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John Murdock's Fiction Gallery

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view post Posted on 1/10/2009, 11:40     +1   -1
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Ho dei pensieri che non condivido!

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TRA LE STELLE
Pat all’anagrafe faceva Guy Lemarchand. Quel suo alias non era l'abbreviazione di “Patrice”.
Era nato durante l’OYW in una colonia così periferica che del famoso conflitto i suoi residenti conobbero più il timore che l’orrore. Molti giovani locali erano partiti per il fronte terrestre, ma rientrando quasi tutti. E questo aveva convinto Pat di far parte di un Side speciale, e che se si fosse trovato nell’ambiente adatto alla sua “vera natura” ogni traccia residua di dabbenaggine sarebbe svanita. Tutta colpa di un paio di lezioni sulla Teoria dei NewType all’ultimo anno di scuola... Che certe cose fossero infatti solo il prodotto di leggi universali come la Statistica e la Fortuna, no, non lo tangeva proprio. Finché non fu l’ora di darsi da fare, e mille aspettative di gloria, e il suo Nobile Spirito, finirono in quel nomignolo. Patata.
Le selezioni attitudinali lo destinarono al supporto logistico, e i suoi tempi di adattamento alle operazioni a Gravità Ridotta risultarono più lunghi della media. Forse non era proprio vero che nascere nello spazio bastasse a far di te un Amuro Rei… Ai corsi di aggiornamento, però, si distinse sempre bene, inclusa la volta che a fargli da istruttore ci fu il famoso Astonage, uno che aveva dato del tu a gente come Quatro e lo stesso Amuro. Per questo gli si aprirono le porte, o meglio i ponti, della Haydn, un incrociatore federale che dicevano fosse la mitica Albion rimessa a nuovo. Incarico che gli fu prezioso due volte: nello spirito, spingendolo a dare il meglio per non disonorare un luogo che vide all’opera Nina e Moura nell’epico inseguimento a Delaz e Gatoh, e poi nel fisico, perché i Ponti di lancio erano così distanti che per raggiungere l’uno dall’altro si faceva delle gran sudate malgrado i classici nastri di scorrimento alle pareti.
E sulla Haydn trascorse 5 anni. A combattere. Disarmato. Combattere con lo spazio e col tempo. Trovando posto nella stiva di stoccaggio già ingombra di materiali e munizioni per altri materiali e munizioni; e assecondando quegli ufficiali che ti ordinavano di svolgere certi compiti nella metà del tempo di cui umanamente avevi bisogno. 65 voli, 22 battaglie, una media di 3 interventi al giorno; il più difficile dei quali fu arginare il vasto incendio nel ponte di tribordo dopo l’atterraggio di fortuna di un G-Fighter. Il pilota inesperto e sotto shock non aveva sganciato le armi né inviato la richiesta di ricovero d’emergenza in tempo perché il portellone s’aprisse del tutto; pagò con la vita, rischiando pure di portarsi dietro Pat e 8 compagni di reparto.
Nei turni di riposo, l’immagine di quel meteorite di fuoco e titanio che solcava improvvisamente l’hangar gli appariva ancora di quando in quando, e allora solo i sonniferi potevano farlo riposare. Una cosa proibita dai regolamenti. Nel laboratorio della Sala Riunioni c’era un motto: “L’ingegno non muore mai”; sul muro dello spogliatoio della sezione logistica qualcuno aveva scritto a pennarello “L’ingegnere non dorme mai”. Vero: sei sempre richiesto, perché c’è sempre qualcosa da riparare o adattare, e a volte d’urgenza. Urgenza vitale. Valvole, circuiti, caricatori; persino tubi e lampadine. Sempre pronti ad accorrere. Sempre. Ma riflessi appannati ti rendono impreciso e nervoso: quando c’era da riposare, bisognava riposare; e Pat lo sosteneva deciso. Anche se, come in questi casi, era solo una scusa per la sua incapacità di domare lo stress.
La Haydn era di rado in prima linea. Era tenuta a disposizione per supportare le avanguardie quando avevano difficoltà, e per l’attacco in massa quando avevano successo. Una posizione che però assommava spesso all’ansia di prender parte a operazioni disegnate da strateghi poco affidabili, anche un certo senso di frustrazione per il ruolo di eterna spalla, talora addirittura di spazzini quando non d’intrufoloni superflui e privilegiati… A bordo il ricambio dei piloti di MS era molto alto: tantissimi stavano lì solo il bimestre obbligatorio e si facevano trasferire in cerca di occasioni migliori. “Un soldato è prima un uomo e poi un eroe” era un bel motto: peccato che un pilota dalla bassa autostima non abbia mai reso buoni servizi. Chiaro: vai a sparger morte sulla tua stessa bara meccanica! Se non ti gasi un poco, esci di testa. E Pat aveva detto ciao e addio a decine di ragazzi e ragazze, avendo cura dei loro mezzi e sopportandone reclami e superbia. Alcuni di loro gli furono quasi amici, al punto da fargli sperare di poter sottrarre qualche componente di prima scelta per installarlo sul loro MS potenziandolo, altri gli furono così odiosi da sognare di lasciargli allentata quella certa connessione di sicurezza.
- E tu non vorresti emergere? Sì umiltà e timore, ma…davvero non sogni la grande occasione, Pat?
- Eh, devi esserci tagliato.
- Ma se sotto i riflettori sei un drago…!
Pat colse l’allusione e spintonò via bonariamente l’interlocutrice. Che poi era la vicecomandante dell’Haydn, donna bella e chiacchierata: dal suo essere figlia di un ex-asso zionista, al suo continuo litigare con lo Stato Maggiore, alle misteriose imbottiture del suo reggiseno; entrò nelle grazie di costei pian piano fino alla sorta d’amicizia in corso. Qualche favore, qualche sorpresa, qualche battuta rispettosa. Poco ma bene. Fino al giorno che la tolse proprio dai guai. Accettando di sostituirla in una riunione sui profughi. Lei doveva partecipare, ma era accaduto qualcosa, così lo pregò quasi in ginocchio di darle il cambio. Non era un capriccio o pigrizia e timidezza, e Pat non rifiutò. Così, mentre l’intrepida vicecomandante si lanciava nella sua impresa segreta, 80 kg di patate affette da panico da palcoscenico affrontarono una platea di varia e famelica autorità. La donna riuscì clamorosamente nella sua impresa d’emergenza; idem Pat.
Rimasero in contatto anche dopo il trasferimento di lei sull’ammiraglia della flotta (una promozione che nessuno dubitava le sarebbe presto toccata). E Pat non dubitò mai che quei 2 minuti d’applausi grazie a lei fossero stati la sola e vera Grande Ribalta della sua vita. Sì: il successo e il protagonismo gli erano sfrecciati davanti, ne aveva avuto un assaggio.
Come quando quel G-Fighter…
Sull’Haydn Pat aveva vissuto alcuni momenti importanti. Show e incendio a parte, vi aveva ricevuto la notizia della morte del padre, e consumato un’appagante relazione di oltre un anno con un’addetta alle mense.
- Meriti tante belle cose…
- Al massimo, l’occasione d’essere d’aiuto, và.
Ribatteva sempre così al ritornello. Trincerato dietro il ruolo sociale e la certezza che chi lo giudicasse bene giudicava male. L’avevano mai visto rimediare figuracce in classe? Litigare per un parcheggio? Abbuffarsi di snack? Sfuggire ai mendicanti? Sbuffare alla vista di un MS fresco di riparazioni che rientrava ridotto a rottame dopo aver combattuto una battaglia eroica ed emozionante? No. Ma lui lo aveva fatto. Si era visto farlo. "Che mondo sarebbe se cose importanti si richiedessero e premi si conferissero a gente così mediocre?"…
Discorsi che sentiva nel cuore, e che la sua ragazza non sopportava, considerandoli miserabili ed egoistici. Specie con un intero Sistema Solare da sgomberare di ciurme piratesche, revival zionisti, e autoproclamati conquistatori illuminati!
- Quando tutto l’equipaggio della WB si è armato per respingere i commandos di Ral tu ti saresti nascosto?!
- …No. Ma avrei dovuto forse, perché mi sarei preso senz’altro una palla qui e basta!
Di lì a poco era sceso il gelo fra loro due.
“Ingranaggio”, riusciva a pensare alla soglia del sonno. Rivedeva il maestro di meccanica, e le sue filosofie, che l’energia e gli ingranaggi hanno la stessa importanza nel funzionamento delle cose…ma poi la classe veniva spazzata via dall’asteroide di fuoco, il cuore impazziva, e la mano correva al tubetto di pillole.
All’alba di quel 2 marzo, una vibrazione intensa scosse la cuccetta di Pat; destatosi a galleggiare e pur tra le nebbie del sonno e della sorpresa, capì che il disco gravitazionale si stava fermando. Si vestì cercando di ricordare i dettagli della manutenzione dell’impianto, mentre il suono dell’allarme si faceva strada nel dormitorio.
Uscito, non trovò maniglie disponibili sul nastro trasportatore, indice che molta gente stava già percorrendo il corridoio. Cominciò a slanciarsi lungo le pareti come sott’acqua. A un collega che lo bloccò per chiedergli dove fosse stato fino a quel momento e dove fosse diretto ora, biascicò qualcosa sul disco rotto e la necessità di ripararlo presto, ma il primo lo scrollò subito perché si rendesse conto che la Haydn si trovava sotto attacco, in mezzo ad un’imboscata. Pat basito chiese chi avesse potuto e come fosse possibile, ma lasciò perdere immediatamente: era un genere di domande superflue per un tecnico. Non contava chi né come mai. Contava il danno fatto. A loro rimediare, sì, e presto. Presto.
I dischi gravitazionali stanno nei punti più bassi dello scafo delle navi, e ruotando ad altissime velocità generano quel minimo di gravità che consente la calcificazione delle ossa all’equipaggio e un ridotto galleggiamento d’oggetti e suppellettili. Non essendo proponibile l’impiego di un solo disco grande come l’intero vascello, ve ne sono numerosi divisi in zone. Era anche la ragione per cui molte navi hanno il noto aspetto modulare sgraziato. Ovviamente, i nemici di solito ti attaccano proprio dal basso per gettare improvviso scompiglio nei ponti superiori togliendoti la gravità.
L’attacco di chissà chi malgrado il quadrante pattugliato fosse stato definito tranquillo, aveva coinvolto la Haydn e la Maito, cui la prima faceva da scorta verso la Luna. Pat si ritrovò assegnato proprio al ponte di tribordo; quello per il rientro e il ricovero dei mezzi. Dapprima si dedicò ai carrelli degli attrezzi, quindi alla consolle delle gru, infine alle piattaforme idrauliche. Fra un cambio turno e l’altro, fra un’occhiata al portellone e l’altra, ebbe qualche informazione su cosa accadeva fuori.
- La nostra guarnigione è uscita quasi tutta in supporto alla Maito; tre MS stazionano sopra i ponti maggiori a nostra difesa, e il timoniere manovra per allontanarsi, così il fronte nemico s’allunga e assottiglia…
- E noi qui sopra chi abbiamo?
- Credo Tracker, col suo Nemo.
- Male. E’ più lento e potente dei GM: se lo beccano ed esplode, di sicuro ci scoperchia l’hangar…
- E’ un duro: vedrai che se la cava liscia, Pat.
- Sarà. Senti, vediamo di mettere al massimo l’aerazione, qui dentro: evitiamo di accumulare gas combustibili nel caso d’intrusioni, ok?
- Fallo tu, io devo correre alle munizioni.
- E in quanti restiamo qui?!…
Non ebbe risposta dal collega già diretto al condotto per il Ponte di lancio. Mentre saliva la scaletta, udì nel comunicatore portatile l’ordine di disporsi a ricevere un GM della Maito. Per esperienza, era sempre una seccatura in più offrire riparo a soldati e mezzi di altre navi, diversamente abituati e spesso sconosciuti. Un collega si lamentò che era già il 3° su 4 arrivi, come se Haydn e Maito si stessero scambiando gli equipaggi. La luce azzurra che annunciava l’apertura del Main Lock cominciò a ruotare; Pat calcolò di avere tutto il tempo per finire la doppia scalata fino ai controlli secondari dell’aeratore e salì, dal condotto di fuga detto “la trincea” (che circondava le piattaforme idrauliche di contatto ai lati della pista e che fungeva appunto oltreché da riparo per i tecnici e i piloti diretti ai mezzi o alle uscite, anche da zona di pausa, con la sua brava tappezzeria di graffiti vari, cassette mediche e giornalini) fino al camminamento sopraelevato che correva lungo la parete verso il Lock; si tirò sul volto la maschera protettiva e i tappi speciali, allacciando stretti i guanti. Aggrappato al corrimano e con la tuta sbattuta dal risucchio montante, destò la consolle dallo stand-by mentre il GM ospite metteva il muso sfrangiato nell’hangar 15 metri più avanti. Lo guardò passare constatando con sollievo l’assenza di fiamme vive; sperò comunque che chi manovrava la rete d’accoglienza contro cui si sarebbe appoggiato per frenare e posarsi sulla piattaforma fosse particolarmente delicato, dato che la sua SpryGun non sembrava sicurata, e sbattendo al suolo avrebbe potuto far partire qualche colpo. Era già successo.
Come sospettava, malgrado il risucchio dell’apertura la percentuale di metano ed elio stantia era alta, così cominciò ad evacuarne più possibile dai soffioni.
“Speriamo che Tracker lassù non si spaventi”, pensò figurandosi l’MS verde-blu sobbalzare come un bambino sorpreso dai geyser artificiali del baraccone dei brividi al Luna Park.
- Pat mi senti? Perdiamo pressione, che fai? Passo.
- Faccio fare il ruttino alla piccola. Perché non cominciate a chiudere il Main Lock invece? Passo.
- Vieni giù, abbiamo problemi col nuovo arrivato della Maito: dice di riparargli veloci il GM e tenere aperto perché “lui deve assolutamente ripartire subito” ad aiutare non so che amico suo…
- Eh?!
- Jeff sta provando a spiegargli come funziona qui, ma quello pianta rogne…!
- E fallo parlare col ponte di comando, no? Passo.
- Non ho nessuno agli InterCom… Siamo 5 qui, te compreso…
- Diavolo!… Senti, ne ho io uno qui. Intanto tu chiudi il Lock, e se quello reclama dì che è automatico. Chiudo.
Dall’InterCom non vennero buone notizie: l’operatrice Ella gli riferì dello scontro variabile, dei sistemi difensivi commutati sull’uso manuale per consentire al computer centrale di non perdere i fari radar di riferimento, compromessi dalla quantità di particelle Minovski disperse, e i danni localizzati ma significativi che stavano impedendo l’invio di tecnici di supporto al suo e agli altri hangar. Figurarsi se con un tale bollettino fosse possibile far rapporto e chiedere istruzioni per un fighetto della Maito che voleva tutti al suo servizio.
- Jeff, eccomi, lascialo a me… Ascolta bene, pilota: o ci dai mezz’ora per il tuo GM o t’infili in quel corridoio fino al settore 11, quello di lancio, e ti fai dare un altro mezzo.
- Mezz’ora?! Stellan non può resistere da solo! È contro Archangel che si sta battendo!…
Stupore stranito dei colleghi, ma Pat si calò nella parte e troncò il nodo di Gordio.
- Così è lui il nemico… Beh, che aspetti? Vai al ponte 11 e dì loro che ti mando io! Sono Hill detto “Diavolo” Stetson. Vai; vai!
Quello esitò, poi disse grazie e s’infilò di foga nel condotto. I compagni basiti gli chiesero di cosa parlava.
- Sono all’oscuro come voi, ma ora non pensate più al grintoso capellone che sbucherà in mensa gridando che lo manda “il diavolo stesso”, e piuttosto cominciamo subito a sgomberare quel rottame di GM dalle piattaforme stoccandolo sulla parete, dai.
- Sembrava sapesse quel che diceva…
- Oh, anch’io lo penso, Jeff. Solo che con la Haydn da salvare, non possiamo certo star dietro alle gare onorevoli di bravura dei nuovi Amurini e Charini di turno.
La benna componitrice abbrancò il GM e lo portò a contatto con la fascia elettromagnetica della parete sinistra, lasciandovelo appeso. Il Main Lock frattanto si chiuse.
- Che hai sentito all’InterCom, Pat?
- Plancia nel caos, tutti che vomitano…3 batterie ko e la corazza di ceramica di babordo in via di distacco “a puzzle”. Capisci?
- Mh…O scappare o schermarsi col fianco sano…il nostro.
- Infatti il timoniere manovra per inclinarci.
- Addio dischi.
- E se Tracker lassù è ancora vivo, lo richiameranno: prepariamoci a veder quella parete riempirsi di bugnoni.
- Ci sono agganciati i 2 container dei ricambi: magari...resiste di più…
- Vedremo, Jeff. Vedremo. Dai, mettiti tu alla Main Control Room.
- Roger.
I secondi passavano lentissimi, e il semi-galleggiamento, anche utile spostando carichi pesanti, cominciava a dar la sensazione di muoversi in un sogno. Di quelli brutti, e stupidi, e…che si spera sempre che non cambino registro di colpo diventando incubi.
“Possibile? L’ultimo volo della Haydn… L’ultimo volo mio…?”
- Pat! Messaggio dalla plancia! Se ho capito, c’è un Gundam Mark II della Maito qui fuori che…non so se deve… Pat…
- Come? Adesso?… Jeff, fatti conferm...
Mentre già cercava con lo sguardo il portellone, un tuono scosse l’hangar; veniva dalla parete, dove uno dei container appesi si sganciò per un attimo, restando appeso storto e poggiato contro il vicino, due metri sopra la consolle degli aeratori e l’InterCom usati prima. Una vertebra del collo, una del bacino e il ginocchio sinistro di Pat urlarono di dolore quando l’onda d’urto lo raggiunse buttandolo contro il bordo della trincea che aveva cominciato a salire, lasciandolo dolente e spaventato.
Il suolo tremò per un’altra esplosione più lontana. Il suono che ne proveniva rivelò che il disco di gravità del loro Ponte era sotto sforzo massimo. Gli attrezzi d’una cassetta si riversarono in aria come saette d’argento e le gru roteavano e ciondolavano impazzite. Perché ancora nessuno ordinava l’evacuazione?!
- Pat? Paaat!
- Qui… Sono...qui... Jeff, dove sei? E gli altri?
- Quassù, Pat! Gli altri li vedo, sembrano tutti bene… Ma l’impianto radio è saltato del tutto… E non so più se devo aprire il Main… Se Tracker cerca riparo…? Passo!...
Paura e dolore toglievano il fiato a Pat riverso nella trincea. Strinse i denti, socchiuse gli occhi e contrasse i muscoli delle cosce, slanciandosi verso il bordo della pedana e la scaletta. Udiva, in mezzo all’acufene, un soffio come di bombola o conduttura danneggiata; qualcosa nel profondo lo costringeva a precipitarsi verso la consolle della parete, mentre un angolo del cervello gl’ispirava l’immagine che da un istante all’altro un secondo demoniaco rintocco alla parete si sarebbe abbattuto, con chissà che esiti per lui che la percorreva.
Già: magari il Gundam non meritava né richiedeva di entrare…ma se le comunicazioni erano saltate e il Nemo di Tracker rimasto a difendere il loro Ponte in quell’inferno voleva cercare riparo?… Tracker… Un ragazzo d’oro… Presto!
Uno slancio; un altro. Il rombo del disco era oramai così esasperato da giungergli malgrado la distanza dal suolo. La schiena era un’incudine battuta, e stava perdendo sensibilità ai lombi… E poi l’attesa per quel colpo alla parete accanto…che forse si sarebbe piegata fino a schiacciarlo contro la balaustra…o forse si sarebbe squarciata vomitando nell’hangar un nuovo asteroide di fuoco…
Ma ecco l’InterCom! E l’aeratore.
- Plancia, qui Ponte 2… Impossibile operare, fateci evacuare; ripeto… Ella? Ella! Ella, ti prego, rispondimi!… Non lasciateci qui!…
Il fruscio indicava che c’erano comunicazioni in corso, chissà di chi, chissà per chi. E ora?
Pat sospirò, con un rantolo mozzato. Si girò. Sia Jeff alla Main Control Room sia gli altri tre compagni avevano il tunnel di fuga a portata; e Pat si convinse che fra le mille vibrazioni inconsulte che percepiva c’era qualcosa simile ai passi di un MS oltre il soffitto…
“Apri”, fece a Jeff con un ampio gesto, e abbracciò la balaustra irta di graffi. “Ma sì, in fondo chi diceva che là fuori sia un inferno? Se il colpo di prima era uno isolato… Se il timoniere ci ha portati fuori mischia… Se la Maito è all’altezza… Se lì fuori c’era questo mitico Stellan, nuovo eroe… Perché fare tante tragedie?!” Con uno stupido sorriso sulle labbra, Pat guardò il Main Lock socchiudersi, intravide la striscia nera dello spazio e cominciò a lasciarsi scivolare verso il buio dell’incoscienza dal dolore. Di colpo una granata detonò ad apertura in corso, producendo un botto stordente e una vampa accecante. Sorpresa e risucchio crescente fecero cadere Pat, ma una botta agli stinchi sul bordo della trincea ne spezzò la caduta, consentendogli per la ridottissima gravità di ripararsi il capo salvandosi. L’ennesima onda di adrenalina gl’impedì di svenire, si drizzò e percepì enormi masse muoversi sulla pista aldilà delle piattaforme.
Un Gundam e un Hizack erano penetrati, battagliando e inseguendosi, nell’hangar. Non parevano badare ad altro che non fosse il proprio rivale, colpendo con furia e maestria. Beam Saber e Heat Fork si scontrarono 2 volte, poi entrambi balzarono e al terzo impatto generarono scintille che incendiarono l’elio accumulatosi sul soffitto. La fiammata travolse entrambi scagliandoli al suolo ai lati opposti dell’ambiente, restandovi seduti come in punizione o esausti, sotto la pioggia d'estintori. Pat si chiese se i due piloti fossero vivi, ma di colpo il mitra Gatling sul cranio del Gundam fece fuoco alla cieca, e l’Hizack armeggiava con la rastrelliera di Hand Granades che aveva sul fianco. La fiammata doveva aver bruciato ad entrambi le telecamere e i due nemici irriducibili cercavano ora di colpirsi “percependosi” chissà come.
Il punto era che l’esplosione di un MS avrebbe coinvolto l’altro, disintegrando l’hangar, polverizzando il Ponte, e segando in due la Haydn.
I bossoli dei colpi schizzavano dappertutto, lenti ma capaci comunque di frantumar ossa, e Pat s’accucciò nella trincea urlando.
- Jeff, stacca i magneti, staccali subitoo!
L’intero hangar parve avere un sussulto e le luci lamparono, mentre dalle pareti cominciarono a piovere tutti i carichi sospesi. Il GM appena stoccato cadde sull’Hizack, e i containers di destra sul Gundam, lasciandolo a finire le cartucce contro il pavimento fra le sue gambe disarticolate.
Pat ancora tremante contò fino a 6, e s’inerpicò sulla parete della trincea fino ad ergersi sulla pedana idraulica allagata di bossoli. Due colleghi lo imitarono nei pressi dell’Hizack. Ridicoli e vincenti come morti viventi di serie C. Pat colpì due volte il comunicatore sperando di non averlo fulminato.
- Pat sei vivo? State bene?
- Jeff… Blocca il Main Lock, vuoi? Squadra! Tiriamo fuori questi due…questi due.
Presi, li condussero alla stanza di controllo secondaria, entrambi tenuti sotto minaccia di TaserGun, sia l’asso della Maito, sia il temibile campione aggressore. Che poi era una ragazza.
Stellan e Archangel, gli eroi designati, col loro aspetto battagliero, stessa fiera determinazione a brillare negli sguardi.
- Ora fermi qui; vi ripariamo i MS, e sparite subito. Chiaro?!
Volevano obiettare, ovviamente, specie Stellan convinto di aver perlomeno catturato la rivale.
- Eviterò il rapporto su come la vostra scriteriata condotta abbia messo tutti in pericolo, ma non voglio obiezioni. Ok!?… Squadra: l’ultimo sforzo, dai.
Sgombrarono, aggiustarono, e si rappezzarono; i tecnici residui del Ponte 2 della Haydn che volava chissà dove e chissà in che stato.
Soprattutto intervenire sull’Hizack dalla doppia antenna e dalla livrea inconsueta fu difficile, ma Jeff ebbe l’idea di trapiantargli un blocco ausiliario del GM. Audace; irregolare. Funzionò.
Ogni tanto Pat gettava lo sguardo oltre il lastrone dell’improvvisata cella d’onore. I due erano rimasti a fissarsi con ostilità per un po’, e poi avevano preso a scambiare qualche frase altera e convinta. Quando vennero liberati e raggiunsero i rispettivi abitacoli sulle catapulte d’emergenza non dissero nulla, frustrati per l’esito e la figura ottenuti, ma probabilmente di qualcosa si erano resi conto, visto che indirizzarono allo staff di Pat un saluto sull’attenti prima di farsi inghiottire dai ventri meccanici dei loro mezzi. E partire sparati nella notte spaziale.
“Che tipi: il genere di scemi teatrali che non saranno mai felici neanche vincendo una guerra da soli. E tu, Pat? Sarai mai felice tu?… Magari. Più o meno.”
Come immaginabile, i condotti d’emergenza erano bloccati, ma il destino prepotente non aveva più bussato alla parete, così non restò loro altro che attendere la fine del viaggio, forse la Luna, o magari una stazione della Anaheim, per poter rivedere il resto della ciurma e lasciare quell’hangar.
Ore, che trascorsero cantando assieme qualche hit, discutendo di donne, di baseball, anestetizzando meglio possibile piccole ferite e dolori. Più o meno grandi, più o meno importanti, anche loro.


L’UNICO GUERRIERO


1
Alle 10:38 l’attenzione delle guardie al secondo cancello del Museo della Pace fu catturata da un rombo. Una moto customizzata comparve all’ingresso. Stupore, ammirazione. Un po’ di diffidenza professionale ed invidiosa.
Il centauro esibì un documento, e dichiarò le sue intenzioni esitando un attimo, quasi a sperare che la sua venuta fosse ben nota ed attesa.
Il parcheggio degli ospiti, separato con una rete da quello dei visitatori normali, era vuoto.
Idem il grande atrio dalle pareti trapunte di foto, manifesti ed annunci per turisti, nel quale fu raggiunto e accolto da una coppia. Uno pareva un giovane receptionist, l’altra era una mulatta dai capelli lunghi. Inchini.
- Benvenuto signor Shiba, l’accompagno nell’ufficio del Vicedirettore, può lasciare guanti e casco al mio collega.
- Questi no, grazie lo stesso. La seguo.
Bella stanza, spaziosa e come appena rigovernata.
- Il Vicedirettore potrebbe accusare un leggero ritardo, spero comprenda.
La donna lo fece entrare e si congedò. L’ospite s’adagiò in una poltrona di pelle nera.
Libri e riviste scricchiolavano aprendoli, e la scrivania era da foto di catalogo.
Dodici minuti di ritardo raddoppiarono. Smise di contare i secondi e s’aggirò per la stanza. PC sicurato, panorama della finestra caoticamente cittadino. Alle pareti foto di gruppo ed edifici.
“Che lo stipendio ti vada di traverso, parassita. Con affetto, Hiroshi Shiba”, incise sul ripiano del tavolo con un tagliacarte. E uscì.
Trovò la donna di prima alla scrivania, di spalle, impegnata a sibilare al telefono.
- Possibile che devi sempre battere nuovi record di ritardo? Ti avevo detto che c’era l’appuntamento!… Appena alzato? E dal letto di chi?!… Se è uno scherzo non fa mica ridere, sai? Oh, comunque sia, a questo cosa dico adesso?
- Che lo aspetto. -, la sorprese Hiroshi comparendole davanti, e tornando via.
Cinque minuti dopo lei lo raggiunse nell’ufficio.
- Farà il possibile per arrivare, signor Shiba; Tetsuya, il signor Tsurugi, il Vicedirettore,…
- Non mi formalizzo: non lo faccia neanche lei.
- D’accordo. È più forte di lui: detesta orari e formalità.
Hiroshi vide l’imbarazzo, malgrado la carnagione e un trucco molto pesante. Fece caso anche al completo nero.
- Caffè?
- Meglio acqua, la assimilo prima.
- Capisco. -, mentì lei.
Gli porse il bicchierino e fecero le presentazioni.
- Le va un giro turistico del museo?
- Con lei per Cicerone? Accetto.
- La mia tariffa è di un autografo all’ora.
Stavolta fu lui ad imbarazzarsi.
- Può anticiparmi di cosa voleva parlargli?
- Informarlo che presto riceverà un invito. Che temo celi una trappola.
- Potrei chiamarlo e riferire.
- Mi faccia tentare, signorina. In un certo senso sarebbe un piacere.
Discorrendo giunsero al salone principale, l’enorme spazio che ospitava i cilindri di vetro dov’erano custoditi i pezzi pregiati.
Hiroshi trattenne il fiato. Eccoli, l’eroico prototipo e il titano definitivo, lucidi e maestosi nelle imbracature sotto i fari.
- Signorina, al telefono.
- Oh, sarà sicuramente il Direttore, dall’America, mi perdoni Hiroshi.
Senza risponderle, l’ospite si diresse verso la piattaforma dei cilindri.
La maggioranza dei turisti restava ammirata, cuore a mille dall’orgoglio; lui doveva controllare i tremiti. Non riusciva a capacitarsi della potenza dei motori e dei calcolatori che permettevano di controllare simili giganti. Chi, di questa Terra, potrebbe fermarli se si rivoltassero? Posò lo sguardo sui modelli di tank esposti, poi chiuse gli occhi con una smorfia pensando a sé stesso, alto la metà e pesante 1/3 in meno. Serrò pugni e mascelle, e si costrinse a tornare a guardare.
- Signor Shiba! Quale onore! Se mi avessero avvisato subito! Il 2 volte vincitore d’Indianapolis, di LeMans e della Dakar! Un vero vanto per questo Paese!
Guardò il funzionario allampanato dai capelli bianchi e dal naso adunco nel viso rugoso come un asse di legno; sorriso forzato, sguardo vitreo. Targhetta col nome straniero, e un suono di passi che già aveva udito distante nei corridoi. Di solito controllava attentamente la stretta di mano per non causare fratture, stavolta gli parve di non aver stretto proprio nulla.
- Visita di piacere?
- …D’istruzione.
- E si tratterrà a lungo?
- Ormai da 30 anni.
- Prego?
- Niente. Sono atteso altrove.
- Capisco. Posso chiederle un autografo?
- …Glie lo spedisco, signor “R.DeBril”. L’ultima volta me l’hanno ricalcato su due assegni. Mi saluti quella strana signorina.
Un ultimo sguardo di sfuggita alle sagome imbottigliate, e via di buon passo.
Scomparve nel traffico a gran velocità. E non vedeva l’ora.

2
Perso il gladio, e contro un rivale indifferente alla sua rete elettrificata, il samurai gigante fu schienato da una scarica di pugni al tronco. Centrato dai laser nemici, si surriscaldò fino a incendiarsi, scoppiando miseramente.
- Chi ti capisce è bravo. -, risuonò la voce dissolvendo l’atmosfera. – Quante ne hai perse con questa? 62?
- 61. -, rispose Tetsuya lasciando la postazione, i muscoli del viso e delle braccia ancora contratti.
- E ci credo! Prendi sempre il soggetto più grezzo, gli dai armi banali e ti rifiuti di usare le combo e i colpi speciali! Autolesionista è il meno da dirti.
- Cosa vuoi saperne…
- Pensare che stavolta avevi pure una fan: che figuraccia!
Tetsuya guardò meglio l’ambiente e scorse accanto al gestore una donna in posa inquisitoria.
- Ah, macché fan: quella rompi di mia sorella.
- Sorella tuo nonno, animale!
- Come mi hai trovato, Jun?
- Le tue urla si sentono per 2 quartieri! E guardami in faccia!
- Non lo strapazzi, signorina. -, rise il gestore della sala semivuota – È il mio miglior cliente, anche se è un po’ negato.
- Morditi quella linguaccia, vecchio. -, finì lui – Muoviamoci.
- “Muoviamoci”? Come se fossi io quella in ritardo!?… E almeno mi dici dove?
- Al museo.
- Wow, allora è vero che i videogames ti flippano il cervello: tu stai rinsavendo.
- Ah, finiscila.
Jun gli fece occhiacci e linguaccia.
- Comportati bene!
- Bah. Sei in moto, Tetsuya?
- Metrò.
- Allora io vado al parcheggio, ci troviamo al museo.
Tetsuya mugugnò; mani in tasca e lenti scure sugli occhi, raggiunse la scalinata dei treni sotterranei passando fra pendolari e turisti ignari.
Quando Jun arrivò al museo le dissero che lui era già lì; e lei sapeva dove trovarlo; non in ufficio né al caffè: nel salone a fissare il Grande Mazinga. Era sicura, ma si sbagliava. Era in sala riunioni, a sfogliare alcuni giornali.
- Oggi sei una sorpresa continua.
- Amen. Dimmi invece che impressione ti ha fatto quel…Shiba.
- Fascinoso, educato…
- Jun, sii seria, per favore.
“Per favore?” Era la sorpresa definitiva. La giovane si concentrò prima di rispondere.
- Diceva che vuol metterti in guardia, o prenderai per sfida un invito, cadendo in trappola.
- Ho detto impressione, non resoconto. -, ringhiò lui.
- Beh, ripeto: fascinoso, educato, serio… -, vide che lui sbuffava dalle narici - …pure troppo.
- Ecco! -, si alzò lui.
- …Con un che di ambiguo. Ma è solo una sensazione, logica con uno sconosciuto, no?
- Sconosciuto ma famoso. Tu t’imbarazzavi per il mio ritardo ed ecco perché questo tuo “6 politico”.
- Ma…!
- Non sono uno sciocco, mi sono informato quando quello ha chiesto un appuntamento. Hiroshi “Jeeg” Shiba. Da grande guerriero a inutile fenomeno da baraccone.
- Sei ingiusto ora!
- Segui il filo. L’amor proprio lo eccita all’idea di tornare a essere Jeeg davanti a tutti, ma l’orgoglio lo ferisce sapendo che ci sarò anch’io, e la ragione gli suggerisce che al confronto sfigurerà.
- Sfigurerà?
- Come la mosca coll’aquila. Malgrado non si tratti d’affrontarci. Lo sai come lo so io. E lo sa lui. Infatti prova a farmi ritirare, per partecipare da solo ed esibirsi con comodo.
- Ma quindi tu sai già i dettagli dell’invito?
- Mi è stato girato per e-mail. La prefettura di Tsu organizza una fiera dove si esibiranno alcuni campioni olimpici, vari animali, si esporranno capolavori artistici e tecnologici.
- Tra cui…
- Sì, il Great e il Jeeg, con relativa dimostrazione. Ma lui vuol farmi disertare.
- Ma tutta questa tua ricostruzione dei suoi pensieri, delle sue intenzioni…?
- Non sei l’unica che gli ha parlato, né la prima opinione che sento. Un megalomane paranoico e scontroso: questo è l’effetto che ha fatto… Senti Jun, puoi riportare tu i giornali in archivio?
- Non riesco a crederci…
- Sindrome del veterano. L’inattività forzata della pace può rendere pazzo chi non è capace di reinserirsi. In realtà…ho molta pena di lui.

3
I cinque operai presero alcune sedie accomodandosi.
- Grazie d’aver interrotto l’intervallo fra i turni per venire. Come capi informali delle maestranze volevo i vostri pareri.
- Dai, sputa.
- La nostra acciaieria è rinomata nel mondo. Il Direttore del Reparto Commesse ha ricevuto una richiesta per vie straordinarie: riparare dei componenti meccanici. Un mio emissario ha visitato il magazzino di stoccaggio riferendomi sul loro stato. Signori, non meno di 4 giorni di lavoro, occorrono. Ma…
- Ma è urgentissimo.
- Non tanto quello. È che non possiamo interrompere l’attuale lavorazione. La commessa ufficiale è in scadenza, se accettiamo anche questa va fatta “extra-turni”. Esplicito: due weekend in fabbrica.
Brusio. Sbuffi.
- Momento, c’è altro: niente straordinari pagati.
Brusio più forte; uno s’alzò strabiliando.
- Lo so; il punto è che il cliente non pagherebbe neanche il lavoro.
Risate; battute.
- Ma come ti sei sognato anche solo di accettare di proporcelo?! Peggio che lavorar gratis! Dovremmo pagare noi materiali e strumenti?!
- No: il Direttore Commesse è sicuro che il Direttivo autorizzerà la perdita. Al reparto ingegneria han già fatto una bozza di Piano d’Intervento.
- Ahi. Puzza di favore politico.
- Nossignori, al limite pubblicità. Ma la leva che muove, che muoverebbe se anche voi accettaste, è la riconoscenza.
- Riconoscenza? Ma per chi? Di cosa?
Aprì un tubo e srotolò un foglio. Il silenzio calò di colpo.
- Signori, i sacrifici di chi ha rischiato 100 volte la vita contro mostri che ci schiacciavano…forse saranno per sempre impagabili. O forse…adesso…noi…
- Venti operai me compreso te li trovo, parola.
- Anch’io non parlo per tutti, ma è certo che li trovo.
- Perlomeno io ci sarò; vediamo se convinco anche altri.
- Idem. Scherziamo?
- Idem.
- …Grazie dell’entusiasmo, signori. Sapevo avreste capito. A domani qui per riepilogare quanti saremo. Potete andare.
Il capannello si sciolse. Uno si trattenne per riordinare i sedili abbandonati dai colleghi.
- Ma per curiosità, in che senso “richiesta per vie straordinarie”?
- Non scritta; un tizio ha avvicinato il Caporeparto Commesse, proponendo.
- E chi era? Forse il pilota?
- Spero di no. Sai che figura, un eroe che mendica in una Soapland?

4
I tuoni in lontananza erano un supplizio. Rievocavano esplosioni. Impossibile riprendere sonno.
“Sveglio – pensò – Ti sei svegliato e sei…in un LoveHotel a tema fantasy; oppure in un vero tugurio, difficile dirlo. Un riparo di fortuna; o ci vivi da mesi. La tua roba c’è come sempre; pronta all’uso, o a un…trasloco immediato”, sorrise cinico.
Alzatosi, aprì le ante d’una finestra. Lo accolse un vento freddo e potente, snebbiandolo come schiaffi paterni bonari. Vide lontana la città, quindi un vasto tappeto ora brullo ora cespuglioso che in prospettiva finiva ai suoi piedi prendendo l’aspetto di muraglioni turriti decrepiti.
Sporto, guardò le giostre e i baracconi abbandonati 4 piani più sotto; prese i vestiti e raggiunse la pertica, residuo d’una scala di sicurezza, lasciandosi scivolare fino al suolo.
Controllò due volte la piccola trappola posta all’ingresso, e s’avviò tra le baracche.
“A noi; a noi, ora”, pensò infilando i guanti.
I corvi che per tutto il tempo avevano svolazzato sui pennoni orfani delle bandiere presso il parcheggio invaso d’erbacce si calmarono; uno volò via.
E il rullare dei tuoni riprese, più vicino.

5
Il vecchio in abiti tradizionali s’alzò dal loggione dove aveva seguito la riunione della giunta, guadagnò un angolo appartato del corridoio, e chiamò una casella vocale.
- Tutti gli emendamenti sono stati bocciati grazie ai due astenuti: il progetto resta com’è.
Spense. A passi misurati si diresse verso le scale, con gran sollievo del nugolo di yuppies dell’ascensore, restii a offrirsi di cedere il posto.
Nel frattempo, a Tokyo, Jun parcheggiò l’auto apprestandosi ad entrare in un singolare edificio, un tempio scintoista compresso fra splendidi e glaciali palazzi ultramoderni. Prima di varcarne il rosso portale si guardò attorno in strada, accertandosi inquieta dei passeggeri d’un paio di taxi sopraggiunti.
Scalza, lasciò una piccola offerta all’altare di benvenuto, consegnando un biglietto da visita con un inchino ai bonzi comparsi, e dirigendosi a destinazione. Due porte scorrevoli li separavano ancora, ma già sapeva di trovarsi nei paraggi di Tetsuya. Che infatti enfaticamente accompagnava con versi i suoi volteggi nell’angolo del Giardino Asciutto zen privatamente eletto a palestra. Il cielo era un quadrato piccolo e lontano per la prospettiva dei palazzi, ma l’illuminazione era perfetta e l’aria buona. Jun scansò schegge di legno al suolo e andò alla pertica dove lui volteggiava a bandiera frustando l’aria con sibili cupi e rantoli furiosi.
- Wow, sei sempre in forma, eh?
In realtà all’atterraggio ebbe un capogiro, e il sudore copioso lo stava accecando. Una tortora grigia frullò le ali assestandosi sul ramo, strappando un ghigno all’atleta.
- Eh già. -, mormorò.
- Almeno hai lasciato quell’assurdo videogame… Ma come sei vestito? Non sai proprio fare a meno dell’effetto handicap, eh?
In effetti era in completo e cravatta; le cuciture strappate ovunque rivelavano il livello di scomodità assoluta. “Terapia d’urto. – pensò Jun – Spero sia stata solo la bilancia, a spaventarti così.”
- Ti ho portato quel che mi hai chiesto.
- Eh? Ah sì, metti lì.
- “Prego”, sai?… E guarda che il tuo sacco vibra.
- Eh? Spòstati.
- Che modi!
- Tsurugi… Sì? Mi dica. Ehm, naturalmente. Perfetto; di che si tratta?… Come vuole. A stasera e grazie. -, concluse spegnendo il telefono, sfregando le mani e alleviando le vertebre del collo.
- Dunque, sei ben deciso.
- Si capisce.
- Non vorrei ti forzassero la mano.
- Chi? Non farmi ridere.
- Chi? La nostalgia, per esempio.
- Aah… Hah! Mi fai ridere!
- O per dare contro a lui.
- Eeeh? Questa è forte! Dar contro a chi, poi?
- Oh, nessuno; hai fatto così in fretta a chiamarlo fanatico. Ma a parte che poteva aver ragione, e tu non hai fatto nulla per incontrarlo e convincerlo… a parte quello…
- Sì?! -, la fronteggiò iracondo.
- …Il Tetsuya che conoscevo io sarebbe stato solo contento se avesse avuto ragione Hiroshi!
Tetsuya fissò gli occhi tremanti di lei, poi si voltò con un ghigno.
- Pessimo ninja. Mòstrati!
Dal salice alle spalle di Jun emerse un uomo, spaventandola. Hiroshi.
La tortora grigia fuggì dal suo ramo, e la ragazza rimase incerta: frapporsi o togliersi di torno?

6
- Voleva vedermi, signor DeBril.
- Sì Kato. Ho letto la tua bozza. Interessante.
- Che autocontrollo! “Interessante”?
- Accuse così sono pesanti. Infamanti. Capisci che se infondate…
- Ho ricontrollato due volte: fondi ammortamento gonfiati per bilanciare spese non autorizzate. E non rendicontate.
- Sì. Come ti sei accorto?
- Beh, per scrupolo personale, dato che il Grande Mazinga sta per essere riattivato, ho verificato il calendario delle passate manutenzioni: mi sembravano troppo rare per giustificare le cifre in bilancio.
- E il restauro dell’edificio, due anni fa?
- Fu una donazione apposita.
- Che va in bilancio.
- Ma entra ed esce nel Conto Economico di quell’esercizio, mentre l’aumento di valore del cespite non si registra perché era già tutto ammortizzato.
- Mmh. Troppo complesso per mè.
- Non so come sperassero di farla franca: a scuola si studiano esempi di malversazione molto più sottili. L’organo di controllo lo vedrà subito.
- Forse non servivano piani perfetti: gl’ispettori si riuniscono solo alla vigilia del CDA, e il prossimo non sarà che fra due mesi.
- …Se qualcuno non lo convoca prima! Avvisato da…noi.
- E se il colpevole se ne va prima? O se se n’è già andato?
- Denunciarlo presto e rincorrerlo subito, signore.
DeBril s’alzò, spense il PC e camminò in cerchio, ingobbito e con le mani dietro la schiena.
- Una volta i giovani giapponesi erano tutti come te, Kato: amavano il lavoro e sentivano come un dovere proteggere e vigilare sull’azienda o sul ministero… Straordinari, approfondimenti, devozione…L’imperatore sarebbe fiero.
- Mi confonde, signore. Allora…mi congedo. Avverte lei…?
- Stasera stessa presenterò il tuo rapporto al Vicedirettore.
- Ah. Sicuro che sia l’uomo giusto? È che…
- Kato. Non mancargli mai di rispetto in mia presenza.
- Mi scuso, alludevo alla possibilità che non sia l’uomo giusto al posto giusto.
- Taci. Colui che ha fermato le Armate delle Tenebre…
- È stato il Grande Mazinga; costui è solo un burocrate.
- Tsurugi “è” il Grande Mazinga! Ieri, ora, sempre. Fino in fondo, fino alla fine! Non puoi capire, che simbolo è lui per me. Cosa rappresenti. No, i figli dei Pukemon, terrorizzati da virus e borseggiatori, non capiranno mai cos’è una guerra d’invasione, due patrie a confronto, la gloria di un impero… - si rese conto di trascendere e si voltò – Torna al tuo posto.
- Certo. Vado.
Il giovane impiegato s’accorse della differenza di temperatura uscendo in corridoio; lo percorse ad ampie falcate beandosi ancora un po’ delle lodi alla sua natura doviziosa.
Non s’accorse affatto degli sguardi seri che l’inquadrarono per tutto il percorso, da ogni finestra.

7
- Così ci conosciamo, Tsurugi.
- Ho le mani sudate.
- Mi risparmierò volentieri di stringertele.
- Perfetto. Dì quel che devi e sparisci.
Jun non credeva alle sue orecchie da tanta ostilità.
- Ti è già arrivato l’invito, vedo: che altro se non la prospettiva d’esibirti poteva schiodarti dal piedistallo, veterano imborghesito?
- Mai assaggiato la lingua al sangue, pupazzo fanatico?
- Tetsuya! -, si frappose lei – Signor Shiba… Hiroshi…
- Dica… Dimmi.
- Sei convinto davvero che ci sia sotto qualcosa? Ne converrai che ci sono un po’ troppe persone di mezzo per un…attentato clamoroso.
- So io cosa ti risponderà, Jun: che è una vasta cospirazione. Tutti contro, tutti lo odiano, tutti lo perseguitano, tutti lo hanno dimenticato bla bla bla. A meno che…
- A meno che?
- …Non sia come dicevo io: non accetta di dividere il proscenio e vuol farmi ritirare.
- Ritirare.
- Sai che figura sennò? Il Great alza un transatlantico, il Jeeg a stento una locomotiva!
- Un simile sospetto è ancora più paranoico del complesso del complotto che mi attribuisci tu.
- Bla bla bla.
- Posso provarti le mie intenzioni: ho rifiutato di partecipare. Se lo farai anche tu casca il palco e il nemico torna nell’ombra. E forse lo stanerai un giorno.
- O forse sbuchi tu e ti becchi tutti i riflettori, no?
- Non proiettarmi addosso i tuoi, desideri.
- Hiroshi. – intervenne Jun – Ma perché sei così sicuro del pericolo?
- È l’occasione. Vedi, Tsurugi e io… Ogni guerriero, è contemporaneamente emblema del bene per il suo popolo, e del male per il suo nemico. Simbolo, capisci? Anche se la guerra è finita, e loro hanno perso, c’è la vendetta, la rappresaglia. Assurdo, sì. Inutile, irrazionale, quel che vuoi. La mente ossessionata funziona così… Tsurugi…
- È…la tua che non funziona! I Micenei sono estinti, se tu non sei stato capace di eliminare gli Haniwa prenditela con tè stesso! Sentimi bene, corridore, se la guerra è finita e non te ne sei accorto, o se lo rifiuti perché incapace di trovarti un altro ruolo nella società, beh questo non ti autorizza a seminare il panico spingendo tutti in trincea!
- Tetsuya.
- Ora basta.
- Hiroshi, no! Lui…
- I bonzi accorreranno alle grida: a questo punto vado via. Ma, Jun, ti consiglio di pregare con loro. Prega che per davvero sia il mio intuito che è scattato invano, e non piuttosto il suo che si è arrugginito.

8
Tutti amano feste e celebrazioni, anche se spesso gli addetti ai preparativi ci sfacchinano e ci si stressano da morire; e finiscono per non godersi nulla.
Vari intoppi avevano afflitto i lavori alla fiera di Tsu: preparazione impianti, ritardi di consegna, inviti disdetti, assenze di responsabili, difetti tecnici, sessioni prolungate… L’incaricato degli organizzatori sembrava Godzilla: urlava sempre e seminava distruzione; ma aveva ragione, e a fine turno offriva sempre da bere a tutti.
Il guardiano di ronda non vedeva l’ora di smontare. Gente s’era intrufolata nel cantiere di recente, di certo per mettere sul web qualche immagine dei lavori in corso. Un 2° passaggio era doveroso. Cambiò percorso per ispezionare il basamento frontale della tribunetta; più che l’improvviso aumento d’intensità della luce dei riflettori notò la mollezza del suolo, come appena smosso. Quindi, lo sbattere lontano di un grosso sportello lo fece voltare e dirigere circospetto a una tensiostruttura riparata da due container sovrapposti. Vide un’ombra presso un tirante.
- Chi c’è?!
- Sono un tecnico.
- Che fai a quest’ora? Al buio?
- Andavo via, ho appena spento.
Il tipo si schermava il volto con ambedue le braccia per sfuggire al fascio della torcia. Il guardiano spostò il raggio sulla parete del tendone. C’era un’apertura triangolare a velcro.
- Qui tengono i trucchi per lo show, vero? -, fece, indicando al tecnico di far strada all’interno.
- È riservato.
- Forza!
S’aspettava di trovare una catasta di contenitori e postazioni mobili, invece lo spazio protetto era occupato da un’unica enorme massa distesa. Notò sussultando alcuni aculei e dei bocchettoni. Per un attimo s’infiammò sperando fosse il Grande Mazinga.
C’era un leggero ronzio, e una cappa calda e stantia nell’aria.
- Ah, i robot rievocativi per la battaglia simulata, vero? Ma avevo sentito che fossero tipo manichini gonfiabili…
- Infatti; infatti. -, gracchiò l’altro.
- Ma non sembra mica! Invece sembra…
- Realistico, vero. Toccalo, e vedrai.
Fruscio.
- Uh? Si è mosso qualcosa là dietro!
- Assestamento. È lui; che si accomoda meglio. -, disse l’altro scoppiando a ridere.
La guardia sudata si unì alla risata, ed estrasse il manganello per saggiare davvero la consistenza del drone.
Nella vasca da esposizione dei padiglioni erano ospitati due delfini; tolleravano sempre senza problema i rumori dei lavori tutto il giorno nei paraggi.
L’eco disperata dell’urlo che udirono quella notte li lasciò in febbrile agitazione fino all’alba.

9
Un trattore aveva rimorchiato il BrainCondor nel parcheggio per il check dei sistemi del velivolo.
Pur in assenza di pubblicità, una piccola folla s’era radunata sia lì sia sulle balconate panoramiche interne del Museo della Pace per assistere al warm-up del Grande Mazinga.
Il cilindro contenitivo scoperchiato era rientrato nel suolo, e la cupola del soffitto si apriva lenta.
Fra gli spettatori alle balconate, la nostra mulatta e una giapponese altera.
- Scusi, ma credo di conoscerla: sono Jun Honoo.
- Miwa Uzuki, piacere.
- Lo sapevo: la famosa ricercatrice! Piacere mio. Turismo o lavoro?
- Un ex…collega mi ha chiesto di portargli certi documenti e un…ricambio. Non avendo mai visitato questo museo, eccomi qui.
- Verrà a Tsu?
- Terrò una relazione allo stand medico, sulla decontaminazione.
- Interessante. Credo.
Sorrisero assieme. Due piani più sotto entrò Tetsuya in vesti da Top Gun per chiedere ai tecnici cos’attendessero a dargli il via. La folla lo riconobbe acclamandolo. Lui si grattò la nuca e fece un saluto rapido alla cieca.
C’erano degli estranei a discutere animatamente con DeBril. Inviati ministeriali volevano sigillare le armi del robot come di prammatica nelle esibizioni d’apparati bellici in pubblico. Palesemente ignari dei suoi meccanismi d’attivazione vocale.
- Praticamente dovrebbero imbavagliare Tetsuya. -, scherzò Jun che aveva capito.
- Incredibile: Mikene le ha provate tutte, e sarebbe bastata una sera al karaoke e una corrente d’aria?! – s’aggiunse Miwa.
- Mmh.
- Oh scusa, forse non dovevo.
- No, no, figurati. Mi fa uno strano effetto; vederlo così entusiasta di nuovo, dico. Deve solo collaudarlo per una parata, e sembra ringiovanito.
- Quelli lo arrestano, però, se continua a sbraitare così, mh?
- Stupido. Stupido soldatino. Ma se il suo mondo è quello, la scrivania è stata la sconfitta peggiore… Sai, uno ha avanzato sospetti sulla fiera, e io sulle prime avrei voluto che Tetsuya lasciasse stare. Non so se capisci.
- Sì.
- Ma poi…
- “Ma tu dammi un funeral vichingo.” -, citò Miwa staccandosi dalla balaustra, gli occhi chiusi e pieni d’immagini; immagini della giovane assistente che s’infervorava per aiutare Hiroshi contro i Mostri di Roccia.
Tetsuya lasciò la sala allacciandosi furiosamente il casco mentre DeBril ancora ragionava con gli ispettori. Raggiunse il parcheggio fra due ali di colleghi e sottoposti che lo complimentavano e incoraggiavano; due parole coll’addetto alla “pista” e fu nell’abitacolo. Via la scaletta, chiuso il tettuccio, accese i motori inerziali.
L’assenza d’una catapulta di lancio rese più lunghe le operazioni di decollo, ma infine il bolide rosso portò il Terrore di Mikene negli spazi celesti.
Nella sala era tutto un susseguirsi di falsi avvistamenti, finché non lo videro davvero, sfrecciare oltre la cupola. E fu il 1° boato da stadio.
Due perimetri dell’area, quindi lasciò che la traccia radar controllasse la rotta d’aggancio, e inspirò a fondo.
- Fiiire…on!
Il condor andò in picchiata sparando Tetsuya verso le fauci acuminate del cranio del robot. Tutto a meraviglia; non una vibrazione di troppo, o una correzione di rotta, o un conato. La combinazione di retrorazzi, ammortizzatori del collo, e freno repulsivo magnetico del cranio, permisero l’aggancio del velivolo; l’abitacolo ruotò 90° e il Grande Mazinga riebbe il suo cervello con un lampo degli occhi.
2° boato della folla.
Uno sguardo alla consolle resistendo al movimento automatico fatto mille volte a quel punto (lo Scramble Dash, che avrebbe polverizzato il salone), un paio di mosse d’assestamento, e pronti al balzo. Voltò il robot verso destra per ammirare l’immobile Mazinga-Z e comandò il salto. Contò due secondi mentali e toccò appena la cloche per compiere il leggero arco necessario per non atterrare sul tetto o troppo vicino all’edificio, poi assecondando la caduta gravitazionale spinse al massimo i propulsori per frenare totalmente l’impatto (che a pieno peso avrebbe avuto conseguenze telluriche su 3 o 4 quartieri dei dintorni).
L’urlo dei reattori gli scaldò il cuore. A passi precisi portò il gigante verso il parcheggio.
Vederlo comparire da dietro l’edificio fu un’emozione da togliere il fiato per tutti, tecnici, addetti, curiosi. Anche i più giovani e freddi. Qualcuno faticosamente respingeva un groppo in gola. Jun alla finestra singhiozzava fieramente.
Tetsuya aprì l’abitacolo e si sporse.
3° boato sotto un cielo bianchissimo.
Hiroshi disincrociò le braccia e risalì sul taxi.
“The handshake / seals the contract. / From the contract / there’s no turning back”…, cantava la radio. La stretta di mano sigilla il vincolo. Dal vincolo non c'è ritorno.
- Spenga, prego. Aeroporto.

10
- La prevendita?
- Sui 20.000, prefetto.
- Stima?
- 2 picchi nell’arco della giornata, per gli olimpionici e lo show robotico, di 40/50.000. Massimo previsto 80/100.000.
- Posti auto.
- 2.000 ma contiamo sui bus navetta; elicotteri ai VIP.
- Mh. Per inciso le confermo due membri della famiglia imperiale presenti, ispettore Date. Videocollegati i leaders politici.
- La cablatura è perfetta, e anche la risposta dei satelliti: da quel punto di vista…
- Vie di deflusso.
- Qui e qui. Sei postazioni d’assistenza cardiopatici, venti ambulanze. Dieci cabine chimiche oltre i normali impianti igienici.
- Agenti?
- 2.000, tutti dei distretti meridionali di Nagoya.
- Ospedale e caserma più vicini?
- Tsu ovest, entrambi.
- Cambiamo capitolo. Incidenti.
- Dodici di categoria A; due di B.
- Solo due? Cos’è, gli yakuza hanno firmato una tregua?
- Non vorranno contrariare i figli dei boss che sono sicuramente tifosi del Mazinga.
- Figuriamoci! 1 su 100, forse. Gli altri saranno tutti per quel rocker satanista ciclotimico bisessuale in onda di venerdì.
- Già. Che serie orrenda.
- Al contrario, è fatta benissimo. È il suo messaggio che è antisociale. Tornando ai mafiosi: si saranno spaventati?
- Anche loro.
- Perché, chi altri?
- Corvi e gabbiani; ultimamente sono più aggressivi.
- Lo so, l’inquinamento acustico. Ma c’è l’aeronautica coi falchi per lo show dei loro caccia, no? E fra un disco e l’altro fate trasmettere quei…richiami che li spaventano.
- Permesso, prefetto, scusate. – entrò un mezze-maniche – È di nuovo la…signora.
- Pff. Dille che vengo. Allora, ispettore, chiudiamo qui?
- Bene.
- Come al solito: tutto può andare storto, e noi speriamo di no. Firmato, approvato: a lei. Ah, dica: ci va?
- Garantito.
- Per l’olimpionica di tennis, vero?
- Troppo secca e isterica. Sembra mia figlia!
- Allora le piace Mazinga, eh?
- Da morire. Speriamo ci sia anche Jeeg.

11
“Pronto?”
- Ciao Jun. T’ho cercata prima.
“Ciao Tets, ero a fare shopping con una nuova amica. Non t’immaginerai mai chi è.”
- Chi è?
“Immagina, no?!”
- Bah, qualche ex teppista come te.
“Cagnaccio. Sforzati di più.”
- Non sono io quello visionario.
“Bleah, omino spento. Dimmi cosa vuoi e torna al tuo simulatore.”
- Beh: ci sarai, vero?
“Chiaro! E vedrai che vestito! Cos’è, la raccomandazione del fratellone? Paura che ti veda far figuracce?”
- No: dove c’è il Great tutto va liscio.
“Allora?”
- …Hai più saputo niente di Shiba?
“No. T’ha inquietato, eh? Un po’…”
- M’inquieta che ci sia gente così in giro. Senti, hai detto vestito nuovo?
“Ah-ha.”
- Colore chiaro, speriamo, finalmente? E trucco leggero?
“Eh? Che ti sogni?”
- …Alla tua età, possibile che sia ancora un problema? Voglio dire, hai capito cosa dico. Cioè, non ha senso quel disagio. È infantile.
“…Tetsuya.”
- Eh.
“Perché devi rovinarmi così questa bella giornata?”
- …Ok, ok; già, è che ho saputo che al museo c’è gente che gioca coi soldi, e sono un po’…schifato.
“La linea è disturbata. Metto giù. A domani.”
- Sì…ciao. Pff…
Si lasciò cadere sullo stuoino ginnico, guardò l’ora e fissò il soffitto ascoltando il vento fuori.
Lo stesso vento che spazzava i padiglioni della fiera; e che altrove fra le giostre diroccate fischiava sibilando come un cobra.

12
Il respiro di Kato era un rantolo breve, come dopo una lunghissima corsa. Barcollava sudato, sussultando a ogni botto dei fuochi artificiali.
Sottostette ai controlli dei guardiani apatico, e si diresse poi al suo posto nella tribuna prospiciente l’area di sorvolo dell’Air Show, superando una scolaresca punkeggiante.
Miwa fu un po’ imbarazzata dall’applauso per la sua relazione e declinò le richieste d’autografi, allontanandosi.
- Pronto.
“Ciao Miwa, è andata bene?”
- Sì Jun. Tu dove sei?
“Complimenti. Io? In fila per gli autografi alla nazionale di volley.”
- Brava. Da Shiro te ne fai fare due, vero?
“Ma certo, bella.”
- Grande. Ah, senti: al Padiglione Nagai ho saputo che c’è il documentario sui più grandi pervertiti del mondo.
“Wow.”
- Vacci e riprendi, capito?
“Garantito, bella. Ciao!”
- Ciao.
Gettò uno sguardo allo specchio d’acqua dove s’esibivano i modelli radiocomandati di navi. Bambini giocavano ad acchiappare il pallone che gli ospiti del delfinario gettavano gorgheggiando.
Ringraziò un dignitario arabo in vesti tradizionali che le cedeva il passo, e inspirò il profumo degli udon d’una bancarella.
Un uomo intabarrato s’infilò precipitoso nella cabina dell’ascensore con lei.
Al piano terra Miwa ne uscì sola, assestando e riordinando il contenuto della borsetta.
- Se questo era tutto il livello di minaccia… Hai proprio bisogno d’aiuto, vecchio mio. -, mormorò amara guardandosi attorno in cerca dei taxi.

13
- È lei l’addetto al mostro meccanico?
- Mostro Guerriero. Sì.
- Un’ora e si va. Niente argani? Gru?
- Gonfiabile.
- E il compressore?
- C’è. Là dietro.
- Un muletto o un trattore le serve?
- Lo faccio camminare.
- Ah sì? Beh, allora ricordi: sul campo no problem, ma fra gli stand segua le piastre gialle, ok? Sono quelle apposite ammortizzate per non spaccare pavimento e tubi vari col peso. Peccato non possa volare, eh?
- Salta che è una meraviglia; vedrete.
- Ah. Come si chiama la sua cooperativa?
- Bird’s Army.
- E avete lavorato in qualche film famoso?
- …Solo remakes. “Scontro di Titani”, “Dal Profondo”, “Il Giorno Dopo”… Il prossimo sarà “Il Signore della Notte”.
- Ah. Beh, entro 50 minuti al punto A, ok?… Il coreografo non l’ha visto?
- Se n’è già andato. Ora mi scusi ma ci sono dei teppistelli che sbirciano sotto il telone: vado a mandarli via.

14
- Qui Tsurugi, ho raggiunto la quota fissata e fra T meno 4 sarò al radiofaro di Nagoya; passo.
“Ricevuto; il volo 996 ti passerà sotto la pancia a momenti.”
- Già lo vedo ; passo.
“I controlli? Passo.”
- Tutto verde; passo.
“Ripassiamo ancora la coreografia? Passo.”
- Il Great non è un buffone o un ballerino! Scendo, controllo, fronteggio, spacco, saluto e riparto.
“Non scaldarti, campione. Scusa, ma se non sei convinto allora perché…?”
- …Perché il Great non è “mio”… E perché un vero tributo popolare se lo merita da tanto tempo.
“Ehi, così mi commuovi; passo.”
- Sono al radiofaro; passo.
“Ricevuto. Com’è il panorama? Passo.”
- Un tubo blu con un tappeto di schiuma.
“Ti senti leggero? Passo.”
- No: sento una voce continua che mi distrae.
“Ah ah ah! Scusa, scusa... Oh, c’è un aggiornamento: il tuo nemico è in posizione; 10 minuti e cominciano; passo.”
- Ricevuto.
“Dice che si chiama Mugarissa.”
- …Merda.
“Che vuoi, i nomi migliori sono già tutti copyright!”
- Non per quello: escono allo scoperto così?! Hiroshi aveva ragione.
“Chi è Hiroshi? E ragione su cosa? Passo.”
- Comincio la discesa.
“Negativo, è troppo presto; passo.”
- Invece no. Chiama il Museo, che localizzino e arrestino subito un uomo; è armato e pericoloso…
I flaps del Great Booster si abbassarono, e il colosso volante si tuffò nel mare di nuvole.

15
L’ampia sterrata che normalmente fungeva da campo d’aviazione per ultraleggeri era delimitato verso il cuore dei padiglioni da tre tribune prefabbricate: una media per i VIP, una grande per il pubblico ordinario e una piccola per i disabili.
Le majorettes in microgonna e un duo di cantanti

Edited by runkirya - 1/10/2009, 15:25
 
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John Murdock
view post Posted on 1/10/2009, 14:21     +1   -1




(segue dal post precedente)
Le majorettes in microgonna e un duo di cantanti stranieri intrattennero la gente il tempo necessario agli attrezzisti per montare la scenografia.
Non c’era grandissima eccitazione, per la verità; frenesia sì, specie fra gli addetti ai lavori e le troupes dei media.
D’improvviso il fonico avviò la musica, e le comparse cominciarono ad aggirarsi fra quinte e fondali come cittadini al mercato al suono della “Promenade” di Mussorgskij.
- Con tanti buoni compositori che abbiamo?
- Mancavano soldi.
- Possibile? Boh. Ma dov’è finito il manovratore del coso qui?
- Boh.
- E chi lo aziona?! È ancora sotto il telo!
L’addetto cominciò a tirare un lembo della copertura, ma uno sbuffo d’aria compressa lo fece arretrare.
Il telone s’afflosciò mentre la mole spaventosa di Mugarissa si erigeva con un rumore misto d’ingranaggi, vertebre anchilosate e versi animaleschi.
Le comparse cominciarono a urlare, e fra gli spettatori s’insinuò un vago e atavico timore ammutolito, ancora più speciale perché chiaramente dipinto anche sul volto di quei bambini terribili eternamente chini su cellulari e consolles portatili che “ormai avevano già visto tutto” e “non gli interessava più di niente”.

16
Tetsuya ingrandì l’immagine. Mostri Guerrieri ne aveva affrontati tanti, ma li ricordava tutti. E questo era uno dei pochi di cui avesse saputo il nome. Mugarissa. Addome oblungo da vespa con due zampe da cavalletta, torace modulare squadrato con sei zampe a trivella da impiegare anche come ruote per strisciare più veloce. E la testa retrattile con… Ma stavolta era diversa: quella originaria lui glie l’aveva schiacciata sconfiggendolo. Evidentemente i nemici lo avevano recuperato e rianimato, ponendogli sul collo una sorta d’artiglio trifido, con due mascelle laterali a chela e un punzone superiore analogo alla coda di scorpione, tenuto curvo verso la schiena.
Come le termiti giganti di vecchi film Sci-Fi; spaccava tutto con rabbiosa violenza, ma non attaccava il pubblico. Che si guardava bene dall’evacuare.
Pochi istanti per ragionare, pochissimi per agire.
“Non deve scoppiare no raggi missili e pugni porsi di lato per non buttarlo o venir buttato contro le tribune meglio destra o avrò l’abbaglio…”
Sganciò il Booster e lasciò che gravità e inerzia lo portassero al suolo sull’obbiettivo ancora lontano.
All’impatto col suolo provocò un’onda di terra che s’infranse sul nemico e una ventata che finì anche sul pubblico, ma la gente reagì subito con un grido di giubilo e un applauso che disorientò Mugarissa.
Lo scanner laser impresse l’immagine del Mostro Guerriero sullo schermo virtuale del BrainCondor cosicché Tetsuya potesse comunicare al computer dove attaccare toccando col dito il punto voluto e chiamando l’arma.
Una sorta di ebbrezza si fece largo nel pilota, un vortice di passioni e ricordi, ma stavolta si costrinse a tenere a mente i limiti della condotta di battaglia. Per un attimo si sentì più maturo, ma anche più estraneo e prigioniero.
L’enorme insetto caricò a testa bassa mentre echeggiava il suono di “Baba Yaga”.
Il Great gli afferrò una chela e una trivella, rincagnandosi per attutire l’impatto e togliere la calotta cranica dalla portata del 3° artiglio.
Un liquido spruzzò improvviso dalle aperture toraciche del mostro. Tetsuya arretrò torcendo le braccia. Mugarissa cadde in avanti di lato, privo di una trivella rimasta nel pugno del Great. Ma il risultato era per lui. Infatti il liquido aveva intasato e bloccato il portello del Missile Centrale e rovinato i meccanismi di sgancio del Boomerang pettorale.
“Astuto. Ma debole”, pensò Tetsuya già pronto a ribattere.
Come Mugarissa s’alzò eretto, il Great si gettò carponi.
- Pugno Atomico!
Grazie alla posizione bassa, il braccio scagliato centrò una ganascia del nemico, rientrando con una traiettoria che risparmiò le tribune. Colpito, quello s’alzò subito sulle zampe maggiori ruotando di 180° l’addome, dal culmine del quale partì una vampa di fuoco.
Tetsuya ordinò al Great di rotolare di lato, mossa piuttosto pericolosa per il pilota, centrifugato e preda di violente vertigini.
- Gra…nde Tifone!
Le feritoie della bocca scatenarono la raffica d’aria che Tets bloccò subito, in modo da ridurne la potenza e spegnere l’incendio allontanando il nemico ma senza travolgere tutto e tutti.
“In piedi”, pensò perplesso. “Davvero mediocre. O pensavano che fossi diventato un incapace, o erano alla frutta e questo è tutto quello che hanno da mandarmi…da mandar-ci…contro?! No, non è possibile!… È chiaro che vogliono…solo tenermi qui!”
In tribuna, fra le persone ancora ipnotizzate dallo scontro e quelli che cominciavano ad andar via visto il panico degli addetti e dei cameramen, Kato rovesciò all’indietro le pupille mentre l’ingranaggio impiantatogli al posto di un polmone cominciava il countdown, congedo di rappresaglia micenea alla festa dell’orgoglio tecnico giapponese, presenti autorità, campioni, militari, e due impotenti paladini terrestri. Due, in effetti.

17
“Mia carissima madre, lo so che se tu potessi mi fermeresti; mi schiaffeggeresti intimandomi di seppellire l’ascia di guerra e di affidarmi un po’ più alla Forza Pubblica e un po’ meno alla mia irruenza da vigilante impiccione. Purtroppo gli eventi del passato, la mia guerra con gli Haniwa in nome dell’umanità, mi hanno cambiato per sempre.
Una tigre che assaggi la carne umana non tornerà più a cacciare le gazzelle.
Questo sono divenuto, questo sono oggi. Non riesco a tirarmi indietro, persino quando del nemico non vi è che una fantasiosa traccia. L’accusa di paranoia non mi dà mai tregua, te l’assicuro. Io stesso me lo ripeto: riposo, soldato, riposo. Niente.
So che mi capisci, e ti capisco io quando insinui che la mia forza e i riflessi non mi diano più le garanzie di ieri. Purtroppo la mia mente è sempre stata…superiore a questo mio corpo straordinario, che tu hai generato e mio padre ha plasmato. Ed essa mi spinge; mi spinge avanti; per sempre. Non potrei tirarmi indietro nemmeno se volessi davvero. Devo accettare ciò che sono malgrado nel mondo di oggi io sia inaccettabile, superato, forse patetico e pericoloso. Perché questa è la verità: una scelta di vita ti accompagna fino nella tomba. E certe situazioni, come l’offensiva di Himika anni fa, t’impongono di scegliere.
Tu hai scelto di non risposarti, in nome della fedeltà, per onorare a modo tuo la memoria di papà finché vivrai. Una scelta dura, ma in fondo facile, perché…più forte di tè. So che mi capisci. E come tu hai accettato la tua natura, prego di avere sempre questa tua stessa forza nell’accettare la mia. Malgrado il tempo, malgrado gli altri.
Tuo devoto figlio,
Hiroshi”.

18
Rotolando il robot di Tetsuya era finito davanti alla tribuna piccola e per proteggerla non poté scansarsi quando Mugarissa gli balzò addosso, cercando solo di spingersi via più possibile.
Ma era un problema, con cinque trivelle piantate nei fianchi e lo spunzone del nemico, fortunatamente troppo corto per giungere all’abitacolo, che colpiva ripetutamente con forza gli occhi del robot, mentre la ganascia residua gli arpionava il collo, per danneggiargli le connessioni del cranio o addirittura spezzargli la testa.
Nel vortice di led e allarmi per i danni, nell’abitacolo squassato dalle vibrazioni dei colpi, il pilota tentava di stabilire un contatto visivo con la tribunetta per capire se potesse azionare l’aliante a razzo o meno.
Stringeva le mascelle che avrebbe spezzato una noce. L’importanza della presa sul suolo gl’impediva d’estrarre la Spada Diabolica dalla gamba: poteva solo stringersi al nemico per stritolarlo; sperando di fare in tempo.
Di colpo un’ombra gli passò sopra, e un uomo s’ergeva in equilibrio alla base del collo del mostro.
Gridò qualcosa unendo i pugni, e scatenando un’onda magnetica che fece ballare tutti gli indicatori del Great fece sbucare dal terreno due braccia meccaniche blu che, dirette verso di lui, centrarono Mugarissa danneggiandolo.
L’uomo compì un salto mortale all’indietro e ripeté il suo richiamo, attirando a sé le braccia-proiettili e un altro insieme di componenti colorati lanciati da una grande navicella d’appoggio rosso-blu sopraggiunta dal mare.
- Jeeg Robot d’Acciaio! Agganciamento!
L’uomo s’appallottolò formando il minaccioso cranio robotico alato, unendosi al collo del robot magneticamente assemblato.
Alcuni papà fra il pubblico lo additarono ai propri pargoli con entusiasmo.
Jeeg guardò per un attimo i combattenti avvinghiati, quindi la gente con attenzione; così relativamente piccolo difficilmente poteva contribuire alla lotta (o rubare la scena a Tetsuya), e infatti si parò davanti alla tribuna maggiore mettendosi in posa plastica.
- Superneutroni!
I raggi traenti che gli sgorgavano come saette dall’ampio foro ombelicale rossastro scatenarono un putiferio strappando via occhiali, gioielli, telefoni, monete, orologi, chiavi, e addirittura un intero essere umano, oltre a dozzine di viti e bulloni della struttura.
Compì una capriola e un balzo in alto, atterrando sulla navicella d’appoggio, il BigShooter, assicurandosene e schizzando via a velocità massima.
Per l’incredula delusione di tanti.
Con un suono di marmo infranto, Mugarissa finì intanto finalmente stritolato. Il Great lo sorresse per afferrarlo, alzandolo sopra la testa e scagliandolo via.
Quindi si pose con le spalle al pubblico alzando un braccio.
- Thundeeer…break!
L’elettricità statica dell’atmosfera si condensò in due saette, le sottili corna laterali le catturarono e convogliarono alla mano, che dall’indice sparò una scarica micidiale, riducendo arrosto i resti di Mugarissa.
- Scramble Dash!
Distese le ali dell’aliante incorporato per infrangere l’onda d’urto riparando la gente, quindi si voltò per l’apoteosi.
Dal mare gli giunse l’eco attutito di una deflagrazione tremenda.
Tetsuya sganciò il BrainCondor e vi si diresse subito.

19
Dal fastigio panoramico della palazzina degli uffici, un trio guardava le rovine del campo di battaglia.
“Evviva il Grande Mazinga! Evviva l’orgoglio giapponese!”, urlava la folla più o meno all’unisono al cospetto del gigante bianconeroblu.
- Evviva Jeeg Robot d’Acciaio, evviva il cuore coraggioso di Hiroshi. -, disse Tetsuya poggiando una mano sulla spalla del collega.
- Grazie per avermi creduto, Tetsuya.
- Grazie a tè per essere rimasto l’insonne vedetta di sempre. Confesso che t’invidio per questo, Hiroshi.
- Davvero? Pensa che io invidio tè per aver saputo reinserirti nella società così bene.
Jun, nel suo completo beige un po’ strapazzato s’intromise.
- Penso che in fin dei conti voi due siate 2 facce della stessa medaglia; dello stesso nobile guerriero.
- Oh, molto gentile; e molto profonda.
- Neanche una come lei può avere sempre torto, no?
- Buu! Sei la solita serpe, Tetsuya. Cagnaccio!
- Già già, è come dice lei: sai che come attore sei un cane, Tets?
- Come no? Sarà per questo che lavoro solo con registi mediocri!
- Eh…
- Di che state parlando voi due?
Non risposero, scambiandosi qualche pacca complice.
- Ora dove andrai?
- A finire le vacanze da mamma e Mayumi. Da settembre ho gli allenamenti per la Mille Miglia.
Il BigShooter comparve in cielo. Miwa girò di 180° sull’asse per poterli salutare capovolta.
- Ecco una ragazza davvero in gamba! -, fece Tetsuya.
- Ed eccone un’altra. -, disse Hiroshi poggiando una mano sulla spalla di Jun.
- Perché non le offri un posto al Museo, Vicedirettore? -, fece subito lei.
- Mmh. Possiamo parlargliene. In fondo…già da stasera un certo posto sarà vacante laggiù.
Sorrisero, per quanto il dato di fatto rappresentasse anche una futura probabile nuova minaccia.
- Ehi, miei eroi, questa fanciulla apprezzerebbe molto un lauto pasto; che dite voi?
- Si può fare; Tetsuya?
- Certo: tanto offri tu, Hiroshi.
- Io? Perché?
- Per ripagare quella bellissima scrivania…che mi hai sfregiato in ufficio!
E raggiunsero le scale, e s’immersero fra la gente, nella folla un po’ esaltata un po’ delusa, come sempre.
FINE

per i commenti :)
http://gonagai.forumfree.net/?t=43113113

Edited by John Murdock - 15/4/2010, 08:55
 
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