quasi perso il conto, ma proprio per questa sua tenacia non poteva fare a meno di ammirarlo come uomo e di amarlo come un figlio. Quanto a Jun, giovane donna che esibiva una rara combinazione di tenacia, coraggio, dolcezza e sensibilità, aveva anche lei combattuto e vinto i suoi “demoni”: una condizione di insicurezza che si portava dietro fin da piccola, data dal suo essere orfana e spesso non accettata per via del colore della sua pelle, e la ciclica sensazione di frustrazione nei confronti di una vita non sempre vissuta come lei avrebbe voluto. Non che Kenzo non avesse tentato un approccio convenzionale per risolvere determinate questioni: si era dimostrato spesso interessato ai loro problemi, preoccupato per il loro stato d’animo, aperto al dialogo. Tuttavia i suoi inviti alla comunicazione avevano sempre incontrato resistenze, soprattutto da parte della ragazza. Era evidente che i due giovani, pur essendo cresciuti insieme e pur supportandosi senza riserve sul campo di battaglia, preferivano interiorizzare e risolvere da soli i loro problemi personali, forse per non gravare su chi gli stava più vicino.

Erano più o meno queste le considerazioni in cui Kenzo era immerso, mentre dalla finestra della sala controllo, osservava non senza inquietudine una solitaria Jun che, immobile sulla terrazza, fissava apparentemente assorta il tramonto. Tanto era preso dai suoi pensieri, che lo scienziato non si era nemmeno accorto della porta automatica della sala che si apriva alle sue spalle.
“Papà, non vieni a cena?” domandò il piccolo Shiro con una voce tanto squillante, che lo fece trasalire.
“Io… sì, certo, arrivo…” rispose, un po’ riluttante, lanciando un’ultima occhiata in direzione di Jun. D’un tratto ebbe un’idea: “Ti dispiacerebbe andare ad avvisare Jun, eh Shiro?” Conoscendo la ragazza, non avrebbe saputo dire di no al fratellino.
“Certo! Ma dov’è?”
“Credo sia in terrazza…” rispose Kenzo, evasivo. Il ragazzino si alzò sulle punte e appiccicò il viso alla finestra. Nello scorgere la malinconica immagine della sorellastra, in genere così solare e vitale, sentì una morsa allo stomaco e si rivolse titubante al padre:
“Credi… credi sia ancora triste per la morte di quel suo amico?” L’uomo non poté far altro che annuire:
“Direi di sì. Tuttavia…” Commentò, assumendo un’aria preoccupata, “tuttavia non vorrei che saltasse la cena anche stasera.”
“Certo che no!” convenne Shiro energicamente e fece per avviarsi verso la porta, “non ti preoccupare, papà, ora la convinco io!”
“Aspetta, Shiro!” si sentì chiamare da qualcuno che, fino a quel momento, era rimasto in disparte e in silenzio, a scoccare continue occhiate verso la terrazza. “Vado io…” disse Tetsuya perentorio e, senza attendere repliche, si incamminò verso l’ascensore con le mani in tasca e l’aria più decisa del solito. Presi un po’ in contropiede ed incerti se lasciare o meno a Tetsuya un compito tanto delicato, padre e figlioletto non poterono far altro che scambiarsi un’occhiata dubbiosa, prima di avviarsi insieme verso la mensa.


Il sole era quasi del tutto sparito dietro la linea dell’orizzonte, lasciando solo una scia di sfumature rossastre a tingere cielo e mare. Tra poco le stelle avrebbero iniziato a far capolino ad una ad una sopra la solitaria Fortezza, mentre il caldo di luglio avrebbe ceduto il posto ad una frizzante brezza serale.
“Chissà per quanto tempo ha intenzione di starsene lì…” pensò Tetsuya, nel constatare che Jun non sembrava minimamente rendersi conto dei moti atmosferici, dei cambiamenti climatici, né tantomeno della sua presenza. Da quando, quattro giorni prima, aveva visto Shinichiro Ikuta, ex amico dei tempi dell’orfanotrofio, saltare in aria di fronte a lei dopo aver fallito delle improbabili trattative di pace con la Marchsa Yanus e l’Imperatore delle Tenebre, Jun sembrava aver perso interesse per tutto quello che le stava intorno, abbandonata com’era a quel vortice di dolore e sensi di colpa. Dal canto suo Tetsuya aveva inizialmente dimostrato piena comprensione per lo stato d’animo della partner ed era stato il primo a cercare di offrirle conforto (spingendosi addirittura fino ad un timido tentativo di abbraccio!) e poi a lasciarle i suoi spazi. Certo, una parte di lui non poteva fare a meno di considerare la leggerezza con cui Shinichiro aveva creduto di poter agire da ambasciatore di pace una vera ingenuità (a voler esser gentili!), ciononostante credeva anche che nessuno meritasse una fine del genere, e che lo stato di shock in cui si trovava Jun fosse del tutto giustificabile. Tuttavia la sua comprensione si stava lentamente trasformando in irritazione, mentre constatava che, con il passare dei giorni, lo stato d’animo della giovane sembrava peggiorare invece di fare progressi. Le sue presenze in allenamento diventavano sempre più sporadiche, così come quelle a mensa, mentre i suoi silenzi e i momenti che trascorreva chiusa in sé stessa si facevano sempre più lunghi ed allarmanti. La guerra invece era tutt’altro che finita e purtroppo allo stato attuale dei fatti, considerò Tetsuya, anche i lutti dovevano essere elaborati in tempi relativamente celeri. Prima di varcare la soglia della terrazza, il giovane passò velocemente in rassegna una serie di frasi con cui avrebbe potuto rompere il ghiaccio e, sperava, scuotere Jun dal suo torpore. Decise tuttavia di abbandonare, per il momento, il fattore “attacco a sorpresa” che stava pianificando e le si portò silenziosamente accanto, sperando in una reazione di lei. In realtà Jun si era accorta da un bel po’ della sua presenza, ma non si sentiva psicologicamente in grado di gestire un confronto con lui. Così se ne restò immobile, in silenzio, ad augurarsi che il partner comprendesse da solo che era il caso di togliere il disturbo. Sfortunatamente per lei, in quel momento Tetsuya aveva intenzioni tutt’altro che pacifiche e l’ostinato silenzio della giovane stava solo accrescendo la sua irritazione.
“Non è stata colpa tua, lo sai vero?” si decise ad esordire dopo qualche minuto. Senza nemmeno volgere il capo, Jun si limitò a guardarlo rapidamente con la coda dell’occhio. “Non c’era niente che tu potessi fare…” insistette ancora lui, voltandosi verso di lei: “Il suo è stato un gesto… apprezzabile… coraggioso. Ed ha pagato per aver riposto la sua fiducia in quegli esseri senza scrupoli.” Concluse, stringendo nervosamente il pugno. Jun sentì nuovamente le lacrime pungerle gli occhi, ma riuscì a ricacciarle indietro con quello che le parve uno sforzo titanico.
“Ti prego, Tetsuya…” bisbigliò finalmente “vorrei solo stare da sola…”

Quelle parole colpirono il fiero pilota come una sberla. In tutti gli anni di convivenza con Jun, l’aveva sempre considerata la più solida psicologicamente tra i due, quella che, nonostante le ferite che si portava dietro dal passato e gli occasionali momenti di sconforto ed insicurezza, riusciva sempre a tirarsi su e a trovare la forza per spronare anche lui. Tetsuya sentì l’irritazione trasformarsi velocemente in preoccupazione, ed impreparato su come gestire questo improvviso sentimento, non riuscì a far altro che partire all’attacco:
“Va bene, fa’ pure…” proruppe, forzandola a voltarsi verso di lui: “stattene pure qui in meditazione ad autocommiserarti! Anzi, continua pure con il tuo assurdo sciopero della fame, se pensi che questo serva a ridarti il tuo amico!” Jun stavolta non riuscì ad evitare che le lacrime iniziassero a rigarle copiose il volto e prontamente allontanò lo sguardo da Tetsuya. “Ma non capisci che questo è il modo peggiore per onorare la sua morte?” continuava intanto lui, inesorabile: “Dov’è il tuo spirito da guerriera? Dovresti essere ancora più motivata ora a mettere la parola fine a questa guerra!”
“Il mio spirito da guerriera? Finire questa guerra?” sbottò finalmente Jun, asciugandosi le lacrime ed allontanando bruscamente il partner: “Ma è possibile che non esistano altre parole nel tuo vocabolario? Non capisci che in questo momento io non mi sento una guerriera… sono solo una persona che sta piangendo un amico morto prematuramente!” esclamò, con voce rotta dal pianto.
Colpito dalla sua improvvisa reazione, Tetsuya abbassò lo sguardo, arretrando quasi inconsapevolmente di un paio di passi, mentre Jun riprendeva la parola:
“Tu dici che tutto questo non è colpa mia, ma io non posso fare a meno di pensare che, se non ci fossimo incontrati quel giorno, a quest’ora Shinichiro sarebbe ancora vivo!”
“Può darsi che tu sia stata un po’ dura con lui, però…” iniziò il giovane, con un tono decisamente più conciliante.
“Un po’ dura? Ma se gli ho praticamente detto che stava sprecando la sua vita!” lo interruppe Jun.
“Beh in fin dei conti si trovava al seguito di una banda di perdigiorno che si divertiva ad infastidire le ragazze, o te lo sei dimenticato?”
“Certo che no, ma non per questo meritava di morire!” concluse la giovane, coprendosi il volto e dando nuovamente le spalle a Tetsuya. “Gli ho detto… di prendere esempio da te…” riprese poi, con un filo di voce.
“Da me?” Jun annuì e si asciugò gli occhi, tornando a guardare il partner.
“Gli ho detto che tu eri riuscito a dare un proposito alla tua vita, pur essendo un orfano come lui. Avrei voluto…” concluse poi, accennando ad un sorriso triste “avrei voluto che ti prendesse a modello, che diventaste amici magari, un giorno…”
“Senti, Jun…” fece Tetsuya, ponendole delicatamente una mano sulla spalla cercando il suo sguardo: “io capisco tutto… ma non sei stata tu a trasformarlo in un mostro guerriero né a piantargli una bomba in corpo! Quindi smettila di tormentarti in questo modo…” e detto questo si avviò verso l’interno, senza attendere risposta da lei.
“Non è rimasto nulla di lui…” Jun riprese nuovamente la parola, ormai sentiva il bisogno di sfogare il suo dolore fino in fondo. Il giovane pilota si fermò sulla porta, senza voltarsi. “Non è rimasto niente, nemmeno un oggetto su cui piangere.” La voce della ragazza stava nuovamente tremando, mentre Tetsuya serrava la mascella, impotente. “Non che ci sia nessuno disposto a piangerlo... Chissà se aveva amici, veri amici, qualcuno che gli voleva bene… per cui la sua morte significhi qualcosa…” Jun soffocò un paio di singhiozzi, “o se ora che non c’è più è come se non fosse mai esistito…”
Il giovane rimase per qualche secondo in silenzio, a riflettere sulle parole di lei, che inevitabilmente gli ricordarono anche la sua condizione e sentì improvvisamente una forte inquietudine addosso. Quindi decise di ritornare sui suoi passi per portarsi di fronte alla sua partner, che aveva di nuovo iniziato a piangere:
“Non dire così…” esordì, con un filo di voce “È vero, magari non aveva una famiglia, però sono sicuro che non gli mancassero gli affetti…”
“E come fai a dirlo?” replicò lei, tornando ad asciugarsi le lacrime, per ridarsi un contegno. Tetsuya si appoggiò alla balaustra, lo sguardo perso verso il sole che tramontava all’orizzonte.
“Di sicuro aveva un’amica che ha custodito la sua foto gelosamente per anni, che si è preoccupata per lui fino all’ultimo cercando di dargli dei validi consigli, che si strugge di dolore e sensi di colpa da quando è morto…”
“Smettila…”
“E che sono sicuro troverà la forza per continuare a combattere e far sì che il suo sacrificio non sia stato vano!” concluse, stringendo Jun per le spalle e cercando di infonderle un po’ della sua determinazione. Per tutta risposta la ragazza si limitò ad annuire ad occhi bassi, prima di divincolarsi dalla sua stretta per poi appoggiare con delicatezza le mani e il viso sul petto di lui, forse in cerca di un conforto che andasse al di là delle parole. Preso in contropiede, Tetsuya esitò un po’, poi finalmente si decise a stringerla con tutta la forza che aveva e che sperava di riuscire a trasmetterle. I due se ne stettero un po’ così, in silenzio, con Jun indecisa se scusarsi, ringraziare il partner, o scappare via senza dir nulla e Tetsuya un po’ imbarazzato, ma deciso di concedere alla giovane tutto il tempo di cui aveva bisogno.
Neanche a dirlo, fu il piccolo Shiro a sugellare la fine di quel momento di intenso confronto emotivo tra i due, comparendo sulla soglia della terrazza e schiarendosi timidamente la voce:
“Ecco…” balbettò, visivamente a disagio, “volevo solo dirvi che la cena è pronta.”

Fine prima parte - Per offrire una spalla su cui piangere alla povera Jun, o per tirare via Shiro per le orecchie :innocent.gif: :
https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056

Allego anche prova visiva delle "prove tecniche di consolazione" :wub: :diablo:

Jun_e_Tetsuya_5_da_ep_52_Morire_giovani
 
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view post Posted on 7/3/2020, 14:27     +1   +1   -1
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Seconda e ultima parte di Closure... altra botta di allegria in arrivo! :asd: :innocent.gif:

Nei successivi due giorni, Jun si rese conto che i consueti allenamenti ai quali si sottoponeva da anni erano in effetti un ottimo anestetico per il suo dolore. Le svariate ore che trascorreva in palestra contribuivano a svuotarle la mente, o meglio a focalizzarla su specifici obiettivi giornalieri, per raggiungere i quali si spingeva quasi oltre il limite della sua resistenza fisica. Aveva realizzato che c’era qualcosa di catartico nella spossatezza, nello sforzo, o nel dolore muscolare che avvertiva a fine giornata, qualcosa di intenso, che si impadroniva di lei anima e corpo, strappandola dal vortice di flashback e sensi di colpa in cui era sprofondata da quasi una settimana.
Le sue interminabili sessioni in palestra non erano sfuggite al vigile occhio del dottor Kabuto, il quale manteneva ancora una certa distanza di sicurezza dalla figlia adottiva, accertandosi però che fosse sempre convocata per i pasti tre volte al giorno. Del resto, la situazione sul fronte nemico era decisamente calma dalla morte di Shinichiro: radar e monitor non segnalavano nessuna sgradita presenza, mentre il Grande Mazinga e Venus restavano in stand by nei loro rispettivi hangar. In cuor suo Jun si sentiva estremamente sollevata da questo improvviso stato di “quiete prima della tempesta”, pur essendo consapevole dell’inesorabile avvicinarsi del momento in cui sarebbe dovuta tornare in battaglia a fronteggiare i suoi fantasmi.
E che sono sicuro troverà la forza per continuare a combattere e far sì che il suo sacrificio non sia stato vano!
Le parole di Tetsuya le risuonavano spesso nella mente, quasi a tradimento. Jun gli era profondamente grata per aver cercato di spronarla, seppure a modo suo, tuttavia gli era ancora più riconoscente per gli spazi che le aveva concesso dopo il loro ultimo dialogo.
Tetsuya…
In effetti erano un paio di giorni che non si faceva vivo in palestra… un comportamento davvero insolito per un fondamentalista degli allenamenti come lui. Un’occhiata all’orologio: le 4 del pomeriggio. Jun si alzò dal macchinario per asciugarsi rapidamente il sudore. Che si fosse persa qualche riunione? Possibile, ma se fosse stata importante il dottore l’avrebbe senz’altro mandata a chiamare. La spiegazione più plausibile era purtroppo che qualcosa stesse succedendo, qualcosa del quale lei era stata tenuta all’oscuro. Il suo istinto la spinse automaticamente in sala controllo, dove un apparentemente tranquillo Kabuto stava commentando dei grafici con uno dei suoi collaboratori. Per annunciare con discrezione la sua presenza, la giovane si schiarì brevemente la voce.
“Ah, Jun!” salutò immediatamente Kenzo, andandole incontro “mi fa piacere vederti… come stanno andando gli allenamenti?” Pur cercando di apparire gioviale e rassicurante, il tono e l’espressione del dott. Kabuto celavano a stento la sua preoccupazione.
“Va tutto bene, direttore, grazie…” mentì Jun, nascondendosi dietro un timido sorriso. “Mi chiedevo solo dove fosse Tetsuya… è da un paio di giorni che salta gli allenamenti.” E non è da lui, pensò, ma sapeva che sarebbe stato superfluo specificarlo.
“Tetsuya?” Kenzo si portò pensosamente due dita al mento “È solo in giro per delle commissioni… per conto mio.” Si affrettò a concludere. Jun inclinò lievemente il viso.
“Capisco… ero preoccupata che fosse stata rilevata qualche attività sospetta e volevo farti sapere che sono pronta, se dovesse servire.”
“Ma certo…” la rassicurò immediatamente lui, ponendole una mano sulla spalla, “sono… felice di sentirtelo dire. Ti ringrazio.” Quelle ultime parole confermarono il sospetto di Jun: il direttore era tutt’altro che convinto del suo recupero emotivo e la stava ancora palesemente trattando con i guanti. La giovane si lasciò sfuggire un sospiro e si rese conto che era arrivato il momento di affrontare il discorso con lui:
“Ecco io…” iniziò titubante “mi rendo conto che negli ultimi giorni…”
Notando il suo disagio, la prima reazione di Kenzo fu quella di evitarle una conversazione potenzialmente destabilizzante. Si affrettò quindi a stroncare il discorso sul nascere con un cenno del capo e ad accompagnarla con discrezione verso una zona meno popolata.
“Non mi devi nessuna spiegazione, Jun…”
“Ma direttore…”
“È tutto perfettamente normale, considerando quello che hai passato…” lo sguardo di Jun si incupì. “Voglio che tu ti prenda tutto il tempo di cui hai bisogno…”
“Lo sai che non posso…” replicò amaramente lei. Anche il volto del dottore si rabbuiò. Sapeva che le parole di lei rappresentavano il vero, tuttavia sentì che il suo dovere in quel momento fosse offrirle qualche parola di conforto e speranza. Una speranza di normalità. Riprese quindi la parola, soppesando con attenzione ogni termine:
“Ascoltami, Jun… in questo momento la priorità è il tuo pieno recupero psico-fisico.” Asserì, guardandola attentamente. “Fortunatamente qui siamo preparati ad ogni evenienza, ma non posso rischiare di mandarti in battaglia se non sei al 100%, lo capisci vero?”
La giovane strinse le labbra e annuì. Detto questo, il dott. Kabuto accennò ad un sorriso e fece per riavviarsi verso la sua postazione, quando ad un tratto si fermò, come se gli fosse improvvisamente sopraggiunto un pensiero importante. “Dimenticavo… ho convocato una riunione speciale per domani alle 5 e avrei bisogno che partecipassi anche tu.”
Domani alle 5… domani… sarà una settimana da…
“Di che cosa si tratta?” chiese cercando di dimostrare interesse.
Il direttore assunse un’espressione imperscrutabile, che insospettì ulteriormente Jun.
“Ne parliamo domani.” Si limitò a concludere, prima di dirigersi solennemente verso la consueta postazione di controllo.

Che non si sarebbe parlato di battaglie e strategie quel pomeriggio, Jun ne ebbe la conferma quando notò dove si sarebbe svolta la riunione: non si trattava in effetti della solita sala austera con proiettore e tavoli a ferro di cavallo, ma di quella situata nell’ala ovest della Fortezza, più piccola e rifinita, che il dott. Kabuto in genere riservava al ricevimento dei suoi ospiti più illustri, o a particolari commemorazioni. Con una morsa allo stomaco a Jun venne in mente che una delle ultime volte in cui aveva messo piede in quella sala era stato per la cerimonia funebre del povero dott. Tonda. Ricacciò con decisione quel pensiero e la sensazione di inquietudine che lo accompagnava e, facendo un bel respiro, si impose di mostrare al dottore la sua immagine più seria e professionale, di partecipare con attenzione a quell’incontro per poi inforcare la sua moto e recarsi sul luogo dove aveva detto addio a Shinichiro una settimana prima, per ricordarlo con un fiore e una preghiera.
Il solenne foto ritratto del dott. Tonda occupava ancora una delle pareti laterali della sala, tuttavia al suo ingresso, lo sguardo di Jun fu catturato da un oggetto decisamente più insolito, che sembrava quasi fuori posto in un ambiente del genere. La giovane ci mise un po’ a metterlo a fuoco, mentre avanzava lentamente verso il ripiano, forse un altare, sul quale era stato appoggiato, accanto ad un vaso di fiori bianchi. Quando si rese conto dove aveva visto l’ultima volta quel casco da motociclista, di uno sbiadito colore giallo e un po’ ammaccato, Jun si sentì mancare il fiato, mentre le lacrime, che aveva così faticosamente tenuto a bada negli ultimi giorni, tornarono a pungerle gli occhi con crudeltà.
“Sei in anticipo, Jun.” La profonda voce del direttore la riportò bruscamente alla realtà.
“Dottore!” trasalì pallida la ragazza: “Ma questo…”
“È il casco di Shinichiro, mi sembra di capire.” Asserì lui, cercando conferma nello sguardo di Tetsuya, che lo seguiva silenziosamente insieme a Shiro. “Tetsuya lo ha rinvenuto ieri, poco distante dalla strada che porta in città.” Colta un po’ di sorpresa, Jun cercò immediatamente lo sguardo del suo partner, il quale si limitò a serrare le labbra e ad abbassare gli occhi. “Sei assolutamente certo che sia il suo casco, vero?” lo interpellò ancora Kabuto.
“C’è scritto il suo nome dentro…” fu la laconica replica dell’interrogato. Un impercettibile tremito scosse le labbra di Jun, la quale, per mascherarlo, non poté far altro che morderle. Con un cenno della mano, intanto, Kenzo stava invitando i tre ad accomodarsi sui cuscini disposti di fronte al modesto altare sul quale era posizionato il casco di Shinichiro. Mentre Tetsuya e Shiro obbedivano senza parlare, Jun cercava ancora di dare un senso a quello che stava succedendo.
“Direttore, non capisco…” iniziò, cercando di attirare l’attenzione di lui: “che ci facciamo qui? Credevo avessi convocato una riunione di lavoro!”
Con un sorriso rassicurante, Kenzo la raggiunse e la scortò delicatamente verso le loro postazioni designate.
“In un certo senso è cos셔 disse, mentre, per darle il buon esempio si accomodava sul cuscino nella tradizionale posizione seiza. “Dimmi, Jun. Sai che cosa si intende in inglese con ‘closure’?”
Jun finalmente prese possesso del cuscino tra Tetsuya e il dottore, mentre cercava di capire dove questi volesse andare a parare.
“Ti direi che vuol dire ‘chiusura’, ma sono sicura che c’è dell’altro, vero?”
“Infatti. Quando il termine è applicato alle relazioni umane, vuol dire lasciar andare qualcosa, o qualcuno, per poter andare avanti.” Capendo l’antifona, Jun si lasciò sfuggire un sospiro, mentre cercava solidarietà nello sguardo del suo partner.
Mi sa che il direttore l’ha presa un po’ alla larga... Sembravano dirle gli occhi di Tetsuya, il quale, tuttavia, mantenne l’espressione solenne che gli era stato chiesto di sfoggiare per l’occasione.
“Ed io credo che non si possa lasciar andare qualcuno senza prima dirgli addio…” concluse Kenzo, cercando a sua volta lo sguardo della figlia adottiva, che aveva nuovamente abbassato gli occhi.
“Siamo qui per questo, sorellina.” Tagliò corto Shiro, rivolgendo a Jun un timido sorriso: “per aiutarti a dire addio al tuo amico…”
“Per ricordarlo e commemorarlo insieme a te…” aggiunse Tetsuya, con un filo di voce. “Perché il fatto che fosse un orfano non vuol dire che non abbia diritto ad essere compianto…” Kenzo annuì le loro parole:
“Cosa ne dici, Jun? Te la senti di raccontarci qualcosa di Shinichiro?” le domandò gentilmente, ponendole con dolcezza la mano sulla spalla. La ragazza finalmente sembrò scuotersi dal suo torpore: rivolse uno sguardo carico di dolcezza ai suoi tre cari e, schiudendo le labbra in un timido sorriso, annuì. D’istinto si alzò, per raggiungere l’altare sul quale era posizionato il casco. Dopo un attimo di esitazione lo prese con cautela tra le mani, per poi tornare a sedersi di fronte ai tre uomini, appoggiando in grembo il prezioso cimelio.
“Shinichiro era…” iniziò, rivolgendo al casco uno sguardo carico d’affetto e malinconia: “era un ragazzino vivace e spericolato… una vera peste. Faceva… faceva sempre disperare le nostre tutrici all’orfanotrofio. Però con me era gentile e protettivo… non so perché.” Jun si fermò un istante, alzando lo sguardo e fissandolo su qualcosa di lontano, che forse poteva vedere solo lei. “Una volta, quando avevo cinque anni, caddi nel fiume e Shinichiro si tuffò senza esitazione per cercare di aiutarmi, anche se non sapeva nuotare nemmeno lui.” Le scappò una sommessa risata. “Abbiamo rischiato grosso entrambi quel giorno, ma è stato da allora che siamo diventati inseparabili.”
“Eravate innamorati?” interruppe bruscamente il piccolo Shiro, guadagnandosi un’immediata occhiataccia da Tetsuya. Jun invece gli rivolse un sorriso divertito:
“Ecco noi… beh ci volevamo bene. Lui era… la cosa più vicina ad una famiglia che ho avuto per molto tempo.” Sospirò, assumendo di nuovo un’espressione malinconica. Accortosi del cambio di umore della giovane, il dott. Kabuto riprese la parola, deciso a non interrompere ancora quella inconsueta sessione terapeutica.
“E poi cosa accadde? Vuoi raccontarci qualche altro aneddoto della vostra infanzia?”
Jun scrollò impercettibilmente la testa, cercando di non cedere di nuovo alla tristezza. Capiva bene quello che il direttore, Tetsuya e Shiro stavano facendo per lei e voleva dimostrare loro tutta la sua riconoscenza. Dopo una breve pausa riprese a raccontare ed andò avanti per un bel po’ di tempo, le parole che scorrevano come un fiume in piena. A tratti la voce le si spezzava, nel tentativo di fermare le lacrime, a volte invece soffocava a stento una risata liberatoria. Kenzo e i suoi due fratellastri annuivano, le sorridevano, le facevano domande, per invogliarla ad andare avanti. Jun non sapeva se quello strano funerale improvvisato sarebbe servito a darle la “closure” che le serviva, ma davanti agli sguardi colmi d’affetto e di preoccupazione dei suoi tre cari, si sentì di nuovo avvolgere dal calore di una famiglia e le sembrò di sentire anche la presenza del giovane Shinichiro nuovamente accanto a lei.

Al termine della cerimonia, pur spossata da un esercizio psicologico così emotivamente provante, Jun acconsentì a recarsi con Shiro in spiaggia per liberare in aria una lanterna con il nome del defunto, così da poterlo salutare degnamente. Mentre il ragazzino si preparava, le sembrò giusto raggiungere il direttore in sala controllo, per ringraziarlo del premuroso gesto.
“Sono contento di sapere che tu ti senta un po’ meglio…” fu la modesta replica di Kenzo alle commosse manifestazioni di gratitudine della figlia adottiva. “Ma a dire la verità credo tu debba ringraziare anche Tetsuya…” la buttò lì, con un’occhiata volutamente evasiva. “Sai, non si è dato pace per giorni, ha ispezionato per interi pomeriggi il luogo della vostra ultima battaglia nella speranza di rinvenire qualcosa che ti ricordasse del tuo amico.”
Jun abbassò gli occhi un po’ emozionata, il cuore che, per qualche ragione, aveva preso a batterle più velocemente.
“Dunque è per questo che ha disertato gli allenamenti negli ultimi giorni…” si limitò a commentare, quasi tra sé e sé. Kenzo annuì.
“Ecco Jun…” riprese poi, con tono stranamente titubante: “io spero che tu la senta ancora quella sensazione di famiglia, di protezione. Spero che tu la senta anche qui con noi.” La ragazza fu decisamente presa in contropiede da quelle parole: se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni era che il dott. Kenzo Kabuto non era tipo da sdolcinatezze, ma preferiva impartire i suoi insegnamenti con austeri esempi ed una sapiente alternanza di premi e punizioni. Non sapendo bene nemmeno lei come reciprocare quell’inconsueta manifestazione d’affetto, la ragazza decise di lasciarsi andare ad un timido abbraccio, convinta che avrebbe comunicato più di mille parole.
Fu questo l’inconsueto quadretto che Tetsuya e Shiro si trovarono davanti, giunti anche loro in sala controllo a chiamare Jun. Il primo istinto del giovane pilota fu quello di agguantare il vivace ragazzino, prima che si facesse venire strane idee, e di trascinarlo il più lontano possibile da quella stanza e dalla tentazione di interrompere quel momento. Tuttavia quel minuscolo attimo di esitazione lo tradì e, prima ancora che potesse mettere a punto il suo piano, Shiro gli sgusciò via per andare ad intrufolarsi festosamente tra padre e sorellastra. Sospirando sconfitto, anche Tetsuya si decise a raggiungere il centro della sala, dove fu accolto da una Jun decisamente molto più serena.
“Questa cosa della lanterna… sei sicura che ti va di farla?” le chiese con aria seria.
“Ma certo… Shiro ha avuto un pensiero molto carino. Vieni anche tu?”
Tetsuya si strinse nelle spalle.
“Sì, pensavo di accompagnarvi, se non ti dispiace…” Il sorriso di Jun si fece ancora più luminoso.
“Tutt’altro…” si limitò a rispondere. I due restarono qualche secondo in silenzio, finché Jun non si decise a prendere l’iniziativa. “Che dici, ci avviamo?” domandò, prendendolo d’impulso sotto braccio.
“Sarà meglio…” rispose il giovane, sottovoce. “Andiamo Shiro, si sta facendo buio!” e mentre così diceva, Tetsuya sfilò il braccio dalla presa di Jun, per avvolgerglielo protettivamente intorno alle spalle e guidarla in silenzio verso l’uscita.

FINE

Per invitare l'autrice a tornare a dedicarsi ad argomenti meno cupi: https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056

Edited by MicchiUzuki - 7/3/2020, 21:25
 
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view post Posted on 21/6/2020, 09:34     +2   +1   -1
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Celebriamo l'arrivo dell'estate con una nuova ff che mi frullava in testa da un po'. Anche per questa l'ispirazione mi è stata fornita da questo forum, forse un thread o da una conversazione in cui si parlava del ruolo delle nostre eroine a volte un po' bistrattate... così nasce:

LO SCIOPERO DI MIWA

“Miwa, mi puoi dire che cos’è il mal d’amore?”

Sorpresa e un po’ confusa dall’inaspettata domanda, sbattendo gli occhi la coraggiosa pilota del Big Shooter appoggiò la tazza di caffè sul piattino.
“Mayumi, si può sapere chi ti mette in testa certi argomenti?”
“Esatto, non sei un po’ piccolina per interessarti a certe cose, eh soldo di cacio?”
Si intromisero, un po’ allarmati, madre e fratello della bambina.
“Soldo di cacio a chi?” protestò enfaticamente Mayumi, indirizzando un’occhiataccia ad un divertito Hiroshi: “per vostra informazione a scuola non si parla d’altro da quando la maestra si è licenziata improvvisamente per questo motivo!” scambio di sguardi interrogativi e vagamente perplessi tra i tre adulti.
“Forse è il caso che tu ti metta in contatto con la scuola per capire che sta succedendo…” suggerì prontamente il giovane Shiba alla madre, che annuì pensosa.
“Io voglio solo sapere se è una malattia grave, la signorina Megumi è sempre stata buona con noi e io… ecco, sono molto preoccupata!”
L’espressione imbronciata, al limite del turbamento di Mayumi fece rendere conto a Miwa che non era il caso di liquidare con delle battute la sua domanda. Si alzò allora dal divanetto per inginocchiarsi accanto a lei e, appoggiandole dolcemente una mano sulla spalla, con voce rassicurante le disse:
“Stai tranquilla, Mayumi, non si tratta di una cosa grave…” breve pausa per raccogliere le idee su come proseguire quella delicata conversazione: “il mal d’amore è… è… ecco…” una cosa che spero tu non debba conoscere mai! Sospirò mentalmente, mentre, imbarazzata, arrancava a fatica su un terreno che la metteva profondamente a disagio, sotto gli sguardi degli altri due presenti. Mentre era lì a scervellarsi su come affrontare una questione tanto complessa e delicata con una bambina di sei anni, ecco arrivare, improvvisa, l’irritante risata di Hiroshi:
“E dai Mayumi, davvero ti aspetti di avere spiegazioni in materia d’amore proprio da Micchi?”
“Che vuoi dire, scusa?” replicò immediatamente la giovane chiamata in causa, il cui tono tradiva una punta di irritazione.
“Sì, fratellone, che vuoi dire?” le fece eco Mayumi, curiosa. Sentendosi attaccato su più fronti, Hiroshi alzò le mani, affrettandosi a chiarire:
“Dico solo che non è il suo campo…” Miwa aggrottò le sopracciglia: “Insomma, Micchi sa tutto di ingegneria e tecniche di combattimento, ma…” balbettava ora il giovane, mentre lei alzava gli occhi al cielo: “chiederle di parlare d’amore è come chiedere al Prof. Dairi di darti un parere sulla musica rock!”
Hiroshi sfoderò il solito sorriso irriverente e si rivolse con lo sguardo alla sua platea, in cerca di consensi. Con suo sommo disappunto, però, incontrò solo l’espressione interrogativa di Mayumi, quella severa di Kikue, mentre Miwa teneva gli occhi bassi in direzione del suo cercapersone.
“Chiedo scusa, devo allontanarmi un attimo!” esclamò bruscamente la ragazza scattando in piedi e precipitandosi verso la porta.
“Ehi che ti prende?” cercò di trattenerla lui, con tono leggermente colpevole: “guarda che era solo una battuta, non ti facevo così permalosa! Lo sai che hai tutto il mio rispetto come pilota del Big Shooter!” concluse con la frase più vicina ad un complimento che riusciva a concepire. Per tutta risposta Miwa si fermò sulla porta, la mascella serrata. L’aveva detto di nuovo! Quante volte voleva ribadire il concetto? “Tu per me sei solo il pilota del Big Shooter…” appena qualche giorno prima, durante una serata trascorsa seduti sotto le stelle a rivangare l’ultima battaglia e il sacrificio d’amore del guerriero Haniwa appena affrontato, Mister Delicatezza aveva tagliato corto il tentativo di svolta sentimentale della loro conversazione con queste parole, gelandola. Il solo ripensare a quel momento e a quanto ci era rimasta male le fece montare una rabbia… ma lungi da lei darlo a vedere stavolta! Si voltò in direzione di Hiroshi con il più imperturbabile dei sorrisi:
“Chissà… magari uno di questi giorni ‘il pilota del Big Shooter’ entra in sciopero!” asserì laconica, un attimo prima di sparire.
“Che cosa? Che vuoi dire!? Aspetta, Micchi!” le gridò dietro un alquanto allarmato Hiroshi, ma Miwa aveva già oltrepassato la soglia di casa Shiba. Sospirando, il giovane sprofondò pesantemente sul divano: “Che tipa strana, chi la capisce è bravo!”
“Non pensi di essere stato un po’ sgarbato con lei?” lo rimproverò prontamente Kikue, mentre rigovernava il tavolo dopo la cena: “Non ti viene mai in mente che potresti offenderla, sminuendo in questo modo la sua natura femminile?” Una lieve espressione di colpevolezza apparve sul volto di Hiroshi, seppure per una frazione di secondo, dopo la quale si lasciò andare ad un enfatico sospiro:
“Ma dai, non la stavo mica sminuendo, la stavo solo prendendo in giro!” cercò di giustificarsi: “Micchi è sempre così seria e professionale, non si rilassa mai…”
“Hiroshi, sai bene quello che ha passato, non è certo una ragazza come le altre…”
“E credi che non lo sappia?” insistette il ragazzo “Comunque non c’è niente di male in questo, anche perché è bravissima in quello che fa!” e concluse, strizzando l’occhio alla madre: “Ma tu onestamente ce la vedi a parlare d’amore?” Arrampicata su una sedia, il visetto premuto sul vetro della finestra, da qualche secondo l’attenzione di Mayumi sembrava essere catturata da visione alquanto insolita:
“Ehi, fratellone!” chiamò la bambina, senza staccare gli occhi dalla vetrata.
“Capisco cosa vuoi dire, Hiroshi, però…” convenne intanto Kikue.
“Fratellone!”
“… però vorrei che ti sforzassi di essere più gentile con lei…”
“Ehi fratellone!” l’acuto della bambina fece letteralmente sobbalzare i due presenti.
“Insomma, si può sapere che hai da strillare?” protestò Hiroshi facendo per raggiungerla. Mayumi spalancò un sorriso birichino e, puntando il dito verso il cortile oltre alla finestra, annunciò:
“C’è Micchi che parla con un ragazzo!” per poi finire quasi catapultata a terra dal fratello, letteralmente precipitatosi addosso al vetro.

Giubbotto e pantaloni neri, casco in testa, ancora in sella alla sua Honda blu scuro, l’inatteso ospite sembrava mimetizzarsi perfettamente con l’oscurità, tanto che anche gli infallibili occhi di Miwa ci misero un po’ a localizzarlo.
“Sensei!” Salutò la ragazza appena lo ebbe identificato: “Che ci fai qui a quest’ora?” Vedendola finalmente accorrere verso di lui, Rei Domyoji si tolse il casco, rivolgendo a Miwa un accattivante sorriso.
“Mi dispiace essermi presentato qui senza preavviso…” esordì abbassando gli occhi: “in realtà ti ho lasciato qualche messaggio, ma non so se li hai ricevuti…” Miwa trasalì, ripensando alle ultime notifiche sul suo cercapersone che aveva completamente ignorato, probabilmente per via degli attacchi che si erano susseguiti senza tregua negli ultimi sei giorni.
“Ti chiedo scusa…” replicò prontamente, con fare apologetico: “purtroppo gli ultimi giorni sono stati molto impegnativi al lavoro, ho perso un po’ la cognizione del tempo…”
“Figurati, non mi devi nessuna spiegazione!” si affrettò a ribattere Rei, smontando finalmente dalla moto: “è che in qualità di tuo istruttore di karate ho il diritto di preoccuparmi se salti gli allenamenti per tre giorni di fila!” concluse strizzandole l’occhio. Miwa abbozzò un sorriso. Come aveva fatto a non rendersi conto che erano già trascorsi tre giorni dall’ultima volta che era entrata nel dojo di Rei? Eppure da quando si era riavvicinata al karate, circa due mesi prima, non aveva perso quasi nessuna delle lezioni mattutine, alzandosi anche prima del solito per essere puntuale alla sessione delle 7 e presentarsi piena di energie al lavoro alle 9. Miwa aveva trovato nell’allenamento costante, nella disciplina del karate e nello spartano ambiente del dojo molto più di una nuova routine e semplice valvola di sfogo: erano diventati dei nuovi punti di riferimento per lei, che la mettevano continuamente alla prova e le mostravano altri aspetti di sé stessa. E poi c’era lui, Rei. Tanto serio, esigente e combattivo in allenamento, quanto premuroso, solare e alla mano fuori dal dojo. La giovane non poteva negare di essere caduta immediatamente vittima del suo fascino e in cuor suo gioiva all’idea di sentirsi finalmente attratta da qualcuno meno contorto e problematico di Hiroshi, ma si era anche ripromessa di non prendere nessuna iniziativa al riguardo, cercando solo di godersi il loro rapporto sensei – allieva.
“Va tutto bene?” riprese Rei con voce premurosa, dimostrando ancora una volta una pericolosa abilità nel leggerle il pensiero. Miwa annuì con forza.
“Ma certo! Te l’ho detto…”
“Il lavoro…” conclusero all’unanimità. Rei si lasciò andare ad una risata:
“Allora va’ a riposarti, almeno non avrai scuse per non essere puntuale alla lezione di domattina!” La giovane annuì nuovamente, ricambiando il sorriso:
“Ci sarò, non preoccuparti!”
“Bene…” allacciato il casco e nuovamente in sella alla sua moto, Rei sembrava indugiare ancora prima di congedarsi: “Lo sai, in altre circostanze ti avrei invitata a bere qualcosa insieme…giusto per fare due chiacchiere, magari per farti sfogare un po’ sul tuo lavoro, se ti andava…”
A quelle parole, Miwa arrossì vistosamente e ringraziò il buio per la discreta protezione che le offriva. Rei scosse la testa, rendendosi conto di quanto poco opportuno fosse quell’invito, soprattutto in un momento del genere:
“Che sciocco, per un attimo ho dimenticato la natura del tuo lavoro… non far caso a quello che ho detto per favore… ci vediamo domattina!” e, senza lasciare a Miwa il tempo di replicare, sfrecciò a tutta velocità nel buio.
Rimasta sola, la giovane non poté fare altro che lasciarsi andare ad un lungo sospiro. In altre circostanze… quelle parole sintetizzavano perfettamente il senso di ineluttabilità della sua condizione. Finché non si fossero create delle nuove circostanze, non aveva senso per lei farsi delle illusioni su quelli che erano la sua vita e i suoi doveri. Finché non si fossero create delle nuove circostanze, poteva solo ritagliarsi dei piccoli momenti di serenità e le lezioni al dojo rappresentavano uno di quei momenti. Purtroppo non aveva senso cercare o sperare in nient’altro, non in quelle circostanze. Abbassando gli occhi trovò quasi per caso il suo orologio:
“Santo cielo com’è tardi!” esclamò, ritornando bruscamente alla realtà. A quell’ora forse non era il caso di ritornare a casa Shiba, si disse poi, voltandosi spontaneamente verso la finestra illuminata. Le tende ormai chiuse indicavano che la famiglia era in procinto di andare a letto, e Miwa si risolse a fare la stessa cosa. Avrebbe telefonato a Kikue l’indomani per ringraziarla della cena e per sapere se il mistero della maestra malata d’amore fosse in qualche modo stato risolto. Mentre si avvicinava alla sua moto parcheggiata, d’istinto rivolse distrattamente un altro sguardo verso la finestra degli Shiba, giusto in tempo per realizzare che la tenda ondeggiava, come se fosse stata aperta e poi richiusa velocemente. All’interno, Miwa distinse chiaramente la possente figura di Hiroshi che si allontanava rapidamente dalla finestra, pochi istanti prima che all’interno della sala calasse il buio.

Era un Hiroshi stranamente mattiniero e taciturno quello che aprì l’officina il giorno seguente: l’aria stanca e il mal di testa latente rappresentavano il retaggio dell’ennesima nottataccia, una delle tante che la guerra e le rivelazioni dell’ultimo periodo gli avevano regalato. Quasi quasi dormiva meglio dopo una battaglia, quando l’adrenalina fluiva via, regalandogli sonni profondi e privi di pensieri o preoccupazioni. Che fosse decisamente presto quella mattina lo capì anche dall’assenza di Shorty, in genere sempre puntualissimo e pieno di voglia di fare e di chiacchierare, quando si trattava di carpire dal suo “capo” Hiroshi i segreti della meccanica automobilistica. Prima di raggiungere la cassetta degli attrezzi ed iniziare a portarsi avanti con il lavoro, il giovane lanciò inconsapevolmente un’occhiata all’orizzonte. Niente, Shorty non era ancora in vista e fortunatamente nemmeno Don e Pancho. Chissà se Miwa si sarebbe fatta viva quella mattina, si sorprese a pensare. Certo che era stato alquanto maleducato da parte sua precipitarsi fuori di casa in quel modo senza farsi nemmeno rivedere dopo aver salutato il suo amico. Il suo amico… chissà da dove saltava fuori quel tipo e perché si era presentato senza preavviso da lei così tardi la sera. Hiroshi scosse la testa, scivolando con cautela sotto l’auto alla quale stava lavorando. In che rapporti fossero Micchi e quel losco figuro in motocicletta non erano di certo fatti suoi e in fondo nemmeno gli importava. Che la sua amica di infanzia avesse una vita al di fuori della centrale non era solo un fatto positivo, ma anche auspicabile, vista la persona in questione. Non che lui fosse geloso del resto – di certo non vedeva Micchi in quel modo… tuttavia non poteva negare che gli avesse dato fastidio scoprire un aspetto della sua vita che, a quanto pare, gli era stato tenuto nascosto.
magari uno di questi giorni ‘il pilota del Big Shooter’ entra in sciopero!
Che battuta stupida, che cosa aveva voluto insinuare?
“Tsk! Cosa crede che mi fa un favore a lanciarmi i componenti?” iniziò a borbottare ad alta voce, mentre armeggiava con la chiave inglese: “come se io me la spassassi nel ruolo di Jeeg!”
L’inconfondibile tintinnio del suo pendolo lo sorprese perso nei suoi ragionamenti, facendolo sobbalzare e quasi sbattere la testa contro la parte inferiore dell’automobile. “Dannazione!” imprecò “Che succede, padre?”
“Hiroshi, rientra subito alla base!” ordinò l’imperiosa voce del Prof. Shiba. “C’è bisogno di Jeeg!”
“Ricevuto, esco subito!” obbedì il giovane.
“No, abbiamo bisogno prima che tu passi alla base!”
“Perché, che succede?”
“Non riusciamo a rintracciare Miwa…”
Hiroshi sbuffò e scivolò fuori dalla vettura:
“Non sono nemmeno le 9, magari non avrà sentito la sveglia…” la buttò lì, sentendosi in realtà poco convinto della sua ipotesi: “Ho capito, passerò a casa sua per vedere che succede!” e, ciò detto, in pochi secondi sgommò a tutto gas fuori dall’officina, mancando per un pelo il povero Shorty in arrivo.

FINE PRIMA PARTE

Per aderire allo sciopero, o per consigliarmi di tornare a parlare di GM, qui: https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056&st=135#lastpost
 
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view post Posted on 23/6/2020, 20:50     +2   +1   -1
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LO SCIOPERO DI MIWA - seconda parte

“Allora?”
Al suo ingresso alla base, Hiroshi fu accolto da un Prof. Dairi comprensibilmente in agitazione. Il giovane si limitò a scuotere la testa.
“Non capisco dove possa essere andata così presto di mattina, questo comportamento non è da lei…” borbottò quasi tra sé l’anziano scienziato. Hiroshi non poté fare a meno di ripensare a quel giovane con cui aveva visto Miwa la sera prima, in cuor suo sempre più convinto che la sparizione di lei fosse collegata con quel misterioso ospite. Tuttavia, gli allarmi che suonavano incessantemente e le immagini del mostro Haniwa che seminava panico in città lo fecero tornare immediatamente in sé.
“Mi dispiace professore, non possiamo più aspettare!” sbottò Hiroshi avviandosi verso la porta: “Jeeg deve entrare immediatamente in azione!”
“Ma Hiroshi, come facciamo senza il Big Shooter?” fu l’immediata replica di un pensoso Dairi.
“Che vuol dire, non c’è nessun altro che può pilotarlo?”
Dairi e i suoi due collaboratori presenti si lanciarono un’occhiata preoccupata.
“Hanazawa, te la senti?” Chiese titubante il professore ad un giovane alto e smilzo.
Il collaboratore scattò in piedi, l’aria vagamente pallida:
“Ma professore, per ora ho solo fatto un qualche simulazione…” cercò di giustificarsi. Dairi si lisciò il mento, l’espressione sempre più pensosa.
“Beh sì, la battaglia è di certo più complicata della simulazione…” sentenziò, quasi tra sé. Hiroshi allargò le braccia esasperato:
“Beh anche sconfiggere un mostro solo con una testa volante sarebbe alquanto complicato!” sbottò: “è possibile che non ci sia nessun altro oltre a Miwa a saper pilotare il Big Shooter?!”
“Ecco… al momento purtroppo no.” Ammise Dairi serafico, mentre Hanazawa diventava sempre più pallido. Il povero Hiroshi si passò una mano in faccia, disperato:
magari uno di questi giorni ‘il pilota del Big Shooter’ entra in sciopero!
Fantastico, si disse amaramente, ora sì che siamo nella merda…
Mentre il Prof. Dairi, Hanazawa e l’altro collaboratore continuavano a sciorinare piani B e protocolli d’emergenza vari, Hiroshi si rese conto che la sua già minima pazienza era ormai esaurita e che l’unica soluzione possibile era passare all’azione, a prescindere dalle conseguenze. Sfilò solennemente i guanti dalle tasche ed annunciò con aria risoluta:
“Io vado… non posso restare qui a guardare mentre Himika e i suoi mettono a ferro e fuoco la città!”
“Ma Hiroshi…” lo chiamarono all’unisono i tre presenti.
“Voi cercate di localizzare Miwa, io proverò a prendere tempo come posso!” e, con queste parole, si precipitò nuovamente in sella alla moto, risoluto a mettere insieme un piano d’attacco che possibilmente non gli costasse la vita.

circa un'ora prima...

Qualche minuto dopo le 8, la moto di Miwa sfrecciava a tutta velocità sulla via di ritorno dal dojo; la sessione di quella mattina le era sembrata particolarmente impegnativa, forse per via della pausa di tre giorni che era stata costretta a prendersi. Come sempre, aveva calcolato ogni cosa al minuto ed era sicura di giungere alla centrale poco dopo le 8:30, dove avrebbe potuto cambiarsi rapidamente e presentarsi ad un insospettabile Prof. Dairi pronta per la giornata lavorativa. Non sapeva nemmeno lei per quale motivo avesse tenuto nascosta la sua frequentazione del dojo al resto dei colleghi e ad Hiroshi. Forse in parte dipendeva dal fatto che non c’era mai tempo per parlare della propria vita privata e dei propri interessi extra-lavorativi, ma forse era anche perché voleva riservare al karate, agli allenamenti mattutini e a Rei uno spazio privato, che appartenesse solo a lei. Voleva assaporare da sola quel senso di benessere fisico e mentale che la sua nuova routine le regalava ogni giorno. Purtroppo però, il “benessere fisico e mentale” di quella mattina fu improvvisamente interrotto a poche centinaia di metri dal dojo dall’avvistamento di una specie di arpia gigante che svolazzava minacciosa sulla città, lanciando raggi laser e sradicando semafori con il solo battito delle ali.
“Accidenti!” fece in tempo ad esclamare Miwa, evitando abilmente la pioggia di detriti di ogni specie e dimensione che le si era fatta incontro. “Un nuovo mostro Haniwa! Devo mettermi immediatamente in contatto con la base, che allertino Hiroshi e tengano pronto il Big Shooter!” si disse mentalmente, facendo per raggiungere la ricetrasmittente di cui era dotata la sua moto. In quello stesso momento un’altra valanga di oggetti iniziò a volare nella sua direzione, cosa che la costrinse a cimentarsi in una serie di manovre impossibili per cercare di evitarli.
“Miwa! Miwa mi ricevi?” chiamò improvvisamente la concitata voce del Prof. Dairi e, tanto bastò la frazione di secondo in cui la giovane distolse automaticamente gli occhi dalla strada, per finire sbalzata dalla moto ed immersa in un tunnel di oscurità e silenzio.

“Hanazawa, lanciami i componenti!”
Dall’interno della cabina del Big Shooter il povero apprendista pilota sudava freddo, mentre cercava di raggiungere il testone di Jeeg che si inseguiva con il terrificante mostro Haniwa sui cieli della città.
“Sissignore, arrivano!” Se provava a ignorare le gambe che gli tremavano alla vista di quella spaventosa arpia spara raggi, Hanazawa si sentiva quasi rassicurato da quanto avesse imparato in effetti dalle simulazioni. Tuttavia, mentre s’accingeva a premere solennemente il fatidico pulsante per inviare ad Hiroshi l’equipaggiamento necessario a vincere quella battaglia, già pregustandosi complimenti, acclamazioni e magari una promozione, s’accorse con terrore che l’arpia gli si stava facendo incontro a tutta velocità, dopo aver schivato l’ennesima testata di Jeeg.
“Hanazawa, attento!”
“Arrgh!!”
Neanche il tempo di fare il suo ingresso trionfale in scena e soprattutto di premere il benedetto pulsante spara componenti, che il povero Hanazawa finì tamponato dall’arpia, franando con tutto il Big Shooter in un’area fortunatamente poco edificata della città. Rimasto ancora “mutilato” delle sue preziosissime membra d’acciaio, al povero Hiroshi non restò che imprecare e continuare a prendere a testate il mostro Haniwa, sperando che suo padre si facesse venire una delle sue geniali idee, o che la sua anelata dea ex machina facesse finalmente la sua comparsa.

A poche centinaia di metri dal teatro dello scontro, Miwa giaceva ancora incosciente sul bordo della strada. Neppure le grida terrorizzate dei passanti che andavano e venivano intorno a lei o gli occasionali calci che riceveva dalla folla impazzita sembravano riuscire a farle riprendere i sensi. In molti avevano notato la giovane svenuta e un po’ ammaccata giacere accanto al marciapiede, ma sfortunatamente, nella concitazione del momento, il suo destino non sembrava interessare a nessuno. Fu una bambina, forse coetanea di Mayumi, a notarla e ad arrestare la corsa della madre che la teneva per mano.
“Che fai, Saori? Non possiamo fermarci ora!”
“Ma mamma, quella signorina ha bisogno d’aiuto, non possiamo lasciarla qui!”
“Fermati Saori, non muoverla, è pericoloso!”
Incurante dei rimproveri della madre, la piccola Saori si era già accostata a Miwa, battendole ripetutamente la spalla con la manina e chiamandola:
Onesan, svegliati, onesan! Non puoi restare qui, ci sono i mostri!” un’altra esplosione, probabilmente proveniente dall’isolato vicino, squarciò l’aria ed il panico tra i passanti raggiunse livelli incontrollabili. Atterrita, la madre di Saori la prese pesantemente in braccio e si allontanò in fretta, ignorando le proteste della bambina. In quel momento Miwa riprese finalmente i sensi. Stordita, strisciò verso la moto che giaceva qualche metro più avanti, cercando di evitare ulteriori calci dai passanti in fuga. Pur avendo la visuale coperta, alla giovane non servirono altri indizi per capire cosa stava succedendo e cosa doveva fare. Fortunatamente il casco l’aveva protetta dalla caduta, quindi non le ci volle molto per recuperare la lucidità e, agguantata la sua ricetrasmittente, comunicò:
“Qui Miwa! Base, mi ricevete? Qui Miwa…”
“Miwa!” la voce del Prof. Dairi le rispose quasi immediatamente, tradendo un enorme senso di sollievo: “Grazie al cielo! Stai bene?”
“Ho avuto un piccolo incidente, ma sto bene…” rassicurò lei. Poi, senza ulteriore indugio, proseguì: “Sarò da voi tra 15 minuti massimo, preparate il Big Shooter per favore!”
“Ecco veramente...” iniziò titubante Dairi: “vista l’emergenza abbiamo dovuto far uscire Hanazawa, però…”
“Hanazawa?” esclamò lei allarmata: “Ma lui non è pronto! Insomma…”
“No, non lo era, ma purtroppo non avevamo altra scelta…” sospirò Dairi. “Ti invio le coordinate del Big Shooter, purtroppo anche Hanazawa ha avuto un incidente…”

“Raggi gamma!!” sui cieli di Tokyo intanto, Hiroshi e il testone di Jeeg continuavano strenuamente la loro battaglia con le pochissime risorse a disposizione.
“Hiroshi, devi assolutamente allontanare il mostro da questa zona, o sarà una strage!” gridò concitato il Prof. Shiba.
“Ci sto provando, padre! Ma questa dannata arpia non ne vuole sapere!”
“Hiroshi!” chiamava nel frattempo Dairi, che cercava di contattarlo per rassicurarlo che le sue pene stavano forse per finire.
“Hiroshi!” esclamò allo stesso tempo una ben nota voce, che suonò letteralmente come musica per le orecchie del giovane.
“Miwa!” il cuore d’acciaio di Hiroshi provò qualcosa di simile ad un tuffo nel vedere il Big Shooter alzarsi in volo da dietro i grattacieli. Tuttavia non poteva permettere che Miwa pagasse questa sua mancanza così a buon mercato: “Si può sapere dove diavolo ti eri cacciata? Ti sembra questo il momento di entrare in sciopero??” sbraitò tutto d’un fiato, schivando un paio di missili-piuma partiti dalle ali del mostro.
“Ma di che stai parlando? Ho avuto un incidente in moto ritornando da karate!” replicò lei, lanciando a sua volta un paio di missili in direzione delle ali dell’arpia.
“Karate? E da quando in qua fai karate? Questa poi!”
“Sarà meglio riservare questa conversazione ad un momento più adatto, che ne dici?”
“Mi sembra saggio…” si intromise seccato il Prof. Shiba.
“Hanazawa è lì?”
Miwa rivolse uno sguardo al pallidissimo vicino di posto, che la ricambiò con un sorriso tirato:
“È qui…” lo rassicurò: “è tutto intero…”
“Meno male… ora lanciami i componenti!”
La pilota non se lo fece ripetere due volte, si allineò a Jeeg e schiacciò rapidamente il pulsante:
“Componenti fuori!”
Il robusto corpo di Jeeg prese forma ancora una volta davanti ai suoi occhi, mentre Hiroshi recuperava tutta la sua lucidità e la sicurezza di un confronto finalmente ad armi pari.
“Ed ora a noi due, maledetta arpia!” tuonò, mentre il Big Shooter gli si affiancava:
“Tieniti forte Hanazawa…” ordinò Miwa, lo sguardo fisso davanti a sé: “questo varrà come 100 simulazioni!”

In effetti non ci fu confronto tra un Jeeg nel pieno delle sue capacità ed un mostro che dalla sua parte aveva solo velocità e raggi distruttori. Con un’ala messa fuori gioco dai missili del Big Shooter, ad Hiroshi bastarono un raggio protonico ed una serie di magli perforanti per ridurlo in polvere.
“Ottimo lavoro, ragazzi!” si complimentò Dairi, finalmente più rilassato: “e ben fatto anche a te, Hanazawa!”
“Ho fatto molto poco in realtà…” si schernì il giovane, rivolgendo uno sguardo ammirato a Miwa: “se non fosse arrivata la comandante Uzuki…”
“La comandante Uzuki?!” gli fece eco Hiroshi, ridacchiando.
“Hai qualcosa da obiettare, Hiroshi?” lo rimbeccò immediatamente lei, seccata. “Piuttosto, non posso credere tu abbia pensato che vi avrei volutamente piantati in asso così! Ma per chi mi hai presa?”
Punto sul vivo, Hiroshi fece quasi per ribattere attaccandola sulla questione del karate e del misterioso spasimante, ma, forse provato dalla battaglia o solo sollevato che tutto si fosse risolto per il meglio, preferì seppellire l’ascia di guerra:
“In effetti avrei dovuto saperlo che non è da te…” capitolò, quasi mormorando. Poi aggiunse: “Comunque ho imparato la lezione, tranquilla…”
“Ah sì?” si interessò lei, con un guizzo di soddisfazione negli occhi: “che lezione?”
“Che abbiamo bisogno di più piloti per il Big Shooter!” esclamò solennemente: “Dirò al Prof Dairi che sarà il caso di far addestrare almeno altri due dipendenti!”
Per tutta risposta Miwa gli lanciò un’occhiataccia, superando Jeeg in volo:
“In bocca al lupo allora!” Hiroshi scoppiò in una risata, che echeggiò cristallina dall’interfono:
“Anche se la nostra Micchi è insostituibile…” concluse, in tono affettuoso. Hanazawa non poté giurarci, ma fu quasi sicuro di aver visto la prode pilota del Big Shooter arrossire per qualche secondo.

FINE

Per candidarsi alla posizione di apprendista pilota del Big Shooter, qui: https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056&st=135#lastpost
 
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view post Posted on 30/8/2020, 10:57     +2   +1   -1
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ANCHE LA CYBORG PAZIENZA HA UN LIMITE!

Fan fiction dall’intento semi-comico liberamente ispirata all’episodio 49 del GM “Non c’è riposo per gli eroi”

Un Grande Mazinga semi-distrutto, monco e senz’ali, si strascinava passo dopo passo nelle prime luci della sera. Col braccio rimasto teneva tenacemente sollevato quel che restava di Venus, la quale a sua volta gli stava saldamente aggrappata con l’unico arto disponibile. All’interno delle due cabine di pilotaggio, da qualche minuto, era improvvisamente piombato il silenzio. L’apparire della sagoma della Fortezza all’orizzonte significava per Tetsuya e Jun anche l’inesorabile avvicinarsi del confronto con il loro direttore, che probabilmente li attendeva con un altro cazziatone post-battaglia e con un programma di allenamento speciale per i prossimi due giorni.
“Direttore! Il Grande Mazinga e Venus stanno arrivando!” annunciò uno dei collaboratori in tono trionfante, tono che però non suscitò nessun riscontro da parte dell’interrogato. Se da una parte il quasi toccante quadretto dei due robot stretti l’uno all’altra che rientravano alla base dopo una vittoria in extremis lo aveva quasi intenerito, il constatare dal vivo le condizioni dei suddetti robot gli provocò un improvviso tsunami di collera che gli si propagò inarrestabile tra i circuiti. In fondo bisognava pur capirlo: quella non era stata una giornata facile nemmeno per il povero dottor Kenzo Kabuto. Aveva macinato chilometri e chilometri andata e ritorno a duecento all’ora, solo per vedere il suo breve weekend di vacanza con il figlio andare in fumo; aveva respinto a calci, pugni, razzi e pistolate laser le orde di truppe nemiche giunte a dargli il benvenuto nella sua casa vacanze; aveva dovuto arrestare la corsa di un cavallo imbizzarrito a pochi centimetri da un burrone in cui stava quasi per trascinarsi pure il figlioletto Shiro, il quale era riuscito a far uscire dalla grazia di Dio pure la povera bestia; e, soprattutto, aveva dovuto sottostare a tutti i capricci e le soffocanti richieste di attenzione da parte dello stesso Shiro, che lo marcava a uomo da quando lui, Kenzo, in nome del sacro dovere paterno e di qualche senso di colpa, aveva avuto la geniale idea di proporgli una breve vacanza insieme. Lo sventurato scienziato non aveva fatto in tempo ad acquietare le lamentele del figlioletto (e per far ciò aveva dovuto ricorrere, suo malgrado, anche ad un cyborg ceffone educativo), che s’era ritrovato anche a dover gestire gli effetti di un mini-ammutinamento dei suoi due giovani piloti, colpevoli d’aver messo da parte i doveri di sorveglianza alla base per andarsi a ritagliare qualche ora di relax al mare.

“Come hai detto che s’è ferito al braccio Tetsuya?” proruppe improvvisamente Kenzo, cercando di rimettere insieme i tasselli di quella giornata da dimenticare. Imbarazzo generale nella sala.
“Ha detto…” rispose evasivamente Nakazawa, lo smilzo con gli occhiali: “ha detto che si è distratto un attimo e non ha fatto in tempo a frenare… stava guidando la macchinina elettrica con i piedi…” concluse poi tutto d’un fiato.
“Si… si è distratto un attimo e guidava… con i piedi?” Kabuto si portò una mano sulla faccia, cercando di non lasciarsi andare alla collera. Quello era il tipo di comportamento che ti aspettavi, forse, da un ragazzino portato per la prima volta al go cart, non da un professionista addestrato a cui hai affidato un micidiale e costoso prodotto dell’ingegneria robotica! Che fosse il caso di sottoporre il suo ace-pilot a nuovi esami psichici?

Era un Kabuto alle prese con queste ed altre considerazioni quello che fu riportato alla realtà da un improvviso ed acutissimo:
“Fratellone! Sorellina!” che fece sobbalzare tutti i presenti. Ed eccoli lì, i due reduci dalla battaglia, pesti come acini d’uva il giorno della vendemmia e con le facce umiliate e colpevoli di chi è pronto alla fustigazione.
“Vi vedo abbronzati!” li stuzzicò immediatamente Kabuto, tanto per ribadire il concetto: “spero che la vostra scappatella al mare sia valsa tutti i patimenti di questa giornata!”
“Direttore, io…il Grande Mazinga…” iniziò a balbettare Tetsuya, sperando di mitigare un po’ la reazione del suo tutore con una sincera ammissione di colpevolezza.
“Il Grande Mazinga è ridotto in uno stato pietoso!” tuonò Kenzo per tutta risposta: “e anche Venus! Ci vorranno giorni per rimetterli in sesto…”
Jun e Tetsuya abbassarono gli occhi mortificati.
“Di… di quanti giorni parliamo?” s’azzardò a chiedere ancora il giovane pilota. Il direttore rivolse loro le spalle e si rifugiò in un breve silenzio pieno di pathos:
“Non posso pronunciarmi fino a quando non sarà stata eseguita una diagnosi completa dei danni.” I due ragazzi si scambiarono uno sguardo pieno di tensione:
“Ci dispiace direttore, davvero tanto…” esordì finalmente Jun, voce melliflua e occhioni da cerbiatta: “purtroppo abbiamo sottovalutato il mostro guerriero…”
Kabuto si lasciò andare ad un enfatico sospiro e tornò a voltarsi verso di loro:
“No, è stata colpa mia…” altro rapido sguardo, stavolta interrogativo, tra i due piloti: “ho sbagliato ad allontanarmi e a lasciare tutto sulle vostre spalle!”
“Ma papà!” si intromise Shiro con la solita voce petulante, ma la sua protesta fu stroncata sul nascere da un’occhiataccia di Kenzo.
“Me lo sentivo che non era saggio concedersi dei giorni di vacanza in un momento del genere…” proseguì calmo lo scienziato: “ma non succederà più.”
“Via, direttore, non c’è bisogno di essere così drastici…” fece amorevolmente Jun, che in cuor suo già sognava un’altra mattinata al mare tra tuffi, scherzi e tintarella con quel piacevole spettacolo che era il suo partner in costume da bagno: “Tetsuya ed io abbiamo imparato la lezione, non abbasseremo più la guardia!” il giovane, chiamato in causa, annuì energicamente e fece per dare man forte alla compagna quando fu bruscamente anticipato da Kabuto:
“Mi dispiace, ragazzi, ma non possiamo permetterci altri errori se non vogliamo che questa guerra si protragga in eterno.” chiosò, lo sguardo serio rivolto ai due figli adottivi. “E ora andate a farvi medicare, vi aspetto in sala per la cena.” E, ciò detto, tornò a rivolgere lo sguardo ai monitor, cercando di raccogliere le idee su quali strategie di difesa mettere in atto fino al completamento delle riparazioni del Great. Sfortunatamente, c’era solo un piccolo particolare che non aveva considerato:
“Papà?” la voce di Shiro lo fece sobbalzare. Possibile che fosse ancora lì? In genere si attaccava alle calcagna di Tetsuya tutte le volte che il “fratellone” rientrava da una battaglia. Pareva che il poveraccio non fosse nemmeno padrone di farsi una doccia senza averlo come spettatore…
“Che succede, Shiro? Non vai a prepararti per la cena?” domandò, speranzoso. Il bambino scosse la testa. Sembrava proprio non volerne sapere di ridurre la marcatura a uomo alla quale aveva sottoposto il padre negli ultimi giorni:
“Sono già pronto!” esclamò trionfante: “posso accompagnarti a controllare le condizioni del Grande Mazinga?” L’esausto scienziato fu percosso da un brivido. Già si prefigurava una raffica di domande inutili a cui rispondere, mentre con i suoi collaboratori cercava di affrontare e risolvere complesse problematiche di meccanica robotica. Ciò avrebbe reso le operazioni di diagnosi e riparazione ancora più lunghe e gravose. No, si disse, serviva una soluzione, una piccola ed innocente via di fuga.
“A dir la verità avevo pensato di affidarti un compito ben più importante,” iniziò, inginocchiandosi davanti al figlioletto. A quelle parole Shiro sgranò gli occhioni innocenti: “non vorresti andare a controllare che tutto proceda bene con le medicazioni di Tetsuya e Jun?”
“Perché?” fu la comprensibile domanda del bambino. Il direttore si schiarì la voce, avvicinandoglisi ancora di più con fare complice:
“Beh, vedi… l’ultima volta il dott. Saito si è lamentato che Tetsuya è stato un po’… brusco con lui.” Spiegò, ripensando a quando aveva dovuto fare appello a tutte la sua capacità persuasive per convincere il medico che quello che si era beccato dal pilota non era stato un calcio in faccia, ma solo un riflesso provocato dal colpo al ginocchio: “E io non posso permettermi di cercare un altro medico in tempo di guerra…capisci vero?”


Fu un Tetsuya dall’aria spossata e con la fronte avvolta da una nuova fasciatura il primo a comparire nella sala mensa. Dalla velocità con cui il dott. Saito aveva portato a termine le sue medicazioni, Kenzo ne dedusse che il povero medico volesse trascorrere il minor tempo possibile a tu per tu con l’impaziente ed irritabile ace pilot.
“Come vanno le tue ferite?” chiese premurosamente, accogliendo il figlio adottivo. Tetsuya accennò ad una leggera rotazione del braccio fasciato:
“Per fortuna niente di rotto…” rispose, sfoggiando la solita espressione da eroe indistruttibile, poi si affrettò ad aggiungere: “E il Grande Mazinga?”
IL direttore gli fece cenno di sedersi accanto a lui:
“Beh il meccanismo di espulsione dello Scrumble è danneggiato…”
“Dannazione!” ringhiò il giovane, battendo un pugno sul tavolo. Kabuto abbassò gli occhi, lisciandosi i baffi, per tenere il suo pupillo ancora un po’ sulle spine:
“Per fortuna però a livello meccanico non abbiamo riscontrato danni particolari…sembra che la Nuova Lega Zeta abbia retto bene anche stavolta.” lo rassicurò finalmente. Tetsuya si lasciò andare ad un lungo sospiro di sollievo, crollando letteralmente contro lo schienale. Allenamento speciale scampato? A quel punto forse se la sarebbe cavata solo con un’altra ramanzina. “Però,” riprese il direttore dopo qualche secondo di silenzio, mentre il giovane si rizzava nuovamente a sedere: “non posso dire lo stesso di Venus. L’ultima esplosione ha messo fuori uso buona parte del circuito collegato ai missili fotonici…” Tetsuya aggrottò le sopracciglia pensieroso. Contando che il bistrattato robot di Jun disponeva solo di 3 armi in croce, delle quali i razzi fotonici erano il “fiore all’occhiello”, ossia l’unica arma che una volta su 10 faceva danni, non gli ci volle molto per capire che la sua partner avrebbe dovuto appendere il casco al chiodo per qualche giorno. Al che, un pensiero gli attraversò fulmineo la mente:
“Dimmi la verità, direttore…”
“Come dici?”
“Oggi, alla fine della battaglia, quando hai detto a Jun di colpire il mostro alle spalle…” Tetsuya esitò un po’ prima di andare avanti, non sapeva bene come formulare la domanda: “Era solo un modo per distogliere l’attenzione del nemico dal Grande Mazinga e concentrarla su Venus, vero?” Kabuto gli rivolse un’occhiata tra l’interrogativo e il sospettoso:
“Mi stai chiedendo se ho usato Jun come esca?” Tetsuya deglutì ostentatamente. Aveva provato a girarci intorno, ma alla fine il nocciolo della questione era quello. Kenzo si appoggiò allo schienale, squadrandolo con aria imperscrutabile da cima a fondo:
“Dimmi un po’, quali altre alternative avevamo in quel momento? Se quel mostro ti avesse investito un’altra volta, saresti saltato in aria con tutto il Grande Mazinga!” Tetsuya abbassò lo sguardo, per evitare l’occhiataccia del direttore:
“Lo so! Però…”
“E comunque ho fatto bene i miei calcoli…” proseguì Kenzo, quasi si sentisse in obbligo di giustificarsi: “i missili fotonici avevano un 50% di possibilità di far saltare in aria il nemico, visto che era vulnerabile sulla schiena… senza contare che Venus è costruita in Super Lega Zeta, può resistere benissimo a questo e ad altri attacchi!”

L’irritazione del povero ed incompreso dott. Kabuto stava raggiungendo picchi inimmaginabili: non solo aveva pagato qualche ora di allontanamento dalla Fortezza con la semi distruzione dei due prodotti di decenni di lavoro, ma ora uno dei suoi figli adottivi metteva anche in dubbio le sue strategie belliche e affetto paterno! Per mettere fine alla questione e per sbollire un po’ di rabbia lo scienziato si diresse senza troppi complimenti verso il tavolo del buffet, lasciando un mortificato Tetsuya a maledirsi per la propria inappropriata schiettezza. In quel mentre dalla porta della sala, qualcuno annunciò la sua presenza e lo fece nell’unico modo che conosceva:
“Eccoci, papà! Papà!” mitragliò Shiro, trotterellando verso il tavolo, seguito da una malconcia ma sorridente Jun. Quando la famigliola fu riunita l’atmosfera si stemperò decisamente, complici la loquacità del ragazzino e le qualità terapeutiche di un ottimo pollo al curry.
“… e allora papà è saltato fuori dal nulla e ha afferrato le redini del cavallo un attimo prima che cadessimo nel burrone!” raccontava un esaltato Shiro, brandendo in aria le bacchette. Kenzo ascoltava silenziosamente, chiedendosi se il figlioletto si fosse reso conto del pericolo a cui era andato incontro.
“Santo Cielo, immagino lo spavento!” lo avallava intanto Jun, appoggiandosi una mano sul cuore.
“In tutto questo hai realizzato che, se tuo padre non fosse riuscito a raggiungere il cavallo, a quest’ora staremmo ancora a raccogliere pezzi di Shiro per tutta la vallata?” sentenziò meno simpateticamente il pragmatico pilota del Great.
“Tetsuya!” lo redarguì prontamente Jun, in cuor suo non del tutto in disaccordo con il commento del partner. “Comunque è un vero peccato che la vostra breve vacanza sia finita così presto…” aggiunse, con voce dispiaciuta.
“È così, purtroppo…” replicò prontamente Shiro: “Ma papà mi ha fatto capire che non dobbiamo essere egoisti e concentrarci solo sul bene momentaneo, vero papà?” Kabuto annuì in automatico, era la terza volta che il figlioletto gli sciorinava la lezione che lui stesso gli aveva impartito qualche ora prima. “Quello che conta è vincere questa guerra!”
“Ben detto, ragazzino!” gli fece eco un rivitalizzato Tetsuya, dopo aver ingoiato l’ultimo boccone di pollo speziato. Poi si stiracchiò vistosamente: “A questo punto direi che sia il caso di andare a recuperare un po’ di energie anche noi…” annunciò alzandosi da tavola, il piatto perfettamente pulito in mano.
“Sì, sarà meglio che vi andiate a riposare…” approvò immediatamente Kenzo, alzandosi anche lui. In quel momento non sapeva cosa avrebbe dato per qualche ora di solitudine e soprattutto per mettere la parola fine a quell’interminabile giornata. I tre uomini si avviarono all’uscita, mentre Jun sembrava attardarsi intorno alla tavola.
“Lasciate stare, rimetto a posto io qui…” disse solo con un sorriso, quando si fu trovata davanti gli sguardi interrogativi dei tre commensali.
“Sei sicura, Jun? Possono pensarci le donne delle pulizie domattina…” fu la replica di Kenzo, un po’ sospettoso e perplesso davanti a cotanta manifestazione di buona volontà.
“Lasciala fare, direttore!” si intromise prontamente Tetsuya strizzandogli l’occhio: “si starà preparando ad una carriera alternativa nel caso le riparazioni di Venus non dovessero andare a buon fine… Ehi!” protestò poi, nello schivare a malapena un meritatissimo scappellotto mollatogli dalla sua partner.

Placati gli animi e congedati finalmente i due figli maschi, Kenzo si riaffacciò in cucina per ringraziare ancora la premurosa giovane. Il quadretto che si trovò davanti fu decisamente singolare: Jun che canticchiava facendo i piatti, sorriso inebetito e aria di chi è lontano anni luce. Se non avesse conosciuto la caparbia ed agguerrita pilota di Venus, Kenzo avrebbe quasi pensato di avere davanti un’adolescente innamorata. Un po’ spiazzato, provò a schiarirsi la voce per annunciare la sua presenza; poi, notando che non sortiva nessun effetto, decise di optare per un intervento un po’ più deciso:
“Allora io torno in sala comandi, finisci tu qui?” esclamò tutto d’un fiato. La ragazza sobbalzò come se avesse sentito uno sparo. “Ehm… mi spiace,” fece lo scienziato titubante, non sapendo bene come comportarsi: “non volevo spaventarti…”
“Ah, scusami tu ero sovrappensiero!” replicò immediatamente Jun con un sorriso apologetico. Con sua somma sorpresa Kenzo notò una serie di sfumature di colore alternarsi sulle guance della ragazza e fu quasi tentato di chiederle a che cosa stesse pensando, ma una vocina dentro di lui gli suggerì saggiamente che era meglio non saperlo. Con due robot da riparare, tre figli da disciplinare e orde di generali nemici da fronteggiare, il razionale scienziato non si sentiva psicologicamente pronto ad affrontare delle crisi ormonal-sentimentali in quel momento. Né ora né mai in effetti. “Ma tu non vai a dormire, direttore?” chiedeva intanto la giovane con la consueta premura. “Sarai stanco dopo la giornata di oggi…”
“Ho ancora delle cose da sistemare, prima di ritirarmi.” Rispose laconicamente Kenzo, scannerizzando mentalmente le espressioni della figlia adottiva.
“Allora buonanotte, ma cerca di non fare tardi!” Jun sorrise amorevolmente e ripose gli ultimi piatti dopo averli asciugati. Ma sì, forse è stata solo una mia impressione… si disse, constatando con sollievo che il comportamento della ragazza sembrava esser tornato alla normalità. “Comunque…” la voce di Jun lo bloccò nuovamente sulla porta. Di nuovo quell’espressione, un po’ sognante, un po’ colpevole, sul viso di lei: “Spero davvero che tu e Shiro riuscirete a ritagliarvi presto qualche altro giorno per voi…ne avete bisogno!” Kenzo emise un lungo sospiro. Era solo la sua immaginazione, o la ragazza aveva ribadito questo concetto tipo mantra da quando era rientrata alla base? Una parte di lui era tentata di liquidare il tutto con messaggio default sull’importanza di ristabilire la pace per poter tornare a godere di giorni spensierati, ma non quella sera. Quella sera la sua pazienza, vessata da oltre ventiquattro ore di capricci, emergenze, combattimenti, preoccupazioni, crisi, accuse e ancora lagne, sentiva di non poter sopportare oltre. Sapeva che non fosse giusto che ad andarci di mezzo fosse la persona meno problematica di tutta la sua variegata progenie, ma la famosa vocina stava insistendo perché certi comportamenti fossero stroncati sul nascere.
“Dimmi un po’, Jun” cominciò Kenzo evasivo, avvicinandosi con minacciosa lentezza alla ragazza: “c’è un motivo particolare per cui mi vorresti, anzi ci vorresti, lontani dalla Fortezza, dopo tutto quello che è successo oggi?” La malcapitata sgranò gli occhi, impallidendo. “C’è per caso qualcosa che devo sapere?” Dopo queste parole, tra i due piombò un silenzio imbarazzato. Nell’osservare l’espressione sgomenta e vagamente impanicata di Jun, Kenzo fu immediatamente assediato dai sensi di colpa, ma decise di non arretrare di un passo. Dal canto suo, la solitamente battagliera pilota di Venus, sentendosi colpita e affondata, capì che non era il caso di esporsi ulteriormente e preferì optare per una poco onorevole ritirata. Assunse un’aria interrogativa e finse una imbarazzata risatina:
“Certo che no, direttore! Ma che vai a pensare?” rispose con tono tra il sorpreso e lo scandalizzato. Poi s’affrettò ad oltrepassarlo sulla porta, dileguandosi senza nemmeno dargli la buonanotte.
Nei giorni che seguirono, Kenzo non poté fare a meno di notare con quanta abnegazione Jun si dedicasse a ogni compito che lui le assegnava, e con quanta cautela si tenesse lontana dalla spiaggia… e dal suo partner.

FINE

Per passare una dose di valium al povero direttore, o a uno dei tre figlioli: https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056
 
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view post Posted on 19/12/2020, 21:02     +1   +1   -1
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Tempo di Natale, tempo di nuovi esperimenti di scrittura! Questo raccontino in due parti si svolge qualche decennio dopo le nostre amate serie e presenta i nostri eroi alle prese con festeggiamenti in famiglia e...

OSPITI A SORPRESA

Casa Kabuto

- Sayaka, hai visto la mia cravatta a righe? – dalla camera da letto, un insolitamente teso Koji Kabuto gridava alla consorte in cucina.
- Come dici, Koji? Lisa, abbassa quella musica per favore, mi sta scoppiando il mal di testa! – non essendole giunto nessun segno di vita in risposta dalla camera della figlia, la direttrice dell’Istituto Fotoatomico fu costretta a raggiungere personalmente l’interlocutore.
- Ti chiedevo della mia cravatta a righe… - ripeteva intanto Koji, sistemandosi meticolosamente la cinta dell’elegante completo blu. Sayaka gli rivolse un’occhiata sospettosa:
- È sempre al solito posto… anta di sinistra dell’armadio a muro, insieme a tutte le altre…
- Ah giusto… - convenne innocentemente Koji, sorridendosi compiaciuto allo specchio. La moglie non poté fare a meno di restare a guardarselo incuriosita, appoggiata allo stipite con le braccia conserte:
- E sentiamo, dov’è che vai così agghindato? Ti stai facendo bello per Tetsuya? – lo stuzzicò. Dal canto suo, Koji le rispose con un ermetico sorriso:
- Diciamo solo che ci tengo a fare bella figura con i nostri ospiti d’onore, oggi… - non riuscendo a cavargli fuori altro, Sayaka si limitò a sospirare:
- A parte il fatto che non mi hai ancora detto chi sono questi “ospiti d’onore” – iniziò, alquanto piccata - Se ci tieni tanto a fare bella figura potresti venire ad aiutarmi almeno ad apparecchiare!
I vivaci passi della giovane Lisa che si precipitava giù per le scale, neanche avesse qualcosa che bruciava sul fuoco, interruppero provvidenzialmente il battibecco dei genitori.
- Ah eccoti qua, finalmente! - la apostrofò Sayaka con tono severo – sei pronta?
- Prontissima! – rispose la solare ragazzina con un sorriso. Poi, accennando ad una piroetta: - che ne dite? Mi sta bene questo vestito?
- Sei assolutamente incantevole, Lisa! – fu il commento del padre, che la guardava orgoglioso mentre finiva di allacciarsi la cravatta.
- Anche tu tirata a lucido vedo… - ironizzò invece Sayaka, iniziando a sentirsi un po’ “pesce fuor d’acqua” – sarà meglio che mi cambi anche io, altrimenti mi farete sfigurare!
Mentre la madre così deliberava, Lisa si era portata trotterellando davanti allo specchio, raggiungendo l'altro genitore.
- Allora, papà, proprio non ci vuoi dire chi sono questi ospiti? – gli chiese sottovoce, incuriosita. Koji le strizzò l’occhio con aria complice, prima di rispondere evasivo:
- Beh diciamo che si tratta di amici che vengono da lontano, molto molto lontano…

Casa Tsurugi

Rinfrescata, rigenerata e rilassata, Jun uscì dal bagno dopo una lunga e piacevole doccia. Un’occhiata all’orologio nel corridoio e si rese conto di essersela presa un po’ troppo comoda, così s’avviò svelta in camera a vestirsi, mentre colpevolmente annunciava:
- Tetsuya! Ho finito in bagno se vuoi andare tu! Scusami, non mi ero accorta di averci messo così tanto… Tetsuya? – nessuna lamentela, né rimprovero le giunsero in risposta, il che voleva dire solo una cosa: - possibile che siano ancora fuori? E meno male che dovevano essere qui alle 11!

Pochi minuti dopo, quando la porta si aprì e padre e figlia fecero il loro ingresso trafelati, Jun si fece trovare minacciosa ad attenderli. Un’occhiata all’espressione della moglie e al prode pilota del Great non restò altro da fare che buttarsi sulla difensiva:
- Lo so che è tardi, ma Aiko ha voluto fare il giro più lungo…
- Avresti dovuto vedermi, mamma! Ho battuto il mio nuovo record!
- È vero sei stata brava, ma non adagiarti sugli allori ora, mi raccomando!
- Certo che no, papà!
Per qualche secondo, Jun restò a guardarseli senza replicare: eccoli là, padre e figlia, stessi lineamenti, stessa espressione determinata, stesso desiderio di mettersi sempre alla prova, di spingersi oltre i propri limiti. A 13 anni appena compiuti, Aiko sembrava voler seguire in tutto e per tutto le orme del padre. A Jun questo un po’ preoccupava, in quanto sperava per sua figlia un futuro meno rischioso e limitante, ma le bastava scorgere lo sguardo orgoglioso ed appagato di Tetsuya per convincersi a rimandare il discorso a quando la figlia avrebbe terminato il liceo. Scacciò via l’irritazione con un sospiro, e si limitò a dire:
- Ben fatto, Aiko, ma ora fila a prepararti, tra un’ora dobbiamo essere dai Kabuto!
- Vado, ci metto 5 minuti, vedrai! – esclamò sorridendo la ragazzina, precipitandosi in camera sua.
- E mi raccomando, voglio vederti indossare qualcosa di femminile! – chiosò, mentre la porta della sua stanza si chiudeva.
- Jeans e maglione andranno benissimo! – le fece eco prontamente Tetsuya. La moglie lo fulminò con un’occhiata, che costrinse l’uomo a giustificarsi ancora una volta: - beh che c’è di male… io mi vesto così!
- Forse per te andranno benissimo, ma Aiko è una ragazzina e vorrei vederla un po’ meno… trasandata! – il povero pilota quasi si strozzò con l’acqua e fu sul punto di partire al contrattacco, quando la moglie lo anticipò: - e comunque non potevate prendervi una pausa dagli allenamenti, almeno oggi che è Natale?
- Guarda che me l’ha chiesto lei di allenarci anche oggi… e sarebbe stato bello se fossi venuta anche tu… sempre che riesca ancora a reggere il passo! - concluse Tetsuya, con un sorrisetto provocatorio. Jun si guardò bene dal cascarci e replicò in tono altrettanto indisponente:
- Oh ma io mi alleno tutti i giorni facendo yoga e pilates! – il marito si lasciò scappare una risatina di scherno, mentre la bella ex pilota si preparava ad assestare il colpo di grazia: - perché non ho problemi ad accettare che sto invecchiando…a differenza di qualcun altro! - concluse strizzandogli l’occhio e facendo per avviarsi in camera. Tetsuya incassò, ma era ben deciso ad avere l’ultima parola e, dopo qualche secondo di silenzio ad effetto, sentenziò:
- Ed è per questo che ancora ti vesti come quando avevi 20 anni? – Jun si voltò di scatto, lo sguardo che d’istinto le cadde sull’abito di lana blu che indossava: - non ti pare un po’ troppo attillato quel vestito? – incalzò il marito, con voce divertita, che però tradiva una punta di gelosia:
- Beh, fino a quando me lo posso permettere… - fu la melliflua risposta della moglie, che sbattendo gli occhioni gli si avvicinò con fare provocante. L’atmosfera fu bruscamente interrotta da Aiko che, balzando fuori dalla sua stanza, concitata indagò:
- Mamma, mamma! Dove sono finiti i miei jeans strappati?

Casa Kabuto

Il campanello non aveva neppure finito di trillare che Koji era già balzato ad aprire, seguito con lo sguardo da una quanto mai sospettosa Sayaka.

- Benarrivati, amici! – salutò enfaticamente spalancando la porta.
- Ne è passato di tempo – esordì un’inconfondibile voce maschile, dal tono deciso ma gentile, quasi regale – ti trovo bene!
- Anche voi, non siete cambiati di una virgola! Ma prego, entrate, accomodatevi!
- Permesso… - quando finalmente Koji si fece da parte, Lisa e Sayaka, che erano rimaste leggermente a distanza, capirono finalmente il perché di tanta eccitazione da parte dell’ex pilota dello Zetto.
- Actarus, Venusia! – esclamò cordialmente Sayaka, facendosi loro incontro: - ma che bellissima sorpresa! – poi continuò, rivolgendo un’occhiataccia al marito: - se solo avessi saputo prima che si trattava di voi, avrei prenotato un pranzo in qualche buon ristorante!
- Figurati, Sayaka – rispose cerimoniosamente Venusia, che gli anni e il ruolo di regina di Fleed avevano reso ancora più bella – dopo così tanto tempo a noi basta solo trascorrere qualche ora insieme, non importa dove… - la donna annuì sorridente e a quel punto il suo sguardo fu catturato da una figura che era rimasta fino ad ora in disparte.
- Tu sei… - Actarus e Venusia si voltarono all’unisono, facendo spazio al ragazzo perché si unisse a loro:
- Coraggio, presentati, non essere timido! – esortò affettuosamente il re di Fleed.
- Mi chiamo Ryusuke, molto piacere! – salutò il giovane, accennando ad un inchino.
Koji e Sayaka restarono per un attimo senza parole. L’ultima volta che avevano visto il figlio dei due aveva sì e no 3 anni, mentre ora quello che gli si stagliava davanti era un altissimo, atletico giovane dai morbidi capelli lunghi e dagli affascianti occhi blu, gli stessi del padre. Seguì un coro di “ooohhh” e di entusiastici commenti del caso, quali “ma quanto sei cresciuto!” “l’ultima volta che ti ho visto eri alto così!” ai quali Ryusuke rispose con imbarazzati sorrisi e, mentre con gli occhi cercava una via di fuga, incrociò lo sguardo incuriosito (e abbastanza esterrefatto) della piccola Kabuto, che stranamente non aveva ancora proferito parola. Accortasene, Sayaka le sorrise e le fece cenno di avvicinarsi, cinguettando entusiasta:
- Avanti, Lisa, vieni a salutare! Quando ti ricapita di conoscere un principe così affascinante!
- Mamma ti prego… - biascicò la ragazzina, sentendosi avvampare, mentre si univa incerta all’allegro quadretto.
Nel trambusto del momento, tra convenevoli, battute e risate del gruppo ancora fermo sulla porta, Koji realizzò improvvisamente che mancava qualcosa, o meglio qualcuno, a quella gioiosa rimpatriata. Iniziò a guardarsi intorno titubante, fu quasi tentato di affrontare la questione direttamente con Actarus, ma la presenza incombente della moglie alle spalle lo fece desistere. Neanche a dirlo, fu Venusia a leggergli nel pensiero e, approfittando di un momento in cui l’attenzione non era concentrata su di loro, gli appoggiò una mano sulla spalla e lo informò:
- Purtroppo Maria è dovuta restare su Fleed per delle questioni urgenti… ma ti manda i suoi saluti!
Koji prima trasalì e poi annuì imbarazzato, con un sorriso di circostanza, augurandosi nel frattempo che nessuno si accorgesse del brutto colpo che le parole di Venusia avevano loro malgrado inferto.

- fine prima parte -

Per offrire una parola di conforto al povero Koji, o per unirsi alla festa, qui: https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056
 
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view post Posted on 27/12/2020, 11:56     +1   +1   -1
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OSPITI A SORPRESA - parte 2

Poco più tardi, all’arrivo degli Tsurugi, l’allegro siparietto si ripeté. Più precisamente, Jun accolse con entusiasmo il ritorno sulla Terra della famiglia regale di Fleed e si precipitò subito a salutare calorosamente Actarus e Venusia, seguita da un Tetsuya decisamente più composto. Per lui le visite terrestri del regale pilota di Goldrake da erano sempre preludio di strani eventi. Dal canto suo, Aiko si era limitata ad un timido saluto generale per dirigersi immediatamente verso l’angolo del salone dove Lisa parlottava con un altissimo ragazzo di spalle.
- Ehilà! – esordì, facendo appello a tutta la sicurezza che aveva: - che si dice?
- Ehi, Aiko, benarrivata, vi aspettavamo! – la accolse una Lisa decisamente molto più formale (e paonazza) del solito. Colta in contropiede, Aiko si affrettò a giustificarsi:
- Ehm, è vero, abbiamo fatto un po’ tardi… - balbettò, grattandosi la nuca imbarazzata: - ma sono uscita ad allenarmi con mio padre e abbiamo perso la cognizione… - il suo sguardo d’improvviso incrociò quello del giovane principe di Fleed ed uno strano nugolo di farfalle prese a svolazzarle nello stomaco: - … del tempo.
Da dove veniva quel tipo? Con quei lunghi capelli ondulati e quegli occhi di un intenso colore del cielo, poteva solo essere…
- Lui è un extraterrestre – si sbrigò ad annunciare Lisa, accorgendosi con un po’ di fastidio del sorriso ammaliatore con cui il giovane stava replicando all’espressione imbambolata dell’amica. – È il principe del pianeta Fleed!
- Mi chiamo Ryusuke – salutò lui, porgendole la mano.
- Ryusuke… - ripeté incantata la ragazza, stringendogliela con fare in certo. In realtà pensava fosse un angelo, ma in effetti anche che venisse da un altro pianeta le sembrava perfettamente plausibile. Intanto, qualcosa aveva suscitato l’ilarità dell’angelo di un altro pianeta:
- Sì, quello è il mio nome…ma mi piacerebbe conoscere anche il tuo! – commentò giovialmente. Nel rendersi conto che aveva fatto una gaffe, Aiko sgranò gli occhi, ritirando impulsivamente la mano.
- Si chiama Aiko… - si intromise Lisa, giungendo in soccorso della sua impacciata amica: - ed in genere è molto più loquace! – aggiunse poi sottovoce. Un silenzio imbarazzato piombò tra i tre adolescenti, mentre, dall’altra parte della sala, Koji stappava la seconda bottiglia di spumante. Era evidente che stesse tentando di affogare un “certo dispiacere” nell’alcol.
- Un altro brindisi ai nostri amici venuti dallo spazio! – proclamò, con voce vagamente strascicata, calice in una mano e bottiglia nell’altra.
- Ma a che bicchiere sta? – si informò discretamente Tetsuya avvicinandosi ad Actarus.
- Credo al terzo… - rispose l’altro, rivolgendo a Koji un’occhiata perplessa. L’ingresso in sala delle tre donne con pietanze al seguito fu a dir poco provvidenziale. Accorgendosi della piega che la situazione stava prendendo, Sayaka si materializzò fulmineamente accanto al marito e gli sfilò la bottiglia, incurante delle sue proteste.
- Cerca di arrivare almeno al tacchino, prima di ubriacarti! – lo rimbeccò seccata.
- Ma che ubriaco – ribatté lui stizzito – sto solo celebrando il ritorno del mio caro amico dallo spazio!
- Ma piantala, sembra che tu stia parlando di ET! – concluse trascinandolo verso il tavolo, mentre Jun si rivolgeva scherzosa ai ragazzi:
- Ehi voi tre, avete finito di complottare? Il pranzo è pronto!
Actarus e Tetsuya si scambiarono uno sguardo dubbioso, prima di incamminarsi al seguito di Koji e Sayaka.
- In effetti per un attimo mi è sembrato di sentir parlare Rigel! – commentò il fleediano, soffocando una risata.

Nonostante l’entusiasmo e il piacere di essersi ritrovati, l’atmosfera a tavola era decisamente strana. Koji continuava a tenere viva la discussione, tra un bicchiere e un altro, sotto lo sguardo al limite dell’esasperazione di Sayaka e davanti ai sorrisi più o meno imbarazzati degli altri commensali. Imbarazzata era anche l’aria che si respirava tra Lisa, Aiko e l’affascinante Ryusuke, che si sforzava educatamente di portare avanti la conversazione con le due ragazzine, piombate d’improvviso in uno strano mutismo.
- E quindi qual buon vento vi riporta da queste parti della galassia? – la buttò lì ad un certo punto Tetsuya ostentando una certa nonchalance, ma curiosissimo, in realtà, di sapere se fosse il caso di scaldare di nuovo i motori del Grande Mazinga. Del resto tutte le recenti visite dei reali fleediani erano coincise con nuovi o presunti attacchi nemici. Actarus e Venusia si scambiarono un’occhiata complice.
- Beh veramente… - esordì il re con l’intenzione di lasciare alla consorte l’onore di condividere la lieta notizia.
- Il fatto è che mio fratello sta per sposarsi… - concluse lei con un sorriso affettuoso.
- Davvero??? – fu l’immediato coro che fece seguito alla notizia. Venusia annuì e proseguì:
- Esatto, e così Actarus ed io abbiamo pensato di trasferirci per qualche anno sulla Terra, in modo da stare un po’ vicini a mio padre e al dottor Procton, se dovessero avere bisogno…del resto non potevo lasciare tutto sulle spalle di Mizar…
- Per qualche anno hai detto? Ma è una notizia fantastica! – convenne Sayaka con tono festante.
- In questo modo Ryusuke potrà frequentare la scuola in Giappone! – aggiunse una lungimirante Jun, rivolgendo un sorriso compiaciuto al ragazzo. In quel momento, i cervelli un po’ annebbiati dall’ormone di Lisa e Aiko processarono la notizia e si scambiarono un lungo ed eloquente sguardo, che di fatto dava ufficialmente inizio alla caccia aperta all’ignaro principino.
- Sì, l’idea è quella… - confermò Actarus annuendo in direzione del figlio, ma fu bruscamente interrotto da Koji:
- Ma quindi lascerete la gestione del governo di Fleed a Maria?
- Esatto – annuì sorridente Actarus - del resto abbiamo regnato insieme per anni e con i viaggi e le comunicazioni tra galassie in rapido sviluppo sono certo che riusciremo a gestire il tutto anche nel prossimo futuro.
- Capisco – sospirò Koji con un’espressione malinconica che non sfuggì alla moglie: - bene, sono certo che Fleed sarà in ottime mani.
Quelle parole furono seguite da un nuovo, improvviso silenzio al quale Tetsuya si apprestò immediatamente a mettere fine:
- In questo caso ci vuole un altro brindisi! – esclamò alzandosi in piedi e levando il calice:
- Sì, amici, salute! – gli fece eco il fratellastro, cercando di ritrovare l’entusiasmo, quando fu distratto da un “ahia!” proveniente dalla figlia in piedi accanto a lui. Gli sguardi dei commensali cercarono ed immediatamente trovarono l’origine del trambusto e si ritrovarono davanti un quadretto decisamente surreale: mano destra sul collo di una bottiglia e mano sinistra che si massaggiava la tempia dolente, così se ne stavano sia Lisa che Aiko, immobili a lanciarsi occhiate di sfida.
- Va tutto bene, ragazze? – s’interessò un po’ preoccupato il padrone di casa:
- Certo, papà – rispose la figlia con tono stizzito: - stavo solo cercando di raggiungere il vino per riempire il bicchiere del nostro ospite! – concluse poi fulminando con gli occhi Aiko, la quale, per nulla intimidita, replicò:
- Non capisco che bisogno ci sia! La bottiglia è qui davanti a me e stavo appunto per versarglielo io, il vino!
- G… grazie ragazze… - balbettò la regale pietra dello scandalo, tra il lusingato e l’intimorito. Davanti a cotanto siparietto, Jun e Venusia soffocarono a stento una risata, Koji e Actarus sbatterono gli occhi esterrefatti, mentre Tetsuya e Sayaka rivolsero uno sguardo inorridito alle figlie.
- Non ci posso credere… - bisbigliò disperata la padrona di casa, portandosi una mano sulla fronte.
- Mi sa che qualcuno si è preso una bella cotta qui! – commentò divertita Jun, evidentemente non sulla stessa lunghezza d’onda dell’amica. Sayaka si lasciò andare ad un esasperato sospiro e ribatté sarcastica:
- E certo, ci mancava che un altro membro della mia famiglia finisse in un triangolo amoroso per colpa di un Fleed!!!
Il pranzo si concluse in un’atmosfera decisamente più rilassata e divertita: come da copione, gli adolescenti erano stati i primi ad alzarsi e a ritirarsi nella stanza di Lisa, mentre gli uomini si intrattenevano giovialmente in chiacchiere, fingendo di non accorgersi delle operose consorti che si apprestavano a riordinare la tavola.
- Venusia, Jun, lasciate stare i piatti – invitava intanto una cerimoniosa Sayaka, cercando invano di attirare l’attenzione del marito: - ci pensa Koji ad aiutarmi con la lavastoviglie!
Sentendosi chiamare in causa, il malcapitato pensò di giocare d’anticipo e iniziò a massaggiarsi lo stomaco con aria contrita:
- Accidenti, credo di aver mangiato troppo – iniziò a lamentarsi, puntando il divano: - forse è il caso che mi sdrai un pochino! – Capendo l’antifona, la moglie si limitò a sospirare:
- Guarda che se ti sdrai ti risale tutto su! – sentenziò, per poi dirigersi sconfitta in cucina con la sua pila di piatti.
- So io quello che ti ci vuole per digerire! – annunciò Tetsuya, prendendo la palla al balzo per tirare fuori l’invitante bottiglia di brandy che aveva portato in regalo al fratellastro.
- Tetsuya! – lo richiamò immediatamente Jun - ma dico, ti sembra il caso proprio ora?
- Vuoi dargli il colpo di grazia? – rincarò Venusia, strizzando l’occhio a Koji. Fu Actarus, come al solito, a rimettere gli amici sulla retta via:
- Direi che è meglio prendersi una pausa dagli alcolici, per ora – esordì, poggiando affettuosamente una mano sulla spalla dell’amico: - Potremmo sempre farci una partita a carte! Saranno secoli che non gioco!
- Buona idea! – avallò prontamente Koji, poi concluse, rivolgendo un ironico sorrisetto al fratellastro: - conosco qualcuno che aspetta una rivincita a poker da almeno tre Natali! – punto sul vivo, Tetsuya si limitò a replicare con un’occhiataccia. In effetti c’era una questione che lo preoccupava di più in quel momento:
- Ehi Jun – fece con fare circospetto, avvicinandosi alla moglie: - hai visto Aiko?
- È in camera di Lisa con Ryusuke… - replicò innocentemente lei, continuando a raccogliere piatti dalla tavola. Il marito deglutì rumorosamente.
- È in camera… - balbettò, poi si schiarì la voce, cercando di recuperare un contegno: - a fare cosa? – Jun gli lanciò un’occhiata di sfuggita:
- Presumo a fare quello che fanno i ragazzi alla loro età…
Non sapendo bene se sentirsi più rassicurato o minacciato da cotanta affermazione, Tetsuya decise di optare per un approccio più neutro, e proseguì:
- E cos’è che fanno i ragazzi alla loro età?
Jun interruppe quello che stava facendo, per fermarsi incuriosita a studiare l’espressione del marito.
- Dove vuoi andare a parare? – gli chiese, diretta. Tetsuya non si scompose minimamente, ma continuò, schiarendosi di nuovo la voce:
- Beh io… cioè, noi alla sua età… - mentre incespicava alla ricerca di una risposta, Jun lo guardava sempre più divertita: - Ecco io non ho la più pallida idea di cosa facciano i ragazzi alla sua età! – sbottò alla fine, cercando di mantenere il tono al di sotto delle voci di Koji e Actarus: - però direi che sia il caso di controllare che la situazione non prenda una piega pericolosa…
Dopo aver assistito ad occhi sgranati a tale “sfuriata”, Jun non poté più contenersi e gli sbottò a ridere in faccia.
- Mi fa piacere che tu trovi la cosa divertente! – sentenziò un piccatissimo Tetsuya, incrociando le braccia.
- E dai, Tetsuya, ma cosa vuoi che facciano? – lo canzonò Jun: - la conosci nostra figlia, no? Al massimo lei e Lisa si metteranno a bisticciare e finiranno per darsi un’altra testata come poco fa a tavola! – e, al pensiero, scoppiò di nuovo a ridere divertita.
- Sarà, ma io di quel fleediano non mi fido per niente! – chiosò un seccato pilota del Great, decisamente a corto di argomentazioni valide. Jun scosse la testa, guardandolo con tenerezza:
- Che sciocco! hai detto la stessa cosa anche la prima volta che hai conosciuto Actarus, ti ricordi? E comunque non ti fidi di Aiko? – Punto sul vivo, Tetsuya serrò le labbra e abbassò lo sguardo. Jun fece per raccogliere una nuova pila di piatti e per avviarsi in cucina, non prima di concludere, per tranquillizzare il sospettoso marito: - facciamo così: tu va’ ad accertarti che Koji non svuoti anche quella bottiglia di brandy e io tra un po’ vado a portare una cioccolata calda ai ragazzi… così, per sicurezza! - e, detto ciò, si allontanò strizzandogli l’occhio.

Intanto, un paio di stanze più in là, la situazione tra i tre adolescenti era temporaneamente ancora sotto controllo: Ryusuke aveva temuto il peggio quando aveva innocentemente chiesto alle ragazze quale robot fosse più forte tra il Grande Mazinga e Mazinga Z, ma aveva stroncato sul nascere l’infuocato dibattito tirando fuori il suo tablet personale che proiettava ologrammi.
- Che dite, volete vedere qualche immagine del mio pianeta? – chiese cordialmente, facendo partire una sequenza di fotografie mozzafiato di paesaggi che lasciarono le ragazze a bocca aperta.
- E così è lì che sei cresciuto? – chiese Aiko, allungando la mano, quasi a voler toccare l’acqua delle cascate che aveva preso vita di fronte a lei.
- Esatto!
- Sarebbe bellissimo vedere Fleed un giorno… - continuò Lisa, rivolgendo un sorriso sdolcinato al ragazzo.
- Certo, magari la prossima volta che ci ritorno mi potreste accompagnare!
- Dici davvero? – continuò la ragazza saltando in piedi per l’entusiasmo: - ho sempre sognato di viaggiare nello spazio…
- Ma quando mai! – la canzonò sarcastica Aiko, guadagnandosi una nuova occhiataccia da Lisa:
- Da sempre! Del resto, mio padre è un ingegnere aereospaziale, nel caso non te lo ricordassi…
- E questo che c’entra? – mentre Ryusuke constatava scoraggiato che la tensione nella stanza stava di nuovo risalendo, il provvidenziale tablet prese a vibrare e a proiettare l’icona della chiamata in arrivo.
- Scusatemi un secondo! – esclamò il giovane d’un fiato, precipitandosi fulmineo fuori dalla stanza seguito due paia d’occhietti esterrefatti e un po’ delusi.
- Ma dove va…? – fece Lisa, l’espressione imbronciata e preoccupata di chi presagisce un’incombente delusione. Le due si guardarono con orrore, esternando all’unisono la matrice della loro ansia:
- Sarà la ragazza???
- Aiko sprofondò pesantemente sul letto accanto a lei, e commentò con un sorrisetto:
- Certo che solo noi potevamo pensare che uno come lui fosse libero… - Lisa soffocò una risata e continuò, annuendo:
- Te lo immagini? Un principe, per giunta! – entrambe scoppiarono a ridere, mettendo la parola fine alla loro temporanea rivalità:
- Come no? Aspettava proprio due imbranate come noi! - e mentre con ritrovata complicità le due ridevano e si beffavano dei loro goffi tentativi di seduzione di un principe extraterrestre, videro il giovane sfrecciare davanti alla porta della cameretta in direzione del salone al grido di:
- Padre, padre!
Un po’ allarmate, Jun, Venusia e Sayaka interruppero il loro tè per raggiungere gli uomini in salone, proprio mentre il campanello suonava a sorpresa.
- Aspettavi qualcuno? – chiese Tetsuya, vagamente allertato. Koji scosse il capo e si alzò in piedi, cercando di ignorare la testa che gli girava, annebbiata da litri di alcol. D’istinto, Actarus e Tetsuya si scambiarono un’occhiata complice e lo seguirono, per tenere la situazione sotto controllo ed intervenire nel caso fosse servito. Certo non era mai capitato che i nemici usassero loro la cortesia di suonare alla porta il giorno di Natale per annunciare imminenti attacchi, ma in fondo la prudenza non era mai troppa.

Lo spettacolo che la povera Maria si trovò davanti quando la porta di casa Kabuto le fu spalancata fu abbastanza singolare. Un Koji evidentemente ubriaco che la guardava come se facesse fatica a metterla a fuoco era spalleggiato da Tetsuya e Actarus in palese modalità “pronti all’attacco”. Alle loro spalle, Venusia parlottava col figlio per capire cosa stesse succedendo mentre Jun e Sayaka, ancora col tè in mano, si sporgevano per cercare di avere una visuale della situazione.
- Sorpresa!! – salutò la spumeggiante nuova reggente di Fleed, balzando prontamente con le braccia al collo del suo flirt di gioventù, che a momenti cadde rovinosamente a terra.
- Chi… chi è? – esalò Sayaka, mentre, data la visuale coperta, cercava nello sguardo di Jun conferma di quello che temeva. Per tutta risposta, l’amica le sfilò prontamente la tazza di tè dalle mani, sicura che, trascorso lo shock di quel Natale pieno di visite inaspettate, Sayaka l’avrebbe ringraziata per averle almeno salvato il costoso servizio di porcellana cinese.

FINE

Per ricordare all'autrice che gli "special natalizi" andrebbero pubblicati prima di Natale, e per ogni altra considerazione:
https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056&st=165#lastpost

Edited by MicchiUzuki - 27/12/2020, 20:03
 
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A oltre un anno dalla mia ultima pubblicazione ritorno con un raccontino in due parti ispirato da una fanart pubblicata di recente da un bravissimo artista giapponese. Mi sento molto arrugginita e ancora alle prese con una musa ispiratrice a dir poco latitante, ma sentivo il bisogno di "rompere il ghiaccio"... siate clementi! :innocent.gif: :val:

Natale da ...neo genitori

24 Dicembre, ore 17:30

- E quindi? – domandò Jun dalla cucina, non appena realizzò che la telefonata si era conclusa.
- E quindi vanno… - sentenziò laconico Tetsuya, riponendo il cellulare.
- Oh… - riuscì solo a commentare la giovane con malcelato disappunto, tornando a concentrare il suo sguardo sul tacchino quasi farcito. Insospettito dal silenzio della moglie, Tetsuya decise di affacciarsi con nonchalance sulla soglia della cucina, tenendo tra le braccia la figlia di pochi mesi.
- Hanno prenotato a Nagano, alla fine? – riprese Jun affettando l’ultima carota.
- No, a Niseko. Sayaka ha insistito perché lì ci sono anche le onsen.
- Oh… - sentenziò nuovamente la bella pilota, cercando di non pensare a campi innevati, banchetti festivi e soprattutto al relax delle sorgenti termali. – e quanto si fermano?
- Fino a Capodanno. – altra tegola sulla testa di Jun.
- Capisco… - concluse con un sospiro. Tetsuya le gettò uno sguardo evasivo, prima di tornare a concentrare le sue attenzioni sulla figlia.
- Certo che hanno aspettato proprio quest’anno per darsi alla pazza gioia! – commentò poi sarcastico, più per simulare solidarietà nei confronti di Jun che per altro. Del resto, a lui l’idea di trascorrere una settimana lontano dalla comodità della sua tana, circondato da orde di villeggianti in festa, da sciatori improvvisati, nonché dalle facce da schiaffi di Kabuto e Boss, con cui condivideva anche i restanti 358 giorni all’anno, sembrava più una punizione che una vacanza. E poi quest’anno il loro Natale aveva un significato ancora più speciale, e una parte di lui si sentiva un po’ stizzita nel constatare quanto Jun si stesse dispiacendo di aver dovuto rinunciare a qualche giorno in montagna. Come se lo avesse letto del pensiero, la giovane si scrollò improvvisamente la malinconia di dosso, ripose solennemente il tacchino nel forno, e si voltò con un radioso sorriso.
- In effetti ci ho pensato anche io… - iniziò, avvicinandosi – ma poi mi sono resa conto che tutto quello di cui ho bisogno è qui con me! – e si sollevò sulle punte per schioccare un tenero bacio sulla guancia a marito e figlia. Tetsuya si ringalluzzì:
- Appunto! – esclamò enfaticamente e, colto da un improvviso buon umore, sollevò la piccolina sopra la testa e le si rivolse scherzosamente: - vedrai quanto ci divertiremo noi 3 insieme! - La bambina gli fece eco con una serie di indecifrabili vagiti, che misero subito i neo genitori in allarme: - che c’è, vuoi ancora pappa? - Provò ad indovinare Tetsuya.
- Ma no, ha finito una mezzoretta fa… - ribatté pensosamente Jun, avvicinando il naso al sederino della piccola ed esternando un poco confortante: - mmm…
- Non dirmi che…
- Eh già!
- Un’altra volta? – esclamò un po’ sconcertato il giovane. Poi, riportando la figlia ad altezza volto: - ma quanta ne fai? – per tutta risposta, la piccola tirò un paio di calcetti che per poco non colpirono il papà sul naso. Jun si lasciò sfuggire una risatina:
- Vai a cambiarla tu? – la buttò lì sbattendo le ciglia, con voce suadente. Tetsuya aggrottò i sopracciglioni e protestò immediatamente:
- Ehi, aspetta, io l’ho cambiata venti minuti fa! – Senza arretrare di un passo, Jun si limitò a sorridere, sarcastica:
- Hai fatto il tuo dovere! – lo punzecchiò. – E sarei ben contenta di occuparmene io, se tu volessi darmi il cambio in cucina! – e gli indicò teatralmente una pila di pentole, scodelle e utensili vari che aspettavano solo di essere lavate. Per Tetsuya quello fu il colpo di grazia e, prima che la moglie si ricordasse di chiedergli per colpa di chi vivessero in una casa senza lavastoviglie, si affrettò a capitolare:
- Va bene, va bene ci penso io! Ma piuttosto tu per quanta gente stai cucinando? Non siamo solo io e te stasera e domani a pranzo?
Jun fece spallucce e si riavvicino al lavandino, replicando laconica:
- Beh, ho pensato di preparare qualche piatto in più stasera, così da avere tempo domani di dedicarci a qualcosa di più piacevole… - Tetsuya si portò subito sull’attenti, esultando mentalmente all’idea di cotanta allettante proposta, quando Jun si voltò con aria angelica: - … tipo guardaci un film? – cinguettò con solita sventolata di ciglia.
- Oh – riuscì solo ad articolare il marito, rilassando bruscamente le spalle.
- Magari una commedia romantica? – infierì ignara Jun. Vedendosi alle strette, il prode pilota preferì optare per una poco onorevole ritirata, nella speranza di guadagnare tempo per elaborare un efficace strategia di contrattacco. E, mentre la moglie sciorinava una serie di titoli da rischio diabete, Tetsuya si dileguò fulmineo in direzione fasciatoio, congedandola con un brusco:
- Sì sì poi vediamo… qualcuno qui ha bisogno di immediate attenzioni! – lasciando Jun praticamente a parlare da sola.

24 Dicembre, ore 20:30

Il pianto della piccola non accennava a placarsi. Dopo la poppata delle 20, Tetsuya e Jun non avevano nemmeno fatto in tempo ad affondare la forchetta nel tanto agognato tacchino, che la bambina aveva iniziato a singhiozzare, prima moderatamente, poi sempre più concitatamente, finché non era scoppiata in lacrime.
- Su, su piccolina, va tutto bene, è passato, è passato… – mormorava un po’ apprensivamente Jun, tenendola distesa sulla sua spalla.
- Le hai fatto fare il ruttino? – suggeriva intanto Tetsuya a bocca piena, mentre ne approfittava per spazzolarsi in tutta fretta quel che avrebbe dovuto essere il loro cenone della vigilia.
- Certo che lo ha fatto! – ribatté seccatissima Jun, ripassando mentalmente la lista delle possibili cause del pianto neonatale, in cerca di un dettaglio che potesse esserle sfuggito.
- Ha ancora il singhiozzo?
- Ma no, è passato da un po’!
- Allora vorrà un’altra poppata… - concluse smarrito il giovane, a corto di idee. Jun lanciò un’occhiata al frutto di tante fatiche pomeridiane, l’agognato tacchino, che si stava trasformando inesorabilmente in una sostanza gelida e gommosa, e una preoccupata alla figlia, il cui pianto disperato non accennava a placarsi. Giovane responsabile qual era sempre stata, ed ora perfettamente calata nel suo ruolo di madre, Jun tirò un lungo sospiro per raccogliere le idee, strinse al petto la piccola e si voltò seria verso il marito, rivolgendogli queste solenni parole:
- Provo a stendermi un po’ con lei di là sul letto, magari si calma un po’… - Tetsuya annuì riconoscente, consapevole del suo limitato potere in una circostanza del genere. Si alzò dunque in piedi, e, guardandola con aria altrettanto solenne, riuscì solo a proferire:
- Ti tengo la cena in caldo.

(FINE PRIMA PARTE)

Per esprimere solidarietà ai neo genitori: https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056

Ecco invece uno spaccato del Natale in casa Tsurugi:

baby_Christmas
 
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Seconda e ultima parte... miracolosamente in tempo prima di Natale. E ora, via a pelar patate e carote per la roast dinner di domani :boss:

BUON NATALE A TUTTI!

24 Dicembre, ore 21:45

- Finalmente si è addormentata… - furono le parole con cui una visibilmente insonnolita Jun si riaffacciò sulla soglia del salone oltre un’ora dopo. Dal divano dove era sprofondato, un po’ appesantito dalla cena divorata in tutta fretta e dove lo aveva quasi colto il sonno, Tetsuya sobbalzò, tirando su di botto la testa dallo schienale. La moglie gli si accoccolò vicino:
- Alla fine ha voluto un’altra poppata… - lo informò, stanca ma divertita.
- Beh è Natale anche per lei, suppongo! – scherzò di rimando Tetsuya, circondandole le spalle con un braccio. – Tu non hai fame? – Jun scosse la testa, appoggiando il viso al petto di lui. Tetsuya prese ad accarezzarle i capelli: - hai sonno?
La bella pilota gli rispose con un’occhiata maliziosa:
- Tutt’altro… - Tetsuya sperò di non aver frainteso ancora la presunta allusione e proseguì, titubante:
- V-vuoi guardare una commedia romantica?
Jun scoppiò in una risata civettuola e, per tutta risposta, gli gettò le braccia al collo, azzittandolo con un bacio. Improvvisamente galvanizzato dall’inaspettata piega che la serata stava prendendo, il pilota del Gureto non perse tempo ed agguantò la vita della moglie, con l’intento di portarla agilmente sopra di sé. Forse fu la foga del momento, oppure il poco spazio a disposizione per improbabili manovre, tanto fu che il piede di Jun andò a cozzare rovinosamente con il tavolino davanti al divano, dal quale precipitò con un gran tonfo una bottiglia di birra vuota, svegliando la bambina nella stanza accanto e raffreddando in un secondo tutti i bollenti spiriti dei due.
Il pianto disperato della figlia ebbe nei due giovani in cerca di intimità lo stesso effetto degli improvvisi allarmi nemici che avevano turbato innumerevoli notti alla Fortezza della Scienza.
- Non ci posso credere… - gemette sconsolata Jun, lasciando cadere la testa sulla spalla del marito. Tetsuya sorrise, ormai rassegnato all’andazzo della serata:
- Lascia, vado io… - disse scostandola con dolcezza per alzarsi. Jun sospirò, rivolgendogli un’occhiata riconoscente. Il giovane si congedò con un ironico cenno di saluto, e si avviò mestamente verso la fonte del pianto incessante, non prima di averla informata: - comunque sul primo canale danno Pretty Woman, se ti interessa…

25 Dicembre, ore 9:30

La previsione di riuscire a rilassarsi davanti a un film di due ore e mezza, così come quella di gustarsi il cenone della vigilia, o ancor di più di concedersi qualche piacevole attività di coppia, erano decisamente state troppo ottimistiche. Quello che i due neo genitori riuscirono a godersi furono soltanto 4 ore di sonno, intervallate da occasionali “emergenze colichette” e da un paio di spezzoni di film per bambini in TV.
Quando Jun si tirò su dal letto, stordita, il sole era già alto e la luce che filtrava fuori dalla finestra le faceva presagire tutt’altro che un bianco Natale.
“Magari riusciremo almeno a farci una passeggiata al parco” pensò speranzosa, curiosando oltre la tenda ancora chiusa. Dalla camera da letto non proveniva nessun rumore, se non il gentile russare del povero Tetsuya, che era crollato a pancia sotto sul letto un paio d’ore prima, dopo aver dato l’ultimo biberon alla piccolina.
Figurarsi quindi la sorpresa di Jun quando una sonora scampanellata giunse improvvisa ad interrompere la tanto sospirata quiete della mattina di Natale.
- Chi può essere? – si domandò la giovane asciugandosi le mani ed avviandosi verso la porta.
- Oh oh oh! – annunciò una voce familiare, sventolando un enorme pacco regalo davanti all’occhiello. Jun riconobbe il sorriso irriverente di Koji Kabuto, camuffato dalla barba di Babbo Natale, ed aprì prontamente la porta:
- Buon Natale! – esclamarono all’unisono il pilota dello Zetto, con al seguito Sayaka, Boss e Shiro.
- Buon Natale, ragazzi! – fece Jun rivolgendo loro un radioso sorriso: - che bella sorpresa… che ci fate qui?
- Semplice! – proseguì Babbo Kabuto, facendosi largo in casa: - abbiamo saputo che qui abita una bambina che ha fatto la brava per tutto l’anno!
- Anche se ha solo sei mesi… - concluse in fretta Sayaka, strizzando l’occhio all’amica.
- Sì, una bambina che si era appena addormentata due ore fa! - protestò invece Tetsuya, materializzandosi ancora insonnolito e mezzo sconvolto in salone: - che vi salta in mente di fare tutto questo casino la mattina presto?
- Buon Natale anche a te, ingrato! – lo apostrofò immediatamente Boss, mentre Jun fulminava il marito con un’occhiataccia:
- Tetsuya, ma che modi sono? Invece di essere riconoscente che abbiano fatto tutta questa strada per venire a salutarci!
- In realtà eravate sulla via per Niseko… - rivelò candidamente Shiro, prontamente zittito da una gomitata di Sayaka.
- Abbiamo pensato che vi avrebbe fatto piacere avere un po’ di compagnia per Natale, e magari un piccolo aiuto con la bambina! – spiegò lei, ponendo amorevolmente una mano sulla spalla di Jun, che la guardò riconoscente.
- … Ed abbiamo portato rinforzi! – sottolineò prontamente Boss, sfoggiando una serie di buste provenienti da uno dei ristoranti più famosi della città. A Jun brillavano letteralmente gli occhi, mentre Tetsuya si grattava la nuca imbarazzato:
- Oh che pensiero gentile, davvero non dovevate! – esclamò estasiata la bella pilota di Venus, mentre Boss gonfiava il petto, pavoneggiandosi come se l’idea fosse stata interamente sua.
- Vuoi farmi credere che avete rinunciato alla vacanza… per noi? – chiese un alquanto sospettoso Tetsuya, rivolgendosi a Koji. Il temerario pilota dello Zetto fu sul punto di indirizzare al fratellastro una gran risata di scherno e di rispondergli qualcosa tipo:
- Sì, beato te! Guarda che a Niseko ci andiamo tranquillamente stasera, le onsen e le piste da sci mica spariscono a Santo Stefano! – ma un’occhiata all’espressione riconoscente di Jun e a quella stralunata di Tetsuya lo fecero desistere dall’infierire. Si limitò ad annuire e ad assestare una vigorosa pacca sulle spalle del pilota del Gureto, in segno di solidarietà. “In fondo,” si disse ancora Koji, sotterrando momentaneamente l’ascia di guerra, “a Natale siamo tutti più buoni.”

FINE

Per congratularsi con lo spirito natalizio del pilota dello Zetto: https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056&st=180#newpost
 
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Eccomi di ritorno con una FF in due parti liberamente ispirato ad un doujinshi di Michi (mi sembra si chiami l'autrice). Come al solito al titolo ci sto ancora pensando... in caso si accettano consigli! (:

A Tetsuya la sistemazione riservata a lui e Jun dopo la morte del dott. Kabuto andava decisamente poco a genio. L’interminabile permanenza al Centro Ricerche, dove si sentiva sempre “ospite”, unita alla forzata convivenza con Koji, avevano contribuito ad acuire il dolore per la perdita dell’amato padre adottivo e a rendere il suo senso di colpa insopportabile. Per questo l’inaspettata offerta di lavoro negli Stati Uniti gli era sembrata a dir poco una ventata d’acqua fresca. La posizione di responsabile dell’addestramento del team mecha delle Nazioni Unite lo avrebbe da una parte costretto ad un trasferimento a tempo indeterminato in Texas, lontano dal Giappone e dalle sue radici, ma dall’altra lo avrebbe visto impegnato insieme al Grande Mazinga nelle attività che gli riuscivano meglio: l’addestramento e il combattimento.

Un nuovo inizio, insomma, grazie al quale avrebbe potuto lasciarsi alle spalle il dolore, le umiliazioni e le sofferenze dell’ultimo anno e mezzo, e tornare finalmente a dare un senso alla sua esistenza. Solo una questione lo lasciava un po’ dubbioso:

“Come mai non lo avete proposto prima a Koji? Mi pare che lo conoscano bene a Huston…” aveva chiesto al termine del meeting altamente confidenziale con il Prof Yumi e Sayaka. Lo scienziato aveva esitato un istante:
“Sì, in effetti erano interessati anche a lui, ma…” balbettò, lo sguardo titubante in direzione della figlia che lo guardava con aria torva. Era evidente che per Sayaka un nuovo allontanamento dal ritrovato compagno era decisamente fuori discussione, fosse anche costato la salvezza dell’intero pianeta.
“Capisco…” si limitò a commentare Tetsuya, abbassando gli occhi e tradendo un sorrisetto sarcastico. “Posso pensarci un po’?”
Yumi annuì, prima di aggiungere con aria seria:
“Ma non pensarci troppo, non possiamo permetterci di farci trovare impreparati in caso di nuovi attacchi”. Il giovane pilota annuì, e fece per recarsi verso la porta, quando gli giunse la voce di Sayaka:
“Un’altra cosa, Tetsuya. Ti saremmo grati se volessi tenere questa nostra proposta solo per te, per il momento.”
“Huston intende mantenere segreto il programma, per ora”. Aggiunse il prof. Yumi. Senza darci troppo peso, Tetsuya si limitò ad annuire, prima di lasciare la sala meeting, perso nei suoi pensieri.

Bel grattacapo lo aspettava, nei prossimi giorni. Non che il lavoro non lo allettasse, anzi. Ma cambiare completamente vita, sradicandosi anche da quelle poche certezze che aveva… quella non era certo una decisione da poco. Non sapeva neanche lui come l’essere stato scelto al posto di Koji e dello Zetto lo facesse sentire, anche se da quanto aveva capito, erano state più ragioni sentimentali che di competenze effettive a far orientare Yumi padre e figlia verso questa decisione. In fondo Koji degli affetti, dei legami solidi li aveva, anche ora che il dott. Kabuto non c’era più. Lui invece era sacrificabile in questo senso, anzi, forse un suo indefinito allontanamento era anche auspicabile, visto il clima che si respirava al Centro per causa sua. Koji era indispensabile, per lo meno per Sayaka, ma lui? Certo, aveva Jun e Shiro che gli volevano bene, ma il ragazzino sembrava esser riuscito già a processare la scomparsa del ritrovato padre e aver ricreato un perfetto nucleo familiare, grazie alla presenza del fratello e degli Yumi. E Jun non era certo tipa da chiudersi in sé stessa a piangersi addosso, ma anzi aveva dimostrato una forza e una solidità ammirabili, soprattutto nel prendersi cura di lui fino alla sua completa guarigione, onorando allo stesso tempo tutti gli impegni che le venivano affidati alle al Centro. Un suo allontanamento permanente, Tetsuya ne era sicuro, non avrebbe di certo rivoluzionato radicalmente le loro vite. In effetti era lui che aveva bisogno di rivoluzionare la sua, e ripartire da un ruolo di prestigio negli Stati Uniti, notoriamente terra di opportunità e di nuovi inizi, non era proprio il peggiore degli scenari.

“Forse dovrei solo sbrigarmi a dire di sì, prima che ci ripensino…” si disse il giovane, tirandosi su dal letto. D’impulso si diresse verso la porta, con l’intenzione di cercare il Prof Yumi per comunicargli la sua decisione. L’orologio a parete segnava già le 19: magari Yumi gli avrebbe concesso qualche minuto prima dell’ora di cena, sperò Tetsuya. L’ufficio del Direttore del Centro era sullo stesso piano della palestra, luogo in cui il giovane pilota aveva trascorso la maggior parte delle sue notti insonni, dopo la riabilitazione, in cerca di uno sfogo fisico e psicologico. D’istinto s’affacciò e vi scorse qualcuno, una figura a lui decisamente familiare, intenta a macinare chilometri sul tapis roulant. Non sapeva che Jun si allenasse a quell’ora, ma del resto lui stesso frequentava raramente palestra o mensa dopo il lavoro. Era dimagrita in effetti, la “sua” Jun, si sorprese a pensare Tetsuya, mentre quasi inconsciamente si era fermato ad osservarla. Il bacino e le gambe si erano decisamente snelliti, e anche le guance avevano perso la loro tipica pienezza, lasciando spazio a lineamenti più adulti. Mentre lui alzava barriere ed allontanava tutti per fronteggiare da solo il suo dolore, Jun era sempre lì, pronta a farsi carico dei fardelli altrui e ad offrire supporto a tutti quelli che le stavano intorno. E nel farlo, era rapidamente cresciuta e diventata donna. Tuttavia il suo sguardo, ora che non aveva bisogno di ostentare positività e sicurezza di fronte ad amici e conoscenti, appariva decisamente più pensieroso, quasi cupo, pur rivelando un’aurea di determinazione. Tetsuya si rese improvvisamente conto che non aveva la più pallida idea di cosa passasse per la mente della sua partner negli ultimi tempi, né tantomeno di come stesse vivendo la loro permanenza al Centro, o elaborando la morte del dott. Kabuto. I loro scambi si erano fatti decisamente rari, realizzò il giovane: confidenze, battibecchi, prese in giro e litigi, tutto si era d’improvviso ridotto a brevi conversazioni lavorative o sterili sequenze di convenevoli. E non certo per colpa di lei. Tetsuya si scosse improvvisamente dal torpore: “Devo parlarle,” mormorò tra sé e sé “non posso prendere una decisione del genere senza neanche consultarla.” E decise che sarebbe stato più opportuno farlo il giorno seguente, in un momento in cui magari avrebbe trovato la sua partner meno sudata e con più fiato in corpo.

Fu un Koji molto sorpreso quello che si vide entrare Tetsuya di buon mattino nella mensa dove il personale del Centro consumava abitualmente tre pasti al giorno.
“Pesavo ti allenassi fuori a quest’ora…” lo salutò tiepidamente, con uno sguardo di sufficienza. Tetsuya lo ricambiò con un’occhiata frettolosa:
“Ho altri programmi questa mattina…” tagliò corto. Poi, guardandosi intorno con aria indagatrice: “Ma Jun non è qui?” chiese sorpreso. Fu Sayaka a rispondergli:
“Ma come, non sai che accompagna Shiro tutte le mattine a scuola?” Il prode pilota aggrottò le sopracciglia: Non è un po’ grande per avere la scorta privata? In fondo la scuola è a 10 minuti di autobus… pensò con una punta di fastidio. Avrebbe dovuto aspettarla alla pausa pranzo, si disse scrollando le spalle e sedendosi di malavoglia a fare da terzo incomodo alla felice coppietta.

“Fa volontariato dove???” Alle ore 14, poco prima di lasciare la mensa, Tetsuya si era nuovamente rivolto a Sayaka per avere notizie della partner.
“Te l’ho detto,” scandì la ricercatrice, con tono abbastanza seccato: “tre giorni a settimana aiuta le suore che gestiscono l’orfanotrofio qui vicino. Credo si occupi proprio del pranzo…” e, ancor più irritata dall’espressione inebetita di lui, rincarò: “Certo che se ti degnassi di mangiare con noi ogni tanto, invece di rinchiuderti nella tua tana come un orso, tutto questo non ti suonerebbe come una novità…”
Tetsuya incassò il colpo ma, non trovando le parole giuste con cui giustificarsi, o rispondere a tono, si limitò ad un laconico: “Ho capito, grazie…” e se ne ritornò confuso in sala controllo.

Al termine della giornata lavorativa, il giovane decise di giocare d’anticipo e, sgattaiolando via qualche minuto prima della fine del turno, si cambiò e si fece trovare in palestra a fare un po’ di riscaldamento sul tapis roulant, certo che prima o poi Jun si sarebbe palesata. Ma ovviamente Jun non si palesò, almeno non per l’ora successiva, cosa che irritò ulteriormente Tetsuya, soprattutto per la mancanza di costanza della ragazza nel seguire gli allenamenti. La situazione necessitava decisamente di una bella ramanzina, tipo quelle dei vecchi tempi, si risolse il giovane, ma non prima di aver sfogato un po’ di frustrazione con qualche vasca in piscina. Così si cambiò nuovamente ed entrò con aria torva e pensosa nell’area occupata dalla nuova piscina olimpionica, si fece la doccia, si avvicinò al bordo, in procinto di tuffarsi e…
“Tetsuya! Mi cercavi?” gli chiese una vocina leggermente affaticata da dentro l’acqua. Il ragazzo fu preso un po’ di sorpresa ed istintivamente sobbalzò, cadendo all’indietro, ma atterrando fortunatamente sul sedere. Spaventata, la bella pilota si spinse fuori dall’acqua per soccorrere il proprio partner. “Mio Dio! Stai bene? Ti sei fatto male?” esclamò aiutandolo premurosamente ad alzarsi. Ma Tetsuya le premure non sapeva come gestirle in quel frangente:
“Eddai sono solo scivolato, mica sono in pericolo di vita!” ribatté bruscamente sfuggendo al contatto con lei, cosa che la mise immediatamente sulla difensiva:
“Meglio così…” si limitò a commentare la ragazza, alzando le mani e facendo per allontanarsi: “allora io torno in acqua.”
Al giovane non sfuggì l’ombra di tristezza che attraversò lo sguardo di Jun prima di girarsi e, sentendosi in colpa, s’affrettò a rimediare:
“Aspetta, Jun! In realtà ti cercavo, sì…”
“Che succede?” la bella pilota gli si avvicinò di nuovo, un po’ titubante. Mentre cercava rapidamente una scusa per trattenerla, valutando se quello fosse effettivamente il momento di discutere di offerte di lavoro e trasferimenti oltre oceano, Tetsuya non poté fare a meno di notare che la sua partner era esausta, ma non di una stanchezza fisica dovuta all’eccessivo esercizio fisico, o alle impegnatissime giornate lavorative. Jun aveva l’aria di chi stava cercando con tutte le proprie forze di non restare da sola con i propri pensieri, forse anche con il proprio dolore, e come Tetsuya cercava di dare sfogo alle sue sofferenze attenendosi ad una rigida routine di allenamento, anche in onore della memoria del Direttore. Ma c’era di più: questo suo bisogno di essere sempre d’aiuto agli altri, di fare del bene attraverso il volontariato, di occuparsi di Shiro, come se fosse ancora un bambino, o dello stesso Tetsuya, ma sempre con delicatezza e discrezione, esprimevano sicuramente una forma di riscatto che lei cercava. Il riscatto di chi si sentiva in colpa per non aver potuto fare di più per prevenire la morte di una persona cara. Scrollandosi dal torpore, il fiero pilota improvvisamente capì cosa doveva fare. Quale fosse la decisione giusta.
“Allora?” incalzò lei, iniziando a tradire qualche brivido di freddo: “è successo qualcosa?”
Tetsuya trasalì e d’improvviso rivolse a Jun uno dei suoi mezzi sorrisi, un po’ irriverenti, che la ragazza non vedeva da mesi.
“No, niente” mentì. E, precedendola verso il bordo piscina: “mi chiedevo se ti andava di farti una nuotata con me…”

Continua...

Per chi avesse consigli da dare al pilota del Gureto, ecco il link: https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056&st=195#lastpost
 
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view post Posted on 21/8/2023, 07:37     +1   +1   -1
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Seconda parte del racconto "Scambio di coppia" Perché questo titolo? Giudicate voi... :rotfl:


A Jun, nelle ore che seguirono, sembrò di essere tornata indietro nel tempo, ai giorni in cui la rassicurante routine della Fortezza e la presenza delle persone amate le donavano quasi una parvenza di vita normale. Si era svegliata con un peso in meno sul cuore, dopo la serata in piscina con Tetsuya, convinta che forse non era destinata a perdere anche il suo prezioso partner, dopo l’amato padre adottivo. Un ulteriore segnale positivo lo ebbe dalla presenza di Tetsuya a mensa per la colazione, cosa che la convinse a tentare nuovamente la sorte dopo il lavoro e, con l’aiuto di un paio di succulente crocchette al curry che il giovane adorava, si mise ad aspettarlo vicino alla piscina.
Dopo circa un’ora la giovane dovette arrendersi al fatto che quel pomeriggio la nuotata non era nei programmi di Tetsuya, ma senza darsi per vinta iniziò ad ispezionare con aria casual tutti i posti frequentati abitualmente dall’ace pilot, fin quando non finì per imbattersi in Koji, che giocava distrattamente con la sua consolle portatile, fuori dalla sala riunioni.

“Se cerchi Tetsuya è in riunione con Sayaka” disse sbrigativamente il giovane, senza alzare gli occhi dalla Switch. Jun si fermò e lo guardò con aria interrogativa:
“In riunione?”
Finalmente Koji si decise a mettere in pausa la sua importante battaglia virtuale e rivolse a Jun uno sguardo colmo di malcelata irritazione:
“Ne so quanto te,” sentenziò “Sayaka mi ha solo detto che aveva una cosa urgente da discutere con Tetsuya…” Jun inarcò istintivamente le sopracciglia, un po’ sorpresa, mentre l’altro bofonchiava tra i denti: “non capisco cosa ci sia da discutere con Tetsuya che non può prima discutere con me!”
Senza darci troppo peso, e per stemperare l’animo dell’impulsivo collega, Jun gli si avvicinò con un sorriso ed esclamò:
“Vedrai che ti racconterà tutto più tardi!” e, con una leggera pacca sulla spalla, lo oltrepassò decisa a tornarsene mestamente in camera sua, quando improvvisamente ci ripensò e si voltò di nuovo verso il giovane:
“Ah Koji!” lo chiamò: “per caso ti piacciono le crocchette al curry?”

Per il resto della settimana non ci furono altri tentativi di approccio da parte di Jun, né con né senza crocchette. Alla ragazza bastava vedere che Tetsuya aveva ripreso a frequentare spesso la mensa, che si sedeva al tavolo con lei, e sembrava interagire serenamente con gli altri colleghi. Tuttavia, il suo tempo dopo il lavoro era sempre off limits: effettivamente, quando non si sfiancava di allenamenti o usciva in moto, il pilota del Gureto trascorreva molto tempo in quelli che sembravano interminabili meeting serali con Sayaka, cosa che non poteva più essere ignorata dalla sua bella partner. Chi invece stava prendendo decisamente molto peggio tali randezvous era ovviamente Koji, il quale non era ancora riuscito ad ottenere dalla compagna una risposta convincente che giustificasse tanta segretezza, e che in quel periodo prendeva abbastanza male tutto ciò che implicasse in qualche modo in coinvolgimento di Tetsuya nella sua sfera affettiva. Diciamo che i due irruenti giovani si erano assestati su una specie di fragile tregua, basata più che altro sul limitare i loro scambi al minimo, cercando di convivere e di adempiere alle loro mansioni lavorative senza pestarsi i piedi a vicenda. Per rendere l’idea, i vari membri del Centro di ricerca generalmente si auguravano di non finire seduti ad un tavolo o, ancor peggio, in ascensore con i due piloti, visto che la tensione tra loro si tagliava con una spada diabolica. Nell’assistere ad uno scambio di battute scherzose tra Tetsuya e Sayaka a pranzo, Jun non poté fare a meno di pensare che, qualsiasi cosa stesse succedendo, la tempistica di questo nuovo rapporto non era effettivamente delle migliori.

La tensione salì a mille quello stesso pomeriggio, quando Koji irruppe nel salotto riservato ai dipendenti, dove Jun stava finendo di visionare dei documenti sorseggiando del tè.
“Boss mi ha detto che li ha visti insieme!” la ragazza trasalì, non essendosi nemmeno accorta della presenza del giovane. Non ci mise molto tuttavia a capire di chi stesse parlando e, ignorando la morsa allo stomaco, optò ancora una volta per fare da pacere:
“Cerca di calmarti, Koji…” gli disse dolcemente, facendoglisi incontro: “abbiamo appurato che sono entrambi coinvolti in una sorta di progetto top secret, cosa c’è di…”
“Li ha visti insieme FUORI di qui!” ringhiò furioso il pilota dello Zetto, agguantandole impulsivamente le spalle: “solo tu ancora credi alla storia del progetto top secret!”
Jun lo guardò un po’ spaesata, nella sua mente si susseguirono una miriade di pensieri più o meno assurdi, ma la bella pilota si rifiutò di farsi trascinare sulla strada della cieca gelosia e, facendo un bel respiro, scandì:
“Non capisco cosa credi che stia succedendo, Koji…”
“Ah non capisci eh?” la schernì lui “forse fai finta di non capire! O vuoi farmi credere che non ti importa se quei due ce la fanno sotto il naso!”
A quell’insinuazione Jun fu pericolosamente vicina ad assestare una sonora sberla sulla già notoriamente famosa faccia da schiaffi del giovane Kabuto. A fermarla fu solo la realizzazione che Koji, come lei e Tetsuya, stava a suo modo gestendo il dolore (e ovviamente la rabbia) per la tragica morte del padre, ed aveva fatto del pilota del Gureto il capro espiatorio di tutti i suoi mali, presenti, passati e futuri. Il ragazzo si morse le labbra e la guardò con aria vagamente colpevole, mentre Jun abbassava pensierosa lo sguardo. “Senti… Io non…” balbettò imbarazzato, ma lei lo interruppe:
“E va bene. Andiamoli a cercare ora e facciamoci spiegare una volta per tutte che diavolo sta succedendo…” propose, fissandolo con aria risoluta: “Così forse riusciremo a dare un senso a questi misteri e a darci tutti una calmata!” e, abbandonati tè e documenti, precedette il collega verso l’uscita.

I due scesero al piano inferiore, carichi come fucili a pallettoni, e decisi a bussare ad ogni sala riunione per cogliere i rispettivi partner sul fatto. Tale affannata ricerca non ebbe però alcun esito, così Jun e Koji furono costretti a raffreddare i bollenti spiriti e a rimandare il confronto ad un altro momento. Mentre s’avviavano mesti nelle rispettive stanze, percorrendo l’austero corridoio del dormitorio dipendenti, furono sorpresi dal rumore di una porta che si apriva seguito da rapidi passi e fitti bisbigli. Alzando gli occhi, i due realizzarono con sgomento che il trambusto proveniva dalla camera di Tetsuya e che ad esserne appena usciti con aria furtiva erano proprio il pilota del Gureto e Sayaka. Le due improbabili coppie si trovarono così l’una di fronte all’atra, pronte per quello che appariva ormai come un inevitabile confronto.
In realtà il povero Tetsuya non realizzò immediatamente a quali fraintendimenti la situazione si prestasse, ma a Sayaka bastò una rapida occhiata all’espressione furibonda di Koji e a quella sgomenta di Jun per rendersi conto che le cose si stavano mettendo male, molto molto male. Fu un attimo: prima che la giovane potesse proferire parola, il compagno si avventò su Tetsuya imprecando e afferrandolo per il colletto della camicia, mentre Jun optò per una drammatica ritirata, decisa a processare quel che credeva di aver visto sola con sé stessa.
Solo a quel punto il cervello di Tetsuya mise insieme due più due e costrinse il giovane a lanciarsi all’inseguimento della sua partner, scansando in malo modo il pilota dello Zetto. A quel punto Sayaka capì che giocare a carte scoperte era l’unico modo per interrompere quella assurda escalation di equivoci e melodrammi e, balzando di fronte a Koji per bloccarlo, gridò con tutto il fiato che aveva in corpo:
“Stavamo preparando una sorpresa! Una sorpresa per Jun!”
La rivelazione sortì l’effetto sperato, dal momento che ognuno si bloccò sul posto, neanche stessero giocando a “Uno, due, tre stella!”. Koji le lanciò un’occhiata truce, decisamente poco convinto da quella giustificazione.
“Ma davvero?” replicò seccato: “e c’era bisogno di tanta segretezza? Mi hai preso per un cretino!?” Sayaka sospirò vistosamente, cercando con lo sguardo il supporto di Tetsuya, il quale nel frattempo era riuscito a raggiungere Jun e l’aveva istintivamente agguantata per un braccio.
“Tetsuya mi ha chiesto di non parlarne con nessuno e io ho solo rispettato il suo riserbo…” spiegò la pilota di Diana, rivolgendo poi uno sguardo intimidatorio al “complice”: “Non è forse così, Tetsuya?”
Il giovane a sua volta esitò per un istante, ma un’occhiata al volto incollerito della sua partner lo convinse ad uscire immediatamente allo scoperto.
“È come dice lei…” biascicò. Koji sembrò finalmente aver recuperato un po’ di lucidità e si rivolse alla sua compagna:
“E si può sapere di che sorpresa di tratterebbe?”
“Beh questo non sta a me dirlo” replicò, sostenendo seria il suo sguardo, poi si affrettò a prenderlo per mano e, con fare un po’ civettuolo, lo accompagnò verso l’ascensore: “però se mi porti a cena fuori ti racconto tutto…” Il confuso pilota dello Zetto non poté fare altro che seguirla, non prima di aver lanciato un’altra occhiataccia a Tetsuya.

Rimasti soli, tra gli ex pupilli della Fortezza delle Scienze piombò un profondo imbarazzo. Jun si divincolò bruscamente dalla stretta del suo partner e, fissandolo con le braccia conserte, immediatamente lo affrontò con un secco:
“Ebbene?”
Il provato Tetsuya restò un attimo in silenzio, cercando le parole per spiegare alla sua agguerrita e palesemente ingelosita partner che in realtà le riunioni serali di quella settimana erano servite a rinegoziare i termini della sua collaborazione con il centro di Huston, ai quali aveva chiesto un iniziale contratto che coprisse solo il periodo di addestramento del team mecha, per poter poi essere libero di tornare in Giappone. Pur trattandosi di soli tre anni, il giovane si era però reso conto che voleva condividere anche quella nuova esperienza con Jun, e aveva chiesto consiglio a Sayaka su come convincere la ragazza a partire con lui. Esaltata dalla confessione ricevuta dal burbero collega, la giovane Yumi si era offerta di proporre a Jun un master di perfezionamento sponsorizzato dal Centro, e si era messa a fare ricerche con Tetsuya sul computer privato di lui, per non lasciare traccia sui terminali dell’ufficio. Incerto sulla reazione di Jun, e consapevole che non poteva prendere una decisione così importante per lei, Tetsuya si era alla fine convinto a tentare un approccio più soft, regalandole un viaggio negli Stati Uniti per il suo compleanno, per dare alla sua partner la possibilità di capire se quel tipo di vita le interessasse o meno. Era il regalo il motivo per cui si era recato insieme a Sayaka presso un’agenzia di viaggio in città, il pomeriggio in cui erano stati avvistati da Boss. Quel pomeriggio poi, in camera di Tetsuya, i due avevano finito di mettere insieme un itinerario e preparato un simpatico biglietto d’auguri per Jun.
Ora, davanti all’espressione piccata della sua partner, era evidente che tutti i piani faticosamente studiati dai due erano saltati, e che l’equivoco che si era loro malgrado venuto a creare necessitava di una soluzione rapida e definitiva. Dicendo mentalmente addio a feste a sorpresa, torte di compleanno, e lunghi preamboli, il prode pilota sospirò, prese il coraggio a quattro mani e finalmente ruppe il silenzio:
“Mi hanno proposto un lavoro temporaneo negli Stati Uniti e mi piacerebbe che venissi con me.” A quelle parole, Jun sgranò gli occhi, non riuscendo a nascondere un velo di emozione: “Che ne dici? Ti andrebbe di ricominciare per qualche tempo in America?”

Per speculare sulla risposta della bella pilota di Venus, o per suggerire a tutti di prendersi una camomilla: https://gonagai.forumfree.it/?t=76810056&st=195#lastpost
 
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