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.Luce.
view post Posted on 22/4/2023, 16:44 by: .Luce.     +1   +1   -1
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Professore della Girella

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RICORDI DEL PASSATO

2_61

Sul pianeta Rubi, il sole era già sorto da alcune ore, ma la principessa che governava quella stella ancora non si decideva ad alzarsi dal letto. Non che stesse poco bene o fosse ancora assonnata, ma una strana e insolita apatia l’avvolgeva tutta: aveva dormito poco e male, ma a disturbarla maggiormente erano stati alcuni frammenti di strani sogni che nemmeno riusciva a ricordare tanto bene, tuttavia l’avevano riportata indietro, molto tempo prima, quando era sì una principessa, ma solo sulla carta, perché, di fatto, svolgeva una vita comune a tante ragazze della sua età.
L’orologio segnava quasi le 9.00, quindi lentamente e con indolenza si vestì, senza preoccuparsi dell’eleganza, poi iniziò a vagare per la casa come una sonnambula: cercava qualcosa, ma una fitta nebbia nella mente le impediva di capire bene.
Un silenzio quasi irreale avvolgeva tutta la casa, dei suoi sudditi non c’era traccia, quindi Rubina, dopo aver ingoiato in fretta un caffè nero e forte, aprì un armadio a muro posto in un angolo del ripostiglio dove lei non entrava quasi mai e si decise a cercare quel qualcosa che la tormentava.
Un forte odore di muffa le arrivò subito alle narici: una grande e fitta ragnatela nera sbarrava un ripiano, mentre le tarme avevano dimostrato di gradire molto il sapore di quel legno.
C’erano vecchi libri dalle pagine scollate e poco leggibili, carte sparse, oggetti di cancelleria ormai secchi e consumati dal tempo.
Continuò a cercare e finalmente, in un angolo dell’armadio, trovò un grosso album pieno di vecchie fotografie, appunti, documenti: soffiò sopra e subito si formò una nuvola di polvere grigia che la fece tossire e starnutire, con un panno lo pulì alla meglio, poi, con quel tesoro prezioso, si accomodò nella poltrona della sala da pranzo e si mise a sfogliarlo con lentezza estrema soffermandosi su ogni particolare.
Fu quando gli occhi riconobbero all’istante una vecchia fotografia che ritraeva lei e tutto il gruppo delle sue compagne di classe che i ricordi di quel periodo le vennero incontro senza tregua.
Quando Rubina ebbe compiuto l’età per gli studi superiori, fu mandata dal padre a studiare in una città molto lontana dalla capitale del pianeta Vega: non ne aveva mai saputo il motivo, perché, per una ragazza del suo rango, è più normale essere seguita da un tutore, un professore di alta cultura e con ottime referenze che ogni giorno si rechi personalmente al palazzo reale per dare l’istruzione adatta ad una principessa. Nel suo caso non era andata così, o meglio, fino al diploma delle scuole medie inferiori aveva avuto più di un insegnante privato per la sua formazione, perché, essendo nobile, non erano state trascurate, oltre alle materie umanistiche, anche le attività fisiche, musicali, il galateo. Un bel giorno, però, si era trovata dalla sera alla mattina in un liceo di un’anonima città di provincia, in mezzo a una ventina di sue coetanee di tutti i censi e provenienze.
Era certamente una scuola che garantiva una buona preparazione, ma trovarci lì una principessa era oltremodo improbo.
In quell’ambiente, nessuno sapeva niente del suo rango, per tutti era normale che lei fosse lì per studiare, alloggiata in una grande casa che ospitava gli studenti esterni: ragazzi e ragazze di ceto medio-alto, tutti intenti certamente per imparare, ma anche divertirsi tra loro, organizzare festicciole, raduni, gite fuori porta.
Rubina si rivide là con gli occhi della mente: di solito portava due grosse trecce che le cadevano sopra al grembiule nero col colletto di pizzo bianco, esattamente com’era ritratta in quella foto di gruppo in una giornata dal cielo plumbeo dentro un giardino con siepi piuttosto trascurate e alberi sempreverdi.
Ricordò che teneva sempre nelle tasche dei gessetti colorati e con quelli faceva i disegni sulla lavagna nell’ora di disegno. Le piaceva molto e spesso si sporcava, oltre alle dita, anche il grembiule e il viso, ma era tanto felice delle belle creazioni che riusciva a realizzare, anche se poi di esse non rimaneva traccia, perché, finita la lezione, la lavagna andava sempre cancellata.
“Nessuna traccia…” pensò socchiudendo gli occhi e tenendo il capo reclinato da una parte.
“Non c’è rimasto niente di quel periodo, niente di niente. La mia vita all’improvviso ha preso un corso completamente diverso: quella ragazza che usciva con le amiche e i ragazzi le facevano il filo, chi in modo velato, altri in maniera più sfrontata, è morta e sepolta per sempre.”
Aveva formato un gruppetto forte e compatto con altre tre ragazze, erano inseparabili e insieme si aiutavano anche passandosi i compiti di nascosto, coprendo le assenze ingiustificate delle une o delle altre, facendo scherzi ai bidelli e alla professoressa di Lettere.
“Per colpa vostra ho il sistema nervoso!”, spesso gridava, oppure: “Ho la cervicale, non posso muovere la testa.”
Studiando Scienze, avevano presto capito che quei discorsi non avevano alcuna logica: per essere corretta, avrebbe dovuto lamentare un sistema nervoso disturbato e dolori alle articolazioni.
Di conseguenza le ridevano sempre dietro, specialmente per via di quei grossi occhiali con le lenti molto più spesse di un fondo di bottiglia, che la facevano comunque sbagliare quando leggeva l’elenco dei nomi delle ragazze e anche confondere i loro visi: spesso scambiava una con un’altra, addirittura con qualcuna di un’altra sezione e perfino di quelle che già da qualche anno si erano diplomate, partite, sposate o fidanzate.
Al quinto e ultimo anno di liceo, quando gli odori dell’aria e i primi boccioli facevano presagire l’arrivo della primavera, aveva ricevuto una lettera dal padre che le chiedeva di tornare: “Per una settimana almeno devi venire qui, ho bisogno di te…”.
Questo, in sintesi, era il succo del discorso che Rubina ricordava, quindi, senza alcun timore o presagio, aveva lasciato l’alloggio e col permesso firmato dal proprio genitore era tornata a casa.
Data la sua convinzione che sarebbe rimasta lontana dalla scuola solo pochi giorni, aveva preso con sè solo lo stretto necessario infilato dentro una piccola valigia, lasciando libri e vestiario nella casa dove abitava insieme alle sue compagne di studi.
“Da quel giorno in poi, io sono stata e sarò sempre una persona diversa di quella che fumava di nascosto nei bagni della scuola, passava i compiti alle altre, andava a ballare nei locali alla moda, disegnava piccoli capolavori coi gessetti colorati e a volte anche deliziosi oggetti con la creta.”
Si alzò dalla poltrona e, con gli occhi puntati a terra, vedeva, come in un film, una sua ipotetica vita se fosse rimasta per sempre in quel paese lontano dal palazzo reale.
“Mi sarei sposata, avrei avuto dei bambini, le mie amiche avrebbero fatto lo stesso e ci saremmo ritrovate nel tempo libero a casa di una o dell’altra. Le vacanze estive, gli sport invernali, i club più o meno esclusivi… di certo il mio sangue blu lo avrei dimenticato… forse senza rimpianti. Oppure no?” si chiese fissando la sua immagine nello specchio della sala.
Di fatto, a quei tempi, appena aveva depositato il suo piccolo bagaglio nella reggia della sua casa natale, quasi senza sapere come e perché, si era trovata all’improvviso su un pianeta fino ad allora mai visto né sentito, a navigare su una barchetta sul lago decorato di fiori rossi galleggianti in compagnia di un bellissimo giovane, nientedimeno che il principe ereditario, a notiziarlo che re Vega, suo padre, aveva pensato di farli sposare.
Rubina tirò fuori dal primo cassetto del comò dei cerini e si accese una sigaretta, poi, il film della sua mente continuò a srotolare immagini e ricordi.

“Invece non andò così” disse sottovoce alla sua immagine riflessa nel vetro. “Scoppiò una terribile guerra, altro che matrimonio… ma io…”
Con voce più alta e sicura continuò: “Io ho fatto esattamente ciò che rifarei anche adesso se la stessa situazione si ripetesse. Non voglio bugie né tradimenti. Davanti a questi, solo la vendetta spietata è la giusta soluzione, perché, per simili offese, non ci sono scusanti né attenuanti.”
Finì la sigaretta e la buttò a terra spegnendola con la punta della scarpa: anche in quel semplice gesto, era evidente tutta la sua volontà distruttiva che mai si era attenuata, specie ora che governava da molti anni su Rubi con scettro di ferro e ogni rivolta provocata dai suoi abitanti veniva sistematicamente soffocata nel sangue.
Era ancora immersa in questi pensieri, quando il computer le mandò il solito segnale lampeggiante, quello delle comunicazioni urgenti.
Rubina premette sul pulsante per avere contatto col mittente e un messaggio scritto riportava esattamente queste parole: “Altezza, abbiamo eseguito alla lettera tutti i suoi ordini: duecento insubordinati sono stati giustiziati senza appello.
Con ossequi, Suo devoto e fedele servitore, Il Capo delle Guardie Imperiali.”
La principessa rispose subito in modo succinto e telegrafico, mentre un sorriso soddisfatto le stirava le labbra: “Molto bene. Grazie per la comunicazione.”


FINE
 
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113 replies since 20/4/2016, 12:44   1873 views
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