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Danza e Balletto, il magico mondo della danza

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SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

Il Sogno di una notte di mezza estate di Balanchine e il Balletto della Scala hanno un destino internazionale indissolubilmente legato: con questo balletto la compagnia scaligera ha fatto davvero il giro del mondo, e grazie all’interpretazione e all’allestimento scaligero, il Sogno balanchiniano è tornato a vivere più splendente che mai: non un restauro – è stato detto – ma quasi una rinascita, dalla sua prima rappresentazione nel 1962 a New York.

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Presentato in debutto europeo nel 2003, con nuove scene e nuovi costumi realizzati appositamente da Luisa Spinatelli, dopo aver fatto la sua prima apparizione in Messico, Brasile, Cina, Germania, Turchia, Cipro, Grecia, Russia, Danimarca, il Sogno ritorna alla Scala con gli elfi, le fate, Titania e Oberon, gli amanti, Puck, Bottom…e la magia di una notte fatata uscita dalla fantasia di Shakespeare.


Il Sogno balanchiniano, costruito su musica di Felix Mendelssohn-Bartholdy, vede in scena i primi ballerini i solisti e gli artisti del Corpo di Ballo scaligero, alcuni già interpreti nelle precedenti rappresentazioni in Italia e nel mondo e alcuni che invece per la prima volta si immergeranno nelle magiche atmosfere di questo balletto, nei numerosi ruoli che li vedranno coinvolti, da Titania (Nicoletta Manni il 28 giugno e il 4 luglio; Marta Romagna il 7 e 12 luglio; Virna Toppi il 17 e 22 luglio), Oberon (Nicola Del Freo il 28 giugno, 4, 17 e 22 luglio e Timofej Andrijashenko il 7 e 12 luglio), il Cavaliere di Titania (Marco Agostino il 28 giugno e 4 luglio; Gabriele Corrado 7, 12, 17 e 22 luglio), Puck (Antonino Sutera il 28 giugno poi 4 e 17 luglio, e Federico Fresi il 7, 12, 22 luglio). E ancora: gli amanti, Elena (Emanuela Montanari poi Alessandra Vassallo), Ermia (Mariafrancesca Garritano poi Antonella Albano), Demetrio (Maurizio Licitra e Massimo Dalla Mora), Lisandro (Alessandro Grillo poi Riccardo Massimi); Ippolita (Virna Toppi, poi Gaia Andreanò e Alessandra Vassallo), Teseo (Riccardo Massimi e Emanuele Cazzato), Bottom (Matthew Endicott), una farfalla (Antonella Albano poi Vittoria Valerio) e nel divertissement del secondo atto, dal passo a due (con Nicoletta Manni e Marco Agostino, in alternanza con Virna Toppi e Gabriele Corrado) alle sei coppie della cerimonia.

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Da segnalare è il significativo coinvolgimento dell’Accademia dei Teatro alla Scala: a eseguire le musiche di Mendelssohn sarà l’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala, diretta da David Coleman, il Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala diretto da Marco De Gaspari, le Soliste del Corso di perfezionamento per cantanti lirici dell’Accademia Teatro alla Scala Ewa Tracz (soprano) e Mareike Jankowski (mezzosoprano) e nel ruolo dei ventiquattro piccoli elfi gli allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala.

Precede lo spettacolo l’incontro Bene incontrati sotto la luna – Balanchine e Shakespeare condotto da Silvia Poletti che si terrà martedì 20 giugno 2017, alle ore 18 nel Ridotto dei Palchi “A. Toscanini” per il ciclo Prima delle prime Balletto organizzato dal Teatro alla Scala con Amici della Scala.


Atto primo
Si svolge in una foresta accanto al palazzo del duca Teseo ad Atene. Oberon, Re delle Fate, e Titania, sua regina, litigano. Oberon ordina a Puck di portare il fiore trafitto dalla freccia di Cupido (che causa a chiunque cada sotto la sua influenza di innamorarsi della prima persona che gli capiti a vista),e mentre Titania è addormentata e inconsapevole, le getta addosso l’incantesimo del fiore.


Nel frattempo Elena, vagando nel bosco, s’imbatte in Demetrio che ama non essendo però ricambiata. Demetrio infatti la respinge e prosegue per la sua strada. Oberon vede l’accaduto e ordina a Puck di usare il fiore su Demetrio in modo che possa ricambiare l’affetto di Elena.

Anche un’altra coppia, Ermia e Lisandro, invece molto innamorata, sta vagando nella foresta ma viene separata. Puck, smanioso di portare a termine l’incarico affidatogli da Oberon, incanta per errore Lisandro. Appare Elena, e Lisandro, sotto l’influsso del fiore magico, le confessa immediatamente quanto la ami, suscitando in lei grande sorpresa. Ora ritorna anche Ermia.La fanciulla è stupefatta e poi costernata nel vedere che Lisandro presta attenzione solo a Elena. Puck fa in modo di irretire nell’incantesimo del fiore anche Demetrio, questa volta con grande piacere di Elena che non si cura affatto di Lisandro.

Demetrio e Lisandro, tutte e due innamorati di Elena, cominciano a litigare. Puck, su comando di Oberon, ha separato il tessitore Bottom dai suoi compagni, mutato la sua testa in quella di un asino, e lo ha anche trasportato ai piedi di Titania addormentata. Quando la regina si sveglia e vede Bottom, lo crede magnifico e gli riserva intime attenzioni amorose. Finalmente Oberon, non più arrabbiato, fa sì che Bottom venga scacciato e libera Titania dall’incantesimo subìto. Ermia non riceve attenzioni da nessuno; Elena, invece, ne riceve anche troppe. Gli uomini, completamente straniati, litigano seriamente e iniziano a combattere. Puck, con il suo potere magico, li separa; fa sì che si perdano e vaghino solitari nella foresta sinché, esausti, non si addormentano. Puck riesce a fare in modo che Elena si stenda vicino a Demetrio e che Lisandro (liberato dall’incantesimo) giaccia accanto a Ermia. Il duca Teseo e Ippolita, sua futura sposa, scoprono i giovani innamorati addormentati nella foresta, li risvegliano, si accertano che i loro problemi siano risolti e proclamano un triplo matrimonio, il loro e quello delle due coppie.

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Atto secondo
Si apre nel palazzo del duca, con parate, danze e divertissements in onore delle coppie appena maritate. Al termine delle celebrazioni, quando i mortali se ne sono andati, si torna nel regno di Oberon e Titania, che ora sono riuniti e in pace. Alla fine Puck, avendo rimesso ordine nel disordine, spazza via anche ciò che resta delle imprese notturne. Le lucciole brillano nella notte e bonificano la foresta.
 
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CARMEN

Titolo originale: Carmen
Debutto: 21 Febbraio 1949, Prince’s Theatre di Londra
Librettista: R. Petit
Coreografo: R. Petit
Musiche: G. Bizet
Opera: drammatica in cinque quadri.

Il soggetto, tratto da una novella di Prosper Mérimée, scrittore e storico francese le cui opere sono ricche di misteri che si svolgono in Spagna e su libretto della celebre opera di Georges Bizet, è ambientato nella Siviglia degli zingari e dei toreri. Dalle scale di una fabbrica di sigarette, una donna scende a precipizio inseguita da Carmen; le due inscenano una rissa, Carmen sta per uccidere la rivale, ma viene fermata da un uomo, Don José. Quest’ultimo s’invaghisce di lei, che aiutata da una sua amica riesce a scappare; mentre José cerca d’inseguirla.

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Il secondo quadro è ambientato in una taverna dove alcuni paesani felici stanno festeggiando.
Qui, José inizia a danzare l’habanera, danza popolare spagnola dal ritmo lento e non rigido: egli si toglie il mantello nero, simbolo della sua appartenenza a un rango nobile, incomincia ad avanzare a passo cadenzato guadagnando lo spazio scenico come un torero nell’arena.

Nella sua variazione i movimenti sembrano bloccarsi, come se fossero una sequenza di fotogrammi: egli, nonostante i suoi passi non riesce a togliere il suo sguardo da Carmen, la sua amata.
Mentre Carmen si lascia conquistare dagli altri uomini della locanda, non riesce a non notare José e, rapita dal suo movimento, s’inginocchia davanti a lui: insieme si dirigono verso la camera di lei.

Nella stanza di Carmen (terza scena): i due diventano amanti.
Mentre José fuma, Carmen inizia a danzare: i suoi movimenti ricordano la jota, una danza folcloristica di origine aragonese, mostrando, così, il suo carattere disinibito e indipendente.
Successivamente entrano in camera alcuni loschi individui e sussurrano alla donna qualcosa all’orecchio: Carmen riesce a convincere José a compiere un crimine.


Nella quarta scena troviamo José che, per amore, assale un uomo, lo uccide e gli ruba il denaro: Carmen afferra il bottino e scappa insieme ai suoi compagni. José decide d’inseguirli.

Nella quinta scena si trovano nell’arena: Carmen conquista il torero, ma irrompe José geloso. Inizia una lotta tra gli amanti: José con un coltello è pronto ad avanzare contro il torero, ma interviene Carmen che viene colpita e muore.

Chi è Roland Petit?
Ballerino e coreografo estroso e ricco di talento, estremamente curioso poiché studiando la vita nei suoi più vari aspetti cerca temi e argomenti da raccontare.
Egli è dotato di un solido bagaglio tecnico acquisito nei suoi giovanili anni all'Opéra di Parigi.
Durante un’intervista Petit afferma che all’epoca non sapeva nulla di Carmen. Non aveva letto la novella di Prosper Mérimée, né ascoltato l’opera di Bizet. Tutto ciò che sapeva era quanto gli aveva raccontato la madre durante l’infanzia intorno a questa storia di amore e morte. Tuttavia, trovando in ogni città dove approdava con la compagnia, l’opera Carmen in cartellone, si decise ad assistere ad una rappresentazione.
Fu allora che, folgorato dalla musica di Bizet, riuscì a trovare il filo conduttore del balletto a cui stava già pensando da tempo e che prevedeva una vera camera da letto nonché delle donne provocanti intente a fumare sigarette.

Inizialmente per il ruolo di Carmen, Petit aveva pensato a Colette Marchand; la Jeanmaire s’impose e fu allora che si pensò al taglio dei capelli a la garsonne e all’aspetto un po’ androgino di Carmen.
Fu un successo strepitoso, che lo stesso Petit definisce irripetibile, soprattutto per la famosa scena della camera da letto più volte ripresa nei gala di danza ove il pas de deux sviluppa il tema dell’erotismo in modo assai audace per l’epoca.
Infatti, questo balletto durante le prime esibizioni venne giudicato assai scandaloso: in Canada venne addirittura censurato.
Con il tempo non suscitò più scandalo e iniziarono le varie interpretazioni della Carmen come quella di Alberto Alonso (1967), John cranio ( 1971), Mats Ek (1992).
Amedeo Amodio realizzò nel 1995 una Carmen ispirata a Corto Maltese. Inoltre ci furono innumerevoli Carmen flamenchi come quella di Antonio Gades e la versione cinematografica con Carlos Saura, Carmen story (1983).

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Da notare la figura del torero che rispecchia, senza ombra di dubbio, quella del ballerino: entrambi sono scattanti, atletici, hanno gambe robuste ed estremamente forti. Il loro portamento, dalle posizioni delle braccia fino a quelle dei piedi, è una caratteristica tipica spagnola nata nella stessa epoca della corrida: l’arte d’uccidere i tori. Come il ballerino, il torero studia con precisione la sua coreografia da portare nell’arena: composta da camminate flessuose, movimenti delle braccia che creano ampie volute nello spazio e gesti accompagnati dal mantello di particolare virtuosismo. Inoltre, il costume richiama quello del ballerino classico spagnolo caratterizzato da corpetti ricamati , scarpette nere e calze rosa.
Per questo motivo molti coreografi spagnoli dedicano i propri balletti a toreri famosi, come Belmonte di Cesc Gelabert.
 
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ESMERALDA

La Esmeralda è un balletto in tre atti e cinque scene ispirato al romanzo Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, in origine coreografato da Jules Perrot su musica di Cesare Pugni e disegni di William Grieve (scenario), D. Sloman (macchinista), Mme. Copére (costumi).

Prima rappresentazione a Londra al Her Majesty's Theatre il 9 marzo 1844 con Carlotta Grisi (Esmeralda), Jules Perrot (Pierre Gringoire), Arthur Saint-Léon (Febo), Adelaide Frassi (Fiore di giglio), Antoine Louis Coulon (Quasimodo), Louis François Gosselin (Frollo), M.me Copére (Aloisa).

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La bella ragazza gitana, Esmeralda, sposa il poeta Pierre Gringoire in un matrimonio gitano per salvarlo da una morte certa ad opera del re gitano. Lo sposo è preso dalla sua nuova moglie, ma Esmeralda chiarisce che il matrimonio è puramente di convenienza. Tuttavia Gringoire non è l'unico ad aver occhi per la ragazza. L'arcidiacono corrotto, Claudio Frollo, nonostante la sua posizione nella Chiesa, ha per lei una pericolosa ossessione e ordina al suo scagnozzo deforme, Quasimodo, di rapirla. Quando Quasimodo attacca la ragazza per strada, questa viene salvata dal bel capitan Phoebus e si innamora di lui, ma chiede che Quasimodo sia risparmiato. Il gobbo è profondamente toccato dalla sua gentilezza e Phoebus le dona una sciarpa ricevuta dalla sua fidanzata, Fleur de Lys.


Il giorno dopo Fleur de Lys e sua madre tengono una grande festa per il suo fidanzamento con Phoebus, che, tuttavia, è distratto dai pensieri per Esmeralda. Esmeralda arriva per ballare alla celebrazione, ma il suo cuore si spezza quando scopre che il fidanzato di Fleur de Lys altri non è che il suo amato Phoebius. Fleur de Lys nota che Esmeralda indossa la sciarpa che lei ha donato a Phoebus e, rendendosi conto che lui si è innamorato di un'altra, arrabbiata, rompe il fidanzamento. Phoebus si allontana con Esmeralda. Soli in una locanda, i due si dichiarano amore l'un l'altra, ignari che anche Frollo è lì ad origliare. Quest'ultimo, prendendo un pugnale rubato dalla camera di Esmeralda, si intrufola dietro gli amanti e accoltella Phoebus, che cade al suolo incosciente. Frollo chiama le autorità, mostra loro il corpo di Phoebus e il pugnale impiegato per aggredirlo, che viene riconosciuto essere quello di Esmeralda. La povera ragazza viene portata via e condannata a morte.

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All'alba del mattino seguente, la festa dei Folli è in corso e Esmeralda sta per essere impiccata per l'omicidio di Phoebus. I suoi amici e Gringoire sono tutti presenti per dirle addio mentre Frollo guarda trionfante. Tuttavia, proprio mentre Esmeralda viene condotta al patibolo, Phoebus arriva, vivo e vegeto, essendo sopravvissuto e curato dall'accoltellamento. Egli rivela che il vero colpevole è Frollo e proclama l'innocenza di Esmeralda. Frollo prende un pugnale e tenta di farla finita con loro, ma Quasimodo strappa l'arma dal suo padrone e, con essa, lo uccide. Esmeralda e Phoebius sono felicemente riuniti.
 
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LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO

La bella addormentata è il secondo, per cronologia di composizione, dei tre balletti di Pëtr Il'ič Čajkovskij. Il libretto fu scritto interamente dal principe e sovrintendente dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo Ivan Vsevolozhsky: la coreografia venne affidata a Marius Petipa. La prima rappresentazione ebbe luogo il 15 gennaio 1890 presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, Russia: il successo fu immediato.

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I sogni più belli qualche volta si avverano, altre si danzano. Così “La bella addormentata” rievoca la celebre fiaba di Charles Perrault attraverso il balletto dei balletti che, dalla prima assoluta del 1890 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, è rimasto una pietra miliare del repertorio ballettistico tardo-romantico, in cui la dialettica tra bene e male viene risolta dalla forza invincibile dell’amore.
Alla reggia del re Florestan, durante i festeggiamenti per il battesimo della principessina Aurora, la fata cattiva Carabosse, furiosa per non essere stata invitata, scaglia una maledizione sulla piccola, predicendo che il giorno del suo sedicesimo compleanno si pungerà con un fuso e morrà.
A contrastare Carabosse è la Fata dei Lillà, madrina di Aurora, che modificherà il sortilegio: Aurora non morrà ma cadrà in un sonno profondo e sarà risvegliata solo dal vero bacio d’amore di un Principe.

Secondo nella trilogia dei balletti creati sulla musica di Čajkovskij, “La bella addormentata” è stato appena "reinventato" dal coreografo francese Jean-Guillaume Bart per il Teatro dell’Opera di Roma. Quella di Bart “è una ricerca continua”, come afferma egli stesso, una ricerca che sceglie di non prescindere dalla tradizione ma di preservarla. Questa nuova Bella lascia intatta la struttura coreografica originale di Marius Petipa, ma apporta notevoli contributi drammaturgici con l’obiettivo di dare maggiore spessore psicologico ai personaggi. Un’esigenza a cui risponde sicuramente la scelta di rendere l’Overture una sorta di ante-prologo in cui vengono spiegati i motivi che spingeranno Carabosse a vendicarsi delle offese subite. I festeggiamenti vengono accompagnati dalle danze della corte e dalle delicate variazioni delle fate buone. Il Corpo di Ballo partecipa vivamente all’azione con allegri divertissement, abbandonando il suo ruolo meramente accessorio e decorativo rispetto ai solisti tra i quali spicca Marianna Suriano. Interprete di una dolcissima Fata dei Lillà, rappresenterà il filo conduttore di tutta la narrazione.

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Degna di nota è la valorizzazione della pantomima. Elemento peculiare di questo balletto, viene recuperata in alcune scene dove spesso veniva tagliata ma viene alleggerita dalle leziosità che da sempre la contraddistinguevano, lasciando spazio all’espressività dei danzatori e rendendo più chiara la drammaturgia. Anche le scene e i costumi di Aldo Buti restano barocchi al punto giusto, senza eccedere in inutili sfarzi.

Nel primo atto Iana Salenko danza il ruolo di Aurora con la giusta grazia e fragilità, prima nel romantico Adagio della Rosa, poi nel drammatico momento in cui, punta dal fuso nascosto nei fiori offerti da un’ignota Carabosse, cade come morta. Ma la Fata dei Lillà interviene addormentando tutta la corte insieme alla sua principessa e preserva il castello avvolgendolo in un bosco incantato.

Il secondo atto catapulta la narrazione cento anni dopo in una radura dove il Principe Desirè è impegnato in una battuta di caccia e in giochi con le dame e i cavalieri al suo seguito. Ben presto, annoiato e intristito dalla sua vita vuota e priva d’amore si avventura da solo nel bosco dove incontra la Fata dei Lillà che lo guida in una visione in cui gli viene mostrata la principessa Aurora. I due s’innamorano e danzano insieme circondati dalle Driadi, candide creature dei boschi.


Gli assoli del Principe, interpretato da Claudio Cocino, mettono in luce una notevole sensibilità, sicuramente maturata grazie al lavoro di Bart che insiste, anche qui, sulla psicologia dei personaggi e dona al ruolo maggiore intensità. Finalmente, una volta scacciata Carabosse, con l’aiuto della Fata, Desirè raggiunge la principessa e la risveglia con il suo bacio.

Il terzo atto in cui si svolgono le nozze di Aurora e a cui partecipano molti personaggi delle fiabe, è un crescendo di virtuosismi, mai puramente atletici, ma singolari e di carattere, in linea con l’espressiva ricerca linguistica voluta da Bart che ben testimonia la purezza della Scuola francese.
Le Pietre preziose si muovono briose, il Gatto con gli Stivali e la Gattina Bianca fanno le fusa, Cenerentola e il suo Principe ballano innamorati, il Lupo divora l’ingenua Cappuccetto Rosso, e ancora, l’Uccello blu e la Principessa Florina, impeccabili nel passo a due e nelle rispettive variazioni, brillano per tecnicismi e raffinatezza. Infine, scrosci di applausi per la coppia regale che celebra il proprio amore con un maestoso grand pas de deux.
Una messa in scena capace di far rivivere lo stile classico di Petipa, preciso e meticoloso, lavorando sulla bellezza dei piccoli passi, senza esagerazioni che sfociano in una danza troppo fisica, ma valorizzando pulizia tecnica e intensità gestuale e regalando al balletto un taglio umano che oggi, purtroppo, è spesso lasciato al caso.

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CENERENTOLA

21 NOVEMBRE 1945
TEATRO BOLSHOI DI MOSCA
Balletto in tre atti
Libr. Nicolai Volkov e Sergei Prokofiev, cor. Rostislav Zakharov, musiche Sergei Prokofiev, design Piotr Williams.
Primi interpreti: Olga Lepeshinskaya e Mikhail Gabovich

8 APRILE 1946
TEATRO MARIJNSKY DI SANPIETROBURGO
Cor. Konstantin Sergeyev, muiche. Sergei Prokofiev
Primi interpreti: Natalia Dudinskaya e Konstantin Sergeyev


I Atto. La scena si svolge nella casa del padre di Cenerentola. Arabella e Araminta, le due sorellastre di Cenerentola, ricamano uno scialle da indossare al gran ballo che il principe ha organizzato a palazzo. Cenerentola è presa nelle faccende domestiche, come al solito, a lei riservate, quando le due sorellastre, litigando, la lasciano per un attimo sola. La povera, pensando alla propria infanzia, ricorda di come tutto era diverso quando la madre era in vita. Sa che il padre l'adora e pure che è incapace di imporsi alle altre due figlie, che invece la odiano.
Una mendicante entra a chiedere un'offerta: le due sorellastre la scherniscono ma Cenerentola le offre un po' di pane e l'accompagna alla porta, mentre la vecchietta la ringrazia.

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Tutta una squadra di parrucchieri, ricamatrici e gioiellieri giungono per agghindare le due sorelle per la gran serata. La matrigna (in alcune versioni interpretata dal padre) le scorta al ballo lasciando Cenerentola con la sua scopa a pulire in casa. La mendicante allora ritorna e, levato il travestimento, si rivela come fata. Chiama le fate delle quattro stagioni coi loro cavalieri e ricambia l'elemosina di Cenerentola con un incantevole abito da sera. Il solo limite che la magia avrà sarà lo scoccare della mezzanotte: Cenerentola dovrà rientrare prima di quell'orario perché l'incantesimo si dissolverà e da bella principessa tornerà nei propri umili panni. Magicamente Cenerentola viene condotta al ballo.

II Atto. A palazzo la festa è iniziata quando giungono le sorellastre di Cenerentola. Poco dopo fa il suo ingresso il Principe. Per ultima, accolta da una musica misteriosa, Cenerentola mette piede in sala. Viene subito scambiata per una principessa tanto è bella e raggiante; neppure la matrigna e le due la riconoscono. II principe le offre tre arance, la frutta più pregiata e rara del suo territorio, e Cenerentola generosamente le divide con le sorellastre. Mentre la sala da ballo si svuota dei partecipanti il Principe e Cenerentola si dichiarano il loro amore. Un giro di valzer dopo l'altro e Cenerentola scorda il limite dell'incantesimo che la avvolge. I rintocchi della mezzanotte la riportano in sé e quindi, all'improvviso, fugge via. Il principe, attonito, raccoglie la scarpetta che Cenerentola ha perso nella sua corsa e si promette di ritrovare la splendida principessa che l'ha perduta.

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III Atto. Cenerentola si risveglia a casa e di primo acchito non capisce se ha sognato o meno il gran ballo. Ma la risposta al suo dubbio non tarda a palesarsi: nel grembiule c'è una scarpetta di cristallo. Arabella e Araminta la raggiungono e si fanno belle nel raccontare della loro esperienza a palazzo la notte precedente. Arriva un gruppo di giovani ad annunciare che il principe sta cercando la principessa cui appartiene la scarpetta in suo possesso. Le due perfide, nonostante gli sforzi di tutti, Cenerentola compresa, non riescono a vestire la scarpetta. All'improvviso l'altra calzatura cade giù dal grembiule di Cenerentola. II principe riconosce immediatamente la sua principessa in Cenerentola. La fata riappare per benedire l'unione dei due innamorati.

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NOTA STORICA. Oltre 300 sono i riferimenti alla vicenda di Cenerentola presenti nei racconti popolari di tradizione orale di tutto il mondo. Un primo cenno si trova in una favola cinese del IX secolo a. C., tuttavia il problema di rintracciare nella cultura Occidentale più solide e precise radici del racconto ha una risposta che riguarda anche molte altre fiabe. Tra il 1634 e il 1636 viene pubblicato postumo Lo Cunto de li Cunti, conosciuto in seguito anche col titolo boccaccesco di Pentamerone, un lungo racconto all’interno del quale ne sono narrati altri 49 divisi in cinque giornate, scritto in dialetto napoletano da Giambattista Basile. Da queste novelle deriveranno, per riduzione o adattamento, le più note fiabe, tra le altre la stessa Cenerentola. L’opera letteraria non è certo rivolta ai bambini, visti i sapidi e grossolani doppi sensi di cui è infarcita, ma a un pubblico adulto di cortigiani. Inoltre, quando il Basile scrive Lo Cunto de li Cunti la fiaba non esiste ancora come genere letterario nella letteratura moderna, ma, attingendo a una grandissima varietà di fonti, sarà proprio lui ad avviare il processo che porterà alla sua ricodificazione in ambito contemporaneo. Ciò avviene cinquant’anni dopo l’uscita de Lo Cunto, nel 1697, ad opera di Charles Perrault, il quale rielabora in forma artistica i racconti più celebri nelle sue Histoires ou Contes du Temps passé avec des Moralités o Contes de ma Mere l’Oye, raccolta di 11 fiabe, tra le quali Cenerentola, anch'essa concepita per i cortigiani e non per un pubblico di bambini. La sua opera avvia un nuovo genere letterario proprio perché il francese non si limita a riportare tali storie – come avrebbero fatto in seguito i fratelli Grimm – ma le impreziosisce di immagini poetiche, di riferimenti alla moda francese del XVII secolo, di intuizioni creative ispirate al sentire dell’epoca, di precise citazioni di luoghi famosi. Ulteriori dettagli si trovano nell'articolo Dal vernacolo napoletano a Tchaikovsky, Petipa, Prokofiev.

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LA SAGRA DELLA PRIMAVERA

La sagra della primavera è un balletto con musica del compositore russo Igor Stravinskij. L'opera fu scritta fra il 1911 e il 1913 per la compagnia dei Balletti russi di Sergej Djagilev; la coreografia originale fu di Vaclav Nižinskij, le scene ed i costumi di Nikolaj Konstantinovič Roerich. La prima rappresentazione, avvenuta a Parigi al Théâtre des Champs-Élysées il 29 maggio 1913, segnò un momento fondamentale non solo nella carriera del suo autore, ma anche per la storia del teatro musicale. L'innovazione straordinaria della musica, la coreografia e l'argomento stesso crearono un enorme scandalo e, nonostante le successive schermaglie fra ammiratori entusiasti ed acerrimi denigratori, l'opera fu destinata a rimanere una pietra miliare nella letteratura musicale del XX secolo.

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A Igor Stravinsky
...Ho sempre impresso nella memoria il ricordo di quando, a casa di Laloy, suonammo la vostra Sagra della Primavera...
Mi ossessiona come un magnifico incubo e cerco, invano, di rievocare quell'impressione terrificante.»
(Claude Debussy)


Il titolo Le Sacre du printemps, in francese, non fu trovato subito da Stravinskij; inizialmente l'opera avrebbe dovuto chiamarsi Vesna svajačšennaia ovvero Printemps sacré. Col procedere del lavoro l'idea di una primavera rigeneratrice, quasi santa, e quella di una giovane "consacrata" al risveglio della natura si fusero e diedero origine al titolo definitivo, trovato da Léon Bakst, Le Sacre du printemps che in forma così contratta era comprensibile su vasta scala ed utilizzabile in altre lingue.
Nella corrente traduzione italiana del titolo originale, la parola "sagra" (tradotta dal francese "sacre") non è quindi intesa nel significato generico di "festa paesana", ma in quello di "consacrazione" che si riallaccia al termine arcaico sagrum derivante dal latino sacrum. L'opera ha come sottotitolo Quadri della Russia pagana in due parti che, preannunciando un'ambientazione arcaica, era di per sé già molto indicativo sull'argomento e la tipologia del lavoro.

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Il soggetto del "Sacre" venne in mente a Stravinskij già durante la composizione della prima opera commissionatagli da Djagilev nel 1910 che, a causa dei vari impegni lavorativi del giovane compositore russo, non vide luce fino al 1913. Il balletto inscena un rito sacrificale pagano nella Russia antica all'inizio della primavera, nel quale un'adolescente veniva scelta per ballare fino alla morte con lo scopo di propiziare la benevolenza degli dei in vista della nuova stagione.

Insieme ad una orchestrazione ardita e ben congeniata, ad un uso spregiudicato di ritmiche complesse, di politonalità e di poliritmie, Igor Stravinskij si avvalse di svariati temi popolari russi per creare il tessuto musicale dell'opera. Invertiti, in tonalità diverse, sovrapposti, dilatati o ristretti, per questo vasto materiale l'opera in sé respira e vive degli elementi della Russia folkloristica, custode della memoria popolare e dunque così vicina al mondo arcaico e pagano che Stravinskij raffigurò con maestria, capace di colpire le zone dell'inconscio umano più primitive.

Il balletto è conosciuto anche per l'uso massiccio dell'ostinato, figurazione ritmica che interrompe il discorso musicale con la ripetizione ad libitum di un frammento musicale. Il più famoso è quello de "Gli auguri primaverili", in cui un accordo di 8 note è eseguito dagli archi ed accentato da 8 corni. Stravinskij utilizza questa tecnica senza alcuno scrupolo riguardo l'armonia, la melodia e la metrica, venendosi a creare dunque un flusso di coscienza musicale.

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L’APRES-MIDI D’UN FAUNE


Ballets Russes di Diaghilev
Libretto e coreografia Vaslav Nijinsky, musica Claude Debussy, scena e costumi Léon Bakst
Primi interpreti: Vaslav Nijinsky (le Faune), Lydia Nelidova (la Grande Nymphe), Bronislava Nijinska, Tcherepanova, Olga Khokhlova, Maikherska, Leocadia Klementovicz, Kopyshinska (le Petites Nymphes)
Direzione: Pierre Monteux



LA TRAMA
Immerso nella calura di un afoso pomeriggio estivo, un fauno, disteso su una collinetta, suona a più riprese un flauto di Pan, si disseta con due grappoli d’uva, quando la sua attenzione è attratta da sette ninfe che avanzano per raggiungere la frescura di uno specchio d’acqua nelle vicinanze: prima tre, seguite da due, poi le due formazioni si dispongo in modo da inquadrare collinetta e fauno, ancora un’altra ninfa che completa il gruppo di due e, infine, dallo stesso lato entra la Grande Ninfa. Questa è aiutata dalle compagne a togliersi gli abiti per il bagno; incuriosito, il fauno scende dal rialzo e si avvicina per osservarle meglio: il suo aspetto in parte di ragazzo e in parte di animale stupisce ed allarma le ninfe. I suoi gesti e le sue movenze, in bilico tra innocenza, voluttà e violenza, non celano una certa eccitazione sessuale e, non appena egli tenta di entrare in contatto con le ninfe, esse fuggono impaurite, tutte tranne una: la Grande Ninfa. Questa, più arditamente, si trattiene ancora per qualche momento, invitante, permette al fauno di avvicinarsi, sembra corrispondere il corteggiamento dell’uomo-animale. Il fauno allunga le braccia una prima volta cercando di afferrarla ed ella si inginocchia, quasi in segno di sottomissione. Il fauno esulta esprimendo la sua eccitazione con un piccolo salto, il solo dell’intera coreografia, poi ripete il gesto di conquista allungando le braccia, ma, dopo un breve contatto, la Grande Ninfa si libera e anch'essa fugge perdendo la sua sciarpa. Il fauno, ormai solo, la raccoglie, mentre riappare in due riprese un gruppo di tre piccole ninfe, che tentano invano di recuperare la sciarpa. Il fauno torna col suo trofeo sulla collinetta, lo accarezza e lo bacia con voluttà come fosse il corpo della ninfa.

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NOTA STORICA
Per le sue prime “stagioni russe” Diaghilev aveva voluto Fokine come coreografo della compagnia dei Ballets Russes e aveva portato al successo balletti basati sul colore locale di terre e tempi lontani. Dopo il 1910, l’impresario cominciò a progettare la trasformazione dei Ballets Russes in una sua compagnia stabile, cosa che sarebbe avvenuta nel 1911. Nel frattempo si era convinto che, invece di evocare i tempi andati col linguaggio accademico o col folklore, sarebbe stato meglio presentarli reinterpretati con un linguaggio espressivo del tutto nuovo. Così, dopo aver valorizzato le doti interpretative di Nijinsky, spinse quest’ultimo a cimentarsi anche nel campo della coreografia secondo queste direttive innovatrici, con l’idea che, una volta pronto, potesse sostituire Fokine nella progettata compagnia. La trasformazione di Nijinsky in coreografo avvenne prestissimo: fin dalla fine del 1910 il suo primo balletto fu completato, ma il pubblico lo avrebbe visto solo nella primavera del 1912.
Nel 1910, ancora all’epoca di questi progetti, le nuove tendenze culturali parigine avevano portato alla ribalta i nomi di Stéphane Mallarmé e di Claude Debussy, in quanto erano stati successivamente investiti dalla cerchia dei wagneriani del compito di realizzare il sogno del compositore tedesco: quello di un teatro totale, aspirazione in linea con il lavoro di Diaghilev. Non è, quindi, sorprendente che l’attento impresario accarezzasse l’idea di attingere alle creazioni di questi artisti alla moda per basarvi un nuovo balletto. Innanzi tutto egli si concentrò su un’idea in origine suggerita da Léon Bakst, il quale, impressionato dagli scavi archeologici visitati recentemente, aveva pensato alla realizzazione di un “bassorilievo greco in movimento”. Per una simile impresa, per la sua musica e per la sua drammaturgia, Diaghilev pensò genialmente di riprendere un precedente progetto di teatro strutturato in modo unitario, che aveva appunto coinvolto Mallarmé e Debussy. In un passato non troppo lontano a Debussy non era certo sfuggito che lo stile di Mallarmé accostava la poesia ad altre arti, come sarebbe stato proposto di lì a poco dalle successive avanguardie. A questo proposito, alla fine del 1890, il compositore era rimasto affascinato da una celebre egloga di Mallarmé del 1876, dal titolo L’aprés-midi d’un faune, proprio per le correlazioni tra le emozioni veicolate dalle parole del poeta e la posizione grafica che i versi occupavano sulla pagina: le sensazioni create dai versi sorprendenti dell’egloga erano rafforzate lasciando gli stessi isolati. Debussy aveva voluto scrivere un brano musicale da utilizzare, come sottofondo al poema, in uno spettacolo previsto per il febbraio 1891. Il compositore aveva inteso conservare l’unità di un’opera, che si esauriva in un solo atto, rinunciando alle strutture formali che imbrigliavano la musica dei balletti romantici. In effetti lo spettacolo del 1891 che avrebbe dovuto fondere le creazioni di Mallarmé e Debussy non andò mai in scena, ma nel 1892 Debussy riprese la composizione musicale, in passato solo abbozzata, e la sviluppò dandole il titolo di Prélude, Interlude et Paraphrase finale sur l'Après-midi d'un faune, che avrebbe successivamente cambiato in Prélude à l'après-midi d'un faune. In seguito ne sottopose una versione non definitiva ad alcuni amici, destando l’entusiasmo dello stesso Mallarmé. Il Prélude fu eseguito pubblicamente solo il 22 dicembre 1894 nella sala d'Harcourt della Société Nationale di Parigi, riscuotendo un successo tale da dover essere bissato.

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Sebbene non abbia visto la luce il progettato spettacolo del 1891, che avrebbe dovuto unire i contributi artistici di Mallarmé e Debussy, la sua prevista struttura organica e unitaria non poteva lasciare indifferente Diaghilev, che comprese quanto l’egloga del poeta e il pezzo impressionista del compositore si prestassero come perfette fonti, drammaturgica e musicale, alla creazione di un balletto che, secondo l’idea di Bakst, facesse rivivere la civiltà ellenica.
Trovata musica e drammaturgia, Diaghilev affidò a Bakst la scena e i costumi, ancora oggi usati comunemente, incluso il celeberrimo costume a chiazze per il fauno. Bakst avrebbe assecondato la sua stessa idea di una composizione bidimensionale con un fondale privo di prospettiva, in cui alberi, rocce e una cascatella si amalgamavano tra loro senza ombre e senza contorni (il bozzetto di Bakst è riprodotto nella galleria Ballets Russes, prima fase: 1909 - 1914).
Inoltre, con l’audacia che ha sempre contraddistinto le sue scelte, l’impresario affidò la realizzazione coreografica appunto a Nijinsky. Secondo Richard Buckle egli iniziò a lavorarvi, collaborando con la sorella Bronislava Nijinska, addirittura nel 1910 e alla fine dell’anno la creazione era stata completata, ma Diaghilev decise di posticipare il debutto del suo protetto come coreografo, in parte per non inimicarsi completamente Fokine, in parte perché era in lavorazione Narcisse, un altro balletto di ambientazione greca.

Il grande ballerino, alla sua prima prova come coreografo, si era appoggiato all’idea iniziale di Bakst di creare un omaggio all’arte ellenica e, infatti, aveva estrapolato le pose del balletto che stava creando dalla scultura greca e dalle pitture vascolari ellenistiche, studiate al museo del Louvre; tuttavia avanzò una proposta di assoluto distacco sia dalla tradizione accademica, sia dalle teorie innovative di Fokine. Allo scopo aveva rielaborato profondamente, con la collaborazione della Nijinska, le figurazioni particolarmente spigolose scelte dall’arte ellenistica, in modo da accentuarne l’aspetto primitivo, caricandole, al contempo, di forte erotismo: quanto di più lontano dalla tradizione potesse essere messo in scena.
Il balletto stava ancora aspettando il suo debutto quando fu chiaro che la stagione primaverile parigina del 1911 sarebbe stata l’ultima in cui Ida Rubinstein avrebbe lavorato per Diaghilev: intendeva rivaleggiare con l’impresario presentando spettacoli suoi con una sua compagnia. Così Nijinsky dovette rinunciare all’idea originaria di affidare alla Rubinstein, quando fosse venuto il momento, il ruolo della Grande Ninfa; tuttavia rimase del parere che la parte necessitasse di una ballerina molto alta e, per questo, al momento del debutto, sarebbe stata scritturata la Nelidova direttamente dalla scuola privata della madre a Mosca.


Quando Diaghilev finalmente decise di presentare il balletto al pubblico, nella primavera del 1912, le prove si dimostrarono particolarmente difficoltose ed esasperanti anche per i più accaniti sostenitori di Nijinsky. Agli interpreti occorsero oltre 120 sedute per assimilare una creazione di soli 12 minuti, non tanto, come alcuni hanno detto, per la lentezza del coreografo nel creare, visto che la coreografia era pronta sin dal 1910, ma perché le ballerine facessero propri movimenti e posture del tutto inconsueti: braccia ad angolo, torso presentato frontalmente, testa, gambe e piedi, invece, visti di profilo. Inoltre, mentre per le ninfe Nijinsky volle un movimento fluido, per sé creò una danza ben ancorata al terreno. L’effetto bidimensionale fu accentuato dalla proposta di sole traiettorie rettilinee e laterali. Queste venivano percorse senza che il movimento fosse subordinato al ritmo della musica, usata, invece, per determinare l’atmosfera, e ciò creò le maggiori difficoltà durante le prove.
Il modo in cui Nijinsky aveva posizionato i corpi – torso frontale, testa ed arti di profilo – poteva richiamare l’arte egizia. A questo proposito Diaghilev diffuse un aneddoto, poi ripreso da Larionov, secondo il quale Nijinsky alla sua prima vistita al Louvre avrebbe sbagliato sezione e, affascinato dalle sculture egiziane, avrebbe lasciato Bakst ad aspettarlo inutilmente al piano superiore. È possible che ciò abbia un fondo di verità, tuttavia assai chiara è la spiegazione che successivamente fornirà la Nijinska a proposito di tali posture e movimenti: essi furono strutturati in modo da evocare la Grecia arcaica e non quella classica.

Questo nuovo linguaggio espressivo, i movimenti animaleschi, l’espressione primitiva erano così inconsueti da essere al limite dello scandalo, senza contare che sarebbero stati usati per rappresentare una sessualità primordiale, quasi bestiale, appagata con un esplicito atto sessuale solitario, venato di feticismo per l’uso della sciarpa abbandonata dalla ninfa. Diaghilev aprì la generale del 28 maggio alla stampa e a un gruppo selezionato di invitati, i quali accolsero la novità in assoluto silenzio. Il balletto fu ripetuto, perché – come comunicò Astruc – le sue novità non potevano essere apprezzate sin dalla prima visione. Il bis si guadagnò qualche applauso accennato, invece, la prima del balletto creò scandalo: non mancarono gli assensi, ma questi furono accompagnati da vibrate proteste. Per la prima volta un balletto di Diaghilev veniva fischiato. Come provocatoria reazione al parapiglia, Diaghilev ignorò le proteste e assecondò gli scarsi segni di gradimento facendo immediatamente bissare il pezzo, un po’ per convincere il pubblico e un po’ per rassicurare il coreografo. Parte della stampa si espresse tiepidamente a favore, ma la restante parte riprese lo scandalo per sottolinearlo vigorosamente; di rimando, lo scultore Auguste Rodin difese la creazione in un suo articolo, come fece il pittore Odilon Redon in una lettera indirizzata a Le Figaro, organo di stampa che si era mostrato particolarmente avverso al lavoro. A fronte dei contenuti fortemente innovativi e delle scandalose immagini mai osate in precedenza, c’è da aggiungere che l’aspetto complessivo del lavoro invece si sposava con la tendenza in voga da oltre un decennio di reinterpretare il mondo classico greco-latino non in chiave neoclassica, come era avvenuto in altri momenti storici, ma secondo un erotismo venato di orientalismo, in linea con l'Art Nouveau e con alcune proposte di Gustav Klimt, Arnold Bœklin, Aubrey Beardsley, Aristide Maillol, Lawrence Alma-Tadema.

Non è affatto vero, come è stato scritto, che, a causa delle recensioni negative apparse sulla stampa e dello sconcerto nel pubblico, il balletto uscì quasi subito dal repertorio dei Ballets Russes; anzi, forse grazie proprio allo scandalo, ogni parigino voleva vederlo. Poco dopo ebbe accoglienza favorevole a Berlino e, all’inizio dell’anno successivo, lo stesso accadde a Budapest. Nel 1913 il grande applauso del pubblico londinese stemperò qualche fischio e il lavoro ebbe l’approvazione della critica britannica: il Times proclamò addirittura l’inizio di una “nuova fase” nell’arte del balletto. Il balletto fu portato in America durante la prima tournée dei Ballets Russes negli Stati Uniti e, durante la seconda, venne ballato ancora da Nijinsky, che lo riprese poco dopo a Madrid. Diaghilev lo riprese nel 1922 e nel 1929 lo affidò per la prima volta a Serge Lifar, che ballò con un piede nudo e un sandalo all’altro, come in un disegno di Bakst (chi scrive ringrazia Toni Candeloro che ha corretto una svista, fornendo la corretta attribuzione del disegno citato); morto Diaghilev e scioltasi la sua compagnia, il balletto fu interpretato dai maggiori artisti della compagnia dei Ballets Russes de Monte Carlo e di quelle da essa derivate (si vedano Le Compagnie eredi dei Ballets Russes di Diaghilev: articolo I e articolo II). Con queste compagnie negli anni ‘30 David Lichine lo interpretò sovente con Tamara Grigorieva in una produzione con una scena del Pricipe A. Schervachidze e costumi di Bakst e lo portò anche in Australia, nella versione integrale e in una abbreviata. Lifar nel ’35 propose una sua variante in cui abolì le ninfe. Nel ’41 il balletto debuttò all’ABT, al Palacio de Bellas Artes a Mexico City, con George Skibine e negli anni '50 fu interpretato da Milorad Miscovitch e Alicia Markova.
Va, però, sottolineato che queste riprese e varianti si basavano sostanzialmente solo sui ricordi dei primi interpreti, aiutati dalle fotografie scattate dal Barone Adolf de Meyer all’epoca delle prime rappresentazioni; coerentemente, molto spesso gli stessi programmi di sala dei Ballets Russes del Colonnello de Basil indicavano che la coreografia era “tratta da” (after) Nijinsky, proprio per segnalare la sommaria aderenza alla coreografia originale. In seguito tali rivisitazioni si fecero sempre più rarefatte.
Tuttavia Nijinsky aveva annotato la sua coreografia nel 1915, approfittando del soggiorno forzato a Budapest, agli arresti con la famiglia, quale nemico di guerra. Aveva usato un sistema notazionale da lui elaborato sulla base del sistema Stepanov, imparato al Marijnsky secondo la revisione di Gorski. Sebbene le modifiche di Nijinsky alla notazione Stepanov abbiano reso i suoi quaderni di appunti per molti anni di difficilissima interpretazione, verso la fine degli anni ’80 essi poterono finalmente essere utilizzati per la prima ricrostruzione della coreografia che non si basasse esclusivamente sui ricordi dei vecchi interpreti. La studiosa Ann Hutchinson Guest, grande esperta di sistemi notazionali della danza, lavorando con Claudia Jeschke, nel 1987 era riuscita a decifrare il sistema notazionale di Nijinsky e ciò ha reso loro possible la ricostruzione, rappresentata per la prima volta nel 1989 da Les Grand Ballets Canadiens.
Il balletto è stato rappresentato da grandi interpreti: da Rudolf Nureyev a Charles Jude a Gheorghe Iancu, sovente esibitosi assieme a Carla Fracci nel ruolo della Grande Ninfa.


ALTRE VERSIONI SULLA MUSICA DI DEBUSSY
Nel 1935 Serge Lifar propone all’Opéra di Parigi una variante del balletto priva delle ninfe, concepita come assolo e arricchita da un sipario di Picasso.
Col titolo Afternoon of a faun il 14 maggio 1953 va in scena la versione completamente rinnovata di Jerome Robbins, presentata al City Center di New York dal New York City Ballet. Si tratta di un lungo passo a due, al debutto interpretato da Tanaquil Leclercq e da Francisco Moncion con scena e luci di Jean Rosenthal e costumi di Irene Sharaff. Robbins toglie al balletto ogni riferimento al mito e all’antica Grecia per dargli un’ambientazione moderna in una sala prove dominata da tinte azzurro e azzurro–polvere, con le sbarre alle pareti. Robbins ebbe l’ispirazione per questo passo a due osservando Edward Villella, quando era ancora giovane studente alla Scuola dell’American Ballet, mentre faceva stretching nel corso di una lezione.
Un giovane in calzamaglia nera, a torso nudo, giace a terra addormentato; si sveglia e con indolenza inizia un po’ di stretching ancora a terra, si flette, si inarca richiamando la posa orgasmica del Fauno di Nijinsky. Poi si alza per provare qualche passo di danza, osservandosi continuamente in uno specchio inesistente, virtualmente posto sulla quarta parete della stanza, quella che separa il pubblico dal palcoscenico. Una giovane, in grigio-azzurro, entra in sala intenzionata ad esercitarsi; si riscalda e accenna qualche passo, anche lei molto attenta al suo riflesso nello specchio ideale attraversato dallo sguardo del pubblico. All’improvviso ciascuno dei due si rende conto di non essere solo nella sala prove, percependo la presenza dell’altro non direttamente, ma vedendone il riflesso nello specchio. Il giovane scruta la ragazza con la stessa stupita curiosità del Fauno di Nijinsky per le ninfe; poi lei va alla sbarra e i due iniziano a relazionarsi toccandosi brevemente: lui la raggiunge, le poggia la mano sulla vita e la giovane gli concede di sollevarla e di farla girare. Mentre lavorano assieme, invece di guardarsi prestando attenzione l’uno all’altra, controllano continuamente e narcisisticamente il proprio movimento, riflesso nello specchio invisibile che separa il palcoscenico dal pubblico. Gradualmente i rapporti formali sfumano, tra i due c’è un primo sguardo, lentamente si stabilisce la loro attrazione attraverso un processo di mutua scoperta. Quando lui la solleva e la carica su una spalla, la donna distoglie lo sguardo dallo specchio e cerca quello del compagno. Il ragazzo accarezza i capelli sciolti e ondulati di lei, ma soltanto seguendone il contorno con la mano tenuta con stupore reverente a distanza dalla chioma. Ciò nonostante, quando lui cerca di baciarli, la giovane sembra percepire il tocco e si allontana. Un altro passaggio diventato una cifra caratteristica di questa versione è una presa ideata secondo una meccanica ingegnosa: il giovane poggia su una guancia della ragazza prima il palmo aperto di una mano, come per accarezzarla, poi l’altro in tal modo chiudendo le sue braccia in un cerchio che circonda la donna; lei infila le sue braccia in questo cappio e, mentre vi scivola dentro, come tuffandovisi, lui allarga il cerchio delle sue braccia, lo abbassa fino alla vita di lei e lo apre sorreggendo la donna orizzontalmente con un braccio sulla vita di lei e l’altro attorno alle sue gambe: per un istante il corpo femminile sembra fluttuare nell’aria senza peso.
Quando finalmente il ragazzo bacia la sua ninfa moderna sulla guancia, lei si allontana dal giovane tenendo una mano sulla guancia baciata ed esce dalla stanza, ormai diventata una giovane donna. Ma forse è stata solo un’illusione, un sogno. È stato un incontro di anime? O forse il ragazzo ha visto l’immagine del suo desiderio, la donna, riflessa nello specchio assieme alla sua stessa figura? Non gli resta che tornare a studiarsi nello specchio ancora una volta per poi reimmergersi nei suoi sogni.

Dopo averla presentata al Festival dei due Mondi di Spoleto del 1972, l’anno successivo Amedeo Amodio ha portato la sua versione alla Scala con Savignano e scena di Manzù, per poi proporla al Teatro dell’Opera di Roma, al Maggio Fiorentino, al Teatro Massimo di Palermo e in tour con Aterballetto. Il balletto è stato interpretato da Roberto Bolle e Greta Hodgkinson in occasione del ritorno a Mazara del Vallo del Satiro danzante. Si tratta di un pezzo per due ballerini, un ragazzo e una ragazza, ove ciascun protagonista inizia a ballare singolarmente, mentre l’altro siede o giace a terra; successivamente i due interagiscono in un passo a due di grande fisicità, in parte sviluppato a terra: a tratti l’uomo insinua il suo corpo sotto quello della donna disteso sul palcoscenico; di grande plasticità è la posa in cui l’uomo sostiene la partner a cavalcioni sulla sua schiena ed avvinghiata con una gamba al busto di lui.
Nel 1982 anche Roland Petit si accosta al pezzo musicale in una Soirée Debussy: La Mer/Jeux/L'après-midi d'un faune, balletto creato per il Ballet National de Marseille, con costumi di Giorgio Coltellacci e interpreti Dominque Khalfouni, Denys Ganio, Luigi Bonino, Jean Charles Gil.
Ogni riferimento al programma poetico di Mallarmé-Debussy è abolito da Jiří Kylián nella sua lettura della musica di Debussy. Il balletto, dal titolo Silent Cries, è un assolo femminile, creato nel 1986 per la sua compagna Sabine Kupferberg, prevalentemente danzato dietro un vetro chiazzato di gesso bianco. Esso pare l’ostacolo che sempre si frappone alla realizzazione di sé, ricercata dalla protagonista prima liberandosi di parte delle opacità bianche, cancellandole, e poi mediante il gesto coreografico, interferendo fisicamente col vetro con mani, piedi, torso e altre parti del corpo.
Lasciata Bruxelles alla fine del giugno 1987, sei settimane più tardi, Béjart inizia a provare a Losanna col nuovo Béjart Ballet, che diventerà il Béjart Ballet Lausanne. In questa nuova sede Maurice Béjart si lancia in una serie di creazioni: tra le prime c’è la sua versione de L’Aprés-midi d’un Faune, che presenta al Théatre de Beaulieu di Losanna, interpretata da Jania Batista e Serge Campardon.
Il 12 ottobre 1996 al Semperoper va in scena la rilettura di John Neumeier per il Balletto di Dresda, basata su tre danzatori, che al debutto furono: Laura Contardi, Vladimir Derevianko e Raymond Hilbert. Un uomo in pantaloni neri e camicia bianca dorme appoggiato al piedistallo di un’enorme statua classica, distesa a terra divelta; il profilo di altri colossi antichi si staglia in lontananza. Si avvicina all’uomo addormentato un giovane a piedi nudi, coperto soltanto da pantaloncini bianchi, recante in mano un cartoccio, che deposita sul piedistallo della statua. Il giovane scompare allorché il suo movimento sveglia l’uomo e costui, trovati grappoli d’uva nel cartoccio aperto, se ne disseta. Evidente è la citazione del Fauno di Nijinsky. Poi l’uomo inizia un assolo con pose e movimenti ora spigolosi, ora fluidi, singolarmente ben diversi da quelli congegnati da Nijinsky, ma che, nel loro complesso, sembrano usciti dalla stessa matrice, anche se il linguaggio coreutico contemporaneo è contrappuntato da qualche figura accademica; in secondo piano si muove una donna in abito verde. Torna il giovane e i due uomini ballano contemporaneamente da soli secondo gli stessi passi e gli stessi movimenti, dando l’idea di essere l’uno il doppio dell’altro. Forse Nijinsky-Fauno e Diaghilev? La loro simbiosi cessa allorché tra loro si inserisce la donna: i due interagiscono con lei in modi differenti sviluppando un articolato passo a tre, che si conclude allorché l’uomo è abbandonato dalla donna e dal giovane.
Nel 2001 Thierry Malandain trasforma il balletto in un assolo neoclassico creato per il Ballet Biarritz. La sua creatura non riposa su un’altura, ma sopra un’enorme scatola di fazzoletti di carta e raggiunge, solitario, l’appagamento del suo desiderio non nel concupire una ninfa, ma strofinando il naso su mucchi di fazzolettini.
Mike Salomon propone col suo Late Afrernoon of a Faun il proseguimento di quello di Nijinsky: il Fauno indugia sulla collinetta dopo essersi soddisfatto feticisticamente con la sciarpa persa dalla ninfa; la raccoglie e, dopo avervi giocato brevemente, la getta. Entra la ninfa per recuperare la sciarpa persa; la trova e se ne impossessa nuovamente; poi i due entrano in relazione e saliranno assieme sul rialzo.
La reinterpretazione di “Prelude à l’après-midi d’un Faune” di Victor Ullate mette in scena la scoperta da parte di un essere primitivo del desiderio e del piacere carnale, rappresentati da una donna serpente, in parallelo col binomio Adamo-Serpente, ossia virtù-tentazione.
Il Prelude ha ispirato molti altri coreografi che si sono voluti cimentare in una loro interpretazione del pezzo impressionista. Tra queste ci si limita a ricordare quelle di: Aurel Milloss; Raphael Bianco per Luigi Bonino; Marie Chouinard; l’interpretazione dalle venature afro di Georges Momboye.
 
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view post Posted on 18/4/2023, 06:21     +1   -1
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L’UCCELLO DI FUOCO


L'uccello di fuoco è un balletto in un atto e due scene rappresentato per la prima volta il 25 giugno 1910 all'Opéra di Parigi. Gli interpreti principali furono Tamara Karsavina, Mikhail Fokine, Vera Fokina, Alexei Bulgakov. Fu uno dei cavalli di battaglia dei Balletti Russi di Djaghilev.
La musica è di Igor' Stravinskij, la coreografia di Mikhail Fokine, le scene di Alexandre Golovine, i costumi di Léon Bakst e la direzione di Gabriel Pierné.
La partitura doveva essere scritta, in un primo tempo, da Liadov, ma egli desistette lasciando il posto a Stravinskij. In un primo tempo fu scritta a San Pietroburgo la partitura per pianoforte e in seguito venne orchestrata dal compositore nell'aprile del 1910. L'opera è dedicata a Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov.
È il primo grande balletto del musicista russo, seguito di lì a poco da Petruška nel 1911 e da La sagra della primavera nel 1913, anch'essi commissionati da Diaghilev. Il balletto venne riscritto dallo stesso autore in forma di suite sinfonica nel 1911, riorchestrandola nel 1919 e poi in una nuova versione nel 1945.
L'Uccello di fuoco ha un ruolo storico determinante nella storia del balletto. Quest'opera, per il suo grande valore musicale, ha dato novello vigore ad un genere che tentennava tra opere non proprio concepite per la danza come Sheherazade e altre, anche se notevoli, che avevano un carattere più folcloristico come le Danze dal Principe Igor.

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Ispirata a una fiaba russa, la storia vede lo scontro tra due elementi antitetici: un mago immortale di nome Kašej simbolo del male e l'Uccello di Fuoco che rappresenta la forza del bene.
Il principe Ivan capita nel giardino incantato appartenente all'infernale Kašej, mago che pietrifica gli uomini ed imprigiona le donne. Nel giardino Ivan riesce a catturare uno splendido uccello dalle piume rosso oro per poi subito liberarlo ricevendo in cambio una penna d'oro. Durante la notte escono dal castello tredici principesse prigioniere, il principe avvicina una di esse e se ne innamora. Quando coraggiosamente tenta di seguirla, viene catturato dai demoni servitori del mago. Ivan agita la penna d'oro davanti a Kašej richiamando così l'Uccello di fuoco che trascina i malvagi in una danza infernale annientandoli. Su indicazione dell'uccello, il principe trova il grosso uovo che contiene l'anima del mago e lo distrugge, ponendo così fine ad ogni incantesimo, alla vita di Kašej e riunendosi alla principessa.
La musica dell'Uccello di fuoco deve molto a Ciaikovskij e Rimskij-Korsakov; la novità e l'arditezza del linguaggio stravinskiano ne fanno però un'opera che si discosta da qualunque modello; per la potenza del discorso musicale, per l'autonomia del ritmo, per l'uso inconsueto dei timbri puri degli strumenti e per l'arditezza armonica si può ben dire che "Stravinskij ha acceso la prima esca nella compagine strumentale dell'orchestra ottocentesca" (R.Vlad). Ne L'Uccello di fuoco troviamo violoncelli e contrabbassi che intonano in sordina un tema cupo, poi le terzine veloci degli archi e i legni che preannunciano la comparsa dell'uccello di fuoco. A detta dell'autore, la danza della creatura benefica sarebbe il pezzo più riuscito dell'opera, quando cioè il corteo delle principesse viene reso con lenta maestà dagli archi.

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Il tema della principessa è mesto (clarinetti, flauti e violino a solo o in gruppo). Un crescendo di fagotti e tromboni annuncia la venuta di Kasej, mentre la "danza infernale dei sudditi di Kasej" rappresenta le tenebre attraverso un'orchestra d'archi in flautando coadiuvata da rulli di grancassa, archi, legni e tremolo di timpani.
 
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NAPOLI


Napoli (o Il pescatore e la sua sposa) è un balletto del 1842, musicato da quattro compositori danesi, Niels Wilhelm Gade, Edvard Helsted, Hans Christian Lumbye e Holger Simon Paulli, e coreografato da August Bournonville.

Rispecchia uno dei temi privilegiati del Romanticismo: l'interesse per la vita della gente umile, il tutto corroborato dallo scenario partenopeo, preso a simbolo di semplicità e vitalità.

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Teresina è una giovane popolana, che ha due pretendenti: un commerciante di limonate e uno di spaghetti. Teresina è da sempre innamorata di Gennaro, un pescatore, ma affinché non si facessero più speculazioni sulla fedeltà di Teresina, Gennaro la chiede in moglie. Insieme partono con la barca, ma una tempesta la fa affondare e solo Gennaro sopravvive alla sciagura, sicché la madre di Teresina lo accusa di aver ucciso sua figlia.

Sempre più disperato, Gennaro va a cercare conforto da un frate, il quale gli dona una immagine della Madonna, e lo esorta ad andare a cercare la sua amata. Ma Teresina non è morta: è stata salvata, infatti, dalle Nereidi, le quali l'hanno portata presso il dio Golfo, alla Grotta Azzurra. Il dio Golfo si innamora di Teresina e decide di trasformarla in Nereide, cancellando così ogni precedente ricordo della sua vita. Quando Gennaro va alla Grotta Azzurra, vede Teresina, ma non viene riconosciuto, così le mostra l'immagine della Madonna, e Teresina riacquista la sua forma umana e i suoi ricordi.

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Il dio Golfo offre dei doni ai due innamorati, scioccato dalla potenza di un simile amore. I due giovani innamorati fanno ritorno a Napoli, ma Gennaro è accusato di stregoneria, per aver resuscitato Teresina, data per morta a causa dell'annegamento. Ma il frate spiega al popolo che è stata la Madonna a compiere il miracolo e a resuscitare Teresina, così il balletto si conclude con la briosa tarantella di Lumbye.
 
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BOLERO


Il Boléro composto da Maurice Ravel nel 1928 è una musica da balletto divenuta celebre anche come brano da concerto. È sicuramente il bolero più celebre mai composto, nonché l'opera più popolare del compositore.

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La composizione fu commissionata da parte di Ida Rubinštejn, una ballerina russa. Ravel non ne voleva più sapere di balletti dopo che aveva rotto con il mostro sacro dell'epoca in tema di balletti, quel Sergej Pavlovič Djagilev che imperava a Parigi in quegli anni come direttore artistico nonché fondatore dei famosi Balletti russi. Ma cedette alle insistenze della Rubinstejn la quale gli chiedeva di orchestrare sei pezzi estrapolati dalla suite in quattro libri Iberia, composta da Isaac Albéniz. Arrivò presto però la notizia che gli eredi del grande compositore spagnolo non avevano acconsentito a nessuna trascrizione di pezzi del maestro anche perché la partitura della Iberia era già stata orchestrata dal maestro Enrique Fernàndez Arbòs.

Fu a questo punto che Ravel, non scoraggiandosi, prese l'iniziativa di comporre ex novo un pezzo a tempo di bolero, scegliendo dunque un brano dal carattere tipicamente spagnolo. Il Boléro andò in scena all'Opéra national de Paris il 22 novembre 1928, diretto da Walter Straram con le coreografie di Bronislava Nijinska e con Ida Rubinštejn. Il balletto, pur molto innovativo e provocatorio, ottenne un clamoroso successo. Durante l'esecuzione, una donna urlò pensando che Ravel fosse pazzo. Successivamente, lo stesso compositore francese affermò che lei aveva compreso il pezzo.

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La prima esecuzione concertistica del Boléro fu l'11 gennaio 1930 dall'Orchestre Lamoureux diretta dallo stesso Ravel, preceduta cronologicamente dalle trascrizioni del componimento per pianoforte, a due e a quattro mani, e dalle prime registrazioni su disco dirette da Piero Coppola (8 gennaio) e dall'autore Ravel (il giorno dopo).

Il Boléro ha avuto anche diverse trascrizioni per banda musicale.

Il balletto originale è una sorta di ballo rituale durante il quale una donna danza in modo seducente su un tavolo, mentre un gruppo di uomini si avvicinano a lei sempre più, con il crescere della musica. Esistono altre letture del balletto, come quella di Maurice Béjart che assegnò la parte principale ad un danzatore, o quella di Aurel Milloss, ambientata in una taverna.
 
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LA SIGNORA DELLE CAMELIE

Balletto-melodramma in due atti, dodici quadri

Numerosi sono stati i tentativi di rendere in danza il dramma di A. Dumas figlio, su musiche di compositori diversi, da Schubert a Liszt e Chopin. Per quanto attiene, invece, alle pagine immortali, scritte da G. Verdi con la “Traviata”, sono da citare l’allestimento del New York City Ballet con la coreografia di A. Tudor (1951), quello del Chicago Ballet, col titolo “Camilla” e la coreografia di R. Page (1957) e, infine, quello del Teatro Regio di Torino col titolo “Rita Gauthier” e la coreografia di F. Termanini (1957).

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Kasatkina e Vasiliov, pur utilizzando la musica di Verdi come i loro predecessori, hanno elaborato, tuttavia, una loro versione con soluzioni originali e innovative.

Innanzitutto, hanno creato un loro libretto che utilizza il materiale letterario dell’autentica storia de “La Signora delle Camelie”, partendo dal romanzo di Alexandre Dumas figlio e non dalla sua versione teatrale, che ne costituisce una successiva rielaborazione.

In piena aderenza alla musica della “Traviata”, che è riflesso speculare dei costumi e della società di quel tempo, i due coreografi sono riusciti a creare, attraverso la danza e la plasticità, un grande quadro d’epoca, all’interno del quale si sviluppa la vicenda dei protagonisti. Nel loro spettacolo, l’epoca volteggia frivola nei valzer, si scatena nei cancan e nei galop, si lancia alla forsennata ricerca di nuovi e sempre più raffinati piaceri, compra e vende tutto e tutti. Abbiamo di fronte un largo ventaglio di normative estetiche, morali, etiche della Francia della seconda metà del XIX sec. e ciò spiega la ricchezza e la varietà delle situazioni e dei personaggi che si riflettono nello spettacolo. Questo avrebbe potuto spezzare l’unità musicale-coreografica della drammaturgia, ma Kasatkina e Vasiliov si sono rivelati autentici maestri di regia. Sono riusciti a concepire elaborate soluzioni coreografiche, sviluppando, con precisione e chiarezza d’intenti, lo scheletro scenico dell’opera che viene poi riempito di multicolori contenuti plastici.

La drammatica vicenda dei protagonisti non si svolge sullo sfondo dell’epoca, rappresentata dalle danze d’insieme, bensì all’interno di questa. Lo sfrenato cancan, che di volta in volta interrompe i dialoghi intimi di Marguerite e Armand e che li riporta dalla profondità e sincerità dei sentimenti alla frivolezza e convenzionalità della società, diventa premonitore del dramma incombente. È la stessa forza che fa del vecchio Duval un essere cinico e crudele, non per sua natura, ma perché incapace di sottrarsi alle convenzioni sociali, di cui è egli stesso vittima. Non sono semplici circostanze o i caratteri dei protagonisti che portano alla tragedia, ma è la logica stessa della vita dell’epoca, con la sua ipocrisia, la sua falsa morale, i suoi pregiudizi.

Estremamente originali sono le visioni di Marguerite Gauthier, veri e propri intermezzi lirici, che fanno da collante narrativo all’intera vicenda, collegando i diversi quadri dello spettacolo che da essi prendono spunto e vengono resi con una tecnica di flash-back. Le quattro visioni non sono solamente un espediente di regia, ma introducono una intima riflessione sulla caducità delle cose terrene di fronte all’eternità.

I due coreografi sembrano aver applicato la formula di Vakhtangov, per il quale il personaggio è una somma di rapporti. I caratteri dei loro eroi vengono resi appunto in questo modo che, nel balletto, significa danza articolata nelle forme e nelle strutture più svariate. Ai monologhi e ai duetti si alternano grandiose scene con tutto il corpo di ballo, ma sempre mantenendo una esatta tonalità emotiva, rispettando il dettato musicale e sottolineando la “vocalità” delle soluzioni coreografiche.

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Anche gli eleganti costumi e le ottime scenografie, che spesso riprendono motivi dei lavori di Degas, contribuiscono a far raggiungere l’intento che i coreografi si sono posti. Talvolta, elementi di scenografia assurgono a simboli precisi e diventano parte inscindibile della coreografia stessa.
È il caso dell’enorme scala che quasi “organizza” gli atti e rappresenta una specie di soglia dell’ignoto. Qui nasce l’amore di Marguerite e Armand, qui Marguerite muore durante il Carnevale, mentre sotto di essa danza e si diverte la folla indifferente.
Ma, forse, per qualcuna delle ragazze che ballano, il destino ha stabilito lo stesso percorso attraverso quegli stessi amari gradini della vita.
 
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IL BACIO DELLA FATA


Il bacio della fata (Le baiser de la fée) è un balletto del 1928 con musica di Igor Stravinskij e la coreografia di Bronislava Nijinska.

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Nel 1927 Stravinskij stava ancora ultimando la musica dell'Apollon Musagète quando Ida Rubinštejn gli chiese di realizzare un balletto per i suoi spettacoli. Il compositore amava moltissimo Pëtr Il'ič Čajkovskij e quando Alexandre Benois, che lavorava con la ballerina, gli propose la possibilità di creare un balletto sulla sua musica, Stravinskij accettò subito, tanto più che era libero di scegliere argomento e trama dell'opera. La scelta cadde su La vergine dei ghiacci di Hans Christian Andersen, scrittore che egli conosceva bene e che sentiva affine a Čajkovskij per sensibilità. L'opera fu composta a Talloires tra l'aprile e il settembre 1928 e, dopo solo quattro prove con l'orchestra, anche se la coreografia della Nijinska non convinceva del tutto il compositore, andò in scena per la prima rappresentazione a Parigi il 27 novembre 1928. Gli interpreti furono Ida Rubinstein, Ludmilla Schollar, Anatole Vilzak; le scene ed i costumi di Alexandre Benois, l'orchestra dell'Opéra diretta dallo stesso Stravinskij.

Una donna, stringendo a sé il proprio bambino, avanza a fatica sotto la neve. Sopraggiunge la Fata dei ghiacci che mette al collo del piccolo un talismano e lo bacia sulla fronte per poi allontanarsi mentre gli uomini di un villaggio vicino arrivano in soccorso. Passati vent'anni il bimbo è diventato un bel giovane prossimo a sposarsi con la figlia del mugnaio. Durante una festa, alla vigilia delle nozze, una zingara misteriosa legge la mano al giovane che rimane turbato e smarrito. Il giorno del matrimonio, durante i preparativi, appena la fidanzata si allontana, appare al giovane una donna velata; egli solleva il velo e riconosce la zingara del giorno prima, ora adornata di gioielli di ghiaccio e dal fascino regale: è la Fata dei ghiacci che giunge a riprendere il giovane segnato da quel bacio che lo aveva consacrato a lei. Egli la segue ammaliato nel suo mondo glaciale lasciando la fidanzata ad attenderlo invano.

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Con la partitura di Le baiser de la fée Stravinskij fece quello che, in certa misura, aveva già fatto con la musica di Pergolesi in Pulcinella. L'amore per l'opera di Čiajkovskij però non lo portò certo ad usarne la musica travisandola in modo quasi grottesco come aveva fatto con l'altro balletto, bensì a trattarla con affetto e tenerezza.
Stravinskij scelse per la sua realizzazione solo parti vocali o pianistiche di Čiajkovskij e non opere orchestrali. Comunque più della metà dei brani che compongono il balletto sono originali di Stravinskij, gli altri rivisitati, sviluppati o intramezzati da pezzi originali. Il musicista trasse da quest'opera nel 1934 un Divertissement, suite sinfonica in quattro movimenti che, per il non eccessivo numero di orchestrali richiesti, è facilmente eseguibile. La coreografia di Bronislava Nijinska si adeguò perfettamente allo spirito del lavoro realizzando un balletto che si rifà al tardo Ottocento ma che tiene anche presenti le novità introdotte nella danza da Djagilev.
L'opera si articola in quattro scene: Berceuse dans la tempête, La fête au village, Près du moulin, Épilogue: berceuse des félicités etérnelles.
 
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LA BOUTIQUE FANTASQUE

La Boutique fantasque è un balletto creato da Léonide Massine che scrisse la coreografia ed il libretto. Ottorino Respighi compose le musiche traendo spunto da brani per pianoforte di Gioachino Rossini. La prima mondiale ebbe luogo all'Alhambra Theatre a Londra il 5 giugno 1919 ed interpretata dalla compagnia di Sergei Diaghilev, i Ballets Russes. Lydia Lopokova e Massine interpretarono il can-can delle bambole nella versione originale di Enrico Cecchetti come negoziante. Le scene furono create da André Derain.
La storia del balletto ha delle similitudini con Die Puppenfee, un vecchio balletto tedesco, che era stato eseguito da Sergej e Nikolaj Legat a San Pietroburgo agli inizi del XX secolo. Altre note lo accostano a Il soldatino di stagno di Hans Christian Andersen.
La storia di Massine è incentrata intorno alla storia d'amore tra due bambole, ballerine di can-can, in un negozio di giocattoli. Il tema generale è leggermente satirico, ed incorpora elementi di commedia nazionale, danza popolare, mimo e coreografia classica. La storia si svolge in tre atti.

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La storia è ambientata in Francia nel tardo XIX secolo. Un famoso creatore di giocattoli, noto in campo mondiale, ha creato delle perfette bambole danzanti nella sua bottega.
Gli automi si esibiscono in diverse danze, alla presenza dei clienti del negozio. All'inizio, assistono allo spettacolo due signore inglesi ed una famiglia americana. Alcune bambole eseguono una tarantella per gli ospiti, e successivamente altre bambole danzano una mazurca. Successivamente, entrano delle nuove bambole che intrattengono, con altre danze, uno snob ed un venditore di meloni. Arrivano poi altri clienti: una famiglia russa, e tutti apprezzano lo spettacolo. Per rendere onore ai nuovi arrivati, entrano cinque bambole Cosacco esibendosi nella loro danza tradizionale, seguiti da due barboncini nani impegnati in una divertente danza.
Arriva quindi il momento, di una sofisticata coppia di ballerini di can-can, che eseguono perfettamente il loro numero. La danza è così entusiasmante che la famiglia di americani decide di acquistare il ballerino, mentre quella russa acquista la ballerina. L'affare viene concluso, i ballerini vengono acquistati, e le famiglie verranno a ritirarli il giorno seguente.
Durante la notte, le bambole, come per magia, diventano umane ed iniziano a danzare.
Esse sono tuttavia sconvolte dal fatto che i ballerini di can-can stanno per essere separati. Quando, il mattino successivo, il negozio apre ed i clienti si presentano a ritirare i ballerini, si scopre che essi non sono più lì. I clienti, non a conoscenza della vita segreta delle bambole, protestano con il negoziante.
Nel successivo scontro le bambole intervengono a salvare il negoziante tramite le bambole cosacco che attaccano i clienti con le loro baionette.

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Spinti fuori dal negozio, i clienti guardano increduli, dalla vetrina, come le bambole ed il negoziante, felici, stanno ballando allegramente.
 
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LA VIVANDIERE

Vivandiere -Kathi -Fanny Cerrito -London -1844
Fanny Cerrito nel ruolo di Kathi, La Vivandière di Saint-Léon/Cerrito/Pugni, Londra, 1844
Stato Inghilterra
Prima rappresentazione 23 maggio 1844
Genere balletto
Musiche Cesare Pugni
Coreografia Arthur Saint-Léon e Fanny Cerrito

La Vivandière (Markitenka in Russia) è un balletto in un atto di Arthur Saint-Léon e Fanny Cerrito, musicato da Cesare Pugni, messo in scena a Londra, al Her Majesty's Theatre, il 23 maggio 1844.

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La prima ballerina era Fanny Cerrito (Kathi, la Vivandière) e Arthur Saint-Léon impersonava Hans.

Saint-Léon per il Ballet du Her Majesty's Theatre - 1845, 1846, e 1848.
Jules Perrot per il Ballet imperial sotto il titolo Markitenka, prima il 13/25 dicembre (calendario giuliano/calendario gregoriano) 1855 al Teatro Bol'šoj Kamennyj, a San Pietroburgo. Primi ballerini: Maria Petipa (Kath, la Vivandière) e Jules Perrot (Hans).

Marius Petipa per il Ballet impérial, prima 8/20 ottobre 1881 au Teatro Mariinskij, a San Pietroburgo.

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Il Pas de six della versione originale di questo balletto di Saint-Léon e Cerrito venne notato attraverso il metodo di notazione dei movimenti ideato dallo stesso Saint-Léon, la Sténochorégraphie (stenocoreografia). Nel 1975 questo Pas de six venne ricostruito, sulla musica originale di Pugni, da Ann Hutchinson (specialista in notazione del movimento) e da Pierre Lacotte per il Joffrey Ballet. Nel 1978 Lacotte rimise in scena il balletto per il Teatro Mariinskij (ex Ballet Impérial), che lo mantiene ancora in repertorio. Il Pas de six è stato messo in scena da diverse compagnie in tutto il mondo. Esso è anche noto come Pas de six de la Vivandière o Pas de six de Markitenka (in Russia).
 
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IL PAPAVERO ROSSO

Andato in scena per la prima volta il 14 giugno 1927 a Mosca, al Teatro Bolscioi, il balletto in tre atti ebbe un successo strepitoso e fu replicato per trecento sere di seguito. Ambientato nella Cina degli anni Venti, narra la vicenda di una nave sovietica approdata in un porto cinese e della immediata fraternità che viene ad instaurarsi tra la gente del posto ed i marinai russi.

Mentre il popolo insorge contro i suoi sfruttatori nasce l’amore tra Tao-Hoa, una graziosa fanciulla cinese e il capitano del vascello russo al quale la ragazza salverà la vita, sacrificando la propria. Pur trattandosi del primo balletto incentrato sulla realtà sovietica, la concezione musicale e la struttura stessa dell’opera si richiamano chiaramente alla tradizione romantica.

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Poiché il balletto orientava il gusto esotico verso gli interessi politici venne ritenuto una pietra miliare del Teatro Sovietico ed ebbe molte versioni. Solo dopo gli anni Sessanta non è stato più rappresentato.
 
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