L’arrivoFissava quel volto sudato, pallido e contratto..in che diavolo di guaio si era cacciato?
Solo in quel momento cominciava a ragionare.. tutto quello che aveva fatto fino ad allora era come se appartenesse ad un’altra dimensione..come se fosse successo a qualcun altro..
Quell’enorme palla di fuoco che precipitava sulla collina, la sua corsa folle per capire cosa stesse succedendo.. lo scenario apocalittico che gli si era parato davanti..
Quel .. coso.. aveva inciso il fianco della collina dietro al centro ricerche provocando una frana ed era semi sepolto dal fango..aveva raccolto quel corpo, era un ragazzo, era ancora vivo..
Ora cercava di mettere insieme i tasselli.. di portare sotto controllo l’agitazione che sentiva dentro, e che gli toglieva lucidità..
Un giovane uomo, poco più di vent’anni, in condizioni disperate.. le sue nozioni di medicina erano piuttosto buone, ma avrebbe dovuto chiamare qualcuno a dargli una mano.. quel giovane era disidratato, ferito, denutrito e la febbre lo stava divorando.. segno di qualche infezione in atto..
Ma erano nel cuore della notte..se lo avesse portato al Pronto Soccorso gli avrebbero fatto un sacco di domande, e lui voleva tenere per sè questa cosa.. almeno finchè non l’avesse capita..
L’infermeria del centro Ricerche era piuttosto attrezzata.. a lui era sempre piaciuto fare le cose per bene..
Gli medicò le ferite, gli applicò una flebo di glucosio, cercò di abbassargli la febbre con delle iniezioni di antipiretico, e gli somministrò gli antibiotici..avrebbe avuto bisogno di una trasfusione, ma questo era al di là delle sue possibilità..
Delirava.. parole incomprensibili sibilate a fatica.. il respiro era affannoso..si sedette a fianco al letto, incrociando le mani.. non poteva fare altro per lui..
Ora aveva il tempo per riordinare le idee.
Indossava una tuta di un materiale indefinibile, che si era dissolta quando lo aveva appoggiato sul letto, lasciandolo letteralmente a bocca aperta..e teneva stretto un medaglione, che emetteva bagliori intermittenti .. come se possedesse esso stesso una strana forma di energia.. non c’era il vano per inserire le batterie.. lo stringeva talmente tanto da esserselo conficcato nel palmo della mano.. ed ora era lì, sul comodino, si illuminava a tratti, e gli trasmetteva un senso di inquietudine.. come il sapere della presenza di quell’enorme macchina incastrata nel fianco della collina, a breve distanza al centro..
Nessuno l’avrebbe trovata.. era semisepolta dal fango e dalla vegetazione e lo spazio intorno al centro era interdetto al pubblico..la neve, che cominciava a cadere, l’avrebbe definitivamente nascosta.
Un alieno..Se avesse avuto un altro aspetto, avrebbe impiegato meno tempo a convincersi di questa ipotesi.. ma quel ragazzo era così.. normale.. era tutto il resto, però, a non quadrare..
Cercò sul suo corpo dei segni che lo potessero convincere della sua ipotesi.. nulla..aveva un bel viso, anche se era pieno di lividi ed escoriazioni, i lineamenti erano regolari, la pelle chiara, i folti capelli castani arrivavano alle spalle, e la corporatura longilinea, era piuttosto alto..ma nulla di strano.
Si avvicinò per scrutarlo meglio, e proprio in quel momento il ragazzo sussultò, spalancò gli occhi, gli uscì dalla gola una specie di rantolo, parole incomprensibili, era in preda al panico, e gli afferrò un polso.. durò lo spazio di un secondo, poi si riaccasciò sul cuscino..
La testa gli scoppiava, suoni lontani gli rimbombavano nel cervello, non riusciva a muoversi, era buio, tremendamente buio..
Che sete, un’arsura insopportabile, e la sensazione di essere legato..
No, non era legato, riusciva a muovere braccia e gambe, sembravano di legno, ma si muoveva..doveva avere degli aghi, conficcati da qualche parte, pungevano..
Cercò di alzarsi, sentì un dolore lancinante al petto, come se una bestia lo avesse azzannato..si lasciò cadere di nuovo sul cuscino..
Ma dov’era? Cominciava a mettere a fuoco, nella penombra, una stanza, una grande finestra, e un uomo, sopra di lui, che lo guardava..
Ebbe un sobbalzo, voleva gridare, forse, un urlo soffocato, non era abbastanza forte per urlare, più un sibilo, era terrorizzato..
Chi era quell’uomo?
Era prigioniero? Era sotto condizionamento?
No, era cosciente della sua identità, era Duke, Duke Fleed, e stava cercando di mettere Goldrake al sicuro, stava scappando dall’inferno..
“Goldrake!” ancora un grido strozzato che non usciva dalla gola, l’uomo chino su di lui cercava di farlo coricare di nuovo, aveva una voce calma, rassicurante, ma cosa gli stava dicendo, non capiva..
Ora tutto girava intorno, c’era più luce, qualcuno lo chiamava, da lontano, ma lui non sentiva più, era stanco, tremendamente stanco..voleva dormire, dimenticarsi, andarsene..
Quegli occhi.. ecco finalmente.. lo avevano quasi spaventato, di un blu scuro che non aveva mai visto in vita sua, e così disperati..quelli non erano occhi terrestri..
“E’ svenuto di nuovo.. forse è meglio così”, pensò Procton, guardando quel viso pallido e sudato.
Anche lui ora si sentiva molto stanco..lo aveva trascinato giù dalla collina, sostenendolo per diversi chilometri.
Era stato in piedi tutta la notte, cercando di scaldarlo, di reidratarlo, di farlo smettere di sanguinare..di tenerlo in vita.
Non voleva rischiare che quel ragazzo cercasse di nuovo di alzarsi: si stese sul divano di fianco al suo letto, fissando il suo petto, che si alzava ed abbassava quasi regolarmente, solo qualche brivido, che lo percorreva da capo a piedi, interrompeva di tanto in tanto quel ritmo regolare.
Quando si svegliò ebbe un sobbalzo..quegli occhi blu lo fissavano chissà da quanto tempo, il ragazzo era seduto sul letto, quel volto provato e sofferente lo stava studiando.
Fece il primo passo, tendendogli la mano..sperando di fargli capire in quel modo che non aveva intenzioni ostili..
”Sono un amico, voglio aiutarti, mi chiamo Procton..”
Gli si strinse il cuore nel vedere quanta paura stesse incutendo in quel ragazzo, che si ritraeva schiacciandosi contro la testata del letto.
Decise di non andare oltre, e di sedersi ad aspettare che fosse lui a fare la prima mossa.
Ma il giovane sconosciuto si lasciò cadere di nuovo sul cuscino, affondando in uno stato catatonico da cui sembrò non voler più riemergere nei giorni successivi.
Era evidentemente sotto shock: non rispondeva a nessun genere di stimolo, non riusciva a farlo mangiare e nemmeno a farlo stare seduto.
Si addormentava, di tanto in tanto, ma per la maggior parte del tempo stava steso su un fianco, lo sguardo spento che fissava il nulla.
Era debolissimo..non avrebbe resistito ancora a lungo in quel modo.
Uno di quei giorni non si sarebbe più svegliato..
Procton non poteva immaginare cosa scorresse davanti a quegli occhi spenti: gli orrori degli ultimi giorni di Fleed, i demoni urlanti e i fantasmi della sua gente si erano impadroniti di lui, facendo scempio di quella mente stremata ed incapace di reagire ad un simile attacco.
Un giorno, davanti all’ennesimo rifiuto del cibo, Procton perse la pazienza: si sentiva frustrato da tutti quei tentativi andati a vuoto, ma non voleva mollare.. non accettava che quel ragazzo, miracolosamente sopravvissuto a chissà quali esperienze, decidesse di lasciarsi morire proprio sul suo letto, sotto i suoi occhi.
Non accettava di lasciarlo andare senza aver saputo nulla di lui.
La rabbia prese il sopravvento: afferrò il giovane per la maglietta, lo colpì violentemente con uno schiaffo e lo trascinò in malo modo giù dal letto.
La paura tornò prepotente negli occhi dell’alieno, si lamentò, doveva avergli fatto male, ma non gli importava, voleva scuoterlo, trovare una qualunque reazione da cui poter ripartire per cercare di comunicare..
Si sarebbe pentito per sempre di quel gesto..quegli occhi impauriti sarebbero tornati spesso alla sua memoria, facendolo vergognare per quella perdita di autocontrollo..
Lo sollevò da terra mettendogli un braccio intorno alla vita, lo coprì un po’ meglio e noncurante del suo sguardo terrorizzato lo trascinò in malo modo sulla terrazza.
Era una limpida giornata d’inverno, il sole stava tramontando e da quel punto si godeva di una vista incredibile..
Lo fece sedere sulla panchina davanti alla balaustra..il giovane era come incantato, la bocca socchiusa, fissava lo splendido scenario ed i colori infuocati del sole che andava a nascondersi dietro il profilo delle montagne coperte di neve..
Lo sentì tremare, prima impercettibilmente, poi sempre di più, gli occhi si riempirono di lacrime, si mise le mani nei capelli e cominciò ad urlare, urla strazianti, disperate..come se volesse svuotarsi..
La reazione era arrivata, finalmente.. che pena infinita gli faceva, lo strinse a sé, abbracciandolo.
“Sfogati, forza, butta fuori tutto, cerca di reagire..io sono qui, con te, ti aiuterò”
Il ragazzo si aggrappò alla sua camicia, affondando il viso nel suo petto, continuando a piangere ed urlare tutta la sua disperazione.
Dopo un po’ il pianto cessò, ma continuava a rimanere ancorato a lui, il corpo scosso dai singhiozzi.
Procton capì che aveva bisogno di contatto fisico, di calore umano, e lo tenne abbracciato finchè ce ne fù bisogno.
Che strana sensazione..sentire di poter dare sollievo a qualcuno attraverso il proprio corpo..sentiva un istinto di protezione nei confronti di quel poveretto..sentiva nascere un affetto che raramente aveva provato in vita sua..
Nei giorni successivi le cose cominciarono a migliorare, il ragazzo accettò di mangiare, di prendere un po’ di aria sulla terrazza..lo seguiva con lo sguardo in ogni suo gesto, come se stesse cercando di prendere la rincorsa per dirgli qualche cosa.
Procton cercava di parlargli il più possibile, anche se il monologo alla lunga gli sembrava un po’ ridicolo.
Non sapeva che il cervello di quel giovane stava rapidamente decodificando il suo linguaggio, unendo i suoni ai concetti come una specie di algoritmo che andava per approssimazioni successive.
Parlò quando si sentì pronto.
Gli stava cambiando la fasciatura e come al solito quei profondi occhi blu lo fissavano..
”Mi chiamo Duke Fleed”, bisbigliò rompendo il silenzio..
“Procton”, gli tese la mano, e questa volta l’invito fù raccolto.
Erano le notti i momenti più difficili.. Duke era spesso preda degli incubi, che lo lasciavano spossato e scosso..non era ancora in grado di raccontare quali esperienze fossero all’origine di quei tormenti, e Procton non era nemmeno sicuro che ne volesse veramente parlare..
Continuava a dormire accanto a lui, aveva un brutto presentimento.
Proprio quegli incubi, infatti, rischiarono di portaglielo via definitivamente.
Lo agguantò all’ultimo minuto, quella notte, mentre stava per lanciarsi nel vuoto dalla balaustra, e pianse anche lui, quando si rese conto che avevano scampato il pericolo.
“Non ce la faccio..” gli aveva detto Duke quando lo aveva fatto stendere di nuovo..nella sua voce una stanchezza senza fine.. “lasciami andare, ti prego..sono tutti morti, non è naturale, non ha senso che io sia ancora in vita..è troppo grande per me.. non lo posso sopportare..”
Ma Procton gli rispose con fermezza, nonostante quelle parole gli avessero stretto lo stomaco:
“No, Duke, devi darmi una possibilità: lascia che abbia cura di te, prova a vivere, datti tempo..sei così giovane.. se poi non ce la farai.. ti lascerò libero, te lo prometto..”
Quell’episodio fù terribile, ma sentì che in Duke aveva fatto scattare qualche cosa: da allora lo guardò in modo differente, e iniziò a parlare di più, finchè, un giorno, gli raccontò tutto..
Curare il suo corpo fù una passeggiata in confronto a curare la sua anima.. si dedicò a lui completamente, trascurando i suoi studi e la conduzione del Centro Ricerche.
I suoi collaboratori, gli unici a cui non aveva potuto fare a meno di svelare l’accaduto, capivano la situazione..
Prendersi cura di un altro essere umano.. era la prima volta in vita sua, e aveva capito che, in fondo, era piuttosto bravo anche in questo!
Un giorno, al ritorno da una breve passeggiata, lo accompagnò nel suo studio, doveva prendere delle carte per Yamada.
Quando entrarono lo sguardo di Duke si fermò sulla sua vecchia chitarra.
“Questa..?” chiese indicando lo strumento, con l’aria stupita.
“E’ una chitarra..”
“Chitarra..” ripeteva ogni nuova parola, con metodo, e poi la utilizzava come se l’avesse sempre posseduta.
Si avvicinò e passò le dita sulle corde.
“Suona.. male!” , gli disse sorridendo.
“E’ scordata.. me la regalarono quand’ero giovane, non ho mai imparato.. è lì perché è un ricordo..”
“..Scordata.. posso?”
“Sai suonarla?” chiese allibito Procton..
Senza rispondere, Duke si sedette sul divano e la accordò velocemente, poi cominciò a suonare, un arpeggio lento, melodico, non triste, ma estremamente struggente.
Procton si accovacciò davanti a lui, fissandolo negli occhi..
“E’ tua, se vuoi..” Duke gli sorrise, continuando a suonare.
“Ascolta Duke, vorrei adottarti, se sei d’accordo..ho già parlato con un amico, a Tokio, potrebbe preparare tutti i documenti, crearti un’identità.. se vuoi restare qui, se vuoi restare con me..”
“Adottare?” disse corrugando la fronte..
“Si, diventare mio figlio, per legge..ti darei il mio cognome..”
Duke lo guardò commosso, quegli occhi blu brillavano e le mani tremavano leggermente..poi chinò lo sguardo..
“Non avevo più nulla, fino ad ora.. e adesso ho una chitarra.. e un padre..
Grazie..” disse annuendo.
Procton capì in quel momento che ormai non rischiava più di perderlo, che aveva vinto la sua battaglia..
Per i commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=44187433Edited by isotta72 - 2/6/2010, 23:00