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.Luce.
view post Posted on 22/4/2023, 16:15 by: .Luce.     +1   +1   -1
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Professore della Girella

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ALIENI, SOGNI, RICORDI

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L’inizio di un nuovo giorno come tanti e tanti altri al ranch Makiba.
Mizar si occupava del puledro e intanto tentava di fabbricare un aquilone, Actarus e Venusia sistemavano il fieno, tagliavano tronchi di legno, mungevano le capre. Naturalmente, Rigel stava appollaiato sopra la torretta avvista UFO col cannocchiale ben puntato e la speranza ossessiva di contattare entro sera, almeno un alieno.

“Papà, vieni ad aiutarci, smettila con quelle sciocchezze, vieni giù subito!” gli urlò Venusia per l’ennesima volta.
“Ma no, dai, lascialo divertire, qui ci sarebbe d’intralcio” le mormorò Actarus comprensivo.
“Dici? Mah!” rispose Venusia perplessa e poco convinta.

Poco dopo, arrivarono Hara e Banta per chiedere un forcone in prestito e anche in quell’occasione, Banta ce la mise davvero tutta per catturare l’attenzione di Venusia e farle la corte.
Quel giorno, Rigel era molto distratto e non si avvide di nulla: si impegnava al massimo per mettere a fuoco il cannocchiale; in una giornata così limpida la visuale era ottima e tale occasione non andava sprecata per nessun motivo.
Qualche minuto dopo, infatti: “Eccolo, un UFO, lo sapevo, è arrivato, ero sicuro che oggi sarebbe stato qui! Vieni, sono il tuo grande amico Rigel, è tanto che ti aspetto!”
Nello sporgersi dall’osservatorio, Rigel perse l’equilibrio e cadde a terra, come del resto capitava un giorno sì e l’altro pure.

Si alzò quasi subito e, strabuzzando gli occhi, corse verso il suo “amico”, ma con sorpresa fu l’altro ad andargli incontro per primo, salutandolo con calore e simpatia come fossero amici da una vita e si ritrovassero dopo tanto tempo.
Il personaggio alieno aveva una testa enorme a forma di pera, un fisico decisamente asciutto che si caratterizzava per l'assenza di metacarpi e metatarsi.
Le mani e i piedi erano provvisti di un unico grosso dito: pollice alluce, la pelle color rosa e non indossava altro capo d'abbigliamento se non un paio di pantaloncini con due tasche insospettabilmente capienti e capaci di tirar fuori l’impossibile.
Caratterizzato da un enorme naso e degli sparuti capelli in testa, gli occhi molto grossi e ravvicinati gli conferivano un aspetto gioviale e allegro.

“Pciao, Rigel, da quanto ptempo non ci si pvedeva!”
“Ciao, Eta Beta!!! Finalmente sei quiii!” gli disse Rigel correndogli incontro a braccia spalancate e sorriso a trentadue carati.
“Eh, psì, psono appena ptornato dal pianeta Petropolis, prima psono pstato ptanti plunghissimi anni pnella pcaverna psottoterra!
Psono anni che aspetto di incontrarti, a proposito lo psai che da pdove pvengo io, psiamo pgià nel 2000? Da te pche anno è?”
“Come? Qui? Ah, siamo nel 1975… e com’è il 2000?”
“Pvieni sul mio pdisco, ti pmostro ptutto, andiamo!”


Eta Beta aprì la sua navetta bianca e nera, Rigel salì con un balzo tutto eccitato all’idea di poter viaggiare negli spazi infiniti e senza limitazioni. Quando avrebbe raccontato tutto ciò ai figli e a quelli del Centro Ricerche, avrebbero smesso per sempre di ridergli dietro, eccome!
Dopo un’ora di volo, atterrarono sul pianeta popolato dagli Emuloidi, piccoli alieni gialli in grado di mutare le loro sembianze. Li trovarono tutti indaffarati nelle scoperte scientifiche, altri nelle miniere di rari fossili, molti decollavano nello spazio.
Rigel era senza parole, fissava tutto come in trance; nemmeno nelle sue più audaci fantasie aveva immaginato di poter assistere a visioni così suggestive.
Ogni cosa di quel pianeta comprendeva tutti i colori dell’iride, ma in un modo così nitido, trasparente e suggestivo, che non c’erano parole per descriverlo.

“Rigel, pcosa ne pdici se pmangiamo pqualcosa?”

“Molto bene, non ci vedo più dalla fame.”
Dalle tasche, Eta Beta tirò fuori cubetti di ghiaccio, piume di piccione e mandarini cinesi sottaceto; con una tavola apparsa dal nulla, invitò l’amico a quello strano banchetto.
Rigel, benchè terrestre, apprezzò moltissimo quelle specialità e ne avrebbe desiderate ancora, se all’improvviso non fosse apparsa una strana creatura.
Si trattava di Neema, una vecchia fiamma di Eta Beta: la loro storia era finita quasi prima di cominciare, quindi lui diede chiari segni di nervosismo e convinse Rigel a salire di nuovo sul disco per lanciarsi in nuove ed eccitanti esplorazioni spaziali.

Dopo un’altra ora, atterrarono sul limitare di una stella, dove si vedeva un grande fiume.
Eta Beta estrasse dalla piccola tasca due canne da pesca a motore, una la porse a Rigel.
“Ptieni, qui pci psono dei pesci pftantastici, portali a pterra, pvedrai pche pgrigliata pverrà pfuori.”
Rigel lanciò con entusiasmo l’amo nell’acqua e subito un pesce enorme abboccò, ma tanto era pesante che trascinò anche il terrestre sott’acqua.
“Aiuto! Aiutatemi, affogo, aiutooooo!”
“Pniente paura, arrivo io!”
Eta Beta, sempre dalle tasche estrasse un elicottero, e con quello salvò l’amico dall’acqua profonda.
“Pvisto, che è andato ptutto pbene?”
“Sì, ma che paura! Però è bellissimo, e che tecnologia avanzata, nemmeno il laboratorio di Procton è così, glielo dirò appena tornati sulla Terra, poi tutti quanti dovranno convincersi a venire qui a toccare con mano tutto quello che sto vedendo coi miei stessi occhi!”
“Adesso andiamo pdalla parte opposta pdella pvia plattea, pvieni!”
“Sì! Che bello, corriamo subito! Non si può andare più veloce? Forza, ho fretta di arrivare, motori al massimo! Via, finalmente si corre!”
Contento come una pasqua, Rigel non stava fermo un attimo, saltava sul seggiolino, guardava gli spazi, le stelle, le costellazioni, gli occhi da soli non gli bastavano per ammirare tutto.


“Cosa dice dottore, le sembra che si stia riprendendo?”
“Credo di sì, il polso è quasi normale, tra poco dovrebbe svegliarsi.”
“C’è pericolo di una commozione cerebrale?”
“Non credo, ad ogni modo non desta preoccupazioni, suo padre ha la testa molto dura.”
Venusia assentì col capo, niente di nuovo per lei, nelle parole del medico; da diverse ore stava su una sedia dura e scomoda dell’ospedale, dove il padre era stato ricoverato dopo la famosa caduta mattutina dalla torre.
Disteso sul letto e fasciato da capo a piedi, Rigel era in preda al delirio.
“Voglio vederne ancora, ancora!!! Guido io l’astronave adesso, sono un vero campione!” continuò a sillabare strane frasi sconnesse, poi lentamente aprì un occhio, subito dopo, l’altro.
Vedeva tutto appannato, ma poco alla volta, mise a fuoco la stanza tutta bianca, il letto…
“Ma… Venusia… che ci fai qui? E io, cosa ci faccio qui? Ero sulla Via Lattea poco fa, perché mi avete portato via?”
“Ma papà, cosa dici? Sei caduto, non ricordi? Siamo stati tutti in pena per te, sei rimasto svenuto per otto ore!”
“Venusia? Ma… hai bevuto per caso? Perché sono arrivato qui, la direzione era la stella Altair” diceva Rigel biascicando le parole, ancora tutto intontito.

Tornò il dottore per provargli la pressione.
“Tutto regolare, i valori sono a posto… però… non vorrei spaventarla, ma…”
“Dica pure dottore, cosa c’è? Non mi faccia stare in ansia, la prego.”
“Posso parlare chiaro?”
“E’ ciò che le chiedo”, disse Venusia alzandosi dalla sedia fissandolo negli occhi, ormai pronta a tutto.
“Ecco, vede, le frasi che suo padre dice… mmm… no, non mi convincono: la mia paura è che il forte impatto che ha avuto cadendo, lo abbiano portato… nulla di sicuro comunque, ci vogliono degli accertamenti, ma non vorrei fosse affetto da una demenza precoce, cioè forse una parte del cervello è rimasta colpita in modo irreversibile, quindi potrebbe non tornare più quello di sempre. Però, ripeto, non è detto, non si spaventi, magari è solo una fase transitoria.”

Venusia lo fissò negli occhi e trasse un gran respiro di sollievo.
“No, guardi, è tutto a posto. Lui è sempre così, sarei preoccupata del contrario invece”, gli rispose sorridendo.

Sotto gli occhi sbalorditi del dottore, Venusia corse a cercare un telefono per comunicare a tutti gli abitanti della fattoria che Rigel era finalmente tornato in sé, e molto presto avrebbero fatto ritorno a casa.


FINE
 
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