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Danza e Balletto, il magico mondo della danza

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AGON

Compositore Igor' Stravinskij
Epoca di composizione 1953-1957
Prima esecuzione primo dicembre 1957
Dedica Lincoln Kirstein e George Balanchine
Durata media 20 minuti circa

Agon è un balletto in un atto su musica di Igor Stravinskij e coreografia di George Balanchine scritto fra il 1953 e il 1957.
Dopo dieci anni dall'ultimo balletto Orpheus del 1947, Stravinskij torna ad impegnarsi con un lavoro coreografico su richiesta dell'impresario Lincoln Kirstein per il New York City Ballet. L'opera, a cui il musicista iniziò a lavorare già dal dicembre 1953, non costituisce un terzo elemento di una ipotetica trilogia con Apollon Musagète e Orpheus; in effetti Agon non richiama nessun argomento mitologico.

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Il titolo indica semplicemente una competizione coreografica, senza soggetto e senza scene, astratta, interpretata da otto danzatrici e quattro danzatori senza costumi di scena con semplice abbigliamento da studio. Nel dicembre 1953 Stravinskij iniziò a scrivere il brano di apertura, la Fanfara, e il Doppio passo a quattro; il lavoro venne però presto interrotto per comporre In memoriam Dylan Thomas e il Canticum Sacrum per essere poi ripreso nel 1956 e terminato il 27 aprile 1957. La prima esecuzione in forma di concerto avvenne il 17 giugno 1957 a Los Angeles al Philharmonic Auditorium in occasione dei 75 anni del compositore; la prima rappresentazione teatrale fu invece a New York il primo dicembre 1957 con il New York City Ballet e la direzione di Robert Craft.
Stravinskij stesso ebbe l'idea originaria del balletto, realizzando una suite di danze ispirata alla Francia del XVI e XVII secolo. La partitura comprende 15 brani di cui il Preludio e due Interludi sono esclusivamente musicali. I quattro gruppi di esecuzioni danzate vengono ad essere così ben rimarcati. Sarabandes, Gaillards e Bransles trovano delle nuove forme coreografiche nel genio di Balanchine e nella creatività di Stravinskij. Il balletto si sviluppa in tre parti indicate solo dalla musica che è eseguita senza interruzioni; i ballerini si cimentano in una serie di danze che impegnano i diversi gruppi, dall'assolo ad un triplo pas de quatre che li riunisce tutti e dodici. Il compositore diede precise indicazioni sullo svolgimento del balletto sottolineando passo a passo tutta la struttura del lavoro:

Parte prima
A. Passo a quattro (quattro ballerini avanzano col dorso rivolto al pubblico)
B. Doppio passo a quattro (otto ballerine)
C. Triplo passo a quattro (otto ballerine e otto ballerini). Coda.
Parte seconda
Preludio (solo orchestra)
Primo passo a tre (un ballerino e due ballerine)
1.Sarabanda (ballerino da solo)
2.Gagliarda (le due ballerine)
3.Coda (i tre insieme)

Interludio (solo orchestra)
Secondo passo a tre (una ballerina e due ballerini)
1.Bransle semplice (due ballerini)
2.Bransle gaio (ballerina da sola)
3.Bransle doppio del Poitou (due ballerini e una ballerina)
Interludio (solo orchestra)
Passo a due
1.Adagio (un ballerino e una ballerina)
2.Variazione (un ballerino)
3.Variazione (una ballerina)
4.Refrain (un ballerino)
5.Coda (un ballerino e una ballerina)
Parte terza
A. Alla stretta (solo archi, ottoni, pianoforte, batteria)
B. Danza dei quattro. Duo (quattro coppie di ballerini)
C. Danza dei quattro. Trio (solo archi e ottoni, quattro coppie di ballerini)
D. Coda dei tre quartetti (solo archi e ottoni, tutti i danzatori).
Le ballerine escono di scena ed i ballerini si posizionano di nuovo col dorso rivolto al pubblico.
 
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ONDINE


22 GIUGNO 1843

HER MAJESTY'S THEATRE DI LONDRA
Balletto in 6 scene
Cor. Jules Perrot; mus. Cesare Pugni
Libr. Jules Perrot e Fanny Cerrito

Questo capolavoro romantico creato dalla coppia Perrot-Cerrito ha ben poco a che fare con il racconto di De la Motte Fouqué Undine, che invece è la fonte del balletto creato da Ashton.
Il balletto fu celebrato per la grazia della musica ma soprattutto per l'interpretazione della Cerrito, che nel pas de l'Ombre eccelleva in drammaticità e virtuosismo.
Nel 1851 il balletto fu riallestito da Perrot in Russia, con Carlotta Grisi come protagonista, nella residenza dello Zar a Peterhof. Per l'occasione il coreografo fece allestire il palcoscenico direttamente sull'acqua del lago, con le Naiadi che comparivano su barche a forma di conchiglia.
Marius Petipa rimontò il balletto nel 1874 e poi ancora nel 1892, alterando progressivamente la coreografia originale: l'ultima grande interprete del ruolo fu Mathilda Kshessinkaja.

Pierre Lacotte ha recentemente ricostruito la sua versione del balletto per il Teatro Mariinskij. Il compito non si è presentato facile, perchè non restava alcun documento delle versioni di Perrot e Petipa, se non stampe e litografie del tempo. Si trattava di dare vita a una coreografia in cui si mescolassero l'esistenza di pescatori con le loro tarantelle con quella ineffabile delle naiadi. Una ricostruzione molto debitrice alle atmosfere di Bournonville, in un balletto in bilico tra Napoli e La Sylphide, costituito da una cascata infinita di variazioni che mettono in risalto i protagonisti e il corpo di ballo.
Come nel caso della Fille du Pharaon, molto poco del materiale originario è stato ricostruito. In aiuto di Lacotte è venuta la partitura per violino di Cesare Pugni e gli insegnamenti della maestra Carlotta Zambelli.

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Scena I. Una spiaggia della Sicilia, con un’alta roccia a forma di arco sullo sfondo
I paesani e i pescatori stanno preparandosi per la Festa della Madonna. Matteo, un giovane pescatore, presente con la sua fidanzata Giannina, invita tutti gli amici per il matrimonio che si terrà l’indomani. Giannina riceve molti complimenti che sfociano in una danza. Tutti partono, tranne Matteo che vuole pescare un pesce per la cena.
Quando lancia la sua rete nel mare una conchiglia emerge dal mare rivelando una bellissima creatura che spesso è apparsa in sogno a Matteo. La Naiade, che si chiama Ondine, si innamora del pescatore, e ha scelto questo mezzo per palesarsi.
Matteo però ama Giannina e resiste alle tentazioni della Naiade, che però lo seduce con una danza, tanto che Matteo inizia a seguirla fino alla sommità della roccia, dalla quale Ondine si getta invitandolo a fare altrettanto. Infatuato dalla creatura, Matteo si sta per gettare quando accorrono dei pescatori che lo salvano spezzando l’incantesimo.

Scena II. La capanna di Matteo
Giannina e la madre Teresa attendono con ansia il ritorno di Matteo, che una volta tornato, racconta loro della sua avventura con la Naiade: Giannina si rattrista. Le due donne iniziano a filare, e Giannina chiede a Matteo di aiutarla ad avvolgere la matassa di seta.
Improvvisamente un colpo di vento fa aprire la finestra, dalla quale entra Ondine, invisibile, che stizzita per le attenzioni di Matteo verso la sua promessa sposa, strappa di colpo il fuso di seta dalle mani di Giannina. La Naiade si mostra solo a Matteo e tenta di nuovo di sedurlo, invitandolo a gettarsi con lui dalla finestra. Giannina si accorge della presenza di Ondine e rimprovera Matteo per la sua incostanza proprio il giorno prima del loro matrimonio. Teresa rappacifica i giovani e Matteo, lasciato solo, si addormenta su una poltrona.
Ondine, decisa a conquistare il pescatore, decide di apparirgli in sogno mostrandogli il seducente mondo subacqueo.

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Scena III. Una caverna sottomarina popolata da ninfe in abito azzurro, capelli sciolti e collane di corallo
Ondine si rivela in mezzo alle altre Naiadi e danza in un pas de six. Sicura di avere conquistato l’amore di Matteo, si getta ai suoi piedi. Appare Hydrola, regina delle acque, che ammonisce la figlia sulla fragilità dell’esistenza umana; per tutta risposta Ondine coglie una rosa dichiarando di voler piuttosto appassire e morire come questa piuttosto che perdere Matteo. Invano Hydrola cerca di dissuaderla.

Scena IV. La vigilia della Festa della Madonna, la cui statua sta su un altare, omaggiata dai paesani.
Dopo le preghiere tutti si uniscono in un’animata tarantella, che è improvvisamente interrotta dalle campane che annunciano il Vespero: tutti si inginocchiano e pregano ancora. In quel momento Ondine emerge dalla fontana accanto all’altare e Matteo cerca invano di raggiungerla facendosi largo tra la folla inginocchiata. Giannina si rende conto dell’agitazione di Matteo e lo esorta a pregare, ma mentre il pescatore rivolge lo sguardo alla statua della Madonna vi scorge per un attimo il volto di Ondine.
Continuano le danze fino al tramonto, quando tutti tornano alle proprie case. Rimasti soli, Matteo e Giannina mettono in riparo la barca, ma Ondine, sempre più decisa, getta Giannina nell’acqua e prende le sue sembianze.

La Luna che si staglia nel cielo è così brillante che Ondine può vedere la sua ombra riflessa sul terreno, sorpresa della sua nuova condizione di mortale: è il celebre pas de l'ombre. Matteo accorre e trova Ondine ormai nelle sembianze di Giannina. La povera fidanzata non è annegata, ma, soccorsa dalle Naiadi, è stata portata nel palazzo di Hydrola.

Scena V. La camera da letto di Giannina
Ondine dorme nel letto di Giannina, mentre Hydrola la osserva con tristezza, sparendo non appena si risveglia. La Naiade è stanca ed esausta, e prega la madre che la esorta ad abbandonare il suo stato di mortale prima che sia troppo tardi ma, al suo rifiuto, Hydrola sparisce di nuovo.
All’arrivo di Teresa e Matteo, i due giovani danzano il pas de la rose fletrie, una tarantella che porta Ondine allo stremo delle forze. Matteo, credendo di trovarsi di fronte Giannina, è rammaricato al pensiero di sposare una ragazza così debole, avendo rinunciato alla creatura immortale.

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Scena VI. Il matrimonio
La scena si apre con il corteo nuziale. La Naiade, appena in grado di sorreggersi, cammina con difficoltà, aiutata da Matteo.
Hydrola e le Naiadi compiono un ultimo tentativo di salvare Ondine. La regina riporta Giannina al posto di Ondine. Matteo riconosce la vera freschezza della fidanzata ed è nuovamente felice, mentre Ondine, dopo aver ripreso il suo stato immortale, è portata in trionfo nella sua casa sotto il mare.
 
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IL FIORE DI PIETRA


Balletto con prologo tre atti e otto quadri
Mira Mendelssohn-Prokofieva e Leonid Lavrovsky
Coreografia: Leonid Lavrovsky
Musica: Sergei Prokofiev
Prima rappresentazione:
Mosca, Teatro Bolshoi, 12 febbraio 1954

Interpreti:
Galina Ulanova (Katerina), Maja Plisetskaja (regina della Montagna di Rame), Aleksei Yermolayev (Severjan), Vladimir Preobrajenski, Serge Koren

Scenografia:
T. Starzhentsky
Titolo originale russo Kamenny tsvetok
Titolo inglese The Stone Flower

Il balletto si basa su una fiaba tradizionale della regione dei monti Urali, raccolta da Pavel Bazhov e intitolata Lo scrigno di malachite.

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Il fiore di pietra è l’ultimo dei nove balletti composti da Sergei Prokofiev. Ma non fu completato dall’autore che morì il 5 marzo 1953.
Due brani della partitura vennero musicati da Dimitri Kabalevskij. La gestazione dell’opera fu assai laboriosa, in quanto l’autore non aderiva alla corrente realista socialista all’epoca dominante.
Lo stesso Prokofiev, in quesgli anni per lui difficili e con il fisico provato nella salute, a proposito del balletto asserì: “è il balletto della gioia, della fatica creativa per il bene del popolo, della bellezza dell’uomo sovietico”. Le sue affermazioni sono però difficili da credere, dato che mentiva sapendo di mentire. Si trattava infatti di una rielaborazione di vecchi racconti, tratti da leggende popolari degli Urali, con l’utilizzo di musiche tradizionali di quella regione e di canti popolari russi.

La trama, nonostante l’inusuale lunghezza dello spettacolo (un prologo più otto quadri suddivisi in tre atti per un totale di circa tre ore), è piuttosto semplice. Si racconta l’amore di Katerina e Danilo ostacolato da un signorotto del luogo. L’amore dei due giovani viene dapprima messo alla prova e poi agevolato dalla regina della Montagna di Rame. La vicenda, sia quando si svolge nel villaggio, sia quando si sposti sulla montagna o sottoterra, dove la regina nasconde le sue pietre preziose e il fiore che trasforma in pietra chiunque lo guardi, offre molte occasioni per creare accattivanti colpi di scena.

Il balletto inizialmente non ebbe successo. Juri Grigirovich, con una nuova produzione per il Kirov di Leningrado (prima rappresentazione 27 aprile 1957, interpreti Irina Kolpakova come Katerina, Alla Osipenko come regina della Montagna di Rame, Gribov e Gridin, scenografia di Simon Virsaladze) provò a riproporlo in una versione che successivamente venne riprodotta per il Balletto del Bolshoi di Mosca e per il Balletto Reale Svedese nel 1962.

In Italia, un importante allestimento andò in scena nel marzo 1973 al Teatro Comunale di Bologna per la coreografia di Loris Gai, la regia di Beppe Menegatti e l’allestimento scenico di Anna Anni (prima rappresentazione 8 marzo 1973). Gli interpreti erano Carla Fracci (la regina della Montagna di Rame), James Urbain (Danilo), Anita Cardus (Katerina) e Roberto Fascilla (Severjan) con il corpo di ballo del Teatro Comunale e la direzione d’orchestra di Pierluigi Urbini. Su “La Stampa” dell’11 marzo 1973, Alberto Blandi commentò:

Il balletto, sia pure ravvivato da qualche momento intensamente drammatico e insaporito dal folclore, alterna i consueti assoli e pas de deux (alcuni sono davvero magnifici), a veri e propri divertissment e danze di carattere. La coreografia di Loris Gai ha probabilmente tenuto presenti le varie versioni sovietiche se a volte si ha l’impressione di uno spettacolo alla Bolshoi, o di una sua riproduzione, contribuendovi i costumi orientaleggianti e le scene monumentali di Anna Anni oltre, s’intende, alla stessa musica di Prokofiev, che ha pagine assai belle, ma anche altre un po’ effettistiche e magniloquenti.
 
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Petruška


Petruška è un balletto in quattro scene con musica di Igor' Stravinskij composto fra il 1910 e il 1911. Fu una delle prime creazioni del coreografo Michel Fokine realizzata per la compagnia dei Ballets Russes di Sergej Djagilev.
Nijinski nella parte di Petruška

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La storia è basata sull'omonimo personaggio della tradizione russa, una marionetta dal corpo di segatura e la testa di legno, che prende vita e riesce a provare sentimenti. Petruška è stato avvicinato alle figure di Pierrot e di Pinocchio, ma in realtà il burattino stravinskiano, a parte una certa malinconia che lo accomuna al primo, non ha nulla a che vedere con le due figure ed ha anche poco del burattino popolare russo che è nella tradizione burlone, manesco e truffaldino.

Nel 1910, durante la stesura de La sagra della primavera, lavoro che era molto impegnativo, Stravinskij si volle distrarre componendo un pezzo per pianoforte e orchestra in cui lo strumento avesse un ruolo di primo piano.


Il musicista racconta che: "Componendo questa musica avevo nettamente la visione di un burattino subitamente scatenato che, con le sue diaboliche cascate di arpeggi, esaspera la pazienza dell'orchestra, la quale a sua volta gli replica con le minacciose fanfare. Ne segue una terribile zuffa che, giunta al suo parossismo, si conclude con l'accasciarsi doloroso e lamentevole del povero burattino”.
Dopo di che egli pensò a lungo al titolo da dare alla composizione finché non gli venne in mente Petruška, l'infelice burattino del teatro popolare, sempre presente nelle fiere. Quando Djagilev ascoltò il brano, rimanendone impressionato, volle a tutti i costi che Stravinskij lo utilizzasse per un nuovo balletto. Seguendo l'idea che il compositore aveva in mente, i due definirono l'intreccio e lo svolgimento del lavoro, stabilendo come luogo d'azione la fiera e come personaggi, oltre a Petruška, la Ballerina, il Moro e il Ciarlatano. Il musicista, mentre su trovava a Beaulieu-sur-Mer, iniziò subito a comporre il primo quadro ed utilizzò la parte già scritta per pianoforte per il secondo.
Verso Natale Stravinskij raggiunse Djagilev a Pietroburgo dove fece ascoltare i progressi fatti nel lavoro all'amico e a Alexandre Benois a cui era stata affidata la realizzazione scenica del balletto; questa fu l'ultima volta che il compositore vide la città della sua infanzia. Rientrato a Beaulieu Stravinskij riprese la composizione, ma dovette ben presto interrompere a causa di una grave intossicazione da nicotina. Dopo un mese di cure riprese il lavoro e quindi partì per Roma per raggiungere Djagilev che allestiva uno spettacolo al Teatro Costanzi; qui ultimò il balletto l'undici maggio 1911 e diede inizio alle prove dello spettacolo. La prima rappresentazione avvenne a Parigi al Théâtre du Châtelet il 13 giugno 1911 con la direzione di Pierre Monteux, le scene ed i costumi di Alexandre Benois, la coreografia di Michel Fokine. Il ruolo di Petruška venne affidato a Vaslav Nijinsky che ne trasse una delle sue interpretazioni più memorabili, unendo alle sue note doti virtuosistiche un'intensa espressione drammatica che diede al burattino un'anima; Tamara Karsavina fu la Ballerina, Alexandre Orlov il Moro, Enrico Cecchetti il Ciarlatano. Nonostante il successo della rappresentazione, alcuni critici furono spiazzati dalle musiche impervie, dissonanti, talvolta grottesche. A un critico che, dopo una prova generale, chiese: "Ci avete invitato qui per sentire questa roba?", Diaghilev rispose laconico: "Esattamente". Quando Stravinskij e Djagilev con il suo corpo di ballo si recarono a Vienna nel 1913, la Wiener Philharmoniker, rivelando il suo atteggiamento molto conservatore, inizialmente mostrò ostilità nell'eseguire la partitura, definendola "schmutzige Musik" (musica sconcia).

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La rappresentazione ebbe comunque luogo senza proteste, ottenendo anche un discreto successo.
Tra il 1946 e il 1947 ad Hollywood il compositore realizzò una nuova versione del balletto sia per poter ottenere il copyright sia per migliorarne la strumentazione allo scopo di rendere eseguibile la partitura anche da parte di orchestre di minore grandezza.
 
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BIANCANEVE E I SETTE NANI


Realizzato per la prima volta al teatro dell’Opera di Kiev nel 1975, questo balletto è una produzione per bambini e genitori ed è tratta dalla famosissima e amatissima favola dei Fratelli Grimm. Con le musiche di Bogdan Pavlovsky sarete proiettati nella magia di una storia con la quale siamo tutti cresciuti e con la quale sicuramente cresceranno anche i bimbi di questa generazione. E per il pubblico amante del balletto non mancheranno tecnica, virtuosismi, scenografie e costumi di altissimo livello.

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C'era una volta una regina in attesa di un bambino che in una giornata invernale stava filando davanti alla finestra. Il davanzale era di legno d'ebano nero, e si stava ammucchiando già della neve. Ad un tratto si punse un dito ed alcune gocce di sangue caddero sulla neve. La regina pensò: "Come mi piacerebbe avere una bambina dai capelli neri come l'ebano, dalle labbra rosse come il sangue e dalla pelle bianca come la neve!" Ma dopo poco si ammalò gravemente e morì.

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Per qualche anno il re suo marito fu inconsolabile: poi un giorno incontrò una bellissima dama, ricca e nobile e decise di sposarla per dare una mamma a Biancaneve. Ma ignorava che era in realtà una strega, esperta in pozioni magiche, con uno specchio magico a cui ogni giorno chiedeva: "Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame!" per il gusto di farsi rispondere "La più bella mia regina sei tu" Non mancò poco che la malvagia regina prese il regno per sé, imprigionando il marito e mettendo Biancaneve a fare i lavori più umili. Ma la principessina cresceva e diventava sempre più bella. Un giorno la regina chiese di nuovo allo specchio chi fosse la più bella del reame e lo specchio le rispose: "Tu mia regina sei sempre bellissima, ma Biancaneve è più bella di te!"


La regina non poteva tollerare una rivale, e così convocò un guardiacaccia suo fido e gli disse: "Porterai la principessa nella foresta, e là la ucciderai. Mi porterai poi il suo cuore come segno del delitto". Il guardiacaccia portò Biancaneve nella foresta ma al momento giusto non ebbe il coraggio di ucciderla. Le intimò di scappare nella foresta, e sulla strada del ritorno uccise un cerbiatto per portare il cuore alla regina. Biancaneve corse a perdifiato nella foresta, fin quando non arrivò in una radura, dove sorgeva una minuscola e graziosa casetta: entrò e capì che ci viveva qualcuno, e pensò che abitassero sette bambini senza mamma. C'erano infatti sette ciotole, ed assaggiò da ognuna delle sette ciotole, poi provò sette diversi lettini, finché non si addormentò sull'ultimo. Gli abitanti della casa erano sette nanetti che lavoravano nella miniera vicina. Rientrando trovarono Biancaneve e decisero di ospitarla, raccomandandole di essere estremamente prudente per via della regina cattiva.


Per Biancaneve iniziò un periodo sereno, con nuovi amici ed a contatto con la natura. Ma un brutto giorno la regina cattiva chiese di nuovo allo specchio chi era la più bella del reame. E lo specchio magico le rispose: "Al di là dei sette monti, al di là delle sette valli c'è la casa dei sette nani, in cui vive Biancaneve che è ancora più bella di te".


La regina decise di uccidere Biancaneve: si travestì da vecchia mercante e giunta alla casa dei sette nani, impietosì Biancaneve e riuscì a convincerla ad assaggiare una bella mela rossa. Biancaneve, al primo morso della parte avvelenata, cadde a terra morta.
La strega fuggì felice: l'unico antidoto era il primo bacio d'amore, ma credeva che credendola morta i nani l'avrebbero sepolta. Ma i nani, disperati non vollero separarsi da Biancaneve e la misero in una bara di cristallo nella foresta, dove vegliarla in continuazione.

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Un giorno il figlio di un re vicino, sempre solo e triste passò di lì. Biancaneve era così bella che chiese di poterla vedere da vicino e volle baciarla. Subito lei si risvegliò: i nani festeggiarono il suo ritorno.
La regina cattiva morì di rabbia scoprendo tutto. Biancaneve sposò il principe, non dimenticò i suoi amici nani e vissero tutti felici e contenti.
 
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PAS DE QUATRE

Cesare Pugni (musica)
Jules Perrot (coreografia)

Tipo di composizione Balletto romantico
Epoca di composizione 1845
Prima esecuzione 12 luglio 1845
Her Majesty's Theatre, Londra

Dedica Creato per:
Lucile Grahn
Carlotta Grisi
Fanny Cerrito
Marie Taglioni

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Il Grand Pas de Quatre è un balletto divertissement coreografato da Jules Perrot nel 1845, su suggerimento di Benjamin Lumley, direttore dell'Her Majesty's Theatre, su musica composta da Cesare Pugni.

La sera in cui fu presentato a Londra (12 luglio 1845), suscitò un'enorme sensazione tra la critica e il pubblico. La ragione di questo era che riuniva, su un solo palcoscenico, le quattro più grandi ballerine del tempo, in ordine di apparizione: Lucile Grahn, Carlotta Grisi, Fanny Cerrito e Maria Taglioni. La quinta grande ballerina romantica dell'epoca, Fanny Elssler, era stata invitata a partecipare ma si era rifiutata di farlo, fu sostituita dal giovane Lucile Grahn che accettò senza esitazione.

Il Pas de Quatre catturava l'essenza dello stile romantico in quanto le ballerine danzavano con leggerezza, delicatezza ed equilibrio. I passaggi richiedono che ogni area della tecnica classica del balletto venga eseguita. Queste aree includono movimenti adagio, petite allegro, grand allegro, footwork veloce, cambi di posizione aggraziati e movimenti eleganti e fluidi del braccio che sono diventati un elemento caratteristico del Pas de Quatre. Ogni ballerina ha una variazione individuale, che viene eseguita in successione tra un'apertura e un finale che sono ballati insieme da tutte le ballerine. Queste variazioni erano state coreografate per la prima esecuzione della ballerina in ogni ruolo e progettate per mostrare le migliori caratteristiche di ciascuna di loro.

L'ordine di apparizione delle ballerine era per età, dalla più giovane alla più vecchia, per reprimere eventuali scontri tra di loro. Il cast originale del Pas de Quatre comparì insieme solo per quattro esibizioni; la Regina Vittoria e il Principe Alberto erano presenti il 17 luglio 1845, alla terza di queste quattro rappresentazioni.

Quasi cento anni dopo, nel 1941, il Balletto fu restaurato dal coreografo Anton Dolin. I ballerini che utilizzò furono, in ordine di apparizione: Nathalie Krassovska nei panni di Lucile Grahn, Mia Slavenska nei panni di Carlotta Grisi, Alexandra Danilova nei panni di Fanny Cerrito e Alicia Markova nei panni di Maria Taglioni. Da allora molte compagnie di balletto e ballerini hanno eseguito il pezzo.

Gli unici ed esclusivi diritti di eseguire il Pas de Quatre di Dolin sono stati lasciati ai ballerini del Festival Ballet (ora English National Ballet) Belinda Wright e Jelko Yuresha, marito e moglie. La Wright e Dolin si conoscevano da quando lei era una giovane ballerina. Aveva vinto un Pavlova Award e catturato l'attenzione di Dolin. La Wright era ballerina principale al Festival Ballet di Dolin dopo anni con il Royal Ballet e suo marito Yuresha era un solista. Quando Dolin morì, il suo patrimonio, gestito dal nipote Phillip, conferì i diritti del Pas de Quatre alla Wright e Yuresha. Il Pas de Quatre di Dolin non può essere messo in scena, eseguito, prodotto o registrato senza il loro permesso e la loro messa in scena.

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La musica originale fu composta da Cesare Pugni ma fu utilizzata solo per le quattro rappresentazioni nel luglio del 1845 all'Her Majesty's Theatre con le grandi ballerine Grahn, Grisi, Cerrito e Taglioni. Nessuna ulteriore esecuzione ebbe luogo nei successivi decenni. Lo spartito per pianoforte della musica originale di Cesare Pugni fu poi riscoperto negli anni '30 al British Museum da Cyril W. Beaumont. Per la nuova coreografia di Anton Dolin era necessario un arrangiamento orchestrale. Il compositore Leighton Lucas creò un arrangiamento orchestrale simile allo spartito per pianoforte. Da allora molti altri compositori hanno creato versioni orchestrali dallo spartito di Cesare Pugni, come Heribert Beissel, William McDermott, Daniel Stirn o Peter March.
 
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IL FLAMENCO

Il flamenco é forse il simbolo più noto e più importante del folclore spagnolo (detto più precisamente: della Spagna meridionale-andalusa). Anche se, in linea di massima, si tratta di un fenomeno musicale e di danza, supera ampiamente i limiti della musica e del ballo e influenza altri tipi di arte (ed é anche influenzato da loro) come per esempio il cinema, il ballo moderno, la pittura e anche la letteratura.

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La bellezza, l’attrazione, il valore artistico e la difficoltà del flamenco hanno fatto sì che, come poche altre forme di folclore, si sia diffuso lontano dalla frontiera del paese di origine. In tutto il mondo esistono le scuole di flamenco, nella Spagna meridionale viene gente da tutto il mondo per imparare a ballare il flamenco, i teorici della musica esaminano le sue euritmie e i ritmi sofisticati, i letterati studiano poi la poesia plebea contenuta nei testi delle canzoni.

Anche se il flamenco é nato ed è più diffuso nell’´Andalusia, é diventato proprio esso (e non per esempio l’iota aragonese o la zampogna galiziana) l’emblema di tutta la Spagna e della sua cultura, a pari titolo della corrida.


La struttura del flamenco
Il flamenco attuale può essere diviso in tre parti (D. E. Pohren), di cui ogni parte crea un’arte particolare e può esistere indipendentemente, benché in gran parte funzionino unitamente o almeno a due a due:
canto (cante)
ballo (baile)
il suonare la chitarra (toque)

Ogni tanto viene ancora citato come una parte autonoma l’accompagnamento ritmico (jaleo).

Il flamenco (cante, baile, toque) può essere diviso anche nel modo seguente:
cante, baile, toque jondo (profondo)
intermedio (medio)
chico (leggero, alleggerito)

Il flamenco jondo (la variante jondo, andalusa, della parola hondo, profondo) é la forma più vecchia e pura, la base stessa del flamenco, da cui provengono tutte le altre forme. Se si parla solo del canto, viene usata anche la parola cante jondo. É serio e malinconico, il più difficile da capire. Con esso si esprimono le emozioni più profonde.

Il flamenco chico, dal punto di vista dell’umore, è diverso del jondo. É più allegro, vivo, ottimistico. Però anche la sua interpretazione é molto difficile.
Il flamenco intermedio, come dice il suo nome, sta tra il flamenco jondo e il flamenco chico.

La storia e lo sviluppo
La storia del flamenco viene fatta risalire al XVIII secolo, in cui, dopo un lungo processo di reciproca influenza, l’originale folclore andaluso si era collegato al folclore degli zingari spagnoli meridionali, che erano arrivati in Spagna già nel secolo XV. Da quel periodo appaiono regolarmente nella letteratura spagnola come parte della civiltà, anche nelle opere di Cervantes o di Lope de Vega. Cosí é nata la base, che già assomiglia molto al flamenco come lo conosciamo oggi. Il flamenco fu influenzato da molte culture: araba, ebrea, cristiana, però quella che era riuscita a collegare tutto insieme e aggiungere un suo pezzo per far nascere un’arte nuova e peculiare, era proprio la cultura zingaresca. La maggior parte degli interpreti del flamenco sono proprio gli zingari (gitanos), anche se ovviamente esistono ed esistevano gli artisti eccellenti di origine non zingaresca (payos).

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Dalla sua nascita, circa nell’anno 1850, l’arte del flamenco faceva solo parte dello stile di vita, non esistevano gli artisti professionali, la si esercitava a casa, per un pubblico riservato, soprattutto per i parenti.

Dall’inizio del secolo XIX arriva, insieme al romanticismo, un’onda di interesse per la Spagna, soprattutto per la sua “faccia esotica”, che rappresentavano proprio gli zingari e la loro arte. In quel periodo cosí nascevano opere letterarie inspirate dalla tematica degli zingari spagnoli meridionali e del flamenco, i cui autori erano stranieri, come per esempio Carmen del francese P. Merimée; Zincali, or the gypsies of Spain dello scrittore inglese G. H. Borrow o le composizioni musicali del russo M. I. Glinka e del suo successore N. Rimskyj-Korsakov.

Dalla metà del secolo XIX, assieme alla crescita della popolarità del flamenco, cominciavano a formarsi i cosiddetti cafés de cante o cafés cantantes, i posti per la produzione commerciale del flamenco. Quel periodo, che durerà circa fino all’inizio del secolo XX, viene chiamato L’età d’oro del flamenco. Per esso sono indicativi due fenomeni antagonistici. Da una parte vi é la diffusione tra il largo pubblico, la popolarizzazione del flamenco per molti artisti significava una occasione d’iniziare la via professionale e così sottrarsi all’ambiente sociale povero. Dall’altra parte, l’arte con la conseguente commercializzazione si adattava naturalmente al gusto e alle richieste del largo pubblico, e l’originale flamenco tradizionale e puro veniva soppiantato. Si aggiungevano gli elementi d’opera e di teatro e l’arte pura soffriva.

All’inizio del secolo XX. il flamenco cosí passò una profonda decadenza artistica, paradossalmente proprio grazie alla sua precedente popolarizzazione. La sua superficialità e la impurità artistica diventarono l’oggetto della critica di molti intellettuali d’allora. Questa decadenza inquietó profondamente tre personaggi culturali e artisti importanti d’allora. Erano lo scrittore Federico García Lorca, il compositore musicale Manuel de Falla e il pittore Ignacio Zuloaga. Per questo motivo avevano organizzato nel 1922 a Granada una famosa gara del cante di flamenco, Concurso de Cante Flamenco. Però il loro intento, cioè restituire al flamenco la sua purezza d’arte e rivolgere l’attenzione del pubblico sui suoi valori autentici, andava a monte e la decadenza continuava fino alla metà del secolo.

Dagli anni 50 comincia un’ascesa artistica che dura fino ad oggi. Iniziano a stamparsi libri teorici di qualità sul flamenco, le radio trasmettono programmi regolari. Dagli anni 70 due artisti che collaboravano tra loro si facevano merito della popolarità del flamenco di qualità, lo avevano modernizzato e reso accessibile al largo pubblico in modo così sensibile, da non abbassare il suo valore artistico, ma piuttosto da elevarlo. Erano il cantante José Monge Cruz (El Camarón de la Isla) e il chitarrista Francisco Sánchez Gómez (Paco de Lucía). Nel campo del ballo bisogna menzionare almeno Antonio Gadés, da noi conosciuto soprattutto dai film di Carlos Saura Nozze di sangue, Carmen story e L’amore stregone.

Ai giorni nostri il flamenco conosce un’ascesa senza precedenti. Diventa popolare sempre di più in tutto il mondo. La musica e anche il ballo sono l’oggetto dell’interesse di artisti che fanno nascere diverse fusioni. Artisti come per esempio Paco de Lucía, Tomatito, Joaquín Cortés, Belén Maya oppure Eva la Yerbabuena riempiono le sale da concerto, essendo i rappresentanti dell’arte che nel recente passato non bastava neanche per la sussistenza dei suoi migliori interpreti.

Musica
In un altro punto del presente testo é menzionato che il flamenco é composto di quattro elementi principali:
baile (il ballo)
cante (il canto)
toque (il suonare la chitarra)
jaleo
Dei tre ultimi elementi si parlerà nel seguente capitolo, poiché proprio essi sono “l’elemento musicale del flamenco.”

Cante
Il Cante e i suoi interpreti — cantanti del flamenco (cantaores) in Spagna godono senza dubbi della stima piú grande. Perfino anche uno dei migliori chitarristi nella storia del flamenco, Paco de Lucía, ha confessato che da giovane desiderava diventare soprattutto cantante. Come baile e toque anche il cante si divide secondo i singoli stili (palos). Esistono allora il cante por alegrías, bulerías, seguiriyas ecc. Cante puó esistere anche autonomamente, cioè senza un accompagnamento della chitarra o del ballo. Di tali cantes si dice che si cantano “a palo seco”. Ad essi appartiene soprattutto saeta, che si canta sempre senza accompagnamento, gli altri possono essere in maggioranza cantati sia con un accompagnamento che senza di esso. Seguono in popolarità i cantes del gruppo “hondo” (in spagnolo hondo — profondo — da questo deriva la denominazione cante jondo — “il canto profondo”).
Questi cantes, in maggioranza lenti e tristi (ai rappresentanti piú tipici appartengono soprattutto le seguiriyas) sono i piú difficili sia per l’ascolto che per l’interpretazione. Esprimono i sentimenti piú profondi. Agli altri stili piú conosciuti appartengono per esempio tientos, tangos, bulerías, alegrías etc. Ogni cante ha nel testo un suo tipico umore e spesso anche una tematica. Cosí la comprensione dei testi delle canzoni dà spesso il senso a quel modo di cantare speciale e rauco, che alla gente sembra spesso affettato. I testi delle canzoni sono nati prevalentemente nell’ambiente sociale povero delle famiglie gitane, e cosí vi troviamo soprattutto i temi tristi (ogni tanto anche i tragici). La morte, la pazzia, l’amore infelice, le condizioni di vita e di lavoro difficili creano la maggior parte dei contenuti delle canzoni, soprattutto del cante jondo. Alle leggende del cante flamenco appartengono Manuel Torre, Antonio Chacón, Antonio Mairena, Manolo Caracol, poi Camarón de la Isla († 1992), al quale si fa merito della divulgazione del canto flamenco tra il largo pubblico. Tra la grande quantità di interpreti eccellenti d’oggi possiamo citare per esempio: José Mercé, Duquende, La Macanita, Mayte Martín, Enrique Morente.

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Toque
La chitarra serviva sempre soprattutto come uno strumento di accompagnamento al cante e al baile. É diventata strumento solista solo negli ultimi decenni insieme allo sviluppo senza precedenti della tecnica di suonare e contemporaneamente anche con lo sviluppo del flamenco dal punto di vista armonico e ritmico. A un primo sguardo la chitarra di flamenco non si distingue dalla classica chitarra spagnola a sei corde. Però ha alcune particolarità fondate soprattutto sulla sua costruzione che si mostrano con una posa bassa delle corde sopra la cordiera e la tavola risonante. Su essa è per lo più attaccata una foglia di plastica (cosiddetta golpeador) perché la chitarra non si danneggi per i colpi delle dita della mano destra sulla tavola superiore (cosiddetti golpes). La maggior parte delle chitarre di flamenco oggi ha già la meccanica metallica rilevata dagli altri tipi di chitarre, però alcuni chitarristi fino ad oggi danno la precedenza alla meccanica originaria di legno. La tavola posteriore e i bordi della chitarra di flamenco sono fabbricati o con cipresso o con palissandro, la tavola superiore (tavola risonante) con abete o cedro. La chitarra di flamenco ha generalmente un tono più breve e durante il suonare su tutte le corde un suono più risonante della chitarra classica. Nel suonare di chitarra di flamenco si usa la tecnica originaria di suonare, detta rasgueado, fondata sui colpi della mano destra su diverse corde e alzapúa, la tecnica speciale di suonare con il pollice su più corde, e ciò in tutte e due le direzioni, su e giù. Le altre tecniche (tremolo, picado, arpegio) erano rilevate dalla tecnica classica di chitarra, e ciò dai rivoluzionari della chitarra di flamenco come strumento solista (Ramón Montoya, Niňo Ricardo, Sabicas). Però queste tecniche erano un po’ adattate ai bisogni della chitarra di flamenco. In breve si può dire che il rasgueado si usa prevalentemente nell’accompagnamento del cante e del baile, mentre le altre tecniche soprattutto nelle cosiddette falsetas, parti melodiche, con le quali il chitarrista riempie le pause durante il canto. I singoli stili hanno le loro armonie e ritmi tipici, a volte si suonano senza un ritmo (“al aire libre”). Però anche per questi toques resta la tipica armonia. Dal punto di vista armonico la maggior parte della musica nel flamenco si svolge o nella armonia dur-moll tradizionale o nel tipico modo frigio (per esempio l’andamento accordico Ami G F E). Dal punto di vista ritmico i toques si possono dividere in quelli che si suonano al aire libre (senza ritmo): Taranta, Minera, Rondeňa, Fandango, poi in quelle che hanno de facto 3/4 ritmo (Fandango de Huelva, Sevillanas), 4/4 ritmo (Tango, Rumba, Colombiana) e, meno comprensibili di tutti per gli stranieri, quelli con ritmo a 12 tempi (Bulerías, Alegrías, Soleá, Seguiriya) con accenti regolarmente disposti sui certi tempi.

Ai chitarristi più importanti appartengono il già citato Ramón Montoya, poi Sabicas e Niňo Ricardo. Attualmente lo sono soprattutto Paco de Lucía, Pepe Habichuela, Tomatito, Gerardo Núňez, Moraíto, Vicente Amigo. Della popolarizzazione del flamenco si fa merito soprattutto a Paco de Lucía che aveva perfezionato sostanzialmente la tecnica del suonare, aveva arricchito l’armonia con nuovi elementi (soprattutto del jazz) e che é un modello per la maggior parte della generazione giovane dei chitarristi.

Jaleo
Jaleo é un accompagnamento ritmico soprattutto in forma del battimano (palmas). La sua parte imprescindibile é l’incitamento dell’intrerprete (del chitarrista, cantante, ballerino) con le parole e i gridi tipici come olé!, arsa!, anda!, vamos! etc. Negli ultimi decenni si sono cominciati ad usare nel flamenco anche altri strumenti, come per esempio la chitarra di basso, il sassofono, il flauto, il violino e altri tipi di strumenti a percussione (conga, tabla, cajón). Il cajón (originariamente uno strumento popolare peruviano) ha la forma di una cassa di legno, su cui l’artista è seduto e tambureggia con le mani sulla tavola anteriore risonante. Nel flamenco l’ha introdotto Paco de Lucía che per la prima volta lo aveva usato sul suo primo disco Almoraima. Da quei tempi é diventato, insieme a palmas, lo strumento a percussione di accompagnamento più tipico, di cui non si fa a meno in quasi nessuno spettacolo di flamenco.

Baile
Baile flamenco (il ballo) é composto di molti diversi stili (palos), come già descritto nel capitolo sulla musica. Cosí come per i singoli stile del cantes sono tipici certi testi, i tema e gli umori, cosí anche nel ballo ogni stile é segnalato da figure tipiche ed elementi coreografici, che esprimono benissimo il sentimento del ballerino o della ballerina (bailaor, bailaora) e corrispondono alle emozioni della canzone. Perlopiù i balli lenti, come sono soleá e seguiriya, esprimono la malinconia, la tristezza, il dolore e la sofferenza collegati con l’amore o la morte. L’accento principale é dato alla profondità dell’espressione personale; i movimenti danzanti del tronco, delle spalle, delle braccia e delle mani sono tesi e lenti, il ballo si svolge in prevalenza allo stesso posto; il calpestare (zapateado) é minimo. La tensione dei movimenti lenti e seri si alterna con le soste brusche del movimento (ciò è tipico per tutti gli stili del flamenco). Questi balli sono indicati come baile grande, esprimono il momento emotivo più profondo e nel cante hanno un corrispettivo nel cante jondo.

Secondo la serietá del tema e dell’umore delle canzoni i balli sono poi indicati come baile intermedio o baile chico, come avviene con il cante. I balli allegri sono piú dinamici con sequenze più vaste dello zapateado, che nella maggioranza dei casi cresce e finisce con una brusca sosta inattesa. Di seguito si usano, in alta misura, jaleo e palmas (entrambi sono descritti nel capitolo sulla musica). Un supplemento tipico dei balli regionali come sevillanas e fandangos ballati nei porti sono le nacchere (castanuelas). Questi strumenti di percussione digitali di legno hanno origine presuntivamente nella cultura cretese ed erano dapprima fatti da conchiglie. Ora sono di legno, ma la forma delle conchiglie é mantenuta. Oltre al battimano, nacchere e grida, il ballerino é accompagnato anche dallo scoppiettare con le dita (pitos). Questo accompagnamento ritmico é diffuso soprattutto nei balli maschili, dove spesso sostituisce i movimenti rotativi delle mani, tipici del ballo femminile.
Tradizionalmente la differenza tra il baile maschile e femminile era nell’uso del zapateado: il ballo femminile contiene questo elemento solo dai tempi di un personaggio di primo piano del flamenco, tale Carmen Amaya, che ha emancipato il flamenco femminile e ha portato in esso oltre allo zapateado anche movimenti piú forti delle braccia. La qualità del baile, sia delle donne che degli uomini, si valuta secondo duende, gracia, e compás. Duende é un termine molto difficile da tradurre, nel flamenco indica la profondità e la purezza della manifestazione e la capacità di far provare agli spettatori un forte evento emotivo. Gracia è l’eleganza e la grazia del movimento, nei confronti del primo criterio questo riguarda l’estetica del ballo, ma comprende anche la dignità e la maestosità. Il terzo criterio — compás — poi valuta la musicalità dell’interprete del ballo, oppure la capacità di mantenere il ritmo del relativo stile danzante (compás) attraverso le pause difficili durante baile e contratiempo (il sincopato calpestare dei piedi).

Negli ultimi trent’anni il ballo flamenco — a causa dell’ascesa totale della popolarità del flamenco — ha goduto del rinascimento che porta con sé una modernizzazione e differenziazione delle forme e scuole dei balli. Per il flamenco non si viaggia più solo nelle “culle di questo ballo” andaluse, come per esempio a Jerez de la Frontera, Huelva, Granada o Sevilla, ma soprattutto a Madrid o Barcelona, dove agiscono molte stars attuali e innovatori del ballo flamenco. A loro appartengono per es. Joaquín Cortés, Belén Maya, Farruquito e Tomás de Madrid. I personaggi importanti del ballo tradizionale sono per es. Merche Esmeralda, Lola Flores (conosciuta soprattutto come cantaora), Manuela Carrasco e altri.
 
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I VESPRI SICILIANI


Titolo originale Les vêpres siciliennes
Lingua originale francese
Genere Grand Opéra
Musica Giuseppe Verdi
Libretto Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Fonti letterarie Vespri Siciliani
Atti cinque
Epoca di composizione inverno 1852-1855
Prima rappr. 13 giugno 1855
Teatro Opéra, Parigi

Personaggi

Guy de Montfort, governatore di Sicilia (baritono)
Il signore di Béthune, ufficiale francese (basso)
Il conte di Vaudemont, ufficiale francese (basso)
Henri, giovane siciliano (tenore)
Jean Procida, medico siciliano (basso)
Hélène, duchessa sorella del duca Federigo d'Austria (soprano)
Ninetta, sua cameriera (contralto)
Danieli, siciliano (tenore)
Thibault, soldato francese (tenore)
Robert, soldato francese (baritono)
Mainfroid, siciliano (tenore)
Siciliani e siciliane, soldati francesi (coro)


I vespri siciliani (titolo originale: Les vêpres siciliennes) è un Grand Opéra in francese di Giuseppe Verdi. Debuttò all'Opéra di Parigi il 13 giugno 1855. Per il libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier, ispirato alla vicenda storica dei Vespri siciliani, Scribe risistemò quello che aveva scritto per Le duc d'Albe, offerto prima ad Halévy e poi a Donizetti.

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Atto I
L'azione si svolge nel 1282. Mentre i soldati francesi invasori festeggiano in una piazza di Palermo, Elena, duchessa e sorella del duca Federico d'Austria, dichiara espressamente il desiderio di vendicare il fratello, giustiziato l'anno prima. I soldati francesi, per sfregio, la invitano a cantare una canzone siciliana, ed Elena canta un'aria che incita alla rivolta i siciliani. Sta per scoppiare una sommossa, ma l'arrivo del governatore Monforte atterrisce i siciliani.
In quel momento Elena viene raggiunta da Arrigo, giovane siciliano arrestato su ordine di Monforte, ma, inaspettatamente, liberato dal tribunale: anche il giovane esprime il suo odio per il governatore, senza riconoscere Monforte ancora accanto a loro, il quale si svela. Monforte ordina di rimanere solo con il ragazzo, verso cui dimostra uno strano interesse, chiede al giovane informazioni sulla sua vita e sulla sua carriera militare; il francese offre ad Arrigo di diventare ufficiale dell'esercito, ma giovane rifiuta inorridito, e sprezza l'ordine del governatore di star lontano da Elena e dai ribelli siciliani.

Atto II
Giovanni da Procida, patriota siciliano, è appena sbarcato dopo tre anni di assenza, in cerca di alleati contro la Francia per la liberazione della Sicilia. Viene raggiunto dai suoi fedeli alleati, tra i quali Elena ed Arrigo, che discutono con Procida sul modo con cui indurre i Siciliani alla rivolta.
Arrigo rivela il proprio amore ad Elena, la quale confessa di ricambiarlo, ma la donna lo esorta a compiere dapprima la vendetta del fratello. Appaiono i soldati di Monforte che riportano ad Arrigo l'invito di Monforte per al festino che si svolgerà la sera stessa nel suo palazzo; di fronte al rifiuto del ragazzo, i soldati lo portano con la forza dal governatore.
Nel frattempo, si stanno svolgendo i festeggiamenti per il matrimonio di dodici coppie siciliane, tra cui Ninetta, dama di compagnia di Elena; i soldati francesi osservano le ragazze, e, istigati da Procida che cerca in tutti i modi un pretesto per smuovere i cuori impauriti dei siciliani, assaltano il banchetto rapendo le spose. Il popolo siciliano, infuriato e ferito nell'onore, viene spronato da Elena e Procida alla vendetta, mentre da lontano riecheggiano le voci degli invitati al festino di Monforte.

Atto III
Nel suo palazzo, Monforte rilegge una lettera inviatagli da una donna siciliana: costei, rapita e violentata da lui, gli aveva dato un figlio cui, una volta liberata, gli aveva sempre negato di rivedere. Anni dopo, la donna in una lettera gli riscrive, chiedendogli la grazia per il figlio e svelandogli la sua identià: Arrigo, il prigioniero. Monforte, turbato, spera di poter ritrovare in Arrigo l'affetto filiale che gli è sempre mancato: tuttavia il giovane, portato al suo cospetto e informato delle sue origini, si dimostra tutt'altro che entusiasta di scoprire l'identità del padre, conscio di aver perso per sempre l'amore dell'amata.
Durante la festa, nel quale viene allestito un sontuoso balletto, Arrigo si imbatte in Elena e Procida, mascherati tra gli ospiti, che gli confidano che Monforte verrà ucciso seduta stante, mentre fuori è già pronta la rivolta. Arrigo, inorridito, mentre Elena si avventa sul governatore, la disarma per difendere il padre. I cospiratori rimangono attoniti per il tradimento di Arrigo. Elena e Procida vengono rinchiusi in prigione, mentre Monforte e i francesi irridono al dolore dei siciliani ed esultano per l'eroismo di Arrigo.


Atto IV
In carcere, Arrigo ha ottenuto il permesso dal padre di vedere per l'ultima volta Elena. La donna, convocata, gli rinfaccia il tradimento, ma cambia atteggiamento quando Arrigo gli rivela il motivo del suo gesto. Nel frattempo, Procida in carcere riceve la notizia che una nave mandata dal Re d'Aragona, alleato dei siciliani e nemico dei francesi, è in prossimità del porto di Palermo, pronta a dare manforte alla ribellione.
Il momento dell'esecuzione di Elena, Procida e dei siciliani cospiratori si avviicna. Arrigo supplica Monforte di non ucciderli: il padre cede, a patto che Arrigo lo chiami "padre". Arrigo si arrende, e Monforte non solo grazia tutti i condannati, ma gli concede di sposare l'amata Elena: la donna, dubbiosa, per rifiutare, ma Procida, approfittando della situazione favorevole, le intima di tacere.

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Atto V
Tutto è pronto per il matrimonio. Nel giardino del palazzo di Monforte, Elena riceve un'altra visita di Procida, che la informa che la sommossa scoppierà durante la funzione religiosa. La donna, sconvolta, si oppone, divisa tra l'amore della patria e quello verso Arrigo, ma non riesce ad impedire lo svolgimento del piano.
Giunto Arrigo, Elena, pur di annullare le nozze e quindi il compimento della strage, finge di voler rinunciare al matrimonio rinfacciandogli la morte del fratello Federico. L'uomo, disperato, si rivolge al padre che sopraggiunge: Monforte ordina lo svolgimento delle nozze, proprio nel momento in cui la campana del vespro suona, segno dell'inizio della sommossa. Il giardino viene invaso dai siciliani, che si scagliano sui francesi.
 
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view post Posted on 18/4/2023, 13:00     +1   -1
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DANZA CONTEMPORANEA

La danza contemporanea per molti è un grosso calderone in cui tutto ciò che si muove e non è classificabile nei generi del balletto o della danza moderna è chiamato “danza contemporanea”.

Ovviamente non è così.

Le differenze con i generi precedenti sono molte. In primis la danza contemporanea è un mondo in continua evoluzione che, pur avendo tantissime regole e tantissime tecniche da cui attingere, non ha dei codici scritti e stabiliti.

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Inoltre l’arte, la danza o il teatro contemporaneo rispecchiano la società attuale diventando portatori di un messaggio che cresce, si evolve e cambia in base a ciò che circonda una data creazione nel momento della sua nascita. A seconda del luogo e del periodo storico cambiano le tematiche trattate, le regole, il modo di approcciarsi e il linguaggio.

Prima di affrontare il suo aspetto “contemporaneo” cercheremo in tre appuntamenti di dipingere il cammino evolutivo di questo genere attraverso i secoli.

L’Ottocento è il secolo dell’armonia e dell’aristocrazia ed il balletto romantico dell’epoca ne racchiude tutti i valori. Nel 1910 con la morte di Marius Petipà, uno dei coreografi più celebri del mondo classico, il balletto si trasferisce nel Nuovo Continente dove inizia un processo di profondo rinnovamento. L’America, essendo un contenitore di artisti, danzatori, coreografi, compositori e scenografi in pieno fermento culturale, crea non solo “linguaggi nuovi” ma rinnova tutte le forme d’arte permettendo al corpo danzante di formulare nuove riflessioni.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento un gruppo di danzatrici americane Loie Fuller, Ruth St. Denis e Isadora Duncan iniziano a riflettere su alcuni concetti riguardanti la natura del movimento, primo tra i quali il poter danzare liberi da regole accademiche, iniziando così la loro ricerca di individuazione di un motore nel corpo che possa rendere quanto più naturale il movimento del danzatore.

Questo fermento culturale segna la nascita delle principali tecniche della Modern Dance Americana: la tecnica Graham, la tecnica Horton, la tecnica Nikolais, la tecnica Limón e la tecnica Cunningham.

Cosa accumuna tutte queste Tecniche? Tutte hanno un codice, tutte prendono il nome del loro padrino o madrina, tutte hanno cambiato l’approccio al movimento del danzatore che fino ad allora era stato abituato a studiare con una mano alla sbarra.

Ovviamente dobbiamo molto a queste tecniche perché hanno fatto da ponte tra il balletto classico e l’attuale danza contemporanea.

Martha Graham ha portato il danzatore per la prima volta a studiare portando le mani al pavimento, ha individuato nei movimenti di contraction e release i principi della sua tecnica; Lester Horton ha sviluppato una tecnica basata sulla forza, sulla flessibilità e sull’esplorazione dei punti articolari; Jose Limón ha iniziato una ricerca basata sul centro del corpo, sul peso del corpo e sulla forza di gravità; Alwin Nikolais invece ha svuotato il danzatore di tutte le tensioni emotive concentrandosi sul peso, sulla massa e sul volume del corpo.

Il maggiore punto di svolta e anello di congiunzione tra la Modern Dance e la Danza Contemporanea è stato Merce Cunningham che con la sua tecnica ha rivoluzionato le idee di spazio e tempo.

Nel balletto lo spazio viene utilizzato sempre a favore di pubblico, si dà un’estrema importanza al centro della scena, luogo in cui di solito danzano solo solisti o primi ballerini, il corpo di ballo solitamente funge da cornice scenografica e i passi di danza sono creati sulla partizione musicale. Con l’arrivo di Cunningham lo spazio assume un senso democratico, in ogni luogo del palcoscenico può danzare chiunque, si scopre che il danzatore può danzare anche di schiena al pubblico, i gruppi danzano e non fungono più da cornice, la danza smette di essere un’arte a servizio della musica.
La Danza diventa Danza a 360°

Tutti questi coreografi fonderanno le loro compagnie con generazioni di danzatori che col passare degli anni a loro volta si troveranno davanti a due scelte: seguire le orme dei loro maestri oppure fare tesoro degli insegnamenti dei loro maestri e percorrere altre strade.

Il libro di Doris Humprey, The art of making dances del 1958, contiene i primi elementi costitutivi della danza contemporanea, ovvero le motivazioni dalle quali il movimento possa nascere, inerenti l'utilizzo dello spazio scenico e del corpo.

Dai primi anni settanta, le collaborazioni e fusioni tra varie forme artistiche danno vita alle prime performance di danza contemporanea. Tra gli esponendi, Merce Cunningham e il musicista John Cage, Alwin Nikolais mediante sperimentazioni elettroniche al sintetizzatore, e Trisha Brown.

L'introduzione della tecnologia all'interno della creazione coreografica, ha aperto nuove possibilità, in molte creazioni contemporanee vi è infatti interazione con video, software, musica elettronica.

A seconda della storia del territorio in cui la danza contemporanea si sviluppa, la ricerca si concentra su aspetti diversi. Negli Stati Uniti, per esempio, la ricerca si concentra prevalentemente sul corpo, anche per mezzo dello studio dell'effetto dei processi mentali sul movimento.
La compagnia di Merce Cunningham è tra le maggiori iniziatrici della danza contemporanea statunitense. Trisha Brown getta invece le basi per quella che di lì a breve sarebbe stata chiamata release technique. Negli anni 1970, Steve Paxton concepisce invece la contact improvisation.
Nello stesso periodo hanno luogo i primi ”happening”, eventi nei quali musicisti, pittori, danzatori si riunivano in uno spazio per improvvisare insieme.

In Europa, invece, si sviluppa una ricerca che nutre un'attenzione maggiore alla drammatizzazione. Questa attenzione ha dato vita per esempio al Tanztheater della coreografa tedesca Pina Bausch.
In Italia la danza contemporanea si sviluppa principalmente tra la fine degli anni 1970 e la metà degli anni 1980, grazie a Anna Sagna che costituisce a Torino il Gruppo di Danza Contemporanea Bella Hutter (1970), e Elsa Piperno, che fonda con Joseph Fontano il Centro professionale di Danza Contemporanea a Roma (1972). Tra i contributi alla danza contemporanea italiana quello di Carolyn Carlson, che alla direzione del Teatro e Danza La Fenice tra il 1981 e il 1984, ha formato Michele Abbondanza - compagnia Abbondanza/Bertoni; Francesca Bertolli - free lance; Roberto Castello - compagnia Aldes; Roberto Cocconi - compagnia Arearea; Raffaella Giordano e Giorgio Rossi - Associazione Sosta Palmizi.

DANZA JAZZ

La danza jazz è un insieme di vari stili e tecniche di danza non facili da etichettare. Anticamente questo termine indicava una tradizionale danza della comunità afro-americana ma ha preso spunto anche da altre civiltà: ha ereditato il movimento europeo che ha affinato e contribuito all'eleganza nel movimento, e quello africano che ha dato l'impulso ritmico e il fascino primitivo. Questo tipo di danza è perciò considerato un miscuglio di tradizioni africane ed europee.
Il termine "danza jazz" viene usato per descrivere un tipo di movimento in continua evoluzione proprio perché legato ai cambiamenti della cultura: dalle danze sociali degli anni venti allo sviluppo delle danze teatrali, fino ad arrivare ad oggi con l'hip hop e il funky jazz.
I principi della danza jazz sono l'uso dell'energia e l'improvvisazione. È caratterizzata da movimenti ampi molto espressivi, composti di ritmo e controritmo, con intervalli di salti, cadute e rialzate, tensioni e rilassamenti.

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Risulta altamente coreografica ed è stata determinante per lo sviluppo del teatro musicale di Broadway e del genere cinematografico hollywoodiano meglio noto come musical.

La storia della danza jazz comincia con l'importazione della cultura africana in Nord America attraverso il commercio degli schiavi. La conservazione della cultura africana è stata molto ostacolata e i governatori statunitensi non furono indulgenti nei confronti della danza africana e delle sue forme primitive. Le danze praticate nelle piantagioni si basavano sulla tradizione africana, anche se le influenze europee dei proprietari delle piantagioni diedero al movimento un chiaro aspetto americano così che in America le danze africane e le danze europee si sono contaminate a vicenda e poi fuse in un nuovo tipo di danza.
Esistevano molte danze diverse con differenti finalità:
La Calenda era una danza ricreativa, accompagnata da un battito ritmico di tamburi, dove una linea di uomini si contrapponeva ad una linea di donne.
Le danze sacre erano basate sull'adorazione delle divinità per "possederla", in modo che essa parlasse attraverso il danzatore. Queste ultime erano proibite per l'atteggiamento ostile della chiesa protestante verso la danza, ritenuta immorale e peccaminosa.
In occasioni speciali - funerali, matrimoni, feste natalizie o del sabato sera - le danze erano imitative' perché emulavano il movimento degli animali.
Molto importanti erano anche le danze competitive con cui gli schiavi neri intrattenevano i proprietari bianchi delle piantagioni esibendosi in prodezze inaudite.

Ecco perché quando si parla di danza jazz, si deve parlare di danza “afro-americana” o "indigena americana", a differenza delle danze nell'India Occidentale, dove ancora oggi sono eseguite mantenendo intatto l'aspetto originario.
 
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view post Posted on 18/4/2023, 13:09     +1   -1
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CERTIFICAZIONE INSEGNANTI DANZA

Articolo di Irene Romano

Tante e quasi infinite le discussioni sul fatto che la Danza non è uno sport e che il danzatore (soprattutto se di stile classico o contemporaneo) è un artista e non uno sportivo.

Ma mettiamo da parte l'aspetto estetico/artistico
e chiediamoci: "cos'è la Danza per la legge italiana?"

La Costituzione Italiana con l'articolo 33 dice:
"L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento".
Ma si parla di arte in generale.
Si intende quindi danzatori intesi come artisti praticanti.

E gli insegnanti?
Coloro che devono intervenire fisicamente sul corpo degli allievi, è giusto che ci sia libertà per loro?

Possono praticare senza alcun controllo sulla loro preparazione?
NO, non è così.
Sono infatti in vigore delle leggi statali e regionali che hanno messo alcuni paletti ... paletti però poco chiari tra loro.

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Innanzitutto, è basilare ricordare che attualmente solo il diploma rilasciato dall'Accademia Nazionale di Danza (con esame di Stato in sede a Roma) ha totale valore nazionale che così certifica pienamente la preparazione di danzatori ed insegnanti.
Nemmeno la scuola di ballo del Teatro alla Scala ha pari valore.

E le altre certificazioni insegnanti?
Ecco, da qui in poi la situazione è complicata ...

L'Accademia del prestigioso e ben noto Teatro alla Scala propone 2 percorsi:
- accademia per danzatori (percorso studi professionale dagli 11 ai 18 anni con diploma di "danza classica accademica e danza moderna contemporanea") con diploma "di prestigio" del Teatro alla Scala.
- corso insegnanti (biennio teorico e pratico per diventare insegnanti di danza classico accademica con praticantato in accademia) con certificato di competenza rilasciato da Regione Lombardia.

Le A.S.D. (Associazioni Sportive Dilettantistiche) devono avere insegnanti-istruttori certificati CONI (cioè certificazioni rilasciate da enti di promozione sportiva o federazioni riconosciute dal CONI), secondo la legge di Regione Lombardia del 1 ottobre 2014, n. 26 - Art. 9
Assistenza nelle attività sportive e tutela del praticante che dice:
" 2. Sono considerati istruttori qualificati i soggetti in possesso di diploma rilasciato dall'Istituto superiore di educazione fisica (ISEF) o di laurea in scienze motorie (...) o in possesso di titoli di studio equipollenti conseguiti all'estero e riconosciuti dallo Stato italiano.
3. Sono considerati istruttori di specifica disciplina i soggetti in possesso di abilitazione rilasciata dalle federazioni sportive nazionali o dagli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI e dal CIP. "
Quindi si richiede di essere in regola con gli esami CONI in base alla disciplina ed al livello di preparazione.
Molti insegnanti coreutici però non nutrono stima in questo tipo di certificazione, spesso definita "troppo superficiale" con corsi di aggiornamento poco approfonditi e una preparazione finale non adatta alle realtà coreutica.

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Per poter lavorare nei Licei Coreutici (istituiti a numero chiuso a cui si accede solo con esame di ammissione) i docenti possono essere solo insegnanti diplomati presso l'Accademia Nazionale.

Le Scuole Danza SRL (Società a Responsabilità Limitata), a discrezione della direzione artistica, possono avere insegnanti di grande esperienza professionale ed artistica ma senza alcun obbligo di certificazione.
Possono quindi esserci scuole SRL con ottimi insegnanti di chiara fama ma anche strutture con un corpo insegnanti senza alcuna esperienza preparatoria.

E la R.A.D.?
Ci sono in Italia anche certificazioni molto note tra cui, ad esempio, la certificazione inglese R.A.D. (Royal Academy of Dance), percorso di studi suddiviso in esami annuali; occorrono minimo 7 anni per diventare un insegnante RAD certificato ma anche questo diploma è senza valore per la legge italiana.
A questi, ogni anno, si aggiungono nuovi tipi di certificazioni ma che comunque continuano a non avere valore statale.

Quindi la domanda che nasce in me è una sola: perchè tutte queste differenze?
Possibile che non ci sia modo di fare una sola ed unica regolamentazione delle tante scuole di danza italiane?
A parere personale, penso che sia difficile mettere insieme le tante scuole sparse in tutta la penisola e pensare ad un progetto concreto di omologazione perchè vedo spesso che è difficile farle comunicare tra loro.
Al momento, ognuno coltiva solo il proprio orticello.
Visto che lo stato non detta una legge definitiva, è la scuola di danza privata che sceglie se sarà un orto biologico o ... di plastica!

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Le regole del CONI
Ricordiamo che, all'affermazione-polemica di molti "La Danza NON è uno Sport"
è però anche vero che molte scuole di Danza sono registrate come "Associazioni Sportive Dilettantistiche" per poter utilizzare al meglio le agevolazioni fiscali e quindi, di conseguenza, devono stare alle regolamentazioni regionali delle federazioni CONI che già prevedono una serie di esami per essere un docente-istruttore in regola.


NOTA DI LUCE: avendo io studiato danza per oltre vent’anni e cambiato varie scuole e vari metodi, posso dire cosa ne penso. Io ho sempre amato il metodo Vaganova citato nel post sopra e col quale posso veramente dire di aver imparato molto.
Il metodo Cecchetti l’ho trovato terribile se non deprimente, e mi è stato detto che negli anni è stato letteralmente stravolto da come era stato progettato dal Maestro.
Movimenti rigidi, programma di studio arretrato e questi esami che si fanno ogni anno, alla fin fine servono ben poco. Non si fa altro che studiare sempre le stesse cose (sbarra e centro), per poi essere esaminati da un’insegnante inglese che viene apposta in Italia per dare un voto (cosa alquanto dispendiosa, oltre che inutile). Quando non si cambiano spesso le esecuzioni degli esercizi durante l’anno di studio, non si ha poi modo di sviluppare l’elasticità mentale che è cosa fondamentale di ogni ballerino per memorizzare subito le varie coreografie.


Un’altra cosa che ho notato nel corso degli anni che seguivo questo metodo: l’insegnante promuove un certo numero di allieve, le quali senza che ne abbiano le vere capacità o esperienza, possono insegnare alle altre di pari livello o quasi. Si crea quindi una qualità molto bassa, con l’aggravante che se una viene improvvisata come tua maestra, si crea poi un conflitto di superiorità veramente fastidioso.
Alterigia, supponenza, modi saccenti e altro, sono tutte cose sbagliate nei confronti di chi dirige i corsi e delle stesse allieve. Quando ho abbandonato il tutto, sono stata contenta e ho imparato molto di più.


I miei inizi furono infatti con dei ballerini russi, quindi si ballava per davvero: poi smisero e io cercai altri posti dove andare e conobbi purtroppo il metodo inglese-Cecchetti.
Da tanto non mi piaceva, ero arrivata al punto di credere che danza non mi piacesse più, ma non era così, ero solo un fatto di “sistema”, come ho avuto modo di capire con l’esperienza.


E' davvero cosa terribile dare l'incarico a delle allieve totalmente prive di una qualsiasi esperienza sull'insegnamento. E il carico da 90 è che si sentono delle dive, danno ordini, ti dicono di non fare questo e quello (sono al tuo stesso livello, ricordiamolo!)

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La danza classica è uno schema rigoroso e imprescindibile per chiunque voglia conoscere davvero a fondo l'arte del movimento.
Disciplina, impegno, dedizione e costanza: la danza classica richiede duro lavoro ma la soddisfazione del balletto è impagabile. I bambini vi si dedicano con trasporto perché, ancora oggi, diventare ballerini è un sogno pieno di grazia e bellezza.

Il Balletto, inteso come forma teatrale in cui il linguaggio della danza si unisce a quello della musica e a quello delle arti figurative, trae la sua origine dagli intermezzi che si tenevano tra una portata e l’altra durante i banchetti di corte. Questa danza, divenuta sempre meno improvvisata e sempre più codificata nei “passi base” si fuse con alcuni elementi della danza “popolare” e venne elaborata dapprima in Italia e poi in Francia, codificandosi definitamente nel corso del Settecento.
La terminologia francese risale al Settecento, quando Beauchamps, maestro di ballo dell’Académie de Musique et de Danse, codificò i passi della tecnica accademica.

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Il balletto classico nasce dall’unione del libretto (ovvero la storia che si svolge sul palco) e della coreografia che lo accompagna.
La condivisione della struttura coreografica con i musicisti consente di creare lo schema del balletto per come lo conosciamo.
La maggior parte dei balletti si compone di quattro parti principali:
adagio
variazione femminile
variazione maschile
grande allegro

così che tutti i soggetti coinvolti siano in grado di mostrare veramente il loro talento.
Come ovvio che sia, a partire dalla nascita di un nuovo “codice” si crearono differenze stilistiche fra le principali scuole: Francia, Russia, Inghilterra, Danimarca e Italia furono i paesi in cui il balletto trovò spazio all’interno dei grandi teatri.
Anche se i metodi variavano e gli stili si definivano il vocabolario e i passi di base restavano comuni a tutte le scuole.
Il balletto classico in genere si concentra sulla ballerina con l'esclusione di quasi tutto il resto focalizzando l’attenzione sul lavoro sulle punte e sulla tecnica. Da un lato dunque una tecnica specifica, rigorosa, che plasma il fisico, dall’altra un’ispirazione molto soggettiva che carica di spontaneità il movimento.

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Dai 4 agli 8 anni i bambini possono seguire un corso che predisponga il corpo alla tecnica accademica con una preparazione specifica che viene detta “propedeutica”. E' con la ginnastica propedeutica che si educa il bambino al movimento senza forzarlo in posizioni rigide assolutamente sconsigliate a una fase di crescita così delicata.
Una lezione (o classe) di danza classica inizia con degli esercizi alla sbarra (plié, battement tendu, jeté) che vengono poi riproposti al centro, senza il supporto della sbarra e con un fine più espressamente coreografico: al centro si studiano le basi dei giri e le “tenute”. I giri (pirouettes) e molti dei passi si studiano anche nella cosiddetta “diagonale” in cui il ballerino esegue dei giri o dei passi in sequenza attraversando in diagonale la sala della lezione.

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Tutti i passi della danza classica (sono centinaia) vengono assemblati in infinite combinazioni che seguono una logica tecnica ed artistica.
 
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MALVAGITA’ E AMORE: le drammatiche sorti delle grandi ballerine russe


Anna Pavlova

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Minuta e graziosa, esile, impavida: la grande prima ballerina del teatro Mariinskij, Anna Pavlova, è entrata nella storia della danza come pioniera e riformatrice. Quella che poi sarebbe diventata una stella internazionale nacque a San Pietroburgo nel 1881. Anna decise di diventare una ballerina a otto anni quando per la prima volta le capitò di vedere “La bella addormentata”. A dieci anni fu mandata alla Scuola dei Balletti Imperiali, dove fu presa nella compagnia del Mariinskij. Alla giovanissima ballerina furono fin da subito assegnati ruoli di responsabilità e già nel 1906 divenne la prima ballerina del teatro. La collaborazione con Michail Fokin influenzò notevolmente la sua carriera. Il coreografo aveva studiato nel corso precedente a quello della Pavlova e in una delle sue prime messe in scena “Vinogradnaja loza” ballò il pas de deux con Anna.
In seguito iniziò ad allestire numeri in maniera speciale solo per lei. Nel balletto “Evnika” vi era la “Danza dei sette veli”, in “Notti d’Egitto” la “Danza del serpente”, in cui la Pavlova dovette esibirsi tenendo fra le mani un rettile vivo. Il desiderio riformatore di Fokin non poteva non adattarsi meglio al carattere audace della Pavlova. Lei rispondeva con prontezza al suo appello di rifiutare movimenti e combinazioni preconfezionate e di imporsi sulla scena. L’apice della loro attività artistica congiunta fu toccato dalla miniatura “La morte del cigno”. La messa in scena fece furore e per lungo tempo divenne il simbolo del balletto russo. I migliori ballerini al mondo provarono a ripetere la magistrale danza della Pavlova, ma a riuscirci fu solo un’altra grande connazionale, Majja Pliseckaja.

Galina Ulanova

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Detentrice del premio Anna Pavlova e di una grande quantità di riconoscimenti internazionali, la prima ballerina del Mariinskij e del Bol’šoj, Galina Ulanova, nacque in una famiglia di ballerini, ma sognava il mare, amava vestirsi alla marinara, nuotare e andare a pesca con il padre. Nel frattempo fu mandata all’accademia di coreografia, dove la sua insegnante fu sua madre, Maria Romanova, e in seguito la fondatrice della scuola del balletto russo Agrippina Vaganova. A diciannove anni Ulanova già ballava Odette-Odile ne “Il lago dei cigni”. Dal 1930 Galina si esibì in coppia con l’esimio ballerino Konstantin Sergeevyj. Per quasi dieci anni il loro duetto, col tempo trasformatosi in un sentimento profondo, fu un modello con il quale si confrontarono i ballerini di entrambe le capitali, ma si distrusse con il passaggio dell’Ulanova al Bol’šoj. Il ruolo di Giselle è considerato l’apice dell’attività da solista dell’Ulanova. Secondo i ricordi dei suoi contemporanei, nella sua esibizione la scena della pazzia faceva piangere persino gli uomini. Il talento tragico dell’Ulanova fu reso noto al mondo con la tournée londinese del Bol’šoj teatr del 1956. La capitale britannica applaudì la sua Giselle e la sua Giulietta, i critici occidentali la nominarono la più grande ballerina dai tempi della Pavlova. Il balletto fu la sua vita. Nonostante i tre matrimoni, l’Ulanova non ebbe figli e si diede all’insegnamento. Fino alla fine della sua vita la ballerina iniziava al mattino con le sue lezioni e persino in veneranda età pesava 49 kg.

Ol’ga Lepešinskaja

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“Ragazza-libellula”, la ballerina più titolata dell’Unione Sovietica, la preferita dal pubblico e da Stalin. Ol’ga Lepešinskaja nacque in una famiglia di ingegneri e i genitori speravano che la figlia seguisse le loro orme, ma la passione per la danza si dimostrò più forte degli obblighi da figlia. Ol’ga si iscrisse alla scuola di danza del Bol’šoj e dai 18 anni in poi ne fu la stella. I critici subito notarono la tecnica precisissima della giovane danzatrice e il suo vivo temperamento. Il talento permise alla Lepešinskaja di assumersi con leggerezza i ruoli classici di Kitri nel “Don Chisciotte” e Aurora ne “La bella addormentata”, ma anche le coreografie contemporanee come Gianna ne “La fiamma di Parigi”, Tao Choa in “Papavero rosso”. A vent’anni ricevette il primo riconoscimento e passarono quasi vent’anni prima della fine della sua carriera. La ballerina, che non soffriva “della malattia delle stelle” e aveva verso di sé un atteggiamento sempre molto critico, durante la Seconda guerra mondiale insignì i soldati al fronte con onorificenze. I suoi ruoli più brillanti dopo la guerra furono Assol’ in “Vele scarlatte” e “Cenerentola”. Purtroppo la sua vita privata non fu così serena come quella delle sue eroine sulla scena. Non ebbe figli e fu veramente felice solo il suo terzo matrimonio con il generale Aleksej Antonovyj. Nel 1962 lo sposo morì improvvisamente e la Lepešinskaja perse quasi la vista dal dolore. Concluse la sua carriera e fino alla fine della sua vita si occupò di insegnamento, principalmente all’estero.

Majja Pliseckaja

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Una Carmen fiammeggiante, la rappresentante della famosa dinastia del balletto del XX secolo Messerer-Plisecki, la moglie del compositore Rodion Šedrin. In sorte per Majja Pliseckaja ci furono pesanti sofferenze. Il padre della ballerina fu fucilato nel 1937, la mamma con il fratello neonato finì in un lager per donne “traditrici della patria”. A salvare la ragazzina dodicenne dalla casa natale fu la zia, ballerina del Bol’šoj, Sulamif’ Messerer. Lo zio, il ballerino e coreografo Asaf Messerer, si occupò dell’educazione di un secondo fratello della Pliseckaja. Nel pieno della guerra Majja terminò l’accademia di coreografia e fu accettata nella compagnia del teatro Bol’šoj. L’esperienza drammatica della Pliseckaja si riflesse nei personaggi tragici che portò sulla scena. Si distingueva l’incredibile talento artistico, la fine ed espressiva plasticità, il passo leggero, mentre la musicalità assoluta e l’irripetibile salto ad “anello” la rendevano un’icona del balletto di tutto il mondo. Dopo l’uscita di Galina Ulanova, la Pliseckaja divenne la prima ballerina del Bol’šoj e si esibì in un importante ruolo femminile dopo l’altro: “Il lago dei cigni”, “Fiore di pietra”, “Le Spectre de la rose”, “Raimonda”, “Romeo e Giulietta”, “Isadora”, “Leda”, “La pazza di Chaillot” e, ovviamente, l’impagabile suite della “Carmen”. Pliseckaja, non temendo gli esperimenti, si esibì nel ruolo di coreografa. Sotto la direzione della Pliseckaja furono messi in scena al Bol’šoj dei balletti di suo marito “Anna Karenina”, “Il gabbiano” e “Dama con cagnolino”. Persino dopo il congedo dal teatro all’età di 65 anni, continuò a danzare e a settant’anni debuttò nell’Ave Maria messa in scena da Maurice Bejart.

Ljudmila Semenjaka

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Alunna dell’Accademia Vaganova, l’impagabile Ljudmila Semenjaka debuttò ne “Lo schiaccianoci” sulla scena del Mariinski all’età di dodici anni. Subito la talentuosa ragazzina fu notata. Il coreografo la invitò al Bol’šoj dove Galina Ulanova divenne la sua istruttrice. Bisogna ricordare che la giovane ballerina capitò nella classe dello zio di Majja Pliseckaja, Asaf Messerer, e nel 1976 vinse il premio Anna Pavlova dell’Accademia di danza di Parigi. Il suo stile è chiamato il belcanto del balletto per la leggerezza e la grande tecnica con cui si esibì in difficilissimi passaggi coreografici. Questa naturalezza insieme con l’irreprensibile corporatura e l’eccellente accademismo pietroburghese rese la Semenjaka un’evidente prima ballerina. In 27 anni di servizio al Bol’šoj si esibì, infatti, in tutto il repertorio classico: “Lago dei cigni”, “Giselle”, “Romeo e Giulietta”, “Il secolo d’oro”, “Bajadère”, “Machbet”, “La bella addormentata”. Tra i suoi partner ci furono Michail Baryšnikov, Maris Liepa, Aleksandr Godunov, Vladimir Vasil’ev e altre stelle del balletto. Concluse la sua carriera artistica nel 1997 ma continuò a lavorare al Bol’šoj in qualità di insegnante. Portano la sua firma anche alcune messe in scena indipendenti di danza classica e alcuni ruoli negli spettacoli drammatici della “Škola sovremmenoj p’esy”.
 
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AGRIPPINA VAGANOVA

Agrippina Jakovlevna Vaganova - San Pietroburgo, 26 giugno 1879 – Leningrado, 5 novembre 1951) è stata una ballerina, coreografa e didatta sovietica.

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Ha sviluppato un metodo di insegnamento, chiamato appunto il metodo Vaganova, derivato dall'analisi del metodo e della tecnica della vecchia Scuola Imperiale di Balletto nel periodo di massimo splendore sotto la guida del grande maître de ballet Marius Petipa.

Vaganova perfezionò e sistematizzò questo metodo di insegnare l'arte del balletto classico in un programma di enorme saggezza. Il suo libro, I principi fondamentali della danza classica, pubblicato a San Pietroburgo (allora Leningrado) nel 1934, rimane un libro di testo importantissimo contenente le istruzioni per la tecnica del balletto.

Tutta la vita della Vaganova fu legata al Balletto Imperiale, in seguito Kirov Ballet, ora Mariinskij Ballet, di San Pietroburgo. Figlia di un usciere del Teatro Mariinskij, venne accettata nella scuola del Balletto Imperiale, la grande istituzione fondata da Anna di Russia nel 1738 e finanziata dallo zar. Si diplomò alla Classe de Perfection guidata dalla ex - Prima Ballerina Evgenija Sokolova. Come insegnanti ebbe anche Ekaterina Vazem, Enrico Cecchetti, Christian Johansson, Pavel Gerdt, Lev Ivanov e Nikolaj Legat. Per la studentessa Vaganova, all'inizio, l'arte del balletto costò fatica poiché il movimento non le riusciva molto naturale ma lentamente, con impegno e forza di volontà, riuscì ad entrare nella compagnia del Balletto Imperiale.

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Anche se arrivò al titolo di "Prima Ballerina" solo un anno prima del suo ritiro, la Vaganova diventò ugualmente famosa tra i ballettomani di San Pietroburgo come la regina delle variazioni per il virtuosismo illimitato e l'alto livello tecnico. È interessante notare che il vecchio Maestro Petipa non era molto attratto dalla danzatrice, anzi i suoi commenti nei diari sulle performance di Agrippina erano spesso sottolineati da aggettivi quali "terribile" o "spaventosa".

Nel 1917 si ritirò dalle scene e iniziò ad insegnare al chortechnikum, il nome con il quale veniva chiamata la scuola del Balletto Imperiale. Anche se aveva avuto una carriera rispettabile come ballerina, fu attraverso la padronanza dell'insegnamento della danza classica che avrà sempre un posto di tutto rispetto nella storia del balletto. La battaglia continua in gioventù per decifrare la tecnica del balletto le aveva insegnato moltissimo e i suoi studenti diventarono leggende della danza. Dopo la Rivoluzione d'Ottobre il futuro del balletto in Russia sembrava difficile ma Vaganova "lottò con le unghie e con i denti" per la sopravvivenza di quest'arte che amava così tanto e per la preservazione dell'eredità di Marius Petipa. Nel 1934 diventò direttore del chortechnikum, la scuola che ora porta il suo nome - l'Accademia di Balletto Vaganova.
Tomba di A.Vaganova al cimitero Novo-Volkovskoie di San Pietroburgo

Tra gli allievi della Vaganova ricordiamo le ballerine sovietiche Natal'ja Dudinskaja, Marina Semёnova, Galina Ulanova e Ol'ga Lepešinskaja . Il suo insegnamento cercava di combinare lo stile elegante e raffinato del Balletto Imperiale che aveva imparato da maestri quali Enrico Cecchetti con una danza più atletica e vigorosa tipica dello spirito dell'Unione Sovietica. Nel 1933 allestì e coreografò la celebre versione de Il lago dei cigni con la Ulanova nella parte di Odette-Odile.

Alcuni dei graduati dell'Accademia Vaganova sono tra le più alte personalità del balletto. Basti citare Rudolf Nureyev, Irina Kolpakova, Michail Baryšnikov, Natal'ja Makarova, Jurij Solov'ëv, Altynai Asylmuratova, Diana Višnëva e Svetlana Zakharova.

Agrippina Yakovlevna Vaganova (1879-1951) è stata maestra di coreografia, riconosciuta come artista dall’Unione Sovietica, ha insegnato danza classica presso la scuola statale di San Pietroburgo che oggi porta il nome di Accademia Vaganova.

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La vita creativa di Vaganova può essere divisa in due momenti ben distinti. Il primo la vede impegnata sulla scena come ballerina di danza classica, brillante danzatrice del Teatro Maryinsky, famosa per essere “la regina delle variazioni”. Nonostante questo, ottenne il titolo di Prima Ballerina solamente un anno prima del suo ritiro dal palcoscenico, nel 1916, lasciandole una profonda amarezza. Vaganova cominciò una riflessione molto critica sulla propria tecnica come ballerina di danza classica, arrivando alla conclusione dell’inadeguatezza del proprio stile. Questa prima conclusione derivò da un attento confronto fra i due sistemi di insegnamento della danza classica che si utilizzavano in Russia alla fine del XIX secolo, vale a dire le scuole di danza conosciute come Scuola Francese e Scuola Italiana. Le tradizionali lezioni della scuola francese sviluppavano eleganza e morbidezza ma anche movimenti artificiali e pomposi. La scuola italiana di Enrico Cecchetti formava ballerini di danza classica dall’eccezionale tecnica, in grado di eseguire giri dinamici, con una grande forza di gambe e piedi e un equilibrio impressionante. Il metodo Cecchetti inoltre prevedeva un programma di studio ben preciso, suddiviso in lezioni. Nonostante il profondo rispetto verso la scuola italiana, Vaganova riteneva che i movimenti dei ballerini fossero troppo spigolosi, le gambe troppo poco tese in generale e troppo rigide nei salti.

Il secondo periodo della vita creativa di Vaganova comincia subito dopo la rivoluzione. Nel 1918, Vaganova iniziò a insegnare danza classica presso la scuola statale di San Pietroburgo. Il metodo Vaganova prese forma negli anni ’20 come connubio tra la scuola francese e quella italiana. Dieci anni più tardi apparve sulla scena del teatro russo una generazione di danzatori nuovi, con una tecnica eccezionale e un’incredibile morbidezza, tutti allievi di Vaganova. Il metodo Vaganova fu riconosciuto grazie a queste esibizioni sorprendenti. Negli anni ’30 Vaganova mise in scena i grandi balletti di danza classica tra i quali la famosa versione de “Il lago dei cigni” nel 1933 e “Esmeralda” nel 1935.
 
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CARLOTTA GRISI

Caronne Adele Giuseppina Maria Grisi (Visinada, 28 giugno 1819 – St. Jean, Ginevra, 20 maggio 1899) è stata una ballerina italiana, cugina del celebre mezzosoprano Giuditta Grisi e del soprano Giulia Grisi.

Fu una delle più grandi ballerine dell'era romantica, col nome d'arte Carlotta Grisi

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Nata in Istria in una famiglia di cantanti, anche se dotata di una buona voce decise di dedicarsi allo studio della danza.

Entrò alla scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano a soli 7 anni e già a 10 anni ballava nel corpo di ballo. Maestro della Grisi fu Carlo Blasis, il cui insegnamento costantemente trasparirà nel suo stile, nonostante la successiva influenza del coreografo e ballerino Jules Perrot. Fu una delle ballerine più dotate dell'Ottocento, fornita di una saldissima tecnica della punta.

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Durante una tournée con la compagnia del Teatro alla Scala, la sua carriera prese una svolta decisiva: a Napoli, nel 1833, incontrò Jules Perrot famosissimo ballerino e coreografo del tempo. Perrot notò la giovanissima ballerina, ne intuì le doti e divenne il suo maestro e il suo amante.

Carlotta danzò a Parigi nel 1836 e nel 1837 ma fu davvero apprezzata solo nel 1840 quando danzò con Perrot le danze di carattere dell'opera Zingaro.

Nel 1841 le proposero il tanto agognato contratto con l'Opéra di Parigi ma lei costrinse il teatro ad accettare la clausola che doveva essere assunto anche il suo amato Perrot. Fu così che nacque il capolavoro del balletto romantico: Giselle.

Per questo balletto, infatti, la coreografia era stata assegnata all'allora maître de ballet dell'Opéra, Jean Coralli, ma le parti dedicate alla protagonista furono coreografate dal suo compagno Perrot.
Théophile Gautier, autore del libretto del balletto, si innamorò di lei ma alla fine si decise a sposare la sorella.

Negli anni seguenti la Grisi creò i ruoli della ballerina ne La Jolie Fille de Gand di Albert (1842), La Péri (memorabili il pas de l'abeille e il pas du songe) di Jean Coralli (1843), La Esmeralda (1844), Pas de Quatre (1845) e La Filleule des Fées (1849) tutti di Perrot e Le Diable à quatre (1845), Paquita (1846) e Grisélidis (1848) tutti di Joseph Mazilier. Fece il suo debutto a Londra nel 1836 e vi ritornò regolarmente tra il 1842 e il 1851.

Danzò anche a Vienna, Milano, Monaco e San Pietroburgo.
Il suo ultimo balletto fu Les Metamorphoses.

Si ritirò nel 1854 e visse dal 1856 per 43 anni una ricca pensione nella sontuosa villa Saint-Jean nei pressi di Ginevra dove finì i suoi giorni. Fu inumata nel cimitero della Chatelaine di Ginevra.
 
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ANNA PAVLOVA

Anna Matveyevna Pavlova in russo: Анна Матвеевна Павлова (San Pietroburgo, 12 febbraio 1881 – L'Aia, 23 gennaio 1931) è stata una ballerina russa.
Fu una delle ballerine più famose degli inizi del XX secolo.
A lei è dedicata la torta omonima, creata in occasione di una sua tournée in Australia e Nuova Zelanda.

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Nata da una povera famiglia di contadini, quando aveva otto anni venne portata dalla madre a teatro a vedere una rappresentazione de La bella addormentata e lì la Pavlova capì che voleva diventare una ballerina. Due anni più tardi, a 10 anni, fece l'audizione per entrare alla Scuola dei Balletti Imperiali, venne accettata e vi rimase fino al diploma che ottenne ai 18 anni.
Il primo balletto nel quale danzò fu un Pas de Trois ne La Fille Mal Gardée al Teatro Mariinskij.
Non danzò mai nel corpo di ballo. Tra i suoi maestri si ricorda soprattutto Enrico Cecchetti.
Nei primi anni dei Balletti russi lavorò per Serge Diaghilev danzando con Vaslav Nijinsky prima di fondare la sua compagnia ed esibirsi in tutto il mondo. La Pavlova può essere considerata una specie di ambasciatrice della danza poiché fino ai 50 anni ha danzato in ogni teatro del mondo, portando la danza in posti nei quali non era mai arrivata.
Cambiò per sempre l'ideale della ballerina. Alla fine dell'Ottocento, le ballerine al Mariinsky dovevano essere forti tecnicamente e questo in genere significava avere un corpo compatto, muscoloso e forte. La Pavlova era magra, di aspetto delicato ed eterea, perfetta per ruoli romantici come quello di Giselle. Aveva uno splendido collo del piede, il che voleva dire che il suo piede era estremamente delicato. Per questo motivo rafforzò le scarpe da punta aggiungendo un pezzo di cuoio sulla suola per avere maggior sostegno e appiattendo la mascherina della scarpa. Questi accorgimenti furono considerati da molti una specie di "truffa" e così la Pavlova fece ritoccare tutte le sue foto per non mettere in evidenza le sue scarpe da punta. Da qui però si può far risalire l'inizio della scarpa da punta moderna, meno dolorosa e più facile da usare per chi ha i piedi eccessivamente arcuati.

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La Pavlova è famosa soprattutto per l'esibizione ne La morte del cigno coreografato per lei da Michel Fokine, su musica tratta da Il carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns. È stato senz'altro il cavallo di battaglia della grande ballerina.
La morte del cigno (originariamente Il cigno) è un balletto di Michel Fokine su un pezzo di Camille Saint-Saëns, il cigno da Il carnevale degli animali, composto nel 1901 appositamente per Anna Pavlova e messo in scena per la prima volta nel 1905 a San Pietroburgo. Da allora il balletto ha influenzato le moderne interpretazioni di Odette ne Il lago dei cigni di Čajkovskij e ha ispirato varie interpretazioni, anche non fedeli alla trama originale, come variazioni del finale trasformato da lieto in tragico.

Ispirata da alcuni cigni che aveva visto nei parchi pubblici e dal poema di Lord Tennyson The Swan Dying, Anna Pavlova, che era appena diventata prima ballerina del Balletto Mariinskij, chiese a Fokine di creare un balletto da solista appositamente per lei per il concerto che veniva presentato nel 1905 presso il Teatro Mariinskij. Il balletto riscosse un enorme successo e fu eseguito dalla Pavlova migliaia di volte. La morte del Cigno divenne così il simbolo del nuovo balletto russo. Era una combinazione di tecnica ed espressività che coinvolgeva tutto il corpo, non solo gli arti, un esempio di come la danza poteva soddisfare non solo l'aspetto visivo, ma penetrare anche nell'anima, generando emozioni e immaginazione.
Il titolo originario del balletto era Il Cigno ma in seguito, grazie alla intensa e drammatica interpretazione tremula della Pavlova, fu chiamato La morte del cigno.
Morì di pleurite a L'Aia, mentre rientrava da una vacanza e si apprestava ad affrontare una nuova tournée. Il treno che la portava a destinazione si fermò per un incidente, e la Pavlova, che indossava solo un leggero cappotto sopra un vestito di seta, camminò nella neve lungo i binari per vedere cosa fosse successo. Questo la fece ammalare e le fu fatale. Il decesso avvenne il 23 gennaio 1931, pochi giorni prima del cinquantesimo compleanno. La sua ultima richiesta fu di tenere in mano il suo costume da scena del Cigno. Seguendo le tradizioni del balletto, il giorno della successiva rappresentazione, lo spettacolo andò in scena regolarmente con un unico faro seguipersona che si muoveva, illuminando un palco vuoto, nei posti dove avrebbe dovuto essere la ballerina.
Venne cremata e i suoi resti furono sepolti a Londra: saranno poi trasferiti nel 2001 al cimitero del Convento di Novodevičij di Mosca.
 
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view post Posted on 18/4/2023, 14:23     +1   -1
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OLGA SPESSIVTSEVA


Olga Alexandrovna Spessivtseva (in russo: Ольга Алекса́ндровна Спеси́вцева; 18 luglio 1895 – 16 settembre 1991) è stata una ballerina russa la cui carriera teatrale è durata dal 1913 al 1939.

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È stata una delle più belle prima ballerine del ventesimo secolo. Aveva l'eccellente tecnica classica, lo stile immacolato e la spiritualità scenica che sono considerate l'incarnazione della ballerina romantica.

Olga Spessivtseva è nata a Rostov-on-Don, figlia di un cantante d'opera e di sua moglie.
Dopo la morte del padre, fu mandata in un orfanotrofio con legami teatrali a San Pietroburgo, un centro di cultura. Entrò all'Accademia di balletto imperiale di San Pietroburgo nel 1906, dove fu allieva di Klavdia Kulichevskaya e successivamente di Yevgenia Sokolova e Agrippina Vaganova.
Dopo essersi diplomata nel 1913, entrò a far parte della compagnia del Teatro Mariinsky, dove fu promossa a solista nel 1916. Squisita ballerina romantica con una tecnica perfetta, ideale per ruoli come Giselle e Odette-Odile nel Lago dei cigni, divenne rapidamente una delle ballerine più ammirati della compagnia.

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Nel 1916, Sergei Diaghilev la invitò a fare una tournée con i Ballets Russes negli Stati Uniti, dove ballò con Vaslav Nijinsky in Le Spectre de la Rose, Les Sylphides e il "Bluebird pas de deux" di La bella addormentata nel bosco. Nel 1918 tornò al Mariinsky, ribattezzato Teatro dell'Opera e del Balletto di Pietrogrado dopo la rivoluzione russa del 1917.
È stata promossa al grado di ballerina. A quel tempo era quasi sconosciuta in Occidente.

Continuò ad esibirsi con i Ballets Russes all'estero, ballando "Aurora" nel famoso The Sleeping Princess di Diaghilev a Londra nel 1921, e al Teatro Colón di Buenos Aires nel 1923. Con l'aiuto del suo ex marito Boris Kaplun, un funzionario bolscevico e amante delle arti, lasciò la Russia per l'ultima volta nel 1924. Aveva accettato un invito a ballare come étoile (prima ballerina) al Balletto dell'Opera di Parigi, dove rimase fino al 1932. Durante quel periodo mantenne la sua relazione con i Balletti Russi. Nel 1932 fece un'altra storica apparizione come ospite a Londra, ballando con GiselleAnton Dolin del Royal Ballet. Dal 1932 al 1937 fece tournée con numerose compagnie in tutto il mondo, interpretando ruoli sia del repertorio classico che di balletti contemporanei di coreografi come Michel Fokine e Bronislava Nijinska. Quando ballava all'estero, veniva spesso erroneamente etichettata come Olga Sessiva.

La Spessivtseva aveva vissuto periodi di depressione clinica già nel 1934, quando mostrava segni di malattia mentale a Sydney e aveva bisogno del ricovero in ospedale. Nel 1937 lasciò il palco a causa di un esaurimento nervoso. Insegnò, poi tornò brevemente a esibirsi, facendo la sua apparizione d'addio al Teatro Colón nel 1939. Nello stesso anno si trasferì negli Stati Uniti, dove insegnò e prestò servizio come consulente alla Ballet Theatre Foundation di New York City. Ha subito un altro esaurimento nervoso nel 1943, per il quale è stata ricoverata in ospedale.

La BBC ha prodotto un breve programma sulla sua vita nel 1964 e due anni dopo Anton Dolin ha scritto un libro su di lei. Entrambe le opere sono intitolate La ballerina addormentata. Esperti scrittori di danza l'hanno descritta come "la più grande ballerina russa di questo periodo", e "La suprema ballerina classica del secolo".

Nel 1998, il coreografo russo Boris Eifman l'ha resa l'eroina del suo balletto, Red Giselle.
 
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