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Danza e Balletto, il magico mondo della danza

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EL AMOR BRUJO

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L'amore stregone
Compositore Manuel De Falla
Tipo di composizione balletto
Epoca di composizione 1914
Prima esecuzione 15 aprile 1915
Durata media 60 minuti
Organico
Archi: Violini I, Violini II, Viola, Violoncelli, Contrabbassi
Legni: Ottavino, 2 Flauti, 2 Oboe, Corno Inglese, 2 Clarinetti (B-flat, A), 2 Controfagotti
Ottoni: 4 Corni (F), 2 Trombe (B-flat, A), 2 Trombe (B-flat, A), 3 Tromboni, Tuba
Percussione: Timpani, Triangolo, Tamburino, Rullante, Cembali, Tamburo basso, Tam-tam, Carrillon
Altri: 2 Arpe, Pianoforte
Voce recitante
Movimenti
Atto unico con un prologo e dieci scene
Manuale
El amor brujo (traduzione "L'amore stregone") è un balletto in un atto e due scene su musica di Manuel de Falla.

Nel 1914 la celebre danzatrice di flamenco gitana Pastora Imperio espresse a De Falla il desiderio di ampliare il suo repertorio con una gitanerìa, ossia una pantomima completa di danza e canto ispirata alle leggende gitane. De Falla la compose su libretto di Gregorio Martínez Sierra. La prima rappresentazione avvenne a Madrid presso il Teatro Lara il 15 aprile 1915, ma si rivelò un insuccesso. L'anno dopo De Falla rielaborò l'opera riducendone il tempo d'esecuzione, operando numerosi tagli e eliminando quasi completamente il canto, ridotto a sole tre canzoni per mezzosoprano. Questa nuova versione, presentata il 28 marzo 1916, riscosse invece un buon successo di critica e pubblico. Nel 1924 De Falla rielaborò ulteriormente il materiale trasformando El amor brujo in un balletto, forma con la quale l'opera è maggiormente conosciuta al giorno d'oggi. Esiste infine una quarta versione per piano solo, che De Falla elaborò successivamente a partire da quattro movimenti della suite.

La trama originaria dell'opera differisce profondamente da quella del balletto.

Trama dell'opera

La storia, raccontata al librettista dalla madre di Pastora Imperio, si basa su una leggenda popolare. Ha per protagonista una gitana di nome Candela che è stata abbandonata da poco da un uomo che credeva la amasse. Così ella si rivolge ad una strega affinché le prepari un filtro d'amore per far tornare il suo uomo da lei; ella si reca presso l'antro di questa strega ma lo trova vuoto, così si improvvisa strega lei stessa ed il sortilegio riesce. L'uomo che l'aveva tradita appare d'un tratto nell'antro, non la riconosce, la scambia per la strega e ne ha paura. Candela lo avverte di aver lanciato da poco una maledizione su di lui che potrà essere spezzata solo tornando dalla sua precedente donna. L'uomo, che ha terrore della strega, promette che farà così, poi riconosce Candela, ma ormai il sortilegio ha funzionato ed egli non può più fare a meno di lei che ormai lo ha in pugno.

Trama del balletto

Candela è una gitana andalusa che è stata promessa in sposa a un uomo che non ama, poiché ella è innamorata di Carmelo; a sua volta, il marito è innamorato di Lucìa. Dopo molti anni il marito di Candela muore ucciso dal marito di Lucìa. Candela sarebbe dunque finalmente libera di amare Carmelo, ma il fantasma di suo marito torna ogni notte e la costringe a ballare una danza forsennata (Danza del terror). Gli abitanti del villaggio rivelano a Candela che ciò è causato da una maledizione dovuta alle infedeltà reciproche dei due, e le viene indicata Lucìa come vero amore del marito; l'unico modo per liberarsene sarà danzare una danza rituale del fuoco (Danza ritual del fuego), ma anche questa non serve a liberare Candela dal fantasma di suo marito. Candela allora escogita un trucco: fingendo di organizzare un appuntamento tra Lucìa e il fantasma di suo marito, inizia a danzare (Danza del juego del amor), ma all'ultimo momento si sostituisce alla sua rivale e l'anima di Lucìa è rapita dal fantasma. Al sorgere dell'alba Candela e Carmelo sono finalmente liberi di amarsi.

La musica

Falla, che attinge copiosamente e con squisita sapienza al repertorio storico della musica spagnola ci ha regalato uno dei suoi pezzi più belli con il suo Amor Brujo, ricco di melodie e cambi di tempo; sebbene la storia non sia estremamente avvincente e abbastanza breve, la musica, la coreografia e le ambientazioni creano un'atmosfera davvero gitana e riescono a trasportare lo spettatore completamente. Molti pezzi del balletto di De Falla sono stati molto apprezzati dai pianisti e divennero famosi. Uno di loro, "La danza ritual del Fuego"(La danza rituale del Fuoco), fu il cavallo di battaglia del compositore.
 
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LE PERLE

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La Perle è un ballet-divertissement da un atto: il libretto e la coreografia sono di Marius Petipa, mentre la musica è di Riccardo Drigo.

La Perle è stato creato da Petipa - il rinominato primo maestro di balletto del Teatro Mariinskij - e dal compositore Drigo - principale direttore del balletto e degli spettacoli delle opere italiane e soprattutto direttore musicale per il Teatro Mariinskij - come un sontuoso pezzo d'occasione per il gala tenutosi al Teatro Bol'šoj Kamennyj di Mosca per celebrare l'incoronazione dell'imperatore Nicola II di Russia e dell'imperatrice Aleksandra Fëdorovna Romanova. Il balletto è stato presentato per la prima volta dopo una serie di scene tratte dall'opera di Mikhail Glinka Una vita per lo Zar il 29 maggio 1896. Il cast per l'anteprima del balletto al gala d'incoronazione del 1896 ha coinvolto i più grandi ballerini del Mariinskij e del Balletto Bol'šoj.

Mentre il balletto era nelle prime fasi della produzione, fu redatto un elenco di potenziali ballerini da includere nel cast per essere revisionato da una commissione responsabile. Tra questi c'era l'ex amante dell'imperatore, la ballerina Mathilde Kschessinskaya. Alla luce della vecchia relazione la madre dell'imperatore Marie Fyodorovna chiese di rimuoverla dal cast, poiché sarebbe stato scandaloso per la ballerina esibirsi di fronte alla sua nuova moglie. Quando lei lo venne a sapere fece appello allo zio dell'imperatore, il granduca Vladimir Alexandrovich, la cui influenza determinò la sua reintegrazione nel cast nonostante gli inventori avessero completato già tutto il balletto. Petipa fu estremamente frustrato quando gli fu chiesto di comporre un numero per lei, il quale prese la forma di un pas de deux fatto dal nuovo ruolo chiamato "Perla Gialla" insieme al suo pretendente (interpretato dal ballerino Nikolai Legat). La scelta del nome per questo personaggio potrebbe essere stata una svolta per la ballerina, dal momento che a differenza delle altre perle (bianca, rosa e nera), le perle gialle non esistono, a meno che il colore della perla non svanisce col tempo.
La Perle fu messo più tardi nel repertorio del Mariinskij, infatti fu esibito la prima volta il 15 febbraio 1898 nel suo teatro. Questo balletto fu rappresentato svariate volte agli inizi del '900!

Musica
Lo spartito di Drigo comprendeva un coro fuori scena e una grande orchestra composta da circa 100 musicisti. I critici contemporanei hanno elogiato lo spartito per il suo ricco contenuto melodico e l'apposita orchestra.
A differenza della maggior parte dei balletti dell'epoca che furono prodotti come un pezzo d'occasione per le celebrazioni imperiali, lo spartito di Drigo non fu mai pubblicato.
Il pedagogo russo Konstantin Sergeyev ha utilizzato alcuni suoi estratti per il suo concerto per l'Accademia di danza Vaganova intitolato School of Classical Dance (or From Landé to Vaganova), che ancora oggi viene esibito dagli studenti della scuola durante le loro prestazioni annuali di laurea.
Il Pizzicato des Perles noires del suo spartito viene esibito come una variazione femminile nel pas de deux del balletto The Talisman.

La Perle è ambientato in una colossale grotta sotterranea dove la Perla Bianca, la perla più preziosa della Terra, risiede con le sue gemelle. Il Genio della Terra scende sul fondo dell'oceano nel tentativo di rapire la Perla Bianca per abdicarla. Il Re dei Coralli giunge all'istante provocando una battaglia tra gli elementi della terra e del mare, visto che il Genio della Terra riesce a rapirla. Dopo il Re dei Coralli ordina a tutti gli abitanti dell'oceano di salutare il Genio della Terra accanto alla Perla Bianca. Nell'apoteosi viene raffigurato il trionfo di Anfitrite e Poseidone.

 
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THE DREAM

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Titolo italiano Il sogno
Stato Regno Unito
Prima rappresentazione 2 aprile 1964, Royal Opera House, Londra
Compagnia Royal Ballet
Genere Balletto narrativo
Soggetto Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare
Musiche Felix Mendelssohn
Coreografia Sir Frederick Ashton

The Dream è un balletto di un atto coreografato da Sir Frederick Ashton su musiche di Felix Mendelssohn riadattate da John Lanchbery. Basato su Sogno di una notte di mezza estate, il balletto debuttò alla Royal Opera House il 2 aprile 1964 come parte di un trittico composto anche dall'Amleto coreografato da Robert Helpmann e Images of Love di Kenneth MacMillan.
Il balletto fu commissionato per festeggiare il quattrocentesimo anniversario della nascita di Shakespeare, anche se Ashton apportò alcune modifiche alla commedia shakespeariana, eliminando la trama secondaria di Teseo e Ippolita e la rappresentazione di Piramo e Tisbe, concentrandosi invece solo sui quattro amanti ateniesi che girano per il bosco. Inoltre Ashton spostò l'ambientazione della Grecia classica alla Londra vittoriana.

Il rapporto tra quattro giovani Ateniesi, un tempo grandi amici, è ora in crisi: Ermia è innamorata di Lisandro, ma suo padre vuole che sposi Demetrio; il promesso sposo era precedentemente innamorato di Elena, che lo ricambia ancora anche se Demetrio ha resto Ermia l'oggetto del suo amore. Ermia e Lisandro fuggono da Atene ed Elena avverte Demetrio della fuga della promessa, sperando di riconquistarlo il suo amore. Demetrio allora parte all'inseguimento di Ermia e Lisandro, seguito a sua volta da Elena.
Nella foresta fuori Atene, Oberon, re delle fate, litiga furiosamente con la moglie Titania, dato che entrambi vogliono lo stesso giovane indiano nel loro seguito. Oberon decide di punire Titania per la sua insolenza e manda il suo servo, il folletto Puck, a cercare una viola del pensiero: la rugiada del fiore, versata negli occhi di Titania dormiente, la farà innamorare della prima persona che vedrà al suo risveglio.
Nella foresta si trova anche una compagnia di attori amatoriali che stanno facendo le prove per una commedia: Puck usa la magia per dare a uno di loro, Bottom, una testa di asino e fa in modo che Titania al suo risveglio trovi la strana creatura e se ne innamori follemente. Intanto Oberon si interessa ai quattro giovani ateniesi e ordina a Puck di far sì che Demetrio si innamori nuovamente di Elena. Ma Puck combina un guaio e la situazione si complica quando fa erroneamente innamorare sia Demetrio che Lisandro di Elena. Alla fine Oberon risolve la situazione, Ermia e Lisandro tornano insieme, così come Demetrio ed Elena, e Titania si riappacifica con il marito.
 
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CONCERTO BAROCCO

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Balletto concertante in tre movimenti
Coreografia George Balanchine
Musica Johann Sebastian Bach (Concerto per due violini e orchestra in re minore)
Prima rappresentazione New York, Hunter College Playhouse, American Ballet Caravan, 29 maggio 1949
Interpreti Marie Jeanne, Mary Jane Shea, William Dollar
Scena e costumi Eugène Berman

Balletto senza argomento, concertante, astratto, danza pura e della più eccelsa. In seguito fu rappresentato anche in costumi di prova con una evidente rinuncia a qualsiasi riferimento ambientale o descrittivo.
Il New York City Ballet lo mise in scena l’11 ottobre 1948 con l’allestimento originale di Berman e, a partire dal 1951, per l’appunto, in costumi di prova. Il balletto fu portato in scena in numerosissime occasioni, sia dallo stesso Balnchine che da un riproduttore scelto fra quelli che avevano danzato o ballato e studiato la coreografia, a payrire dal 1943 e poi, nel 1945, col Ballet Russe di Monte-Carlo. Nel 1953 a San Francisco, nel 1955 per il Balletto Reale Danese, nel 1956 in Olanda, nel 1960 ad Amburgo, nel 1961 a Washington, per la Scala (1 febbraio 1961, interpreti: Vera Colombo, poi Carla Fracci; Elettra Morini, poi Liliana Cosi; Mario Pistoni, poi Roberto Fascilla), e per il National Ballet of Canada. Nel 1963 a Parigi, nel 1964 a Boston, nel 1965 a San Diego, nel 1970 a Ginevra. Nel 1971 il Dance Harlem Theater lo presentò al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Nel 1976 lo riprodussero Les Grands Ballets Canadiens e nel 1977 il Royal Ballet Touring. Nel 1991, fra gennaio e febbraio, è stato ripreso dalla compagnia Maggio Danza. Fu anche in innumerevoli altri teatri per un numero considerevole di compagnie che lo tengono gelosamente nel loro repertorio. Il numero delle repliche è incalcolabile.

Alberto Testa, nel commentare il balletto così si espresse:
Ogni coreografia di Balanchine è armoniosamente realizzata in accordo con la musica. La sua grande sensibilità musicale lo spinge a sfruttare e a penetrare il sostegno strumentale. Questa utilizzazione della musica decreta lo stile coreografico di Balanchine il quale realizza la composizione coreografica attraverso una grande purezza lineare di forme. La composizione coreografica corre parallela sul filo di quella musicale, vale a dire ne penetra scientificamente tutta la costruzione interna, non limitandosi all’esteriorità ritmica e melodica. Nel Concerto barocco la danza emana direttamente dalla partitura e le parti solistiche sono rigorosamente ed elegantemente organizzate sul contrappunto dei due strumenti concertanti: il sentimento di distensione e di serenità che deriva da questa intima corrispondenza appartiene al mondo della poesia e della bellezza assolute.
 
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Il COMBATTIMENTO DI TANCREDI E CLORINDA

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Testo Tratto dal poema cavalleresco “La Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso
Musica Claudio Monteverdi
Prima rappresentazione Venezia, Palazzo Mocenigo (San Stae), Carnevale 1624
Claudio Monteverdi compose la musica di questo madrigale sul testo del XII canto della “Gerusalemme liberata”. Il madrigale si svolgeva in forma rappresentativa, in quanto il testo letterario era cantato dalle voci di Tancredi, Clorinda e il narratore, a loro volta doppiate, nell’azione scenica, da due danzatori-mimi. Balletto melodrammatico, definito dallo stesso autore “madrigale guerriero e amoroso”, fu commissionato dalla famiglia del conte Girolamo Mocenigo. L’organico degli strumenti comprendeva quattro viole, un contrabbasso e un clavicembalo. La composizione fu poi inserita nei Madrigali guerrieri e amorosi pubblicati a Venezia nel 1638. La prima audizione a Palazzo Mocenigo nel Carnevale del 1624 suscitò notevole impressione nella nobiltà presente, come raccontano le cronache dell’epoca, specie nel finale, (“S’apre il ciel: io vado in pace”), in cui la musica sembra schiudersi nell’anima di Clorinda ormai dipartita.

La storia ci racconta che, davanti a Gerusalemme assediata dai crociati, Tancredi, guerriero cristiano, incontra Clorinda, musulmana, che ama in segreto. Poiché quest’ultima si presenta con l’elmo e la corazza, egli non la riconosce e la sfida a duello. L’impatto è decisivo ed anche mortale per Clorinda che, caduta ferita, chiede di essere battezzata. Tancredi raccoglie l’acqua da un ruscello che scorre vicino, le dà il battesimo, ma nel toglierle l’elmo, le abbondanti chiome di Clorinda si riversano su Tancredi, il quale non può far altro che raccogliere le ultime parole di lei che lo perdona.
Fra i numerosi adattamenti dell’opera, sia in forma strumentale (Alceo Toni, Giorgio Federico Ghedini) che in forma scenica, ricordiamo la versione proposta dal Teatro Carignano a Torino, nel 1944 e quella di Susanna Egri al Teatro la Fenice di Venezia, nel 1959.

Riportiamo di seguito un brano tratto dal XII canto della “Gerusalemme liberata”:
Tancredi che Clorinda un uomo stima
vuol ne l’armi provarla al paragone.
Va girando colei l’alpestre cima
ver altra porta, ove d’entrar dispone.
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avvien che d’armi suone
ch’ella si volge e grida: – O tu, che porte,
correndo sì? – Rispose: – E guerra e morte.
– Guerra e morte avrai: – disse – io non rifiuto
darlati, se la cerchi e fermo attende. –
Ne vuol Tancredi, ch’ebbe a piè veduto
il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l’un e l’altro il ferro acuto,
ed aguzza l’orgoglio e l’ira accende;
e vansi incontro a passi tardi e lenti
quai due tori gelosi e d’ira ardenti.
Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudesti e nell’oblio fatto sì grande,
degne d’un chiaro sol, degne d’un pieno
teatro, opre sarian sì memorande.
Piacciati ch’indi il tragga e’n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande.
Viva la fama lor, e tra lor gloria
splenda dal fosco tuo l’alta memoria.
Non schivar, non parar, non pur ritrarsi
voglion costor, ne qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l’ombra e’l furor l’uso de l’arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro; e’l piè d’orma non parte:
sempre il piè fermo e la man sempre in moto,
né scende taglio in van, ne punta a voto.
L’onta irrita lo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l’onta rinova:
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s’aggiunge e piaga nova.
D’or in or più si mesce e più ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi con pomi, e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, e altrettante
poi da quei nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fier nemico e non d’amante.
Tornano al ferro, e l’un e l’altro il tinge
di molto sangue: e stanco e anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
L’un l’altro guarda, e del suo corpo essangue
su’l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l’ultima stella il raggio langue
sul primo albor ch’è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico e se non tanto offeso,
ne gode e in superbisce. Oh nostra folle
mente ch’ogn’aura di fortuna estolle!
Misero, di che godi? Oh quanto mesti
siano i trionfi e infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (s’in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perchè il suo nome l’un l’altro scoprisse:
– Nostra sventura è ben che qui s’impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma poi che sorte rea vien che ci nieghi
e lode e testimon degni de l’opra,
pregoti (se fra l’armi han loco i preghi)
che’l tuo nome e’l tuo stato a me tu scopra,
acciò ch’io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o vittoria onore. –
Rispose la feroce: – Indarno chiedi
quel c’ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese. –
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi
e: – In mal punto il dicesti; (indi riprese)
e’l tuo dir e’l tacer di par m’alletta,
barbaro discortese, a la vendetta.
Torna l’ira ne’ cori e li trasporta,
benchè deboli, in guerra a fiera pugna!
Ù’l’arte in bando, ù’già la forza è morta,
ove, in vece, d’entrambi il furor pugna!
O che sanguigna e spaziosa porta
fa l’una e l’altra spada, ovunque giugna
ne l’armi e ne le carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.
Ma ecco omai l’ora fatal è giunta
che’l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s’immerge e’l sangue avido beve;
e la veste che d’or vago trapunta
le mammelle stringea tenere e lieve,
l’empiè d’un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e’l piè le manca egro e languente.
Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme:
parole ch’a lei novo spirto addita,
spirto di fè, di carità, di speme,
virtù che Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.
– Amico, hai vinto: io ti perdon… perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l’alma sì: deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch’ogni mia colpa lave. –
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch’al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar invoglia e sforza.
Poco quindi lontan nel sen d’un monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v’accorse e l’elmo empiè nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide e la conobbe: e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
Non morì già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l’acqua a chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon de’ sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise:
e in atto di morir lieta e vivace
dir parea: “S’apre il ciel: io vado in pace”.
 
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ETUDES

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Études è un balletto in un atto coreografato dal ballerino e coreografo danese Harald Lander su studi di pianoforte di Carl Czerny arrangiato per orchestra da Knudåge Riisager . È considerata l'opera coreografica più famosa di Lander e gli ha portato fama internazionale. L'opera è stata presentata per la prima volta il 15 gennaio 1948 al Royal Danish Theatre di Copenaghen con il Royal Danish Ballet , con scene e costumi di Rolf Gerard e luci di Nananne Porcher.

Études è considerato un omaggio alla formazione del balletto classico . Inizia con i tradizionali esercizi di balletto alla sbarra e termina con spettacolari esibizioni di bravura.
Il cast originale comprendeva: Margot Lander , Hans Brenaa, Svend Erik Jensen, Inge Sand e Inge Goth. La sua prima ABT al 54th Street Theatre di New York ebbe luogo il 5 ottobre 1961 e vide la partecipazione dei ballerini Toni Lander, Royes Fernandez, Bruce Marks, Eleanor D'Antuono ed Elisabeth Carroll.

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L'ordine delle varie sezioni del balletto, registrato dalla Danish National Radio Symphony Orchestra e diretto da Gennady Rozhdestvensky nel 1997, include:

Ouverture (esercizi alla sbarra)
Tendus, Grands battements, fondus e frappes
Ronds de jambe
Silhouetter-au milieu
Adagio
Port de Bras et pas de badin
Mirror Dance
Ensemble
Romantic Pas de deux
Sortie
Conclusione
Pirouettes
Releves
Piques et grands pirouettes
Solo per la Prima Ballerina
Coda
Piccoli salti
Mazurka
Tarantella
Grandi salti (Finale)

 
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COTILLON

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Il cotillon (in francese letteralmente "gonnella") è un'antica danza francese, risalente agli inizi del XVIII secolo e considerata l'antesignana della quadriglia.

La danza era eseguita da quattro coppie che si disponevano a quadrato, eseguendo nove figurazioni: queste nove figurazioni erano tutte diverse, alternate però da una figurazione che si ripeteva sempre uguale.

L'esecuzione era alternata inoltre dalla presenza delle coppie danzanti: prima entravano in scena la prima e la terza coppia, poi la seconda e la quarta.
La dama aveva un ruolo da protagonista nel ballo-gioco: era sua facoltà cercare di attirare a sé il cavaliere desiderato e farsi invitare da lui al ballo vero e proprio, il quale celava un significato di corteggiamento.
A conclusione del ballo, venivano scambiati o distribuiti piccoli doni, motivo per cui il termine cotillon viene usato per indicare i piccoli regali a sorpresa che vengono distribuiti durante le feste danzanti o altre riunioni ludiche, spesso inserito nella tipica frase promozionale «musica, ricchi premi e cotillon».
 
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LES NOCES

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Compositore Igor Stravinskij
Tipo di composizione balletto con canto
Epoca di composizione 1914-1923
Prima esecuzione 13 giugno 1923, Théâtre de la Gaîté, Parigi

Les noces (in italiano Le nozze; in russo Свадебка, Svadebka), sottotitolo Scene coreografiche russe con canto e musica, è una composizione di Igor' Fëdorovič Stravinskij scritta fra il 1914 e il 1923; l'opera fu realizzata dai Ballets Russes di Djaghilev con la coreografia di Bronislava Nijinska. Le parti vocali sono su testi popolari russi adattati dallo stesso compositore ed in seguito tradotti in francese da Charles-Ferdinand Ramuz. L'autore definì il lavoro come un "divertimento" basato su una cerimonia scenica ispirata a elementi rituali russi.
In realtà è difficile catalogare quest'opera in un ambito preciso; è, come dice Robert Siohan: "un ouvrage bien étrange, qui semble, quant à sa forme, devoir échapper à toute définition".

Stravinskij pensò ad un lavoro che avesse come soggetto delle nozze contadine russe già dal 1912.
Nel 1914, durante il suo ultimo viaggio in Russia, a Kiev, prima dello scoppio della guerra, cercando materiale su questo argomento, il musicista trovò parecchie raccolte di poesie popolari russe che portò con sé al suo ritorno in Svizzera. I testi che egli utilizzò per Les Noces erano tratti soprattutto da un volume di Pëtr Vasil'evič Kireevskij e su di essi iniziò a lavorare a partire dall'inverno 1914-1915 a Clarens in una casa che aveva subaffittato da Ernest Ansermet. Stravinskij terminò la musica di Les Noces in forma pianistica nel 1917 dopodiché fece diversi tentativi di strumentazione pensando inizialmente ad una grande compagine orchestrale, simile a quella de La sagra della primavera; egli abbandonò però presto questa idea a causa della complessità di lavoro che avrebbe dovuto affrontare e pensò ad una strumentazione basata su blocchi polifonici diversi che avrebbero dovuto essere separati sul palcoscenico; anche questa idea venne scartata per la probabile difficoltà che il direttore d'orchestra avrebbe riscontrato nel sincronizzare i diversi elementi[1]. Per i quattro anni seguenti Stravinskij non lavorò più a Les Noces e si dedicò alla composizione di altre opere tra cui l'Histoire du soldat e Mavra. Il musicista realizzò l'orchestrazione definitiva riprendendola nel 1921 e terminandola solo nel 1923. La partitura finale comprendeva l'uso di quattro pianoforti ed un complesso di percussioni molto vario oltre alle parti vocali per coro e solisti. L'opera fu terminata a Monaco il 6 aprile 1923; la parte coreografica fu affidata da Djaghilev a Bronislava Nijinska, le scene ed i costumi a Natal'ja Gončarova. La prima esecuzione avvenne a Parigi il 13 giugno 1923 al Théatre de la Gaîté con la direzione di Ernest Ansermet e come ballerini principali Felia Doubrovska e Léon Woizikowsky.

Il balletto è suddiviso in quattro scene che si succedono senza interruzioni:
La treccia (Benedizione della sposa)
Benedizione dello sposo
Partenza della sposa
Festa di nozze

Lo sviluppo narrativo è molto semplice: tratta della preparazione e della realizzazione di un matrimonio paesano nella campagna russa e della festa che ne segue. Prima scena. Nella casa della sposa, Nastasia, le amiche sciolgono la treccia della fanciulla annodata con nastri rossi e azzurri, simbolo della verginità. La sposa piange, tra timori e speranze, così come vuole la tradizione; le consolatrici cantano in coro ed invocano la benedizione della Vergine. Seconda scena. Nella casa dello sposo, Fetis, gli amici e i genitori pettinano il giovane; insieme invocano la protezione della Madonna. Segue il lamento dei genitori per il figlio che lascia la casa e la loro benedizione per le nozze. Scena terza. Lo sposo e gli amici giungono a prendere Nastasia per accompagnarla in chiesa; i genitori benedicono la coppia davanti ad un'icona e le due madri lamentano ancora la perdita dei figli. Quarta scena. La festa di nozze è la parte più lunga del balletto tanto da costituirne tutta la seconda metà. Tra pranzo, danze e bevute, si susseguono battute e motti di sapore paesano; sono poi ricordati i doveri degli sposi, si fanno raccomandazioni e bizzarre allusioni. Una coppia di commensali più anziani viene mandata a scaldare il letto. I due giovani vengono infine accompagnati nella loro stanza, la porta viene chiusa tra cori di felicità ed il dolce canto dello sposo.

Ne Les Noces la parte cantata è predominante, tanto da susseguirsi senza posa fino quasi alla fine quando ventuno battute di solo scampanio chiudono l'opera. Come dice Roman Vlad la definizione più esatta di questo lavoro dovrebbe essere "Cantata sceneggiata".
Nelle intenzioni dell'autore l'opera doveva essere qualche cosa di diverso da un semplice balletto; la parte coreografica non è certamente quella che predomina nell'impressione lasciata a chi assiste allo spettacolo, nonostante le notevoli invenzioni della Nijinska; anche il soggetto letterario serve semplicemente come base per le parti cantate che si sovrappongono e si intrecciano costantemente creando difficoltà nella comprensione del testo. La grandezza ed il fascino di Les Noces stanno ancora una volta nell'inventiva musicale di Stravinskij. La grande varietà e quantità di temi melodici, circa quaranta, che si susseguono in tutta l'opera, sono espressione via via del pianto della sposa, del lamento dei genitori, della gioia per la festa, dell'allegria degli amici, delle battute dei commensali. I ruoli vocali sono intercambiabili e non sono quindi legati alle singole parti; quella dello sposo viene cantata inizialmente da un tenore e nella scena finale da un basso, così come il soprano interpreta sia la fidanzata all'inizio che la parte dell'oca nella quarta scena. L'autore voleva infatti che i singoli personaggi assumessero un valore universale e non di particolare individualità, per cui la sposa non è Nastasia e lo sposo non è Fetis, ma sono La Sposa e Lo Sposo in senso lato. La strumentazione particolare, fatta di sole percussioni e di quattro pianoforti utilizzati qui nella loro veste più martellante, è indicativa dell'aspetto predominante che assume il ritmo. Il risultato di tutto questo è, come dice Vlad, "d'uno splendore e d'una brillantezza senza pari. Come è senza pari il dinamismo vitale che pervade questa musica". Così come gli strumenti, anche il canto, tutto basato su delle brevi e continue sillabazioni, crea una pulsazione costante, incrociandosi continuamente con la parte strumentale creando così un effetto polifonico estremamente ricco.
 
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LE JEUNE HOMME ET LA MORT

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Stato Francia
Anno 1946
Prima rappresentazione 25 giugno 1946, Théâtre des Champs-Élysées, Parigi
Compagnia Ballets des Champs-Élysées
Soggetto Jean Cocteau
Musiche Bach, Ottorino Respighi
Coreografia Roland Petit

Le jeune homme et la mort è un balletto di Roland Petit con libretto di Jean Cocteau. Il balletto, coreografato sulla musica della passacaglia e tema fugato in do minore di Bach, arrangiata da Ottorino Respighi, ha avuto la sua prima a Parigi nel 1946.

Un giovane pittore aspetta la propria amante e il suo ritardo lo angoscia. La donna finalmente arriva, ma è arrabbiata, colpisce il giovane e abusa sessualmente di lui. Il pittore minaccia il suicidio, ma la minaccia si rivela vana dato che la donna lo incoraggia a farlo. Lei si allontana, sbattendogli la porta in faccia.
Il giovane distrugge il mobilio e, rimasto solo con la sua disperazione, si impicca. Su un tetto di Parigi la Morte (che ha l'aspetto dell'amata con una maschera da scheletro) accoglie il giovane, che si toglie il cappio e pone la propria maschera sul viso della Morte. I due si allontanano insieme.

Il balletto ebbe la sua prima al Théâtre des Champs-Élysées il 25 giugno 1946, con scenografie di Georges Wakhévitch e costumi di Tom Keogh. Nathalie Phillippart e Jean Babilée danzarono nei ruoli dei due personaggi.
Il balletto si è rivelato un grande successo e una scelta popolare per le maggiori compagnie al mondo. Nel 1951 Petit ha ricreato il balletto con l'American Ballet Theatre, compagnia con cui Michail Baryšnikov riprose il balletto nel 1975. La prima scaligere è avvenuta nel 1955 con Babilée e Claire Sombert. Nel 1990 il balletto è entrato nel repertorio del Balletto dell'Opéra di Parigi e nello stesso decennio è stato rappresentato al Balletto Mariinskij e dal Boston Ballet (1998). Nel 2009 è stato portato in scena al Balletto Bol'šoj.

Nel 1966 Petit ne ha realizzato un film con Rudol'f Nureev e la moglie Zizi Jeanmaire.
 
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ANASTASIA

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Anno 1971
Prima rappresentazione 22 luglio 1971
Compagnia Royal Ballet
Genere balletto
Musiche Pëtr Il'ič Čajkovskij, Bohuslav Martinů, Fritz Winckel, Rüdiger Rüfer
Coreografia Kenneth MacMillan

Anastasia è un balletto ideato e coreografato da Kenneth MacMillan su musiche di Pëtr Il'ič Čajkovskij, Bohuslav Martinů, Fritz Winckel e Rüdiger Rüfer.
Il balletto ebbe la sua prima alla Deutsche Oper Berlin nel 1967 come atto unico e fu successivamente rielaborato da MacMillan in una versione in tre atti esordita alla Royal Opera House nel 1971.
Il balletto è incentrato sull'eponima granduchessa russa e sulla figura di Anna Anderson, che negli anni sessanta e settanta veniva creduta essere la vera Anastasia da una gran parte del pubblico, tra cui lo stesso MacMillan. Soltanto negli anni ottanta i test del DNA smentirono definitivamente questa ipotesi.

Una prima versione del balletto in un solo atto debuttò alla Deutsche Oper Berlin il 25 giugno 1967 con Lynn Seymour nel ruolo di Anastasia/Anna Anderson. Il balletto era ambientato nell'ospedale psichiatrico in cui la Anderson fu internata per gran parte della sua vita, inframezzato a ricordi del suo passato opulento come granduchessa di Russia. La partitura consisteva nella sinfonia n. 6 di Bohuslav Martinů e di musica elettronica originale composta da Fritz Winckel e Rüdiger Rüfer.
Quando MacMillan lasciò la carica di direttore artistico del Deutsche Oper Ballet per tornare a dirigere il Royal Ballet, riprese in mano Anastasia e lo ampliò in un balletto in tre atti.
Quello che fu l'unico atto portato in scena a Berlino divenne l'ultimo atto della nuova versione, i cui primi due atti erano invece dedicati all'infanzia della granduchessa e alla fine dei Romanov con la Rivoluzione d'ottobre. Le sinfonie n.1 e 6 di Čajkovskij facevano da colonna sonora al primo e al secondo atto.

Atto I

Nell'estate del 1914 la famiglia imperiale è festosamente occupata in un picnic estivo, in cui la giovanissima Anastasia si conferma come l'anima dell'evento. Ad intrattenere lo zar e la sua famiglia ci pensa un vivace gruppo di cadetti della marina. L'idillio è interrotto dall'arrivo di un messaggero che annuncia allo zar lo scoppio della guerra e i cadetti interrompono i loro passatempi per andare a combattere.

Atto II

San Pietroburgo, 1917. La sedicenne Anastasia debutta in società e per festeggiare l'evento due ballerini del Balletto Mariinskij si esibiscono in un elegante pas de deux. La ballerina altri non è che Matil'da Feliksovna Kšesinskaja, l'ex amante dello zar. I festeggiamenti vengono interrotti dai rivoluzionari bolscevichi, che arrestano la famiglia reale e la porta via.

Atto III
In un ospedale psichiatrico Anna Anderson è tormentata da ricordi confusi del suo passato, in cui i personaggi dei primi due atti si ripresentano, ma cambiati al punto di essere quasi irriconoscibili. In bilico tra i ricordi e la pazzia, Anna accetta di essere la granduchessa Anastasia e si aspetta che il mondo la riconosca come tale.

Esecuzioni

La versione definitiva di Anastasia ebbe la sua prima alla Royal Opera House il 22 luglio 1971 con costumi e scenografie di Barry Kay, che aveva già curato la messa in scena originale. Lynn Seymour tornò a danzare il ruolo di Anastasia, mentre il resto del cast comprendeva Antoinette Sibley, Anthony Dowell, Lesley Collier e David Wall.
Dopo la morte di MacMillan, il balletto fu riportato in scena dal Royal Ballet nel maggio 1996 con modifiche minori sotto la supervisione di Deborah MacMillan, la vedova del coreografo. Bob Crowley curò la scenografia e i costumi.
Anastasia è rimasto nel repertorio del Royal Ballet e nel corso degli anni il ruolo della protagonista è stato danzato da ballerine di alto profilo, tra cui Viviana Durante, Leanne Benjamin, Mara Galeazzi, Lauren Cuthbertson, Laura Morera e Natal'ja Osipova.
 
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GRAND PAS

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Un grand pas è una suite di danze individuali che serve come pezzo per introdurre sul palco il ballerino, il semi -solista e, possibilmente, il corpo di ballo. Nel contesto di un balletto completo, il Grand pas è considerato un pezzo di resistenza.
È semplicemente un'esibizione di danza e non contribuisce in alcun modo alla trama.

Quando il Grand Pas contribuisce alla trama, si chiama Grand Pas d'action.

Quando un Grand Pas si chiama Grand pas Classique, significa semplicemente che prevale la tecnica della danza classica e non esiste una danza di carattere.

Un Grand pas di solito consiste in un Entree, un Grand Adage e, occasionalmente, un ballo per il corpo di ballo.
Il Grand Pas può opzionalmente includere variazioni per semi-solisti, per la ballerina/ballerina principale e una Coda finale chiamata anche Coda generale o Grande coda che porta il brano a una conclusione grandiosa.

Un famoso Grand Pas è quello creato da Marius Petipa per il suo revival del balletto Paquita (del compositore Joseph Mazilier) nel 1881.
Ora porta il nome di Grand Pas Classique de Paquita ed è ballato da molte compagnie in tutto il mondo.

Un altro esempio di Grand Pas è quello del balletto La Fille du pharaon coreografato da Petipa su musiche di Cesare Pugni. Questo balletto, rimasto ineseguito per molti anni, è stato ripreso nel 2000. Le danze vengono eseguite nell'ordine voluto da Petipa:
Ingresso, Variazioni per tre semisolisti, Grand Adage, Valse per il corpo di ballo, Variazioni per i tre solisti principali e Coda generale finale.

Ci sono anche molti famosi Grands Pas d'action, uno dei quali è quello del primo atto de La bella addormentata (musica di Čajkovskij). Consiste in un Grande Adagio noto come Adagio a la Rose, un ballo per le Dame d'Onore e i Paggi, la variazione della Principessa Aurora e una Coda interrotta dalla brutta fata Carabosse che offre l'ago avvelenato alla Principessa Aurora. Nel contesto del balletto, questo Grand Pas d'action contribuisce all'azione quando la principessa Aurora sceglie tra i suoi quattro corteggiatori e riceve una rosa da ciascuno di loro.

Molti Grands Pas e Grands Pas d'action sono spesso presi dal balletto per essere eseguiti indipendentemente da esso.

Un Grand Pas de deux è un Grand Pas che funge da pezzo di resistenza per i principali personaggi maschili o femminili. Quando ci sono più solisti, si parla di Pas de trois, Pas de quatre.



 
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INTERVISTA a LORETA ALEXANDRESCU - di Michele Olivieri

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Loreta Alexandrescu, diplomatasi col massimo dei voti all’Accademia Nazionale di Coreografia di Cluj-Napoca (Romania), inizia da subito la carriera di ballerina professionista eseguendo il repertorio classico. Viene nominata ballerina Solista del Teatro Rapsodia di Bucarest e solo un anno dopo si trasferisce in Italia dove continua la sua carriera artistica. Balla nei più importanti teatri italiani, e presto affianca alla sua carriera artistica anche quella di maître de ballet, lavorando insieme a due delle più famose ballerine italiane: Liliana Cosi e Carla Fracci. Dal 1985 ad oggi è invitata a tenere master class sia a livello nazionale che internazionale. Dal 1987 ad oggi insegna danza classico-accademica, danza storica, danza di carattere, punte e repertorio presso il Dipartimento Danza dell’Accademia Teatro alla Scala (già Scuola di Ballo del Teatro alla Scala), ove è anche assistente coreografa per i balletti messi in scena dai ragazzi della Scuola di ballo stessa. Ballerini del calibro di Roberto Bolle, Massimo Murru, Francesco Ventriglia, Beatrice Carbone, Alessandra Vassallo, Nicoletta Manni, Jacopo Tissi, Mattia Semperboni, Rebecca Bianchi solo per citarne alcuni, hanno seguito i suoi corsi. È attualmente docente di danza classico-accademica, danza di carattere e danza storica per i corsi di formazione professionale e docente di teoria e pratica della danza classica per i corsi di insegnanti organizzati dall’Accademia Arti e Mestieri dello spettacolo del Teatro alla Scala. Inoltre collabora mensilmente con scuole di tutta Italia tenendo corsi di formazione ad ogni livello, ed è giudice in prestigiosi concorsi di danza.

Carissima Loreta, ricordi le emozioni vissute nel tuo primo giorno in sala danza, da allieva?
Mi ricordo poco, ma quello che ricordo è che non amavo studiare, volevo subito ballare e non capivo tutte quelle regole che mi venivano imposte. La mia consapevolezza è arrivata verso l’età di tredici anni.

Come hai vissuto il passaggio da ballerina a maestra di danza?
Non è stato un passaggio facilissimo. All’inizio mi mancava il palcoscenico, e per sostituire questa mancanza durante le lezioni mostravo il più possibile, mi mettevo a ballare... insomma facevo la ballerina con la speranza che i miei alunni potessero imitarmi. Adesso tornando indietro con la memoria mi viene da sorridere. Certo è fondamentale poter dimostrare, ma c’è un sottile confine importantissimo che bisogna superare per poter insegnare al meglio. Un maestro non insegna solo i passi, è un lavoro particolarmente complesso, conta moltissimo quello che sai e come lo metti in pratica.

A quale metodo di danza classica accademica sei più affine e perché?
Sono cresciuta con il metodo Vaganova e lo considero come fonte di ispirazione per tutti i metodi di insegnamento del mondo. Nel tempo ha subìto trasformazioni, contaminazioni ma didatticamente resta estremamente valido.

Quali sono i ruoli che hai prediletto da esecutrice?
Ho sempre amato i ruoli che avevano a che fare con la danza di carattere, come quelli in “Raymonda” o “Coppélia”. In particolare prediligo le danze di carattere del terzo atto del “Lago dei Cigni”, specialmente la danza russa che tra l’altro in Occidente si rappresenta raramente.

Tutti gli allievi che hai cresciuto e le persone con cui hai lavorato ti stimano con rispetto. Che cosa ti rende così amata e a volte anche temuta?
Non mi sono mai posta questa domanda. Bisognerebbe chiederlo ai miei allievi. Delle volte sento di aver dato più amore di quello che ho ricevuto, ma di questo ne sono felice. Invece altre volte ricevo dimostrazioni d’affetto inaspettate e meravigliose. Non credo che i miei allievi abbiano timore di me, forse rispetto, l’essere consapevoli di aver davanti una persona onesta e leale incute timore, a volte!

La maggior parte dei tuoi allievi alla Scala sono diventati, in seguito, validi ballerini professionisti. Che ricordi porti nel tempo dei tuoi giovani in giro per il mondo?
Sono veramente orgogliosa di loro. Spesso sono nei miei pensieri. Ho degli ex allievi con cui sono diventata amica, anche a distanza di tempo mi scrivono, mi chiamano, mi informano dei loro successi, mi chiedono consigli. A qualcuno di loro sono rimasta veramente affezionata, come se facessero parte della mia famiglia.

Hai avuto e hai tanti contatti con il mondo della cultura, non solo protagonisti del balletto... Quali sono stati gli incontri più fortunati e gratificanti?
Sono stata fortunata, ho incontrato nella mia vita tantissime persone celebri. Registi come Federico Fellini, Franco Zeffirelli, coreografi come Jiří Kylián, Alvin Ailey, Martha Graham, il pianista Radu Lupu, il violinista Uto Ughi e tanti altri: attori, artisti che negli anni ottanta erano nel pieno della carriera. Ogni loro parola, sguardo, consiglio per me ha avuto una immensa importanza. Nel nostro mestiere bisogna osservare e saper imparare, che non è una cosa scontata! Tutte le persone con cui ho lavorato mi hanno lasciato un segno, in maniera speciale, come Gabriel Popescu, Sasha Minz, Valentina Massini, Yvette Chauviré, Liliana Cosi, Marinel Stefanescu, Carla Fracci e Beppe Menegatti persone con cui ho condiviso oltre il lavoro, anche un sentimento di amicizia.

Durante un Concorso, quale tipo di ballerino ti colpisce in particolare?
Mi colpisce il talento, la musicalità, il sentire il ballare come un proprio linguaggio. Mi affascina la tecnica ma faccio molta fatica a dare un giudizio in base al numero dei giri eseguiti. Noto subito la differenza tra chi ha dedicato veramente del tempo al suo lavoro, e chi invece si è improvvisato. Mi colpisce la qualità!

Credi che partecipare ai Concorsi sia un buon inizio per la carriera professionale?
Non credo che per un danzatore professionista sia indispensabile partecipare ai Concorsi, ma senz’altro può facilitare l’essere notati, visti, segnalati. Spesso nei concorsi ci sono delle giurie importanti che vengono scelte appositamente. Può senz’altro essere un trampolino di lancio, e inoltre risulta stimolante per il ballerino competere e avere così l’occasione di affermarsi in giovane età.

Vieni spesso invitata per il mondo a tenere masterclass di danza, a tuo avviso qual è la sostanziale differenza nella formazione coreutica tra l’Italia e l’estero?
Per quello che riguarda la mia esperienza la grossa differenza la fanno gli insegnanti e la qualità delle scuole. Ultimamente in Italia, anche grazie ai tantissimi corsi di formazione la qualità si è alzata notevolmente. C’è un continuo scambio culturale che permette un frequente aggiornamento, ed una rapida informazione. La nuova tecnologia a livello di comunicazione e l’apertura delle frontiere sono oggi un vantaggio immenso.

Quando ritorni in Romania cosa ti piace del pubblico e della tradizione teatrale?
Purtroppo ultimamente sono tornata poco in Romania ma è un paese che amo enormemente. Lì ci sono le mie radici. Nei teatri ho sempre potuto ammirare quella bella professionalità che ha come ingredienti passione, rigore, e grande talento. Eccellenza degli artisti, ma anche del pubblico. Le sale sono costantemente piene, il pubblico rumeno ama la cultura.

Da autorevole Maestra quale sei, cosa consigli ai giovani che desiderano accostarsi all’arte della danza, sia a livello accademico che amatoriale?
Prima di tutto il mio consiglio è di mettersi alla prova per capire bene se è quello che vogliono veramente. In seguito consiglierei loro di prepararsi ad un lungo percorso non facile, senza avere grandi aspettative, ma avendo precisi obiettivi. Dovranno trovare poi la buona scuola, il buon maestro e dovranno avere un impegno costante. Carlo Blasis diceva: “Il successo o l’insuccesso nello studio della danza dipende molto da come si iniziano gli studi; per questo occorre dare molta importanza alla scelta del maestro”. Ho sempre pensato che avesse ragione e per me essere insegnante comporta una quotidiana responsabilità.

Danza accademica e danza contemporanea possono comunicare e convivere tra loro?
Assolutamente sì, ormai in tutti i teatri del mondo la danza contemporanea affianca la danza classica. Alcuni teatri hanno deciso di avere prevalentemente un repertorio contemporaneo. La danza si sta rinnovando continuamente e c’è sempre più contaminazione tra le varie tipologie. Il ballerino per poter dimostrare la sua arte deve essere maggiormente versatile.

Qual è l’arte che ami dopo la danza?
Amo tutte le arti, in particolare la pittura e la musica. Mia figlia è un’artista di arti plastiche contemporanee, e spesso mi introduce e aggiorna sulle nuove correnti espressioniste. Riconosco l’eccezionale talento ma non sempre riesco a darle soddisfazione, i miei gusti sono ancora più vicini all’arte classica.

Un tuo pensiero per Fréderic Olivieri e Maurizio Vanadia, importanti figure della Scuola di Ballo?
Sia Maurizio che Frédéric sono delle persone verso le quali nutro grandissimo rispetto. Ci conosciamo da molti anni e c’è sempre stata un’ottima collaborazione, e dialogo professionale. La Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala è un significativo nome con una speciale tradizione, sotto la loro direzione ci sono stati importanti cambiamenti e miglioramenti.

Mentre un pensiero per Gheorghe Iancu, tuo amico fin dalla più giovane età e conterraneo?
Conosco Giorgio da moltissimi anni. La nostra amicizia nasce sui banchi di scuola e poi la vita e le circostanze ci hanno portato a costruire e preservare una vera e rara amicizia. Come ballerino direi un artista di grande talento. Un fisico che colpiva, braccia straordinariamente espressive, un modo elegante di ballare, un bel portamento, gestualità morbida e allo stesso modo potente ed espressiva, grande salto, ottimo partner, versatile nei ruoli e notevole presenza scenica. Adesso come coreografo riporta al pubblico il suo talento originale, eclettico e perfezionista.

La Scuola di ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala rimane ancora oggi un luogo iconico e per molti un sogno?
Questa prestigiosa istituzione ha già compiuto più di duecento anni e non dà segni di stanchezza, anzi, il livello professionale degli allievi è in costante crescita. I nostri ragazzi riescono a trovare lavoro subito terminati gli studi, e numerosi ricevono preziose nomine in giovanissima età, ad esempio Nicoletta Manni e Rebecca Bianchi (diplomate da me) già Prime ballerine.

Come vivi il rapporto con la musica?
Mia madre era soprano, cantava e mi portava spesso con lei alle lezioni di canto. In seguito, come ballerina la musica è diventata vitale. Le due arti si fondono e completano: la danza è musica, la musica è danza. Una volta appresa la tecnica, come ballerina, cercavo poi la parte più bella, quella dell’interpretazione non solo del personaggio ma anche del passo e del gesto. Con la musica tutto prendeva vita e colore, fuoriusciva la danza e più la coreografia era musicale più si creavano forti emozioni. Questo sia da parte del ballerino che dello spettatore. Come insegnante il rapporto cambia, ma la musica non diminuisce la sua importanza. Direi che la bravura di un maestro si misura anche dalla sua musicalità.

Numerosi pianisti accompagnatori, hanno avuto la fortuna di iniziare la professione al tuo fianco. Che sonorità armoniosa si instaura?
Molti di loro ora sono esperti in materia. Una qualità indispensabile è quella di essere dei bravi pianisti, intuitivi, sensibili e senza timori nell’improvvisazione. La conoscenza del repertorio ballettistico è necessaria, ma saper spaziare nel repertorio musicale di ogni genere, saper “giocare” con i ritmi o dare una interpretazione e il respiro giusto ad un brano sono qualità non trascurabili. La regola principale è costruire un rapporto di fiducia. Tutto si può apprendere anche l’arte, ma se si ha del talento viene fuori il capolavoro.

Come insegni agli allievi la musicalità?
Nelle mie lezioni provo sempre a sensibilizzare l’allievo alla musica. La musica è ritmo, artisticità, espressività, armonia, tutto quello di cui la danza ha bisogno. Il ballerino allievo deve possedere una cultura musicale e la sua curiosità nel conoscere e sentire la musica non si deve arrestare in superficie. Non si deve ballare SULLA musica ma NELLA musica, e questo è il mio intento nell’insegnare danza.

Mi parli delle specificità musicali?
Insegnando non solo danza classica ma anche danza di carattere e storica, posso affermare che per ognuna di queste discipline c’è una precisa caratteristica musicale. Per la danza di carattere abbiamo una musicalità influenzata dal folclore dei vari paesi, mentre nella danza storica la musica spazia nel periodo storico dal ‘400 al ‘800 dando alle danze misura e maniera. L’accompagnamento musicale nella danza classica si differenzia molto in base al livello del corso. Per i corsi base, l’accompagnamento deve essere semplice, non deve risultare incisivo per poter sostenere al meglio la legazione dei passi, per non distogliere l’allievo dall’esecuzione. La musicalità però non sarà mai trascurata.

Mentre per i corsi avanzati?
In un danzatore adulto invece, la musicalità deve abbracciarsi perfettamente con l’allenamento per poi creare un tutt’uno con la sua crescita professionale. Il danzatore deve percepire la musica anche nel silenzio e poi deve dare valore ad ogni nota. Il musicista che accompagna il danzatore deve comprendere la forza e il respiro del corpo.

Che rapporto intercorre tra musicista e danzatore?
Posso dire che non è un rapporto facile! Il pianista pretende che il danzatore segua la musica, e il danzatore pretende che il musicista segua la danza. Ci vuole parecchia umiltà ed altrettanta professionalità. Naturalmente, la qualità e la sensibilità di entrambi è fondamentale. È un lavoro duro, con un percorso difficile ma quando il risultato è ottimo il tutto si tramuta in straordinariamente appagante.

Loreta, il talento come lo si riconosce, per tua esperienza?
In due parole Michele, lavoro e qualità! Il talento è importantissimo, è una dote fondamentale, ma non è tutto, bisogna sviluppare il cervello. Il nostro corpo fa ciò che il cervello dice, quindi se vuoi alimentare il personale talento e memoria muscolare necessita migliorare dapprima il cervello, intensificando la pratica.

Che bambina sei stata?
Ero spensierata, felice, giocavo nei boschi in una delle più belle città alpine della Romania, Sinaia. A quei tempi era già un privilegio. Avevo una famiglia istruita e benestante, vivevo in una splendida villa vicino al Castello Peles, ma la vita non era per niente facile e si viveva nella dittatura. La libertà d’opinione era completamente negata, la politica di Ceaușescu stava prendendo forza.

Quante scuole di danza erano presenti nella tua cittadina?
Nella mia città c’era solo una piccola scuola di danza sita all’interno della “Casa della Cultura”. Io volevo studiare in una scuola professionale, quindi mi portarono a quella di Bucarest. Però dopo quattro mesi tornai a casa sotto le insistenze di mio padre che sognava una figlia medico. Durarono poco le sue speranze perché appena iniziato l’anno successivo, fui notata alla lezione alla “Casa della Cultura” dal Maestro O. Stroia direttore della scuola di Cluj Napoca, (ora la scuola porta il suo nome) e chiese a mio padre di portarmi a sostenere l’esame di ammissione. Lontano da casa, ma questa volta più determinata, cominciarono i miei nove anni di collegio, tra gioia e sofferenza. Erano anni di grande espansione artistica in Romania. Sulle orme della scuola russa anche la scuola romena aveva l’ambizione di formare eccellenti ballerini. Si parlava spesso di danza, i teatri avevano un ricchissimo repertorio di balletto, le sale prova erano colme di ballerini eccellenti. Da ogni lezione, da ogni prova si poteva apprendere al meglio, ma allo stesso tempo la cultura veniva sempre più costretta tra i confini dei paesi comunisti. Comunque non posso lamentarmi, in giovane età ho anche avuto parecchie occasioni di ammirare ed imparare da magnifiche ballerine come Galina Ulanova, Alicia Alonso, Magdalena Popa.

Che sensazioni rivivi pensando agli anni trascorsi all’Accademia Nazionale di Cluj Napoca?
Ricordo perfettamente tutto. Sono stati gli anni della mia giovinezza e formazione. Ricordo la mancanza dei miei genitori, le giornate piene di impegni scolastici ma anche l’amicizia dei miei compagni di classe. Ho portato con me il mio passato e lo spirito della mia terra ma non mi sono mai sentita un’estranea in Italia. I miei confini sono quelli dell’arte, dove il nome e la lingua contano poco.

Chi sono stati i tuoi Maestri non solo materiali ma anche ideali?
Tornando indietro con la memoria ricordo con affetto insegnanti di danza come Roman Moravsky, Solomon, Zubcu, Stroia, ma anche insegnanti di liceo che nonostante le tante ore di studio della danza riuscivano a dare un’istruzione di altissimo livello. Rammento il collegio, le interminabili ore di attesa, un venerdì al mese, davanti al telefono per parlare con i miei genitori. Ricordo con emozione mio padre che quando mi vide per la prima volta ballare come Solista mi portò dei fiori e pianse dicendo: “Sai, io non vedo bene, sul palcoscenico mi sembrate tutte uguali, è la prima volta che ti vedo quando balli”. Lui ha sempre pensato che per me la danza fosse solo un divertimento, non lo vedeva come un vero lavoro.

Cosa significava per te danzare?
Sicuramente “libertà”, però con due diversi significati: uno mio, personale, nel dare atto al desiderio di volare, inteso come voglia di crescere e vivere attraverso la danza, e l’altro a livello sociale in quanto dovevo avere la forza di affrontare e sottrarmi ad un destino comune, abbandonare quello squallore giornaliero dovuto all’oppressione del regime.

Se vogliamo trovare invece un lato positivo?
Devo dare atto e ringraziare il mio paese per l’organizzazione scolastica di quei tempi, senza la quale non sarei mai riuscita a compiere il mio sogno. Vitto, alloggio, scarpette e punte, istruzione ad altissimo livello, tutto elargito gratuitamente dal sistema di istruzione. Rigidissime le condizioni di vita, di studio e di lavoro ma altissima la selezione e la qualità.

Come si può comprendere al meglio l’essenza della danza?
Difficile parlare di danza a persone che non la adorano e che non se ne intendono. Per comprenderla in tutta la sua unicità bisogna amarla. Credo che sia un’arte dove la percezione visiva si amalgama con la vibrazione dettata dalla musica, in cui l’armonia e la bellezza si intrecciano nelle vite dei personaggi che parlano usando il linguaggio universale del corpo.

Da stimata docente scaligera, quali sono le responsabilità e le gioie?
Insegno da trentatré anni, nella Scuola di ballo dell’Accademia Teatro alla Scala, danza classica, punte, repertorio, danza storica e danza di carattere, e anche pratica e teoria per il corso insegnanti. Non avevo ancora trent’anni quando la Signora Prina allora direttrice valente della scuola, mi chiese di prendere la cattedra della danza di carattere, e pochi mesi dopo iniziai anche le lezioni di danza classica. Fu una continua crescita, con una grande passione e dedizione. Vista la mia preparazione su un ampio ventaglio culturale della danza (danza di carattere e danza storica, che non sempre un insegnante è tenuto a conoscere) lavoravo veramente tanto, lezioni, coreografie, preparazione degli spettacoli. Se devo trovare l’aspetto peggiore del mio lavoro direi che è il timore. Il timore di non avere le forze, di essere superficiale e il timore di cadere nella routine. Mi è costato molto impegno, ma ho sempre provato stare alla larga da queste trappole. Il buon risultato si ottiene solo lavorando, non ci si può improvvisare.

Le emozioni provate mentre danzavi, sono le medesime di oggi con gli allievi?
Direi che le emozioni di un ballerino non sono affatto quelle di un insegnante e che non si devono confondere. L’emozione in comune è solo l’amore e la dedizione per la danza. Il ballerino è generoso verso il pubblico e verso se stesso, mentre la generosità dell’insegnante è tutta rivolta verso l’allievo ballerino. Poi certo la propria carriera ha una notevole importanza.

Qual è l’aspetto più bello del tuo lavoro?
La cosa più bella del mio lavoro è quella di vedere i miei allievi che crescono, maturano, imparano, e diventano dei professionisti. Contribuisco come un mago a far realizzare i loro sogni. In giro per il mondo ci sono trenta generazioni di diplomati che ogni volta che li incontro mi riempiono il cuore di gioia con i loro sorrisi. Sono sparsi in tutti i teatri del mondo. È veramente bello sapere che ho contribuito in piccola o grande parte alla formazione di ballerini, insegnanti, coreografi, grandi artisti.

Mentre l’aspetto peggiore?
È quello di dover selezionare e delle volte rinunciare ad allievi a cui mi sono inevitabilmente affezionata. Purtroppo nel nostro lavoro le doti e le proporzioni fisiche sono fondamentali, e con la crescita possono modificarsi sostanzialmente.

Nel tempo trovi che la danza, nella sua naturale evoluzione, sia cambiata in maniera sostanziale?
La danza è molto cambiata, sono cambiati i coreografi e le loro richieste, sono cambiati i ballerini, la loro fisicità, il loro modo di raccontare ed esprimersi con il corpo, la qualità di movimento e il rigore tecnico. Una volta c’erano i solisti e il corpo di ballo, oggi il corpo di ballo di un teatro che si rispetta è formato da solisti. Negli anni settanta provavamo con largo anticipo gli spettacoli ed i ruoli, oggi succede tutto più velocemente. I ballerini devono essere bravissimi anche nello stile contemporaneo.

Ai tuoi tempi la danza contemporanea non era contemplata nel piano studi?
Nella mia carriera non ho mai affrontato la danza contemporanea, noi avevamo un repertorio prevalentemente classico o produzioni che servivano alla propaganda politica. Solo nel 1977 a Leningrado si formò il primo teatro di danza contemporanea. Avevo una predisposizione per i ruoli delle danze di carattere, la musica mi avvolgeva e il mio corpo veniva preso dalla gioia di ballare, e in palcoscenico tutto prendeva vita.

Quali sono i punti di forza delle danze di carattere e di quelle storiche?
Hanno delle particolarità culturali e di stile sostanziali. La musicalità, la gestualità, l’espressività non forzata ma intenzionale, la coordinazione ricercata nello stile adatta al ruolo, tutto questo mi ha sempre affascinato come ballerina e come insegnante.
 
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