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.Luce.
view post Posted on 15/10/2023, 09:18 by: .Luce.     +1   +1   -1
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Professore della Girella

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GUERRA E PACE

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Questa fanfiction prende i dialoghi dal terzo Film di Montaggio: “Goldrake addio”.
Si nota che in molto punti, i personaggi hanno un ruolo ben diverso dalla serie originale, di conseguenza anche la trama è stravolta.



La Comandante Rubina è a bordo della sua astronave. Sta volando verso Skarmoon con la testa piena di sogni romantici, cuoricini, frasi romantiche appena sussurrate sotto cieli stellati; ha appena saputo che il suo amore adolescenziale non è perito nella guerra interplanetaria come lei ha creduto per tanti anni, ma è vivo e vegeto.
Il ruggito di Re Vega via radio, la fa scendere di botto dalla nuvoletta rosa.
“Comandante Rubina! A che punto è la tua missione?”
“Sto arrivando alla base, mio sire” rispose lei con piglio sicuro.

Vega, con preoccupazione si confidò con Zuril: “No, non è possibile… quella donna è ancora innamorata di Goldrake!”
“Dopo otto anni, l’ama ancora?” chiese interdetto lo scienziato.
“E’ così, purtroppo. Zuril, se voi riuscirete ad uccidere Goldrake, Rubina sarà vostra.”
“Come dite, sire?” balbettò lui incredulo che gli fosse capitata una simile fortuna.
“Parola d’onore. E’ stata per lungo tempo la mia amante, ora è giusto che abbiate un’adeguata ricompensa se riuscirete nella missione.”
“I…io… v… vi… vi ringrazio Maestà” balbettò lui con voce tremula e occhi porcini.

“Eccola, sta arrivando! Vedo che ha appena parcheggiato la pantera cosmica.”
Il Re l’aveva vista dall’ampia vetrata del salone. Dovettero comunque aspettare una mezz’ora buona, dato che era andata a cambiarsi d’abito, pettinarsi e ornarsi di corona regale. Una Comandante non si presenta davanti al suo sovrano in tuta spaziale, che diamine! Le formalità sono importanti!

“Bene arrivata Comandante Rubina, com’è andato il viaggio?” le chiese il Re.
“Molto bene, grazie. Durante il lungo volo ho riflettuto, e alla fine ho capito perché è scoppiata questa guerra intergalattica con milioni di morti, pianeti distrutti, popoli in via di estinzione.”

(?)

“Sì, io e Goldrake eravamo amici, andrò subito a cercarlo per stabilire con lui una pace onorevole. La guerra è scoppiata a causa di malintesi, non sarebbe successo niente sennò.”
“Malintesi?” chiesero in coro Re Vega e Zuril alquanto sbigottiti.
“Tutta colpa del traduttore automatico che non funzionava bene!” rispose la donna con sicurezza estrema.
“Ora devo partire subito verso la Terra per parlare con lui, scusate.”

La Comandante, dopo un breve e corretto inchino, si avviò per il lungo corridoio che conduceva verso l’uscita. Si era cambiata in fretta e furia: il ricco abito principesco giaceva per terra in un angolo della sala.

Zuril le faceva la posta e, quando la vide, la bloccò sul portone centrale.
“Lasciami passare Zuril, ho una missione da compiere.”
“No… ti amo, ti ho sempre amata Rubina. Goldrake è cattivo perché da poco ha ucciso Marcus, il suo più caro amico. Ricorda che è anche nemico di Re Vega, quindi…”
Lei, per nulla intimorita tirò fuori una pistola, puntandola diritta a quell’essere disgustoso.
“Sei un vigliacco, spostati! Devo andare!”
La ragazza balzò sulla navetta e accese i motori al massimo.
Zuril e Gandal corsero dal sovrano per notiziarlo circa il colloquio appena avuto con la Comandante.
“Va tutto come previsto, maestà. Ora Rubina ha dei grossi dubbi su Goldrake, quindi non c’è da allarmarsi.”

La ragazza stava volando puntando dritta verso la Terra, quando incrociò l’astronave di Goldrake.
Appena lo intravide dal vetro, gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Actarus! Sono Rubina, non mi riconosci?”
Lui si avvicinò per guardare meglio e si ricordò di lei.
“Rubina! Quanto tempo è passato; eravamo sul pianeta Bez!”


Otto anni prima in vacanza su Bez


Rubina: “Sai, Actarus, stavo pensando a quante stelle ci possono essere nell’universo intero.”
Actarus: “Tante, ma nessuna è bella come i tuoi occhi.”
Rubina: “Ho passato con te i più bei giorni della mia vita.”
Actarus: “Che peccato che domani dobbiamo partire.”
Rubina: “Noi dobbiamo rivederci! Ci troveremo qui il prossimo anno.”
Actarus: “Sì Rubina, te lo prometto, non posso vivere senza di te.”
Rubina: “Oh Actarus, adesso dimmi che mi vuoi bene.”
Actarus: “Sì, sì.”


Il pianeta Bez era una stella non troppo grande, pacifica, poco abitata, circondata dal mare, vaste spiagge, l’entroterra con laghi, fiumi, ruscelli, clima costante, niente inquinamento.
Questa piccola stella, nella parte esterna verso sud, vantava un grande edificio tutto bianco e verde a ridosso di una vasta spiaggia, dove la sabbia era quasi impalpabile, luogo ideale per ospitare giovani benestanti, che per la prima volta avevano il permesso di andare in vacanza da soli.
La struttura comprendeva personale preparato e responsabile, in grado di sorvegliare adeguatamente i teenagers, intrattenerli, coinvolgerli in attività di gruppo, farli divertire e tanto altro.
In un luminoso mattino di inizio luglio, atterrarono su Bez un ragazzo e una ragazza, che, a giudicare dal loro aspetto, sembravano aver appena varcato la soglia dell’adolescenza; appena le rispettive astronavi, guidate dai loro precettori, toccarono il suolo, si congedarono velocemente dagli stessi con un saluto rapidissimo. Corsero alla reception, dove subito ebbero la conferma della loro prenotazione, chiave della camera, un libretto con la piantina del luogo, gli orari dei pasti, degli svaghi, numeri di telefono per ogni necessità, la raccomandazione di divertirsi e usare il loro tempo al meglio, di fare tutto il possibile perché questo soggiorno fosse per ognuno di loro indimenticabile.
Un ascensore imbottito come scrigno li accolse, salì al terzo piano e si aprì su un corridoio di marmo bianco.
I due ragazzi, rispettivamente Actarus e Rubina, tenevano ben stretta in mano la chiave della loro stanza e già la mente febbrile si popolava di fantasie su cosa avrebbero fatto più tardi, domani, dopodomani: una voglia pazzesca di non stare mai fermi.
“Ciao, mi chiamo Rubina e sono veghiana, tu invece?” chiese la fanciulla tendendo la mano paffuta al ragazzo che le stava a fianco.
“Io sono Actarus e vengo da Fleed, piacere di fare la tua conoscenza” le rispose stringendo la mano di lei, con una presa forte e virile.
“Ci vediamo più tardi.”
“A dopo” gli rispose con un sorriso civettuolo sulle labbra e la testa inclinata di lato.
Rubina entrò nella camera avvolta nella penombra e subito sorrise. Aveva preteso un letto a baldacchino tutto rosa, poltroncine di raso e velluto, la specchiera come lei aveva desiderato, cioè la riproduzione esatta della casa della Barbie che a lei piaceva tanto.
“Mi metto subito il costume, secchiello, paletta, formine, salvagente a forma di cigno e rimango in spiaggia fino al tramonto!”
Uscì dalla camera col due pezzi a fiori pieno di frappe e volants, zoccoletti ai piedi. Actarus la raggiunse subito e insieme scesero diretti verso il mare.
“Ehi, Rubina, ma dove vai con quel coso, guarda che non si nuota mica così!”
“E come allora? Io senza salvagente non mi bagno nemmeno i piedi.”
Actarus le rivolse un sorriso gentile e di rimando: “Ma se usi sempre quello non imparerai mai, prova dove si tocca, ti aiuto io, vedrai che è facile.”
“Ho paura, no, no, ti prego…” gli rispose con voce petulante e piagnucolosa.
“Dai, vieni con me.”

La prese per mano e la guidò verso il mare, dove da un lato c’era una corda per tenersi.
Molti bambini e ragazzi si tenevano in equilibrio con una mano alla rete, con l’altra abbozzavano qualche movimento circolare nell’acqua.
“Ecco, fai come loro: poco alla volta acquisterai più sicurezza e starai a galla senza paura.”
Rubina era titubante, tuttavia si mise d’impegno nell’impresa.
Dopo qualche minuto ci prese gusto e cominciò a divertirsi: emetteva gridolini di paura, rideva e coi piedi batteva forte nell’acqua, provocando spruzzi chilometrici assieme ad altre sue coetanee.
Da lontano ammirava Actarus, il quale, insieme ad altri giovani si spingevano al largo nuotando in un perfetto e sincronizzato stile libero.
Era prossimo mezzogiorno, quando l’altoparlante avvertiva gli ospiti del resort di prepararsi in tempo per l’ora di pranzo.
Rubina posò i piedi sul fondale marino e subito un granchio, decisamente affamato, le addentò l’alluce.
Urla di terrore e dolore tagliarono l’aria, quindi il bagnino corse prontamente verso la fanciulla gocciolante col granchio in bella vista, che non si decideva a mollare il dito; la prese tra le sue forti braccia e corse in infermeria.
Una giovane e gentile dottoressa, evidentemente abituata a quel genere di incidenti, con ferma sicurezza tranquillizzò Rubina; uno spray antidolorifico calmò il dolore all’istante e un cerotto rosa glitterato consolò abbondantemente la spaventata ragazzina.
Fuori, nel bianco corridoio, Actarus l’attendeva con un sorriso rassicurante.
“Come stai? È passato il male? Ti senti di mangiare qualcosa, vero?”
Ancora lievemente sotto shock, Rubina gli sorrise di rimando e, aggrappandosi al braccio di lui, un tantino zoppicante, si decise a seguirlo in sala da pranzo.
Il cameriere si avvicinò al piccolo tavolo rotondo, dove i due giovani si erano appena seduti, e porse loro la lista del menù del giorno.
Si avvicinò alla ragazza e le suggerì piano, ammiccando con fare scherzoso, ma al tempo stesso, mantenendo un tono serio e professionale: “Desidera un bel risotto al granchio, signorina? Quello che lei ha pescato poco fa era bello grosso, succoso e saporito. Ora che gli abbiamo fatto passare la voglia di attaccarsi alle sue estremità, l’unico modo per vendicarsi è ripagarlo con la stessa moneta. Che ne dice?”
Rubina impallidì e, sconvolta, negò violentemente col capo.
“No, no e poi no! Quel brutto mostro non voglio vederlo nemmeno dipinto, la prego! Mi porti una pastina in brodo” rispose la ragazza, con voce decisamente tremante e spaventata.
Il cameriere trattenne a malapena un sorriso divertito, fece un lieve inchino e si avviò spedito in cucina con le ordinazioni.

I due ragazzi avevano fatto amicizia fin da quel primo giorno di vacanza, si erano sentiti subito in sintonia, quindi, dopo qualche ora di riposo pomeridiano, decisero di fare una passeggiata all’ombra della pineta.
Entrati ben presto in confidenza, raccontarono di sé, dei lori rispettivi pianeti, della loro vita, gli studi intrapresi, le loro famiglie, gli svaghi, le passioni, le conoscenze, gli usi e costumi della loro terra.
“Tra poche ore inizia la musica nella sala da ballo con dei corsi per principianti, perché non ci andiamo?” chiese Rubina al principe di Fleed.
“Molto volentieri.”
Verso l’imbrunire, la fanciulla cercò nel suo guardaroba il completino pieno di strass coi pompon, i nastri e le farfalle. I sandali rosa fuxia, coi brillantini e tacco cinque, la facevano audace.
Aveva ancora un fisico molto infantile: un accenno di seno, ma il punto vita inesistente. Così vestita, era piuttosto buffa.
Entrò nella sala piena di bambini, i quali, al ritmo della musica, tentavano di seguire il maestro ballerino nei primi rudimenti del ballo.
Actarus la osservava da lontano con sguardi di incoraggiamento, poi Rubina si staccò dal gruppo e gli chiese di accompagnarla al bar.
“Tutto questo movimento mi ha messo una gran sete, andiamo a prendere una gazzosa?”
“Sicuro, vieni!”
Nel piano bar, brillavano per la loro presenza i più nobili e ricchi ereditieri delle vicine galassie.
Non facevano nulla, tranne osservare con noncuranza le ragazze più belle, tenere il bicchiere di liquore sempre in mano, scambiarsi notizie e novità sui pettegolezzi del loro ambiente.
“Niente male quella, cosa dici se…” chiese il principe ereditario di Galar al duca di Zari.
“Ma non vedi che è una bamboccia, guarda come si veste! Perdi solo il tuo tempo a starle dietro, credimi, per noi ci vuole ben altro! Una come quella che sta passando adesso!” gli rispose di rimando, indicando con lo sguardo una ragazza vestita in una maniera che lasciava ben poco all’immaginazione e tutta la sua persona era un implicito invito ai ragazzi a farsi avanti senza troppe formalità.
“Per questo mi piace! Cosa scommetti che riesco a sedurla? È così stupida e ingenua che mi cascherà tra le braccia come una pera cotta! Poi, lo stile Lolita mi è sempre piaciuto.”
“Contento te. Vada per la scommessa, io dico che ti manda al diavolo, invece!”
“Una gazzosa, per favore… anzi no, meglio un’aranciata!” ordinò Rubina al cameriere, ma il principe di Galar la prevenne con un: “Ciao, piacere di conoscerti, mi chiamo Gex. Aspetta, ti offro io da bere.”
“No, ma io…” balbettò Rubina confusa.
“Due doppi cognac, subito!”
Il giovane era alquanto sicuro di sé, scrutava la ragazza con occhio pieno di malizia, tutta la sua persona tradiva la buona discendenza, ma lasciava al contempo trapelare che, a dispetto della sua giovane età, aveva già alle spalle una vita vissuta, vizi malsani, quella prepotenza mal dissimulata di chi è abituato a comandare, farsi ubbidire, ottenere tutto e subito: dai subordinati, dalle donne, dalla vita.
Sul bancone fecero la comparsa i due bicchieri ordinati: Rubina ne assaggiò un piccolo sorso e tutta la sua espressione fu terribilmente disgustata, mai aveva assaggiato qualcosa di tanto orribile.
Con decisione allungò la mano verso la zuccheriera e, senza esitare, prese il barattolo e versò lo zucchero senza parsimonia dentro il cognac, mescolando bene col cucchiaino.
Gex rimase letteralmente basito, ma subito un sorriso gli allargò la bocca e il cuore.
“Versa pure e bevilo tutto in un fiato. Questa sera ho fatto tombola!” pensò malignamente soddisfatto.
Prima che Rubina portasse alle labbra quella bevanda micidiale, una mano calda la prese per il gomito e la portò lontana da quel posto infernale.
“Ma… Actarus, che ci fai… finalmente, ti avevo perso di vista.”
Lui la guardava preoccupato e sollevato ad un tempo. Meno male! Era arrivato per un soffio.
Le porse subito un bicchiere colmo di acqua frizzante aromatizzata, poi, senza parlare, la guidò più avanti, in una sala dove c’era una musica dai toni bassi e una penombra lasciava intravedere coppie che si lasciavano trasportare dalle note.
Anche i due giovani si unirono al gruppo e insieme provarono il primo ballo lento della loro vita, quello che non si dimentica più, quello che con un salto ti porta avanti all’improvviso, tra gli adulti; ti senti grande, diverso, soprattutto quando c’è già sintonia nella coppia.
Fuori, l’aurora faceva capolino in fondo al mare.

Così passavano le settimane e la vacanza era ormai agli sgoccioli.
E arrivò anche il giorno dell’episodio della barchetta sopra citato.


“E poi scoppiò questa maledetta guerra!” pensò Actarus mentre rivedeva Rubina dopo otto lunghi anni.
Ricordò anche che, il giorno stabilito per la partenza, una notizia totalmente inaspettata, sconvolse tutti gli ospiti della vacanza del pianeta Bez.
Re Vega aveva attaccato Fleed di sorpresa e voleva sottomettere tutta la nebulosa.
Ci fu un improvviso fuggi fuggi, nervosismo, notizie contradditorie e confuse sentite di sfuggita via radio si materializzarono in quel luogo ameno.
Rubina e Actarus si salutarono di corsa: dovevano tornare a casa, capire cos’era successo, fare qualcosa.
“Noi siamo amici Actarus, sono certa che tutto ciò che è accaduto sia dovuto solo a malintesi…”
“Sì Rubina, ma ora dobbiamo lasciarci, addio!”

E ora? Prima che il pilota di Goldrake potesse finire di ricordare il passato, un raggio dell’astronave guidata da Zuril lo colpì in pieno, intrappolando il suo disco in una tela di ragno.
Actarus provò in tutti i modi a liberarsi, ma era inutile.
“Rubina, mi hai tradito!”
“No, non è vero, te lo giuro!” gridò lei disperatissima.
La Comandante, quando vide che un raggio mortale stava per colpire Goldrake, si mise in mezzo come scudo. Venne colpita in pieno e non riuscì più a tenere i comandi.
La mano di Goldrake impedì al velivolo di precipitare, intanto Zuril godeva perfidamente vedendo il suo storico nemico ormai alla fine.
“Non pensare a me, salvati!” gridò lei.
“Non posso Rubina, non potrei più vivere dopo.”
Per fortuna, le astronavi guidate da Alcor, Venusia e Maria, arrivarono in soccorso; la nave madre prese fuoco e venne distrutta.

Tutti scesero dai rispettivi velivoli; Actarus portava Rubina moribonda in braccio e la deponeva sulla tenera erba primaverile.
“Actarus…” disse Maria in lacrime, facendo l’atto di andare verso il fratello.
“No, Rubina sta morendo”, la fermò Alcor.
Lei aprì gli occhi e, benchè sofferente, sorrise.
“Non sapevo che volevano ucciderti.”
“Perdonami, ti prego. Vorrei morire per aver dubitato di te, devi credermi” si scusò lui, prendendole entrambe le mani.
Lei sollevò il capo con evidente sforzo.
“No, sta ferma, non ti affaticare.”
“Actarus, ti porto una buona notizia: il pianeta Fleed sta rinascendo.”
“Ci torneremo insieme, Rubina.”
“Fammi una promessa. Il primo fiore che sboccerà su Fleed, lo chiamerai col mio nome?”
“Sì, te lo prometto.”
“Ho tanto freddo… stai tranquillo, non morirò, diventerò un fiore rosso e starò sempre vicina a te.”
“Rubina… Rubina…”
Venusia si appoggiò al Delfino Spaziale e non potè trattenere un singhiozzo.
Intanto, Zuril moribondo, arrancava puntando la pistola verso Actarus.
“Morirete insieme, vigliacchi!”
Alcor, avendo dei riflessi molto pronti, sparò a Zuril appena in tempo. Rubina spirò insieme a lui.

In mezzo a questa strage e disperazione collettiva della durata di alcuni minuti, alla fine, in cima al monte Yastugatake, Actarus giurò: “Vega, io ti ucciderò, vivrò solo per questo!”


FINE

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