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Go Nagai e la stampa, le raccolte degli articoli

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isotta72
view post Posted on 12/7/2010, 10:50 by: isotta72     +1   -1




Girellando sugli archivi storici delle principali testate mi accorgo che di Goldrake&Company si parla su ogni giornale mediamente una decina di volte all'anno.. :) e ogni tanto magari si incappa in rete in un articolo carino o un'intervista.
Propongo di raccoglierli qui, man mano che li troviamo, e magari da qualcuno di questi verrà fuori qualche spunto di riflessione..

Inizio io, con un articolo uscito su Repubblica nel 2008.. e che si riallacia un pò ai 3d "di nostalgia" che ho visto in giro per il forum in questi giorni..



Il primo robot della tv giudicato dai ragazzi
Repubblica — 28 maggio 2008 pagina 1 sezione: FIRENZE

Goldrake è un tipo tosto. Un robot d' acciaio d' altri tempi, poco avvezzo alla pensione. Domani si festeggeranno i suoi trent' anni, al Circolo Vie Nuove, e si potrà rivederlo sullo schermo gigante nella sua prima apparizione. Roba da nostalgici, ma anche un' occasione per i più giovani che ammirandolo potranno fare la tara ai robottacci di adesso. Non c' è partita. L' Ufo robot d' acciaio che "si trasforma in un razzo missile", coi "circuiti di mille valvole", che mangia "insalate di matematica" e "nelle stelle sprinta e va". Roba d' altri tempi, ma non c' è motivo di escludere la nostalgia nel rivederlo adesso, con questi occhi qua. Forte e potente, bonario, con le corna gialle, una trentina di metri d' altezza per altrettante tonnellate, un gigante, eppure non invincibile, anzi a tratti goffo. Duro da spaccarsi i denti ma capace di flettersi e vibrare nello sforzo della battaglia. Un robot flessibile, anche in questo moderno, che sotto la gelida scorza conserva qualcosa di caldo e rassicurante: il cuore di Actarus, alieno ma più che umano, generoso, altruista, pure un po' femminuccia agli occhi di noi bambini birboni. Arriva da un altro pianeta, clandestino, e si sofferma sulla Terra per difenderla dall' invasione dei cattivi. Un eroe, ma che da solo col suo robottone non ce la fa, anzi ha sempre bisogno dell' aiuto di amici e mezzi complementari, siano delfini o trivelle spaziali. Qualche anno fa ho smollato il mio lavoro "normale" per tentare la carriera del cartoonist: volevo disegnare cartoni animati, e basta. Sapevo quello che rischiavo e soprattutto sapevo quello che avrei dovuto fare: centinaia di disegni su disegni, con personaggi sempre diversi, inventati altrove, da persone diverse, da collocare e far muovere sulla scena, all' interno di pochi secondi o porzioni di secondi, fotogrammi, seguendo le indicazioni di regia, raffigurandoli in pose facili o difficili, d' ogni tipo, che differivano dal foglio precedente di pochissimi millimetri. Una follia. E all' interno di tutto ciò trovare lo spunto per sentirsi interpreti, creativi, nonostante il mestiere fosse di pura manovalanza e i film, giustamente, li firmassero altri. Ho smesso, perché la manovalanza pagava poco e non dava continuità. Ho smesso perché ci commissionavano cartoni brutti, spot pubblicitari e videoclip di cantanti melensi, serie volgari, e perché l' animazione vecchia maniera va scomparendo a discapito di computer e grafica 3D, e in certe faccende non mi sono mai riciclato. Fatto sta che in quattro anni di cartoons non c' è mai stata un' emozione che valesse i primi venti secondi della sigla di Atlas Ufo Robot. La serie di Goldrake era tecnicamente giocata al risparmio, pochi disegni e cicli d' immagini ripetuti in tutte le puntate, ma il gap veniva compensato dalla forza delle storie, la tensione delle immagini. Certa violenza era contestata e osteggiata, dai grandi, per proteggere noi piccoli, eppure il cuore della magia stava altrove. Quella di Goldrake era una saga sull' amicizia, sull' amore, sull' importanza dei rapporti tra la gente, anche tra i diversi. Era la guerra fatta per necessità e mai fine a se stessa. Era una guerra di liberazione, tra l' altro contro nemici che avevano tutti i loro buoni motivi per attaccare: il suo pianeta andava distruggendosi. Erano guerre buone da replicare in cortile, senza l' imbarazzo di doversi calare anche nei panni dell' avversario. Erano personaggi buoni da pensare quando fuori tuonava e si era già rannicchiati nel letto, e a chiamare mamma si faceva la figura del pollo. Quando i ragazzetti più grandi minacciavano, nelle lotte di quartiere e di cerbottane e di fango, con argomenti spropositati e spaventosi. La mia arma preferita era l' alabarda spaziale. La mia sequenza preferita era la corsa di Actarus per prendere la guida del robot, vestito come un pezzente, veloce come un centometrista per poi lanciarsi in una finestrella a mezz' aria, scivolare sulle suole di cuoio sul pavimento liscissimo e poi in sella a una motoretta astrusa, spinta dal fuoco, e poi gettarsi nel vuoto e cambiarsi d' abito così, al volo, per aria, e ritrovarsi in divisa smagliante come io avrei voluto fare la mattina per andare a scuola, dal pigiama al grembiule senza bisogno di agganciare bottoni e infilare cerniere, con quel sonno che proprio non si potevano tenere gli occhi aperti. La delusione più grande fu quando mi comprarono la tuta di Actarus, per carnevale. Bellissima, ma proprio non aveva niente a che vedere con quella vera. Pensare che certe parti si chiudevano con lo strappo, e che dietro la maschera c' era l' elastico: possibile? Pensare che l' anno dopo già mi stava stretta, e ridicola, coi calzini bianchi che sbucavano fuori, da sotto, e le scarpe normali, ahimè.

- EMILIANO GUCCI
 
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6 replies since 12/7/2010, 10:50   357 views
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