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.Luce.
view post Posted on 22/4/2023, 16:32 by: .Luce.     +1   +1   -1
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Professore della Girella

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INNOCENTI EVASIONI

1_258

Nella capitale del pianeta Fleed, il palazzo reale era situato nella semiperiferia della città, immerso in grande parco pieno di fontane, sentieri, gradini, statue in pietra.
Poco distante, c’era la dimora della famiglia di Barsagik: quest’ultima era collocata sopra una piccola collina e, nei giorni limpidi, in lontananza si poteva intravedere la sottile striscia blu del mare.
I rampolli delle due famiglie erano fratello e sorella, tra loro c’erano molti anni di differenza, quindi era impossibile che avessero gli stessi gusti e interessi; giocare insieme per più di mezz’ora era a dir poco assurdo.
Il duca di Fleed era sui vent’anni, la piccola Maria solo sei.
Naida Baron era una diciottenne che a fatica sopportava il pestifero fratellino di sette anni, anche se a volte era costretta ad occuparsene, quando i genitori li lasciavano soli per molte ore, se non per alcuni giorni.
Lo stesso accadeva al re e la regina: il loro ruolo li obbligava ad assentarsi spesso, ma non si preoccupavano, dato che i loro eredi sapevano gestirsi, o almeno così avevano sempre pensato.
Una mattina di fine estate, quando le foglie già cominciavano a tingersi dei languidi colori autunnali, i due sovrani partirono per un viaggio di una settimana e, nello stesso periodo, anche i genitori di Naida e Sirius furono costretti ad allontanarsi da casa, perché avevano saputo che una famiglia di loro parenti era sola; stavano attraversando un brutto momento e volevano essergli vicini.
Alcuni dei sudditi delle rispettive famiglie erano in permesso, altri erano da poco andati in pensione, quindi i quattro ragazzi erano soli nelle rispettive dimore.
Naturalmente, questa prolungata solitudine sarebbe stata una vera pacchia per Naida e Duke, perché avrebbe significato incontrarsi come e quando pareva loro senza controlli né divieti, ma i due rispettivi congiunti reclamavano attenzioni e sorveglianza costante, perchè la loro voglia di indipendenza e libertà superava di gran lunga quella dei fratelli maggiori.

“Qui ci sono provviste e piatti pronti per almeno un mese, il frigorifero è pieno, meno male” mormorò Naida tra sé, visto l’appetito insaziabile di Sirius e la sua altrettanto scarsa voglia di cucinare a fare la spesa.
Il pesante silenzio della casa venne improvvisamente spezzato dallo squillo del telefono.
“Ciao, Naida, come va?”
La voce di Duke le accarezzò l’orecchio, ma, nello stesso istante, uno strillo acutissimo del fratellino le perforò il timpano. Si stava lanciando dalle scale scivolando sul corrimano, quel suo sistema era da lui definito: “prendere l’ascensore”. Appena toccava il suolo, gridava di trionfo, stavolta anche di dolore, visto che era finito lungo disteso, ma non c’era mai da preoccuparsi, sembrava fatto di gomma, rimbalzava come una pallina e non si faceva male.
“Bene, sento che c’è baldoria a casa tua!” scherzò il ragazzo.
“Lascia stare, ho già i nervi a fior di pelle, mi sta frullando per la testa un’idea niente male. Che ne dici di venire qui da me con la tua sorellina e a tutti e due facciamo bere una tisana con dentro un sonnifero che li faccia andare in letargo per almeno una settimana? Poi, a noi non mancheranno certo le occasioni per non annoiarci nemmeno un istante.”
Con voce bassa e sensuale pronunciò le ultime parole.
Silenzio per alcuni secondi dall’altra parte del filo.
“Stavo pensando che è meglio se venite voi due a casa mia e restate qui stasera. Non c’è nessuno, quindi uniamo le nostre solitudini e divertiamoci un poco.”
“Il tempo di organizzarmi e arrivo.”

Naida fu sollevata e al contempo preoccupata dell’invito: gestire quelle due pesti era un’impresa a dir poco titanica. Quando erano insieme facevano comunella, quindi inventavano giochi e scherzi a non finire, ma quasi sempre litigavano con ferocia per ogni piccola contrarietà; bisognava intervenire, dividerli, farli ragionare, lei già si sentiva stanca e arrabbiata solo a pensarci.
“Sirius! Vieni qui.”
Come apparso dal nulla, il bambino era già pronto con lo zainetto contenente le sue cose.
“Ho sentito tutto, andiamo, muoviti!”
Prese la mano della sorella e la trascinò fuori con forza sorprendente, lei quasi faticava a stargli dietro.
Uscirono passando dalla porta laterale, discesero correndo la piccola collina e in pochi minuti furono davanti all’ingresso principale del palazzo.
La porta era appena accostata, quindi entrarono senza cerimonie.
Seminascosta dietro una tenda, la piccola Maria taceva, mostrandosi docile e sottomessa con il capo inclinato di lato e una mano in bocca. Gli occhi vivaci e intelligenti tradivano tutta questa sorta di commedia, perché mandavano lampi e scintille, come volesse dire: “Adesso cominciamo a divertirci, finalmente!”
Naida ricordava molto bene quella sala immensa che pareva non avere mai fine: sul pavimento con piastrelle verde brillante vedeva sé stessa come in uno specchio.
Sapeva che in casa non c’era quasi nessuno, ma dentro l’animo si sentiva clandestina e fuori posto, perché lì dentro era sì venuta molte volte da sola e in compagnia, ma con un suo ruolo ben definito dentro un cerchio molto stretto.
Bella, nobile, grazia innata, cultura e talento, ma queste sue doti apprezzabilissime, senza dubbio, avrebbero avuto modo di manifestarsi e sbocciare completamente dentro un altro palazzo, con un altro giovane bello, nobile e distinto, meglio ancora a molte miglia di distanza.
Parole e frasi mai pronunciate da nessuno, ma era come fossero scritte con inchiostro rosso vivo su una pergamena esposta in ogni angolo del palazzo.

Trasalì all’improvviso, quando il tocco familiare di una mano sulla spalla, le fece volgere il capo indietro e i suoi occhi verdi si fusero nello sguardo azzurro di quel ragazzo che conosceva e frequentava da quando era nata. Per una frazione di secondo, le loro labbra si sfiorarono, poi altrettanto rapidamente si staccarono.
Sirius e Maria si stavano già rincorrendo attorno al tavolo di legno, poi lei svincolò all’improvviso e corse fuori nel giardino veloce come una lepre.
“Tanto non mi prendi, non ce la farai mai!” gridava lei tutta eccitata.
“Non capisci niente, sono io che ti faccio vincere apposta, vedrai come rimarrai male quando mi prenderò la rivincita!”
Alla fine si buttarono a terra esausti, sporchi di erba, sudati e col fiatone.
Duke e Naida li osservavano in silenzio tenendosi per mano, poi li fecero rientrare.
“Il cielo si oscura e l’aria si sta rinfrescando, entriamo in casa, prima di cena dovete fare un bagno con tutti i crismi!” disse lei con fare materno, dentro però era nervosa e impaziente, non le piaceva fare la balia.
“Senti Naida, che ne dici se io mi occupo di questi due e tu sistemi il necessario per la cena?
Il frigorifero è pieno di tutto, scegli ciò che più ti piace, basterà solo scaldarlo qualche minuto.
La tovaglia e le posate sono nei primi cassetti della cucina, quelli vicino ai fornelli.”
“Va benissimo!”
Sollevata da quell’incombenza che non gradiva, Naida andò in cucina, si mise un grembiule e canterellando si diede da fare.

Mezz’ora dopo, scesero veloci dalle scale i due bambini, ripuliti da capo a piedi e con l’appetito più acceso che mai.
Senza formalità, Naida aveva apparecchiato in cucina con una semplice tovaglia a quadretti azzurri, ma aveva acceso una candela e posto in centro alla tavola qualche fiore preso dal giardino e il tutto faceva un bell’effetto.
Duke e Naida, per tacito accordo, si misero a capo tavola e le due piccole pesti uno di fronte all’altro.
La cena si svolgeva velocemente e tranquillamente, fino a quando Sirius e Maria, ormai sazi, presero a tirarsi palline fatte con molliche di pane, i tovaglioli, spruzzarsi d’acqua, fino ad esplodere in un feroce litigio; si alzarono e presero a rincorrersi correndo in cerchio attorno al tavolo.
“Fermatevi subito! Chi vi ha detto di alzarvi? La cena non è ancora finita, ma per voi due sì, ve lo sognate il gelato all’amarena!”
Così tentava invano Duke di farsi sentire alzando la voce, ma era come parlare al vento, le urla di quei due arrivavano fino alla strada.
Naida era accasciata sulla sedia, languida e sensuale a un tempo, stanca di tutto, gli occhi spenti come la sua chioma verde, la dicevano lunga sulla personalità della giovane.
“Senti, facciamo così: finchè non vediamo scorrere del sangue non interveniamo” disse lei spostando lentamente una ciocca di capelli dal viso.
Lui la guardò a lungo gravemente e seriamente.
“Non tutte le ferite sanguinanti possono dirsi pericolose: se battono il polso sullo spigolo del tavolo, che per giunta è alla loro esatta altezza, sangue magari non ne esce, ma…”
Non volle terminare la frase, il possibile tragico finale era tangibile ed evidente.

Alla fine, i due bambini presero la via del salotto e si buttarono sul divano.
“Sei un cretino.”
“E tu una scema, non capisci niente!”
“Non ti azzardare a ripeterlo!” gridò Maria, tirando in faccia a Sirius un cuscino.
“Basta bambini, per stasera avete fatto il pieno, pensiamo piuttosto a domani: avete voglia di fare un lungo giro in barca, quella che passa ogni settimana e ci porta dall’altra parte del fiume…”
“Sìììì, dissero in coro.”
“Bene, si è fatta l’ora di andare a dormire” li ammonì Naida.
“Io non ho sonno”, disse Maria.
“Nemmeno io”, fu l’eco di Sirius.
“Ma domattina dobbiamo alzarci all’alba se vogliamo prendere il primo battello che passa, quindi…”
Nel pronunciare la frase, Duke infilò la sua mano in quella della sorellina e la condusse nei pressi della sua stanza.
“Stesso discorso per te Sirius, fila subito di sopra!”
Per tutta risposta, Naida ebbe in faccia un metro di lingua del fratello in segno di spregio e negazione; prima che lei potesse articolare una sillaba, lui la gelò con una frase effetto doccia super gelata.
Con tutta la malizia possibile stampata sul viso di un bambino di sette anni, il salone centrale udì queste parole: “Lo sapevo fin da subito che tu e lui sognavate da tempo questa vacanza lontani da tutti, in particolare dai nostri genitori, perché così tutte quelle cose che fate sempre sulla spiaggia o quando nuotate in mare, dentro il bosco, sulle rive dei ruscelli e nella nostra casa di nascosto, ora potete farlo con tutta calma e comodità nella grande camera che sta di sopra senza che nessuna vi veda o interrompa.”
Stava seduto sui talloni e guardava sfacciatamente in viso la sorella dal basso verso l’alto e la sua espressione era tutta carica di muti sottintesi: “Da tempo vi seguo, vi spio, vi controllo, ora se mi fa comodo posso anche ricattarvi.”
“Tu questa notte dormi nella camera con me, intesi? Niente televisione, né altri giochi, se vuoi puoi leggere qualche pagina del tuo nuovo libro a fumetti, ma non più di dieci minuti, mi sono spiegata?”
Riluttante, Sirius salì adagio le scale; Maria stava sul ballatoio con una camicia da notte così lunga che rischiava di inciampare ad ogni passo, mentre teneva stretto in mano un elefantino azzurro di peluche.
Gli occhi espressivi dei due dicevano: “Non siamo affatto stanchi, vogliamo divertirci.”
Conciliante, visto che la tempesta era passata, Duke ebbe un’idea adatta.
“Il nuovo libro potete sfogliarlo insieme per qualche minuto, così vi verrà sonno prima e domani sarete freschi e riposati. Possibile che voi due non vi stanchiate mai? Io fatico a reggermi in piedi! Domani abbiamo una lunga giornata bella e interessante, ma anche tanto faticosa, quindi vi conviene prendere subito la via del letto.”
“Come voi due, che non aspettate altro…” si dissero i due bambini in un orecchio ridacchiando.
La cameretta di Maria aveva un letto attiguo, quindi entrambi si rassegnarono ad infilarsi dentro.
“Tra dieci minuti voglio che la luce sia spenta d’accordo? Vengo a controllare” disse Naida.
Nel frattempo, i due giovani scesero al pianterreno e si misero a sfogliare gli album delle foto di famiglia, rievocare eventi della loro infanzia, aneddoti, viaggi, feste; volevano essere ben sicuri che i due pargoli piombassero in un sonno a prova di bomba, prima di ritirarsi nella camera in comune.
Stavano giusto salendo le scale in punta di piedi, quando un grido acutissimo li fece sobbalzare.
“Aiuto!!! Un drago vuole mangiarmi, mi segue, aaahhh!!!”
Di corsa aprirono la porta e videro Maria tutta livida e tremante in piedi sopra al letto, con lo sguardo atterrito verso terra, come davvero vedesse un animale feroce pronto ad aggredirla, mentre Sirius brandiva un bastone e picchiava sul pavimento con tutta la forza e un coraggio da leone.
“Ma non c’è nessun drago Maria, hai solo avuto un incubo! Prima hai guardato quel libro pieno di figure, ti ricordi? E’ pieno di animali, ma non sono qui, calmati!”
Il fratello tentava di tranquillizzarla con parole, ma il terrore invadeva ancora la stanza; Naida scese in cucina a preparare una camomilla doppia, insieme ad una gran voglia di infilarci l’intero flacone di gocce che prendeva sempre sua nonna per combattere l’insonnia.
Portò il vassoio con le due tazze fumanti in camera, quando si avvide che Duke aveva portato i bambini nel letto matrimoniale.
“E’ meglio che stanotte stiano qui con noi, sono ancora molto scossi” le disse con tono di scusa, mentre lei, stanca e rassegnata, si toglieva i sandali ed esausta, si buttava sul letto vestita.
“Non spegnare la luce, ho paura” piagnucolò Maria.
“Ma di cosa devi avere paura, ci siamo noi” le rispose il fratello.
“Nooo, accendi subito, lo so che dall’armadio esce un toro enorme, sì, esce solo quando è tutto buio, vuole mangiarmi!”.
“Naida, dalla tua parte, in alto, c’è un pulsante, se lo premi si accende una piccola lampadina.”
“Trovato!”
Una luce fioca addolcì il buio della notte. Si sperava che ora non ci fossero altri incidenti!
I due bambini presero finalmente sonno, ma in modo alquanto agitato: non stavano mai fermi, rischiavano di cadere perché si spostavano tantissimo, quasi come dei sonnambuli.
Alla fine, Duke scese in cantina a prendere delle funi e li sistemò in un modo e in una maniera che, pur muovendosi, non potessero farsi male.
Il sole del mattino si affacciò su quella finestra e, divertito ammirò la strana scenetta.
Quattro corpi così ingarbugliati tra loro che parevano uno solo, i lenzuoli annodati, le coperte e il materasso quasi a terra: veniva spontaneo chiedersi come avrebbero fatto a sciogliersi senza un magico intervento e non si capiva nemmeno come avessero fatto quattro cuscini a finire sopra l’armadio.
Si svegliarono tutti intorno alle 10,00, quanto il fischio della nave sulla quale sarebbero dovuti salire, faceva intendere di aver preso il largo da un bel pezzo.
Gli occhi gonfi e pesti di Naida furono i primi ad aprirsi e realizzare che in quella camera, come minimo, doveva essere esplosa una mega bomba al vegatron.
Con qualche abile mossa da contorsionista riuscì a liberarsi, si precipitò dentro il bagno e rimase sotto la doccia quasi mezz’ora nell’intento di schiarirsi le idee, togliersi ogni traccia di sonno e stanchezza e farle giurare che di figli non ne avrebbe mai avuti.
L’ora della colazione era passata, quella del pranzo ancora lontana, quindi, per risparmiare tempo e fatica riunirono i due pasti in uno solo.
Pimpanti e allegri con non mai, i due bambini chiesero in coro: “Cosa facciamo adesso?”
La strada lunga e dritta che portava al mare era deserta, quindi, armati di tutto il necessario, si decisero a percorrerla.
Naida e Duke camminavano per inerzia trascinando i piedi, gli occhi chiusi a tre quarti, i riflessi molto rallentati.
Maria e Sirius saltellavano e correvano, ogni poco si volgevano dietro apostrofandoli così: “Perché andate così piano? Correte, dai, venite!”
Appena toccata la sabbia, stesero i teli e vi si buttarono sopra a peso morto.
“Facciamo un buco fondo, poi ci seppelliamo dentro?”
“Ottima idea!” disse Maria “Poi loro devono venirci a cercare.”
La spiaggia si stava popolando di gente, da lontano li vide una vecchia conoscenza delle loro famiglie, una signora pettegola e maligna, che lanciava sempre occhiate sospettose a tutto e a tutti, non si lasciava sfuggire niente, poi lo andava a raccontare in giro.
Aveva un prendisole informe a fantasia, un turbante dello stesso colore e così il costume intero di foggia antiquata, che conteneva a stento un fisico piuttosto tendente alla pinguedine. I neri occhiali da sole le permettevano di soffermarsi a lungo su cose e persone per osservarle bene. Mentre sbottonava lentamente il vestito, con piccoli passi si avvicinò a quel quartetto che da lontano le pareva avesse un non so che di familiare.
Mentre Maria e Sirius lavoravano di paletta con la forza di due minatori, Naida e Duke appoggiavano i loro corpi l’una con l’altro, spalla contro spalla, mentre ogni poco le loro teste crollavano in avanti per la stanchezza.
Due labbra scarlatte si aprirono per sillabare con una vocina tutta miele, ipocrisia e falsità: “Tu sei Maria vero? Mi conosci? Sono tanto amica della tua mamma…”
Uno sguardo panoramico le confermò che la piccola era lì senza genitori, né governante.
“Non è qui con te? E’ rimasta a casa col tuo babbo?”
Maria la guardò fissa coi suoi occhi celesti e limpidi: “I nostri genitori sono via per qualche giorno, sto in casa con mio fratello, lui è Sirius e lì c’è sua sorella.”
La donna lì guardò lungamente dall’alto, mentre i due giovani stavano quasi distesi sulla sabbia calda e l’aria di mare li ritemprava poco alla volta.
“Aaahhh, ho capito”, disse quell’arpia scandendo con lentezza le parole che da sole non avevano nulla di malizioso, ma il suo sguardo, il modo con cui le aveva pronunciate, l’aria di saperla lunga, il soffermarsi in lungo e in largo a guardare da ogni angolazione quei due ragazzi sotto il sole, trarre le sue conclusioni, su Naida soprattutto, lanciare un’occhiata fuggevole ai due bambini che giocavano, erano tutt’uno con la malvagità, il sospetto, la malizia, la certezza sulla promiscuità della situazione, sulla libertà di costumi.
Tutto ciò lo riversava direttamente e negativamente su quelle due nobili famiglie, che tanto elogiava quando era davanti a loro, ma, appena svoltato l’angolo, li riduceva in briciole, quando col suo gruppetto di amiche, vuote almeno quanto lei, si incontravano per giocare a canasta.
Si allontanò lentamente com’era venuta: nella sua borsa di rafia c’erano almeno tre riviste riportanti le notizie più succose, frivole, sciocche e false su gente famosa e in vista.
Intanto il tempo passava: in un qualche modo le ore divennero giorni e si avvicinava il momento del ritorno a casa dei genitori di questi ragazzi.
Alla fine di quell’infernale settimana, Naida e Duke erano sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Se qualcuno avesse chiesto loro se volevano passare un periodo in una clinica per malati di mente, sarebbero corsi subito e senza offesa alcuna.
Per contro, Maria e Sirius erano più belli e vivaci, abbronzati e in salute, sprizzavano energia per ogni poro e le loro doti naturali e nascoste si erano sviluppate maggiormente.
Maria aveva una certa tendenza ai poteri ESP, non capiva cosa fosse, ma a volte prevedeva certi eventi prima che avvenissero. Sirius poteva facilmente mimetizzarsi, quindi passare inosservato agli occhi della gente; con questa accoppiata vincente, avevano visto un sacco di volte i loro fratelli vedersi di nascosto e fare certe cose che i bambini non dovrebbero sapere.
Per tutta quella settimana, però, quelle certe cose non le avevano mai potute fare!

Le navette che atterrarono su Fleed restituirono alla patria e alla famiglia due coppie di genitori fondamentali per lo Stato, la politica, la popolazione. E anche per i loro figli, soprattutto i maggiori.
Si corsero incontro e, felici come non si vedessero da molti mesi, si baciarono e abbracciarono, poi magicamente fecero la loro comparsa dei regali per tutti; altri regali molto graditi furono i domestici che rientravano dai permessi e quelli nuovi che avrebbero preso subito servizio.
Maria, dopo i primi attimi di euforia, rimase pensosa e, assumendo un’aria da adulta, disse in un orecchio a Sirius: “Sto già vedendo che quei due stasera si vedranno senza dirlo a nessuno.”
“A casa mia o a casa tua?”
Lei pensò un attimo, poi ebbe l’illuminazione: “A casa mia!”
“Bene, allora diventerò verde come quell’edera che ricopre tutto il muro, tu aspettami!”
“Ci divertiremo un sacco!” disse lei ridacchiando.
“Non vedo l’ora!” Dopo qualche secondo di silenzio e in coro: “Mai quanto loro due!”.

La principessa Maria Grazia Fleed era nata con una spiccata propensione verso i fenomeni ESP. Questa eccezionale caratteristica passava inosservata da tutti, familiari compresi.
Essendo ancora una bambina, nemmeno lei sapeva il significato di certe sue visioni precognitive e pensava che anche gli altri fossero così. Era allegra e socievole, faceva amicizia con tutti e non si annoiava mai. Era facile volerle bene, perché, pur essendo vivace, aveva già quell’innata regale compostezza dei nobili e, anche se spesso e volentieri si scatenava a giocare coi maschi, la sua grazia di bambina mai veniva offuscata.
Sappiamo però che, per quanto un bambino sia incondizionatamente meritevole di affetto e sincerità da parte degli adulti, proprio questi ultimi, in certi casi, a causa della propria instabilità mentale, possono avere atteggiamenti deleteri e devastanti proprio sui bambini stessi.

“Ti dico che è così… è terribile, chissà che trauma, povero bambino…” sussurrava Naida sottovoce e con aria contrita, parlando al telefono e tenendo una mano sulla bocca.
“Sirius ha un piede più lungo dell’altro e la parte in eccesso dovrà essere tagliata molto presto. Chissà che dolore, quanto sangue, che spavento!”
La ragazza parlava da sola, perché dall’altra parte del filo non c’era nessuno: ma il suo fratellino stava nella stessa stanza e lei, con sadismo crudele e raffinato, voleva spaventarlo. Faceva finta di parlare piano, ma, per la verità, Naida voleva che Sirius sentisse tutto. Lui non avrebbe più preso sonno dalla paura e, peggio, non avrebbe mai potuto far vedere agli altri la sua paura. Altrimenti, lo avrebbero considerato un vigliacco e un inetto.
“Mah, speriamo bene… dicono che, quando il dolore è insopportabile, si perdono i sensi… speriamo che sia così.”
Poi assunse un tono di voce normale e spensierato, cambiando completamente discorso e parlando di moda e frivolezze: “Ah, stavo per dimenticarmene, domani andiamo a fare quel giro che avevamo in programma da tempo per rinnovare il guardaroba. Ciao, cara!”
Chiuse l’inesistente comunicazione, buttando giù la cornetta. Poi lasciò la sala del soggiorno per uscire in giardino a fumare.
Sirius aveva sentito tutto e, dentro di sé, tremava come una foglia, perché proprio quella settimana doveva recarsi ad una visita ortopedica: non se ne faceva mai un cruccio, era soltanto una cosa noiosa e basta. Dopo era bello uscire, perché incontrava gli amici e giocavano insieme. I genitori gli avevano taciuto questo fatto per non spaventarlo? No, non era possibile che gli tagliassero un pezzo di osso e di carne… no, nooo! Chiuse gli occhi disperatamente e si turò le orecchie sperando di dimenticare quelle frasi, che sua sorella aveva pronunciato piano, perché lui non sentisse, ma che, invece, aveva capito benissimo e ora gli rimbombavano nella testa come un mantra.
La sera, a tavola non toccò cibo, restò sempre silenzioso e triste.
“Perché non mangi? Stai male?” gli chiese la madre con una lieve apprensione.
“No, ho fatto una doppia merenda oggi” riuscì a rispondere con un filo di voce, poi si tolse il tovagliolo, scivolò giù dalla sedia e chiese di ritirarsi nella sua stanzetta.
“Naida, tu sai perché Sirius è così? Non è da lui questo atteggiamento” le chiese il padre fissandola direttamente negli occhi.
Di rimando lei piantò lo sguardo in faccia ad entrambi i genitori e, con estrema leggerezza, rispose: “Cosa vuoi che abbia? Niente! Come al solito ha corso e giocato tutto il giorno e adesso non si regge in piedi, tutto qui” rispose tranquillamente, mentre con calma imperturbabile finiva la sua mousse ai frutti di bosco.
Entrambi i genitori erano abbastanza perplessi, anche se nemmeno loro avrebbero saputo dare un nome esatto a ciò che respiravano nell’aria; pensarono, tuttavia, che era inutile dar corpo alle ombre, quindi, finita la cena, decisero di uscire per andare a sentire quel concerto che da tempo avevano programmato.
Il giorno successivo, Maria era a passeggio con la sua governante. Nel grande parco vicino al palazzo reale, c’erano altri bambini accompagnati e poco lontano videro Sirius.
“Ciaooooo!”
Gli corse incontro Maria tutta festosa. Lui rimase serio e zitto con lo sguardo fisso a terra.
“Oh, ma non mi saluti più, ti sei dimenticato di me?”
Il bambino si chiuse in un mutismo ostinato, poi vennero distratti dagli altri ragazzi e si divisero.
Dietro un grosso albero, Naida osservava la scena di nascosto e, approfittando di un momento in cui Maria era abbastanza lontana da tutti, le piombò davanti senza preavviso, spaventandola a morte.
La piccola rimase tramortita, col cuore che batteva a mille e gli occhi sgranati, poi, quando venne raggiunta dalla sua governante, scoppiò in un pianto dirotto.
La donna era senza parole, non poteva credere ad un simile repentino sbalzo di umore: quando erano uscite era tutta allegra e contenta, cosa poteva esserle successo in pochi minuti?
“Maria, ma cosa c’è? Stai male? Sei caduta? Parla, ti prego.”
“N… no, ho avuto paura”, articolò a fatica singhiozzando: “Naida mi ha fatto paura… sembrava un mostro, era cattiva.”
“Non è possibile, qui non c’è Naida, forse era un’altra persona che le somigliava. Non piangere più adesso, vuoi tornare a casa?”
“Era lei, era lei, l’ho vista, è cattiva!” continuò a ripetere tra i singhiozzi.
“Ma no, anche perché ho sentito dire che in questi giorni sta quasi sempre in casa a studiare; e poi, fosse anche lei quella che hai visto, come puoi pensare che volesse farti del male? Ti vuole bene, è sempre gentile con te, l’ho notato molte volte e lo dicono tutti, sai?”
“Oggi era un mostro e non voglio vederla mai più!” decise Maria con tono che non ammetteva repliche.
La sua governante pensò fosse meglio assecondarla per non irritarla di più, ma dentro di sè era convinta che la bambina avesse preso un grosso abbaglio.
Prendendola per mano, fecero la via del ritorno senza fretta, mentre da lontano Naida aveva visto la scena e ora voleva a tutti i costi incontrare Duke Fleed.
Sapeva che di solito, a quell’ora del mattino, lui andava a cercare dei nuovi testi nella grande biblioteca centrale della città, dove, una volta uscito nel piazzale, si fermava a conversare con qualche amico incontrato in quel luogo.
Fu così anche quel giorno. Lei corse verso il ragazzo facendo i gradini due alla volta, poi, senza salutare nessuno, infilò la sua mano dentro quella di lui e, con atteggiamento di possesso, lo portò più lontano.
“Naida! Ma che sorpresa, che ci fai qui?”
Un sorriso pieno di meraviglia, illuminava il viso del giovane.
Lei sembrava seria e triste, poi gli disse: “Andiamo via, lontano, solo noi due senza avvertire nessuno, io ho bisogno di stare lontana da casa per qualche giorno, non ne posso più.”
“Perché? è successo qualcosa?” le chiese con preoccupazione.
Un lungo sospiro, poi si decise a rispondergli: “No, niente di grave, però sono stanca di tutto.
In casa a volte mi sembra di soffocare, gestire il mio fratellino non è per niente facile. Io cerco di renderli la vita semplice e amena, di rassicurarlo se ha dei timori, poi i discorsi dei grandi rovinano sempre tutto. Gli mettono in testa delle paure, in pratica guastano tutto ciò che di buono io avevo fatto e, se poi lui alla fine soffre e sta male, se la prendono con me. Ecco perché sono stanca e voglio allontanarmi per stare da sola con te almeno qualche giorno.”
Duke aveva ascoltato con grande attenzione il suo sfogo, soffermandosi a guardarla anche nell’aspetto. Dal tono delle sue parole e dall’espressione del viso, sembrava avesse parlato di chissà quali catastrofi, ma, soffermandosi sui racconti che lei riportava, niente era così drammatico.
“Sentimi bene allora, facciamo così: prendiamo quella navetta velocissima e facciamo un lungo giro nello spazio fino all’ora di cena e questo ci ripagherà delle fatiche. Anch’io desidero per un attimo staccare la spina dagli studi e vedere altri mondi, altre stelle e pianeti, ci farà tornare come nuovi, che ne dici?”
Lei non disse nulla, si limitò a chinare il capo con uno sguardo pieno di mestizia e decise di seguirlo con simulata sottomissione.
Dopo pranzo, Maria era salita nella sua camera per il solito riposino pomeridiano. Gli occhi spalancati fissavano ogni centimetro della stanza e nella parete, su quella carta a fiori, vedeva il viso di una ragazza dai lunghi capelli rossi, con un sorriso dolcissimo rivolto proprio a lei.
Non sapeva chi fosse, ma non aveva dubbi che fosse già sua amica, lei era buona e gentile, si volevano bene e sapeva con assoluta certezza che un giorno si sarebbero incontrate.
Fissò a lungo quell’immagine bella e rassicurante, finchè arrivò il sonno ristoratore che le fece dimenticare tutte le emozioni di quella strana giornata.

Su Vega, intanto, la ragazza dai lunghi capelli di fuoco, assisteva alla conversazione del padre, nonché Re di quel pianeta e del suo fidatissimo collaboratore, l’eminenza grigia, il formidabile scienziato Zuril.
“Maestà, non si ottiene nulla con la forza, almeno non subito.”
“Che intendete dire Zuril?”
“Che se voi decidete di occupare Fleed senza preavviso attaccando con le armi più potenti, potrebbe essere pericoloso e ritorcersi contro.”
Re Vega lo fissava senza capire.
“Accettate la proposta del re di Fleed. Vostra figlia è perfetta come fidanzata per il principe ereditario: il resto verrà dopo” affermò con uno sguardo ambiguo e dopo una breve pausa continuò.
“Anzi, sapete che vi dico? Sarebbe molto bello fare dei cloni della principessa, così, in contemporanea, potreste usare la stessa proposta ad altri sovrani di stelle a voi congeniali e, quando loro sono tranquilli e beati, buttarli giù dal letto con un’esplosione letale e spegnere in un botto tutti i loro sogni. Che ve ne pare?”
“Mmm… credo si possa fare: cioè si può mandare Rubina su Fleed, l’altro vostro progetto mi pare molto fantasioso e decisamente impossibile” gli rispose il sovrano con un’espressione di scherno.
Le labbra di Zuril si stirarono in un largo sorriso.
“Molto bene maestà, ma non sottovalutate la scienza e soprattutto i miei studi: io non mi fermo mai, questo dovreste saperlo.”
Rubina ascoltava con uno sguardo a tratti interessato, ad altri annoiato sfogliando una rivista di moda; con la mano sulla bocca represse uno sbadiglio, poi si alzò dalla poltrona e chiese di uscire.

Sul pianeta Fleed era già notte fonda: Naida e Duke stavano rientrando dal lungo giro nello spazio.
Era stato un viaggio meraviglioso, quante stelle avevano visto da vicino, quasi avrebbero potuto sfiorarle con un dito. Non avevano quasi mai parlato per tutta la giornata, ma, una volta atterrati, la mano di lei strinse con forza il polso di lui.
“Non andare via, non lasciarmi!”
“Naida. Ora dobbiamo divederci, ma domani staremo di nuovo insieme” le rispose con tono dolce, ma fermo e risoluto.
“No! Vieni a casa mia di nascosto, nella mia camera!”
Con parole gentili, lui declinò l’invito, spiegandole i motivi, quindi si salutarono con un lungo bacio.
La ragazza rientrò a casa, Sirius stava per terra sul grande tappeto e giocava in silenzio; appena vide la sorella la scrutò a lungo di sottecchi e con uno sguardo carico di livore.
Quel pomeriggio aveva affrontato la temutissima visita ortopedica, ma non c’era stato nessun dolore, né spargimento di sangue. Quindi? Chi era il bugiardo? Il dottore aveva detto che tutto filava liscio, anzi si era complimentato con lui e i genitori per l’ottima forma.
Naida non lo guardò nemmeno e filò dritta nel guardaroba per cambiarsi d’abito.
Sirius si sentì subito più sollevato senza lei vicino, ma non abbandonò la guardia, anzi, in cuor suo, meditava di farle qualche bello scherzetto a sorpresa.

Nel grande palazzo reale fleediano veniva servita la cena nella sala più piccola.
Maria era allegra e ciarliera, parlava sempre di questa sua amica che molto presto sarebbe arrivata e insieme si sarebbero tanto divertite.
I familiari l’assecondavano con simpatia, pensavano che quella bambina fosse molto più intelligente della sua età, di sicuro doveva svogliare molti libri illustrati, per avere tutta quella fantasia.
Quando venne per tutti l’ora di ritirarsi nelle proprie stanze, Duke Fleed, ripensò alla giornata trascorsa nei dettagli, ma, per quanto si sforzasse di rivedere con gli occhi della mente le ore appena passate, tutto un altro genere di immagini scorrevano davanti ai suoi occhi, come in un film.
Vedeva una grande distesa d’erba, una fattoria, persone sconosciute, mandrie, cavalli, un bambino, uno stranissimo personaggio che stava sopra un’alta torre col cannocchiale.
Poco distante un edificio grandissimo, con degli uomini che parevano studiare il cielo e le stelle: a giudicarli così, sembravano un popolo decisamente arretrato. Che strani abiti indossavano! Ma chi erano? E da dove venivano?
In mezzo a tutta questa animazione, più che vedere, sentiva al suo fianco una presenza femminile che di sicuro faceva parte di tutta quella grande famiglia. Gli camminava sempre a lato, silenziosa ma presente, alla fine lui decise di guardarla. Girò la testa e vide una giovane ragazza semplicemente vestita che lo fissava con due grandi occhi castani: dentro quegli occhi sentiva una muta domanda, non seppe dire cosa fosse, ma c’era, ed era una presenza molto forte, concreta e reale.
Nonostante la singolarità della cosa, tutto era molto piacevole, era curioso di vedere e sapere di più su quella gente e quei luoghi.
Non era un sogno, perché lui era perfettamente sveglio, attribuì questa stranezza alla giornata insolita che si era appena conclusa e, quando il sonno venne, i suoi lunghi e tormentati sogni gli mostrarono che Naida lo voleva tutto per sé, non lo avrebbe lasciato mai, a nessun costo. La mano di lei non mollava la stretta, ma questa si faceva sentire con più forza, fino a fargli male.
Erano le ultime settimane dell’anno, quando accadevano questi fatti.
La primavera successiva, coi suoi colori e profumi, sarebbe stata testimone e avrebbe portato sulla scena di un grande palcoscenico coi riflettori molto accesi, tutti i personaggi, le situazioni, gli imbrogli, le gelosie, i tradimenti, i fuori schermo, gli intrighi, i mancati impegni, le debolezze di ognuno, come piccole tessere di un enorme mosaico, che, magicamente e maleficamente incastratesi alla perfezione, avrebbero portato alla totale distruzione del pianeta Fleed e della sua gente.


FINE
 
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