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.Luce.
view post Posted on 28/9/2023, 10:00 by: .Luce.     +2   +1   -1
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Professore della Girella

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L’ETA’ DELL’INNOCENZA

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I giardini, i fiori, i campi, le foreste del pianeta Agena sembravano particolarmente rigogliosi in quel pomeriggio di inizio estate; il mormorio del fiume e dei ruscelli si fondeva al fremito degli insetti dispersi nell’aria, le fronde degli alberi si muovevano ogni poco come una danza incitati dalla brezza e l’odore dei fiori denunciava con prepotenza la loro recente nascita.

Due giovani poco più che adolescenti si tenevano per mano, camminando lentamente, il sole negli occhi, ogni poco si sussurravano parole all’orecchio con sguardi complici; la ragazza pareva divorare con lo sguardo il giovane accanto a lei, la sua mano non allentava la presa con quella di lui, anzi, ogni poco la stringeva maggiormente con evidente possesso.
Ad un tratto lei si fermò e fissò lo sguardo negli occhi del ragazzo.

«Alex, io…»
«Sì Elena, cosa c’è?»
«Tu starai sempre con me, vero? Mi ami veramente?»
«Perché mi chiedi queste cose? Lo sai che ti voglio bene, te ne ho sempre voluto, siamo cresciuti insieme…»
«Lo so, ma a volte mi prende un’ansia, una paura terribile che tu possa abbandonarmi: succede sempre quando non siamo insieme, è sempre peggio, a volte la notte mi sveglio all’improvviso a causa di un incubo, tu non ci sei e ti credo perduto per sempre.»
«Sono solo brutti sogni Elena, non pensarci, capita a tutti, hai provato con la tisana di millefiori? È ottima sai, un vero portento per assicurarsi sogni d’oro e senza incubi» le rispose lui guardandola intensamente e portando una mano di lei alle proprie labbra. La frase rassicurante, quasi superficiale, era in netto contrasto con la gravità con cui era stata pronunciata.
«Senti, cosa ne dici se ci tuffiamo nel torrente e a nuoto arriviamo dall’altra parte della vallata?»
Nel farle l’invito, lui le aveva messo la mano sotto i capelli, vicino alla tempia, una carezza delicata e intensa al contempo.
La ragazza non rispose, ma i suoi occhi si strinsero in due fessure senza espressione, lo sguardo lontano e proseguì il cammino come un automa.

In prossimità del palazzo reale c’era una spiaggetta privata con tanta sabbia e accanto una pozza d’acqua: il posto preferito dei bambini, qui potevano giocare a volontà e gli adulti li lasciavano liberi, dato che pericoli non ce n’erano.
Quel pomeriggio, una Arianna prossima erede al trono di cinque anni, si avviava sprizzando energia da tutti i pori verso quella specie di paradiso terrestre, armata di secchiello, paletta e stampini di tutte le forme.
Scendeva correndo dalle scale esterne del palazzo: il suo prendisole giallo svolazzava nel vento e le ciabattine di gomma con la margherita di plastica come ornamento sembravano ali.
«Questo è il mio palazzo, qui ci sto io e il mio fidanzato, nella sala grande ci sposiamo e facciamo il ricevimento…» mormorava tra sé la bambina, mentre si apprestava a costruire una torre di sabbia.
All’improvviso sentì due piccole mani coprirle gli occhi: sorrise dentro di sé, si voltò indietro di scatto e riconobbe il suo “futuro sposo”.
«Rocco! Finalmente eccoti, sono ore che ti aspetto!»
«Sono riuscito a liberarmi solo ora, sai, come futuro re, ho tanti impegni» le rispose il bambino assumendo un tono da adulto e di superiorità.
«A che punto sono i preparativi per le nozze?»
«Ancora non ci siamo, l’abito non mi piace, poi la lista degli invitati è ancora lunga, non so quali regali scegliere, il menù un vero rompicapo, mi aiuti?»
«Sicuro! Ho qui una lista lunga così, l’ho presa dalla cucina di nascosto, ogni settimana ne compilano una nuova… vediamo… ma… non si legge bene, sono tutti scarabocchi.»
«Lascia stare, dammi piuttosto una mano con questa torre, vai a riempire il secchiello d’acqua, poi buttalo dentro questo buco, dopo altri e altri ancora, finché te lo dirò io.»
Poco contento di venire comandato da quella mocciosa, Rocco ubbidì, meditando tra sé come rifarsi in un secondo tempo con quel generale in gonnella… però tanto carina e simpatica alla fine.

Dalle persiane socchiuse entrava una lama di luce del tardo pomeriggio e si posava sul pavimento di legno, illuminando un poco i due giovani distesi sul letto, mentre una nuvoletta di fumo azzurrognolo saliva verso il soffitto.
Elena si alzò per prima, vestita del solo lenzuolo di cotone che poco prima aveva accolto il suo lungo corpo sinuoso, giovane e provocante: sentiva in tutto il suo essere una pesantezza estrema, come se tutta l’umidità dell’aria le fosse piombata improvvisamente addosso. I movimenti erano lenti e faticosi, si sentiva stanca, vuota, debole e infelice, totalmente inconsapevole della sua avvenenza, ma non sarebbe riuscita a tradurre in parole questo suo stato d’animo, anche perché non c’erano fatti reali a provocarle questo. Lo specchio dell’ingresso rifletteva il suo viso stanco in una luce fioca e opaca, nella penombra si guardò senza vedersi, i suoi occhi erano spenti e tristi, come la sua anima, come il suo essere.
Meccanicamente sistemò un ciuffo ribelle con le mani a mo’ di pettine, afferrò gli abiti posati a terra e si vestì per inerzia, come fosse reduce da una lunga malattia, alle soglie di una convalescenza che tardava a manifestarsi, e si trascinò verso l’uscita. Con uno scatto improvviso, fulmineo ed energico, si girò verso il ragazzo, i suoi occhi disperati chiedevano conferme, certezze, era lo sguardo di chi ha il terrore di venire abbandonato all’improvviso e per sempre.
Aveva passato molte ore con Alex in quella stanza, in quel letto, erano stati bene come tutte le altre volte; come al solito non si erano fatti mancare niente, anzi, in teoria sarebbero dovuti rientrare a casa da tempo, ma in realtà facevano sempre tardi, perché le ore passate insieme parevano non bastare mai.
Lui si alzò e le andò vicino abbracciandola da dietro, le disse alcune frasi piacevoli all’orecchio, assieme alla promessa di rivedersi al più presto.
«A domani allora, come sempre. Vorrei andare in quella spiaggia che conosciamo solo noi…»
«Lo voglio anch’io Elena, non vedo l’ora, a domani» le rispose sfiorandole le labbra con un bacio, mentre le sistemava meglio la spallina dell’abito che stava scendendo.

Entrambi tornarono verso casa prendendo due direzioni diverse e, mentre il principe si dirigeva verso il suo palazzo, già da lontano gli arrivò alle narici un noto odore pieno di reconditi significati.
Era il profumo di tante cose, una mescolanza di tutto: dell’infanzia, dei giochi, degli studi, dei doveri, delle confidenze, del passato, presente e futuro, in una linea continua senza tempo e spazio.
Quell’odore noto era il risultato di un piatto particolare che soleva preparargli la madre per loro due, quando dovevano affrontare cose nuove e importanti, decisioni delicate, ma anche segreti condivisi e complici. L’argomento di base non era un mistero per nessuno, come ad esempio quando si era trattato di decidere dove andare a studiare quell’anno, dove festeggiare la tale ricorrenza, cosa regalare ad Arianna per il suo compleanno, ma era la modalità della decisione, lo svolgersi delle cose che era segreto e inviolabile: un sussurro di parole nella cucina, di solito regno dei domestici, ma in quelle occasioni veniva occupata solo dai due congiunti, i quali, nella suddetta ricorrenza, avevano dismessi i panni regali e si comportavano come persone comuni.
La sensibilità d’animo del principe, unita a quella dell’olfatto, gli fece intendere che la lieve sfumatura di differenza del profumo preannunciava obblighi regali non da poco, del resto cosa doveva aspettarsi, era ormai nell’età adulta e il suo rango lo costringeva alle vere responsabilità man mano che il tempo avanzava.

La reggia era situata sopra una piccola collina, il grande portone era di legno intarsiato con marmo, mentre ai lati due grandi portefinestre con lievi tende bianche lasciavano intravedere il vasto salone.
Il giardiniere stava sistemando l’erba appena tagliata, l’aria era satura del suo odore insieme a quello dei fiori. All’interno Lahariat, la domestica che da sempre era a servizio nel palazzo, si accingeva a pulire, come ogni settimana, i cristalli e tutta l’argenteria; il pavimento era stato appena lucidato con cera d’api. C’erano candelabri in vari punti della stanza, il loro uso era solo di carattere estetico, appartenevano alle antiche generazioni, la luce delle lampade moderne e funzionali illuminava con prepotenza tutto l’edificio.
Appena entrò il principe, la donna, dopo un breve e cordiale inchino, si congedò e corse verso la dispensa e la cantina per un rapido inventario.
Il principe ereditario Alessandro d’Agentalia aveva circa ventun anni, la figura alta e longilinea, lineamenti fini, nobili e fieri, un incarnato avorio, lo sguardo blu intenso e tutta la sua persona tradiva la buona discendenza, la cultura, le origini regali, la classe, senza sforzo alcuno.
Per molti anni aveva studiato presso altri pianeti, aveva fatto addestramento militare, studi scientifici particolari e mirati per utilizzare le materie prime del sottosuolo, impiegandole a fini redditizi per tutta la popolazione. Durante gli studi passava solo alcuni mesi fuori, tornava sovente a casa: nostalgia, ma anche doveri e obblighi verso la famiglia e i suoi ruoli.
Sua sorella Arianna, di soli cinque anni, gli somigliava molto fisicamente, ma era sempre allegra e spensierata; il suo sorriso e la sua allegria erano una certezza come la luce del mattino e non c’era niente che potesse spegnerle anche per un solo attimo l’argento vivo che l’animava tutta.

Da circa un’ora Alex si era ritirato nelle sue stanze e ripensava allo strano svolgersi di quella cena: con la solita premura, la madre aveva cucinato e servito le portate e, solo al termine, si era messa a conversare col figlio, prendendo il discorso alla lontana e senza arrivare a un finale preciso.
«…quando avevo circa la tua età frequentavo un giovane molto attraente, eravamo presi da una forte passione, non potevamo stare un momento lontani e, quando non potevamo vederci, il pensiero era sempre rivolto all’altro. Era impensabile un matrimonio tra noi, eravamo di ceto completamente diverso, quindi prima meditammo la fuga, la ribellione aperta, addirittura il suicidio, poi furono gli eventi a decidere per noi e, dopo i primi mesi di smarrimento, dolore, incredulità, mi trovai sposata con quello che poi divenne tuo padre e la vita che ho avuto con lui, in passato, nel presente e nel futuro, non la cambierei in nessun modo, anzi, non saprei immaginare una vita diversa.»
Così aveva detto sorridendo la madre, poi erano usciti un momento in giardino, mentre Arianna tornava verso casa accompagnata dal padre.
«Io mi sposo!» aveva esordito la bambina, piena di incontenibile eccitazione, poi era corsa dentro, aveva preso una bianca tovaglia leggera posta sul tavolo del giardino e se l’era messa come un velo.
Tutti avevano riso, l’avevano assecondata con domande opportune, rassicurata sullo sfarzo della cerimonia ed erano andati avanti per un bel pezzo, visto che lei dalla gioia non mostrava segni di stanchezza.

…Elena Rivas, la sua famiglia…
“Quella ragazza è strana, parecchio strana, fin da quando era bambina avevo notato certe anomalie in lei, volevo credere che si stemperassero fino a scomparire con gli anni, invece sono cresciute: ha un qualcosa in fondo al suo sguardo che non mi piace, qualcosa di pericoloso, di veramente troppo pericoloso”, così pensava con apprensione la regina, la quale, insieme al marito, si rendeva perfettamente conto della passione divorante che legava Elena ad Alex. Speravano che il tempo ammortizzasse questa cosa, macché, era sempre peggio, solo che proibire non sarebbe servito a nulla, anzi li avrebbe legati ancora di più.
«È sempre stata di carattere possessivo in modo anomalo, da bambina voleva impossessarsi degli oggetti, ma soprattutto delle persone in modo morboso; a volte fissava con intensità qualcuno in lontananza, pareva meditare come farlo cadere nella sua rete per non lasciarlo più.»
«Lo so bene, ma ora la faccenda si complica tantissimo, da molto tempo sospettavo, ora ho invece la certezza che re Albali vuole invadere Agena, quindi sto pensando di proporgli il matrimonio tra sua figlia Regalia e Alessandro» rispondeva il re alle sue spalle, apparso improvvisamente dal nulla, posando una mano su quella della consorte.
Lei si volse appena e il suo sguardo era tutto un’apprensione, un punto interrogativo: come faremo? Era la sua muta domanda. Come si può fare senza far soffrire nessuno e salvare al contempo il nostro pianeta?
«Il fatto è comunque» disse la donna «che, anche se non ci fosse di mezzo nessun re Albali e Regalia o chi per loro, un’unione tra nostro figlio ed Elena è impensabile per mille e mille motivi.
Accantoniamo per un momento il fatto che lei non sia una principessa, questo da solo non è un buon motivo per ostacolare un matrimonio; i veri motivi sono quelli che già sappiamo e abbiamo discusso altre volte. Solo che loro due più sentono ostilità da parte nostra, più sono attratti l’un l’altro. So molto bene che si vedono più spesso e a lungo di quanto vogliono farci credere.
Prima, a cena, ho improvvisato una conversazione, prendendo l’argomento molto, molto alla lontana, poi mi sono fermata, perché non sapevo più dove andare a parare.»
«Va bene così, infatti, cos’altro potevi fare? L’unico modo che vedo possibile è metterlo davanti al fatto compiuto, sì, invitare qui la principessa e fidanzarli… Ora però si è fatto tardi, andiamo.»
I due sovrani si avviarono verso la loro camera con il cuore oppresso da tanti pensieri, preoccupazioni, paure, responsabilità più grandi di loro.

Elena era rientrata: salutò appena i genitori, poi si diresse verso le sue stanze.
La sua villa dava sul mare, era una costruzione di solide fondamenta di granito rosso.
Non era troppo grande, ma estremamente luminosa; c’erano due cuochi, una cameriera, altre persone che aiutavano nei lavori saltuariamente, quindi non erano presenti ogni giorno.

Era una famiglia di antiche nobili origini; il patrimonio di famiglia, con gli anni, si era notevolmente assottigliato, però continuavano a dare l’impressione di ricchezza. I gioielli di famiglia, i quadri, l’argenteria erano rimasti intatti, uniti al buon gusto nel vestire e ai modi nobili dei suoi abitanti.
Al pianterreno c’erano la sala, la cucina, il salotto buono, al piano superiore tutte le camere da letto; quella di Elena era in fondo ad un lungo corridoio, un’ampia finestra lasciava intravedere la fine sabbia bagnata dal mare.
«Elena, la cena è pronta» le disse subito la madre.
«Ah, scusa mamma, ho mal di capo e sono stanca, vado a riposare.»
«Come vuoi, più tardi desideri qualcosa in camera?»
«No, va bene così, a domani, ciao» le rispose sforzandosi di essere gentile e defilandosi in fretta.
La ragazza entrò nella sua stanza, si chiuse bene a chiave e, presa dallo sconforto totale, si addossò al muro, lasciandosi scivolare lentamente a terra; teneva la testa tra le mani e ricominciò il lungo e inconcludente soliloquio, misto a pensieri tumultuosi e informi, che mai la abbandonavano.
Ad un tratto aprì il mobiletto alla sua destra e, con atti febbrili, aprì un astuccio, riversando tutto il contenuto sul pavimento: con la mano cercò l’oggetto desiderato, un piccolo temperino con lama bene affilata. Con sguardo e gesti nervosi, l’afferrò e si provocò numerosi piccoli tagli superficiali sulle mani e sulle dita. Le gocce di sangue che sgorgavano la riempivano di eccitazione mista a paura, dolore e sgomento: dopo qualche attimo smise, mentre lacrime copiose le scesero dai grandi occhi tristi, lavando le ferite. Alla fine si lasciò cadere esausta e piombò in un sonno pesante e senza sogni fino all’alba seguente.


“Disturbo bipolare maniacale cronico”: questa era stata la diagnosi dei medici dopo aver visitato per alcune settimane la signora Belinda Rivas, zia paterna di Elena.
Altri illustri scienziati avevano parlato anche di personalità “borderline”, quindi la giovane aveva passato qualche mese in una clinica lontana dalla sua città, perché all’esterno non doveva trapelare nulla, dato che le formalità erano importantissime. Questa nobile famiglia era sempre attenta a mantenere l’aspetto e il decoro; comunque nel loro ambiente si vociferava sulle stranezze di quella giovane donna, che passava il suo tempo alla finestra fissando il vuoto, gli occhi chiarissimi erano spenti e vitrei, parevano non vedere nulla.
Parlava pochissimo, alternava momenti di tristezza e apatia ad altri di euforia eccessiva, però, nell’arco dei suoi vent’anni, i momenti di normalità erano piuttosto frequenti; poi, col passare del tempo, era andata peggiorando lentamente e inesorabilmente.
Una mattina la domestica l’aveva trovata mentre si tagliava i capelli a piccole ciocche, la lunga chioma che ricordava il grano maturo era finita sul pavimento della ricca sala, altri capelli volavano fuori dalla finestra aperta.
I genitori erano corsi tentando di fermarla, lei li aveva minacciati con le forbici, poi, con le stesse, si era procurata dei tagli alle mani, minacciando di arrivare alle vene se solo l’avessero sfiorata.
A quel punto un ricovero in clinica specializzata non poteva più essere rimandato, quindi era partita lontano, in un luogo dove sorgeva un grande edificio tutto bianco in mezzo ad un fazzoletto di terra. Era presieduto dai migliori medici del pianeta a quanto si diceva, molto costoso anche, quindi la famiglia aveva dato fondo a tutti i risparmi.
Dopo circa un anno, durante il quale Belinda non era né migliorata né peggiorata, era stata trovata una mattina dall’infermiera con le vene dei polsi tagliate e per lei non c’era stato niente da fare.
Aveva usato il cannello della flebo, visto che non aveva a disposizione nessun oggetto tagliente.
Per tutti era morta di un male incurabile, così avevano fatto passare la sua scomparsa; col tempo la famiglia si era rassegnata a questa perdita, lo capivano che era una gran pena per lei vivere.
Elena… sua nipote… le somigliava fisicamente, aveva i suoi stessi colori, ma al contempo era tutt’altra persona, perché non era passiva di fronte alla vita, ma la divorava, aveva fame di tutto; molto passionale, aveva una sensualità inconsapevole e con un fondo di infantile ingenuità che la facevano ancora più affascinante. Gli occhi erano chiari e grandi come quelli di sua zia, ma quelli di Elena erano vivaci e svegli, osservavano tutto, prendevano tutto: la sua figura alta e longilinea non era un accessorio ingombrante da portarsi appresso, ma sprizzava energia, calore, giovinezza.
I suoi coetanei le facevano una corte serrata, la invitavano a uscire, ma, ogni volta, dopo due o tre incontri, sparivano. La sua passionalità, mescolata alla smania di possesso, la sua ricerca continua di conferme, i suoi tediosi monologhi, allontanavano ben presto quei ragazzi che solo pochi giorni prima avrebbero fatto carte false per assicurarsi la sua compagnia.
Questo non era avvenuto col principe ereditario, anzi, dopo un’infanzia passata nei giochi e negli svaghi, appena adolescenti, avevano fatto coppia fissa come un fatto logico e naturale.
Ben presto la personalità di Elena si era manifestata nella sua doppiezza.
C’erano giorni in cui si alzava presto, piena di vita e voglia di divertirsi, curava la sua persona, usciva con qualche amica, si occupava anche delle incombenze domestiche.
In altri momenti subentrava un’apatia, un’insicurezza di tutto, della sua bellezza, del suo essere, del suo compagno; a fine giornata questo sforzo si trasformava in una forte depressione, poi, così come era arrivato, così repentinamente, la lasciava e tornava la ragazza allegra ed esuberante di sempre, ma anche gelosa, possessiva, oltremodo insicura.

La regina Agata era sul terrazzino dello studio, lo sguardo perso in un punto lontano, tra i giardini, gli alberi, i ruscelli, mentre il suo consorte la notiziava sugli ultimi eventi.
«Poche ore fa, ho saputo, in via strettamente confidenziale, la notizia che il re Albali ha appena invaso la stella Zari, pare abbia usato delle armi davvero micidiali, su quel pianeta ci sono dei minerali molto particolari e unici, poi un sottosuolo davvero fertile…»
Si passò una mano sugli occhi, tentando di raccogliere i pensieri.
«Tutti quei minerali, uniti alla nostra segreta scienza e tecnologia, sono troppo preziosi perché un essere avido e senza scrupoli come quello possa restarvi indifferente.»
Lei lo guardò con sguardo rassegnato e triste, sapeva già il destino che si preparava loro.
«Ho preso contatti con lui invitandolo da noi assieme alla figlia, la ragazza deve avere sì e no vent’anni e, nel colloquio, ho lasciato velatamente intendere di non avere nulla in contrario ad un possibile matrimonio tra lei e Alessandro. Tra pochi giorni saranno qui… il resto si vedrà!»
Concluse la frase con un lungo respiro, poi entrambi scesero al piano terra.
La tovaglia della sala da pranzo era bianca e finemente ricamata, Lahariat serviva il brodo con crostini in piatti di porcellana. Arianna aveva impugnato il cucchiaio con forza, alla maniera dei bambini, atteggiamento ancora ben lontano dalle basilari regole del galateo e, mentre affondava la posata dentro la scodella, entrambi i genitori si schiarirono la voce e, esitando un momento, informarono i rispettivi figli che per i giorni a venire ci sarebbero stati degli ospiti.
«…quindi siete pregati di riceverli cordialmente. Indosserete sempre gli abiti migliori e, siccome il loro sarà un soggiorno piuttosto lungo, dovranno svagarsi piacevolmente e non farete mai mancare la vostra compagnia, d’accordo?»
«Sì mamma, come vuoi… però volevo sapere…»
«Dimmi Alex, cosa c’è?»
«No, niente, però… no, niente, abbiamo capito bene tutto, non faremo mancare loro nulla.»
«Grazie, lo sapevo che potevo contare su di te.»
Il sorriso pieno di gratitudine della madre sottintendeva molta apprensione, Alex lo vedeva bene, decise quindi dentro di sé di comportarsi come il suo ruolo richiedeva.

Il sole stava già scomparendo all’orizzonte, quando alcuni servi annunciarono l’arrivo della principessa. Il suo velivolo era rimasto di parecchie miglia lontano dal palazzo reale, quindi fece il suo ingresso a corte su di una nave guarnita d’oro e su un podio. Stava dentro una specie di gabbia coperta di veli leggeri, che lasciavano indovinare l’ombra della ragazza; la giovane guardava tutto con inquietudine.
Quando la barca fu ormeggiata, due servi sollevarono i veli e una ragazza dall’aspetto fragile e delicato si alzò; con gli occhi bassi, ma decisamente sicura di sé, Regalia salì i gradini fino al terrazzo, dove i due sovrani e i loro rispettivi eredi l’aspettavano.
L’una e gli altri dissero qualcosa in segno di saluto e, superati i primi momenti piuttosto formali, l’atmosfera si distese e si parlarono come amici di lunga data.
La ragazza aveva lineamenti nobili, leggermente alteri, una lunga chioma castano ramato e occhi grigi, grandi, a volte freddi e impenetrabili.
Il giorno successivo Regalia incontrò quello che doveva forse essere il suo futuro sposo da sola, andarono in giro per i giardini poco distanti dal palazzo, conversando in modo educato. Nascosta dietro alcune siepi, Elena li osservava non vista, nulla sfuggiva al suo sguardo stretto in due fessure, mentre un pericoloso febbrile luccichio le infiammava la vista e la mente.
Il re e la regina osservavano tutto da lontano, la preoccupazione era una costante nei loro pensieri, ma erano anche sollevati dal fatto che la figlia di Albali soggiornava presso di loro, quindi mai lui si sarebbe sognato di attaccarli in qualche modo, era logicamente impossibile, quindi ogni tanto si concedevano delle parentesi di cauto ottimismo.
Alessandro aveva mostrato a Regalia il palazzo reale, i luoghi vicini, le aveva chiesto se voleva fare un giro in barca o nuotare, ma lei non amava affatto il mare, preferiva l’ombra delle siepi.
Una settimana dopo il suo arrivo, la principessa, chiusa nella sua camera con letto a baldacchino, si mise in contatto col padre tramite il computer.
«Questo luogo mi piace davvero moltissimo e anche le persone, cioè in particolare una persona; sono disposta fin da ora a fidanzarmi con lui, quindi…»
«No! Non è questo, non puoi assolutamente!»
«Ma… ma come?! Io per quale motivo sono qui? Mi avevi fatto intendere che lo scopo era questo, cioè dovrei diventare la futura regina del pianeta Agena…» mormorò la ragazza piuttosto sconvolta.
«Quel pianeta sarà sicuramente nostro, non c’è dubbio, ma dei suoi abitanti non ne rimarrà vivo uno solo!»
Ancora più sconcertata, Regalia chiese il significato di questo.
«Non te ne posso parlare ora, tu continua a fare l’ospite e ad essere gentile con tutti, al resto penso io.»
«No, non posso, io amo quel ragazzo, mi piace e…»
«Ti ho detto che non è possibile, anzi, per favore, non cercarmi più, sarò io a mettermi in contatto con te al momento giusto, intesi?»
La fanciulla spense il contatto, totalmente avvilita e priva di energia, mentre lacrime di dolore e incredulità le pungevano gli occhi; tuttavia, essendo di nobile stirpe, era addestrata a nascondere i sentimenti più intimi davanti alla gente, quindi uscì dalla camera e andò nel giardino con la compagnia di un libro.
Alessandro, quel giorno, si era recato all’Accademia militare per aggiornamenti, poi all’università a ritirare dei volumi dalla ricca biblioteca, infine si era trattenuto lì per studiare e approfondire certe materie scientifiche. Verso il tramonto si decise a rientrare, scese le scale del palazzo e, nell’atrio, vide la lunga figura di Elena che lo stava aspettando.
Sapeva che in quel periodo non doveva frequentarla, però nemmeno poteva ignorarla; lei lo fermò subito e, con fare piuttosto alterato, gli chiese il perché della sua prolungata assenza.
«Ho saputo che stasera c’è un ricevimento a casa tua… io non sono stata invitata…»
«Un momento Elena, non è che tu non sei invitata, piuttosto abbiamo alcuni ospiti di un certo riguardo, non conoscono nessuno qui, è per quello che…»
«No! C’è una sola ospite, e che genere di ospite! Ho visto come ti guardava, eravate sempre insieme, chi è? Dimmelo, voglio sapere tutto!»
«È la principessa ereditaria di…»
«Vi siete fidanzati, vero? Dimmelo, voglio saperlo, tu vuoi lasciarmi, lo sapevo che sarebbe finita così, me lo sentivo, ma stavi sempre a ripetermi che erano solo fantasie, fissazioni… Tu e la tua famiglia avete deciso di farmi passare per pazza come mia zia, vero? Lo so quello che pensate su di me, mi evitate come un’appestata!» lo aggrediva lei con ansia e ferocia mal trattenute, mentre, nella foga, le unghie si conficcavano dentro la mano di lui.
«Non è vero e lo sai, ora devo andare, comunque stasera sei invitata anche tu, d’accordo?» mormorò Alex con uno sguardo triste, poi si avviò velocemente verso casa.
Nella sua giovane vita, Alex aveva condiviso i suoi studi con alcuni coetanei, erano diventati buoni amici, i contatti non si erano mai interrotti, nonostante la lontananza; gli svaghi, i divertimenti, i progressi nelle ricerche li accomunavano da anni, insieme avevano frequentato le ragazze del luogo, ma in Alex c’era sempre l’ombra invasiva e onnipresente di Elena. Anche se in quel momento era lontanissima fisicamente, lui sapeva bene che, per un misterioso motivo, lei era sempre lì ad osservarlo possessivamente, controllare ogni sua mossa e forse ogni suo sentimento.
Allontanò questi pensieri, sostituendoli con altri che, per il momento, stentavano a prendere forma e significato.

Al palazzo reale, Lahariat e altre due persone di servizio apparecchiavano la tavola della sala grande centrale con cura, tiravano a lucido il pavimento e i cristalli dei lampadari.
Le finestre erano tutte spalancate, c’era odore di sole, segreti, misteri, doveri e altro.
Alex salì in fretta le scale, scartando l’ascensore; sul ballatoio scorse entrambi i genitori: erano in abiti smessi, c’era ancora tempo per prepararsi, lo guardarono in modo intenso, quindi entrarono tutti e tre nello studio chiudendosi bene dentro.
Il tavolo di marmo era pieno di carte ordinate, fogli vuoti, pennarelli, inchiostro, cartelle.
Fu il padre a parlare per primo: «Ecco… io e tua madre siamo qui per comunicarti che questa sera… sì, la festa che ci sarà tra qualche ora sancisce il tuo fidanzamento ufficiale con la principessa… Non te ne abbiamo parlato prima, però è così.»
«Lo immaginavo… solo che non capisco perché non siete stati chiari da subito, mi state dicendo che, già prima che Regalia venisse in visita da noi, questo era già stato deciso?»
«Sì e no… cioè non è una cosa semplice. Il fatto è che siamo praticamente certi che il re Albali non è in buona fede con noi. Ho avuto le prove che ha deciso di attaccarci col suo esercito militare come ha già fatto da poco con un altro pianeta, quindi, sperando che il piano funzioni, gli ho proposto il matrimonio tra te e la figlia. Non ha detto di sì apertamente, ma il fatto che l’abbia mandata qui è già qualcosa. Di sicuro non possiamo abbassare la guardia, dobbiamo essere cauti in ogni mossa.»
Alex aveva lo sguardo fisso sul pavimento verde brillante: gli era sempre piaciuto fin da bambino, sembrava fatto di perle, ora assumeva un aspetto diverso. L’infanzia e la giovinezza erano finite davvero per sempre, questo era chiaro.
Alzò lo sguardo limpido verso i genitori, rassicurandoli, in silenzio si avviarono per i preparativi; come un quadro, dal rettangolo della finestra, il sole arancio si appoggiava sul mare cobalto.
La cena al piano terra si svolgeva con rapida eleganza; le portate si susseguivano veloci, quindi, una quindicina di ospiti in tutto, si alzarono per iniziare le danze.
Elena era arrivata dopo cena, accompagnata da una sua cugina più giovane di lei di qualche anno, una ragazza scialba al suo confronto; entrambe avevano una coroncina di fiori tra i capelli e un abito di seta in tinta pastello.

I quattro componenti della famiglia reale erano eleganti senza forzatura alcuna, la regina portava un vezzo di perle, l’abito oro antico, il marito e il figlio completi di nero lucido.
La piccola Arianna era un tripudio di pizzi e trine rosa, i capelli lievemente cotonati, sembrava un concentrato di vivacità e gioia di vivere.
L’eleganza e la bellezza di Regalia sovrastavano con prepotenza su tutti i presenti.
I lunghi capelli lievemente ramati brillavano di luce propria, erano fermati da una coroncina di brillantini, i riccioli si posavano sulla fronte e sulle spalle, mentre un lungo e ricco abito di seta blu l’avvolgeva come una nuvola.
L’incarnato luminoso la rendeva irresistibile, mentre altera e lievemente sdegnosa attraversava la sala in direzione del suo futuro sposo.
Per tutta la durata della cena, Arianna aveva parlato fitto fitto con lei, le ispirava una simpatia innata e, con complicità femminile, le aveva sussurrato di essere anche lei fidanzata e prossima alle nozze.
Regalia la sopportava con cortese educazione, mentre i suoi occhi tradivano tutta la sua insofferenza e antipatia per quella mocciosa ciarliera e inopportuna.
Con un lieve ed elegante baciamano, Alex invitò la principessa al ballo e subito le altre coppie li imitarono.
Elena stava in un angolo della sala e fissava quella giovane e bellissima coppia, che volteggiava con grazia e senza sforzo; la gelosia la rodeva dentro come un parassita, nervosamente toccava le pietre della sua collana di turchesi, mentre un sudore freddo la ricopriva tutta.
Nell’attimo in cui Alex uscì fuori, lei lo seguì veloce, come un felino che attende la preda, e senza parlare lo agguantò con forza, baciandolo con tutta la passione, la rabbia e il dolore repressi da troppi giorni. In risposta lui non fu capace di sottrarsi, anzi si accorse con stupore che desiderava la stessa cosa senza saperlo; restarono molti minuti avvinghiati l’uno all’altra, mentre la passione che da sempre li accomunava pareva rifiorire fino a travolgerli completamente.
«No, non posso, devo rientrare, lo sai Elena che non possiamo…»
Lo sguardo di lei faceva paura e pena al tempo stesso.
«Vediamoci domani, ti aspetto al solito posto.»
Lui acconsentì con un cenno del capo, quindi rientrò nella sala e con cortese educazione intratteneva gli ospiti senza trascurarne nessuno.
Il re e la regina conversavano con la principessa, il loro sguardo lievemente apprensivo era in contrasto con le frasi leggere e amichevoli che le rivolgevano.
Verso mezzanotte gli ospiti si ritirarono a gruppi, contenti della bella serata trascorsa, e, poco dopo, gli abitanti del palazzo, in silenzio, raggiungevano la propria camera.

Il sole del nuovo giorno faceva capolino tra le fronde degli alberi, quando Regalia si svegliò con un lieve cerchio alla testa, tuttavia volle comunicare col padre: da troppi giorni ormai non si faceva più sentire, quindi si mise in contatto con lui.
«Da ieri sera sono ufficialmente fidanzata, quindi sposarmi sarà inevitabile…»
Il padre la scrutò a lungo in silenzio, poi interruppe la comunicazione.
Piuttosto perplessa, la ragazza rimase alcuni minuti senza muoversi, poi si vestì lentamente e scese al pianterreno, dove l’attendeva una solitaria colazione posta su un piccolo tavolo di marmo vicino alla cucina. La cameriera le spiegò che i componenti della famiglia si erano dovuti assentare, ma prima di mezzogiorno sarebbero tornati di sicuro.
«…la pregano di scusarli se non l’hanno avvertita, ma lei dormiva ancora, non se la sono sentita di svegliarla; in giardino c’è una bella ombra, ci sono delle riviste…»
«Grazie, non importa, vado a fare due passi, mi farà bene» mormorò la ragazza, bevendo l’ultimo sorso di caffè.
Si sentiva strana e non solo per aver dormito male, l’ambiente era sfuggente, il padre le era parso indecifrabile, la famiglia reale… Quale mistero c’era?
A piccoli passi raggiunse la piccola spiaggia privata, decise di camminare scalza e, mentre respirava a pieni polmoni l’aria marina, l’umore cominciò a giovarne e il mal di testa allontanarsi.
Dopo circa un’ora prese la via del ritorno, Arianna da lontano l’aveva già notata e le corse incontro con le braccia spalancate.
«Ciao! Da quanto non ci vediamo, mi sei mancata tanto!»
La salutò la bambina, buttandosi addosso alla ragazza, fino a farla quasi cadere.
«Arianna, non essere sgarbata» le disse la madre.
«Torniamo dentro, il sole scotta a quest’ora; tutto bene
Regalia?»
«Sì, grazie, tutto bene.»
Alex rientrò con mezz’ora di ritardo, scusandosi: per la via aveva incontrato un amico che non vedeva da tempo, si erano fermati a parlare e il tempo era volato.
Regalia lo scrutò a lungo. Ansimava, era sudato, gli occhi inquieti e sfuggenti.
Si sentì ancora più sola e confusa: cosa c’era sotto tutti questi velati misteri?
Le sembrava di affondare nelle sabbie mobili, decise quindi di far conto di nulla con tutti, ma tenere gli occhi bene aperti.
Il pomeriggio lo trascorse quasi interamente con Alex; lui la portò a visitare la città, i musei, le scuole, i teatri, le parlò delle sue scoperte scientifiche, degli studi, gli svaghi, le amicizie e lei fece lo stesso.
Le parve che la loro intimità ne giovasse e, quando venne l’ora di rientrare, lasciò che lui andasse da solo a contattare uno studio di professionisti piuttosto lontano dal centro.
«Ci vediamo dopo a casa, ciao.»
Così lo salutò, mentre invece percorse un’altra via per seguirlo non vista.
Aveva il dono dell’invisibilità, o meglio, era in grado di mimetizzarsi, una dote abbastanza comune tra quelli della sua gente, oltre ad essere in grado di correre molto velocemente.
Vide che Alex si guardava intorno come per accertarsi di non essere visto; il suo percorso non fu lontano dalla città, ma a pochi isolati dal suo palazzo, dove sorgevano fontane, siepi, giardini, sentieri e alberi centenari.

La ragazza che era al ballo la sera del loro fidanzamento uscì da un tronco cavo di un albero, Alex la vide subito ed entrambi si baciarono con passione e trasporto; era inequivocabile che il loro rapporto era di lunga, lunghissima data. La confidenza, la complicità, gli sguardi tra i due erano evidentissimi: la loro passione doveva avere la forza di un tornado, anche se avessero voluto fermarla era impossibile, questo era chiaro come il sole; lei era solo un vuoto a perdere e nient’altro.
Tenendosi per mano si allontanarono chissà dove, quindi
Regalia concluse di aver visto abbastanza; come un automa prese la via del ritorno, senza farsi vedere salì nella sua camera e contattò casa sua.
La voce rotta dall’emozione e dal pianto, rivelò al Comandante Supremo delle Guardie, con parole succinte ma chiare, la tresca che si svolgeva alle sue spalle.
Era mortalmente avvilita, ma anche decisa ad una vendetta atroce.
«Torno a casa subito, ho la navetta, quindi parto: da domani all’alba avete il via libera per attaccare questo schifoso pianeta e quelli che lo abitano.»

La guerra, il fuoco, le morti, i cieli incendiati erano davanti ai due giovani seduti in un prato in una sera limpida e piena di stelle, in una fattoria alla periferia di Zacatecas, in Messico.
Alex, due anni dopo la distruzione del suo pianeta e della sua gente, aveva trovato asilo sulla Terra, presso una famiglia di agricoltori, i cui antenati erano stati dei famosi latifondisti del Sud.
Carmen, la giovane che stava raccogliendo la sua confessione, era stata fin da subito la sua più grande amica e confidente. Aveva aspettato pazientemente che lui si decidesse a quello sfogo, che si liberasse da quel rimorso che mai lo abbandonava, e ora nei suoi occhi scuri e profondi, che fissavano l’enormità dello spazio infinito, erano visibili tutti gli orrori, il sangue, le tragedie che erano avvenute mentre lei, ingenua adolescente, in quei momenti, di sicuro si divideva tra la scuola, il lavoro, la casa e non sapeva nulla di quanto potesse succedere al di là della sua fattoria negli infiniti spazi siderali.
All’improvvisò si sentì grande, molto più grande dei suoi vent’anni e, in quegli istanti, capì che l’infatuazione adolescenziale che provava per Alex cedeva repentinamente il posto al bene vero, dall’innamoramento all’amore, ora sì che era veramente adulta, grande e consapevole!
Lo prese per mano e lo fissò dritta negli occhi: quelli neri di lei si fusero nel blu di quello che le sarebbe stato per sempre accanto, a condividere tutto. Non c’erano più segreti, paure, rimorsi, solo la vita con le sue inevitabili fatiche; ma divise in due, non facevano più paura a nessuno.
Si alzarono dal prato e, nell’istante in cui entravano in casa, una stella cadente illuminava la notte.


FINE
 
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