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.Luce.
view post Posted on 2/10/2023, 09:11 by: .Luce.     +2   +1   -1
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Professore della Girella

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IL LUNGO VIAGGIO

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Izar, una stella binaria nella costellazione di Bootes.
Su questa stella, approdò il principe di Fleed circa sei mesi prima di stabilirsi sulla Terra.
Un pianeta abitato e piuttosto ricco di vegetazione e miniere ricche di carbon fossile, acciaio, metalli. Quasi certamente ignorato dai veghiani, i quali avevano ben altre mire quando decidevano di conquistare o depredare un pianeta: i loro interessi dominanti erano la tecnologia avanzata e il vegatron.
Duke Fleed parcheggiò il suo disco all’interno di una caverna che si trovava a lato di una radura semi pianeggiante, circondata da ruscelli e laghetti.
I primi giorni li passò visitando la Capitale e la vastissima periferia. Di solito, nel tardo pomeriggio, passeggiava tra campi, alberi e laghetti.

Una mattina si sentì chiamare da una voce femminile. Si voltò di scatto, e vide di fronte a lui una giovane, il cui aspetto gli era in qualche modo familiare.
“Duke Fleed…”
“Si? Chi sei tu?” le domandò sorpreso.
“Io sono Kyra. Alcuni anni fa sono stata ospite nel tuo palazzo, durante una festa che riuniva famiglie blasonate. C’erano molti invitati, erano così tanti che gran parte di loro hanno pranzato in giardino. Noi due ci siamo scambiati poche parole; qualcosa o qualcuno si metteva sempre in mezzo, oppure arrivavano nuovi ospiti ed eri costretto a fare gli onori di casa.”
“Sì, qualcosa ricordo” le disse pensoso, ma la ragazza che lui vagamente ricordava, aveva, in mezzo ai capelli scuri, molte ciocche color lavanda e anche i suoi occhi erano quasi viola, mentre ora erano bruni come i capelli.
“So cosa stai pensando” lo anticipò lei.
“Ho smesso di tingermi i capelli e i riflessi di questo pianeta hanno modificato il colore degli occhi.”
“Ah…” le sorrise sollevato.
La guardò meglio e notò che il suo viso era pallido e sofferente. Lo sguardo era a tratti sfuggente e circospetto; sembrava stesse fuggendo da qualcosa o da qualcuno, benchè lei cercasse di mostrarsi disinvolta.

“Ora devo andare” gli disse con una nota di rimpianto nella voce.
“Teniamoci in contatto, vuoi? Sono qui da pochi giorni e…”
“Sì, io non ho nessuno, come penso anche tu. Abitavo nella parte ovest di Fleed, molto distante dal tuo palazzo, dunque. Ma anch’io, come te, ho perso tutto. Re Vega non ha risparmiato nessun punto della nostra magnifica stella quando ha lanciato la seconda potentissima bomba al vegatron”, mormorò abbassando gli occhi velati di lacrime.
“A presto, Kyra” le disse mentre si allontanava velocemente da lei. Il ricordo di quanto era avvenuto, gli aveva riaperto la ferita dentro il cuore.
“Arrivederci Daisuke. So bene che non è il tuo nome, ma sento che ti appartiene… o ti apparterrà un giorno. Spero non ti dispiaccia se ti chiamo così” gli disse con un sorriso misterioso.
Si allontanò svelta, voltandosi per un ultimo cenno di saluto con la mano.

Non erano passati tre giorni, che il principe di Fleed vide una chiamata sul suo disco. Era lei.
“Ciao… mi trovo alla stazione delle navette, sud est della città. Puoi venire a prendermi? Sono appena uscita dall’ospedale.”
“Vengo subito.”
La voce di Kyra era debole e celava sofferenza, benchè si sforzasse di essere forte.
Era appena uscita dall’ospedale? Cosa le era successo? Quando l’aveva incontrata aveva notato infatti qualcosa di strano in lei, qualcosa di stanco e malato.
Neanche mezz’ora dopo si incontrarono. Lei si alzò lentamente dalla sedia che occupava la sala d’aspetto e gli andò incontro. Lui le prese la mano e la guidò fuori, dove aveva affittato un piccolo veicolo di trasporto.
Durante tutto il tragitto non parlarono. Era ormai sera inoltrata, lei gli indicò la strada da percorrere per arrivare al suo alloggio.
“Resta con me questa notte. Sto male e ho paura” disse in un sussurro.
“Ma certo, cara.”

Entrarono in un edificio alto e stretto. Salirono per una scala ripida, non c’era illuminazione nei corridoi, l’unica luce che entrava dalle vetrate era quella di un grosso lampione su quel vicolo stretto e tortuoso.
Lei aprì la porta di un piccolo appartamento e accese la luce. Un bilocale munito di angolo cottura. Kyra si buttò sul letto esausta con le mani sopra la testa, poi iniziò a raccontare.

“Sono reduce da uno scontro terroristico, avvenuto qualche settimana prima di incontrarti. Un gruppo di giovani, certamente inviati da Vega, hanno sparato e buttato bombe. Alcuni sono periti, mentre i superstiti sono fuggiti. Io sono rimasta ferita: un colpo alla testa e qualcosa mi ha perforato l’addome. Nel giro di poche ore mi sono sentita meglio, e mi sono illusa che tutto fosse finito lì. Ma poi i dolori sono tornati sempre più intensi, così mi sono recata in ospedale. Una lieve commozione cerebrale, ma la cosa più seria è stata l’altra ferita. Mi hanno ricucito una parte dello stomaco, tolto la milza, più qualche escoriazione non grave su tutto il corpo.
Sono ancora molto debole, perché qui, dato che i posti letto negli ospedali sono limitati, appena uno è in grado di stare in piedi, viene rispedito a casa, insieme ad una serie di farmaci da assumere per un certo periodo.”

I danni fisici da lei riportati, uniti al fatto di aver vissuto per mesi in un ambiente inquinato e pieno di gas tossici, quasi certamente l’hanno resa sterile. Deve assumere questi farmaci per un paio di mesi. Tuttavia, grazie alla sua forte tempra e giovinezza, può considerarsi guarita e condurre una vita normale.

Questo il referto medico al momento del congedo.

Duke Fleed aveva ascoltato in silenzio, tenendole sempre la mano. Un sospetto si era insinuato nella sua mente quando lei aveva parlato dell’attentato. Aveva la quasi certezza che non erano venuti lì per invadere il pianeta o procurarsi materie prime, ma sterminare buona parte della popolazione, in quanto, essendo tutti liberi e certamente armati, sarebbero stati in grado di correre in soccorso ad altre popolazioni vicine, quelle che Vega voleva assoggettare a sè.

Kyra era finita lì per errore, su questo non c’erano dubbi, e ora doveva solo pensare a tornare in forze.
Dalla grande borsa estrasse una lunga serie di scatole e le pose sopra il comodino: erano le medicine che doveva assumere per guarire.
Gli sorrise, benchè non ci fosse gioia nel suo viso, ma dolore fisico, stanchezza e spavento. Lei temeva in una possibile ritorsione da parte di quella gente.
“Chiudi bene a chiave la porta, Daisuke. Non ho la camera per gli ospiti, ma c’è posto per entrambi”, gli disse indicando il suo letto.
Lei si tolse il vestito, lui la camicia. Sotto l’abito, Kyra portava una maglietta da pelle chiara, molto scollata e con spalline sottili. La parte sopra era di pizzo trasparente. Seduta sul letto, gli cinse la vita con le braccia fissandolo dal basso verso l’alto con occhi grandi e un’ombra di desiderio, nonostante fosse stremata e febbricitante.
“Cara… ora ti devi riposare” le suggerì posandole una mano sulla guancia smunta.
Si misero a letto e per alcuni minuti conversarono circa le invasioni veghiane, le ultime notizie, brevi frammenti della loro vita prima e dopo la guerra, poi scivolarono lentamente nel sonno tenendosi per mano.
Si svegliarono quando il sole era già alto nel cielo. Lui preparò la colazione e lei ingoiò subito alcune pastiglie insieme ad un cucchiaio di liquido scuro.
“Come ti senti oggi?”
“Meglio di ieri” gli sorrise accomodandosi a tavola.

Passò una settimana. Kyra migliorava giorno per giorno; verso il tramonto uscivano per qualche breve passeggiata, a volte mangiavano fuori, oppure prendevano la navetta e si avventuravano in un piccolo viaggio tra le stelle. Stavano bene insieme, non si annoiavano mai e quando la giovane si sentì rimessa completamente in forze, gli parlò di un suo progetto.
“A sud-est di questa stella, c’è una grande fattoria ormai abbandonata da decenni. Non appartiene a nessuno, a me piace molto e in questo periodo ho fatto in modo che alcuni contadini si occupassero dei lavori essenziali, ma ora intendo andarci e sistemarla come si deve, soprattutto la casa. Dal tablet gli mostrò il luogo e l’ubicazione.

“E’ molto grande, il terreno sembra fertile e adattissimo per allevare gli animali, specie i cavalli. Spazi verdi e ruscelli” mormorò il ragazzo turbato, perché quel luogo, gli ricordava in modo vago qualcosa del suo pianeta distrutto dai sicari di Vega.
“Voglio partire prestissimo, e quando sarà tutto pronto, verrai a trovarmi, vero?” gli chiese con tono quasi supplichevole, poi gli cinse il collo con le braccia e posò le labbra sulle sue.
Quella notte la passarono abbracciati.

All’alba del giorno dopo, Kyra si vestì con cura e decise di recarsi subito alla fattoria.
“Sei sicura? Non è troppo presto?” le chiese il ragazzo. Da un lato capiva e approvava la sua voglia di reagire e guardare avanti, dall’altro temeva non fosse ancora pronta; e l’idea di starle lontano lo rattristava.
A giudicare dal suo aspetto, la salute era decisamente migliorata: l’incarnato luminoso, gli occhi vivi e gioiosi, la sua figura era colma di giovinezza e di vita, sprizzava di energia e impazienza da ogni poro.
“E’ il momento di andare, lo sento” gli disse “e so che presto ci rivedremo.”
Dall’armadio tolse i vestiti e mise i suoi effetti personali dentro una grande valigia Sulla soglia, diede un’ultima occhiata alla stanza, poi scese la lunga scala e si diresse verso il suo velivolo.
Duke Fleed prese il bagaglio e l’accompagnò fino alla navetta.
“Non vuoi che ti accompagni?” le domandò premuroso.
Lei scosse il capo in senso di diniego e gli fece capire che quell’avventura la doveva vivere da sola.
“Voglio che tu venga a trovarmi quando la fattoria sarà a posto; i miei uomini lavorano sodo, ma deve diventare come voglio io. Il tocco femminile è fondamentale. Ah, dimenticavo una cosa: se vuoi, puoi usare il mio appartamento” gli disse con un sorriso gentile e partì.

Passò una settimana. Il giovane rimase nella casa di Kyra e, durante quel periodo, visitò la stella da nord a sud. Una sera, trovò un messaggio della ragazza.

Daisuke, ti attendo al più presto per ammirare questo luogo d’incanti.
Kyra


Il mattino dopo, Duke Fleed era in viaggio. Non aveva fretta di arrivare, perché il panorama mutava ogni poco, ed era sempre più spettacolare. Dopo aver attraversato una vasta pianura di un verde a tratti mutevole, ecco apparire una montagna innevata, poi una cascata, ruscelli e laghetti. Un altro spazio pianeggiante ricoperto di fiori coloratissimi e piante mai visti prima. Ecco una stretta spiaggia, poi il mare, palme, conifere. In nessun luogo dell’universo aveva ammirato tanta bellezza.

Arrivò alla casa di Kyra nel tardo pomeriggio. La trovò in giardino. Indossava una maglietta chiara e un paio di jeans. Curava l’orto, raccoglieva fiori, mentre il giardiniere strappava erbacce, rastrellava, e più lontano, altri addetti ai lavori finivano di imbiancare l’edificio e sistemare il tetto.
Lei riconobbe subito il suo disco, sorrise, gli fece cenno di saluto con la mano e gli corse incontro.
“Ben arrivato!” gridò festosa. “Puoi parcheggiare in questo lato, che è molto vasto e pianeggiante.”
Si abbracciarono felici, poi lui la osservò con attenzione. Era bella, abbronzata, la sua giovinezza e la buona salute, avevano decisamente prevalso sulla recente malattia; era evidente che in quel posto stava bene e si sentiva realizzata.
“Vieni dentro, ti mostro la casa” gli disse, prendendolo per mano.

Il pianterreno era composto da una sala di medie dimensioni, con un pavimento di granito rosso: dalla porta accanto si entrava in una cucina ampia, luminosa e tutta chiara. Lo spazio era semivuoto, mancava ancora molto per arredarla completamente, ma non mancava dell’essenziale.
Salirono pochi gradini: sulla destra del pianerottolo c’era la camera da letto, sulla sinistra i servizi.
In fondo, una stanza in disordine e piena di mobili: alcuni da restaurare, altri ancora imballati e pezzi di legno tarlato.
“Vorrai certamente lavarti e cambiarti dopo il viaggio: questo è il bagno, qui ci sono gli asciugamani, saponi e bagnoschiuma. Io intanto preparo la cena, tu fai pure con comodo” gli suggerì la ragazza spingendolo dentro una stanza rettangolare con piastrelle bianche per terra e azzurre alle pareti.

Più tardi, stavano entrambi seduti uno di fronte all’altra in un piccolo tavolo quadrato della cucina.
Duke Fleed indossava una camicia azzurro chiaro e pantaloni blu. Kira era bellissima e provocante. Si era leggermente truccata, le labbra carnose erano un invito al bacio, la pelle olivastra emanava vita, calore, sensualità.
Tutti i suoi modi erano provocanti, ma al contempo innocenti: come serviva le portate, il modo di porgere, quando si alzava per prendere qualcosa, dentro quell’abito leggero e senza maniche che faceva indovinare la sua splendida figura.
Entrambi assaggiarono appena le pietanze: senza dirselo, agognavano il momento in cui si sarebbero ritirati nella stanza da letto.
“… vedrai, quello che ti darò stasera, sarà ben diverso di quella notte che abbiamo condiviso quando ero appena uscita dall’ospedale…” disse lei ammiccando con un sorriso malizioso e carico di sottintesi. Nel dirlo, aveva allungato la sua splendida figura sulla sedia, in modo che lui potesse ammirarla meglio, voleva essere irresistibile.
Finita la cena, Kyra chiese alla moglie di uno degli operai di rigovernare, poi con Duke Fleed, uscì un momento nel grande cortile per augurare la buona notte a tutti e ringraziarli di quella lunga giornata di lavoro che avevano condiviso.
I suoi aiutanti abitavano in un’altra ala della casa, con un ingresso indipendente.


Lunghi capelli corvini, ondulati e lucenti, la pelle tesa e scura. I grandi occhi a mandorla mandavano bagliori incandescenti. Tutta la sua figura, il suo essere, emanavano erotismo e sensualità.
Aveva un corpo elegante: serpentino, quasi fragile, ma tuttavia era compiutamente donna.
Di fronte a lei, nella stanza da letto di quella grande tenuta in mezzo alla campagna, Duke Fleed non si stancava di guardarla.
Dalla finestra aperta, la notte stellata di luna piena entrava ed estasiata ammirava quei due giovani che ansimavano, ed erano travolti da un’evidente passione che presto sarebbe esplosa.
Con un gesto quasi impercettibile, Kyra aprì la cerniera laterale del suo vestito, che in un attimo scivolò a terra. La sua nudità era parzialmente occultata da un minuscolo slip di seta e tulle bianco.
Solo il colore era simbolo di innocenza, poichè nulla era lasciato all’immaginazione. Decisamente trasparente sul davanti, anche la seta dietro si era spostata, lasciando coperti solo pochi centimetri di pelle. Ciò si intuiva anche quando era ancora vestita. L’abito di seta rosso a piccoli fiori si adagiava sulla figura, e quell’unico indumento intimo si intravedeva ad ogni movimento durante quella cena carica di sottintesi.
Sensualità, malizia e innocenza di alternavano in un continuo gioco di lucie ombre, in un crescendo sempre più esaltante.
Kyra era semplicemente irresistibile; quando poco prima aveva preparato la tavola, versato il cibo sui piatti, le sue movenze erano eleganti, caste e sensuali ad un tempo.
Aveva piccoli seni rotondi, i suoi capezzoli scuri erano divenuti turgidi e duri come sassolini per l’eccitazione.
Il ragazzo la fissava con occhi dilatati per lo stupore e il desiderio. Aveva buttato sul tavolo la sua camicia azzurra e aperto il bottone dei pantaloni. Si avvicinò a lei lentamente, ma, la sua indole nobile, lo fece abbassare per raccogliere il vestito e posarlo con garbo sulla sedia.
La stanza era illuminata da una decina di grosse candele raggruppate in un angolo sopra ad un tavolo di legno.
Si avvicinarono l’uno all’altra e si baciarono con passione, per poi scivolare nel grande letto e continuare ad amarsi come non ci fosse un domani. La sensualità, la passione dell’una, erano una cosa sola con l’altro. Non erano più due esseri distinti, un uomo e una donna, ma uno solo. Non sapevano più dove iniziava il corpo di lei e le braccia maschili che l’avvolgevano dalla testa ai piedi.
Si sentiva dominata, ma non oppressa da quel giovane che la stava amando senza riserve. Continuarono così per quasi tutta la notte, finchè le palpebre divennero pesanti e il sonno li condusse in un luogo magico, dove il fondersi dei corpi, amarsi, il piacere, non avevano mai fine.

Il sole del mattino inondava la stanza. Appena alzata, Kyra aveva fatto una veloce toilette, poi si era recata in cucina per la colazione. Seduto sul letto, Duke Fleed abbracciava con lo sguardo tutta la scena.
La raggiunse e l’attrasse a sè, mentre posava le labbra sulla nuca di lei, su quei folti capelli ancora spettinati.
“Ohh, ben alzato!” gli disse voltandosi e ricambiando il bacio.
“Sei bella…” sussurrò osservandola con occhi languidi e malinconici.
Lui indossava una camicia chiara e dei pantaloni blu; Kyra una camicetta bianca a fiori, un paio di vecchi jeans strappati e scoloriti.
Mangiarono in fretta, poi si recarono verso le stalle, e salirono a cavallo. Volevano visitare la tenuta e il territorio circostante. Il clima era mite, soffiava una lieve brezza e con sé portava una folata di mille profumi.
Dopo oltre un’ora di viaggio, si fermarono presso un ruscello per far abbeverare gli animali e riposare.
Nelle loro iridi si specchiava l’intero panorama, insieme alla passione bruciante che avevano consumato la notte prima e che ancora faceva loro tremare le vene.

Restarono in silenzio per qualche minuto, poi lui le prese la mano, la fissò negli occhi e le disse: “Kyra… ormai siamo rimasti soli al mondo… vuoi dividere la tua vita con me?”
Lei sentiva il calore e la forza di quella mano maschile, il suo animo ferito dalle tragedie della guerra, ebbe un attimo di sollievo. Guardò lontano, oltre le colline, poi gli rispose dopo un lungo sospiro abbassando un poco lo sguardo.
“Daisuke, sai bene quello che mi è accaduto. Io non posso avere figli, e tu hai tutto il diritto ad un erede. Ora credi sia tutto perduto, ma so molto bene che, nella vita, prima o poi il cerchio si chiude e tutto torna al punto di partenza, e anche ciò che appariva impossibile, col tempo diventa realtà.”
La guardò sorpreso. Non capiva bene il senso del suo discorso, ma lei lo prevenne.

“Quando avevo circa dieci anni, una notte venni svegliata da una luce irreale. La seguii e mi portò dentro la stanza di mia nonna, che stava morendo. Lei mi aspettava, io mi sedetti sulla sponda del letto e aspettai trattenendo il respiro".

Kyra, io sto andando in un’altra dimensione, quindi dò a te il dono della chiaroveggenza.


Dal cassetto del comodino prese un foglio ingiallito dal tempo, dove c’erano disegni mai visti e parole strane. Le leggemmo insieme, mi disse di tenere quel foglio per tre notti sotto il guanciale, e alla prima notte di luna piena, buttarlo nel lago dove andavo sempre a giocare e nuotare con le mie amiche. Poi chiuse gli occhi per sempre.
Mi rendevo conto che tutto ciò era insolito e misterioso, ma lo vivevo come un fatto quasi normale.
Continuai la mia vita di sempre, a volte facevo sogni premonitori, in altri momenti brevi flash di qualcosa che sarebbe avvenuto. Se ero sola, sentivo chiara e distinta una voce che presto spariva, ma non sempre capivo tutte le parole.
Questo dono è cresciuto nel tempo, man mano che diventavo donna.
Non l’ho amato né disprezzato, non ho fatto niente per svilupparlo, so che fa parte di me, è un’estensione della mia personalità. Mai ne ho fatto cenno ai genitori, né mi sono confidata con un’amica. Tu sei il primo al quale dico questo, e se lo faccio, è perché so che è mio dovere. Mi hai appena fatto una proposta alla quale fatico molto a resistere, vorrei restare sempre con te, ma so molto bene che non è questo il nostro destino. Io vedo che, fra non molto, tu non sarai più un pellegrino tra stelle e pianeti. Ti fermerai in un luogo molto bello, con tanto blu, e incontrerai persone amiche, dall’animo buono e generoso. Non sarà per te semplice arrivarci, ma lì inizierai una nuova vita.”

Kyra tacque e fissò Duke Fleed negli occhi. Non poteva dirgli che, dopo un periodo relativamente lungo di tranquillità, la guerra con Vega sarebbe ricominciata. Sapeva bene che lui non lo avrebbe accettato. E come dargli torto? Ma vedeva anche che, dopo la lunga ed estenuante lotta, il tiranno sarebbe stato sconfitto per sempre e il loro pianeta di origine tornare in vita in modo sorprendente e inaspettato.

E per lei, cosa vedeva? Un uomo dalle tempie grigie, che avrebbe compensato la mancanza di passione e sensualità appena vissuta con quel principe in esilio, con una grande nobiltà d’animo, generosità verso il prossimo, e rispetto per lei. I ricordi dei momenti di passione l’avrebbero accompagnata sempre, calmato in parte la sua innata vivacità, e, nel buio della notte, al posto di quell’uomo pacato, colto e riservato, avrebbe immaginato l’altro.
Avrebbero vissuto per molti anni in quella grande casa, viaggiato, condiviso interessi; e un tardo pomeriggio di fine estate, quando i colori della natura diventano dolci e languidi, lo spirito di lui sarebbe volato in cielo, mentre stava seduto sulla poltrona davanti al camino acceso con un libro letto solo a metà, scivolato lentamente a terra.
Sapeva che quel luogo sarebbe divenuto un punto d’incontro per molti turisti; era pieno di stanze da affittare, non avrebbe sofferto di noia e tristezza nel secondo capitolo della sua vita.

“Ma sei sicura? Può essere che anch’io sia nelle tue stesse condizioni circa la sterilità. Per mesi ho combattuto su Fleed, ho respirato vegatron, sono stato gravemente ferito…” le disse prendendole entrambe le mani. “E io conosco te, stiamo bene insieme.”
“Ora torniamo a casa. E’ quasi ora di cena. Resterai qui ancora per alcuni giorni, e voglio rivivere notti di passione con te” gli disse appoggiandosi a lui. Già fremeva di desiderio.
Sì, lo desiderava con tutta sé stessa, perché sapeva che quei momenti non sarebbero tornati mai più, e lei voleva ricordarli, riviverli con gli occhi della mente per sempre, rievocarli nel tempo, arricchirli di particolari immaginari.
La vita le aveva fatto un regalo meraviglioso.

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“Raggio Antigravità’!”
Il getto di luce multicolore gettato da Goldrake contro il Dragosauro, spinse con forza il mostro marino, ormai pesantemente ferito, addosso alla lama ciclonica lanciata da Alcor con precisione e sincronia perfetta.
Un mostro dalle enormi dimensioni, ovale, una bocca grande quasi come il suo corpo e con lunghi denti aguzzi. Ai suoi lati, aveva due draghi che sputavano fuoco.

“Raggio Super Getta!”

La formula di quest’arma era stata inviata dal dottor Saotome, quando aveva saputo dell’arrivo di quel mostro, e ora, dallo schermo, osservava l’estenuante duello.
“Alcor, tieniti pronto con la coppia di missili da lanciare in attesa dell’arrivo di Venusia. Con questo orrendo e potentissimo mostro marino, temo che la battaglia si risolverà nel suo elemento” disse Procton dal Centro di Ricerche. “Tu Actarus, nel frattempo usa la Spada Diabolica che ci ha mandato il Dottor Kabuto.”

Stavano combattendo da oltre un’ora. Era un misterioso animale preistorico, sopravvissuto non si sa come negli abissi degli oceani. Da giorni stava seminando panico divorando enormi quantità di petrolio in giro per il pianeta, finché non si era diretto verso Tokyo.
Kabuto, Saotome e altri scienziati del Giappone, appena saputo della cosa, non avevano esitato a dare armi, preziosi consigli, aiuti di ogni genere. Ora stavano incollati sullo schermo, ed erano in apprensione, dato che non avevano potuto inviare in soccorso nessuno dei loro piloti: alcuni erano lontano e non rintracciabili, altri non si trovavano in condizioni di combattere: sia per il loro stato fisico, sia la precarietà dei loro robot, i quali avevano bisogno di molti aggiornamenti e manutenzioni circa le armi difensive.

Il Delfino Spaziale era sotto le mani esperte dei tecnici di Procton: aveva qualche problema in termini di velocità, inoltre andava rinforzato con armi nuove e distruttive.
Finalmente il velivolo fu pronto e, senza esitazione, Venusia si lanciò nello spazio.
“Eccomi!” gridò la ragazza appena vide Goldrake e Goldrake2 sopra l’oceano.
“Venusia! Preparati per la manovra di aggancio! Dobbiamo spingerlo sott’acqua” le disse Actarus.
“Sono pronta!”
“Alcor! Lancia una tripla coppia di missili sulla testa del mostro, dobbiamo fare in modo di affondarlo.”
I missili gli perforarono gli occhi e squarciarono la fronte. Il Dragosauro affondò negli abissi.
Il Delfino era già agganciato a Goldrake, quindi lo seguirono sott’acqua.
“Non lo vedo più” disse la ragazza.
“Lancia la lama ciclonica verso quel gruppo di alghe.”
Il mostro si era nascosto lì, infatti: la lama quasi gli troncò la testa, ma era molto grossa e lui non dava veri segni di cedimento.
“Venusia, lancia i missili per due volte di seguito, poi Actarus lo colpirà con l’Alabarda Spaziale e dopo tu ancora la lama ciclonica nello stesso punto dove ha colpito adesso” disse Procton.
“Bene! Missili ciclonici!”
“Alabarda spaziale!”
L’enorme mostro marino venne quasi tagliato in due, mentre il secondo intervento di Venusia gli troncò la testa definitivamente.
“L’abbiamo distrutto! Alcor! Ci sei?” chiese Actarus.
“Sì, siete stati grandi!!
Durante quell’operazione, Alcor era rimasto sospeso in cielo e a tratti era riuscito a vedere qualcosa del combattimento.
Quella parte di oceano, era un’enorme distesa di liquido rosso e verde; i resti del Dragosauro riemersero lentamente dal fondale marino.

Procton e i collaboratori erano visibili sul grande schermo. Anche se ormai il pericolo era passato, sui loro visi era evidente la grande preoccupazione vissuta durante quella lunga battaglia.
Anche Kabuto e Saotome, dalle loro basi, avevano seguito tutto, ed ora erano esultanti e felici.

“Torniamo a casa” disse Alcor.
“Noi passiamo dalla parte opposta, dobbiamo finire il giro di perlustrazione” disse Actarus, mentre il Delfino Spaziale si sganciava dal robot.
“A dopo, allora.”

I due giovani volarono nel cielo limpido senza parlare, poi atterrarono su una pianura in prossimità di una grotta. Scesero dai velivoli, ed entrarono per osservarla. Era in tutto e per tutto molto simile ad un’altra grotta, quella in cui Venusia aveva saputo che Actarus era un alieno, l’aveva conosciuto per ciò che era e, benchè nessuno l’obbligasse a farlo, aveva deciso di restare sulla Terra per difenderla anche a costo della sua stessa vita.
“Potevi andare dove avresti voluto col tuo mezzo: l’universo è pieno di stelle pacifiche e senza guerre, ma sei rimasto qui. Sei rimasto con me. Con noi. Te ne sono infinitamente grata”, gli disse Venusia fissandolo negli occhi tremanti di commozione.
Lui le prese entrambe le mani e le baciò con devozione e rispetto.
“Tu hai sempre capito tutto, mi sei sempre stata vicino, anche nei momenti più difficili, mai ti sei tirata indietro di fronte al pericolo. Venusia, tu sei la persona più importante della mia vita” le disse con calore, fissandola negli occhi.
E infine, fu naturale per loro conoscersi fino in fondo. Senza dirselo chiaramente, da tempo avevano progettato la loro prima notte d’amore in una stanza del Centro Ricerche, dato che spesso, per paura di un improvviso attacco veghiano, Venusia si fermava lì.
Ma i grandi avvenimenti della vita, specie quelli amorosi, sono molto più belli e sentiti se improvvisati, o meglio, lasciati nelle mani del fato, del destino, dallo svolgersi degli eventi.
La voce alta e minacciosa di Rigel che non voleva la figlia frequentasse quel ranchero, era da tempo immemore, un eco sempre più lontana e indistinta.
Anche suo padre aveva fatto un enorme passo di evoluzione dentro di sé, ed era stato fondamentale nell’insistere che la figlia partecipasse alla guerra contro Vega. La stimava molto e teneva alla sua realizzazione. Così era stato per Mizar, anche se in modo più impercettibile; lui era sempre stato molto più maturo per un ragazzino della sua età, e lo aveva dimostrato in varie circostanze.

Il giorno in cui Venusia aveva conosciuto la vera identità del ragazzo che amava, senza che lei lo sapesse davvero, era stata fondamentale perché lui in quel frangente riprendesse i sensi, si rialzasse dall’acqua, attaccasse il mostro per distruggerlo definitivamente. L’acqua: il punto debole di Goldrake.
Procton aveva visto giusto nel progettare il velivolo per Venusia: agganciandosi al robot, insieme potevano scendere negli abissi più profondi e attaccare il nemico senza paura.
E poi c’era la ferita mortale al braccio: ad ogni attacco, il giovane peggiorava sempre di più e lei lo sapeva. Taceva e soffriva in silenzio. Una notte, dopo una battaglia terribile contro un mostro veghiano, lei era rimasta al Centro. Actarus si era buttato sul divano quasi privo di sensi, lei si era messa di fianco a lui e aveva posato le sue fresche e giovani labbra sopra quella ferita febbricitante. Se il suo amore avesse potuto guarirlo… pensava. Non era forse così, quando da bambini si cadeva facendosi male? Il bacio della mamma sulla parte ferita guariva dolore e paura.

Il sole stava tramontando dietro una collina, e i suoi raggi, caldi come olio e dolci come l’infanzia, abbracciarono i due giovani che si accingevano a partire.
I loro occhi riflettevano ogni momento appena vissuto, si guardavano senza parlare.
Tornavano al ranch, al centro ricerche, alla loro casa, dai familiari, dagli amici. Sapevano bene, dentro il loro cuore, che niente e nessuno li avrebbe mai più divisi.


FINE
 
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113 replies since 20/4/2016, 12:44   1872 views
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