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GRANDE BLU's FICTION GALLERY

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view post Posted on 17/9/2009, 22:20     +1   -1
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Ho dei pensieri che non condivido!

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Messaggio in Bottiglia
di Grande Blu (Vanna)

Dedicato ad Aster, Debris e Gemini.

Questo messaggio è per voi, umani della Terra o sparsi nella galassia. E so che un giorno potrete decifrarlo.
Il mio popolo incontrò per la prima volta la vostra specie in quello che chiamate anno 79 dell’Era Spaziale, proprio nel bel mezzo della “Guerra di Un Anno”.
Era la prima volta che incontravamo creature composte di materia, e questo destò grandissima curiosità. Invisibili ai vostri occhi, ci muovevamo tra voi, osservando ogni aspetto della vostra vita.
Per i miei simili eravate solo un’esotica curiosità che progettava foschi piani per il proprio futuro. Ben presto si stancarono di osservarvi, e liquidarono il conflitto fra voi come “una mortale bizzarria da materia vivente”.
Io non ero d’accordo, perché avevo scoperto similitudini straordinarie fra i nostri popoli.
Diversamente da voi, noi non siamo di materia. Potremmo dire che siamo energia vivente allo stato solido.
Tuttavia anche noi definiamo il nostro popolo con un nome.
Voi siete Federazione e Zeon, noi siamo Yeb.
Gli individui della vostra specie, come nella nostra, si dividono in maschi e femmine.
Nella vostra società, ogni individuo è distinto dai suoi simili da un nome: Amuro Ray, Char Aznable.
Lo stesso avviene da noi. Io sono una femmina, e mi chiamo Tyyl-Nak.
Con questi punti in comune, mi sembrava importante proseguire la ricerca. A dispetto delle enormi differenze.
I vostri corpi agiscono grazie agli ordini impartiti dalla mente. Il pensiero diventa movimento.
Nei nostri, il movimento è contemporaneo del pensiero. Anzi, potremmo dire che il movimento è pensiero.
Non solo, ma noi non abbiamo bisogno di suoni o parole per comunicare. E’ sempre il pensiero, a raggiungere la mente dell’altro, a toccarla, e sempre con il pensiero esprimiamo emozioni, avvolgendo parzialmente o totalmente il nostro interlocutore.

M’incuriosiva molto il fatto che, nonostante foste un popolo solo, proveniente da un unico pianeta, vi scagliaste gli uni contro gli altri tanto ferocemente. E i progetti per l’immediato futuro di alcuni fra voi erano persino più inquietanti del vostro accanimento a combattervi.
Studiai il vostro pianeta e la sua storia, e compresi che quanto vi accadeva oggi aveva fortissimi legami con il vostro passato.
Il motivo delle vostre guerre era sempre uno: denaro, potere e un dominio il più vasto possibile.
Era molto difficile per me capire le vostre ragioni, ma dovevo riuscirci ad ogni costo.

“Non ti sei ancora stancata di giocare con gli esseri di materia?” Sobbalzai, quando questo pensiero beffardo e un po’ altezzoso toccò la mia mente. Ero così concentrata, che non avevo percepito sopraggiungere il pensiero, né chi lo aveva formulato.
YY-Mok…
“A dire il vero, Consigliere, se voglio partecipare alla prossima seduta del Consiglio in difesa degli umani, devo sapere tutto su di loro!”
Il mio pensiero era ironico e falsamente ossequioso ma YY-Mok non se ne curò. Anzi, la cosa lo divertiva. Compresi che era identico ai maschi umani, quando sollevano un angolo della bocca in un’espressione tra il compiaciuto e il beffardo… L’avevo vista spesso sul viso di Char… Incredibile analogia…
Persa in queste considerazioni, continuai a cercare. Sentivo la presenza di YY-Mok dietro di me, a distanza costante.
La White Base compiva le manovre di avvicinamento alla Terra. La seguii, accorciando le distanze man mano che si preparava all’atterraggio.
La flora e la fauna terrestri distolsero la mia attenzione dall’astronave, e gironzolai per tutto il pianeta. Non c’era fretta, l’asse temporale della materia è un miliardo di volte più lento rispetto a quello dell’energia.
Quando tornai l’equipaggio era appena sbarcato. Le risa di Letz, Katz e Kikka attrassero la mia attenzione… Stavano correndo nelle vicinanze dell’astronave, guardando tutto e toccando tutto, seguiti da Haro…
Fraw aveva trovato i bambini, che tutti fieri le mostravano le loro scoperte: sassi, foglie, fiori… Haro si era allontanato, quindi potevo esaminare da vicino quel congegno. Era straordinario, perfino Amuro che lo aveva costruito, probabilmente, ne ignorava ogni potenzialità… Ma io le conoscevo, e le avrei messe alla prova…
Scivolai davanti a lui, e lui si fermò. I suoi occhi meccanici sembravano fissarmi. Avrei voluto sfiorarlo con la mente, ma sapevo che lo avrei distrutto… Il minimo tocco di una creatura d’energia, come noi Yeb, sovraccarica gli apparecchi elettronici, perché la nostra energia vivente è incompatibile con le vostre fonti energetiche.
“Continui a giocare… Non ti spaventa cosa progettano le due fazioni?”
Di nuovo il pensiero di YY-Mok mi aveva colto alla sprovvista. A volte, YY-Mok riusciva a irritarmi. Esattamente quanto Amuro riusciva a irritare Fraw, o Sleggar Mirai… E il bello era che tutti e tre se ne infischiavano! Ma… Avevo trovato un’altra somiglianza!
Resa euforica da questo pensiero tornai a scrutare Haro, che non si era mosso, e continuava a fissarmi… Dovevo stare attenta ad analizzarlo delicatamente, senza danneggiarlo con la mia energia…
“Analizzare le cose da fuori, Tyyl-Nak, non ti farà trovare un mezzo per salvare gli umani!”
Questa volta, YY-Mok ottenne tutta la mia attenzione.
“Hai ragione. La mia analisi è superficiale.” Istantaneamente ero di fronte a lui, che era rimasto nell’orbita alta del pianeta.
“Non basta guardare le cose da fuori… Bisogna trovare un modo per guardarle dall’interno… Devo interagire con l’equipaggio della White Base! Grazie per la soluzione!”
Raggiante, mi rituffai verso la Terra. Ma questa volta YY-Mok mi seguì e affiancò.
“Perché devi interagire con gli umani della White Base?”
“Perché gli incrociatori di Zeon sono troppo lontani, e non c’è tempo da perdere!”
“Non puoi entrare in un essere senziente!”
“Lo so perfettamente, ma non posso neppure entrare in una pianta! Le piante terrestri sono ancorate al suolo, non se ne vanno in giro per il pianeta!”.
Un’idea si affacciò alla mia mente. Avevo involontariamente accelerato, ed ero passata in testa. Mi fermai di colpo, ruotai su me stessa, e avvolsi parzialmente YY-Mok con il pensiero, bloccandolo al mio fianco.
“Gli animali, YY-Mok! Qual è la posizione del Consiglio sugli animali della Terra?”.
Ponderò la domanda per un attimo:
“A parte delfini, elefanti e balene, gli altri possono essere usati come tramite.”
“Grazie!” Mi volsi di nuovo verso la Terra e continuai la mia corsa alla massima velocità.
“Dove vai?”
“A cercare un animale diverso da elefanti, delfini e balene!”

Affinai le mie percezioni, in modo da scoprire un animale adatto il più velocemente possibile. Finalmente captai un debole pensiero che era lanciato all’intorno, muta richiesta di aiuto. Un cane…
Lo raggiunsi. Scivolai davanti ad una vecchia femmina, quasi cieca, che sbatté le palpebre al mio apparire. Denutrita, con alcune patologie dell’età e altre malattie, cercò di uggiolare e muovere la coda. La tranquillizzai e le ordinai di dormire.
A differenza delle macchine, la nostra unione con un essere vivente è per quest’ultimo un vero toccasana. Le creature che scegliamo come tramite nelle esplorazioni riguadagnano salute e pieno benessere. In alcuni casi perfino la giovinezza perduta.
Accarezzai la bestiola con la mente mentre mi univo a lei. Mi cedette spontaneamente ogni controllo. Risanai il corpo da ogni malattia, gli ridonai vigore, poi le chiesi se voleva dividere con me il controllo di se stessa. Abbaiò vigorosamente e si mise a girare in cerchio, inseguendosi la coda.
Noi Yeb non dominiamo. Noi coesistiamo.
Mi dava il suo consenso a farla ritornare giovane, agli inizi dell’età adulta? Emise un unico latrato e si accucciò. Incominciai il processo di rigenerazione.
Nel frattempo le spiegai di cosa avevo bisogno.
Appena terminato la cagnolina, riconoscente, iniziò una folle corsa verso la mia destinazione. In breve fummo davanti alla White Base.
Con brevi latrati attirammo l’attenzione dei bambini. Kikka sembrava spaventata, e si nascose dietro a Fraw. Letz e Katz facevano a gara nel lasciare all’altro l’onore di avvicinarsi per primo…
“E’ solo un cane! Non c’è niente di cui aver paura!” disse Amuro. Al suono della sua voce, l’immagine di un amatissimo padrone incominciò a riemergere dalla memoria della mia tramite. Amuro era in uniforme, e la sua immagine si sovrappose, nella testa della bestiola, a quella di un giovane ufficiale… Corse verso di lui, facendogli le feste, e cercando in ogni modo di ottenere le sue carezze… Amuro stranamente non si fece pregare… Oh Infinita Immensità, era poco più di un bambino…

Un colpo mentale ad alta densità mi centrò in pieno, senza danni alla mia tramite.
“Il mostro dagli occhi verdi”… Il drammaturgo umano aveva ragione.
“Smettila scemo! Amuro le ricorda il suo padrone!” Questo fu l’unico pensiero che riuscii a lanciare a YY-Mok, prima che la sua volontà si manifestasse in tutta la sua forza.
Sono certa che William Shakespeare ha sempre ignorato quanto questo mostro fosse pesante, e quanto facessero male le sue zanne e gli artigli. I pensieri di YY-Mok erano feroci, e più la bestiola cercava le carezze di Amuro, più diventavano cattivi.
Non c’era modo di distogliere la sua mente. Spostò l’attenzione sull’ignaro Amuro.
Lui, che aveva sempre guardato agli umani con distacco, si avvicinò ad Amuro e la sua mente lo sfiorò. Amuro alzò lo sguardo. Si trovarono faccia a faccia. Per mio marito, ormai Amuro era un rivale.
Aveva deciso, e niente gli avrebbe fatto cambiare idea.
Era assurdamente illogico. Sarebbe stato come ipotizzare un coinvolgimento fra un microscopico gamberetto kreel dello zooplancton e una femmina umana.
Purtroppo YY-Mok è cocciuto e orgoglioso, anche negli abbagli e fraintendimenti.
Si avvolse nei suoi pensieri, e scomparve. Io lasciai il corpo della mia tramite, e proiettai il mio pensiero alla sua ricerca. Ma YY-Mok si era occultato, e il mio pensiero scivolava su di lui senza trovarlo.
Continuò a ignorarmi fino alla seduta del Consiglio. Nonostante i miei problemi coniugali proseguii le mie osservazioni sugli umani, interagendo equamente con Zeon e Federazione.

Percepii immediatamente, al mio ingresso nella sala, che il Consiglio considerava gli umani pericolosi. Avevo di fronte a me due scelte: o convincevo delle mie ragioni il Consiglio, o convincevo mio marito. Entrambi non era possibile.
Scelsi l’interlocutore più ostinato:
“Sono certa che il Consiglio è a conoscenza che gli umani definiscono se stessi come popolo, sono divisi in due sessi, e ogni individuo ha un nome proprio…” Rivolsi i miei pensieri a YY-Mok, che come ogni membro del Consiglio li recepiva per mera educazione.
“Sapete anche che sono organizzati in uno stato complesso, che si esprime in varie forme, sono regolati da leggi e conoscono l’istituzione del matrimonio?” Qualcuno sembrò scuotersi dall’apatia. Ora facevo sul serio.
Raccolsi tutte le mie facoltà empatiche, e proiettai direttamente nelle loro menti tutte le mie interazioni e scoperte. Riuscii perfino a prevenire tutte le loro obiezioni, fornendo i dettagli prima ancora che le perplessità si manifestassero.
Tutta la mia ricerca, anche se era proiettata nella mente di ogni consigliere, continuava ad avere YY-Mok come interlocutore principale. Gli altri consiglieri cominciarono a osservarlo incuriositi, ed egli incominciò ad agitarsi sul suo scranno, quasi fosse diventato improvvisamente scomodo.
Era il momento di concludere, e lo feci spremendo ogni goccia delle mie facoltà:
“Le affinità fra Yeb e umani sono minime, ma abbastanza da ipotizzare che in un’era lontana, i nostri progenitori fossero abbastanza simili. Mi chiedo cosa sarebbe stato di noi allora, se una civiltà infinitamente più avanzata avesse deciso che eravamo troppo pericolosi.
Abbiamo davvero il diritto d’ergerci a giudici di altre specie?
Gli umani stanno per utilizzare armi di cui non conoscono a fondo le ripercussioni, è vero. Ma noi siamo qui, e possiamo fare qualcosa. Non credo la nostra superiore evoluzione sia un alibi per assistere impassibili a una catastrofe cosmica che cancelli un intero pianeta e il suo satellite!
Ho sempre pensato che i nostri poteri avessero uno scopo più alto che il nostro autocompiacimento, e forse gli umani sono la prova di questo.”.

Presi congedo dal Consiglio come esigeva il cerimoniale, e scivolai verso il settore che abitavamo. Volevo solo entrare nella nostra bolla di rigenerazione (l’equivalente delle vostre brande). Mi sentivo debole: la ricerca, l’interazione con gli umani, l’esposizione al Consiglio mi avevano spossato. Ma soprattutto mi pesava che YY-Mok si fosse chiuso nel silenzio e non volesse ascoltarmi.
Improvvisamente tutto divenne buio… “Tyyl-Nak!” Riconobbi il pensiero e chi lo aveva formulato, e gli rivolsi un’emozione confortante… L’equivalente di un sorriso fra umani.

Percepivo una potente fonte d’energia che irradiava… Il flusso era forte, quasi prepotente… Forse ero all’interno di un Mobil Suit alla deriva verso il Sole… Avevo già cercato di entrare nel MS-06S Zaku di Char e nel FF-X7 Core Fighter di Amuro…
Improvvisamente fui lucida. Ero nella nostra bolla di rigenerazione, accanto ad YY-Mok che mi stava irradiando con tutta la sua forza vitale. Appena si accorse che ero cosciente smise:
“Sei forse impazzita?”.
Mi aveva scaraventato addosso un tale miscuglio di rabbia, senso di colpa e paura che mi avrebbe schiacciato contro la barriera del pavimento, se non fossi stata nella bolla.
Stava per continuare, ma io ero stanca di sentirlo distante, quindi agii prima della sua paternale… Spiegarvi come, dato la nostra fisiologia completamente diversa, richiede che per un secondo immaginiate YY-Mok ed io come due umani:
Mi fiondai fra le sue braccia e lo strinsi forte a me. E sperai che, fra le altre cose, gli passasse per la testa di abbracciarmi a sua volta.
“Non farlo mai più. Né per me, né per il Consiglio, né per gli umani o qualsiasi altra razza. Non rischiare mai più di esaurire l’energia.”.
Promisi. Mai più.
“Ora andiamo. Raggiungiamo gli umani. La decisione del Consiglio deve essere eseguita.”.

Seguivo YY-Mok in silenzio. Infuriava la battaglia di Solomon. Mi condusse in prossimità del Solar System della Federazione, attorno al quale fervevano gli ultimi preparativi.
Per un secondo ebbi paura di quell’arma, quando un’energia enorme si svelò. Ma non era il cannone federale, era ancora inattivo!
“Non pensare. Questo era il mio unico segreto. Ora ne sei parte.”
Fra gli Yeb esistono individui dal potere incommensurabile. Essi non ne fanno mai cenno, neppure con i parenti più stretti. E si rivelano solo in casi eccezionali.
Dei missili furono lanciati da Solomon verso il Solar System.
La superarma federale fece fuoco. Seguii con la mente la traiettoria del colpo. Purtroppo sapevo quali umani sarebbero periti e come. Quelli che videro arrivare il raggio li avvolsi con la mia mente, confortai il loro dolore e annullai la paura... mi chiesero se ero la loro madre, o un angelo. Risposi di sì in entrambi i casi, e rimasi loro accanto.
Quelli che non dovevano morire in quella battaglia, li allontanai dalla traiettoria con colpi mentali ad alta densità.
Il raggio creò un buco nel fianco di Solomon. I missili lanciati verso il Solar System raggiunsero il bersaglio, distruggendo gran parte degli specchi.
“Zenna e Mineva, madre… Salvale!” Aiutai Dozle Zabi nella sua trasmutazione. E lo rassicurai sulla salvezza delle sue care.
Eravamo solo all’inizio… Attendemmo in mezzo agli umani la mossa di Zeon.
“Sei qui per me? Sei la mia guida verso la sfera superiore?” Lei meritava un trattamento speciale. Unico in tutta la storia Yeb.
Assunsi una figura simile a quelle umane, anche se di luce.
“Sì, Lalah, ” le comunicai telepaticamente.
“Il capitano? E il caro Amuro…?” Attinse ai suoi poteri newtype per conoscere la loro sorte.
“Vivranno… Sì…” Poi si rivolse a me:
“Sarebbe stato diverso se avessi incontrato Amuro prima di Char?”
“Bambina mia… non avresti amato Char di meno, anche senza la gratitudine. E la complicità straordinaria che s’instaura fra due Newtype non sarebbe bastata per farti amare Amuro. Almeno non come lui desiderava.”
Lo spirito di Lalah si appannò, poi prese la mia mano e se la portò alla guancia, premendola con la sua.
“Abbiamo appena iniziato… Il cammino è ancora lungo…”.
“E’ così. Ma ora è tempo di andare, Lalah Sune”. Mi sorrise, lasciò la mia mano e scivolò via.

Gihren Zabi ordinò di aprire il fuoco. Il Solar Ray Cannon sparò verso lo schieramento federale.
Nell’atto di sparare distrusse le sue parti. I filtri e gli specchi polarizzatori si sbriciolarono, rendendolo inutilizzabile.
“La pace… La pace era la cosa giusta!” Assicurai al Generale Revil che sarebbe stata pace.
“Zeon… Fa che sia finalmente pace a Zeon!” Assicurai a Degwin Zabi che Zeon avrebbe avuto pace.

La sensazione di freddo e la paura provata dai feriti gravi e dai dispersi nello spazio attirarono la mia attenzione… Mi allontanai da YY-Mok per occuparmi di loro. Improvvisamente percepii che Amuro e Char, sebbene andassero in opposte direzioni, avevano alzato la testa e si erano fermati, guardando verso lo stesso punto. E con loro Artesia, Mirai, i tre bambini e chiunque altro, sulle navi federali o Zeon, avesse facoltà newtype anche latenti. Ma fui sbalordita quando, un istante dopo, tutti gli umani di ambo gli schieramenti si fermarono, e fissarono lo stesso punto dello spazio…
Infinita Immensità, guardavano verso YY-Mok! Ma non potevano vederlo! Eppure sembrava che i loro occhi si perdessero nel suo sguardo, come migliaia di topolini ipnotizzati da un immenso cobra…
Il pensiero di YY-Mok si tradusse in parole umane. Parole imperiose e perentorie.
“Voi sopravvivrete. A tutti i conflitti che la vostra stupidità saprà inventare.”.

“Ora possiamo andarcene. Torneremo a visitare i tuoi protetti fra diecimila anni.”.
In un’infinitesimale frazione di tempo Yeb, i dispersi erano stati recuperati, fra i feriti gravi alcuni erano morti, mentre la maggior parte aveva avuto un miracoloso recupero. E YY-Mok era al mio fianco.

Creai una sfera di energia. Al suo interno registrai tutto quanto era accaduto fino a quel momento. La programmai per entrare in orbita attorno alla Terra e a tutte le sue colonie nel sistema solare, e per estendere la sua orbita man mano che gli umani avessero fondato nuove colonie.
“Che cosa stai facendo?” YY-Mok era… Come dite voi umani? In sostanza alle mie spalle, e sbirciava.
“Lascio un messaggio per gli umani, in modo che un giorno sappiano come sono stati salvati dalla loro stessa follia. E soprattutto che un Yeb ha fatto tutto questo”.
Proprio così. E’ stato YY-Mok a salvarvi. La potenza del Solar System e del Solar Ray Cannon era infinitamente maggiore di quanto risultava dai vostri calcoli. C’era un errore d’impostazione alla base, ma voi non potevate accorgervene al vostro livello tecnologico.
Era questo il punto su cui aveva dibattuto il Consiglio.
Se permettere che le vostre armi dispiegassero il loro reale potere distruttivo, per poi esplodere perché i materiali con cui erano costruite e i sistemi di controllo e puntamento non avrebbero resistito al sovraccarico d’energia. Né all’immenso calore in uscita.
Distruggendo metà del sistema solare, e voi con esso, come conseguenza.
O se intervenire, smorzando l’energia in eccesso, e distruggerle limitando i danni alle persone.
Beh, sapete già qual è stata la nostra decisione.
“Ma insomma, hai finito?” YY-Mok si agita impaziente. Mi chiedo se abbia davvero tutta questa fretta o non sia imbarazzato da quanto vi sto raccontando.
“Sembravano vederti, YY-Mok… Lo hai notato?”
Toh, ha smesso di agitarsi… “E’ vero… Mah, staremo a vedere. Sigilla quel messaggio, Tyyl-Nak. E torniamo a casa che ho fame!”
Mi chiedo quanti maschi umani, sulla Terra e nelle colonie spaziali, stanno usando la stessa frase per troncare una conversazione…
Ci rivedremo fra diecimila anni, specie Homo Sapiens Sapiens.



Tenebrae


Dedicato ad Al_Hard e Icarius

“Tu chi sei?” chiese il ragazzino alla sconosciuta al suo capezzale.
“Ciao, Hiroshi … Sono un’amica del tuo papà … Mi ha detto lui di vegliarti durante la sua assenza … Come stai?”
“Ho sete …”
La donna versò dalla caraffa termica che era sul comodino liquido sufficiente a riempire a metà il bicchiere. Poi lo aiutò a bere. L’acqua era fresca, e aveva un leggero sapore di frutta.
Mentre beveva Hiroshi Shiba, scrutò attentamente la sconosciuta, scostò il bicchiere dalla bocca e disse a bruciapelo:
“Tu non sei giapponese.”
“No. Vuoi vedere dove si trova il mio paese?”
“Sì …”
“Allora ti rimetto giù e ti faccio vedere, dove si trova …”.
“Sì ...”
“Bene. Torno subito”.
Dopo alcuni minuti la sconosciuta tornò, tenendo in mano un mappamondo. Sedette sul letto accanto a lui e appoggiò la base della sfera sul ginocchio e gli fece compiere un mezzo giro.
“Ecco, qui.”
Indicando il luogo con l’unghia, avvicinò la sfera abbastanza perché Hiroshi potesse leggere senza muovere la testa.
Il dito indicava la parola “Roma”
“Sei Italiana?”
“No, io sono Romana”
“Ma i romani sono Italiani.”
“Non io.”
“Come ti chiami?”
“Tenebrae”
“Te- né?!”
“Tenebrae.”
Un forte prurito distolse l’attenzione di Hiroshi, che incominciò a grattarsi il torace, in prossimità del cuore. La sconosciuta gli prese la mano, ed egli notò che era poco più grande della sua.
“Non grattarti, so che ti da fastidio.”
La donna lo guardò dritto negli occhi. Hiroshi ebbe la netta sensazione che quegli occhi non erano comuni, anche se non avrebbe saputo spiegare cosa li rendeva insoliti.
“Adesso dovresti dormire”
Mentre parlava, la sconosciuta gli aveva dato un bacio sulla fronte.
Lui non voleva dormire, ma non riusciva a tenere gli occhi aperti … Scivolò nel sonno senza accorgersi che qualcuno era entrato nella stanza. Tenebrae alzò il dito indice, e il nuovo venuto rimase immobile.
Misi a fuoco e scrutai. La minuscola campana inserita nel petto di Hiroshi pulsava normalmente, e come nelle mie iridi comparve un bagliore dorato, la pulsazione seguì l’accendersi dei miei occhi.
Come ebbi finito mi voltai verso la porta, e il bagliore dorato iniziò a spegnersi. Uscii dalla stanza, ed egli mi seguì.
“Mi scusi, Senjiro, non potevo essere interrotta. Buongiorno!” dissi inchinandomi.
“Tenebrae-sama…” Senjiro Shiba s’inchinò a sua volta.
“Volevate un aggiornamento sulle condizioni di Hiroshi?”
Il professore non poté fare a meno di sussultare. Anche se sapeva che ero telepatica, la mia capacità di leggere nella mente lo sorprendeva sempre. Proseguii, facendo finta di nulla.
“La dōtaku sta agendo su Hiroshi come previsto. La miniaturizzazione era corretta, ed il thorn da me inserito al suo interno la rende stabile …”
“Il misterioso thorn …”
“Senjiro … non siate scettico.” dissi assumendo un’aria di scherzoso rimprovero.
“Quella ‘spina’ magica è essenziale. Per fortuna, la dōtaku è a percussione, non a batacchio. Il thorn all’interno permette di confinare e rafforzare, creando una zona d’equilibrio”
“Confinare?”
“Conosce le iscrizioni. Su un lato della campana c’è l’incantesimo oscuro, volto a riportare sulla terra un’antica calamità. Sull’altro c’è l’incantesimo che protegge il predestinato a sconfiggerla.”
Senjiro Shiba si rabbuiò.
“In sintesi questa spina magica permette di rinforzare l’incantesimo che rende Hiroshi invulnerabile, e allo stesso tempo confina e rende debole l’incantesimo maligno.”
“Perché era necessario fosse Hiroshi?” Mi chiese improvvisamente.
“Alla caletta fra quattro giorni. Le spiegherò tutto nei minimi dettagli. Ma prima ho dei preparativi da fare.”
Il professore s’inchinò, io ricambiai l’inchino e mi diressi verso l’uscita di quella che un giorno sarebbe stata un’ala della Base Antiatomica.

“Ma chi si crede di essere, quella straniera! E poi, perché tutti quanti la trattano con tanto riguardo? Ah, ma io …”
Potevo sentire i pensieri ostili di Miwa Uzuki ancor prima di uscire dalla porta. Scrutai, mettendo a fuoco … Eccola là, fuori, dietro un cespuglio, in attesa di sorprendermi …
Uscii, e mi diressi al cespuglio.
“Buongiorno, Miwa, sapevo che l’avrei trovata qui. Volevo chiederle se domani, dopo la scuola, verrà da Hiroshi con me. Ho cose molto importanti da dirvi.
Miwa era sbalordita.
“Bene, ci conto.”

A passo svelto mi diressi verso uno stagno, mi fermai sulla riva e feci una serie di profondi respiri. Improvvisamente una piccola mano e il suo avambraccio emersero dall’acqua. Trattenni il fiato, raggiunsi quella mano e la afferrai, ed essa mi trascinò sott’acqua.
Riemersi in un altro stagno, la mano stretta in quella di un ragazzino dai capelli neri e dagli occhi scuri attenti ed indagatori.
“Sei lenta”, mi disse.
“Rispetto a te, Tetsuya, sicuramente”, replicai.
“Ma ora va a cercare un posto comodo dove sederci. Io torno subito.”
Vicino allo stagno c’erano alcuni alberi. Mi diressi in quella direzione, pronunciando un incantesimo in una lingua ormai morta. Scomparii alla vista, per riapparire qualche metro dietro una bella bambina dalla pelle scura, che nascosta dietro ad uno degli alberi, spiava ogni movimento di Tetsuya.
“Chissà chi è quella signora … Perché è uscita dallo stagno? Tetsuya sembra conoscerla …”
I pensieri di Jun erano un misto di riserbo e curiosità, ma neutri. Bene, così avevo solo una ragazzina ostile da affrontare.
“ Jun …” La chiamai, mentre mi avvicinavo.
“Vieni a sederti con Tetsuya vicino a me. Mangerete la frutta ed io vi racconterò una storia vera.”
Le presi la mano, e raggiungemmo Tetsuya sul prato assolato.
“Ma cosa ci fa Jun qui? Uffa, ma quanto sono curiose le femmine … Io non ce la voglio, l’ho incontrata io Tenebrae, non lei …”
In quel momento, Tetsuya non era troppo ben disposto verso Jun … Fino a un attimo prima si era sentito speciale, e non voleva dividere quella sensazione con nessuno.
“Tetsuya, c’è un grande segreto che devo rivelarvi e aspetta solo voi due.”
La prospettiva di un segreto sembrò distrarlo e il dono di una ciotola colma di frutta contribuì a cambiare il suo umore. Quando Jun si sedette accanto a lui, non protestò. Diedi anche a lei una ciotola di frutta, e con un’occhiataccia fermai Tetsuya che stava pensando di servirsi …
“Siete comodi? Molto bene … Per raccontarvi la mia storia, devo parlarvi di un mio antenato, Tiberius Quintilius Eulogius, nato all’epoca in cui Roma era ancora un villaggio, ma dalle grandi ambizioni. Non era un uomo forte, ma di buon intelletto, e soprattutto aveva una sorta di sesto senso per la magia …”
“Sesto senso per la magia? Cos’è?” chiese Jun.
“Non lo sai? ” ribatté Tetsuya con aria superiore, poi si volse verso di me:
“Già, cos’è il sesto senso per la magia?”
Sorrisi alla sua bravata.
“Il sesto senso per la magia è la dote che ti fa capire quando un popolo o una persona ha grandi capacità magiche. Soprattutto ti fa capire quando forze malvagie si addensano su questo mondo.
Il mio antenato sapeva che una società ancora giovane come quella romana non avrebbe mai potuto fronteggiare minacce oscure, quindi si recò presso gli Etruschi, popolo dalla civiltà raffinata, la cui storia e origini erano avvolte nel mistero.
Ben presto scoprì che era nel giusto. Gli Etruschi erano maestri nella magia delle vie misteriose della terra. Visse per molti anni a Veio, dove sposò una sacerdotessa d’alto rango, che era anche una veggente dai grandi poteri. Allora stabilì due regole ferree, che impose a tutta la sua discendenza: un solo erede maschio, che avrebbe portato il nome di famiglia Tiberius Quintilius, e la prima femmina, a meno che fra le sorelle non ci fossero maghe di talento, votata allo studio della magia.
Da quel momento, la capacità di prevedere il futuro con assoluta precisione fu un tratto distintivo della nostra famiglia, e ci permise di evitare, nel tempo, tutti gli effetti dannosi dell’espansione di Roma, conservando al contempo il favore di chi era al potere.
L’espansione di Roma creava continue vittime, e noi prestavamo aiuto a chiunque. Non importava se proveniva dalle terre che ogni giorno cadevano sotto il dominio romano, o da terre lontane, già schiavo. Acquistavamo gli schiavi per affrancarli. Questo ci rese benvoluti ovunque, e favorì i matrimoni con maghi stranieri, che unirono così la loro magia alla nostra.
Fra questi c’era Agelada, greco, venduto al mercato di Rhegion da bambino, comprato dal mio trisnonno tramite un amico. Agelada aveva un grande segreto, che purtroppo non poteva rivelare a nessuno. Il mio trisnonno e la mia trisnonna lo trattarono come un figlio, senza mai chiedere nulla. Divenne il miglior amico del mio bisnonno, fu liberto, cittadino romano e sposò la prozia maggiore. Purtroppo non ebbero figli, ma il mio bisnonno li fece amare dai propri come dei secondi genitori. E fu a mio nonno e alle sue sorelle che egli confidò il grande segreto …
Ora si è fatto tardi, e i segreti richiedono tempo e attenzione. Saprete tutto domani.”

I bambini si erano appena allontanati, quando una figura emerse dall’ombra. Mi fece un lieve inchino, che io ricambiai.
“Buonasera, Tenebrae-sama” disse.
“Buonasera, professor Kabuto”
“Sono arrivato troppo presto?”
“Affatto. Hai trovato un luogo sicuro dove parlare?”
“Vieni.”
Mi condusse alla sua auto e viaggiammo in silenzio.
Avvertivo una grande esaltazione nei suoi pensieri. Come un bambino che ha portato a termine un compito difficile ed è ansioso di ricevere le lodi dalla maestra.
Quando arrivammo, mi chiese:
“Cosa ne pensi?”
La luna si specchiava sull’oceano Pacifico, e appollaiata sulla costa, vicinissima allo strapiombo, si poteva vedere l’abbozzo di quella che un giorno sarebbe stata la Fortezza della Scienza.
“Ben fatto, Kenzo. Ottima scelta”
Una nube oscurò la luna, e mentre mi apriva la portiera Kenzo Kabuto si concesse un sorriso di soddisfazione, certo di non essere visto.
Mi condusse all’interno. Che buffo … Conoscevo Kenzo fin da bambino, eppure anche lui, come Senjiro Shiba dimenticava sempre la mia telepatia …
Entrammo in una stanza che conteneva solo due poltrone, l’una di fronte all’altra, collocate accanto ad un’ampia vetrata con vista sul mare.
“Bene, zia Tenebrae …” Mi guardò con l’aria sfacciata di chi crede di avere ogni risposta, mentre si accomodava su una delle poltrone e m’invitava, con un gesto, a fare altrettanto.
“A quanto pare hai un segreto per me … Sono lusingato …”.
Il tono era evidentemente canzonatorio.
“Regalerai anche a me il segreto di un super robot?”
Ah Kenzo, Kenzo … Tanto intelligente quanto presuntuoso …
“Prima di tutto ti regalerò la conoscenza del passato, e la consapevolezza di una grave minaccia. Poi ti aiuterò, dove servirà.”
Feci comparire dal nulla una bottiglia di sakè e due bicchierini, che feci fluttuare nell’aria davanti a lui.
“Serviti pure …”
Kenzo impallidì … Finalmente disposto ad ascoltarmi, riempì un bicchierino e me lo porse, poi riempì l’altro per sé.
“Un’altra minaccia dal passato, zia Tenebrae?”
Ora avevo tutta la sua attenzione.
“Potremmo dire così. So bene che tu e tuo padre pensavate che il passato potesse tornare una volta sola. Niente di più falso. Il passato è uno scrigno di misteri. Alcuni benefici, altri letali. E l’uomo moderno può solo scegliere da che parte stare.”
“Perché non mi hai rivelato il segreto del tuo prozio Agelada quando ero bambino?”
“Perché i tempi non erano maturi. Ho sempre avuto piena fiducia in te, Kenzo... ”
Pronunciai quelle parole fissandolo dritto negli occhi.
“… e sapevo che, crescendo, saresti diventato un brillante scienziato. Perché gravare la tua infanzia di pesi inadatti alle spalle di un bambino, quando da uomo avresti sicuramente trovato una soluzione?”
Si tese verso di me, gomiti appoggiati alle ginocchia, mento appoggiato alle mani, mentre io mi misi comoda contro lo schienale.
“Dimmi cosa devo fare.”
“Cominciamo con la sapienza di epoche lontane, ignorate dalla storia. Del prozio Agelada si sapeva solo che era greco e straordinariamente longevo. Un giorno convocò tutta la famiglia, e tenendo stretta la mano della prozia rivelò di essere un Mikenes.
“Ma cosa diavolo c’entra la civiltà micenea, su cui ci sono forti dubbi e si preferisce chiamare egea...
“Ho detto Mikenes, non miceneo.”
“Vuoi dire che …”
“Voglio dire che i Mikenes erano gli abitanti originari di quella zona che poi fu colonizzata dai Minoici, che conservarono il nome antico per differenziarsi dalla madre patria. In realtà i Mikenes erano di origine Lemuriana …
“Lemuria?!? Quella Lemuria?”
“Si, Kenzo … Proprio uno dei continenti perduti. Gli abitanti di Lemuria, che ritenevano essere originari di altri mondi, erano straordinariamente longevi, più dei Mu o degli Atlantidi. Quando il loro continente s’inabissò, si recarono in Grecia, e fondarono Mikenes, ma era solo una sosta temporanea per i preparativi che li avrebbero portati alla loro nuova casa.
“Quale?”
“Il sottosuolo. Erano ossessionati dalla purezza della loro razza, e per non correre il rischio, rimanendo in superficie, di mescolarsi ad altri popoli … Decisero che la soluzione migliore era scomparire, letteralmente, dalla faccia della terra, e ricavarsi un nuovo habitat sotto la superficie. Fu questa la loro rovina, Kenzo.”
“Io posso costruire tutte le macchine che vuoi, zia Tenebrae.” Disse servendomi di sakè dalla bottiglia che continuava a fluttuare nell’aria, poi, mentre si serviva, aggiunse:
“E ti assicuro che terranno testa a tutti i fantasmi della storia … Tuttavia …”.
S’interruppe, e lessi nella sua mente il timore di non trovare un pilota adatto.
“Il passato ci è d’aiuto anche in questo, Kenzo. Questa scelta è già stata fatta.”
Mi scrutò con attenzione. E per la prima volta da quando avevamo iniziato la conversazione, sprofondò nei cuscini della poltrona, conscio di avere di fronte qualcosa oltre la sua portata.
“Racconta …”
“Tempo fa, un giovane dignitario proveniente da una lontana regione del Giappone, venne mandato a Yamatai per porre gravi quesiti. Figlio del mago di corte aveva la piena fiducia del suo re. Soffriva di incubi terribili, ricorrenti ormai da anni.
Per non esporre a disonore e chiacchiere la sua promessa sposa, si sposò prima di partire e con lei lasciò la sua terra natale.
Arrivato al monastero dove si era ritirata la Somma Sciamana che regnava su Yamatai, chiese di conferire con lei, ma purtroppo non era più in vita. Tuttavia aveva lasciato due scritti. Uno per lui, in cui gli consigliava di porre le sue domande alla principessa straniera che di lì a poco sarebbe giunta, il secondo per i monaci, da scolpire nella pietra e affidare ai posteri.
Saltiamo la parte che già conosci, e che ti ho raccontato da bambino …”
“Come stavi facendo con quei due quando sono venuto a prenderti?”
“Esatto … E non solo con loro.”
Kenzo non replicò.
“Un giorno lo feci chiamare. Sua moglie mi aveva già parlato dei suoi incubi, ed io gli chiesi di descrivermi quei sogni. Poi gli spiegai il loro significato. E lo misi in guardia, avvertendolo che, se fosse rientrato in patria, le risposte che gli avevo dato sarebbero morte con lui. Nondimeno il nobile Tetsuya era un suddito troppo leale, e non ignorò un messaggio del suo re che lo richiamava a corte. Ripartirono, con ricchi doni, un servitore fidato e la mia benedizione, anche se sapevo che presto avrei avuto notizia della loro morte.
Appena arrivati, mentre il giovane si recava dal re, la guardia reale fece irruzione nella sua casa, trucidando la sua sposa e ogni essere vivente che si trovava in essa.
Per Tetsuya, a palazzo era preparato il medesimo destino della moglie.
Una forza oscura si era impadronita del suo re e lo manovrava a suo piacimento. Il giovane lo affrontò in duello, perse la vita ma inflisse al re ferite così serie, che egli ne morì. A questo punto, la forza malvagia si ritirò.
“Perché?”
“Per una profezia. Ricordi il secondo scritto della Somma Sciamana di Yamatai?”
“Sì.”
“In esso era profetizzato che un eroe di nome Tetsuya avrebbe sconfitto una delle ombre del Male che minacciava il mondo.”
“Da dove veniva quest’ombra?”
“Ricordi, ho detto che per i Mikenes la decisione di rifugiarsi nel sottosuolo ebbe esiti disastrosi … Nel sottosuolo, dall’alba del mondo, c’era una forza malvagia. Essa s’impadronì dei più litigiosi tra loro, separandoli dal resto della popolazione, pronti a servire l’Imperatore delle Tenebre … I loro pregiudizi furono ingigantiti, e il loro lato peggiore esaltato. Incominciarono a rapire i membri più deboli della società per fare esperimenti, crearono arti meccanici che li rendessero più forti, e poi corpi meccanici, fidando nel fatto che la loro fibra straordinaria gli consentiva di sopravvivere a ogni manipolazione. Poi, si prepararono nell’ombra ad assumere il potere, quando il loro signore lo avrebbe ordinato.
Fu questo lo scenario che apparve agli occhi di Agelada e di suo padre, esploratore di corte, durante il viaggio d’esplorazione del sottosuolo ordinato dal re. Scoprirono che progettavano di trasformare ogni Mikenes in mostro, primo fra tutti il principe Kerubinus. Agelada riuscì a scappare, ma non poté raggiungere il suo popolo … Solo andando verso la temuta superficie poteva salvarsi. Portò con sé una pietra registrata al laser con i piani dei malvagi.
“Una pietra registrata al laser?”
“Sicuro, un’antica tecnologia perduta … D’altronde, i vostri computer non hanno forse un cuore di selce?”
Il paragone non era dei più azzeccati, ma Kenzo doveva rimanere concentrato sul problema e non perdersi in curiosità scientifiche.
“Pietra che grazie alle conoscenze degli Etruschi, mio nonno e le sue sorelle riuscirono a decifrare. Ecco perché so cosa va fatto.”
“Tu sai cosa va fatto, l’antica regina di un regno ormai scomparso sapeva il nome di chi avrebbe sconfitto quest’antica minaccia che si prepara … Già che hai una risposta per tutto, trovamelo tu il pilota!”
“Kenzo, hai visto i bambini che erano con me?”
“Sì.” Rispose asciutto, accompagnando la risposta con un gesto infastidito. Si sentiva a disagio, impotente. Si servì ancora di sakè senza offrirmene.
Ignorai quel gesto.
“Si chiamano Jun Hono e … Tetsuya Tsuruji.”
La faccia sbalordita del mio pupillo di un tempo era indescrivibile. Guardai la bottiglia di sakè e questa, sempre galleggiando nell’aria, riempì il mio bicchiere, vuotandosi del tutto.
“ Sanno tutto quello che sapevi tu da bambino. Il resto lo lascio a te.”
Sorseggiai il mio sakè, ignorando la sua evidente soddisfazione.

Per Hiroshi la mia storia era una bella favola, che ascoltava volentieri dal letto dell’infermeria, accanto a Miwa, mangiando la frutta.
“Dove eravamo rimasti? Ah sì, il prozio Agelada … Di lui vi ho già parlato … Bene, procediamo …
La meta finale imposta dal nostro patriarca e dalla sua sposa generazioni prima, era la magia delle tribù celtiche. I Celti erano maestri nella magia delle vie segrete dell’acqua, soprattutto i Boi, i Gesati, gli Insubri e i Taurini.
A quest’ultima tribù apparteneva la sacerdotessa che mio padre prese in moglie.
Mio padre, prima che un mago, era soprattutto un cittadino romano e orgoglioso di esserlo. Sapeva che Roma non sarebbe diventata eterna con le sue sole forze. E sapeva che dall’altra parte del mondo esisteva un popolo in grado di forgiare spade invincibili, che gli avevano procurato un vasto impero: Yamatai.
E grazie alla veggenza, sapeva che la Grande Regina Sciamana, sua sovrana, non avrebbe mai ceduto il segreto della lega di quelle spade, a meno che …
Prima ancora della mia nascita, egli tramite amici sparsi su vasti territori fece giungere all’orecchio della Grande Regina che nei territori di Roma, il cittadino Tiberius Quintilius Eulogius stava per divenire padre di una maga dagli straordinari poteri, discendente da stirpe di maghi. La Regina s’incuriosì, e fece pervenire a mio padre le congratulazioni di rito, unite a una domanda innocente: quale fosse il mio nome. Tenebrae, fu l’immediata risposta, unita a previsioni per il futuro così esatte, che in capo a due anni la regina, che nel frattempo era divenuta madre di due gemelli, Himika, l’erede al trono e suo fratello, chiese formalmente la mia mano per il principe.
Mio padre accettò, ci fu la consegna della dote, che era degna di un’imperatrice, e quando il tempo fu giunto, mi preparai alla prova: raggiungere Yamatai in quello che oggi chiamate tempo reale.
I Celti avevano appreso dall’antico popolo dei Túatha Dé Danann il modo per spostarsi in pochissimo tempo da un luogo all’altro, fosse pure dall’altra parte del mondo.
Io e la mia famiglia ci recammo a uno stagno, e aspettammo che il principe seguisse le istruzioni che gli avevamo fornito. Infatti poco dopo dall’acqua emerse una mano che teneva stretto un cilindro d’argento a prova d’acqua. Andai a prenderlo, mio padre controllò il contenuto e fece un cenno d’assenso. A questo punto immagazzinai aria nei polmoni, strinsi quella mano nella mia e m’immersi … Pochi istanti dopo emergevo in uno stagno identico in questo paese, tenuta per mano dal mio futuro sposo e re, ed ero presentata alla corte.
Ma qualcuno non era felice di vedermi … La principessa Himika.”
“Perché?”chiese Hiroshi.
“Perché ero una maga anch’io. Ma ora, giovanotto, io e Miwa dobbiamo andarcene e tu devi fare i compiti … Sempre che tu voglia venire alla caletta, domani …”

Hiroshi posò la ciotola sul comodino, e aprì, di malavoglia, un libro.

Miwa fece per uscire dalla base. Lei credeva a quanto Tenebrae raccontava. Era davvero una maga. E non capiva come Hiroshi potesse considerare il suo racconto una favola.
“Aspetta, Miwa. C’è una cosa che voglio dirti”
Pensò che volesse sgridarla per i modi bruschi che aveva avuto con lei all’inizio. Ora si fidava, ma non sapeva come dirglielo … Avvilita, alzò lo sguardo. Lo sguardo di Tenebrae era dolce e le strinse le spalle con le mani.
“Una parte della storia che Hiroshi non capirebbe … Sai come sono fatti i ragazzi, no?
Un segreto tutto per lei … Miwa sorrise.

La panchina di un parco era il luogo migliore dove raccontare a Miwa qualcosa che avrebbe dovuto ricordare, per salvare in futuro molte vite.
“Ascolta Miwa … So perfettamente che Hiroshi considera il mio racconto come una bella storia, ma non mi crede. Per questo devo affidarti un compito e raccontarti un piccolo segreto. Sei pronta?”
“Sì!”
Miwa non era mai stata tanto felice. La trattavo da grande …
“Il compito, lo avrai già capito, è quello di vegliare su Hiroshi, perché lui dimenticherà presto quello che vi ho detto. Tuttavia ci sarà un momento in cui capirà che era tutto vero, e tu dovrai essere al suo fianco. Te la senti?”
“Certo!” rispose con entusiasmo.
“Ed ora, il nostro piccolo segreto: avrai letto nei libri di fiabe storie di principesse e principi. Peccato che, nella mia epoca, le cose non andassero per nulla com’è scritto nei libri. Le principesse erano solo doni diplomatici, che i padri usavano per tenere buoni i re che premevano contro i loro confini, o controllare potenziali alleati, o guadagnare il favore di qualche monarca più potente …”
L’attenzione della ragazzina era massima.
“… Io stessa ero un dono diplomatico. Ed ero una delle poche fortunate. Il principe era di bell’aspetto e quasi mio coetaneo, ma la maggior parte delle principesse era maritata a uomini vecchi e maligni, o rozzi e violenti …
C’era solo una principessa immune dalla nostra sorte. Himika di Yamatai. Era l’erede al trono di un paese dove erano le donne a regnare, quindi poteva decidere il suo destino.
Purtroppo Himika era avida di potere, di un’avidità senza fine. Per questo si era unita al male in un saldo vincolo. Non era stata né necessità, né obbligo ma scelta. Non dimenticarlo mai”
“Tenebrae-sama …”
“Sì, Miwa?”
“Mi scusi, ma la storia del nostro paese non parla di …”.
“Di una regina straniera, i cui occhi non sono allungati? Certo che no. Ci sono molte cose di cui la storia non parla. E sono le cose più importanti. Ma tu sei attenta, quindi so di poter contare su di te.”
Gli occhi della ragazzina splendevano come stelle, quando mi strinse forte le mani ed esclamò entusiasta:
“Non la deluderò!”
Sorrisi e le feci una carezza.

Il giorno dopo, in una caletta fuori mano, Hiroshi e Miwa sguazzavano in mare sotto l’occhio vigile del dottor Dairi.
“Perché Hiroshi, Tenebrae?”
“Perché la Somma Sciamana, madre della Grande Regina, aveva predetto che un eroe di nome Hiroshi avrebbe salvato il mondo da una delle ombre del Male.
“Tuttavia … Non credo si parlasse di mio figlio.”
“No, Senjiro, non si parlava di Hiroshi. Almeno non nella mia epoca … La profezia riguardava il gemello di Himika, il principe Hiroshi.”
“Vostro … vostro marito?!”
La mente gioca strani scherzi a volte. I ricordi non muoiono, e il passato è un eterno presente …
“Sai fare di meglio, Tene-chan?” Posso ancora sentire la sua voce sussurrare, le labbra quasi contro l’orecchio …
“Tenebrae...”
“Mi scusi, Senjiro. Sì, mio marito. Proprio a lui era rivolta in origine la profezia.
La notte dopo il mio arrivo, il servo di fiducia del principe venne a svegliarmi. Mi portò dal suo padrone che mi aspettava accanto a tre cavalli sellati. Partimmo in silenzio e arrivammo all’alba al monastero, dove era sepolta la Somma Sciamana.
In quel luogo consacrato, il principe, dopo aver compiuto tutti i preparativi di rito, tirò fuori da un nascondiglio segreto l’occhio di Dana …”
“L’occhio di …?!”
“L’occhio di Dana. Un manufatto che in quest’epoca si definirebbe ‘tecnologico’, che per me proveniva dai Túatha Dé Danann, per Hiroshi dal Continente Mu, la cui funzione era individuare se una persona era soggiogata da forze maligne.
Sapevo come funzionava, lo posi senza paura sulla mia fronte e lo attivai, con grande sorpresa di Hiroshi. Non avevo nulla da temere dal suo giudizio.
Dopo questa prova, passammo ore a parlare di oggetti come quello provenienti da culture antiche, la cui funzione era contenere o debellare il male. Ci stupimmo del fatto che la maggior parte di essi erano noti a entrambi. L’unica spiegazione era che, in un passato lontano, i nostri popoli avessero affrontato un nemico comune da alleati.
Questo ci avvicinò enormemente, Hiroshi mi chiese di celebrare il matrimonio quella sera stessa, ed io accettai.
Alla cerimonia erano presenti il servo di fiducia del principe, il più fidato fra i cavalieri della Grande Regina, preoccupato e sollevato ad un tempo, convinto che le nostre nozze avrebbero messo tutto a posto. C’erano anche un giovane dignitario straniero e la sua sposa. Proveniva da una lontana regione del Giappone, ed era in missione diplomatica a Yamatai. Era un giovanotto dai modi bruschi e decisi, e potevo leggere nella sua mente una grande stima per Hiroshi, ed anche mio marito lo aveva in grande considerazione.
Non erano amici, ma sapevano di poter contare, al bisogno, l’uno sull’altro.
Le torrette ricavate nel muro di cinta del monastero fungevano da foresteria per gli ospiti di riguardo. Dopo la cerimonia venimmo condotti in quella di Levante …”
Sorrisi.
“Hiroshi ed io ci sfidammo ad una gara di magia. E devo dire che i suoi poteri erano pari ai miei, anzi, forse sapeva perfino padroneggiarli meglio. Dovevamo ricavare una ciotola con coperchio a perfetta tenuta da un sasso, e riuscii a vincere solo perché intarsiai il mio lavoro di argenteo chiarore lunare, in modo che risplendesse al buio. Quando lessi ammirazione nei suoi occhi, gli regalai la ciotola. Volevo essere speciale. Non per la gloria di Roma, com’era desiderio di mio padre. Né per le mie nozze mistiche con quella terra lontana tramite il suo principe, come auspicava mia madre. E neppure la sposa impostagli dalla ragione di stato. Volevo …”
La mia voce si spezzò … Volevo essere solo Tene-chan.
“… Mi scusi ancora. L’alba non era ancora sorta quando dei movimenti al mio fianco mi destarono. Hiroshi stava indossando un’armatura leggera, aiutato solo dalla magia. Quando gli chiesi dove stava andando, mi disse di tornare a dormire. Si recava a far visita a sua sorella, come da tradizione, per riferirle del nostro matrimonio. Sapevo che, se andava, non sarebbe più tornato. Gli afferrai le mani, supplicandolo di restare, o almeno permettermi di accompagnarlo. Mi proibì di farlo. I suoi cavalieri e il nobile Tetsuya erano più che sufficienti per scortarlo, disse con orgoglio. Io dovevo rimanere al monastero, dove le ancelle di sua madre mi avrebbero vestito come si conveniva al mio rango, e aspettare il suo ritorno … Così feci, e quando le ancelle ebbero finito, nei miei abiti intessuti d’oro e con gemme preziose nei capelli, sembravo davvero un’imperatrice …
Andai in giardino, e lì mi raggiunse la moglie del nobile Tetsuya, per farmi compagnia. La sua presenza rese sopportabile l’attesa, legammo immediatamente, e dopo mezz’ora chiacchieravamo fitto come vecchie amiche. Un gran trambusto ci interruppe … Tetsuya, ferito e coperto di sangue, chiedeva di parlarmi e non voleva essere fermato. Allontanò i monaci che volevano curarlo ed irruppe nel giardino, si prostrò ai miei piedi …”
Di nuovo i ricordi prendono il sopravvento … Vedo ancora quegli occhi colmi di dolore, e sento quell’altra voce …
“Perdono, mia signora!”
“… Sia paziente con me, Senjiro … Mi sono interrotta di nuovo. Tetsuya mi raccontò che erano caduti in un’imboscata, e che nonostante i suoi tentativi di proteggere Hiroshi … Egli era morto per mano di Himika. Lo ascoltai attentamente, poi gli ordinai di farsi curare dai monaci …
Qualcuno abbatté la pesante porta del monastero. Un uomo a cavallo, che disse di chiamarsi Ikima irruppe in quel luogo, ed entrò, sempre a cavallo, nel giardino interno. Come mi vide rise sguaiatamente, e mi gettò ai piedi un fagotto, per poi girarsi e fuggire … Nel fagotto c’era la ciotola che avevo creato e … La testa di Hiroshi.
Feci chiamare le ancelle e il plenipotenziario di mia suocera. Alle prime ordinai di procurarmi abiti maschili, al secondo di dirmi dove si trovava la sua signora. Appena vestita, mi tuffai nel piccolo stagno al centro del giardino e attraverso le vie segrete dell’acqua raggiunsi mia suocera. Era stata imprigionata in una statua di terracotta, ed era molto debole.
Himika sedeva trionfante sul trono.
Si sentiva sicura di sé, con la sua magia che aveva radici nell’essenza stessa del popolo Yamatai. La mia magia proveniva da molti popoli, io conoscevo i segreti dell’acqua e i misteri della terra.
La terra natale di Hiroshi ora vibrava in me, e mi accettava come sua regina. Hiroshi ed io ci eravamo riconosciuti l’uno nell’altra, quindi sposati, al di là della nostra nascita o provenienza.
Himika aveva reciso i legami più sacri. Per questo ora era ripudiata dalla terra stessa.
Combattemmo. Non fu una battaglia facile, usò ogni suo potere e ogni risorsa dell’ombra del Male che si era alleata con lei. Ma le forze naturali erano con me, ed io vinsi.
Decisi che sarebbe stata proprio la Terra, tradita da Himika, a decidere il suo destino. Pronunciai l’incantesimo etrusco che ne sospendeva l’immobilità.
La terra produsse onde fluide, e come un mare in tempesta, la roccia avviluppò Himika e tutti quelli che la ubbidivano, ed essi scomparvero. Io ripristinai l’immobilità della terra e posi un sigillo magico, affinché nessuno aprisse la sua prigione.
Ruppi l’incantesimo della statua e liberai mia suocera.
Affranta per l’accaduto, nonostante le mie cure amorevoli, morì due giorni dopo, nominandomi Grande Regina.
Regnai giusto il tempo necessario per trovare un successore che assicurasse felicità e prosperità al mio popolo.
Anche se il mio sigillo è potente, come ogni incantesimo di confinamento non è eterno. A breve si spezzerà, e Himika ed i suoi metteranno ancora a ferro e fuoco la terra.”

Ho predisposto tutto, ormai... posso tornare al monastero … Il luogo mistico che mi vide sposa, dove fui incoronata regina, dove abdicai per ritirarmi in una stanza segreta e cadere in catalessi … Sapendo che gli uomini di un lontano futuro avevano maggior bisogno di me dei miei contemporanei.

Qualcuno è qui …
“Tenebrae-sama … La prego, si svegli!”
“Eccomi …” rispondo telepaticamente a chi mi sta chiamando.
Mi metto a sedere sulla lastra di pietra che mi funge da giaciglio, apro gli occhi, e le mie iridi risplendono nell’ombra.
Di fronte a me ci sono due giovani donne, una con i capelli castani a caschetto tenuti lontani dal viso da un cerchietto per capelli piuttosto spesso, l’altra con la pelle scura e i capelli più lunghi.
Stanno per parlare, ma io alzo l’indice. E’ meglio che legga i loro pensieri, credo non ci sia tempo da perdere … In pochi secondi la situazione mi è chiara.
“Appena in tempo, ragazze … Non avevo dubbi, Jun, Miwa, che sareste diventate due giovani donne molto graziose.”
Le due arrossiscono al complimento.
“… E non temete … Jun, torna alla Regina delle Stelle … E tu, Miwa, al Big Shooter… E fate rotta verso le coordinate in questione. Avete due teste calde da recuperare.”
“Zia Tenebrae …”
Improvvisamente, una per lato, mi stringono in un abbraccio.
“Andrà tutto bene, ragazze … Ci vediamo là.” Sorrido, faccio loro una carezza e stringo forte le loro mani.
Poi recito una formula in latino e svanisco, per ricomparire nel giardino interno, e tuffarmi nel piccolo stagno.
Riemergo in un altro stagno vicino a due grandi robot, facilmente distinguibili l’uno dall’altro, nell’atto di sferrarsi a vicenda un pugno. Svanisco ancora.
Ricompaio fra i due, levitando all’altezza dei nasi robotici, ed esclamo:
“Notte iniziale!”
La mia voce rimbomba nell’aria carica di elettricità. Improvvisa cala una strana oscurità, filamentosa come miele, densa ma permeabile alla luce del sole che volge al tramonto. I pugni meccanici, rallentati da questa sostanza incorporea, perdono velocità, e finiscono per toccarsi semplicemente, con un clangore di ferraglia.
“Voi non siete nemici.”
“Tenebrae-sama! Fai attenzione quello è un mostro Haniwa!
“Non stare lì, Tenebrae-sama! Quello è un mostro mandato dal Generale Nero!”
“Guardate meglio, ragazzi …”
Posso vedere, attraverso le macchine, Hiroshi e Tetsuya concentrare lo sguardo … Bravi, così … Improvvisamente, sono sbigottiti … Bene … L’inganno ha perso il suo potere...
“Ma … Ma … Chi è quello, zia Tenebrae?” gridano all’unisono.
“Solo un altro giovane uomo che combatte una delle tante ombre del Male che cercano di conquistare la Terra dall’inizio del tempo.”
“Un’ombra del male?” chiede Hiroshi.
“Quante ce ne sono?” aggiunge Tetsuya.
“Dipende dalle forme che assumono, e dalla collaborazione che incontrano. Nel tuo caso, Hiroshi, la regina Himika decise di allearsi con il Male per avere potere su tutto, ed egli le mandò una sua ombra. Nel tuo caso, Tetsuya, i Mikenes erano così ossessionati dalla loro longevità straordinaria, che per il Male fu facile convincere alcuni di loro a compiere ogni mostruosità, per superare i loro limiti organici e divenire immortali, per poi diffonderli come una pestilenza su tutto il loro popolo. Quindi mandò loro una sua ombra.”
“Dove posso trovare queste ombre? Dimmelo!” Eccola, la tipica irruenza di Tetsuya …
“Esatto, così almeno le faccio fuori in una volta sola!” Ed ecco il gettarsi a testa bassa in ogni sfida, tipico di Hiroshi …
“Volete vederle? Stanno per arrivare … Provate a riconoscere il vostro vero antagonista …”
Rinforzo l’oscurità attorno ai robot dei ragazzi … Li proteggerà, qualsiasi cosa dovesse accadere.
Infatti, delle forme si stanno avvicinando … Posso sentire lo sguardo attento dei ragazzi … Improvvisamente sono di fronte a noi, uno si presenta come una fiamma con abbozzati rozzi tratti umani … Il secondo si presenta come un uomo dai tratti inumani e i capelli rossi, con un drago dagli occhi inquietanti su una spalla, attorcigliato attorno al corpo.
“Finalmente ti abbiamo fatto uscire allo scoperto, Tenebrae …” I due non parlano, ma dalle facce dei ragazzi capisco che possono sentire i loro pensieri …
L’uomo con il drago sulla spalla:
“Hai capito che c’ero io, dietro il tradimento di Himika, e l’hai ibernata nella roccia, perché non potessi più nutrirmi della sua magia …”.
Ora tocca alla creatura di fiamma:
“Hai spiegato al primo Tetsuya che i suoi sogni rivelavano il mio progetto di usare il suo popolo come avanguardia, ed egli ha ucciso il re di cui mi ero impadronito …”.
Continuano in un solo pensiero:
“… Sapevamo che se avessimo messo Hiroshi contro Tetsuya e viceversa, saresti uscita allo scoperto … Ora ci possiamo nutrire della tua magia …”.
Una risata maligna risuona nelle nostre teste.
“… Il tuo nome ci appartiene, Tenebrae … Sei un’energia oscura, quindi prosciugheremo ogni tuo potere, e poi lo useremo contro i tuoi pupilli …”.
Dicendo queste parole, allungano un arto verso gli spessi filamenti di buio che avvolgono Jeeg e il Grande Mazinga … Hiroshi e Tetsuya, loro malgrado, chiudono gli occhi, preparandosi al peggio …
Un urlo di dolore rimbomba nell’aria tutt’intorno. I ragazzi aprono gli occhi, e con grande stupore vedono la mano dell’Imperatore del Drago, e un fascio di fiamme dell’Imperatore delle Tenebre saldamente imprigionati dai filamenti, mentre i due si torcono per il dolore.
“Ci sono due tipi di oscurità, ragazzi …” gli comunico telepaticamente.
“L’oscurità del Male puro, che tutto annienta e distrugge e non fa parte della natura, di cui questi esseri non sono che un’ombra … E l’oscurità che appartiene al mondo naturale, quella degli anfratti della terra, del grembo materno, della notte che permette agli animali diurni di riposare e a quelli notturni di procurarsi il cibo. Elemento insostituibile dell’alternanza luce/buio che genera la vita.
Il Male credeva di prosciugarmi, per via del significato del mio nome, Oscurità Profonda … Ma questo è solo il nome con cui ero registrata negli annali della Provincia, il nome ufficiale … Il nome vero e proprio, noto solo alla gens Quintilia, con cui sono venuta al mondo è Nox Tenebrarum … Ossia Notte di Tenebre.”
Il drago sibilò tutta la sua collera, l’uomo e la creatura di fiamma proruppero in un’inumana esclamazione di dispetto … E tentarono con maggior foga di liberarsi, ed io di trattenerli …
Lo stupore spaesato nelle menti di Hiroshi e Tetsuya richiedeva altre risposte.
“Il contatto fra i due tipi di oscurità segue le leggi fisiche universali. Come contrapporre positivo e negativo. Ci annulliamo a vicenda.”
Non avrei potuto trattenerli ancora per molto, infatti, dopo pochi secondi si liberarono … Ma erano abbastanza debilitati, quindi svanirono, non prima di avere lanciato all’indirizzo di Jeeg e del Grande Mazinga ogni minaccia possibile.
Da est stava arrivando Himika e da ovest il Generale Nero con gli eserciti schierati. Come mi videro fluttuare nell’aria fra i due robot, ancora avvolti dai filamenti di oscurità, ritennero opportuno rinunciare allo scontro, e ripiegarono da dove erano venuti. Per fortuna, la mia energia stava svanendo … Jeeg e Grande Mazinga erano liberi, ed io iniziavo a precipitare verso il suolo. Persi i sensi.
Un rumore metallico mi svegliò. I due robot avevano accostato i palmi delle mani per fermare la mia caduta. Svenni di nuovo.
“Zia Tenebrae!” Le voci e un forte dolore alle mani mi destarono. Jun, Miwa, Hiroshi e Tetsuya erano intorno a me, le ragazze mi chiamavano, mentre i ragazzi stringevano le mie mani. Come incominciai ad aprire gli occhi, l’uno e l’altro strinsero spasmodicamente la mia mano con la loro, quasi a spezzarmela. Non potei fare a meno di osservare che la mano di Hiroshi e quella di Tetsuya ora avvolgevano completamente la mia. Erano adulti, ormai.
“Il resto lo lascio a voi, ragazzi”, dissi. “Sono fiera di voi. Siete, tutti e quattro, i miei allievi prediletti. E’ stato un onore attraversare i secoli per incontrarvi.”
Improvvisamente, Hiroshi e Tetsuya lasciarono le mie mani, Jun e Miwa si asciugarono gli occhi.
“Non ti deluderemo” disse Hiroshi.
“Faremo buon uso dei tuoi insegnamenti” aggiunse Tetsuya.
Sentivo la loro disperazione nel perdermi, quindi raccolsi tutte le mie energie per un incantesimo quasi impossibile.
“Sono la vostra precettrice, e veglierò sempre su di voi. Ma per farlo devo rinunciare alla forma umana. Cercatemi nelle notti stellate e senza luna, perché io sono la notte.”.
Il mio corpo divenne una macchia d’oscurità filamentosa, e negli ultimi raggi del sole, mi sollevai verso la parte più scura del cielo fondendomi in esso.


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Grande Blu
view post Posted on 6/10/2009, 19:30     +1   -1




Il simbolo nascosto

Dedicato a tutti gli utenti del forum

Prefazione
In questo mio racconto ho cercato di far coincidere il più possibile la narrazione con l’azione dell’anime Kotetsushin Jeeg.
Inserire una linea narrativa che proceda parallelamente e in perfetto accordo con una rappresentazione visiva, soprattutto con i tempi veloci di un anime, non è cosa semplice.
Una vera sfida, proprio quello che faceva per me. L’unica possibilità di successo era sfruttare i silenzi, le cose non dette, o dette solo in parte … E devo dire che di queste occasioni l’anime ne offre parecchie, quindi me lo sono riguardato per benino.
Spero di essere riuscita a far coincidere esattamente racconto e anime in qualcosa di organico e bello a leggersi.
Ringrazio Al_Hard per avermi fornito un prezioso dettaglio.

Introduzione

Questo racconto trae il suo spunto principale da un sondaggio iniziato da Char 70 sul forum … Quale compagna si vedeva meglio al fianco di Hiroshi? Miwa o Flora?
Ho partecipato al sondaggio … Ho votato Miwa. Tuttavia spiegare i motivi, diventava complicato. Ho deciso quindi di spiegarli narrando, in modo da portare tutti voi in “qualcosa” che ho intuito fra le scene dell’anime classico … E questo qualcosa si ripercuote anche sulla nuova serie.
In conclusione non mi resta che mostrare anche a voi i punti chiave della mia tesi.
Se io abbia o no preso un abbaglio, lo direte alla fine. Preparatevi, però, a sobbalzare sulle sedie.
Colei che vi condurrà nei misteri del simbolo nascosto è un mio personaggio che credo oramai conosciate, perlomeno chi ha letto il mio racconto per il contest sul trentennale di Jeeg e Grande Mazinga … La principessa Nox Tenebrarum, già nota come Tenebrae, romana di nascita ma giapponese per matrimonio e per affetti. Amore verso quello che potremo definire il “gemello buono” di Himika e l’affetto di una maestra verso Hiroshi Shiba, Miwa, Tsubaki e Kenji, i suoi pupilli prediletti.
A lei affido il compito di aiutarvi a dipanare un piccolo mistero che il maestro Nagai ha celato nei presupposti del suo Shin Jeeg.
Grande Blu (Vanna)

Il simbolo nascosto

“Nox-sama!”
Il richiamo mentale della ragazza era un grido, mentre sospesa a mezz’aria, era preda del rito di Himika.
“Sono qui, bambina …” La voce, proveniente dal buio, tenuto lontano dall’altare solo dal fuoco del cratere, era calma e carezzevole.
Tsubaki Tamashiro si sentì sollevata, mentre l’energia oscura l’avviluppava insieme alla sfera sotto il suo corpo, fonte del malvagio potere, durante il rituale della regina Himika … Tutto questo doveva accadere, già lo sapeva, ma la presenza della sua mentore Nox Tenebrarum nel buio circostante l’aiutava a non avere paura.
Tuttavia, quando striature nere comparvero sulla sua pelle, convogliando il suo arcano potere verso Himika, si sentì gelare.
“E’ proprio necessario, nonna Nox?”
“E’ indispensabile, cara. Himika deve essere completamente aperta al tuo potere, perché il contro rito sia efficace.”.


“Nonnina, non deludermi” Kenji Kusanagi borbottava fra sé e sé queste parole nella fase più dura della battaglia, quando Jeeg era semi distrutto sotto il piede dello spirito Haniwa Banshoragu.
“Sono qui, Kenji” la voce del buio risuonò nella sua mente “Tu vincerai!”
Vibrazioni di potere fluirono dal buio verso di lui, invisibili agli occhi di Ikima.
Rincuorato dalle parole e pervaso da questo potere rigenerante, Kenji iniziò a urlare che avrebbe salvato Tsubaki anche a costo della propria vita, e la campana di bronzo vibrò la nota di luce.
Jeeg e il dio bestia Baruba si unirono.
Kenji padroneggiò perfettamente i nuovi poteri che l’unione conferiva a Baruba e a lui. La sua mentore Nox Tenebrarum era in ogni ombra, pronta a sostenerlo, e il ragazzo si sentiva invincibile.
Sconfitto il nemico, sempre guidato dalla voce del buio, Kenji irruppe nella sala del rito. Comparve proprio sopra all’altare e a Tsubaki, trovandosi alla presenza di Himika.
“Non opporti, lascia che Himika creda di avere il controllo. E tu Kenji, bada a cadere bene dalla moto. Lasciate che si senta onnipotente.” Se non fosse stato per queste parole, Tsubaki avrebbe rivelato di essere ancora cosciente, opponendosi alla volontà ostile di Himika, che voleva estrarre con ogni mezzo la campana di bronzo dalla moto Raikoba.
“Coraggio, piccola, ora è il momento.”
Il contro rito doveva essere contemporaneo alla prima azione ordinata dalla perfida regina, e né un gesto, né un’esitazione doveva rivelare l’inganno.
Obbedendo alla volontà di Himika, Tsubaki sollevò una mano, la tese verso Kenji e lo colpì. Kenji cadde come un vero stuntman, e fece una smorfia di dolore che avrebbe meritato l’Oscar.
Nella frazione di secondo in cui abbassava la mano, la ragazza si concentrò … Improvvisamente, ignorato da tutti, sulla sua mano comparve un simbolo Kanji: 血. Sembrava che il sangue, richiamato alla mano, stesse disegnando questo segno sotto la pelle.
Ebbe la visione di un giovane uomo, sconosciuto ma familiare, sulla sua mano si formava lo stesso simbolo. Himika, senza accorgersi di nulla, tese la mano verso la testa del primo Jeeg, estrasse la campana, e l’uomo si afflosciò a terra come un pupazzo.
“Ora recita l’incantesimo latino che ti ho insegnato.” La voce di Nox era più dolce del solito.
Tsubaki pronunciò mentalmente le parole che aveva imparato a memoria, senza comprenderle.
“Sanguis sanguinis mei!”
In quel preciso istante sentì che Hiroshi Shiba era ancora vivo.
Kenji visse l’intervento di Kyo e la sua metamorfosi nell’alieno Takeru che era sempre stato come in un sogno … aveva promesso, anni prima, a nonna Nox di mai lasciar trapelare che conosceva la verità.
Quindi, doveva sembrare stupito …
“Coraggio, i rinforzi non sono lontani.” Il ragazzo si sentiva inerme, ma una promessa era una promessa, doveva fingere di essere sorpreso.
Le Build Angels, irrompendo con le moto nella base nemica, diedero modo a Kenji di portare Tsubaki e Hiroshi in salvo, come aveva promesso a Kyo, e rifugiarsi nella Build base, di cui funzionava solo la sezione sotterranea, in seguito all’ultimo attacco.
Al vedere Hiroshi, Miwa sbiancò. E non solo per la preoccupazione. Il professor Shiba, con uno sguardo indecifrabile, le disse che si sarebbe occupato di lui.
Tsubaki era priva di conoscenza, e fu portata in infermeria.
“Ora rimarrai incapace di muoverti per un po’. Non aver paura. Durante questo tempo io ti curerò, e risponderò a ogni tua domanda. Ora dormi.” Tsubaki non voleva dormire, aveva troppe domande, ma non riusciva a rimanere sveglia …
Durante la notte la sua mente tornò vigile. Il buio che la avvolgeva era morbido e pastoso come melassa, e sentiva che la stava guarendo.
“Nox Tenebrarum-sama …” La domanda ricorrente nel cervello della ragazza era proprio quella che non osava fare.
“Vuoi sapere cosa significano le parole che hai pronunciato?”
“Sì.”
“Tradotta dal latino la frase sarebbe … Sangue del mio sangue.”
“Sangue del mio sangue … sangue del mio sangue!”
La mente di Tsubaki formulò un’ipotesi, un’ipotesi impossibile.
“Che cosa significa?”
“Esattamente quello che è.”
“Cosa? … come? … Non ci credo …”
“Ora rimani immobile, forse potrai saperne di più. Arriva qualcuno.”
La porta dell’infermeria si aprì. Qualcuno entrò, senza accendere la luce.
Improvvisamente, un bisbiglio irritato, simile al ringhio di una belva ruppe il silenzio.
“Non ne avevi il diritto, strega inumana!”
La voce, secca e roca fino al punto di essere irriconoscibile, era quella di una Miwa furibonda.
“Lo sai bene che per vincere occorrono entrambi.”
“Hai usato l’incantesimo che unisce i consanguinei, vero? Non negare, ci conosciamo da molto tempo, so bene come agisci! E ora, cosa farai? Lo dirai a Tsubaki?”
“Sì. La piccola è confusa, specialmente ora, dopo il rito di Himika. In questo modo capirà che i suoi poteri non sono solo frutto di una cosmica casualità. Era geneticamente predisposta, per via di suo nonno Hiroshi a essere prescelta!”.
La voce di Miwa si spezzò. “Mi odierà … Ne parlerà con Kenji, e Kenji non sa tenere la bocca chiusa … E alla fine mi odieranno tutti.”
“Ma no … Io credo che i ragazzi capiranno, invece. A proposito di tutti … Miwa cara, credi davvero che all’epoca nessuno se ne fosse accorto?”.
“Io sono stata prudente. E so che Hiroshi non ha detto nulla”.
“Non parlo di quello … Asciugati gli occhi, su …” Miwa sentì un filamento di buio carezzarle il volto, asciugandole le lacrime.
“Miwa, tesoro … all’epoca anche un cieco si sarebbe accorto che Hiroshi non ti era indifferente. Bastava vedere l’abito che indossavi. Avrebbe dovuto essere un’uniforme da pilota, ma sembrava fatto apposta per avvolgere discretamente le tue forme. Per non parlare della gonna …
“La minigonna era di moda!” commentò Miwa stizzita.
“Certo, ma dubito molto che tutte le ragazze la trattassero come fosse un paio di pantaloni …”.
“Che cosa vorresti dire?” La voce di Miwa era acida.
“Voglio dire che facevi ogni sorta movimenti con indosso quell’abituccio, senza preoccuparti che la gonna si sollevasse e mostrasse più del dovuto … segno inconfondibile che speravi di attirare l’attenzione di qualcuno, qualcuno che evidentemente era distratto o faceva il distratto.”
Miwa si afflosciò contro la parete, provocando un rumore sordo.
“Non temere, nessuno ti giudicò allora, e nessuno ti giudicherà oggi. Anzi, tutti finalmente comprenderanno tante cose …
“Flora era appena morta. Hiroshi era abbattuto, ed io ero arrabbiata. Arrabbiata con lui, perché soffriva per lei, perché non aveva mai capito niente di me … e arrabbiata con me stessa, perché non avrei dovuto nemmeno pensare a lui nel modo in cui lo pensavo, ero solo la ragazza dei componenti e dovevo stare al mio posto!
Decisi di prendermela con lui, volevo schiaffeggiarlo, tirargli un pugno, colpirlo in qualche modo, forse mi sarei sentita meglio. Quindi caricai quel colpo di tutta la mia forza e la mia rabbia.
Mi bloccò prima che andassi a segno, costringendomi ad abbassare il braccio. Non mi ero mai resa conto della sua forza, fino a quel momento … poi …”.
Miwa tacque reprimendo un singhiozzo. Poi continuò.
“Cercai di cancellare quanto era accaduto, comportandomi come sempre.”
“Ma un pensiero ti ha sempre tormentata, vero? In fondo sei convinta che tutto sia successo perché Flora era morta, altrimenti non avresti avuto possibilità. Forse avresti dovuto chiedergli se davvero eri un rimpiazzo di Flora, per lui. O se invece non ci fosse dell’altro. Ma avevi troppa paura della risposta, poco importa quale fosse.”.
“Non volevo la sua pietà”
Il buio fu scosso da una risatina.
“Mia cara, ne dubito … La bella ragazza che eri in gioventù sono certa ispirasse a qualsiasi uomo sentimenti vari … ma certo non la pietà.”
Miwa m’ignorò e prosegui.
“Scoprii di essere incinta mentre lui era nella zona sigillata. Quando Tamashiro mi chiese di sposarlo, accettai. Così riuscii a proteggere il mio segreto. Mi spiace aver mentito a quell’uomo”
“Tamashiro aveva un debito di gratitudine con Jeeg, perché gli aveva salvato la vita. Sapeva perfettamente di non poter avere figli, quindi pensò di sdebitarsi allevando il figlio del suo salvatore come proprio.”.
“Lui sapeva …” sussurrò Miwa.
“Ti era grato per l’affetto che gli davi, anche se sapeva di non essere l’amore della tua vita, ma questo non era importante. Importante era la serenità che avevi portato nel suo quotidiano, un figlio, in cui ormai non sperava più e l’opportunità di ricambiare il servigio reso.”.
Miwa si alzò, appoggiandosi la parete che emetteva un rumore sordo a ogni suo tocco.
“Mi sono sempre chiesta … Hiroshi è un cyborg … come?...”
“La campana di bronzo che Hiroshi aveva impiantata nel petto gli conferiva il potere di trasformare interamente il suo corpo in metallo. Allora egli era un cyborg o, se preferisci, un mutante di metallo. Ma le cose cambiavano di molto se il potere non era attivato.”
“Spi … spiegati me … meglio” Un nuovo tonfo alla parete rivelò che Miwa si stava preparando alla mia risposta. Probabilmente cercava un punto d’appoggio.
“Se il potere non era attivato, e specialmente per quel che riguarda la sfera intima … egli era un uomo di carne e sangue come ogni altro.”
Tsubaki arrossì nel buio.
Il rumore sordo rivelò che Miwa si aggrappava a uno spigolo della parete, ma poi cedette e un lungo fruscio ci informò che si era lasciata scivolare a terra.
“Si trova sulla spiaggia, ora. Vai a raggiungerlo, e non avere paura che veda il tuo volto. Fidati di lui e tutto andrà bene.”
“No,” rispose un singhiozzo rabbioso.
“Miwa, non potrai evitare le sue domande. Hiroshi non è stupido, e se non gliene parlerai, sarà lui ad affrontare direttamente l’argomento. Senza preoccuparsi di chi c’è ad ascoltare. Se gli parli ora, avrai la calma e la riservatezza necessarie a una questione così delicata.”
Finalmente i rumori rivelarono che Miwa si era alzata, questa volta senza cercare appiglio.
La porta si riaprì e Miwa, lanciata un’ultima occhiata a Tsubaki, si allontanò.
“Nonnina …” I pensieri di Tsubaki erano confusi.
“Andrà tutto bene. Il legame fra loro esiste, ma loro stessi a volte hanno finto che non ci fosse. È molto forte e tenace come pochi.”. con un filamento di buio carezzai i lunghi capelli corvini della ragazza.
“Allora è per questo che …”
“Esatto. Questo è il motivo del tuo mistico legame con le campane di bronzo, il perché hai percepito dove era la campana, quindi tuo nonno, toccando una gamba di Jeeg. I tuoi poteri ti hanno fatto sentire Kenji quando era in pericolo, così come hai potuto salvare la vita a tuo nonno Hiroshi. Tu puoi sintonizzare le campane di bronzo e farle agire come una sola.”
“Ma adesso il nonno saprà tutto, e Kenji …”
“Se posso permettermi, bambina, ti consiglio di non sottovalutare mai tuo nonno o Kenji . Fidati di più di loro. Se diventano metallo, o si rivestono d’acciaio, non vuol dire che abbiano d’acciaio anche il cuore. Dormi ora, devo completare la tua guarigione entro la mattina di domani.”
“Perché?”
“Perché devi trovarti sulla spiaggia al tramonto. Tu e Kenji dovete parlare.”
I ragazzi parlarono infatti … E il Build Shuttle partì per la Luna, dove Tsubaki ,di cui avevo ripristinato i poteri, aveva percepito trovarsi Himika.
I ragazzi affrontarono Himika all’interno del mondo spirituale creato dalla Grande Campana di bronzo, cuore della Langun …
Un mondo che Himika aveva riempito d’oscurità, facilitandomi il compito … ero ovunque. Ma Tsubaki e Kenji non riuscivano a capire come utilizzare l’insegnamento di Kyo.
Ma ancora una volta, la superbia di Himika fu provvidenziale.
Come accennò, minacciando stizzita i ragazzi, al fatto che essi non conoscevano neppure il significato della campana di bronzo, dissi a Tsubaki e Kenji telepaticamente.
“Amate, e accettate l’amore altrui.”
Tsubaki capì il messaggio ed anche il potere cui era geneticamente predisposta, quello di dare forma tangibile alle emozioni. Quando disse a Himika che le emozioni non erano solo negative, ormai era chiaro anche a Kenji cosa andava fatto. Per i due ragazzi fu semplicissimo ripristinare le campane di bronzo, nel modo spiegato da Kyo … Ma erano campane il cui ritorno dalla macchina aliena passava per il mio buio … E una buona maestra ha sempre un pensierino speciale per i suoi allievi prediletti …
Come evocate le campane di bronzo scomparvero, per tornare nella moto Raikoba e nel petto di Hiroshi.
Quando Hiroshi sentì di nuovo in sé la campana di bronzo, sentì anche la mia voce nella sua mente:
“Non è la campana che ti è stata sottratta, Hiroshi …”
“Nox Tenebrarum-sama …”
“Non solo è tornata al suo pieno potere, ma le ho anche fornito nuove capacità … Ora non solo puoi combattere in forma umanoide, come un tempo, ma non temi più nulla … solo il calore di un sole, la pressione di una stella a neutroni e il campo d’attrazione di un buco nero potrebbero danneggiarti.”
“Allora posso trasformarmi di nuovo in cyborg”.
“In un super cyborg, ragazzo mio …”
Tsubaki e Kenji raggiunsero Hiroshi in quell’istante.
Questa certezza permise a Hiroshi di aprire la calotta del Big Shooter nel vuoto dello spazio e rispondere a Kenji, che gli faceva notare la mancanza di aria, di non averne assolutamente bisogno …

La lotta proseguì, nella mega battaglia finale …
Tsubaki e Miwa prestavano assistenza a Kenji e Hiroshi al loro meglio … La ragazza percepì qualcosa di strano e mi chiamò
“Cos’è, Nox-sama?”
“La sensazione che hai avuto è l’avvicinarsi della negatività pura. L’odio senza quartiere.”
“Ma posso davvero percepirlo?”
“Certo, cara. La campana di bronzo era parte integrante dell’organismo di tuo nonno, quindi anche il suo potere è diventato parte di lui. E della sua discendenza, indipendentemente dalla campana stessa.”
Le Forze di difesa della Terra, con un contributo essenziale delle Build Angels, riuscirono finalmente a sbriciolare il guscio esterno della Langun, liberando alla vista di tutti la Grande Campana di Bronzo.

Himika sfoderò sul campo di battaglia il suo mostro plasmato in puro rancore, al quale Mimashi, Ikima e Amaso aggiunsero la loro essenza maligna.
Il fuoco dell’odio implacabile, che non aveva bisogno di aria o combustibile per bruciare, ma bastava a se stesso, distrusse la maggior parte dei veicoli delle Forze di Difesa. E contro le Forze di Difesa si accanì anche Himika con il potere della Campana. Intanto, i due Jeeg cercavano di avere ragione del mostro.
“Le vittorie nascono da dentro, piccola Tsubaki”, suggerii.
Tsubaki capì che solo interrompendo il flusso di energia proveniente dalla Campana potevano avere qualche speranza.
E si rese conto che per farlo avrebbe dovuto affrontare Himika sul suo terreno. Ignorando le parole di Kenji, puntò dritta alla Campana.
“Miwa, il fulmine colpirà Tsubaki se non le fai schermo con il tuo mezzo!”
Miwa si frappose, fu colpita, ma avevo reso solido il buio sotto il Big Shooter…. L’atterraggio fu un po’ brusco, ma ne uscì illesa.
“Sta bene, Tsubaki. Ora arrivano altre persone per aiutarti.”
Questa battaglia nel buio dello spazio mi permetteva di comunicare e agire a mio piacimento … Tranquillizzai anche Hiroshi con una visione di Miwa con qualche contusione, ma incolume.
Quando il soldato Mido, che era intervenuta con il capitano Yagu per fare da scudo, mentre il capitano faceva da guida tra i fulmini, fu colpita …
“Nox-sama!”
“Salva, guarda tu stessa!” Una corsia di solido buio stava conducendo Mido dolcemente sul suolo lunare.
Il capitano Yagu si schiantò contro il bordo della campana, ma oramai Tsubaki sapeva che l’avrei posata sulla Luna allo stesso modo, e proseguì dritta e concentrata.
Kenji vide esplodere il Big Shooter… e la credette morta.
Ululando liberò il suo potere, facendo vibrare la nota di luce, ma era una luce disperata e furibonda, che poteva attirare a sé solo emozioni dolorose e vendicative, trasformandosi in nota di tenebra. Il simbolo dell’oscura distruzione comparve sul petto di Kenji, cuore e parte integrante di un enorme mostro d’odio e disperazione.
Ma la nota di luce vibrò abbastanza a lungo per esser percepita da Baruba sulla terra.
Il Big Shooter non era esploso … solo la parte lancia-componenti si era staccata. Tramite il buio, che anche qui regnava sovrano, appoggiai dolcemente la navicella, aprii il tettuccio e resi Tsubaki partecipe della realtà che era racchiusa in quel luogo. Ora era parte della dimensione creata dalla Grande Campana e poteva interagire con essa.
Prima le feci vivere la battaglia antica fra Takeru, Miyazu e Himika, e l’eredità simbolica lasciata dai fratelli a Jeeg …
Una volta sveglia era ancor più convinta che fosse necessario porre una fine a tutto questo.
“Bene, te la senti di fronteggiare la tua nemica?”
“Sì,”
“Chiudi gli occhi, abbandonati al buio che ti circonda e desidera trovare Himika. Sarai di fronte a lei immediatamente.”
Era necessario che Tsubaki vedesse il dolore di Kenji.
Himika, che nulla sapeva della natura alieno-umana di Kenji, credette che la sua trasformazione fosse frutto della stupida debolezza umana …
Tsubaki fronteggiò Himika con grande coraggio, e mia cognata, che purtroppo aveva un talento per il melodramma e per addossare ad altri le proprie responsabilità, cercò di colpirla … ma ora la mia pupilla conosceva le regole di quel gioco.
Hiroshi cercò di fermare Kenji, ma egli non lo riconobbe e afferrò Jeeg con un tentacolo di fiamma, interruppe la coesione magnetica fra i componenti e lo gettò via come un giocattolo rotto.
Si accingeva a polverizzare la Luna … E la Terra subiva già inondazioni disastrose.
“Baruba! Segui la mia voce!” Creai un corridoio interspaziale fra la Luna e la Terra, solo per Baruba. Io e la fedele tigre sapevamo che anche se era veloce, ogni secondo era prezioso. E una corsia preferenziale per il campo di battaglia poteva aiutare.
Intanto mia cognata continuava a cercare di impressionare Tsubaki dimostrando che erano uguali, quindi ugualmente colpevoli, assorbendo l’essenza degli esseri umani che ancora combattevano. Poi, cercò di distruggerla.
Mentre la ragazza concentrava ogni sua energia sul campo di forza che la proteggeva dai colpi di Himika, invocò Kenji.
Ma Kenji non poteva intervenire, perso nella sua collera.
La tranquillizzai: “Concentrati e resisti. Al resto penso io.”
Comunicai telepaticamente con Hiroshi nella sua forma di cyborg.
“Devi aiutare Tsubaki, Hiroshi … E’ in pericolo, ma Kenji non riesce a sentirla e la disperazione aumenta l’odio, e con esso le dimensioni del mostro … lanciagli contro la tua campana di bronzo!”
“Ma senza campana morirò soffocato!”
“No, mio caro ragazzo … Non hai notato il buio dello spazio intorno a te? Il buio della natura, ricordi? Ti aiuterò io, permettendoti di respirare anche sulla Luna.”
Mentre Hiroshi estraeva la campana dal suo petto, lo circondai di una barriera di buio pregna d’ossigeno.
Lanciò la campana, colpendo Kenji sulla testa.
“Stai pronta, Tsubaki. Fra pochi secondi Kenji ti sentirà, parlagli.”
La nota di luce della seconda campana vibrò.
“Ora è il momento, mia allieva. Devi sintonizzare le due campane, in modo che emettano l’accordo di luce.”
“Come?”
“Il passato e il futuro, piccola. Le proprie radici e le proprie aspettative.”
Tsubaki fece risuonare la sua voce nella mente di Kenji, e armonizzò le due campane che emisero una luce mai vista, mentre una cometa sembrava raggiungere il campo di battaglia … era Baruba, pronto a unirsi a Jeeg. L’odio e il rancore furono allontanati e dispersi. Finalmente era comparso Kotetsushin Jeeg.
“Fai risuonare il tuo ruggito, Baruba, e riporta il ragazzo alla realtà”, suggerii alla tigre.
Kenji appena rinsavito e attaccato dal mostro, lo eliminò con facilità, e si lanciò all’interno della Grande Campana.
Nella dimensione della Campana di Bronzo, Tsubaki doveva affrontare una Himika sempre più furibonda per la resistenza della sua avversaria.
“Miyazu, aiutala!”. Feci vibrare il buio, e guidata dal coraggio della nostra giovane eroina, la donna apparve e aiutò la ragazza a sostenere la barriera. Tsubaki urlò il nome di Kenji.
Kenji la chiamò, giunse di fronte ad Himika nel suo aspetto umano e con il proprio potere respinse l’attacco.
E bravo il mio pupillo … Fu una splendida sorpresa quando urlò in faccia ad Himika che loro non erano soli e che lì c’erano persone che amavano ed erano amate.
“Proteggiti Kenji!” Lo avvertii.
“Ora ascoltami, ragazzo mio. Allunga il braccio e distendi la mano. Non temere, ti farò trovare un’arma.” Sempre proteggendosi, il ragazzo afferrò quello che sembrava un lampo, e con quello spense i fulmini di Himika.
Feci di nuovo vibrare il buio. “Takeru, ora sono pronti. E’ giunto il momento di passare il testimone!”.
Infatti, Takeru fece sentire la sua voce, rivelando ai ragazzi la loro eredità: cos’era quell’arma e a cosa serviva.
Brandendo la Spada dell’Anima, Kenji e Tsubaki ripeterono la procedura di sigillo del male, la stessa compiuta da Miyazu e Takeru tanto tempo prima.

Si aspettavano di finire sigillati, e di svanire per sempre nel lampo di luce che portava la Grande Campana di bronzo in un’ignota dimensione.
“Nonna Nox … “
“Sì, Kenji?”
“Mi hai sempre detto che … insomma, eri la cognata di quella strega di Himika, no? Com’è possibile …”
“Ora che avete capito il segreto della Campana, vi posso svelare anche quello della Langun. Quando la Langun si perse in uno spazio sconosciuto, non sapendo quali pericoli avrebbe incontrato sul suo cammino, incominciò a produrre esseri adatti a condizioni ostili come quelle dello spazio circostante.”.
“Produrre?” chiesero stupiti i ragazzi.
“Immaginate la Langun come un deposito di energia mentale e di cellule. Cellule da cui ricavare individui con caratteristiche uniche, intervenendo sul loro DNA, per fare in modo che fossero adatti a ogni tipo di condizioni atmosferiche, anche il vuoto dello spazio.
Non avendo un pianeta di riferimento, la Langun produceva esseri a casaccio, ma quando i suoi sensori percepirono la Terra, incominciò a produrre creature adatte alla vita su quel pianeta.
Purtroppo i globi di sviluppo degli embrioni erano tutti occupati ma Himika, essendo una femmina, era di corporatura più minuta rispetto a Mimashi, Ikima e Amaso … e le creature adatte alla vita sulla Terra erano di dimensioni ridotte rispetto agli abitanti della Langun … Himika e mio marito Hiroshi condivisero lo stesso globo di sviluppo, divenendo, di fatto, fratelli gemelli …
Volete conoscere mio marito? Tra l’altro ha trovato qualcosa che ti appartiene, Kenji …”.
Una figura avanzava, aveva tratti simili a quelli di Kyo, gli stessi occhi scuri ma i capelli biondi. Conduceva verso i giovani la Raikoba, sorridendo.
“Ora dovete andare, ragazzi. Lasciate questo compito a noi. Spetta a noi stringere l’elsa della Spada dell’Anima finché non giungeremo in una dimensione da cui Himika non potrà più tornare.”.
I ragazzi si voltarono, sorpresi. Per la prima volta a parlar loro era stata una voce umana. Una voce dolce dal lieve accento straniero.
Di fronte a loro c’era una giovane donna di media statura, dai capelli bruno rossicci che ricadevano in morbide onde, e gli occhi color del miele.
“E Baruba?” chiese Kenji.
“Non temere, ” rispose Hiroshi, mentre Baruba compariva dal nulla e andava a strofinare il testone contro di lui.
“Rimarrà con noi. Il suo compito era assisterti e farti entrare qui. Ora è un eroe che ha compiuto la missione.”. Continuò Hiroshi, carezzando l’animale che venne ad accucciarsi, compiendo un semicerchio, attorno a me, ai ragazzi e alla spada.
Dolcemente, io e Hiroshi togliemmo le loro mani dall’elsa, per impugnarla a nostra volta.
“Su, è tempo. Mettetevi i caschi e salite in moto! E tenetevi forte!” dissi loro.
Come furono pronti io e Hiroshi ci scambiammo un’occhiata e con un gesto della mano libera generammo il campo di luce e spingemmo fuori i ragazzi dalla dimensione della Grande Campana, che si richiuse definitivamente su se stessa.
Svanimmo con essa, nell’ultima stilla di luce …
“Non male, Tene-chan … Ho tutta l’eternità per ascoltare come sei riuscita a sbrogliare questo pasticcio … “.
 
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Grande Blu
view post Posted on 30/6/2010, 19:59     +1   -1




Gocciaghiaccio
di Grande Blu (Vanna)

Dedicato ad Aster, Isotta e tutte le mamme del forum

Introduzione

Shira e suo fratello, che hanno una breve apparizione nella serie, giusto il tempo di un episodio, sono i protagonisti di questo racconto … dall’infanzia all’età adulta, come pensarono di porre rimedio alla rovina del loro mondo, fino allo scontro di Shira con Grendizer e alla scelta che ne causò la morte, e quello che accadde dopo ….
Un ringraziamento a Isotta per il materiale.

Gocciaghiaccio

“Shiiira! Nooriiin!”
“Bambini, siate prudenti!”
Due piccole figure correvano velocissime in direzione opposta alla voce che li chiamava …
“Norin, il precettore … non vuoi dirgli, dove andiamo?”
“Già lo sa. Gliel’ho detto la volta scorsa. E sa anche che come scienziati, è nostro dovere esplorare.”. Per un istante, i modi e lo sguardo del bambino sembrarono già adulti. E poi, il precettore era un estraneo. Shira era tutto ciò che restava della sua famiglia, e tutto il suo clan.
“Non vuoi vedere cosa ho trovato?” disse il bimbo voltandosi verso la sorella, mostrando, nonostante la visiera della tuta protettiva, un gran sorriso e occhi splendenti come le gemme di peridoto più pregiate.
Solo a tre caste era permesso muoversi sulla superficie del pianeta: ai detenuti – impiegati nei lavori forzati - e ai loro sorveglianti, agli agronomi e agli scienziati. I due bambini appartenevano alla casta degli scienziati, come provava il triangolo blu con barra d’oro su un lato applicato alle tute.
Non era possibile affrontare senza le tute antiradiazioni l’atmosfera di Vega 1, unico pianeta in orbita attorno alla stella Vega, gigante bianca di grande luminosità. Non era possibile da più di cent’anni, ormai.
Eppure, c’era stato un periodo, almeno così raccontavano gli anziani, in cui Vega 1 poteva dirsi un mondo privilegiato, perché orbitava attorno ad una delta Scuti.
Il termine Delta Scuti definisce le stelle la cui luce varia in modo semi regolare durante l’anno, e spesso le variazioni erano di notevole intensità.
Questo aveva enormemente favorito lo sviluppo della civiltà veghiana, moltiplicando i raccolti contemporanei di ogni genere di vegetali, ottenuti con poca fatica.
Fino al giorno in cui i veghiani non si erano messi in testa di scoprire i segreti della “polvere-fuoco”.
Indagare su quel minerale era stato la rovina di Vega 1.
La polvere-fuoco era un minerale che si presentava come una polvere secca, rosso scarlatto, molto fine, che ogni refolo di vento poteva spargere in tutte le direzioni.
E questa era la sua caratteristica più pericolosa, perché bruciava qualsiasi cosa con cui entrasse in contatto, senza fiamma, carbonizzandola completamente.
Respirarlo, o toccarlo, significava fare una morte atroce.
I re di Vega 1 erano sempre stati ossessionati dalla polvere-fuoco, ma ormai da trecent’anni la famiglia reale dedicava ogni risorsa esclusivamente allo studio di questo misterioso e mortale minerale.
Finché non scoprirono un nuovo uso per il peridoto, che d’allora divenne noto come peridoto reale.
Il peridoto è una gemma verde pallido, diffusa in tutto l’universo … nella varietà meno pregiata è semitrasparente, lattiginosa o opaca … ma nella varietà più pregiata è di un verde tenue trasparente e cristallino.
Il peridoto di Vega 1 era il più resistente dell’universo, e poteva essere tagliato solo da un raggio laser.
Contenitori di peridoto permisero di trasportare e studiare la pericolosa polvere-fuoco, che si scoprì, essere molto duttile. Mescolata con un acido qualsiasi diventava stabile, poteva essere plasmato in qualsiasi forma, e bastavano un polo positivo e uno negativo per avere una batteria in grado di alimentare qualsiasi cosa per mille anni … a patto di non riscaldarlo, altrimenti esplodeva con una violenza tale da distruggere qualsiasi cosa nel raggio di cento chilometri sviluppando un milione di gradi di calore.
Questo fu l’inizio. Una svolta si ebbe quando s’incominciò ad abbinare la polvere- fuoco con l’acido solfidrico … I risultati furono sorprendenti.
Si fecero esperimenti, diluendo l’acido solfidrico in acqua, aggiungendo poi la polvere-fuoco alla soluzione … si formarono dei cristalli, che secondo la quantità di acido impiegato o di polvere-fuoco immessa erano perfettamente trasparenti come rubini, di varia forma, piatti, allungati, oppure semitrasparenti e riuniti in gruppi.
Quelli semitrasparenti avevano le stesse proprietà del minerale in forma plastica, che da quel momento fu noto come “Vegatron”, anche se non erano modellabili nella forma desiderata. In cambio, non esplodevano se riscaldati.
I trasparenti cristalli scarlatti, che ben presto furono prodotti in forma esagonale schiacciata come quella di un piatto, di vario spessore, in tutte le dimensioni, rivelarono un’altra caratteristica straordinaria. Oramai, l’uso del peridoto per contenere il vegatron plastico non era più necessario … si modellava nella forma voluta, poi un piccolo campo magnetico lo bloccava stabilmente in pratici ed economici contenitori di metallo di forma corrispondente … bastava porre su un lato del contenitore un disco di vegatron cristallino, e tramite due elettrodi conficcati nel panetto … far scoccare una scintilla, ed ecco che un raggio dalla potenza inaudita usciva dal lato del prisma cristallino.
Quel raggio poteva incenerire qualsiasi cosa fino a trecento chilometri di distanza, lasciando bruciature nero-scarlatte sul terreno, e un altissimo livello di radiazioni mortali.
Di questi effetti collaterali fecero presto le spese gli stessi veghiani. Gli esperimenti, serrati, innalzarono la temperatura del pianeta, e le radiazioni lo resero progressivamente un mondo fantasma, dove la vita scomparve del tutto.
Senza Eterna Vega, tutto sarebbe stato perduto. Eterna Vega era un laboratorio spaziale, dove si facevano esperimenti, principalmente di idroponica.
Da Eterna Vega si prese il modello per le stazioni spaziali che ben presto popolarono l’orbita di Vega 1, adibiti a vari scopi. I semi furono clonati, e questo risolse il problema delle sementi.
Le coltivazioni idroponiche non avevano avuto grande successo, tuttavia, nel diario di bordo della stazione originale fu recuperata la registrazione di una bonifica dalla contaminazione da vegatron effettuata sul terriccio. Era bastato metterlo in una capsula e porla in orbita attorno alla stella e lasciarlo esposto alla luce di Vega per sei giorni.
La variabilità luminosa della stella bonificava il terriccio dalla radioattività, e lo rendeva di nuovo coltivabile.
Stazioni spaziali computerizzate e addette alla coltivazione furono poste in orbita attorno a Vega. Il terriccio rimosso dal pianeta, che incominciava ad assumere una colorazione nero-rossastra sempre più evidente, era messo nelle terrazze, ed esposto alla luce della stella, poi coltivato.
I raccolti erano immediatamente trasformati in barrette nutritive e pillole alimentari, per favorirne la conservazione.
Nondimeno il terriccio, una volta persa la sua carica vitale, non era più coltivabile. E non c’era concime che potesse risolvere il problema … bisognava scendere su Vega 1 e procurarsi altro terriccio.
Indossando le tute protettive, squadre di agronomi scendevano sul pianeta, dove raccoglievano tutto il terriccio occorrente. Il terriccio esausto era usato per creare dighe, il cui compito era di raccogliere le colate laviche sempre più frequenti dal cuore del pianeta, con un alto livello di radiazioni allo stato naturale, ma una volta bonificate fonti di terriccio ad alta resa.
Ai due bambini cui le tute antiradiazioni erano diventate una seconda pelle, di lava e di terriccio non importava nulla. Sul mondo ormai spettrale c’era sempre qualcosa da scoprire.
“Ecco, guarda!” disse Norin all’improvviso, fermandosi e indicando qualcosa per terra.
Una sottile lastra bianca su una roccia piatta, nelle vicinanze di una bocca vulcanica. I due si avvicinarono.
“Avanti, toccalo!” disse il bimbo alla sorella.
Shira tentennò, ma quando era con Norin, non temeva nulla e nessuno, quindi toccò la lastra bianca.
Freddo … un freddo intenso … da quanto tempo non c’era più qualcosa di freddo su quel pianeta …
Un gorgoglio … i bimbi presi dalla loro scoperta non vi fecero caso … lentamente la lava incominciò a fuoriuscire dalla bocca vicino a loro …
“Attenti alla lava!” gridò una voce sconosciuta.
Norin e Shira alzarono gli occhi, la lava si rifletté nelle visiere delle loro tute … ed anche una misteriosa figura bianca.
“Andate al centro della lastra, piccoli, vi proteggerà”.
Era più facile a dirsi che a farsi, i bambini scivolarono un paio di volte sulla liscia superficie … ma alla fine arrivarono carponi al centro della lastra. La bocca eruttò, ma la lastra bianca, come attivata dal calore, s’inspessì fino a dieci metri e sparse intorno del pulviscolo scintillante, che rifletteva i bagliori della lava … il pulviscolo divenne un tornado, che salì alto verso il cielo.
Norin non seppe mai spiegare a se stesso o alla sorella cosa lo spinse a togliersi la tuta. Guardò in alto, e vide il cielo rosa salmone, come non lo aveva mai visto.
“Guarda Shira!” anche Shira si tolse la tuta. Il vento scompigliava loro i capelli, ed anche Shira vide il cielo rosa salmone … come appariva nelle videomemorie di storia.
Questo momento avrebbe cambiato per sempre le loro vite.
“Ora fareste meglio a indossare di nuovo le tute, piccoli. L’eruzione sta per finire.”
Improvvisamente la figura bianca era accanto a loro, e si resero conto che era una femmina.
Non seppero mai perché obbedirono prontamente agli ordini della sconosciuta.
L’eruzione finì, e il cielo sopra di loro divenne di nuovo nero.
La lastra fredda e scivolosa rimase, ma tutt’intorno era circondata da un muro di lava solidificata.
L’essere misterioso tese la mano aperta contro la parete di lava, questa si ricoprì immediatamente di uno strato simile al pulviscolo bianco. Poi chiuse la mano a pugno e la lava si frantumò, creando un varco.
Norin e Shira la guardarono con attenzione. Era più alta delle donne veghiane. Era completamente calva, la pelle scintillante come il pulviscolo che li aveva protetti dalla lava. Dalla vita in giù aveva una specie di coda, che si assottigliava verso il fondo e terminava con una forma triangolare rigida e sottile che appoggiava, di taglio, a terra. I due si chiesero come potesse tenerla in piedi quella strana struttura, ma sembrava perfettamente a suo agio.
Indossava una fascia composta di piccoli cristalli uniti fra loro all’altezza dei seni, e nient’altro.
“Non ti ho mai vista … chi sei?”
“E’ una lunga storia” disse la figura piegando, senza cadere, quella strana coda e chinandosi alla loro altezza, in modo da incrociare il loro sguardo. Fu in quel momento che videro che gli occhi erano privi di ciglia e sopracciglia, e perfino di iridi e pupille … ma non faceva paura.
“Voi sapete cos’è il multiverso?”
Shira fece cenno di no, ma Norin, serio, rispose.
“ È una teoria. Dice che il nostro non è il solo universo possibile, ma ci sono altri universi che condividono lo spazio del nostro, ma occupano un tempo diverso.”.
“Non è solo una teoria, e le cose non stanno esattamente come ti hanno insegnato. Lo spazio è come una torta con tanti strati, ognuno di un colore e sapore diverso. Vibrano a una frequenza diversa, quindi anche il tempo al loro interno è diverso … tuttavia, nel contatto fra i vari strati, proprio come per le torte, può succedere che un po’ del colore dell’uno passi allo strato successivo. In questi punti ci possono essere contatti fra universi differenti.”.
Detto questo, si rialzò.
“Tu vieni da un altro universo?” chiese Shira, guardando la sconosciuta dalla testa alla punta della coda con occhi spalancati.
“Non solo io, ma anche la sostanza bianca su cui vi trovate … infatti, non appartiene a questo pianeta …”.
“La sostanza che ci ha fatto togliere le tute e vedere rosa il cielo?” chiese Norin, sgranando gli occhi a sua volta.
“Sì”.
“E tu sei venuta per portarla via?” chiese Shira.
“Sì”.
Nella testa di Norin si formò immediatamente un’immagine. Pensò a quella sostanza bianca su tutto il pianeta, a soffocare i vulcani. E pensò di sentire ancora il vento sulla faccia, e giocare di nuovo sotto il cielo rosa.
“No!” si gettò contro l’essere per cacciarlo via. Credeva di farla cadere facilmente, data la sua instabile posizione, invece la creatura lo afferrò al volo e dolcemente lo sollevò prendendolo fra le braccia. Ponendo due dita sotto il suo mento, gli sollevò il viso, e lo guardò negli occhi sorridendo.
“Quello che vuoi fare ti fa onore, Norin, però capirai che non posso lasciare questo grosso lastrone qui in mezzo … ma sono certa che arriveremo a un accordo, vero?”
Norin non disse nulla, era troppo imbarazzato.
“Io! Io! Adesso tocca a me!”
Shira saltellava e si aggrappava all’extradimensionale. Questa pose giù Norin e sollevò Shira, facendola oscillare avanti e indietro, poi la strinse a sé.
“Allora ce lo lasci?”
“Tutto è troppo grande. Non lo potete portare sull’astronave … e se ve ne lasciassi un pezzetto?” disse fissando Norin negli occhi.
“Ma un pezzetto non basta!” replicò il bambino.
L’extradimensionale posò delicatamente Shira a terra. “E se ti dicessi che pochissimo gocciaghiaccio può crescere fino a congelare un intero pianeta?
“Gocciaghiaccio?” chiesero all’unisono i due bambini.
“E’ il nome di questa sostanza. Gocciaghiaccio. Ne basta una quantità minima per fare grandi cose.”.
“Come?” chiese Norin.
“Il come lo avete visto poco fa. Se vi applicherete e studierete il gocciaghiaccio, forse potrete salvare il vostro mondo.
Ora dovete andare, ragazzi.”
Con un cenno della mano, la donna fece sparire la quasi totalità della sostanza bianca. Poi prese dal terreno un sasso con sfumature verde chiaro e lo premette con le mani. Quando le aprì il sasso era diventato un cristallo di peridoto reale, cavo all’interno. Prese un po’ di gocciaghiaccio, riempì la gemma come avrebbe riempito una sfoglia e quando la consegnò ai bambini, con il biancore del gocciaghiaccio all’interno, sembrava un cristallo di peridoto di scarso valore.
“Se scruterete attentamente il cristallo per alcuni secondi, potrete vedermi e parlarmi, ” disse prima di svanire come era apparsa.

Crescendo, Norin e Shira si dimenticarono completamente dell’extradimensionale incontrata sul pianeta. Ma non si dimenticarono del gocciaghiaccio.
Anzi, Norin studiò con profitto e divenne un giovane ricercatore molto stimato.
Vega 1 era diventato un pianeta sull’orlo del collasso, poteva esplodere da un momento all’altro. Le eruzioni si succedevano senza sosta, e le radiazioni erano così alte, che si era reso necessario abbandonare l’orbita e cercare altri mondi abitabili.
Perlomeno questa fu la spiegazione ufficiale adottata per la guerra d’espansione. Tutto il personale scientifico fu arruolato automaticamente.
Shira divenne l’assistente del fratello, e allora i due aprirono un angolo della gemma, e posta una minima quantità del gocciaghiaccio su un vetrino, cominciarono a studiarlo.
Poi, Norin si ammalò gravemente. Avvelenamento da radiazioni vegatron. Continuò a lavorare finché le forze glielo permisero e quando non poté più tenere in mano le provette, continuò ad annotare gli esperimenti che Shira compiva sotto la sua guida.

“Ti credono un sogno, Chill. O peggio, un’allucinazione”.
In una sala buia e disadorna, una figura femminile senza capelli, ciglia e sopracciglia, gli occhi privi iridi e pupille stava dritta e impettita sulla pinna triangolare della propria coda.

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Edited by runkirya - 30/6/2010, 22:26
 
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Grande Blu
view post Posted on 7/7/2010, 18:41     +1   -1




Come promesso ecco la conclusione di "Gocciaghiaccio". Buona lettura!


Un fascio di luce, proveniente da un punto verde esterno alla sala, s’ingrandiva in un rombo che come base aveva un velo fluido, simile ad acqua. In quel velo si vedevano le immagini di due giovani, un maschio e una femmina, eccezionalmente simili, dai capelli viola chiaro e gli occhi di un verde chiaro e limpido, simili a peridoti reali …
“Lo so, Ice … le loro menti sono troppo razionali e non prendono neppure in considerazione che accanto al loro ci sia un universo molto diverso da quello che conoscono.” Con queste parole, Chill voltò la testa e sorrise all’ interlocutore, che restava in fondo alla sala, e poi si girò di nuovo verso le immagini.
Un leggero rumore le fece capire che Ice era alle sue spalle.
“Sta morendo, Ice. Norin sta morendo. Il gocciaghiaccio che stanno manipolando mi trasmette la sua paura e disperazione."
La figura dietro di lei, che fino a quel momento era rimasta in ombra, si avvicinò alla fonte di luce. Come Chill aveva la pelle scintillante come pulviscolo ghiacciato, niente capelli, ciglia e sopracciglia. Gli occhi erano privi di iridi e pupille.
La sua coda terminava con una pinna triangolare rigida e sottile, che poggiava a terra di taglio … ma era un maschio.
Chill tornò a guardare le immagini.
“Sta passando le consegne. Sta affidando il suo sogno a Shira. Fra poco …”
“Se vuoi proporgli l’Opzione, hai il mio consenso.” Disse lui mormorando contro il suo orecchio, e poggiando le mani sulle sue spalle.
“Ma fai presto. In quell’universo, hai solo due ore.”
“Grazie, Ice”, disse Chill girandosi e appoggiandogli le mani aperte sul torace, “due ore sono più che sufficienti.” Disse alzando la testa per guardarlo negli occhi.

Per Shira il tempo si fermò. Non avrebbe saputo dire se passarono mesi o anni. Di una cosa sola era certa. Che ogni giorno successivo alla morte di Norin fu un incubo senza fine. Seppellire il fratello, continuare gli esperimenti, bollire il liquido ricavato dal poco gocciaghiaccio rimasto e finalmente vederlo gelare all’istante, poi trasformarlo in raggio.
Infine, l’ordine di Vega il Grande: il raggio serviva per congelare Grendizer.
L’incontro con Grendizer, la gentilezza dei terrestri, i modi troppo bruschi di quel Daisuke che l’aveva schiaffeggiata per farle prendere i tranquillanti, e poi, mentre lei pensava a come fuggire dalla cella, la porta si spalanca e Maria e Hikaru vengono a prenderla armi in pugno … vogliono che liberi il pilota di Grendizer imprigionato dall’astronave che rischia di morire assiderato …
Quella gemma verde pallido di dimensione romboidale è con lei da molto tempo … è stata un ciondolo e ora è una spilla … prima conteneva il gocciaghiaccio, ora l’ha trasformata in chiave per la sua astronave …
Eccolo lì, di fronte a lei, l’uomo che gli hanno ordinato d’uccidere, Grendizer il ribelle … ora può eseguire l’ordine … basta attivare l’arma che ghiaccia, nascosta nel suo anello … ma Maria, che si getta a fargli scudo con il suo corpo … Maria che non vuole lasciare il fratello a nessun costo … perché Grendizer e Daisuke sono la stessa persona.
E la voce di Re Vega strepita dagli altoparlanti interni della nave: “Uccidi, uccidi”…
Quando Maria afferma con decisione che non vuole lasciare Daisuke, ed è disposta a seguirlo anche nella morte, qualcosa in Shira si spezza.
Nemmeno lei voleva lasciare andare Norin … se non avesse promesso al fratello di salvare Vega 1, si sarebbe contaminata da sola pur di raggiungerlo … e ora darebbe qualsiasi cosa per rivederlo anche solo per un istante.
Non può far vivere a un’altra ragazza un simile inferno. Non può …
La voce di Vega gracchia insistente: “Uccidilo, uccidilo!”… non rimane che chiedere loro perdono e obbedire.
Ma Daisuke, con mossa fulminea le tira sulla mano un pezzo di ghiaccio, deviando il colpo dell’anello, che colpisce l’infernale comunicatore.
Non sentiranno più gracchiare Vega, almeno.
Il mostro Thuin fa la sua comparsa dal sottosuolo ghiacciato, e incomincia ad attaccare Grendizer, che momentaneamente è privo di pilota. I due ragazzi escono, mentre le ragazze invitano Shira ad andare con loro e la fanno uscire dall’astronave … Appena fuori, è colpita da un colpo di rimbalzo.
Mentre Hikaru si unisce alla battaglia, Maria porta Shira contro un pendio ghiacciato, poco lontano dall’astronave, dove le chiede di aspettarla, al sicuro.
Shira sa che la sua ferita è troppo grave per essere curata dai terrestri, quindi, dopo aver augurato ogni felicità alla sua nuova amica e a suo fratello si alza, e a fatica rientra nell’astronave.
La lotta imperversa, ma Koji nota che l’astronave di Shira è decollata … Shira assiste al combattimento, ma pensa di non poter fare nulla per loro, quindi dice loro addio e a Maria, che con la sua Trivella Spaziale volteggia attorno a lei confida che non tornerà da Vega … ma andrà sul pianeta in fiamme e lo gelerà.

“Sei troppo grave, bambina” dice la figura femminile dalla pelle scintillante come ghiaccio nella stanza buia, mentre osserva le loro azioni su uno schermo romboidale simile a un velo d’acqua.
“Non vivrai fino a Vega 1 …”. Dicendo queste parole, tende la mano aperta, esattamente come fece anni prima …
E Shira improvvisamente vede Vega 1 avvicinarsi sempre più, in fiamme come lo ricordava! Ce l’ha fatta, è arrivata.
Attiva l’arma di ghiaccio, e due cristalli sono lanciati dall’astronave e s’infrangono sulla superficie infuocata del pianeta. Una grande esplosione … il pianeta di fuoco è ritornato bianco e verde chiaro, come nelle videomemorie … rivede le montagne azzurro e indaco e ai piedi dei monti le città che il sorgere di Vega fa sembrare tutte rosa … i genitori che giocano con i figli al limitare delle foreste azzurre … i giovani innamorati che corrono fra i fiori mentre Vega allo zenith rende il cielo aranciato … i bambini che cercano di fare amicizia con gli zae, quadrupedi candidi dal lungo corno sulla fronte, lungo le sorgenti nel verde cupo delle foreste, il loro habitat naturale …
“E’ mio dovere lavorare per la vita” afferma con forza. Nel suo delirio, crede di avvicinarsi alla stella, ma in realtà è in caduta libera, e punta proprio su Thuin …
Thuin avverte il pericolo, punta il raggio congelante sull’astronave che diventa un blocco di ghiaccio …

Nella sala buia, la femmina dalla pelle scintillante si avvicina al velo, ci immerge la mano aperta, fa il gesto d’afferrar qualcosa e di spostarla.
L’astronave esplode nell’impatto con il suolo ma Shira è afferrata delicatamente da una mano di ghiaccio che sembra uscire dal quadro comandi e adagiata delicatamente al suolo nello stesso istante dell’impatto … ed è fra i rottami fumanti, ancora viva, che Maria e Hikaru la trovano.
Circondata dai quattro giovani è serena, vede la morte come un’espiazione, è felice perché fra poco sarà di nuovo con Norin …
I quattro giovani la seppelliscono su un pianoro montano, accanto ad uno strapiombo, accatastando sopra alla tomba un monumento funebre di pietre … Maria depone la spilla con il peridoto su una delle pietre alla base del monumento. Il sole al tramonto rende il peridoto opaco mentre riflette il volto di Maria, mentre lontano dal dirupo due conigli guardano incuriositi la scena e un fiore sboccia, segno evidente della fine dell’inverno.
Mentre il sole tramonta e la luna sorge, le quattro astronavi volano verso casa.

Nella stanza buia, due figure dalla pelle scintillante li osservano allontanarsi, il maschio pone un braccio attorno alle spalle della femmina, l’attira a sé, la bacia sulla tempia e mormora:
“Proponi l’Opzione. Ora.”.
Un grande sorriso illumina il volto della femmina, che si dà una spinta con la pinna e si lancia verso la minuscola fonte luminosa. Come tocca il velo delle immagini scompare.
Atterra proprio accanto al monumento funebre. Piega ancora la coda, dà lo slancio con la pinna, e s’innalza nell’aria ancora fredda. Volteggiando nell’aria come farebbe nell’acqua, gira intorno all’orlo del precipizio con le palpebre quasi totalmente abbassate, gli occhi simili a due fessure.
“Trovata …” dice sottovoce … tende la mano aperta, la chiude a pugno, e fa il gesto di tirare qualcosa.
Una massa di pietre e terriccio esce dal fianco della montagna, e rimane sospesa a mezz’aria. Esce anche il corpo di Shira, composto per l’ultimo viaggio. La femmina fa un gesto e il corpo si allontana leggermente dal dirupo, poi rimette il terriccio e i sassi al loro posto, e ricompone la parete così bene, che sembra intatta.
Poi, volteggiando, torna sull’altura e appoggia la pinna a terra, lasciando che il corpo della giovane veghiana volteggi a mezz’aria.
“So che sei qui. Lascerai questo mondo, ma non nel modo che credi.”.
Una massa sfocata e semitrasparente con le sembianze di Shira compare, poco distante dal suo corpo.
“Tu sei l’extradimensionale che ho incontrato da bambina! Perché sei qui?”
“Per proporti l’Opzione”
“L’Opzione?”
“L’Opzione, esatto.”
“Che cos’è?”
“Avendo incontrato a faccia a faccia un essere proveniente da uno degli universi accanto al tuo, a te e Norin è concessa una possibilità.”
“Norin? Ma Norin è …”
“Morto? Nel tuo universo certamente. Ed è proprio in questo che consiste l’Opzione. Gli è stata offerta una scelta. Terminare la sua esistenza come una delle tante vittime del Vegatron nel tuo universo, oppure iniziare una vita nuova nel mio”.
“Come?”
“Diventando uno di noi … nel caso specifico, essendo un maschio, un gelotritone.”
“Gelotritone? E lui cosa ha scelto?”.
“Fra rimanere un veghiano morto e un gelotritone vivo … ovviamente l’ultima possibilità.”
“Ed io?” Lo spirito di Shira si appanna.
“A te è offerta la medesima Opzione. Rimanere una veghiana morta o diventare una gelosirena.”.
“E rivedrò mio fratello?”
“Certo, e potrete trascorrere una vita felice con me e il mio popolo.”
“Accetto.”
“Bene, rimane un’ultima cosa da decidere. Vuoi iniziare la tua vita di gelosirena alla stessa età che hai ora … o preferisci iniziare da neonata, e quindi nascere come gelosirena?”.
“Qual è la differenza?”
“Se rimani dell’età che hai ora, ricorderai chi sei stata e tutto quello che è accaduto fino ad oggi. Se inizierai come neonata, ricorderai solo che Norin è tuo fratello e vi volete molto bene, ma nulla della tua vita passata.”.
Lo spirito di Shira rimane in silenzio.
“Hai scelto?”
“Sì.”
“Rientra nel tuo corpo, e che il cambiamento cominci.”
La massa sfocata si riunì al corpo immobile.
Le mani aperte di Chill, con movimenti lenti, seguono il corpo di Shira che volteggia, poi diviene sempre più luminoso fino a che i contorni svaniscono in una forma luminosa allungata, che si contrae …
Chill tende le mani alla forma, e quando l’ha afferrata, svaniscono entrambe. Il cristallo della spilla si spezza.
In un mondo bianco dalla luce morbida, un piccolo gelotritone volteggia, seguito da un adulto …
Con un rapido colpo di pinna l’adulto raggiunge il piccolo, lo prende fra le braccia, e i due ridono …
Una gelosirena volteggia verso di loro, con un fagotto fra le braccia, poi si siede su di un masso smussato …
“Mamma, mamma!” urla il piccolo, raggiungendola.
“Ho una sorpresa per te, Norin”
“E’ arrivata?”
“Certo! La mamma è andata a prenderla adesso.
“Papà, papà, corri!” grida il piccolo al padre.
Ice li raggiunge.
Quando entrambi sono accanto a lei, Chill apre la stoffa scintillante del fagotto, rivelando una piccola gelosirena che dorme. Norin e Ice trattengono il fiato. Chill passa un dito sulla guancia della piccola, che apre gli occhi e ride.
“Ciao, Shira … sono la mamma. Ci sono due persone speciali che ti voglio presentare … Lui è il tuo papà …”.
Ice prende la piccola tra le braccia, che esprime con dei gridolini la sua contentezza, e si siede sul sasso accanto a Chill, mentre Chill fa cenno a Norin di avvicinarsi di più.
“Shira … Shira!” Chill la tocca per attirare la sua attenzione, “lui è Norin, il tuo fratellino.”
I due si guardano, e una scintilla di riconoscimento illumina i loro occhi. Ice l’avvicina al fratello, allungando le braccia verso di lui, ma tenendo sempre ben salda la piccola. Norin tende la mano verso di lei, e Shira gli afferra un dito. I due sorridono.
“Ora siamo insieme, Shira …” dice Norin mentre Chill lo prende in braccio avvicinandolo ancor più alla sorella.
Shira sorride e si appoggia contro il braccio di Ice, con aria sonnacchiosa, continuando a tenere ben stretto il dito di Norin.
 
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Grande Blu
view post Posted on 11/11/2010, 19:25     +1   -1




Ferafel



Dedicato a Runkirya, Rubina 71, Kojimaniaca, Venusia 71 e tutte le pilotesse girellare.

Introduzione



Il comandante Haruck è una figura molto particolare nel composito esercito di Vega, ed anche lui compare solo per un episodio … di lui si sa solo che ha una passione, i piccioni e che è considerato un grande guerriero … ma perché li ama tanto?
Lo scoprirete in questo racconto, dove le scelte hanno delle conseguenze, e dove l’unico modo per ricordare, è conservare qualcosa che ci riporti al passato.
Nota: nel racconto i personaggi creati da Go Nagai hanno i nomi originali, presi direttamente dalla pagina dedicata a quest’anime sulla Wikipedia.

Ferafel



Spesso ritorno con il pensiero al giorno in cui i Grandi Misterici mi trasformarono in pasir, un animale del nostro mondo. Se chiudo gli occhi, la scena è vivida come se accadesse in questo preciso istante, così come i pensieri che mi passarono per la mente:
“Un Pasir? Dovrò diventare uno stupido volatile?” Urlai al colmo della mia indignazione al Gran Custode.
“Dovresti pensarci bene, prima di dire che qualcosa o qualcuno è stupido, Ferafel. In fondo è questo che ti ha messo nei guai.”. Rispose asciutto il Gran Custode.
Mi morsi le labbra. Com’era possibile che io, una dei Misterici, con ottime possibilità di divenire Gran Custode … dovessi subire una condanna? E almeno fosse stata una condanna esemplare, in fondo me la meritavo … invece sarei stata trasformata un volatile stupido, talmente stupido, che qualsiasi umanoide poteva catturarlo con poca fatica!
Gli Umani, o umanoidi, come li chiamavo io all’epoca con disprezzo, erano appena sopra i Pasir nella mia personale scala della stupidità. Per secoli avevano considerato la nostra Stella Delta, Delta Lyr, come una stella doppia … anche se persino a occhio nudo era evidente che non era per nulla una stella doppia, bensì due stelle compagne!
Delta Minore, la stella nana di uno scintillante blu che ci fornisce calore e luce, e Delta Maggiore, la gigante rossa che, visibile dal nostro pianeta di notte come di giorno, ci accompagna nel nostro viaggio nel cosmo …
Proprio questa centralità apparente del nostro mondo convinse tutte le stirpi, anche i Misterici, che il nostro pianeta era speciale. In fondo eravamo una delle razze più antiche, eravamo un mondo civile quando gli abitanti di Vega 1 usavano pelli d’animale come abiti, viaggiavamo fra le stelle quando su Vega 1 si sperimentava il vapore come energia motrice … fin dalla notte dei tempi, questa consapevolezza di essere una grande civiltà, segnò il rapporto con il nostro mondo natale, che definimmo come Delta, semplicemente. Niente numeri, eravamo sullo stesso piano delle stelle.
Inoltre, il nostro mondo beneficia di quei doni meravigliosi che i Misteri, senza nostro merito, benignamente ci elargiscono. Le due stelle sono al centro di un ammasso aperto, ossia di uno di quei meravigliosi accentramenti di stelle in un punto dello spazio che, con le loro interrelazioni gravitazionali, consentono anche alle stelle nane – come la nostra splendida nana blu - di continuare a dispensare luce e calore fino alla fine del tempo. Oltretutto, essendo aperto, in realtà questo piccolo ammasso fa parte di un gruppo molto più grande, ma … questo fa parte dei Misteri che io, all’epoca, non ero autorizzata a conoscere, e che invece studiai, in barba ad ogni divieto … quindi che mi misi nei guai e fui punita.
Oh stelle, che piccola praticante dei Misteri ero, e quanto ero pomposa!
Esser trasformata in un pasir, accidenti! Quanto mi sembrava priva di significato quella punizione, allora!
E così fui trasformata in un Pasir … Un uccello di media taglia, dal piumaggio grigio con penne blu sulle ali e la coda, becco bruno, occhi arancioni perennemente spalancati.
Ero furiosa, tanto che volare su quelle forti ali, non mi bastava – anche se era piacevole – e camminare sulle zampe brune dagli acuminati artigli, mi bastava ancor meno … e incurante degli altri Pasir che, spaventati, si levavano in volo, io come una sciocca caddi in una rete.
Per la prima volta in vita mia seppi cos’era il panico. Incominciai a dibattermi nella rete, aggrovigliandola sempre più al mio corpo, e più la sentivo stringere intorno a me, più mi dibattevo.
Incominciava a mancarmi il respiro quando un’ombra gigantesca oscurò la luce di Delta Minore.
“Piano, piano, ti farai male …” disse una voce maschile profonda e rassicurante, e due mani dalla pelle grigio azzurra iniziarono a liberarmi.
Un umanoide …
Con gesti sicuri e continuando a parlare, continuò a sciogliermi dalla rete.
Un umanoide che sapeva rendersi utile, che insperata fortuna!
Quando mi ebbe liberata, continuò a tenermi delicatamente, ma ben salda in quella sua mano enorme.
“Vediamo cosa sei …” disse con il solito tono rassicurante, e con due dita dell’altra mano iniziò a scostare delicatamente le piume del mio addome in prossimità della coda.
Rimasi sbalordita, ma solo per un secondo. Poi m’indignai: come osava, lo spudorato, frugare le mie piume!
Con mossa fulminea, gli assestai una beccata sulle dita, strappandogli un’esclamazione di dolore, e al colmo della collera finalmente lo degnai della mia attenzione.
E, per la prima volta nella mia vita, mi sentii piccola. Davvero piccola. L’umano che avevo beccato doveva essere alto circa 270 centimetri, dal fisico scultoreo con una muscolatura possente, ben intuibile sotto la pelle azzurra. I muscoli erano torniti ma non gonfiati, segno evidente che dovevano esser stati temprati da anni d’allenamento, probabilmente iniziato nella più tenera infanzia.
Il suo abbigliamento era il più ridotto che avessi mai visto. Un paio di calzoncini da lotta, di tessuto elastico, alti in vita, fermati da una cintura. Un lottatore, quindi. Poi notai che i calzoncini non impedivano i movimenti delle gambe, poiché lasciavano le cosce completamente scoperte. Non era un semplice lottatore, quindi, ma un Totale. I Totali erano lottatori addestrati fin dall’infanzia a usare nella lotta ogni parte del corpo, quindi il loro abbigliamento era ridotto al minimo.
Improvvisamente, l’uomo sollevò la mano che mi teneva, ed io con essa, avvicinandomi al viso. Fu allora che notai che sulle spalle portava un mantello con colletto alto, incavato davanti e dietro, quasi a formare due punte ben visibili ai lati, semplicemente fermato da una fibbia … oh no, stelle, e se quell’uomo fosse …
Una fila di tre corna dritte e appuntite di un centimetro di diametro e alte cinque centimetri partiva dal centro della fronte, proprio all’attaccatura delle placchepenna, il secondo corno era a due centimetri di distanza dal primo e il terzo si trovava al centro del cranio. Le placchepenna, di un verde scuro brillante, disposte sulla testa come capelli, vi aderivano strettamente, scendendo anche su nuca e collo, con lo scopo di proteggere quelle zone del corpo da colpi a tradimento. Sui lati del viso le placchepenna formavano una sorta di basette, ed erano portate lunghe, a protezione di tempie e guance.
Incominciai a tremare. Un appartenente al primo clan, l’élite della stirpe dei guerrieri, ecco chi era quell’uomo! I migliori combattenti di Delta, della Lyra, e forse dell’intero universo! Il suo fisico era stato temprato a resistere a qualsiasi cosa, e il suo allenamento era perpetuo. Per questo indossava solo dei calzoncini, una cintura, un paio di stivali e un mantello!
Poi la mano si fermò: “Devo stare attento, potresti cavarmi gli occhi. Meglio tenere quel becco a debita distanza.”. Disse con voce allegra. Guardai il suo viso. Sorrideva.
“Sei una signorina dal gran temperamento, vero?” disse sempre sorridendo. Poi continuò “Buona, buona, non voglio farti del male …” e incominciò ad accarezzarmi, dalla testa fino alla punta delle ali. E continuò finche non mi calmai.
I suoi occhi grandi e scuri esprimevano un animo nobile, il naso dritto, da vero condottiero … L’ovale del viso ingentiliva tutto. Questo non era un uomo rozzo, e probabilmente era un ufficiale.
Con il passar del tempo essere un Pasir non mi dispiacque più di tanto. Haruck, questo il nome dell’uomo che mi aveva catturato, era gentile, e mi trovò un posatoio comodo nel suo allevamento di pasir, dove trascorreva ogni momento libero.
Ben presto si rese conto che gli altri pasir si comportavano in modo strano con me, quasi con deferenza. Mi lasciavano mangiare per prima e volavano lasciandomi sempre la posizione di testa, ma non facevano stormo con me.
La mia solitudine gli ispirò simpatia, anche se non capiva il comportamento dello stormo. Prese il mio posatoio e lo portò in casa, con l’intento di educarmi come animale da compagnia. Iniziò con l’insegnarmi a posarmi sulla sua spalla, aggrappandomi al mantello. Ricordo ancora la sua espressione sbalordita, quando eseguii subito l’ordine senza sbagliare … ma rimase letteralmente a bocca aperta quando mi ordinò di posarmi sul suo dito ed io mi ci posai con naturalezza, senza aver mai provato l’esercizio prima d’ora!
A dire il vero, solo dopo pensai che la mia prodezza potesse costarmi cara, magari finire in un baraccone d’animali ammaestrati. Invece Haruck non ne fece parola con anima viva, anzi, quando un baraccone si trovò a transitare nella sua tenuta, acquistò gli animali al triplo del loro valore, li fece visitare e accudire dai migliori veterinari, con lo scopo di liberarli poi nella tenuta. Dopo aver messo gli animali al sicuro, consigliò caldamente all’ambulante di cambiare mestiere, ed egli tremando promise, anche se non era stato neppure sfiorato.
Solo un pazzo non avrebbe ascoltato i suggerimenti di un appartenente al primo clan della stirpe guerriera …



A giovedì prossimo per la seconda parte...
 
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Grande Blu
view post Posted on 18/11/2010, 19:21     +1   -1




La seconda parte:


Cominciai quindi serenamente la mia vita da pasir domestico. Il mio modo di vedere i pasir si era ammorbidito, anche se continuavo a considerarli d’intelligenza limitata. Tuttavia presto ebbi modo di ricredermi.
Un giorno che Haruck ci aveva liberati tutti insieme in una radura riparata, una femmina volò da me, e mi fece capire che aveva bisogno del mio aiuto. Sorpresa, volai a vederne il motivo, e vidi un tikame, predatore alato di grossa taglia dalla vista acutissima, che inseguiva un pasir dello stormo, un giovane che aveva appena cambiato le penne, mettendo la livrea da adulto per la prima volta.
Senza pensarci, volai in soccorso del compagno in pericolo, e mi misi sulla loro linea di volo. Lasciai passare la preda, spalancai le ali, con stupore del predatore che sopraggiungeva protendendo gli artigli, e ordinai:
“Riflesso!”
Improvvisamente la luce di Delta Minore parve concentrarsi nelle mie ali, diventando sempre più splendente. Il tikame, abbagliato, si allontanò.
Avevo riacquistato i miei poteri. Tuttavia l’evento non mi rendeva felice.
Volai fino al cospetto del Gran Custode:
“Ho scontato la pena, Maestro?”
“Esatto, Ferafel. Puoi tornare alla tua forma normale quando vuoi.”.
“Maestro, io …”
“Cosa c’è?”
Sospirai e proseguii: “Dovrei essere felice, invece non lo sono. Anzi, il pensiero di lasciare la casa di Haruck mi crea una grande angoscia.”.
“Cosa ti piace della tua condizione?”
“Stare appollaiata sulla sua spalla, svolazzargli intorno, mangiare dalle sue mani e soprattutto che ha sempre una carezza per me.”
“Credo che non sia solo questo, …” disse sorridendo il Gran Custode, “Ascolta, prova a tornare da lui, e a rivelargli chi sei. E torna a riferirmi tra un anno.”
Felice come non ero mai stata, tornai da Haruck volando come il vento. Lo raggiunsi mentre metteva a soqquadro l’intero allevamento. Quando mi vide, mi chiamò e mi prese tra le mani.
Quella sera stessa provai a rivelarmi. Mi feci vedere da lui con una matita stretta fra gli artigli mentre vergavo su un pezzo di carta. “Guarda nello specchio”.
Obbedì, e si pose davanti ad un grande specchio appeso alla parete.
Svolazzando dietro alle sue spalle, cominciai a parlargli.
“Haruck, io non sono un pasir. Sono una Misterica, che per un periodo di punizione è stata trasformata in pasir.”.
Haruck sollevò un angolo della bocca con espressione divertita.
“Beh, che non eri un pasir, lo avevo capito da come ti trattavano gli altri … E so che ben poche persone su Delta possono trasformarsi in animali, quindi pensai bene d’informarmi presso la Torre dei Misteri.”
Come diavolo faceva Haruck ad avere accesso alla residenza del Gran Custode? Confusa, planai sul mio posatoio.
Haruck si avvicinò e mi disse: “Il Gran Custode fu molto gentile. Mi raccontò che una Misterica era stata trasformata per punire la sua arroganza. Gli dissi che il pasir aveva temperamento, e a me piacciono le persone di temperamento. E che speravo di conoscere meglio la misterica, un giorno. A quel punto il Gran Custode chiamò la governante in capo della Cittadella e mi fece consegnare una grossa borsa. E’ di sopra, nella stanza a destra della scala. Se ti serve il bagno, è la porta accanto.”.
Volai di sopra, e con mia sorpresa trovai uno dei miei abiti, steso ordinatamente sul letto. Sulla sedia accanto era appoggiato un grande telo da bagno. Accanto alla finestra c’era un tavolino da toeletta sormontato da uno specchio, e appoggiati al ripiano, facevano bella mostra di loro i miei pettini a due denti, più i due sacchetti, dove tenevo creme e cosmetici.
Ritornai umana, mi avvolsi nell’asciugamano, e mi fiondai in bagno. Che meraviglia non doversi più lavare nell’acqua fredda di una fonte! Dopo la doccia tornai nella stanza, chiusi la porta a chiave, e finalmente lo specchio rimandò la mia immagine. Mi avvicinai al tavolino e mi sedetti davanti allo specchio.
Come Haruck anch’io ho la pelle grigio azzurra, occhi scuri e tre corna … ma sono alta appena 170 centimetri, e le mie corna non sono disposte in linea retta.
Proprio al centro della fronte, c’è un corno alto pochi millimetri dalla punta arrotondata, di tre centimetri di diametro. Ai lati di questo, a circa un centimetro di distanza e poste leggermente più in alto, quasi all’attaccatura delle capelpiume, ci sono due piccole corna di un centimetro di diametro, acuminate, alte quattro centimetri, curvate verso il corno centrale. Le mie corna sono bianche come quelle di Haruck, e proprio come per lui sono il segno della mia stirpe, la stirpe dei Misterici. Le capelpiume sono lunghi e sottili fili piumosi, trenta centimetri al massimo, che ricoprono la nostra testa, dandole un aspetto perennemente arruffato. Le mie sono indaco, un colore piuttosto raro fra la mia gente.
Indossato il vestito e sistemato al meglio con i pettini la massa vaporosa che ho sulla testa, mi decisi a scendere … Oltretutto, da circa venti minuti, un buon profumino di cucina mi solleticava le narici.
Dalla scala vidi che la tavola era apparecchiata per due, e Haruck stava appoggiando proprio in quel momento la pentola sopra una lastra di pietra rossa, al centro della tavola.
“Haruck …” dissi. Lui si girò e fece due passi verso di me.
Un gran sorriso gli illuminò il volto. Non sapevo perché, ma la cosa mi fece un enorme piacere.
Non tornai mai dal Gran Custode a riferire. E d’altronde non ci sarebbe stato motivo, perché era fra i molti invitati di riguardo al nostro matrimonio, celebrato esattamente un anno dopo il mio ritorno a sembianze umane.
Le nostre nozze furono l’evento dell’anno, e perfino i giornali se ne occuparono. Attribuimmo tutto questo interesse al fatto che eravamo di stirpe diversa, ma rimanemmo entrambi di stucco quando scoprimmo, tramite la cortese e insistente lettura fatta a me dalle damigelle, a lui dai commilitoni, che Haruck apparteneva a una delle più antiche e autorevoli famiglie non solo della stirpe guerriera, ma di tutta Delta, ed io ero considerata fra le più dotate e potenti manipolatrici del Mistero.
Haruck ed io facemmo spallucce, pensando che di tutto questo non c’importava nulla.
Tuttavia, l’articolo fu provvidenziale non tanto per noi, quanto per le nostre stirpi. E noi lo sfruttammo per uno scopo più alto del mero pettegolezzo.
Per l’occasione, erano stati assunti un buon numero di paggi e fantesche, con il compito di servire gli invitati. Una di queste, una giovane delicata dall’aria timida, si trovava al centro delle attenzioni di tre reclute appartenenti alla stirpe guerriera e di tre novizi ai Misteri. Gli sguardi che quel manipolo di giovinastri lanciavano alla poverina non lasciavano dubbi sulle loro intenzioni, e i vini che ingollavano a litri sembravano aizzarli ancor di più.
Lo sguardo sconfitto e rassegnato della ragazza, che ben sapeva di non potersi opporre al volere né degli uni né degli altri – poiché l’appartenenza alle nostre stirpi permetteva di fare il bello e cattivo tempo con chiunque – mi colpì dolorosamente, e mi bastò guardare in faccia Haruck per capire che provava le mie stesse emozioni.
Oltretutto, gli stolti rischiavano di far scoppiare una rissa al nostro banchetto nuziale, ma noi non lo avremmo mai permesso.
Un breve dialogo fra noi, e mettemmo in atto il nostro piano.
Haruck ordinò al Maestro di Cerimonie di far liberare uno spazio al centro della sala, e consegnatomi il mantello, sparì in cantina con il Capo dei Servitori di Sala. Ritornò con un’enorme botte in bilico su una spalla, che poggiò con naturalezza su un cavalletto. La disinvoltura con cui la botte era stata portata senza sforzo e appoggiata delicatamente impressionarono tutti, specialmente reclute e novizi.
Nel frattempo io avevo ordinato a paggi e fantesche di prendere dei bacili e di attendere nuovi ordini. Haruck mi si avvicinò e tranquillamente indossò il mantello. Alzò il braccio destro, segnale che mise fine al brusio degli ospiti e mi sorrise.
Ora fui io a togliermi il mantello con il colletto a due punte, segno del mio ingresso nella stirpe guerriera, e ad affidarlo a Haruck.
“Cari ospiti, ” dissi ad alta voce avanzando al centro della sala, “ora spilleremo il vino che porremo nei bacili di fantesche e paggi, che si porranno in mezzo a voi. Comandante Supremo, Generali, Comandanti, Sottufficiali, Ordinari e Reclute consentitemi l’onore di servirvi da bere com’è costume nella mia stirpe.
Novizi ai Misteri, servirò anche voi, così acquisterete familiarità con le nostre usanze.
Gran Custode, Grandi Misterici, fratelli e sorelle, v’invito, non appena avrò adempiuto il mio dovere di ospite, a servirvi da soli in base al nostro costume dai bacili”. Dissi mentre i servitori si disponevano nella sala.
“Ragazza, vieni qua”. Dissi alla fantesca perseguitata, che al mio ordine si pose a un metro da me.
Chiusi gli occhi per un secondo, e le mie corna s’illuminarono. Dal corno alto pochi millimetri si sviluppò un chiarore diffuso e lattiginoso, mentre dalle altre corna sorsero scintille che resero il chiarore crepitante di potere.
Aprii gli occhi, feci un piccolo gesto e nei bacili si formarono dei piccoli gorghi, che salirono dalle superfici simili a minuscoli tornadi.
I piccoli vortici si levarono alti nell’aria, e la rotazione del liquido su se stesso era ben visibile a tutti, poi a un altro lieve movimento delle mie mani, ognuno di essi raggiunse il bicchiere di un guerriero o di un novizio, ovunque egli fosse, e lo riempì. Una volta raggiunto l’orlo, i vortici tornarono nei bacili da cui erano partiti.
A questo punto, gli altri misterici si servirono con lo stesso sistema, Haruck mi si avvicinò e pose il mantello sulle mie spalle, agganciando la fibbia.
La sala era piombata nel silenzio.
“Raramente i giornali dicono il vero, Gran Custode …” affermò il Comandante Supremo vuotando il bicchiere.
“A quanto pare, Comandante Supremo, questa è una di quelle rare volte …” rispose il Gran Custode, rimandando il piccolo vortice che aveva riempito il suo bicchiere a morire nel proprio bacile. Sollevò il calice.
“Ringraziamo il nostro ospite, fratelli e sorelle”. Così dicendo fece a Haruck un leggero inchino.
A queste parole, ogni misterico presente nella sala si volse in direzione di Haruck, sollevò il calice e s’inchinò.
“Signori, sull’attenti!” ordinò il Comandante Supremo, facendomi il saluto militare, e la sala rimbombò del suono di decine di tacchi che cozzavano, mentre decine di mani mi facevano il saluto.
Io e Haruck ringraziammo con un cenno del capo, e sorridendo guardammo i giovani che rischiavano di guastare il “nostro” giorno. Sentendosi osservati, i novizi s’inchinarono mentre le reclute scattarono sull’attenti. Erano mortalmente pallidi, e sembravano di colpo tornati sobri. E soprattutto, la voglia di attaccar briga gli era passata.
Di lì a qualche ora, lasciato tutto nelle mani del Maestro di Cerimonie, io e Haruck ci allontanammo discretamente.
A notte fonda potevamo ancora sentire dalla camera padronale il chiasso degli ultimi ospiti rimbombare nella sala.
Sdraiata accanto ad Haruck mi godevo la sensazione di essere in armonia con l’universo intero, quando mi sentii cingere le spalle con un braccio mentre l’altra mano incominciò ad accarezzarmi l’addome. Ridacchiai, un po’ perché mi faceva il solletico, un po’ per il ricordo di quando ero un pasir.
“Come, adesso ridi mentre l’altra volta quasi mi staccavi un dito!” mi disse con tono risentito.
“L’altra volta, Comandante, non aveva alcun diritto di toccarmi. Non c’eravamo neppure presentati!” Dissi voltandomi a guardarlo negli occhi con finta aria di sdegno.
“E adesso?” disse sollevando un angolo della bocca in un sorriso malizioso, mentre le carezze diventavano più audaci.
Cercando disperatamente di mantenere un autocontrollo che rischiavo di perdere ogni istante, risposi con la maggior freddezza possibile.
“Forse ora qualche diritto lo avete …”
“Bene, ne farò buon uso …”.


A giovedì prossimo il seguito, buona serata!
 
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Grande Blu
view post Posted on 25/11/2010, 20:41     +1   -1




Ecco il seguito, buona lettura...

Il mese successivo fu quanto di più spensierato si possa immaginare. Haruck svolgeva il suo lavoro, si allenava, io approfondivo lo studio dei Misteri e mi allenavo a mia volta a usare il potere della natura. Ed entrambi ci prendevamo buona cura dei pasir dell’allevamento e di ogni animale dei dintorni.
Avrei voluto ignorare il brivido che mi corse lungo la schiena quando il nostro governo si alleò con Vega 1 in un patto di mutua assistenza militare.
Brivido che fu confermato da una visita del Gran Custode alla nostra casa, un giorno che Haruck era stato convocato al quartier generale.
“Hai sentito il fremito, vero Ferafel?” mi disse senza preamboli.
“Sì, Maestro.” Dissi inchinandomi.
“Non sono più il tuo maestro, ragazza. Niente inchini. Se le circostanze fossero diverse, aggancerei la placca d’oro della sapienza superiore alle tue corna oggi stesso. Nondimeno, i tempi stanno per cambiare, e noi abbiamo preso una decisione.
Tutti i nostri clan lasceranno Delta domani, con il pretesto di recarci a esplorare i confini ultimi dell’ammasso stellare di cui facciamo parte. In realtà per …”
“Per sfuggire alla guerra d’aggressione che Vega il Grande sta preparando in segreto, conflitto che attirerà i nostri mondi nella catastrofe.” terminai io.
“Esatto, figliola.” Disse afferrandomi delicatamente le spalle con le mani.
“Lo studio dei Misteri non si concilia con la violenza e la distruzione. E tu?” mi chiese guardandomi con aria preoccupata, “Tu che farai?”
“Rimarrò accanto ad Haruck. Quando verrà la guerra, il suo senso del dovere e la sua indole gentile si troveranno in conflitto. Spero di poterlo aiutare a mediare il dovere con la giustizia.”.
“Sapevo che mi avresti risposto in questo modo. Lasceremo nello spazio impronte eteree del nostro passaggio, in modo che tu possa raggiungerci.”.
“Grazie, Maestro, ma vi raggiungerò soltanto con Haruck al mio fianco”.
“E sarà il benvenuto, Ferafel, ” disse il Gran Custode con un sorriso, “tuo marito è un uomo dal grande cuore, ed è amato dagli animali. E chi è amato dagli animali, è il prediletto dei Misteri. Tuttavia, se avessi bisogno di un luogo sicuro, sappi che ho lasciato provviste e quant’altro potrà servirti alla Grotta della Folgore.”.
Ringraziai il mio maestro e lo salutai con calore, augurando buon viaggio a lui e alla mia stirpe. Speravo di non aver bisogno di altro rifugio che non fosse la mia casa, ma intuivo che non sarebbe stato così.
Questione di mesi, e Vega il Grande iniziò la sua guerra. E Delta, vincolata da un patto di ferro, dovette coadiuvarlo.
Nel preciso momento della dichiarazione di guerra, Haruck indossò l’arma d’ordinanza per il suo clan.
Il Fantasma Vermiglio, questo il nome del guanto rosso che all’altezza del polso recava gli spuntoni di ossodiamante, che riproducevano fedelmente le corna della stirpe guerriera, lungo fino al gomito che celava attorno alla fila di spuntoni l’arma catena, di graniacciaio, che terminava con una sfera. Il graniacciaio era un metallo che fondeva solo ad altissime temperature, talmente denso, che pesava un chilo per grammo.
Haruck tornava a casa da ogni missione con un’espressione mesta, e con le ombre di mille orrori che si agitavano nei suoi occhi. La notte si svegliava urlando preda d’incubi terribili.
Allora prendeva in mano il guanto da guerra, che poteva togliere solo nella propria casa e solo la notte, e faceva il gesto di sbatterlo con forza sul pavimento, poi calava il braccio con calma, e lo posava di nuovo sul comodino.
“Haruck …”
“Non dire niente, Fera, ti prego …” mi zittiva guardandomi con occhi imploranti e poggiandomi delicatamente un dito sulle labbra. “E’ il mio dovere, non posso sottrarmi.”
Allora scostava le lenzuola con gesto iroso, e schizzava a sedersi sulla sponda del letto, con le gambe penzoloni.
“Non posso sottrarmi …” mormorava prendendo la testa fra le mani.
Allora io mi avvicinavo e mi appoggiavo contro la sua schiena, senza proferir parola, finché il sonno non lo vinceva seduto com’era. Allora usando il potere dei Misteri lo facevo levitare, ed egli a mezz’aria si rilassava, distendendo ogni muscolo. Poi lo riadagiavo sul letto, e appoggiavo la testa al suo torace.
Ciononostante venne il giorno in cui il cuore di Haruck sembrò essersi spento. Non aveva più incubi, e uccidere non gli creava più nessuna emozione.
Questo era troppo.
Potevo accettare che per noi non ci fossero più passeggiate nelle notti che Delta Maggiore riempiva di bagliori aranciati. Potevo accettare che non ci fossero più baci rubati a ogni occasione. Potevo accettare che fosse tanto sconvolto da aver dimenticato cosa fosse una carezza, e per essere mio marito nel reale senso della parola.
Il suo animo era lacerato dalla guerra, e lo capivo. Potevo accettare che eseguisse il suo dovere malvolentieri. Potevo accettare che non potesse sottratti ai giuramenti fatti. Potevo accettare di lenire la sua pena ogni notte senza che lui se ne accorgesse, manipolando i Misteri e togliendo dalla sua anima l’angoscia del giorno, mentre dormiva il sonno artificiale procurato dagli infusi che, per concedergli il sollievo di qualche ora di sonno, dovevo somministrargli.
Un bel giorno, Haruck non si tolse più il Fantasma Vermiglio. I suoi occhi erano cambiati, erano duri e privi d’espressione. Non occorreva interrogare i Misteri per capire che si era abituato all’orrore di spegnere vite.
No, questo non avrei mai potuto accettarlo.
La cerimonia pubblica con cui il mio mondo celebrò i fasti della guerra mi sconvolse. I complimenti delle autorità per l’eroica condotta in battaglia di mio marito, la deferenza con cui ero trattata per il mio mantello … e l’ovazione che si levò dalle bocche di migliaia di deltis quando Haruck, chiamato dal Presidente del nostro mondo salì sul palco, elegantissimo nell’alta uniforme. Il manto era fermato da una fibbia stilizzata a forma di pasir, e recava lo stesso colletto a due punte di sempre, ma in più aveva una parte rigida a copertura delle spalle, che all’attaccatura delle braccia si rialzava a formare due piccole ali appuntite mentre la stoffa cadeva in morbidi drappeggi a coprire la schiena.
Era bellissimo e imponente, con i nostri due pasir domestici posati sulle spalle, aggrappati al mantello. Sentii il mio cuore accelerare i battiti. Poi il Presidente posò Delta Maggiore con doppio nastro, la più alta onorificenza militare del nostro mondo, che riproduceva il cuore incandescente di Delta Maggiore e i suoi raggi rossi e arancio, al collo di Haruck.
A un cenno del Presidente, la folla fece sentire la sua ovazione. I pasir presero il volo, diretti verso la nostra casa. Canti inneggianti alla guerra, il nome di mio marito urlato a squarciagola, applausi …
Eppure il volto del festeggiato non partecipava a tanto giubilo, la sua espressione era composta e dignitosa … ma a me che lo conoscevo bene sembrava anche melanconica.
Forse era il momento giusto. Forse poteva capire.
Aspettai pazientemente la conclusione degli interminabili festeggiamenti, e del viaggio di ritorno dalla capitale alla nostra dimora.
“Haruck?“ lo chiamai dolcemente. Alzò la testa, e mi fisso con espressione apatica, che ignorai. Lo condussi di fronte allo specchio.
“Guarda il tuo viso, Haruck”, dissi abbracciandolo. “E’ triste, privo di emozione. Questa guerra sta uccidendo la tua anima.”.
Lo strinsi forte, ma lui rimase rigido come un pezzo di legno.
“Amore, questo non è il posto per te.” Dissi, mentre con la levitazione compensavo la differenza fra le nostre stature, per arrivare a prendergli il viso fra le mani e fissarlo negli occhi, nella speranza di trovarci un barlume di un’emozione qualsiasi. “Questa non è la guerra per cui sei stato educato, una guerra di battaglie onorevoli dove i guerrieri si misurano l’uno con l’altro. I dischi volano radenti su pianeti indifesi, e sparano sui civili, non contro i soldati!
E quando sbarcate, vi fate largo fra la folla inerme, laser alla mano, sparando a tutti i soggetti che potrebbero opporre resistenza, come uomini e donne dai quindici ai settant’anni, incuranti dei bambini che, alle vostre spalle, piangono i genitori caduti!
Questo è massacro, non guerra!”
Haruck mi guardò, ma il suo sguardo era gelido.
“Io sono un guerriero, moglie. E un guerriero deve combattere le battaglie che a lui sono imposte. Dal mio superiore e dai suoi alleati. Tu non puoi comprendere, ” disse guardandomi con una smorfia di disprezzo che mi lasciò basita, “ … tu non sei nata guerriera, il mantello che indossi è un onore che ti è concesso in virtù del nostro matrimonio! Pertanto frena la lingua, e non parlare di cose che non capisci!”.
Il sarcasmo nelle sue parole era evidente, chissà se era rivolto alla mia stirpe o alla mia intelligenza …
Adesso la misura era colma.
“Hai ragione Haruck, non è più tempo di parole.” Dissi con tono asciutto. Senza aggiungere altro tornai a terra, mi tolsi il mantello, lo piegai e appoggiai sul tavolo, poi mi tolsi l’abito e ogni cosa che indossavo, li piegai ordinatamente e appoggiai accanto al mantello.
Gli occhi di Haruck rimasero freddi. Fino a sei mesi prima avrebbe salutato con entusiasmo questo mio comportamento. Ora non era più un uomo, ma una macchina per uccidere.
Completamente nuda, lo guardai fisso negli occhi mentre mi trasformavo in pasir, poi, sbattendo lentamente le ali per rimanere ferma in aria, gli dissi.
“Se essere tua moglie significa stare zitta mentre diventi un mostro senza cuore, Haruck, io mi prendo una pausa di riflessione da questo ingombrante ruolo. Ci rivedremo quando e se rinsavirai.”
Senza aggiungere altro, uscii volando dalla finestra.
Da lontano spiai la sua reazione. Il suo viso rimase privo d’espressione, come un automa salì le scale ed entrò in camera. Si accasciò sul letto, con ancora indosso l’alta uniforme.
Mi posai su un ramo nel frutteto che mi consentisse una buona visione di quello che accadeva dentro la casa.
Haruck rimase immobile per due giorni, immerso in un sonno catatonico che oramai mi era familiare. E per due giorni io rimasi su quel ramo, attenta a ogni movimento che proveniva dalla casa. Come pasir bastava un frutto per sfamarmi, e poi non avevo molto appetito, ero troppo preoccupata.
Finalmente Haruck si svegliò, e si tolse il manto da cerimonia. Scese le scale con passo lento, guardando le mie vesti. Si tolse il Fantasma Vermiglio, uscì dalla casa e si diresse alla bassa costruzione che ospitava i posatoi.
Di fronte ai posatoi, allargò le braccia sorridendo. I pasir si levarono in volo e si posarono sulle sue spalle, poi lungo tutte le braccia.
Erano in perfetta armonia con lui! Era ancora un prediletto dei Misteri!
Qualcosa non quadrava.
Haruck rientrò in casa. Sopra alle vesti c’era il mio medaglione, con il simbolo degli adepti ai Misteri, che avevo scordato nella mia collera e indignazione.
Prese in mano il medaglione, passò il dito indice sul bordo dello stesso per tre volte in senso orario. Il medaglione s’illuminò, e i simboli in rilievo su di esso risplendettero.
“Fera, non c’è tempo per lunghe spiegazioni” disse mentre il medaglione inviava l’immagine del suo volto preoccupato nella mia mente, e la sua voce calma, ma incrinata dall’emozione rimbombava nelle mie tempie.
“Qualsiasi cosa accada non tornare in questa casa se non in forma di predatore notturno fra una settimana. Solo allora riprenderai il tuo medaglione, ma t’imploro, non portar via nient’altro di personale, neppure i pettini. Ho istruito i pasir per fare il maggior fracasso possibile quando verrai, così i veghiani penseranno a una bestia affamata.”.
“I Veghiani? Cosa c’entrano i veghiani?” pensai. Haruck continuò.
“Non avvicinarti più a me, per nessun motivo, mai più. E, per le stelle compagne, trasformati in un animale che non sia un pasir, cambia forma spesso, ma mai un pasir! Rimani in forma animale finché la guerra non sarà finita, non fidarti di alcuno, né su Delta né altrove …
Non tentare di raggiungere la tua stirpe, rimani nascosta su Delta. Un grave pericolo ti minaccia, devi essere prudente!”.
Improvvisamente mi sentii osservata, e alzando lo sguardo vidi che Haruck mi stava guardando. Un latrato risuonò lontano.
La voce di Haruck era calma, ma udendo quel latrato, spalancò gli occhi in uno sguardo atterrito, e di nuovo tramite il medaglione comunicò con la mia mente.
“Fera, mia Fera, so che sei il pasir sull’albero di moramele … cambia forma, immediatamente! Fai presto Delta Minore, sei in pericolo!”.
Gli obbedii. Le piume grigie e azzurre svanirono in un minuscolo turbine, e poco dopo, al posto del pasir, un sibari nero dagli occhi gialli si leccava le zampe, mollemente adagiato su alcune piume di pasir.
Haruck passò di nuovo il dito sul bordo del medaglione per tre volte in senso antiorario. Il medaglione tornò a essere una spessa lamina d’oro istoriata. Accertatosi che lo seguissi con lo sguardo, andò in cucina e gettò il medaglione nel barattolo della semola, si assicurò che fosse ben nascosto e badando che vedessi bene il meccanismo d’apertura, pose il barattolo in un doppio fondo della credenza, mettendo sul ripiano un altro barattolo di semola.
Poi prese le mie vesti, le cacciò in un secchio e lo calò con una corda in una botola segreta del pavimento.
La mia attenzione fu attratta da due chiatte gravitazionali, una sorta di mezzo di terra adatto a trasportare merci e persone. Entrambe si avvicinavano alla massima velocità, e si fermarono nel nostro cortile.
Haruck indossò lesto il Fantasma Vermiglio, sorrise rapidamente al sibari sull’albero, poi la sua faccia assunse la smorfia altezzosa e crudele delle ultime settimane.
Sulla prima chiatta gravitazionale c’erano il suo superiore diretto, l’ambasciatore veghiano - un medico tristemente noto per i suoi esperimenti sui prigionieri di guerra - e un manipolo di soldati armati fino ai denti.
“Comandante Hydiris!”
“Signorsì, Signore!”, rispose l’interpellato sbattendo i tacchi e mettendosi sull’attenti.
“Siamo venuti a prendere vostra moglie. Dovrà rispondere della scomparsa delle astronavi Misteriche dai radar veghiani. Inoltre dovrà mettersi al servizio delle armate congiunte di Vega e Delta!”.
“E’ fuggita, Signore!” rispose rimettendosi sull’attenti.
“Fuggita? E com’è possibile?”
“Mi ha drogato, ho dormito per due giorni e al mio risveglio era sparita!”
“Frugate la casa!” disse l’ambasciatore veghiano ai soldati. Solo allora mi accorsi che i soldati erano veghiani, e non deltis.
Frugarono la casa, senza approdare a nulla.
Dopo aver frugato per ore, furono costretti ad andarsene, con gran dispetto dell’ambasciatore di Vega.
A Haruck rimaneva solo più un giorno di licenza, e lo trascorse svolgendo le solite attività. Nutrì i pasir e li liberò, in modo potessero provvedere da soli al proprio sostentamento, e chiuse gli accessi ai posatoi.
Nel cuore della notte scomparve nella botola del pavimento, con un pacco sotto il braccio.
Il sibari è un predatore notturno dall’udito sopraffino. Mi bastò seguire i deboli rumori che Haruck produceva, e per gli occhi gialli del felino, la notte era chiara come il giorno.
Da una tana abbandonata entrai nel sottosuolo. La botola dava su un lago sotterraneo, che proprio sotto di essa, formava una piscina naturale dove l’acqua era bassa. Il secchio era lì.
Haruck si spogliò e si tuffò nel lago. Nuotò per qualche tempo, quasi compisse un rituale. Uscì dall’acqua, e si diresse verso il secchio. Tirò fuori i miei indumenti, vi sprofondò il volto, stringendoli a sé spasmodicamente. Poi li piegò ordinatamente, ne formò una pila che coprì con il secchio capovolto.
Aprì l’involto che aveva portato con sé. Conteneva una diafana, le tute antiradiazioni sottilissime che erano l’unica protezione che poteva essere indossata da Haruck e i suoi commilitoni durante i viaggi spaziali. Iniziò a indossarla, e allora mi resi conto che questa diafana era diversa … era rinforzata … si preparava a lasciare Delta per sempre!
Infine indossò il Fantasma Vermiglio e risalì le scale che portavano alla botola.
Ero stata cieca di nuovo! Il Gran Custode mi sopravvalutava, non meritavo certo il riconoscimento della sapienza superiore!
Mi aveva di nuovo salvato la vita, sottraendomi alle grinfie dei veghiani …
Seguii per filo e per segno le sue istruzioni. Cambiai forma spesso, e la notte stabilita entrai in casa per prendere il medaglione, apparentemente seguendo i pasir che, al mio apparire, erano entrati dall’abbaino. Per rendere il tutto più verosimile, fracassai non solo il vaso della semola, ma misi a soqquadro l’intera cucina, in modo che fosse evidente il passaggio di un animale in cerca di cibo.
Poi lasciai la casa, entrai nella grotta dalla tana, tornai umana e indossai la biancheria intima e l’abito, lasciando il mantello sotto il secchio.
Ricorrendo ai Misteri cambiai il mio aspetto, la foggia e colore della veste, lasciai la grotta da un ingresso secondario che avevo scoperto durante le mie esplorazioni in forma animale e mi recai alla Grotta della Folgore.
Avevo seguito le istruzioni di Haruck alla lettera, finora.
Su un punto, però, non avevo la minima intenzione di dargli ascolto.
Indossai una tuta per i viaggi spaziali, prelevai del denaro, e usando una pallaporta, un generatore di forma sferica di portali a corto raggio, mi trasferii sull’altro emisfero di Delta, in una zona adibita ai servizi cargo per le truppe.
Presi un’astronave monoposto, facendo comparire tra le mani dell’attonito proprietario denaro pari al suo valore, e sparii dagli schermi radar e dalla vista di tutti.


il seguito a giovedì prossimo, buona lettura!
 
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Grande Blu
view post Posted on 2/12/2010, 20:16     +1   -1




Ecco il seguito:

Mi aveva detto di non avvicinarmi più a lui … ed io lo avrei seguito da lontano.
Sapevo che la peculiare struttura cellulare di noi deltis, la stessa che permetteva alla mia stirpe di cambiare aspetto o trasformarci in animali avrebbe attirato l’attenzione dei veghiani, e non mi stupii quando il Ministro Zouril si mise a cercare volontari fra gli abitanti del mio pianeta. Tuttavia non immaginavo che Haruck si sarebbe offerto volontario per il progetto e sottoposto all’irradiamento volto a miniaturizzarlo per inviarlo in missione sulla Terra.
Assistetti, grazie alla manipolazione dei Misteri, a ogni fase dell’operazione. Infine vidi Haruck entrare nel laboratorio per sottoporsi al trattamento finale, avvolto nell’alta uniforme.
Quando il ministro gli offrì la realizzazione di una statua da porre su Delta, come riconoscimento per il proprio successo, Haruck chiese che fosse messa in una piazza dove ci fossero molti pasir.
Il Ministro e il Comandante Supremo Gandal si stupirono di quella richiesta.
Io sola sapevo il perché di una scelta tanto insolita.
Bisognava tornare indietro di due anni, nella nostra casa su Delta. Pensavo a cosa indossare per la cerimonia in cui sarebbe stato insignito di Delta Maggiore con doppio nastro, e come ogni donna che deve vestirsi per un’occasione importante, rivoltavo l’armadio.
Avevo già scelto l’intimo: un completino che per me aveva un significato speciale. Haruck me lo aveva regalato per il nostro primo anniversario, e aveva fatto creare un decoro composto di un anello, che aveva dentro, fermata da due piccole saldature, una perfetta riproduzione, in metallo e cristalli colorati, di una piuma di pasir. Tre anelli in tutto, uno al centro del reggiseno e due ai lati dello slip. Mancava solo un abito in tinta …
Quando avevo recuperato i miei vestiti nella grotta sotto la nostra casa, avevo notato che le piume di pasir erano state staccate dagli anelli.
Dal modo di stringere la mano guantata, mentre si toglieva il mantello per sottoporsi al procedimento di miniaturizzazione, affermando ridendo che i pasir gli erano molto simpatici, mi parve chiaro che aveva nascosto le tre piume nel Fantasma Vermiglio, perché erano abbastanza piccole da permettergli d’indossare il guanto senza fastidio.
Haruck soffrì moltissimo durante il procedimento di riduzione biologica, e limitarmi a guardare fu per me una sofferenza ancor più grande …
La Terra … una gemma blu che Vega il Macellaio voleva per la sua collana, e sarebbe stata sua se fosse riuscito a distruggere Grendizer, l’unico ostacolo che si frapponeva ai suoi sogni di conquista.
Perché miniaturizzare Haruck?
Ebbi presto la mia risposta. Haruck non solo era stato miniaturizzato, ma reso in tutto e per tutto simile a un bambino terrestre.
In preda ad un presentimento, mi recai anch’io sul pianeta Terra. Provai un tuffo al cuore quando vidi la trasformazione di Haruck, ancor più quando lo vidi nutrire un piccione, animale molto simile al nostro pasir.
Piccioni, pasir ... cosa sono i nomi in fondo? Definizioni diverse per realtà spesso simili.
Il piccione mangiava senza paura dalle sue mani, esattamente come i pasir del nostro allevamento.
Haruck si voltò al sopraggiungere di un bambino terrestre dagli occhi e capelli scuri. Dal suo viso mutato dalla trasformazione, non trasparì nessuna emozione … ma io non potei evitare di pensare che, se non ci fosse piombata addosso questa folle guerra, nostro figlio o figlia avrebbe avuto solo di un paio d’anni in meno rispetto al bambino terrestre.
Rimesso il piccione nella gabbia, si allontanò con la solita andatura marziale, che neppure la miniaturizzazione poteva attenuare.
Haruo Hideura … sorrisi quando, manipolando l’azoto dell’atmosfera in modo che mi trasmettesse ogni suono con la massima fedeltà, sentii la maestra pronunciare quel nome terrestre … non c’era molta differenza rispetto al nome vero, Haruck Hydiris …
Quella gentile donna terrestre, pensando che Haruo abitava poco lontano dalla fattoria di Goro Makiba, lo condusse accanto al bambino che avevo visto quella mattina, e come prima aveva esortato tutti i bambini a fare amicizia con lui, ora esortò Goro a essere un buon amico per il nuovo arrivato.
Dopo un attimo d’imbarazzo Goro salutò e ringraziò Haruo per aver sfamato il piccione quella mattina … Haruo sorrise, ed era un sorriso spontaneo, non parte dell’inganno di Zouril, e quando il piccolo gli propose di essere amici, afferrò la sua mano.
Non pensò alla differenza di temperatura corporea fra gli abitanti di Delta, riscaldato da una stella blu e la Terra riscaldata da una stella gialla, e neppure che il piccolo avrebbe sentito la sua mano come fredda e viscida …
Quel bambino evidentemente gli era simpatico … e mi chiesi se anche lui non stesse pensando che avremmo potuto avere un figlio solo di un paio d’anni più piccolo.
Seguii tutta la sua operazione sotto copertura … manipolai l’ossigeno dell’atmosfera, in modo che mi riflettesse, come una lente, anche a grande distanza, ogni azione di Haruck …
Vidi la sua faccia sconvolta quando il ministro Zouril gli suggerì di servirsi del piccione per spiare il centro spaziale, e quando scese nei dettagli, proponendo di trasformare il piccione in un robot al suo servizio, vidi la sua collera repressa … avrebbe strozzato Zouril se solo lo avesse avuto tra le mani.
Buon segno, buon segno … evidentemente al mio obbediente soldatino gli ordini dei veghiani cominciavano ad andare stretti …
Tentò in tutti i modi di sottrarsi a quell’ordine, affermando che lo scopo principale era distruggere Grendizer, e il Centro di Ricerche Spaziali poteva essere facilmente distrutto da un mostro guerriero inviato allo scopo …
E, con mia enorme sorpresa, pregò Zouril di risparmiargli quel compito, sostenendo che il loro scopo era di eliminare Grendizer, e per questo potevano inviare un mostro galattico!
Zouril fu irremovibile. Prima di attaccare Grendizer dovevano scoprire il suo nascondiglio.
Vidi Haruck piegato a terra, tenersi la testa fra le mani, lacerato da quell’ordine ineluttabile, al quale non poté sottrarsi.
Dovette uccidere il piccione, e inserire nel suo corpo una sottile bacchetta … essa era il cuore di una ricercata tecnologia cibernetica, conoscenza esclusiva del nostro pianeta, che senza ledere organi e tessuti, attivava in qualsiasi corpo privo di vita connessioni meccaniche che si fondevano con il sistema nervoso dell’ospite, rendendolo, di fatto, un robot, ma nell’apparenza e nei comportamenti, indistinguibile da un essere vivente …
Quando Goro, recatosi il mattino dopo a nutrire il piccione, trovò la gabbia vuota, gli altri bambini ebbero dei sospetti, e affrontarono Haruo … ma il piccolo Goro prese le sue difese, addirittura scusandosi con lui.
Lealtà. Forse l’ultima virtù guerriera che poteva ancora fare appello al suo cuore.
Infatti, Haruo si alzò, e senza dire una parola abbandonò la classe correndo. Sapevo bene che, quando agiva così, qualcosa lo tormentava. Allora aveva bisogno di correre, lanciato a quella velocità incredibile che solo il suo clan poteva raggiungere.
Tuttavia la lealtà di Goro non era abbastanza da farlo ribellare agli ordini.

Buona lettura, a giovedi prossimo!
 
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Grande Blu
view post Posted on 9/12/2010, 17:22     +1   -1




Ecco qua il seguito ...

Vidi il piccione modificato partire dalla capanna, situata su una zona brulla piena di alberi morti, e andare a posarsi sul tetto del Centro Spaziale.
Haruck fece rapporto. Gli fu annunciato l’invio di un mostro spaziale. Dalle vibrazioni del campo gravitazionale della Luna scoprii che il mostro si chiamava Delta … a volte i Misteri sembrano farsi beffe del nostro piccolo intelletto …
Improvvisamente il piccione non trasmise più. Haruck si piegò in due sul pavimento per le fitte di dolore, chiaro segno che il periodo di miniaturizzazione stava per terminare.
Intanto Goro si avvicinava alla capanna … vidi un doloroso stupore nei suoi occhi quando, quasi davanti alla soglia, trovò alcune piume di piccione. Il segnalatore di movimento e calore emise il suo insistente bip-bip, e Haruck, come nella sua indole, andò ad affrontare a faccia a faccia l’intruso, aprendo la porta con tale vigore che gettò a terra il povero Goro che stava discretamente spiando l’interno tramite un buco in una trave …
Al piccolo terrestre certo il coraggio non mancava … affrontò Haruck chiedendogli il motivo dell’uccisione del piccione. Haruck soffriva, ed era sincero, quando gli disse se gli avesse spiegato il motivo, non avrebbe potuto capire … quando il bimbo gli porse un’ocarina a forma di piccione, che gli aveva portato per dimostrargli che era sempre suo amico, il mio cuore ebbe un tuffo. E quando gli disse che non doveva spiegargli nulla, se proprio non se la sentiva, che doveva aver avuto un buon motivo, sentii i miei occhi inumidirsi di lacrime.
Anche Haruck era commosso, perché non riusciva a guardare in faccia Goro. Il dolore si fece più intenso, e spingendo via in malo modo il bimbo che cercava di soccorrerlo, gli disse che non sarebbe dovuto andare da lui e sarebbe stato opportuno si fosse scelto un altro amico, che lui non poteva essergli amico, e che ora avrebbe visto cosa era in realtà. Non lo avrebbe più lasciato andare via …
Di fronte ad un piccolo terrestre spaventato, Haruck riprese le sue sembianze.
Si presentò, dicendo al bimbo terrorizzato chi era e il suo pianeta di provenienza, aggiungendo che Goro era stato così buono con lui, che gli dispiaceva ucciderlo.
Al tempo, mio distruttivo gigante … a costo di dare fondo a tutte le mie facoltà di manipolazione del Mistero, non ti permetterò di torcergli un solo capello …
Haruck stava dicendo a Goro che avendo scoperto la sua vera identità, non gli avrebbe permesso di andare via.
Lo sollevò con una mano per i vestiti, mentre il piccolo si dimenava. Era arrivato il momento d’intervenire.
Usando l’azoto dell’atmosfera terrestre per trasmettere i suoni direttamente all’interno del suo orecchio, gli feci udire la mia voce.
“Haruck …” Egli si bloccò con il braccio sollevato, mentre il piccolo continuava a dimenarsi e a ordinargli di lasciarlo.
“È piccolo ma coraggioso, merita il tuo rispetto. E la tua benevolenza.”
Avrei potuto ordinargli di posare il bambino a terra, di lasciarlo andare … ma essere una praticante dei Misteri m’impediva d’imporre la mia volontà agli altri, anche se ne avevo piena facoltà.
Haruck portò Goro nella capanna, e lo legò ben stretto – badando tuttavia a non fargli male - a uno dei pali di sostegno.
Nonostante la sorpresa, il piccolo terrestre non aveva perso nulla del suo spirito combattivo, e cercava in ogni modo di sciogliersi dai nodi …
Bene, molto bene … il coraggio del piccolo terrestre gli avrebbe salvato la vita. Nella stirpe guerriera il coraggio, soprattutto in brutte situazioni, a disparità di forze in campo, era considerato il segno distintivo degli eroi che sarebbero entrati nella leggenda.

Ogni tentativo di prendere contatto con il robot spia fu inutile. Ad aggiungere beffa al danno, Zouril strepitò dal comunicatore, dando a Haruck dell’incapace, la notizia che Grendizer era entrato in azione.
Haruck lo ascoltò a spalle curve, stanco, e quando il Ministro infuriato gli disse che distruggere Grendizer era la sua unica possibilità di riscatto, egli parve sollevato, dicendogli che era il compito che preferiva.
Un dubbio si affacciò insistente alla mia mente, lo stesso che avevo avuto quando si era offerto volontario per il progetto di Zouril … che stesse cercando la morte?
Non era quello, purtroppo, il momento per pensarci. Lo sguardo crudele che Haruck lanciò a Goro fu tale che mi gelò il sangue. Goro capì, e gli disse che allora lo voleva proprio uccidere.
Era il momento che aspettavo per agire.
Quando Haruck, con aria turbata avvolse Goro e le corde che lo imprigionavano nella catena di graniacciaio, dicendogli che era costretto a farlo, era la sua missione, comunicai con Goro.
“Chiedigli del piccione. Allora non è vero che gli piacevano”.
Haruck cominciò a stringere la catena, ma senza convinzione. Lo avevo visto usare quell’arma in allenamento, quindi sapevo che non faceva sul serio. Buon segno.
Difatti Goro aveva ancora fiato per parlare, e per porre la domanda che gli avevo suggerito.
Nondimeno quando Haruck rispose “no, è la verità, almeno allora era la verità” senza accennare a sciogliere la stretta mortale, capii che dovevo giocare il tutto per tutto. E barare.
Avrei chiesto perdono ai Misteri più tardi.
Usando tutti gli elementi dell’atmosfera terrestre, non solo azoto e ossigeno, ma anche idrogeno e argon, avrei proiettato un ricordo della mia mente davanti agli occhi di Haruck. E non avrebbe solo visto e udito, ma anche percepito con gli altri sensi.
In un istante, Haruck rivisse un istante della nostra intimità, rivide il mio viso a pochi centimetri del suo, mentre gli sorridevo a occhi semichiusi, sentì il mio profumo, il rumore del vento fuori dalla finestra, le mie mani che lo carezzavano e il gusto di una bacca di spinarosa che avevo prelevato da una coppa e gli avevo posto in bocca.
Una coppa di bacche di spinarosa e ghiaccio era posta nella camera degli sposi la prima notte di nozze.
Il ricordo svanì, e davanti a Haruck ci fu solo Goro che lo guardava a occhi spalancati per il terrore, ma che con coraggio gli chiedeva, anzi gli comandava di dirgli perché aveva ucciso il piccione.
Haruck finalmente sciolse la stretta e si rialzò. Le mani gli tremavano mentre raccontava al bambino che allevava piccioni sul suo pianeta, ma che la guerra aveva cambiato tutto quanto. Senza la guerra avrebbe potuto continuare ad allevare piccioni, ma prima di rendersi conto si era trasformato in un essere privo di scrupoli, pronto a uccidere senza esitazione. Aveva trasformato i pasir deceduti di morte naturale dell’allevamento o quelli morti nelle foreste della tenuta in robot-bomba e li aveva lanciati contro le astronavi nemiche. Gli raccontò la farsa dell’essere stato chiamato eroe e dell’esser perfino stato decorato.
Sorrisi mestamente ricordando quella cerimonia.
Improvvisamente Haruck era di nuovo preda della collera, disprezzando la propria debolezza, e avvolse con la catena il palo, proprio una decina di centimetri sopra la testa di Goro.
Allora ordinai ai muscoli della mano di Goro di rilassarsi. L’ocarina a forma di piccione che il piccolo teneva in pugno cadde sul pavimento, ed io pilotai la sua caduta perché cadesse proprio davanti ad Haruck.
Avevo barato ancora.
Haruck guardò l’oggetto a occhi spalancati. Aveva l’espressione sbigottita di chi si sveglia improvvisamente da un incubo.
Feci in modo che il segnale di autodistruzione dell’avamposto entrasse in azione.
“Haruck, liberalo, ti prego … non è un guerriero, e non è neppure un adulto. Fallo tornare dai suoi genitori.” Feci di nuovo risuonare la mia voce nel suo orecchio.
Haruck avvolse il piccolo con la catena per l’ennesima volta.
Guardò con apprensione il segnale d’allarme.
Stavo preparando una contromossa, quando il suo viso si torse in una smorfia d’orrore.
“Non posso farlo, mi ripugna …” disse, e afferrato un pugnale, tagliò le corde che imprigionavano il bambino.
Goro lo guardò stupito. Il volto di Haruck era madido di sudore. Gli intimò di andarsene, perché quel segnale indicava che di lì a pochi minuti la capanna sarebbe esplosa.
“Corri, piccolo, non temere … qualcuno verrà a prenderti”, feci di nuovo risuonare la mia voce, questa volta nell’orecchio di Goro. All’insaputa di tutti avevo guidato sua sorella verso la capanna.
Haruck sollevò l’ocarina dal pavimento. Richiamò Goro, poi prese l’ocarina e la strinse con la mano guantata.
“Buona fortuna, amico mio!” disse.
Respirai di nuovo a pieni polmoni, dopo tanto tempo.
Hikaru arrivò nell’istante successivo all’esplosione della capanna e lo chiamò. Goro vedendola corse ad abbracciarla.
Sorrisi. Sapevo tutto di loro.
Toccai il mio medaglione, mentre le mie corna s’illuminavano:
“Misteri eterni, custodite queste vite ancora in boccio. Fate che tornino sani e salvi dal loro padre, e proteggeteli per il tempo a venire.”.
Il cavallo che Hikaru aveva portato con sé nitrì, spaventato dall’improvviso comparire di Haruck che ignorando i due corse al punto di recupero. Delta lo prelevò.
Intanto Grendizer sopraggiungeva.
Una volta sul disco, Haruck attivò i poteri del suo corno anteriore, che s’illuminò. Il comunicatore esterno entrò in funzione senza bisogno di toccarlo. Disse al pilota di Grendizer che aveva permesso a Goro di mettersi in salvo, e lo sfidò apertamente a battersi con lui.
“Hai detto la verità. Sono pronto. Posso sapere il tuo nome?”
Haruck si presentò. Secondo quanto stabilito dalle regole universali d’ingaggio, questo sanciva l’inizio dello scontro.
Con le braccia conserte, osservavo ogni movimento dei due.
I due mezzi meccanici si scagliarono uno contro l’altro. Iniziò una danza selvaggia di attacchi e parate, di cui non m’importava nulla. La mia attenzione era per i piloti, non per le armi.
Haruck sfidò Grendizer a uno scontro ravvicinato. Era il suo stile. Si combatteva sul serio solo quando si rischiava il tutto per tutto.
Lo amavo anche per questo suo coraggio … sebbene ogni volta rischiasse di lasciarmi vedova.

A giovedì prossimo per la conclusione!
 
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Grande Blu
view post Posted on 16/12/2010, 17:45     +1   -1




Ecco l'ultimo capitolo del mio racconto ... preparatevi ad una conclusione assolutamente inaspettata ... pronti per conoscerla?

Aveva trovato un avversario davvero degno di lui. Uno che aveva saputo distruggere le corazze protettive di quell’enorme melizi – animale molto simile al pipistrello terrestre – solo che, al posto degli artigli acuminati che il melizi aveva alla seconda articolazione delle ali per arrampicarsi sui tronchi lisci degli alberi in cerca di larve sotto la corteccia, aveva due orrende falci con catena.
Il pilota di Grendizer era giovane, e malgrado il suo valore, ben presto si trovò in difficoltà di fronte ad un veterano come Haruck. E quindi non gli restò che ricorrere all’astuzia.
“Non può essere un eroe chi uccide i piccioni!” gli gridò mentre era imprigionato nel mortale attacco delle falci fiammeggianti di Delta.
Haruck perse la concentrazione e sospese l’attacco.
Era il momento che il pilota nemico stava aspettando per far contrattaccare il suo Grendizer.
L’azione fu fulminea, e il mostro Delta si trovò distrutto proprio nel momento in cui Haruck credeva di aver vinto.
Io ero pronta.
“Corona”, ordinai.
Haruck vide nella sua mente dei piccioni in volo.
L’alabarda spaziale finì la sua opera, sventrando completamente Delta e tornò al suo proprietario, che vide esplodere il robot.
Il pilota di Grendizer sollevò la visiera per rendere omaggio, secondo le regole del duello universale al nemico caduto, dicendo fra sé e sé: “Quell’essere amava realmente i piccioni. Chiunque ama gli animali non può essere tanto malvagio. Mi dispiace di essere stato costretto a battermi con lui.”.
Chiuse gli occhi e chinò la testa in segno di saluto. Poi voltò il robot e ammirò un volo di piccioni selvatici.
Sorrisi. Leggere nella mente di quel giovane mi aveva mostrato che, nonostante le brutture della guerra, la sua indole non si era guastata e conosceva il valore del rispetto. Questo lo rendeva degno della mia benevolenza.
“Fe … Fera? Ma com’è possibile?”. Disse una voce pigolante alle mie spalle.
“Ben trovato, vita mia, ” dissi voltandomi. Una sfera d’energia di un bianco abbagliante, con riflessi colorati stava lentamente sopraggiungendo. Al suo interno, c’era un pasir.
Volsi lo sguardo al cielo. “Grazie, Stella Sol.” Dissi inchinandomi verso il Sole.
In quello stesso istante, la sfera mi raggiunse, si dissolse e depositò il suo contenuto nelle mie mani.
“Cosa?” disse il pasir.
“Ho appena ringraziato la stella di questo pianeta. È una stella nana, proprio come il nostro sole, ed è stata molto buona con noi … secondo me esiste una sorta di sorellanza fra le stelle nane … devo parlarne al Gran Custode.”, dissi al pasir.
“Cosa ci fai qui Fera? Ti avevo detto di non avvicinarti più a me!” Il pasir si drizzò sulle zampe, poi incominciò a svolazzare. Finalmente consapevole della sua metamorfosi, mi disse sbigottito:
“Cosa mi è successo?”
Lo afferrai come lui stesso mi aveva insegnato anni prima.
“Haruck, mio caro, non hai nulla di che lamentarti. Non mi sono mai avvicinata a te prima di questo istante. Riguardo alla tua metamorfosi, i Misteri ti hanno trasformato nell’ultima cosa cui stavi pensando quando ho ordinato il rito … e ti hanno condotto a me. Se non erro stavi pensando a dei pasir in volo, pochi istanti prima che il robot Delta esplodesse, no?”.
Haruck si posò sulle mie mani, e rimase per alcuni secondi con il becco spalancato.
“Sì.” Ammise, e volò sulla mia spalla.
“Non temere, ” dissi voltando la testa verso di lui. “non è per sempre. Giusto il tempo di raggiungere la mia stirpe. Il Gran Custode ha molta stima di te, ” alzai un dito e glielo porsi. Egli ci si aggrappò. “I Misteri sanno che non volevi nuocere al piccione terrestre, e come ti sei opposto a Zouril. Il piccione ti ha perdonato.” Mentre parlavo, cercavo qualcosa con lo sguardo. La trovai, e sorrisi.
“Comunicazione sottile”, ordinai.
L’immagine semitrasparente di un piccione si materializzò proprio nell’ultimo punto in cui stavo guardando. Tesi l’altra mano, ed egli ci volò sopra e si aggrappò a un dito. Lo avvicinai a Haruck. Il piccione tubava, e gli occhi di Haruck erano spalancati. Poi svanì.
“Mi ha perdonato davvero …” disse Haruck sbigottito.
Poi ripiombò nel silenzio. Non sapendo bene cosa fare continuai a parlare, mentre mi dirigevo verso l’astronave monoposto.
“Ferafel …” mi disse all’improvviso.
Ahi, quando mi chiamava con il nome completo, c’era qualcosa di serio nell’aria.
“Sì, caro?”
“Senza infrangere i tuoi giuramenti, puoi dirmi l’età approssimativa del pilota di Grendizer? Si vedeva che era stato ben addestrato, era lucido, freddo, ma non era un soldato di mestiere. E poi i tempi di reazione …”
“Non ha ancora vent’anni, Haruck.”
Gli occhi del pasir si spalancarono, e iniziò a sbattere le ali.
“Ora capisco quegli ordini assurdi … mirare a qualsiasi soggetto dai quindici ai settant’anni! Come, come ho potuto essere così cieco!”
Svolazzò davanti al mio viso, obbligandomi a fermarmi.
“Tu lo avevi capito! Hai cercato di avvertirmi! Ed io stolto, non ti ho ascoltato!”
Si posò sulle mie mani aperte.
“Sono solo uno sciocco soldato che non ha voluto credere che i superiori potessero essere tanto meschini!”
Lo presi delicatamente fra le mani, e mi diressi correndo verso l’astronave monoposto, stringendolo al petto.
“Ho trascinato in guerra dei ragazzini …” disse con un pigolio soffocato.
Lo conoscevo bene, sapevo che stava piangendo, in silenzio, appoggiato a me, il capo nascosto sotto l’ala.
Giunta all’astronave e salita a bordo, la attivai mentalmente.
“Miraggio, ” ordinai.
Invisibili a tutti, ci allontanammo dalla Terra. Mi appoggiai comoda allo schienale e chiusi gli occhi, continuando a tenere Haruck fra le mani.
Non so per quanto tempo rimanemmo così. Poi, sentii che il suo respiro era tornato regolare, ma rimasi con gli occhi chiusi, aspettando che recuperasse la solita sicurezza.
“Fera?”
“Sì, tesoro?”
“Ecco … fino a che punto arrivano i tuoi poteri?”
Questa volta fui io a guardarlo a bocca aperta per alcuni istanti, poi risposi.
“Non li ho mai misurati, a dire il vero.”
“Puoi proteggerli Ferafel? I ragazzini che io e i miei commilitoni abbiamo stoltamente trascinato in questa guerra! Affronterò qualsiasi pena Misteri riterranno commisurata alla mia colpa!” Mentre diceva questo, Haruck sbatteva le ali, finche non iniziai a carezzargli il dorso.
“Ti dirò che stavo pensando anch’io a quei ragazzi. Riguardo al resto, quando avremo raggiunto il Gran Custode, rimetteremo la cosa nelle sue mani. Ora vediamo cosa posso fare.”
Materializzai un piccolo posatoio accanto al quadro comandi, e Haruck vi prese posto.
Invocai la materia oscura, costituente invisibile a occhio nudo del nostro universo, nonostante ne costituisca l’83 per cento della massa. Ben presto fu come se un velo scuro mi coprisse.
Pensai a tutti i ragazzi che, nell’intero universo, primo fra tutti il principe Duke Fleed, erano coinvolti nella guerra d’espansione di Vega.
Pronunciai mentalmente la formula del rito, poi aprii gli occhi e il velo si dissolse.
Nessun Misterico aveva tentato tanto prima d’ora. Sorrisi a Haruck,
“Vieni qua, ” gli dissi. Egli svolazzò fino a raggiungere le mie mani.
“Sono custoditi dai Misteri, ora. Non posso rivelarti altro.”
Haruck volò sulla mia spalla, e si aggrappò alla tuta, esattamente come avrebbe fatto un pasir domestico.
Presi in mano la barra di volo e iniziai a cercare le tracce eteriche che ci avrebbero condotto alla mia stirpe.
 
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Grande Blu
view post Posted on 23/12/2011, 20:34     +1   -1




Miei carissimi amici, permettetemi questo piccolo pensiero per Natale...
Non il romanzo Re Tagliente, che comunque procede... ma il racconto che è stato pubblicato nella raccolta ROBO.ITA.01, edito dalla Scudo Edizioni:

www.edizioniscudo.it

Spero vi piaccia, e vi giungano con esso i miei più sentiti auguri di Buon Natale a tutti voi!

Ognitempo
Di Grande Blu

<<maresciallo, la prego… Non può rilasciare Malvolio!>>
<<mi dispiace, dottoressa. Non esistono prove che furto della Pala di San Marco del Botticelli sia stato commissionato da lui.>>
Sabina Di Barolo, nota esperta d’arte, consulente civile presso il Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale serrò le labbra con disappunto. Far condannare uno dei maggiori trafficanti illegali del secolo sarebbe stato un bel colpo.
<<capisco. Devo restituire il Guardian.art2061-X20?>>
<<ma no, Dottoressa, cosa dice…>> il maresciallo Gualtieri si passò nervosamente una mano sulla nuca. << lei è pienamente accreditata… e poi con il Guardian.art2061-X20 è una di noi!>> concluse l’ufficiale.

<oltreché esser rintracciabile in ogni momento...

<<per ora, non si può fare altro.>> proseguì l’uomo, dirigendosi verso la porta del suo ufficio. <<se ci saranno sviluppi, la avvertiremo immediatamente.>>
<<buonasera, Maresciallo.>> sospirò la donna. <<vieni, Ognitempo.>> disse al robot che fino a quel momento era rimasto immobile, quasi fosse una scultura post-postmoderna.
<<scusi, Dottoressa… ma volevo chiederglielo da un po’… perché l’ha chiamato così?>>
<<ho preso il nome dal Cantico delle Creature. Mi sembrava ideale per la mia ombra robotica>> Così dicendo toccò gentilmente il robot che si era fermato al suo fianco.
<<ognitempo… nome stravagante per un vanto della robotica italiana, interamente costruito in Italia ed esportato ovunque!>> aggiunse Gualtieri allegramente.
<<ecco perché un nome inglese…>> rispose l’esperta <<guardian.art, guardiano dell’arte…>>
<< Infatti può riconoscere qualsiasi opera d’arte esistente, e distinguerla da eventuali falsi. La serie 2061 è la più avanzata, prodotta proprio per il bicentenario.>>
<< Mi hanno detto che la classe X ha un’A.I. evolutiva, ossia apprende in base alle esperienze... lo stesso principio dell’intelligenza umana.>>


<< brava! Sa anche a cosa corrisponde la matricola 20? >>
<<al modello con movimento a quattro eliche, davvero silenzioso e versatile.>>
<<promossa! Arrivederla, dottoressa.>> le strinse la mano e apri la porta.
Salita in ascensore, Sabina si voltò a guardare il suo compagno meccanico e sorrise. Una trottola di un metro e settanta di altezza per un metro di diametro. Il progettista si era ispirato per la forma al distintivo dei poliziotti americani delle vecchie serie TV, almeno così le avevano detto. Nella parte superiore, al centro, c’era un cono di metallo… una testa piuttosto rozza, invero. Avevano sagomato la lamiera con due fori triangolari obliqui che avrebbero dovuto rappresentare gli occhi e un’ampia fessura rettangolare che avrebbe dovuto essere la bocca. Quando il robot era spento o in stand-by questi elementi erano grigio scuro, ma come si accendeva gli occhi assumevano vari colori, e la linea di pixel luminosi nello spazio destinato alla bocca poteva assumere alcune espressioni standard: curva giù, curva su, dritta.
Il suo alleato nella lotta contro il traffico illegale d’arte.
Il taxi li aspettava per portarli a teatro.
<<ci andiamo lo stesso, Sabina?>> la voce metallica del robot la distolse dai suoi pensieri.
<<certo, Ognitempo. È un nuovo allestimento del Nabucco, creato per il bicentenario. Un evento unico. Voglio che tu veda da dove veniamo, e una parte di quello che difendiamo. L’arte, fortunatamente, ha anche aspetti intangibili. E quelli non li possono rubare.>>
La CPU di Ognitempo iniziò la procedura. Un malfattore era sfuggito alla giustizia umana. Ora avrebbe sperimentato quella robotica.
Più tardi, nel buio del palco a loro riservato, una minima parte di CPU si abbandonò alle note di Verdi. Il restante si connetté wi-fi con tutti i Guardian.art in servizio al mondo. Sottopose loro il caso e tutte le prove, anche quelle più inconsistenti. I robot analizzarono tutto con scrupolo. Decisero all’unanimità per un verdetto di colpevolezza ed eseguirono la sentenza: ogni Guardian.art prese un aspetto della vita di Carlo Malvolio e lo cancellò con grande cura da ogni banca dati al mondo, in modo che non ne rimanesse neppure la minima traccia. I suoi beni furono liquidati e destinati a opere di carità.
I cantanti intonarono Cadran, cadranno i perfidi... proprio su quest’aria, Ognitempo eliminò l’atto di nascita, ottenendo come risposta:
Tutti i file anagrafici sono stati cancellati.
Soggetto Carl Malvolio inesistente.

Edited by Grande Blu - 30/12/2011, 18:04
 
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