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RUNKIRYA: i racconti per la Cronologia

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view post Posted on 11/4/2010, 21:45     +1   -1
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Ho dei pensieri che non condivido!

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Profugo/Prequel(cap. I )

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Maledisse il parafulmine che non aveva retto, la ditta che aveva costruito l’antenna, chi l’aveva progettata in quel modo…e quando non ebbe più con chi prendersela, inveì contro il temporale. Il passaggio della cometa, alla distanza minima dalla terra, era previsto per quella sera; con il satellite che avevano in orbita sarebbero stati i primi a ricevere le informazioni, le migliori informazioni. Il dott. Genzo Umon scese dall’auto e dopo i primi rapidi passi si avvicinò lentamente ai resti dell’antenna. Troncata malamente, giaceva a poca distanza dal ciglio della parete rocciosa.
Si fermò sotto la pioggia battente, inzuppandosi d’acqua, una parte dell’erba era stata spianata,ordinatamente ogni filo era poggiato sull’altro…
Qualcosa aveva distrutto la sua antenna e smussato i margini della roccia. Guardò giù, venti metri più sotto, il letto di un antico fiume, accoglieva un piccolo ruscello che scorreva indifferente alla presenza di alcuni massi recentemente staccatisi dalla parete. Un altro particolare era fuori posto: un uomo giaceva immobile sui ciottoli della riva.
Corse verso il fuoristrada, doveva avvisare il centro dell’accaduto, avviò il motore facendo retromarcia, scese per un tratto lungo il sentiero,quando il dislivello lo permise lasciò la strada per tagliare lungo il fianco della collina. La macchina si fece largo fra l’erba alta e radi alberi, la discesa divenne piuttosto ripida e accidentata, ma praticabile. Prese il cellulare per avvisare i suoi collaboratori, uno scossone glielo fece sfuggire di mano, lasciò perdere la chiamata e si concentrò sulla guida.
Stava andando tutto storto, ci mancava solo qualcuno, entrato senza permesso nell’area del centro ricerche per ammazzarsi con l’antenna.
Sterzò sulla sinistra entrando nel corso d’acqua, la parete rocciosa cominciò a crescere mostrando le fasce di sedimentazione obliqua di ere lontane, di tanto in tanto le linee si interrompevano lasciando spazio a grotte e anfratti ostruiti da vegetazione e radici.
Vide l’uomo immobile sui ciottoli, la pioggia scivolava dalla sua tuta, ‘uno speleologo?’ pensò. Che cosa ci faceva li? Non negavano mai l’ingresso ai visitatori e meno di tutti se erano dei ricercatori. Gli si avvicinò.
Il viso ne rivelò la giovane età, segnato da occhiaie scure e guance pallide e scavate. Cercò un segno vitale, tastandogli il collo, non sentiva nulla. Con estrema cautela allargò il colletto della tuta, il tessuto era cedevole e morbido con una qualità tattile che lo sorprese, gli sfuggì dalle dita, provò ancora, riuscì a sentire le pulsazioni, erano regolari non sembravano deboli, forse appena rallentate dallo stato d’incoscienza; fissò il tessuto che si era adagiato, rivelando pienamente la forma delle sue dita. Ritrasse la mano in un gesto istintivo. Per un attimo la sua mente cercò di elaborare la sensazione ma gli sfuggiva… si girò per tornare alla macchina e vide qualcosa.... in una grotta infondo al dirupo.
Due luci. Fece alcuni passi e queste presero una forma definita e decisamente aggressiva, illuminando una testa enorme, Umon ne fu affascinato, si avvicinò ancora e si bloccò pietrificato dalla sorpresa. Gli occhi brillarono con maggiore intensità illuminando la caverna e delineando il profilo di un disco. Che cosa stava succedendo?
Alle sue spalle i ciottoli fecero rumore sfregando fra loro e un lamento catturò la sua attenzione. Cautamente arretrò e vide con la coda dell’occhio il ragazzo tentare di rialzarsi e cadere ancora per rimanere immobile. Doveva soccorrerlo, ma aveva paura di dare le spalle al …si spostò lentamente, senza perdere d’occhio la grotta, non si muoveva più nulla ed i due occhi erano tornati nel buio. Nella sua mente si stavano agitando pensieri a cui non osava dare definizione…alla fine prese coraggio e soccorse il malcapitato.
Con un po’ di fatica lo caricò in macchina; non era uno speleologo.
Facendo rapidamente retromarcia continuò a controllare l’antro scuro in cui si riversava il piccolo fiume…qualsiasi cosa si nascondesse la dentro aveva reso chiaro il suo monito: bisognava stargli lontano.
Il passeggero si lamentò e Umon decise di portarlo al rifugio, vicino all’antenna distrutta, li avrebbe chiesto aiuto.

Entrando nella stanza Genzo girò il diffusore al minimo e accese la luce. Il ragazzo con uno scatto si tirò su malamente, con un secondo movimento cadde dal letto e tentò di rimettersi in piedi mentre le coperte attorcigliate gli impedivano i movimenti.
Rimase fermo ad osservare la figura smunta che si agitava, la paura gli aveva trasformato lo sguardo rendendolo singolarmente maturo. Si sentì disorientato da quel mutamento, mantenne la calma e cercò di parlargli per rassicurarlo.
- Sta calmo, ragazzo, nessuno vuole farti del male.- fece un passo verso il letto, tendendo la mano con il bicchiere d’acqua. Nella semi incoscienza in cui era stato, era riuscito a dissetarlo, poche gocce dispensate con prudenza, i segni della disidratazione erano evidenti quanto la paura. Spostandosi lentamente lasciò il letto come barriera fra loro. L’insolito ospite rimase rannicchiato fra letto e parete; fissandolo, cautamente prese il bicchiere d’acqua. Bevve un primo sorso, trattenendolo per qualche istante, Genzo ne fu rincuorato, il ragazzo era spaventato ,forse confuso, ma sicuramente padrone di se.
Posando il bicchiere per terra cominciò lentamente a districarsi dalle coperte.
Si chiese quali autorità avrebbe dovuto contattare. I capelli erano castano scuro, i tratti del volto proporzionati e regolari, ma gli occhi non erano asiatici e di un vivido blu. Ne aveva mai visti di quella sfumatura? Pensieroso, Umon si accarezzò i baffi; era alto, pensò ad un nord europeo, forse un…? Non riusciva a collocarlo geograficamente, eppure era sempre in grado d’indovinare la provenienza di una persona, una capacità che aveva sviluppato in anni di viaggi e conoscenze. La manciata di parole che aveva pronunciato nel torpore dell’incoscienza erano irrilevanti tanto più che infittivano i dubbi. Poi c’era il ‘disco’ vicino al fiume …una ‘nave’? Dalla ‘polena’ ‘insolita’?
Gli si avvicinò per aiutarlo , il viso era tirato, provava dolore e notò il sangue sul braccio destro. Era ferito? Lo aiutò a tornare a letto, non sembrava più tanto spaventato, solo esausto. Lasciò la stanza, tornando attimi dopo, con ciò che aveva in baita per il pronto soccorso.
Lo straniero assorbiva ogni suo movimento; preparò il disinfettante e prese le forbici, la tuta non aveva lacerazioni, non sapeva neanche come toglierla senza tagliarla.
La parte superiore sparì, una miriade di piccole squame si ripiegarono su se stesse.
Ignorò quello che aveva visto e lasciò perdere il disinfettante, avrebbe ripulito la ferita, sul braccio, con dell’acqua. Ignorò anche la stranezza della ferita, sembrava più una cicatrice.
Non avrebbe informato le autorità, una parte della sua mente gli aveva fornito le risposte, adesso spettava alla sua razionalità capire.
Finì di chiudere la fasciatura e gli fece bere ancora un sorso d’acqua. Il ragazzo lo guardò e puntando un dito su se stesso disse: - Duke.-
L’uomo gli sorrise – Umon.- era più abituato al suo cognome nelle presentazioni. ‘Che devo farne di te?’ pensò.
Un trillo destò l’attenzione di entrambi – Sta calmo, Duke.- lo rassicurò.

Che strana lingua, era così aspra e l’uomo era stato così gentile da soccorrerlo. Una forma umana non spaventava altri esseri umani.
Che posto era quello in cui si trovava? Una delle loro case? Oppure… no, c’erano solo lui e Umon nell’altra stanza che parlava attraverso un apparecchio. Alcuni oggetti riusciva a capirli, altri erano alieni…qualsiasi cosa gli fosse successa da quel momento in poi, non gli importava e Grendizer si sarebbe preso cura di se stesso, come aveva fatto quando era nelle mani di Vega. Adesso poteva riposare, non doveva più fuggire o combattere per rimanere vivo, non aveva più obblighi nei confronti di alcuno. Non aveva più nessuno. Era tutto finito, il tempo e lo spazio lo separavano da eventi a cui nessuno poteva porre rimedio.
Aveva detto il suo nome, come se avesse importanza ora, i nomi di tutti erano andati persi, con le loro vite. Nessuno avrebbe mai saputo nulla delle loro esistenze, nessuno avrebbe dovuto sapere nulla di lui. Si sentiva al sicuro perché era riuscito nel suo ultimo intento. Sereno si addormentò.

-……Yamada,si…l’intera struttura non ci sono possibilità di recupero; dovrete procedere come le altre volte.- il suo collaboratore rimase per un attimo in silenzio, riusciva ad immaginarselo, ma ormai era accaduto qualcosa di più importante. Non poteva spiegare in modo coerente, sapeva che il ragazzo da lui soccorso non apparteneva alla Terra. Era stato come incontrare uno straniero: fisicamente non c’erano diversità, ma qualcosa di sfuggente, che non si limitava agli abiti o alla lingua, lo rendeva riconoscibile per unicità.
- No, non questa sera, potete fare a meno di me…- in che modo poteva giustificare la sua assenza?
- No, Yamada, nulla di grave sono alla baita c’è stato solo un imprevisto.- gli venne da ridere. Il dott. Umon era un uomo ordinato, prevedibile, frasi di quel tipo erano assurde per lui; come suonavano per i suoi collaboratori? Cercò di normalizzare il tutto, dicendo che avrebbe lasciato acceso il cellulare e se proprio fosse indispensabile potevano raggiungerlo alla baita. Chiuse la telefonata, più irragionevole della sua vita, augurando un buon lavoro a tutti.
Attraverso la porta spalancata, vide la figura sul letto dormire, il torace si muoveva con regolarità, nuovamente chiuso nella tuta.
Aprì la porta d’ingrasso e uscì sotto il piccolo porticato, appoggiandosi ad una trave, diede una inutile occhiata al cielo serale, le nuvole erano ancora cariche di pioggia; la sua mente gli diede un istante di tregua per apprezzare l’odore dell’erba bagnata, subito dopo tornò alla carica: ma che gli passava per la testa, lasciare tutto così?
Era totalmente dedito al suo lavoro, raramente si concedeva una vacanza, i suoi spostamenti dal centro ricerche erano giustificati da convegni e poi lui non agiva mai d’impulso.
L’umidità dei vestiti che indossava si fece sentire e dopo i primi brividi rientrò. Il fruscio delle coperte, riportò la sua attenzione sul ragazzo. La figura si agitava con piccoli scatti della testa e degli arti, la strana lingua emergeva dal sonno. Si chinò per ascoltare meglio, non aveva mai sentito niente di simile, era al di fuori della sua esperienza, quei suoni lo inquietarono.
La sua razionalità si contorceva inutilmente da ore per capire cosa fare. Se prescindeva dai suoi numerosi dubbi e dalle poche certezze che la situazione aveva, doveva comunque prendere in considerazione il fatto che Duke era uno straniero, l’altro termine non gli piaceva , suonava fasullo; il dott. Umon non credeva a certe cose. Gli stava venendo mal di testa: aveva a che fare con un ‘clandestino’… maledisse nuovamente l’antenna: le autorità erano già state informate dell’accaduto.
Yamada e Haiashy dovevano dargli una mano.




Il ragazzo aveva continuato a dormire per tutta la mattina, non aveva toccato cibo al suo risveglio,ma aveva bevuto. La sera stava calando nuovamente e l’unica cosa che era riuscito a fare durante tutto il giorno era stato cambiargli la fasciatura al braccio. Dal centro lo avevano tempestato di telefonate, volevano delle spiegazioni che ora non intendeva dare.
Il Dr. Umon fissò l’uomo nello specchio del bagno,la camicia era sgualcita, i capelli brizzolati e corti avevano un ciuffo ribelle che segnava la notte passata sul piccolo divano, la barba che radeva ogni mattina gli sembrava terribilmente lunga. Si sentì sciatto e folle…e se fosse davvero stata una pazzia la sua? Si lavò il viso, il poco sonno della notte precedente si stava accumulando, passò le mani umide tra i capelli e cercò di darsi un minimo d’ordine con un pettine. Passando davanti alla camera da letto, guardò la figura rannicchiata che incurante di tutto dormiva. Preparò ancora una volta del brodo e svegliando con delicatezza Duke , cerco’ di farlo mangiare.





Umon fece entrare la luce del sole nella stanza ,doveva essere un uomo determinato,convinto di riuscire ad ottenere una sua reazione.
La sensazione non era male, riusciva a sentirne il calore sul viso.
Lasciò il giaciglio per avvicinarsi ai due riquadri nella parete e allungò una mano per sentire l’aria dell’esterno.
‘Strano’ pensò, quella superficie trasparente era solida. A che servivano quelle ‘aperture’ se non davano accesso all’esterno? Guardò il paesaggio era diverso dai tanti che aveva visto, ma la natura gli dava sempre un senso di rassicurante familiarità, era semplice da capire anche se le sue forme variavano di pianeta in pianeta.
Forse i riquadri erano una banale decorazione per la parete.
Umon continuava a parlargli con il suo tono calmo e avvicinandosi afferrò la parte centrale dei riquadri, che sporgeva e girandola aprì la parete lasciando entrare l’aria….
‘Strana apertura, chiusa…..’era inutile pensarci perché era strano tutto il posto e non aveva voglia di capirlo. Tornò la dove si svegliava coprendosi completamente con la stoffa calda, voleva solo dormire il suo sonno senza sogni, i suoi pensieri si erano sedati e prima o poi anche Umon avrebbe smesso di insistere.

Non poteva non avere fame, avrebbe potuto usarlo come spaventapasseri nella sua fattoria. Rimase con Duke quasi tutto il giorno, gli parlava,non che si capissero, ma almeno non sembrava infastidito. L’unica nota positiva era stata la finestra; però si rese conto che non doveva dare nulla per scontato con lui.
Di tanto in tanto il ragazzo si addormentava, non quanto il giorno prima; mangiò con lui, nella speranza d’essere imitato. A sera si sentiva frustrato da quella indolenza e irritato dalle telefonate.



- Forza , tirati su. – in parte era sorpreso da quel cambiamento, obbedì passivamente e si mise in piedi. Le parole erano incomprensibili, ma il gesto rapido ed il tono tagliente erano chiari. Gli girava la testa e Umon lo sostenne. Uscirono dalla stanza e fuori dalla casa…socchiuse gli occhi, la luce era forte e l’aria fresca e gradevole. Lo lasciò per un attimo seduto sotto il porticato tornando con il cibo. La fame lo aveva abbandonato da giorni, si sentiva indifferente e non sapeva come spiegarlo….
- Non so a cosa pensi, Duke, ma non tirarmi brutti scherzi. Devi rimetterti in forze ora!- gli aveva posato le mani sulle spalle e lo fissava con una tale intensità…
La sua mente ricordò un altro volto, ugualmente maturo, che era capace di parlargli con la stessa fermezza e premura.
Qualcosa mutò in lui e senza che potesse controllare le emozioni, queste riaffiorarono tutte. Fu scosso da un dolore profondo…

-Coraggio, figliolo, qualsiasi cosa sia devi continuare a vivere. Coraggio…- gli si sedette accanto, sul gradino, cingendogli le spalle e sperò che le lacrime, finalmente, lo ridestassero dall’apatia in cui si era rifugiato.
Aveva dato poche spiegazioni ai suoi collaboratori, tanto che pensava di non riuscire a gestire la situazione. Per fortuna, si era reso conto di non godere della semplice stima, ma anche della loro fiducia al punto da assecondare e colmare la sua assenza all’istituto sulla base di un : Non posso spiegare ora, ma vi dirò tutto prima possibile.
Il suo ‘prima possibile’ dipendeva da Duke…capiva, senza bisogno di spiegazioni, che era distrutto moralmente e fisicamente non andava tanto meglio. Lo aveva assecondato in un primo momento, ma dopo due giorni, senza mangiare, si sentiva in dovere di scuoterlo in qualche modo. L’aria aperta in quella giornata di sole ed i suoi modi avevano funzionato, sperava. Avrebbe voluto poter togliere una parte delle pene che stavano consumando il ragazzo…ma solo lui poteva aiutarsi, prima o poi doveva imparare a sopportare il peso delle sue esperienze, qualunque fossero.


( cap. II )
- Non è una buona idea lasciarlo in quella grotta, Duke.- disse Yamada – a giorni avremo un gruppo di speleologi ed è qui che si immergeranno.-
- C’è anche la polizia che farà una ispezione all’antenna…- spiegò lentamente Umon
- Sotto l’istituto, abbiamo il laboratorio dei satelliti è grande abbastanza e nessuno ci va senza autorizzazione. –propose Haiashi, - Può andare bene.-
Se ne stava seduto ad ascoltarli, aveva capito il senso generale del discorso: Grendizer. I tre uomini continuavano a fissare la mappa che rimaneva piatta e immobile sulla parete.
Haiashi e Yamada parlavano troppo in fretta per lui, Umon era più paziente.
Raccolse un paio di libri che aveva lasciato sul pavimento accanto al divano e li posò vicino al computer portatile, si alzò, per avvicinarsi ai tre, doveva chiedere spiegazioni.
Gli avevano procurato abiti del posto; la maglia andava bene era morbida, anche se non generava calore,lo tratteneva,come i pantaloni, però le scarpe erano davvero strane, bloccavano il piede e soprattutto facevano rumore ad ogni passo. Tanto per complicare qualcosa di semplice, sembrava che per ogni ambiente della baita ci fosse un abbigliamento da rispettare o qualcosa del genere. Voleva imparare più possibile, ma le informazioni erano davvero tante. Sapeva adattarsi velocemente a diversi modi di vivere, lo aveva fatto in passato, però questa volta le cose erano diverse, erano poche le similitudini a cui ancorarsi, ed aveva paura di dimenticare e fare, di conseguenza, qualcosa che mettesse in seria difficoltà chi lo aiutava. Destino o caso che fosse, il suo arrivo lì non era ordinario per nessuno di loro, ma era stata una fortuna insperata per lui, prima o poi avrebbe trovato il modo per sdebitarsi.
- Altra gente ?- chiese puntando il dito sulla mappa dove era nascosto Grendizer.
- Si e neanche tu puoi rimanere qui, ci sei stato anche troppo. Non puoi vivere isolato da tutti.- si fidava di Umon e concedeva una parte di quella fiducia ai suoi collaboratori, anche se non capiva bene cosa fosse ‘collaboratori’. Ormai non lo guardavano più come avevano fatto durante il primo incontro, sapeva che le loro occhiate erano di curiosità; non erano mai stati troppo invadenti, ma continuavano ad osservarlo, quando credevano di non essere notati. Adesso si erano abituati a lui, al punto che si dimenticavano delle difficoltà che aveva con la lingua, era incoraggiante. Sperava solo di non avere grossi problemi a contatto con altre persone.
- Allora…. Andiamo al centro, ci dirai se il laboratorio va bene per Grendizer.- tagliò corto il dott. Umon
I tre presero le loro giacche e Duke li imitò pensando: ‘ Ancora altri vestiti per l’esterno…’


Ci misero un bel po’ di tempo, a capire perché Duke trovasse il laboratorio dei satelliti tutt’altro che adatto, ad ospitare l’astronave. Grendizer era capace di difendersi, non in modo indiscriminato, ma selettivo e chiunque gli si fosse avvicinato e possedeva un intelletto umano, sarebbe stato attaccato. Fortunatamente la zona in cui sorgeva il cento ricerche era ricca di caverne nel sottosuolo, parte di esse erano già integrate nella struttura. Una volta individuato l’ambiente più grande, collegato al centro, ma non adoperato, non rimase altro che tracciare un perimetro di sicurezza, al di fuori del quale il dott. Umon ed i suoi collaboratori, avrebbero potuto osservare il mezzo, anche senza la presenza costante del ragazzo. In quel modo si sarebbe evitato un incidente ad opera di curiosi. Il trasferimento sarebbe avvenuto a notte fonda, i radar non erano un problema, andavano solo evitati gli sguardi umani.
Non restava che aspettare il calare del sole. C’erano alcune cose da sistemare al centro e il dott. Umon tentò, per quanto possibile, di rimettersi in pari con una parte del suo lavoro,sospeso, un mese prima, mentre Duke occupava il suo tempo con letture che abbandonava rapidamente…le riviste scientifiche non erano alla sua portata…
Il ritorno al centro per Umon fu una piacevole sensazione, un ritorno a ‘casa’; la scusa ufficiale, data dai suoi collaboratori, era un incontro con colleghi.
Inizialmente si era sentito a disagio, dovendo mentire in modo così spudorato, ma nessuno sembrava dubitare, sospettare. Duke mantenne un basso profilo. La sua presenza, a parte un paio di occhiate, però, non sembrava destare interesse.
Al dott.Umon non venivano fatte domande al di fuori dell’ambito lavorativo, era un uomo tutto sommato ‘banale’ in privato….tanto banale che poteva permettersi di nascondere un alieno. Un anonimato che avrebbe fatto comodo e protetto Duke. L’idea che si formò nella sua mente gli apparve come una specie di soluzione del destino, poteva funzionare; farlo passare per suo figlio, adottivo, ovviamente.
Aveva trascorso quasi un mese alla baita, un tempo sufficiente per capire che tipo di persona era il suo ospite ed alla fine doveva ammettere che Duke gli piaceva, aveva un buon carattere e si era guadagnato tutto il suo rispetto , chiedeva, apprendeva, aveva una mente agile e soprattutto era adattabile: la migliore qualità di qualsiasi essere vivente.
Cosa gli fosse successo rimaneva ancora un mistero, ma Umon non intendeva chiedere, aspettava una spiegazione. Solo una volta gli era capitato di pensare che il ragazzo poteva essere un fuggiasco, ricercato dalla sua gente, ma scartò l’idea; le condizioni fisiche e psicologiche in cui versava, quando lo aveva trovato, erano compatibili con una fuga, ma la personalità lasciava intendere tutt’altro.



In un primo momento decise di non incrociare lo sguardo di chi era nel centro, un atteggiamento dettato essenzialmente dalla prudenza, non sapeva fino a che punto il suo taglio d’occhi fosse consueto. Presto si rese conto che era inutile; gli occidentali non erano molti e lui era ‘uno di loro’ per chiunque.
Non era un ingenuo, aveva i suoi modi ed i suoi tempi per capire; era vigile e attento nei confronti dell’ambiente e di chi lo circondava. Ma una società è un organismo complesso, poteva tollerarlo o rifiutarlo e c’erano regole a cui sottostare.
La paura di essere scoperto rimaneva ed agiva in modo molto forte, meno lo notavano meglio sarebbe stato per lui e soprattutto per chi lo stava aiutando. Dare spiegazioni su di se e la sua provenienza non era il caso, almeno finche non fossero state sistemate alcune questioni legali….un aspetto,questo ,molto simile alle identificazioni che esistevano sul suo pianeta. Sperava solo che non fossero così precise, come su Fleed. Non aveva mai dovuto mentire sulla sua identità, ne avrebbe potuto, una questione che non riguardava solo la sua integrità morale,ma il suo stesso ruolo sociale; perso,ora, come il suo pianeta.

Il tempo trascorse veloce, senza rendersene conto, era stata una giornata piena ed era scivolato nella vecchia abitudine di annullarsi totalmente nel lavoro e quando tornò nel suo ufficio privato, trovandolo vuoto, si sentì improvvisamente in colpa. Richiuse la porta e si avviò lungo il corridoio,verso l’uscita. Una buona giornata lavorativa per Umon sicuramente era risultata una noia mortale per Duke…in che modo aveva trascorso il suo tempo? Mentre faceva il giro del recinto del centro, cercandolo, cominciò a domandarsi: dove avrebbe vissuto? che lavoro avrebbe potuto fare per mantenersi? quanto il suo essere straniero avrebbe inciso nel suo inserimento sociale? Cercò di accantonare quei pensieri, non era il caso di preoccuparsi, solo il tempo avrebbe risolto quegli interrogativi. Adesso doveva solo cercare di recuperare il divario di civiltà e rimettersi in sesto fisicamente. Umon lasciò l’area del centro e finalmente vide l’esile figura dell’alieno , seduto ai margini del bosco. Il senso di colpa tornò ad assalire l’uomo che promise a se stesso di non essere così distratto in futuro…
Lo raggiunse sedendogli accanto e notò che si era tolto le scarpe.
- Sono scomode?-
- Non danno movimento…devo abituarmi.-
- In città avrai più scelta.- Il suo collaboratore si era prodigato a comprare abiti e scarpe,ma queste ultime non le indovinava. Per Haiashi, Duke era un pilota, ed un taglio militare dell’abbigliamento era l’unica soluzione che gli era venuta in mente.
- In città avrò i documenti?-
- Si. Non puoi rimanere senza.- un buon hacker si stava già muovendo in quella direzione.
- Se è pericoloso…-
- Ne abbiamo già parlato, non va bene continuare a nasconderti. Dobbiamo solo decidere la tua età.- in quel momento cozzarono contro un nuovo scoglio, in un mare di differenze.
- Età.-
- Si, quanti anni hai?- era sicuro di avergli spiegato il calcolo del tempo in base alle orbite terrestri.
- Non usiamo i numeri…parole…per spiegare l’età.-
- Quanti anni hai vissuto, lo sai?-
- Contiamo il tempo… in modo diverso… i pianeti ed i soli si muovono in modo diverso. Gli anni non dicono…quello …che vivi.-
Il Dr. Umon pensò per un attimo ad alcune parole che usava in lingue straniere.
- Non puoi tradurre quelle parole?-
Duke lo guardò dubbioso.
- Non so, forse conoscendo meglio la lingua…quanti anni credi… che abbia?- chiese divertito
-……fra i diciotto e ventuno, ventidue non di più.-
- Sono tanti?- disse incerto.
- No,non molti, sembri piuttosto giovane. Quanti anni credi che io abbia?- provò a chiedere, sperando in una buona approssimazione.
Duke lo guardò attentamente e scuotendo la testa disse sorridendo. - Trenta, trentacinque…- Umon scoppiò a ridere .
- Non so come calcolare.- si giustificò Duke unendosi alla risata.
- Quanti me ne daresti secondo il tuo modo.- dovevano cercare di capirsi.
I due tornarono seri ed il ragazzo valutò attentamente i tratti del volto.
- Abbastanza,credo,…. per un figlio… della mia età.- lo scoglio era superato.
- Sono impressionati dalla rapidità con cui impari la lingua.- rise divertito – lo sono anch’io –
- La lingua…aiuta…a parlare con tanti.- Umon lo vide tornare serio.
- Conosci altre lingue?-gli chiese.
Duke fece cenno di si e la sua espressione cambiò; si pentì d’avere chiesto.
- Ora non servono a nessuno. Vega ha …tolto..tutto. Non ho un pianeta….. ho preso Grendizer…. perché lui poteva usarlo.- Stava ingaggiando una singolare battaglia, cercava di spiegare con le poche parole che padroneggiava e tentava di dominare il dolore che lo aveva quasi distrutto. Adesso, il dott. Umon cominciava a capire.
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- Non bastava, non c’era più niente, nessuno da aiutare. Così ho portato via Gendizer…. Era l’ultima cosa che volevo.- image
Guardava nel vuoto,con la fronte crucciata, si era strappato quelle parole e la sua amarezza era tangibile.
- Il mio pianeta e altri, molti altri, sono persi.- aggiunse ancora una parola, incomprensibile a qualsiasi orecchio umano, detta a mezza voce ed espressa con rabbia. Umon cinse le spalle del ragazzo, cercando di dargli un minimo conforto, ma gli sembrò una impresa impossibile; era difficile comprendere una guerra, la distruzione di un pianeta era ancora più dura da accettare,ma la distruzione di interi pianeti… aveva ragione , pensò, gli anni erano irrilevanti, una guerra faceva crescere e maturare in fretta ed il suo sguardo in quel momento non era quello di un ragazzo.

Non ci fu bisogno di fermare l’auto, entrata nel cono di luce, sotto il disco, tutta l’attività elettrica cessò, la combustione nel motore si zittì ed i movimenti dell’uomo produssero una scia. Dinanzi al cofano era apparsa una figura che si diresse verso lo sportello del guidatore.
Genzo Umon incrociò gli occhi profondi di Duke, l’unica parte visibile del volto, attraverso il casco.
- Scendi ,vieni con me.- la sua voce era chiara, giungeva senza alcun impedimento.
- Non posso lasciare qui la macchina.-
- Si occuperà Grendizer.-
Umon seguì il ragazzo, si fermarono , dove la luce aveva una intensità maggiore, in corrispondenza di un cerchio che segnava il centro del grande disco. Guardandolo, con la testa all’insù, aveva smesso di pensare alle sue dimensioni, si era lasciato rapire completamente dall’esperienza ; la luminosità che lo avvolgeva stava confondendo i suoi sensi e gli sembrò che i cerchi concentrici ,sul ventre della nave, pulsassero.
Un braccio gli cinse le spalle e Duke lo mise in guardia .
- Ora, è acqua.-
Improvvisamente perse ogni peso ed il ragazzo serro la presa per rassicurarlo. Erano entrati, come non sapeva, si ritrovò a fissare una parete semi trasparente che l’alieno attraversò.
Riavutosi dalla sorpresa dopo qualche secondo, varcò il ‘vetro’opaco . Fu sbalordito nel vedere la cabina di pilotaggio, non c’erano strumenti, solo due colonnine di metallo grigio davanti ad un sedile a forma di mezza luna allungata e tronca nella parte inferiore. Dinanzi allo scarno arredo erano disposti dei quadranti luminosi, senza alcuna consistenza materiale; simboli incomprensibili si riversavano, scorrevano o sostavano fissi e silenziosi. Si erano scambiati i ruoli in quel momento, per giorni aveva fatto da ‘guida’ al ragazzo che osservava e apprendeva come un bambino, ma non con la stessa qualità razionale. Umon si sentiva confuso, impacciato, tanto che gli sembrava di diventare sempre più pesante. Duke gli posò una mano sulla spalla; doveva avere compreso il suo disagio, sollevò la visiera del casco esponendo il viso e gli fece cenno di sedere.
Accanto al sedile centrale, sulla destra, in posizione più arretrata, vide un secondo sedile….non l’aveva notato o era apparso in quel momento?
Prendendo posto toccò con un braccio una delle schermate, questa scivolò, ordinatamente, sotto una seconda.
-Duke, ho spostato qualcosa.- la sua voce era tesa ed il ragazzo sorridendo lo rassicurò.
- Calmo. Solo io…posso muovere Grendizer.-
Il contatto con lo schienale fece emergere due braccioli mentre gambe e piedi si adagiarono nelle parte terminale del sedile che si completava abbracciando delicatamente il corpo.
La postazione di Duke si compose nello stesso modo e davanti a lui si andò formando una mappa tridimensionale che mostrava con chiarezza tutto il territorio circostante, raggiungendo i confini delle zone abitate. Al centro un punto luminoso segnava la loro posizione, lungo un sentiero di montagna.
- Dove è il centro ricerche?- chiese e con un movimento della mano fece scivolare la mappa davanti a Umon. Indicato il luogo, l’ologramma tornò al suo posto. Per un attimo Duke sembrò riflettere.
-E’ molto vicino.- chiarì inutilmente il passeggero
- Si, ma… sei mai stato fuori?-
- Fuori?- c’erano delle incertezze nel suo esprimersi, non aveva l’abitudine di correggerlo a meno di un errore vistoso, ma questa volta non era chiara la domanda.
- Fuori.- disse puntando un dito verso il cielo.
Umon adocchiò il paesaggio esterno, oltre i comandi e si domandò se per lui fosse davvero possibile una esperienza del genere; gli astronauti dovevano sottoporsi a controlli ed addestramenti e di solito, tranne rari casi, non avevano la sua età. Però se c’era una possibilità…
-No, figliolo, non sono mai stato in orbita, fuori…- ebbe paura di chiedere altro e non sapeva cosa aspettarsi.
- In orbita…- Duke corresse con quest’ultima l’espressione ‘fuori’, Umon si era abituato a quel modo di fare, ogni nuovo termine veniva ripetuto una sola volta e di solito non lo dimenticava…quante parole aveva imparato in quei giorni? Era stato capace in poco tempo di impossessarsi delle basi della lingua, non era perfetto, spesso poco fluente ed il suo accento era marcato; con un po’ di imbarazzo pensò che lui, invece, non si era sforzato in alcun modo di imparare anche solo un termine della lingua aliena.
Improvvisamente venne sottratto ai suoi pensieri, lo scenario più affascinante che potesse esistere, per lui, si era dispiegato dinanzi ai suoi occhi. Trattenne il fiato, alla presenza della linea curva dell’orizzonte che morbidamente diventava nero e per la prima volta, in vita sua, vide le stelle a occhio nudo. Si sentì stringere la gola e tentò di dominarsi, non era il tipo da lasciarsi andare così facilmente. Duke lo guardava, sorridendo e gli posò una mano sul braccio, stringendo gentilmente.
- Va tutto bene?-
- No.- gli rispose , liberando finalmente le sue sensazioni con una risata. Non aveva sentito alcuna accelerazione , vibrazioni o scossoni , nulla di quello che si aspettava, continuava anche a sentire il suo peso,anzi, in misura maggiore del solito.
Una serie di comandi vennero pronunciati nella duttile lingua extraterrestre e lo scenario esterno si spostò dalla Terra alla nera profondità in cui giaceva un disco perlaceo in rapida espansione. La Luna …
Ancora una volta il dott. Umon venne distratto, il suo corpo rapidamente aveva smesso d’essere pesante.
- E’ meglio così.- spiegò Duke,
- Era la gravità di Fleed?- intuì lo scienziato.
- Si, stanca …in poco tempo se…-
- Se non si è abituati.-e Umon si sentiva stanco, soprattutto emotivamente.
- Si, ora torniamo. …se vuoi, torniamo ancora… non posso dare altro…-
Comprese ciò che cercava di dire e fu ancora una volta sopraffatto dalle emozioni. Lentamente la nave virò, i crateri le lande tutto ciò che aveva sempre osservato da lontano, con la chiarezza delle immagini fotografiche non gli avevano mai dato neanche vagamente le sensazioni che provava in quel momento. I colori ed il nitore di quel paesaggio scabro erano una esperienza impagabile. Per la prima volta ringraziò d’aver perso l’antenna e non solo per il momento che stava vivendo, ma per chi gli stava accanto. La vita che aveva vissuto, prima del loro incontro, gli apparve chiara e interessante,ma come le foto, che aveva sempre guardato, mancava d’intensità.
La nave puntò verso un semicerchio di luce argentea: la Terra.
- Duke, che cosa rappresenta la testa?- il pilota lo guardò in modo interrogativo.
- E’ Grendizer…ma forse è più facile così.-
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Un comando vocale fece materializzare alcune immagini davanti alla postazione del dott. Umon. Immediatamente l’idea di una polena sembrò tanto ridicola quanto ingenua. Il disco non era una ‘semplice astronave ’, ma un abitacolo di supporto che racchiudeva un robot, di cui sporgeva solo la testa, mentre le braccia completavano, ad incastro, i fianchi della nave. Umon aveva preso atto di una convergenza evolutiva o origine comune, fra terrestri e fleediani, però quella convergenza tecnologica aveva un aspetto a dir poco inquietante.
- E’ con Grendizer che hai combattuto Vega?-
- Si, ma non bastava. Erano troppi. Non abbiamo avuto tempo. Ora è tutto perso.-
Duke abbassò la visiera del casco , la luce divenne fioca mentre fuori dall’abitacolo l’impatto con l’atmosfera cancellò in una fiammata la vista della Terra.



( cap. III )
Umon gli lanciò le chiavi.
- Guida, tu.- disse, dirigendosi verso il lato passeggeri della macchina.
- Qui in città?- era perplesso, sapeva che c’era bisogno di una autorizzazione o qualcosa del genere.
L’uomo brizzolato tirò fuori un tesserino dalla tasca interna della giacca e lo mostrò al ragazzo.
- E’ la tua patente.- precisò ed entrando in macchina la posò sul cruscotto.
Daisuke aprì lo sportello, si sistemò al posto di guida e lesse lentamente ciò che era scritto sul documento.
- Sono…- fece un rapido calcolo - autorizzato da sei mesi.-
- Si è coerente con gli altri documenti che hai.- i due si sorrisero e Daisuke avviò il motore. Con un dito premendo un pulsante aprì il finestrino accanto a sé ; gli piaceva guidare quelle macchie, ma ciò che amava maggiormente era il vento sul viso. Era una sensazione che lo faceva sentire vivo.
Quando era riuscito a lasciarsi dietro le truppe di Vega, il sollievo, per essere sopravvissuto, si era rapidamente trasformato in sconforto.
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Grendizer aveva in memoria le mappe di tutti i settori stellari conosciuti dal suo pianeta, ma nessuna rotta.
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Senza quei dati era come volare alla cieca, non poteva azzardare lunghi salti nell’iperspazio, senza coordinate sicure aumentavano i rischi di collisione o peggio poteva materializzarsi in qualche stella…così accorciò le distanze, per essere più preciso nelle riemersioni, fra un passaggio e l’altro nell’iperspazio, ovviamente in quel modo i tempi del viaggio si allungavano e ciò pose un problema ancora più concreto di una collisione: una morte lenta.
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L’astronave era stata concepita per spostamenti interplanetari, ma quando il pianeta Fleed fu attaccato, seppure completa era pronta, solo, per un combattimento simulato ed una dimostrazione di velocità all’interno del sistema solare fleediano. Nessuno credeva realmente o si auspicava di vederla in funzione.
Così si ritrovò lanciato in fuga nello spazio con una autonomia di cibo e acqua pochi giorni, non lo consolava sapere che l’ossigeno sarebbe durato poco più. La realtà si fece ancora più amara sapendo che era semplice reintegrare le scorte con la tecnologia che aveva a disposizione, ma non serviva se non si sapeva come usarla…il suo addestramento si era interrotto con la guerra.
Razionò immediatamente tutto, svuotò ogni parte della nave dall’ossigeno e mentre la galassia si estendeva intorno a lui, la cabina di pilotaggio divenne il suo universo, durante gli ultimi due salti nell’iperspazio la sete era diventata un tormento e l’ossigeno era in riserva.
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Il momento dell’atterraggio non lo ricordava con chiarezza, a lui interessava solo nascondere la nave,però la forza dell’aria che si muoveva e l’odore che sentì in quei primi istanti, sulla Terra, non l’avrebbe mai dimenticato.
Rallentò, scalò le marce e segnalò il cambio di direzione per imboccare la rampa del garage; in uno strano modo, che lo fece sorridere, bisognava entrare in sintonia con le macchine terrestri per poterle guidare, certo niente di simile alla sintonia stabilita con Grendizer ma c’era qualcosa di embrionale ,arcaico….

Umon si guardò attorno, il suo appartamento era in disordine e non gli dispiaceva. Sapeva di confortevolmente familiare il nuovo assetto di alcuni oggetti, un paio di tazze, posate sul davanzale della grande finestra, gli riportarono alla mente la conversazione della sera prima. Erano stati li a parlare per ore, Daisuke si esprimeva con precisione, lo aveva sorpreso il fatto che riuscisse a memorizzare una grande quantità di vocaboli, ormai le strutture grammaticali solo delle volte erano incerte e raramente sbagliava nell’uso dei termini astratti, adesso stava persino eliminando il suo accento ‘straniero’.
Sullo schienale del divano era posato l’intero guardaroba del ragazzo, diviso con metodo, le scarpe erano buttate in un angolo vicine alla porta, ben separate dalle sue, senza invadenza.
Umon sedette sulla poltrona, accanto alla finestra, dove il suo inquieto figlio guardava la città che si estendeva in tutte le direzioni sotto di loro. I pensieri di Daisuke pulsavano nell’aria, creando un vuoto che lo separava dal mondo circostante. Genzo Umon sapeva che era solo una sua impressione, ma accadeva. Quel ragazzo non teneva gli altri a distanza, era cordiale, però la sua vita, le sue esperienze non appartenevano alla Terra, una singolarità che emergeva con forza,delle volte e non c’era modo per nasconderlo. Si augurava che la serata, che li attendeva andasse bene. Avevano trascorso un mese intero viaggiando per tutto il Giappone; era un test per i documenti e per fare sì che il ragazzo conoscesse il più possibile la nazione che lo ‘ospitava’. Umon ne aveva approfittato per visitare colleghi ed amici, facendo loro conoscere suo ‘figlio’…. C’era stata sorpresa da parte dei primi,però, gestita sempre bene da parte di Duke. Genzo Umon era uno scienziato di fama internazionale, non sorprendeva il ragazzo occidentale,solo la sua l’adozione. Le molte conoscenze di Umon lo consideravano un uomo schivo e totalmente dedito alla ricerca scientifica, quella novità sembrava renderlo, di colpo, meno scienziato e più umano…
Quella sera avrebbero incontrato molte persone….La tensione si andò accumulando dal momento in cui avevano cominciato a prepararsi. Ipotizzò almeno sei modi diversi in cui Daisuke poteva reagire, ed il doppio delle scuse per defilarsi dalla cena, senza sembrare scortese. Quella che stava vivendo era l’unica possibilità che non aveva preso in considerazione.
Una giovane donna lo aveva letteralmente catturato, continuando a tenersi stretta a lui, parlavano fra loro e giravano fra i presenti fermandosi per le presentazioni e qualche leggera chiacchierata.
Daisuke era tranquillo, a suo agio, sorrideva…vederlo in quel contesto gli fece venire in mente una questione di cui i due non avevano parlato: chi era realmente Duke Fleed? Una volta presa coscienza della natura aliena del ‘ragazzo’ non si era posto altre domande sul suo conto, sapeva quello che gli era successo, come era arrivato sulla Terra…
Per i suoi collaboratori era un profugo, del tutto unico nel suo genere; per le sue conoscenze un ragazzo adottato con una storia più o meno definita alle spalle… la curiosità di Umon era stata stuzzicata, Daisuke sembrava nel suo elemento rilassato come poche altre volte, non che fosse ansioso o agitato normalmente, eppure in quel momento, vederlo mentre parlava con altre persone attorno a se ,sembrò mettere al suo posto un piccolo tassello; non capiva come, sembrava ‘dominare’ i presenti…,poteva essere un’impressione dovuta all’altezza eppure c’era una qualità…. però non aveva importanza . Quel ragazzo era suo figlio,senza bisogno di troppe spiegazioni.


Si stiracchiò ed uscendo dalla camera da letto, sentì dei rumori provenire dalla cucina, attraversò il soggiorno e vide il divano chiuso come la sera prima.
- Buongiorno, figliolo.- prese una sedia e si accomodò al solito posto a tavola, Daisuke aveva preparato la colazione.
-Padre.- si rivolgeva a lui sempre in modo formale, andava bene così, c’era calore in quel nome e non avvertiva distanze.
- Non ti ho sentito rientrare.- sbadigliò ancora assonnato.
- Sono tornato poco fa, c’erano delle persone che volevo salutare.- gli rispose sorridendo.
- Se vuoi, puoi rimanere qui. Io uso raramente questa casa, non sei obbligato a seguirmi.-
- No, vengo con te, sono curioso di vedere la fattoria.-
Gli sembrò di capire che, forse, non voleva stare troppo lontano dalla sua astronave. Con rammarico Umon pensò che, dopo alcuni mesi di gradevole inattività, era giunto il momento di tornare al centro ricerche, anche per lui.
Daisuke afferrò il giornale dalla mensola e sedendosi di fronte a suo padre cominciò a leggere e mangiare una fetta di pane imburrato. Umon lo guardò ed osservò il modo in cui aveva apparecchiato la tavola, non aveva sbagliato nulla…in poco tempo si era creato una cerchia di amicizie al di fuori dei figli dei suoi colleghi, si era impratichito dei costumi , della lingua, ora raramente emergeva l’accento, che solo lui, sapeva non appartenere ad alcuna lingua terrestre…ancora una volta gli tornò in mente una domanda che si era posto tempo prima: chi era Duke Fleed?
Il ragazzo incrociò lo sguardo del padre e diede voce senza esitare ai dubbi dell’uomo.
- Se credi posso aspettare, darò solo una occhiata a Grendizer e…-
-No, non intendevo questo,è solo che, la fattoria… non so se….-
Il giovane uomo scosse appena il capo- Se non andrà bene tornerò in città e mi organizzerò diversamente.-
- Magari al centro…-
Scosse ancora il capo,ora, con convinzione – Ti ho già detto quello che so di stelle e pianeti, mi dispiace, però ti darò tutte le informazioni contenute in Grendizer…-
Le supposizioni non lo portavano a nulla ,decise per una domanda diretta.
- Daisuke, chi eri su Fleed ?-
- Io..- ci pensò un attimo – Io come persona non ero importante. Ciò che dicevo e…- sembrava scegliere con cura ogni parola -…il modo in cui parlavo per la mia gente, era importante.-
-Rappresentavi la tua gente…?-era sorpreso.
- Solo per alcune cose, altre spettavano a mio padre e…-si perse per un attimo nei ricordi.
- La situazione era difficile, dovevamo fare attenzione soprattutto con il passaggio da mio padre a me-
- Il passaggio?-
-Quando la situazione fosse stata più tranquilla, avrei preso il suo posto, non sarebbe avvenuto subito; è un po’ difficile da spiegare,ma c’erano degli equilibri delicati e…dovevamo essere fermi con Vega…ma non rigidi.- Il suo volto aveva perso ogni traccia di serenità.
Aveva pensato ad un militare, un linguista, aveva sperato anche che fosse uno scienziato come lui, aveva ipotizzato altro senza chiedere. Quelle parole gettarono nuova luce su tutto; la lingua, imparata rapidamente; la capacità di relazionarsi con gli altri; era un buon osservatore; cauto nell’esprimersi, ma non ipocrita; molto controllato nei suoi modi , ma senza affettazione. Non si era dato una definizione, una collocazione sociale, per lui forse non esisteva neanche la possibilità di un parallelismo terrestre,ma il concetto era chiaro per Genzo Umon…rappresentare la propria gente su base ereditaria, faceva di Duke Fleed un principe, in termini umani e la fattoria di Baki, per quanto incantevole, gli sembrò ancora più fuori luogo.
Daisuke gli passò il giornale, indicando un breve articolo, a fondo pagina. ‘Avvistamenti U.F.O.’ Lo lesse velocemente e rise di cuore.
- Sembra che ti abbiano avvistato.-
- Hanno visto entrambi, credi faranno domande?- chiese serio.
-Se le faranno dirò la verità: ho chiesto un passaggio a mio figlio.- rise ancora vedendo il ragazzo rilassarsi.

( cap. IV )
La fattoria di suo padre Baki, di cui Genzo Umon era socio, forniva parte degli alimenti alla mensa del centro ricerche e lei si ritrovava spesso a dover fare le consegne e tenere aggiornata la contabilità; quella mattina Daisuke aveva promesso d’aiutarla, ma era sparito.
Hiraku conosceva bene i luoghi che la circondavano, ma chiaramente il figlio di Umon sapeva dove rifugiarsi quando non voleva essere disturbato.
Si sentiva ferita dai suoi modi; quando era arrivato da loro si era sforzata di farlo sentire a suo agio e aveva condiviso con lui i posti più incantevoli del fiume e dei boschi che circondavano la proprietà; proprio non le capiva le sue fughe.
-… niente di specifico, prova con la rete dei satelliti, riescono a schermarsi.- spiegò, distrattamente Daisuke, continuando a fissare il monitor.
- Non abbiamo sotto controllo tutta la rete, ci sono questioni di sicurezza da cui siamo tagliati fuori.- Umon sedette accanto al figlio, che tirò su la testa guardandolo sorpreso.
- Padre, questo riguarda…-
- Non posso dare un segnale d’ allarme – lo interruppe – ho bisogno di qualcosa di più concreto, le tue sensazioni non bastano.- il ragazzo lasciò cadere le spalle sullo schienale della sedia, sembrava stanco o meglio vissuto, una caratteristica che notava sempre più ultimamente.
C’erano delle cose di Daisuke che le sfuggivano, come questa novità di vederlo così preso a discutere con il Dr. Umon ed i suoi collaboratori, non era strano trovarlo li ,ma aveva sempre dato ad intendere d’essere completamente disinteressato al lavoro del padre.
Yamada intervenne improvvisamente – Forse ho trovato qualcosa.- Daisuke si girò e la vide ferma vicino all’ ingresso della sala controllo –Hiraku !?- finalmente si erano accorti che era li e si sentì imbarazzata come una ragazzina sorpresa a fare qualcosa di sbagliato. Quando era entrata aveva salutato, ma non l’avevano neanche sentita; mise da parte i suoi timori e si fece avanti porgendo al Dr. Umon i moduli da firmare.
- Confrontali con i dati precedenti,- disse il ragazzo e Hiraku lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, da quando collaborava al lavoro del centro?- Dovrebbero coincidere perfettamente.- concluse andandole incontro.
- Ti riaccompagno?- le chiese.
- …devo fare ancora una consegna…- avrebbe gradito la sua compagnia.
- Allora ci vediamo alla fattoria.- lasciò la sala comando senza dire altro. Nessuna gentilezza nella sua offerta, solo una formale cortesia.

Si schermò gli occhi, dal sole, sollevando una mano verso la fronte, vide Hiraku in lontananza che finiva il suo giro. Stava diventando distratto e aveva dimenticato d’aiutarla quella mattina; avrebbe trovato il modo per farsi perdonare…d’improvviso nella sua mente affiorò il ricordo di Rubina.
Le due non erano paragonabili e la figlia di Vega aveva tutto da farsi perdonare.
Era bellissima e con un talento naturale per la diplomazia; se solo ciò fosse andato a favore della sua gente, le cose fra loro avrebbero avuto la rara qualità di essere pienamente sincere. Lui e Rubina erano l’ultima inutile risorsa che Fleed si giocava per scongiurare il conflitto.
Nel corso degli anni il suo pianeta aveva ceduto molto alle mire espansionistiche di Vega, un numero infinito di trattati decretavano le zone d’influenza dell’imperatore, successivamente erano passati a cedere intere colonie planetarie , il loro dominio si stringeva sempre più mentre l’impero avanzava, ma non erano mai state aperte le ostilità…
Alla fine apparve chiaro che il suo pianete sarebbe diventato uno dei tanti sotto il controllo dell’imperatore e bisognava rendere quel passaggio meno doloroso possibile, i fleediani non avevano una natura belligerante ,ma amavano la loro indipendenza. L’idea che l’unione fra lui e Rubina, la figlia di Vega, permettesse di mantenere una certa libertà decisionale per Fleed, sembrava strana, eppure la logica sotterranea di quell accordo poteva funzionare. La dinastia rappresentante di Fleed e quella dominante di Vega avrebbero generato un unico governo …prevedevano anche il peggio, ma tentarono ugualmente. Contro ogni previsione le cose andarono bene, non solo per i delicati equilibri fra il regno e l’impero, anche fra lui e Rubina, fino a quando non venne richiamata da suo padre.
Giorni dopo persero tutti i contatti con le colonie planetarie, le comunicazioni interne del pianeta si zittirono e Fleed cominciò a bruciare sotto i bombardamenti.
Due occhi enormi e ferini si illuminarono al suo ingresso nella caverna, camminò nella penombra e dopo poco toccò con la mano uno spigolo aguzzo del muso di Grendizer . L’intera nave si sollevò senza sforzo o rumore, proiettando sotto di se una luce densa che avvolse Daisuke trasferendolo immediatamente nella cabina di pilotaggio in cima allo spacer.
Tanti piccioli occhi ,da teste all’ingiù, guardarono la scena ed indisturbati continuarono a vivere, erano abituati alla strana creatura, che si limitava ad emettere luce ,che non li attirava, e si muoveva senza fare alcun rumore.
Scorreva leggendo rapidamente i dati che si susseguivano ,sospesi davanti ai suoi occhi . Le sue pupille si fissarono su una catena di variazioni, nel campo gravitazionale ,del satellite terrestre. I simboli fermarono il loro incedere diventando grandi il doppio, generando nuove informazioni al loro interno.
Fece fatica a deglutire e con un comando vocale chiese le possibili spiegazioni…non ne aveva bisogno né pregò che i suoi timori fossero infondati, non serviva.
Dato primo: due meteoriti della stessa grandezza. Probabilità del fenomeno pari a zero.
Dato secondo:… chiuse i comandi, la risposta era prevedibile e non piacevole. Nella cabina tutto tornò tranquillo, con la luce soffusa ed oltre il vetro dell’abitacolo, c’era solo la penombra delle caverna che ospitava Grendizer. Si lasciò scivolare in avanti nella seduta, sbilanciò il peso del corpo lateralmente, poggiando il mento nella mano, senza la sua tuta bio- meccanica, lo ‘scranno’ dello spacer era comodo.




( cap. V )
L’onda d’urto li investì in pieno, sollevando persone e oggetti. Per attimi tormentati ogni cosa si mosse senza controllo ed infine arrivò l’inevitabile contatto. Urtò con la schiena e la testa contro qualcosa si solido, il dolore lo stordì.
Lentamente, scosso e malfermo si rimise in piedi, tutto era rotto, divelto. Nessun lamento attorno a se. L’aria, piena di polvere e fumo lo fece tossire, guardò i resti del muro contro cui aveva sbattuto, più in là nella parte più bassa, il comandante delle truppe d’assalto, giaceva con la schiena piegata: morta anche lei.
Li avevano stanati, ancora una volta; davanti a lui si allargava il cratere della bomba che aveva sventrato il rifugio. Alcune guardie erano vive, le guardò e diede l’ordine di abbandonare il posto. Non si mossero, continuavano a fissarlo…li capiva: sarebbe stato uguale ovunque, i rifugi venivano sempre distrutti, la resistenza si assottigliava e la follia di quella guerra si radicava sempre più nelle coscienze delle due parti.
Come ultimo atto di volontà la sua gente non si sarebbe consegnata viva all’imperatore e gli avrebbe ceduto un pianeta inospitale; ci stavano riuscendo. A dispetto delle deportazioni, dei bombardamenti e del costante sterminio, Fleed non era stata domata. A Vega non restava che scuoiare il pianeta per eliminare le ultime sacche di resistenza.
Vide il cielo, azzurro e libero, non lo ricordava così e la nostalgia per qualcosa che non sapeva definire lo invase.
Una bimbetta dalla carnagione cerea stava tentando di ripulire il viso del fratellino, erano pieni di polvere e ad ogni movimento questa cadeva, disperdendosi nell’aria rovente. L’unico punto dove la polvere non si era depositata era sotto i loro occhi e nei canali che le lacrime si erano scavate lungo le guance. Quella bambina somigliava tanto ad un'altra …
Rinnovò l’ordine. Guardò i bambini e quando anche loro lo videro si strinsero l’uno all’altra e strillarono.
Sussultò svegliandosi.


Stava per scivolare nel sonno quando vide la luce accendersi. Dalla stanza accanto alla sua, arrivò il debole scorrere di una porta lungo un binario ed il passo lieve di Daisuke, sulla veranda.
Il Dr. Umon a malincuore si alzò dal letto, era tardi, ma non se la sentiva di lasciare suo figlio da solo.
Se ne stava a capo chino e braccia tese con le mani che stringevano la balaustra, quando Umon gli si avvicinò sembrò riprendere a respirare.
Di quanto sonno avesse bisogno non l’aveva mai capito,ma era chiaro che ultimamente i suoi cicli di riposo e veglia erano fortemente alterati. Il suo umore stava cambiando e, senza essere scontroso, era meno socievole del solito. Si rendeva conto che per quanto la vita ,che si era scelto, alla fattoria fosse serena, sicuramente gli mancava qualcosa…
Nel tentativo di colmare questo vuoto, Umon gli aveva suggerito di allontanarsi, cambiando ambiente e viaggiando; infondo Daisuke non aveva bisogno di un lavoro, aveva messo a disposizione del centro ricerche la tecnologia contenuta in Grendizer , quel po’ che erano riusciti a decifrare, fino a quel momento, era stato brevettato ed Umon aveva raccolto i proventi per suo figlio, ma tutto questo non sembrava interessarlo.
Le esperienze di vita e di guerra soprattutto, che Daisuke possedeva erano uniche, non facilmente confrontabili e condivisibili con alcuno, così aveva preso contatti recentemente con una delle poche persone che era certo potesse capire…
Alla notizia che Koji Kabuto avrebbe lavorato al centro ricerche Daisuke si era dimostrato impassibile. Umon aveva spiegato chi fosse e cosa aveva fatto per tutti loro; l’atteggiamento non era cambiato, si era limitato ad un laconico ‘ ..e di cosa potremmo parlare; di guerra?’
Quel commento lo ferì più di quanto volesse ammettere perché Daisuke non era mai duro nelle risposte,perché Umon ce la stava mettendo tutta per aiutarlo e non voleva che insistesse su ossessioni del passato e timori prodotti da un sonno disturbato, perché voleva un gran bene al ragazzo e pur di vederlo sereno, volentieri , si sarebbe fatto carico delle sue angosce.
- Ancora un brutto sogno?-
Mosse appena il capo in cenno d’assenso.
- Sempre lo stesso?-
- No, c’era…- sospirò lentamente. – Non importa. Andrò in ricognizione domani.-
- Kabuto sarà qui a giorni, credo dovremmo parlarne e forse …-
- Padre, …- Il Dr, Umon era stanco e non intendeva stare a discutere, così interruppe sul nascere le proteste che già conosceva.
- Abbiamo puntato i satelliti nella direzione che ci hai indicato, per mesi non abbiamo fatto altro che scandagliare il cielo , sei stato più volte in ricognizione senza alcun esito, sono disposto a credere alle tue sensazioni, però Kabuto è un pilota con esperienze molto simili alle tue, credo possa aiutarci.-
- Non voglio coinvolgere altri.-
- Daisuke…-
- Grendizer è l’unico mezzo adatto a lasciare rapidamente l’atmosfera terrestre, l’unico che può affrontare un attacco, Kabuto non può fare nulla con il suo mezzo.-
Umon si arrese per il momento, insistere non serviva, suo figlio era determinato nell’evitare il coinvolgimento di chi non conosceva, ma contava soprattutto sul suo buon senso, prima o poi si sarebbe convinto da solo che le sue sensazioni non erano necessariamente un segnale di pericolo.
- Lasceremo fuori da tutto questo Kabuto, ma tu cerca di riposare.-
- Si, non preoccuparti.- Daisuke gli sorrise e Umon tornò nella sua stanza lasciando il ragazzo ai suoi pensieri.


Ciò che non andava era l’impossibilità di capire; come esseri viventi c’era sempre una certa empatia,come esseri umani si era affini nel dolore, nella paura,ma era impossibile capire fino in fondo. Doveva ricercare le parole e queste non esprimevano le sue sensazioni , mancavano della precisione che attribuiva alla sua lingua madre… la traduzione le spogliava di buona parte del loro profondo significato, finiva sempre cosi. Pensava e poi cominciava la ricerca dei termini appresi, la loro unione ed invariabilmente rimaneva la sensazione che la loro forza, la loro natura, perdesse consistenza….non era una pecca dei terrestri o della lingua, ma sua, era lui l’estraneo. Avrebbe voluto poter parlare liberamente, condividere le idee ed i concetti che si formavano spontaneamente, senza cercare mediazioni, ma il vero scoglio che sentiva di non poter superare era la perdita. La verità era che gli mancava la sua gente, la sua lingua ;che non era un semplice insieme di parole: era un modo di vivere, di pensare, di essere…un termine affiorò nella sua mente e giocò con altri in un ritmo regolare , lo accompagnò con un movimento cadenzato della mano, iniziò a ripeterla una seconda volta e poi una terza. Una morsa d’angoscia gli blocco l’aria e si liberò assieme alle lacrime, c’era solo lui lì e nessun altro che avrebbe conservato la memoria di Fleed.
Quella perdita lo faceva vacillare, migliaia di anni di storia cancellati, una civiltà intera scomparsa per sempre, assieme alle persone che aveva amato. Tutto era relegato al passato, il suo, di cui poteva parlare ma non condividere. Era difficile anche provare, delle volte, a spiegare un singolo modo di dire della sua gente; sul pianeta che lo aveva accolto, le cose erano così diverse, certi concetti fleediani non avevano neanche la possibilità di essere tradotti e non perché mancassero i termini, ma le stesse esperienze.
Come faceva a spiegare a suo padre che quello che sentiva non aveva bisogno di conferme, che per lui le ‘sensazioni’erano qualcosa di concreto…?che era stato seguito!
- Daisuke, va tutto bene?-
- Hiraku…- da quanto tempo stava li? Fece un passo indietro per nascondersi meglio nell’ombra.
- Hai bisogno di qualcosa?-
- No, torna pure a dormire. Va tutto bene - vide la sua esitazione e la seguì con lo sguardo mentre tornava nella sua stanza. Hiraku, era sempre gentile con lui e ne comprendeva i motivi. Tutti erano stati pronti ad aiutarlo e cosa aveva fatto per ricambiarli? Meno di niente e si era trascinato dietro i veghiani. Non ci sarebbe stato scampo per nessuno di loro. Sicuramente in qualche angolo remoto della galassia altri come lui si erano salvati, non si sarebbero mai incontrati, ma la speranza di qualche superstite c’era; però la Terra era diversa, non possedeva la tecnologia necessaria per una fuga dal pianeta…che cosa aveva fatto?



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Edited by isotta72 - 10/6/2010, 10:07
 
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Diplomazia

Il campione genetico venne sigillato all’interno di una provetta, schermata da un raggio di sospensione fisica, per preservarne il contenuto durante il trasporto.
Il ragazzo attese qualche attimo affinché la tuta, con le sue piccole squame, si ricomponesse avvolgendogli l’avambraccio.
Era appena rientrato da un volo di prova per testare i sistemi di sganciamento dell’astronave.
Senza perdere tempo,aveva convocato il genetista, prima lasciava campionare il suo genoma meglio sarebbe stato per tutti.
Rimaneva l’ amarezza, per l’offesa. Dovevano controllare che fosse adatto, buono abbastanza per l’accordo, ma non poteva avanzare pretese o lamentarsi.
Suo padre sedette, davanti a lui, lasciandosi abbracciato dalla morbida semisfera; sembrava molto stanco.
- E’ solo la prima delle decisioni difficili che dovrai prendere e accettare.- gli disse guardandolo con affetto
- Non mi sottraggo, ma devi ammettere che non è una garanzia ed è un insulto.-
- Non è il nostro modo di fare, ma era così un tempo.- giustificazione vera ma logora.
- Con modalità e fini molto diversi, non si parlava di selezione genetica. -
- Vuole essere certo della compatibilità.- ribadì essenzialmente a se stesso.
- Siamo biologicamente compatibili al di là di ogni dubbio. La sua richiesta era chiara: ‘verificare anomalie genetiche e aberrazioni individuali’. Le colture cellulari dei nostri laboratori hanno maggiore dignità e rispetto e la nostra domanda è stata ignorata. Siamo niente per lui.-
- Non proprio, Duke, la figlia di Vega è già in viaggio per Fleed.-

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Diplomazia II

Osservò la schiera dei dignitari fleediani, pronti ad accoglierla. Si erano accordati su ogni dettaglio del suo arrivo e non stavano cedendo o concedendo nulla.
Così dopo lunghe trattative erano riusciti a tenere la scorta all’interno della nave madre, con la promessa di non lasciare lo spazioporto. Avrebbero dovuto capire che era pur sempre la figlia di Vega.
Quattro servi era il numero massimo concessole nella dimora reale, poteva chiederne altri ma solo fleediani.
Nessuno avrebbe usato saluti formali, perché il cerimoniale fleediano annullava le gerarchie ed il suo le esaltava, quindi sarebbe stato Duke Fleed ad accoglierla perchè lui non possedeva incarichi di prestigio,si muoveva all’ombra del padre in attesa di succedergli; mentre lei governava un suo pianeta perché era la figlia di Vega.
Ma per quanto volessero farli sembrare pari nella dignità e nel rango c’era un modo per vanificare tutto. Il suo abito. Non le avrebbero chiesto di lasciarlo, né di cambiarlo con uno fleediano, né era un abito da cerimonia vegliano, ma racchiudeva in ogni suo elemento una parte dell’impero di suo padre. Questo dettaglio era sfuggito,ai cerimonieri. Osservò il principe di Fleed avvicinarsi a lei, braccia lungo i fianchi, senza fretta o impaccio, vestito in modo essenziale e pratico; come stesse accogliendo una persona qualunque.
Tirò su il mento con dignità e orgoglio perché i fleediani avevano bisogno di lei, era lì per evitare una guerra, era lì perché era la figlia di Vega.
Essenzialmente era un ostaggio.

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Due



- Comunicazioni ultimo quadrante sud spente, maestà.- alla notizia gli schermi davanti all’uomo divennero lastre traslucide, senza più una funzione.
- Gli ultimi evacuati delle città stanno arrivando ai rifugi. Un quarto dei mezzi sono stati distrutti, uno dei rifugi è attaccato, altri due sono pronti al contrattacco…..- la donna chiuse gli occhi tentando di coordinare i pensieri che affollavano la sua mente. Occhiaie e guance scavate erano il segno della sua appartenenza .
70 fra uomini donne e bambini stavano ricevendo la massima attenzione e cura per rimanere vivi. Era di vitale importanza che si salvassero e fossero equamente divisi in tutti i settori di Fleed e delle colonie del sistema solare. Se c’era una speranza, di resistere e coordinare la difesa , questa era affidata a loro.
- Oscurato il primo quadrante nord…- l’annuncio segnava inesorabile il loro destino. Le comunicazioni interplanetarie erano state le prime ad essere sotto attacco, erano riusciti a ripristinarle usando una tecnologia antica eppure anche quella stava rapidamente tacendo man mano che le truppe di Vega capivano come interferire per zittirla.
- Primo settore sud: difesa attiva, ma i robot hanno attaccato.- un uomo affaticato, con pugni serrati cominciò a recitare i pensieri che raccoglieva.
Le industrie erano perse e gran parte dell’acqua inquinata, Vega voleva metterli in ginocchio, ma la difesa stava rispondendo bene. Erano bastati solo 10 fleediani per resistere.
Il re guardò la sua consorte aveva l’aspetto esausto, da quanto non riapriva gli occhi e la sua fronte non si distendeva?
Vega li stava precipitando ad un livello pre tecnologico, eppure c’era ancora una speranza, che non risiedeva nella scienza da cui venivano spogliati, c’erano i suoi 70 fleediani.
- Due divisioni nel primo settore sud.- ordinò il re.
Ma il tormento per due dei suoi preziosi fleediani era insostenibile come la guerra.
-Maestà, senza quelle truppe dovremo abbandonare il palazzo .- il militare rimase inascoltato
Dai settori nord del pianeta le comunicazioni morirono e altri 10 fleediani cominciarono il loro faticoso compito di accoglienza dei pensieri, per restituire strategie di difesa.
Dov’ erano i loro figli?
Una lacrima corse lungo la guancia infossata della regina che continuava imperterrita come gli altri a raccogliere informazioni e cercare.
Duke e Maria erano due dei 70 fleediani
-Maestà dobbiamo abbandonare il palazzo!- impose il militare
I loro due figli al pari degli altri, erano i loro occhi, le loro orecchie; attraverso i loro e.s.p. il regno rimaneva vigile e aveva la speranza di difendersi e sopravvivere.
Una esplosione fece tremare l’edificio.
- Maestà dobbiamo andare!-
Improvvisamente gli occhi della sovrana si aprirono, fissando il re e annunciò: -Duke è qui, sta attaccando le truppe di Vega…


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Incoronazione


Diverse paio d’occhi erano puntate su di lui,un ministro, alcune guardie ed il comandante della sicurezza…
-Smettila!- gli impose severo il militare.
Non lo stava a sentire, non ci riusciva, neanche se avesse gridato sarebbe riuscito a sentirlo. Era straziato quanto il pianeta, peggio: aveva perso il centro del suo mondo.
- Smettila e impara a controllarti.- quelle parole così dure non le capiva, non si capacitava della totale mancanza di pietà, gli imponeva di eliminare il dolore con un semplice comando.
-Finiscila!- gridò e con una mano lo spinse facendolo sbattere contro ciò che restava della parete.
- Lasciami in pace.- bisbigliò.
-In pace?! Quale pace? c’è un pianeta che sta morendo, credi di essere l’unico ad aver perso qualcuno? o credi che per te sia peggio? - la mano lo inchiodò al muro semi sgretolato, Duke gli afferrò il polso allontanandolo con forza - Ho il diritto di piangerli.-
- Non abbiamo più neanche il diritto d’esistere.-
Il ragazzo fece scivolare le spalle contro la parete sedendosi a terra rannicchiato, per lui andava bene se tutto finiva in fretta.
-In piedi!-
Ignorò il comando.
Un calcio lo colpì al fianco, il dolore si propagò acuto, innescando la rabbia. Si tirò su e senza esitazione colpì a vuoto…
Il comandante lo guardò compiaciuto -La rabbia è meglio della rassegnazione. Tutto questo non riguarda solo te. Ci hanno decapitati, Duke, hanno eliminato il comando di Fleed. -
Il ministro si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. -Ma un re lo abbiamo ancora…-


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P.T.S.S.



Umon posò il flacone di pillole sulla scrivania,Duke osservò in silenzio .
-Potrebbero aiutarti. - I due si sorrisero, uno fiducioso, l’altro dubbioso. La decisione era stata un po’ difficile ma vista la situazione di disagio in cui, il ragazzo, si trovava, il dottor Umon aveva deciso per una soluzione drastica; si era rivolto ad una psicologa. Era una sua cara amica ,ora vincolata dal segreto professionale. Non aveva detto nulla del passato di Duke, le aveva chiesto di osservare il comportamento del ragazzo, durante un fine settimana passato nella sua casa estiva.
Ed a tre giorni dal loro arrivo giunse anche il sospirato aiuto.



- Questa adozione, come la chiami, non è regolare.-
Genzo Umon si era preparato un discorso plausibile, ma fu spiazzato dall’immediata franchezza e comprensione che la donna mostrava, si sentì stupido.
- All’inizio ho tirato ad indovinare, poi ho smesso e, spero non ti dispiaccia se lo dico, ma ci sono cose che fa , non so come, che mi mettono i brividi, soprattutto quella ‘lingua’ in cui farfuglia la notte.Mi aiuterebbe sapere per quanto tempo è stato in una zona di guerra e se qualcuno della sua famiglia è ancora vivo.-
Umon si diede dell’ idiota , se Yoko Sorayama pensava la stessa cosa, non le avrebbe dato torto. Lui si occupava di astronomia ed aveva capito da subito che certi comportamenti, che Duke manifestava, erano legati ad eventi traumatici…figurarsi una psicologa.
- Yoko , mi dispiace…- non sapeva come scusarsi. Forse era il caso di raccontarle tutto anche se…
- Non voglio sapere dove lo hai trovato. Nel caso qualcuno faccia domande non sarò costretta a mentire. Ha bisogno d’aiuto perché prima o poi crollerà.- gli passò il flacone di pillole raccomandandosi che fossero assunte con regolarità, senza farne parola con alcuno.
- Non so se potrà assumere il farmaco… è allergico….- non sapeva che tipo di reazione poteva scatenare un farmaco adatto ad una fisiologia umana, ma non intendeva dare spiegazioni in questo senso, la psicologa sembrava già capire più del necessario.
- Nessuna reazione e poi l’ ha già preso e se ne è accorto.-
Genzo la guardò sorpreso.
- Quando si è svegliato la seconda notte che eravate qui, ti ho passato un bicchiere d’acqua. Non credevo se ne accorgesse, sembrava troppo preso da certi suoi ricordi… -
- Yoko mi dispiace se…- gli mancarono le parole, aveva paura che la sua amica fosse coinvolta in una questione che era sicuramente più complicata della normale clandestinità.- …. Daisuke ha passato dei momenti terribili e voglio solo aiutarlo, le autorità non potrebbero capire e…-
- Lo so , Genzo, ci sono centinaia di guerre dimenticate e lui viene da una di queste. Se vuoi posso consigliarti un buon dottore per le sue ferite…-
- Ferite? No lui..-
Yoko sorrise, non aveva mai visto il suo amico così nervoso.
- Un ragazzo come lui al mare, non ci pensa due volte a liberarsi dei vestiti. Se ne stà sempre ben coperto e le maniche lunghe in questo clima si notano…è un caso da manuale.-
- No…ha solo un taglio su braccio destro , niente di preoccupante.- sostenne per un istante lo sguardo neutro della donna, che non giudicava ma sapeva della sua menzogna.
- Devi solo chiedere, nel caso ne abbia bisogno, ti garantisco che nessuno farà domande.-




-Non hai bisogno delle tue esperienze peggiori per vivere.-
- Fanno parte di me-
- Non ti cancellerà la memoria , attenuerà solo il ricordo, allevierà il dolore per ciò che hai passato.-
Scosse il capo- No, non voglio perdere nulla di ciò che ho vissuto e ricordo.-
-Duke avrai solo una piccola alterazione del tono emotivo che renderà tutto più sopportabile.-
- Sopportabile?Non sarei più sensibile a quello che è successo.-
-Serve solo a farti vivere più serenamente.-
- Non sarei ciò che sono oggi, se perdo o attenuo quello che ricordo. Io sarei in qualche modo alterato…no, padre, devo ricordare, perché sono l’unico a poterlo fare e perché sono anche ciò che ho vissuto.-



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Edited by isotta72 - 10/6/2010, 10:23
 
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