Per eventuali commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338Capitolo 8 – GuerraL’inizio dell’assalto alla Terra coincise con un incupimento di Hydargos, che divenne ancora più ombroso; all’inizio, Naida pensò che fosse preoccupato, schiacciato dalla sua stessa responsabilità. Il tempo però passava e lui sembrava farsi sempre più chiuso e nervoso, per cui le fu evidente che qualcosa non stava andando per il verso giusto; ma cosa fosse quel “qualcosa”, non fu certo lui a dirglielo. Né lei si azzardò a domandare.
Pensare che tempo prima lui le aveva prospettato la conquista della Terra come un’impresa facile e veloce…
Ogni sera Hydargos tornava a casa sempre di cattivo umore; dapprima, Naida aveva temuto che avrebbe sfogato su di lei il suo nervosismo, ma fortunatamente non fu così. Lui non voleva altro che distrarsi, dimenticare le preoccupazioni quotidiane; le attenzioni di lei, le sue chiacchiere, il suo raccontargli come aveva passato la giornata lo aiutavano a distendersi, ricordandogli che l’esistenza non era fatta solo di insuccessi e dei rimbrotti dei superiori.
Tuttavia, nonostante la forzata allegria di Naida, per Hydargos le cose andavano sempre peggio. Partiva alla mattina rinfrancato e grintoso, tornava da lei silenzioso e cupo. Cominciò a mangiare di meno, e la notte era costretto a prendere un rilassante per poter dormire. I rimproveri di Gandal, gli insulti di Re Vega, il timore di perdere in autorevolezza davanti ai suoi uomini, tutto contribuiva ad avvelenargli l’esistenza, a privarlo della lucidità che gli sarebbe stata necessaria; ma era un comandante di Vega, gli ostacoli per lui avrebbero dovuto essergli da stimolo.
Disgraziatamente, non era così: il tempo passava, e lui stava sempre peggio.
Naida lo guardava con apprensione: lo vedeva deperire, prima o poi se avesse continuato così si sarebbe ammalato.
Una sera, non appena lei gli andò incontro lo vide con una luce strana negli occhi; quando lui la baciò, Naida avvertì un forte odore di liquore.
Aveva bevuto, era evidente… col cuore stretto dall’angoscia, Naida si sforzò di mostrarsi allegra come sempre, ma intanto lo teneva d’occhio: non sapeva cosa aspettarsi da lui, quale effetto l’alcool avrebbe potuto avere. Se Hydargos si fosse trasformato in un bruto violento, lei non avrebbe potuto chiedere aiuto a nessuno, e nessuno avrebbe mosso un dito per difenderla.
Da parte sua, Hydargos percepì chiaramente il suo timore; avrebbe voluto rassicurarla, spiegarle che mai si sarebbe ridotto a perdere il controllo, ma naturalmente non poteva farlo. Nessun padrone può umiliarsi tenendo un simile discorso alla sua schiava.
Nei giorni successivi, le cose continuarono come erano cominciate: Hydargos beveva, e beveva forte, ma il suo fisico reggeva benissimo il liquore; orgoglioso com’era, e terrorizzato all’idea del ridicolo, lui era poi capace di comprendere quando fermarsi, quando smettere. Nonostante tutto, riusciva a mantenere il dominio di sé, anche se una volta alticcio era più facile allo scatto di collera, al momento d’ira.
Prese a rincasare più tardi: in preda ai fumi dell’alcool, preferiva passeggiare a lungo nelle zone più deserte di Skarmoon, in attesa di sentirsi più lucido, in modo che Naida non si sentisse troppo intimorita da lui – e non provasse disprezzo, soprattutto. Questo, non avrebbe potuto sopportarlo.
Un pomeriggio, esasperato dall’ennesimo fallimento e in preda alla furia, distrusse la sua poltrona scaraventandola contro una parete; il giorno dopo, ricordando l’episodio, ridusse drasticamente la dose di liquore. Mai avrebbe sopportato di farsi vedere alterato dai soldati, mai avrebbe potuto tollerare di essere causa di sguardi disgustati e risatine colme di disprezzo. Mai, soprattutto, avrebbe voluto farsi vedere debole, le gambe vacillanti. Mai avrebbe voluto perdere il lume della ragione al punto di fare del male a Naida, la sua bellissima Naida di cui era sempre stato tanto orgoglioso. Mai.
Era capace di comandare ai suoi uomini; avrebbe comandato anche a sé stesso.
Avrebbe sconfitto il suo nemico, avrebbe finalmente conquistato quel pianeta azzurro che stava rivelandosi imprendibile… avrebbe trovato il modo, e avrebbe vinto.
E allora, finalmente, avrebbe avuto tutto il merito che fino a quel momento non gli era mai stato riconosciuto.
– T’avevo avvertito, imbecille! – esplose Re Vega – Passerai un mese nelle miniere, lavorando come uno schiavo!
Hydargos trasalì, sentendosi raggelare; chinò la testa e disse l’unica cosa che avrebbe potuto rispondere: – Agli ordini, Maestà.
Furibondo, Re Vega spense lo schermo togliendo la comunicazione. Con quel suo incapace comandante aveva avuto sin troppa pazienza; ora era il caso d’impartirgli una severa lezione che gl’insegnasse ad essere più efficiente… se fosse sopravvissuto, ovvio.
A lungo, Hydargos rimase in piedi davanti allo schermo ormai spento: agghiacciato dal terrore, bruciante di collera per la spaventosa umiliazione, stava faticando non poco per recuperare il dominio su sé stesso. Né Gandal né i soldati e i tecnici presenti gli dissero nulla, nessuno lo guardò in viso.
Gandal fece segno a due soldati che si fecero avanti, pronti per prendere in consegna il loro comandante caduto in disgrazia; un altro cenno di Gandal li fece attendere. Non era ancora il momento. Nonostante non fosse certo un superiore tenero, il Comandante Supremo capiva che il suo sottoposto aveva bisogno di qualche istante per riprendersi.
Fremente d’ira, Hydargos continuava a sentir risuonare in sé gli insulti del suo sovrano: sapeva di non meritare un simile castigo, sapeva d’aver avuto sfortuna contro Goldrake, sapeva che le continue ingerenze dei suoi superiori anziché fungergli da sprone l’avevano ostacolato nella sua lotta personale contro il nemico… e d’altra parte, era sempre stato consapevole che in caso di fallimento la colpa sarebbe stata imputata a lui e solo a lui.
Ecco cos’era: un fallito.
Fu il suo amor proprio ferito a costringerlo a riprendersi, a mostrarsi impassibile quando avrebbe voluto urlare tutta la sua furia. Hydargos si drizzò nella persona, si aggiustò l’uniforme e si voltò verso i soldati, pronto a seguirli: gli ordini di Sua Maestà andavano obbediti immediatamente.
Rivolse un rapido saluto a Gandal prima di seguire i due militi fuori, nel corridoio; qui s’arrestò un attimo: – Dovrei passare dal mio alloggio.
Uno dei soldati scosse il capo con aria di scusa: – Conoscete le regole, signore. Non è possibile. Vi prego, non fateci avere dei guai.
– Certo – non posso neanche avvertire Naida. Nemmeno questo mi viene concesso!
Mentre saliva sulla monorotaia che l’avrebbe condotto agli hangar, si disse che presto lei avrebbe saputo ogni cosa… e avrebbe scoperto che il suo padrone era un incapace, un inutile, un fallito.
Questo pensiero fu anche peggiore dell’umiliazione che aveva appena subito.
Naida aprì lentamente gli occhi, stirandosi le membra indolenzite; si guardò attorno e di scatto si tirò su a sedere. Era ancora sul divano dove s’era addormentata la sera precedente, mentre aspettava il ritorno di Hydargos.
Sbadigliando, Naida controllò l’ora prima d’alzarsi: nessuna traccia di lui, né lì né in camera. Sul tavolo erano ancora posati i vassoi coperti con la cena, ormai fredda ed immangiabile.
Naida rabbrividì e si gettò addosso lo scialle in cui s’era avvolta la sera prima. Da quando era iniziata la guerra, Hydargos aveva cominciato a fare tardi, a non avere più orari, e il più delle volte non l’aveva mai avvertita se non con molto ritardo; era la prima volta però che lui non si faceva vivo da così tanto tempo. Ma naturalmente, un comandante ha ben altro da pensare che far sapere alla sua schiava quando sarà di ritorno.
Ordinò la colazione, che subito le venne portata da un robodomestico. Naida mangiò pensierosamente, continuando ad occhieggiare la porta e il display dell’intercom; quando si fu vestita, decise che sarebbe andata alla zona ricreativa. Non aveva mai voluto sapere nulla di quella guerra, ma voleva avere notizie di Hydargos.
Percorse i corridoi, con la sgradevole sensazione che tutti la guardassero in modo strano… come se avessero saputo qualcosa di cui lei non era a conoscenza.
Sciocchezze, pensò Naida.
Lo pensò anche dopo, quando la direttrice la squadrò da capo a piedi con aria ancora più altezzosa del consueto, e ancora lo ripensò quando entrò nella Sala Ricerche ed ebbe la netta sensazione che tutti i presenti la guardassero di sottecchi.
Non è possibile, si disse Naida. Non essere sciocca, è tutta un’impressione.
Sedette ad una postazione libera e cominciò la sua ricerca: digitò il nome di Hydargos ed attese.
Una schermata fitta di testo: gradi, titoli, onorificenze… imprese belliche… ma di questo, Naida non voleva sapere niente. Preferiva ignorare di quali orrori si fosse macchiato quell’uomo che con lei era sempre stato gentile.
Scorse in fretta le righe senza leggerle, arrivò in fondo (e solo allora capì d’aver temuto fin dall’inizio di trovare quell’orrenda parola, “deceduto”)…
Detenuto.
Naida si coprì la bocca per non gridare, mentre le parole parvero ballare e mescolarsi tra loro davanti ai suoi occhi.
Non era possibile… non poteva essere possibile…!
Rilesse con tutta la calma che riuscì ad avere.
Detenuto. Un mese… schiavitù… miniere… punizione…
NO!
Naida ricadde contro lo schienale, mentre continuava a fissare quelle parole spaventose: Hydargos, il comandante di Skarmoon… ridotto a lavorare come uno schiavo. Per un mese!
Spaventosa ironia della sorte, proprio lui che si era rivelato un padrone incredibilmente buono e generoso, avrebbe dovuto vivere come uno schiavo minatore… una delle condizioni peggiori, per un prigioniero di Vega.
Un mese nelle miniere poteva essere orribilmente lungo…
Alzò gli occhi, e stavolta fu sicura d’aver visto teste chinarsi in fretta sui monitor. Allora, ecco cosa sapevano tutti, ecco perché continuavano a guardarla… perché lei ora era completamente sola.
Stai calma, si disse, mentre sentiva il panico crescere rapidamente in lei.
Finse di guardare il suo monitor, mentre rifletteva febbrilmente: ora più che mai, si rendeva conto di che sicurezza le avesse dato lui con la sua semplice presenza. Che ne sarebbe stato di lei, senza Hydargos? E, pensiero ancora più spaventoso, che le sarebbe successo, se lui non avesse più fatto ritorno da quelle infernali miniere?
Altre occhiatine, qualche commento. Attorno a lei, sguardi d’intesa e ammiccamenti…
Basta!
Naida s’alzò di scatto e fece per uscire; poi cambiò idea e andò a ritirare il maggior numero di videolibri ed olodischi che poté, prima di tornare precipitosamente all’alloggio. Vi si chiuse dentro, ben decisa a non farsi più vedere: senza Hydargos si sentiva sola ed esposta, ed aveva paura, paura, paura.
Cominciò allora un periodo tra i più terribili che Naida avesse vissuto, pari forse solo alla sua detenzione nel ventre dell’astronave. Chiusa nell’alloggio, completamente e disperatamente sola, totalmente preda ai suoi terrori, Naida cominciò a trascorrere quel mese di tempo… quel mese che pareva non dovesse passare mai…
A volte leggeva, ma più spesso le parole le sfuggivano da sotto gli occhi, perdendo ogni significato; allora, lei si ritrovava a fissare il vuoto davanti a sé, incapace di proseguire con la lettura. Trascorreva la notte nel vano tentativo di dormire, sussultando al minimo rumore; quando, spossata dalla stanchezza, sprofondava finalmente nel sonno, non aveva mai quell’oblio benedetto senza sogni: incubi spaventosi la torturavano, in parte immagini del passato, in parte spaventose possibilità che le si presentavano alla mente. Naida si risvegliava agghiacciata dallo spavento, il corpo tremante e madido di sudore gelido; riprovava allora a dormire, ma per quanto fosse stanca il sonno non tornava più a darle conforto.
Nella noia delle sue giornate, l’unico diversivo era l’arrivo quotidiano dei robodomestici venuti a portarle i pasti o a riordinare l’alloggio. Purtroppo, non erano programmati per sostenere un dialogo: racchiusa in quel suo volontario isolamento forzato Naida, che era sempre stata una ragazza molto socievole, soffriva soprattutto di solitudine. Non poter parlare con qualcuno, scambiare un paio di frasi, una battuta…
Cominciò a pensare che prima o poi sarebbe diventata pazza.
Prese a mangiare poco, a deperire; un giorno si vide nello specchio – era proprio lei quella creatura pallidissima dagli occhi incavati? – ed inorridì: e se Hydargos tornando l’avesse trovata imbruttita?
Da tempo era stata abbandonata dai suoi terrori di essere rifiutata e riportata alla prigione; quel giorno, le sue paure si risvegliarono prontamente. Naida riprese a mangiare con regolarità e a praticare ginnastica per mantenersi in forma.
Fu proprio una mattina, mentre stava finendo i suoi esercizi quotidiani, che inaspettatamente ricevette il segnale che qualcuno fuori nel corridoio chiedeva di entrare.
Hydargos…?
Non era possibile: era trascorso poco più della metà del mese di punizione! Poi, lui sarebbe entrato senza aver bisogno di chiederle di aprirgli.
Naida si sentì soffocare: erano venuti a prenderla, a portarla via? Soldati che l’avrebbero ricondotta in quella spaventosa prigione?
Un altro segnale.
Naida si guardò attorno come un animale in trappola: non poteva fuggire.
Sapevano che lei era lì.
Inutile continuare a far finta di nulla…
Con le ginocchia che le si piegavano ad ogni passo, andò ad aprire alla porta.
S’era aspettata soldati dai visi nascosti dai cappucci; era solo un tecnico di mezz’età, piccolo, tozzo e dall’aria benevola, venuto per la manutenzione periodica.
– Devo pulire e controllare i filtri dell’aria condizionata, signora – spiegò gentilmente, mentre la guardava con aperta ammirazione.
– Oh… sì, certo – Naida si fece da parte – Prego, accomodatevi.
L’uomo si fece avanti e si mise subito al lavoro: era una persona gioviale, e a Naida non parve vero poter scambiare qualche chiacchiera con un altro essere umano. Parlarono di tutto e di niente, mentre lui passava in rassegna tutte le prese d’aria, controllando quali filtri fossero da sostituire e quali necessitassero solo d’una buona pulizia.
Il tecnico era un tipo tranquillo che amava lavorare senza fretta; ciò nonostante, a Naida parve che avesse finito fin troppo presto il suo compito. Gli propose di bere una tazza di ween: gliel’avrebbe preparato volentieri, no, non sarebbe stato alcun disturbo. Il tecnico, che in effetti non desiderava altro che una pausa, accettò con piacere: se davvero per la signora non era una seccatura…
Chiacchierarono ancora mentre sorseggiavano la bevanda, e continuarono a farlo anche quando le tazze furono vuote; poi lui guardò l’ora e sobbalzò. Era stata una pausa gradevolissima, ma ora doveva proprio andare, era in ritardo con gli altri lavori.
Naida lo salutò a malincuore e l’accompagnò alla porta; poi la richiuse e vi si appoggiò contro con le spalle, lasciandosi scivolare a terra.
In quel poco tempo, si era sentita nuovamente viva.
Ora, davanti a sé aveva ancora almeno due settimane di solitudine, prima che Hydargos tornasse…
Non voglio pensarci.
…sempre che lui AVESSE fatto ritorno.
Non voglio pensarci!
Le miniere erano l’inferno. Moltissimi morivano nei primi giorni dal loro arrivo.
Non voglio pensarci…!
Quasi nessuno riusciva a resistere più di qualche mese, un anno al massimo.
Non… voglio… pensarci…!
Praticamente, nessuno schiavo aveva mai fatto ritorno da laggiù.
…
Naida si abbracciò convulsamente le ginocchia, affondò il viso tra le braccia e scoppiò in un pianto disperato.
I soldati fecero ala al suo passaggio, mentre lui scendeva dalla nave: finalmente, Skarmoon.
Era passato un mese… nessuno di quegli uomini doveva ignorare che ne era stato di lui, in tutto quel tempo.
Hydargos dardeggiò sguardi di fuoco attorno a sé dandosi un colpo di frustino sul palmo della mano, quasi sfidando chiunque a venirgli a rinfacciare il suo fallimento, il suo essere un perdente.
Nessuno disse nulla, nessuno si permise un contegno men che corretto.
Hydargos assentì tra sé e sogghignò: evidentemente, i suoi soldati lo rispettavano ancora.
Bene. Avrebbero visto che il loro comandante non era stato sconfitto, la schiavitù non era bastata a spezzarlo. Se era una prova di forza quella che volevano da lui, l’avrebbero avuta.
Percorse i lunghi corridoi col passo del vincitore: mai e per nessun motivo avrebbe voluto mostrare quanto gli bruciasse l’umiliazione che aveva subito. Mai si sarebbe mostrato debole, mai avrebbe lasciato trasparire l’amarezza che l’invadeva. Aveva subito una punizione ingiusta, una punizione durissima; nessuno avrebbe dovuto permettersi di mostrarsi sprezzante nei suoi confronti.
I soldati lo salutavano, gli ufficiali gli mostravano la deferenza dovutagli; lui guardò ognuno di loro in viso, vide tutti gli sguardi chinarsi, non abbassò mai il suo.
Continuò a camminare con la calma autorevole del vero comandante: quanti di loro avrebbero retto quello che aveva sofferto lui? Quanti di quegli ufficialetti dall’impeccabile uniforme avrebbero anche solo immaginato un’esperienza come quella che gli era toccata?
Nonostante il suo ferreo autocontrollo, sentiva l’agitazione crescere in lui: doveva presentarsi a rapporto da Gandal, com’era suo dovere. Come l’avrebbe accolto? Era un suo superiore, se avesse fatto ironie sull’accaduto, o se anche solo ne avesse parlato, lui non avrebbe potuto ricacciargli le parole in gola…
Hydargos serrò le dita attorno al manico del suo frustino: pazienza, pazienza…
Salì sulla monorotaia e raggiunse l’ufficio privato del suo superiore; perfettamente impassibile, chiese di poter conferire con lui, e venne fatto passare praticamente subito.
Gandal alzò gli occhi dal monitor del suo computer e fissò in silenzio Hydargos mentre eseguiva un saluto impeccabile e rimaneva in piedi davanti a lui, in attesa.
Se anche aveva avuto intenzione di dire alcunché, una semplice occhiata al viso del suo subalterno gli fece subito cambiare idea. Gandal s’alzò e in un inconcepibile slancio di cordialità gli andò incontro: – Hai fatto buon viaggio?
– Ottimo, grazie – rispose Hydargos, sempre sulla difensiva.
Gandal esitò: in realtà era veramente lieto di rivederlo. Mai avrebbe pensato che un giorno sarebbe arrivato a rimpiangere quel suo sottoposto di cui tante volte aveva lamentato la presunta inefficienza: l’inefficienza vera l’aveva conosciuta proprio durante la sua lontananza, e per opera degli ufficiali che avevano tentato di sostituirlo. È proprio vero che capiamo il valore di qualcuno solo quando è assente.
Lo guardò ancora: nel viso smagrito, gli occhi parevano bruciare di febbre. Non l’aveva mai visto così… – Hydargos, stai bene?
– Perfettamente, grazie. Sono pronto a riprendere il mio posto. – fu la risposta che ottenne. Ovviamente, non avrebbe potuto essere nulla di diverso.
– Non oggi – rispose Gandal – Sei appena tornato.
Hydargos fece con la testa un cenno di ringraziamento, e non disse nulla.
Il silenzio cominciò a farsi davvero opprimente.
Gandal tossicchiò: – Immagino che vorrai ritirarti. Puoi andare.
Hydargos salutò prima di girare i tacchi e avviarsi verso l’uscita. Gandal lo seguì con lo sguardo, e lo richiamò quando ormai era sulla porta: – Ascolta…
– Sì? – Hydargos si voltò a metà, il viso di pietra.
Gandal non esitò più: – Riprenderai servizio tra qualche giorno.
– Non sono malato.
– Diciamo allora che hai l’aria stanca.
– Posso ricominciare da domattina.
– È un ordine – ribadì Gandal, reciso – Non voglio vederti per tre giorni. Chiaro?
Hydargos chinò la testa in segno d’assenso: – Chiarissimo.
E uno, pensò mentre s’avviava verso il suo alloggio. Il primo incontro difficile era andato meglio di quanto aveva previsto: fortunatamente, Gandal aveva avuto l’intelligenza di non alludere nemmeno a quanto era accaduto.
L’altro incontro, sarebbe avvenuto entro pochissimo tempo.
In tutto quel tempo, che aveva pensato Naida? Aveva saputo sicuramente che era stato punito; di certo, ora non provava che disprezzo per lui. A nessuna donna piace essere la schiava d’un fallito.
Strinse il frustino fino a far crocchiare le nocche. Avrebbe sopportato senza battere ciglio i sarcasmi, le allusioni, le cattiverie del suo comandante; il biasimo di lei sarebbe stato a dir poco intollerabile. Non dopo quello che aveva passato.
Diviso tra furia e timore, Hydargos percorse a grandi passi la distanza che lo separava dal suo alloggio: com’era nella sua natura, avrebbe affrontato direttamente quella prova, e l’avrebbe fatto subito.
Le porte scivolarono di lato, e Hydargos fece il suo ingresso.
Naida, che gli era subito andata incontro, s’arrestò nel vederlo: aveva il colorito d’un malsano grigiastro, gli occhi fondi, il viso scavato. Anche se poteva sembrare impossibile, sembrava fortemente dimagrito; camminava eretto nella persona ma con fatica, quasi ogni passo gli fosse costato sofferenza.
– …Signore…? – mormorò lei, inorridita. Non osava pensare a cosa gli avessero fatto.
– Sto benissimo – tagliò corto lui, mascherando dietro il tono brusco il sollievo: lei non lo guardava con disprezzo o con rimprovero… – Sto bene, davvero.
– Ma certo – Naida deglutì – Sono contenta che tu sia tornato.
Hydargos fece una smorfia che voleva essere un sorriso ironico: – Non starai per dirmi che ti sono mancato!
– Certo che sì – Naida fece per prendergli il mantello, ma lui si tirò bruscamente indietro; lei riprese, e nella sua voce vibrava un tremolio perfettamente percepibile: – Tutto questo tempo senza sapere niente di te… mi sono sentita molto sola.
– Non mi hanno permesso di avvertirti – lui guardò il divano come per sedercisi sopra, ma all’ultimo istante decise di rimanere in piedi: – Hai saputo cos’è successo, immagino.
– Sì, dal computer – Naida si sforzava di ricacciare le lacrime: non era così che si era immaginata il ritorno di lui… no, non così, non dopo tutto quel tempo! – Nessuno mi ha detto niente. Nessuno mi ha mai nemmeno parlato! Ho scambiato due parole solo col tecnico della manutenzione, e basta! Sono sempre stata sola, sola! E ti meravigli se ti ho aspettato?
Lui parve sinceramente sorpreso: – Pensavo t’avrebbe fatto piacere non avermi attorno per un po’.
Naida scosse la testa e gli voltò le spalle: – Pensavi sbagliato.
Non era certo il modo corretto di rivolgersi al proprio padrone, tuttavia Hydargos era troppo sbalordito per farvi caso. In tutto quel mese aveva pensato che Naida sarebbe stata felice di sentirsi libera, senza essere costretta ad obbedirgli; non aveva considerato il bisogno di compagnia così tipico degli esseri di Fleed.
Poi, naturalmente, Naida doveva anche aver avuto timore anche per sé stessa: che ne sarebbe stato di lei, se il suo padrone non avesse più fatto ritorno?
Logica preoccupazione, si disse Hydargos, che era un uomo pratico.
– Va bene, adesso sono tornato; contenta? – in un incredibile momento di espansività le passò ruvidamente una mano sui capelli; subito Naida gli si gettò tra le braccia, affamata di un minimo di contatto fisico, di calore umano.
Lui sussultò, emise un gemito strozzato.
Naida si sciolse rapidamente da lui e lo fissò in viso: era mortalmente pallido, e stringeva i denti in una smorfia di sofferenza.
– Signore! Ma che cos’hai? – chiese, stupefatta – Ti ho… ti ho fatto male?
Lui scosse il capo: – È solo un ricordino del mio soggiorno nelle miniere.
– Ma cosa…?
Hydargos esitò un istante; poi si slacciò il mantello e aprì la tuta, rimanendo a torso nudo.
La schiena, le spalle e le braccia erano devastate da lunghe piaghe coperte da croste di sangue raggrumato. Naida non aveva mai visto gli effetti della frusta elettrificata, ma non impiegò che un secondo per riconoscerli.
– Devi farti vedere subito al centro medico! – esclamò, inorridita.
– Non voglio che qui su Skarmoon si sappia cosa mi hanno fatto! – si ostinò lui – Mi hanno già umiliato abbastanza.
– Ma bisogna medicare quelle piaghe! Sdraiati, ci penserò io – e Naida corse a prendere il necessario, mentre lui si stendeva con precauzione sul divano.
Prima di cominciare, Naida esaminò ancora le spaventose ferite e rabbrividì: – Pensavo avrebbero avuto dei riguardi, dato il tuo rango.
– Hanno avuto dei riguardi – rispose lui, cupo.
Naida ammutolì e si concentrò sulla medicazione.
Le piaghe presentavano bordi di pelle ustionata; in compenso, le ferite risultavano cauterizzate, non sembrava ci fossero infezioni in corso. Lavorando con pazienza e delicatezza, Naida pulì accuratamente le lacerazioni, irrorandole con il disinfettante. Quindi stese uno strato di gel dermostimolante che avrebbe anestetizzato il dolore e favorito una rapida guarigione; infine spruzzò il tutto con uno spray protettivo che formò istantaneamente una pellicola trasparente sulle ferite, proteggendole e trattenendo il medicamento.
Hydargos si rialzò con precauzione: il gel era fresco, piacevolissimo, e il dolore stava rapidamente calando. Rimase seduto, senza abbandonare un istante con gli occhi quella sua schiava che l’aveva appena curato e che ora stava riponendo ordinatamente creme e bottiglie. Un servo in genere non ha attenzioni per il suo padrone, al massimo obbedisce ai suoi ordini; lui non le aveva chiesto di aiutarlo, ma lei l’aveva fatto spontaneamente. Perché? Gratitudine? Mah…
Cenarono in silenzio: avendo saltato fin troppi pasti, lui divorò ogni cosa con grande appetito, mentre Naida lo osservava di sottecchi sorridendo tra sé.
Pensava che Hydargos avrebbe voluto andare subito a riposare, ma lui volle rilassarsi prima con un po’ di musica; lei scelse un disco che sapeva piacergli molto e lo raggiunse sul divano. Normalmente, lei si rannicchiava contro il suo fianco: timorosa di fargli del male, Naida rimase in disparte.
Hydargos la guardò con aria interrogativa, ma lei non se ne accorse: occhi semichiusi, ascoltava il filo della musica, seguendolo ovunque l’avesse portata.
Quella sera avvenne ciò che mai si sarebbe aspettata: fu lui a prenderla ruvidamente per una spalla, lui ad attirarsela nel cavo del braccio. Naida lo guardò, sbalordita, ma lo vide impassibile, lo sguardo remoto, ben deciso a non rivelarle nulla; allora, con precauzione, si raggomitolò contro di lui e non si mosse più.
Lo conosceva abbastanza per sapere che era il suo modo di ringraziarla.
Non ricordava d’aver mai fatto così tardi.
Sulla base, le luci erano abbassate per ricreare una sorte notte fittizia, e regnava il silenzio; ben poche persone si potevano vedere in giro. Il servizio notturno era destinato solo al minimo indispensabile di personale.
Hydargos scese dalla monorotaia e s’incamminò per il corridoio che portava al suo alloggio.
Si sentiva le ossa indolenzite e un odioso senso di vuoto gli attanagliava le viscere.
Quel giorno, era stato sul punto di morire.
Aveva combattuto contro Duke Fleed, e l’aveva fatto di persona, pilotando lui stesso l’ultimo mostro creato dal Centro Scientifico; ma era stato inutile. Aveva dovuto abbandonare la lotta per non venire ucciso.
Hydargos aprì la porta, che scivolò silenziosamente di lato: era tardissimo, Naida doveva essere andata a dormire.
Entrò, si tolse il mantello gettandolo su una sedia; si guardò attorno e nella penombra scorse qualcosa di chiaro sul divano. Naida…?
Si chinò su di lei: s’era avvolta in uno scialle e s’era assopita. Sul tavolo erano posati due vassoi con la cena, che ormai nonostante i contenitori termici doveva essere fredda. Alzò un coperchio e riconobbe uno dei suoi piatti preferiti: tipico di lei aver scelto i cibi che lui prediligeva.
Naida si riscosse, riaprì gli occhi e si guardò attorno, insonnolita: – Oh, sei tornato… Che ora è?
– Tardissimo – rispose lui, molto più ruvido di quanto in realtà avrebbe voluto – Perché non sei andata a letto?
– Credevo che saresti rientrato prima – soffocò uno sbadiglio e si strinse addosso lo scialle, mettendosi seduta sul divano – Devi aver fame.
Lui scosse il capo: – Sono solo molto stanco. Tu hai mangiato?
– Ti avevo aspettato – rispose lei, che faticava a tenere gli occhi aperti – Pensavo che avremmo cenato assieme. Adesso ho solo sonno.
Lui le tese una mano per farla rialzare: – Vieni. Andiamo a dormire.
Finalmente nel suo letto, Hydargos si girò e rigirò, incapace di assopirsi. Continuava a rivedere le immagini della battaglia, le armi letali di Goldrake scatenate contro il suo mostro… la collera, la vergogna di essere stato costretto alla fuga non gli permettevano di scivolare in quel riposo che tanto aveva desiderato.
Accanto a lui, Naida si mosse nel sonno, sospirò. Stava sognando, e non sembrava che si trattasse d’un sogno gradevole.
Se io morissi, si chiese improvvisamente Hydargos, che ne sarebbe di lei?
Era una schiava, una cosa senza alcun diritto, un oggetto da vendere, scambiare, lasciare in eredità. Bella com’era, una volta che fosse rimasta senza un proprietario sicuramente altri uomini si sarebbero fatti avanti per contendersela.
Ignara dei pensieri che affollavano la mente del suo padrone, Naida si rannicchiò contro di lui; finalmente soddisfatta, scivolò in un sonno senza sogni.
Hydargos la guardò, pensoso. Se lui fosse morto, Naida sarebbe stata di un altro uomo: un altro avrebbe avuto accanto a sé nel letto quel dolce corpo tiepido, un altro avrebbe visto com’era bella mentre dormiva, un altro l’avrebbe avuta tra le braccia…
No, maledizione! Mai!
Rifletté freddamente: non per nulla, un tempo si usava ordinare che alla propria morte la schiava favorita venisse uccisa. Molti ancora lo facevano, la legge lo permetteva. Nessuno avrebbe trovato nulla da ridire.
Lentamente, Hydargos intravide la soluzione al suo problema. Avrebbe avuto bisogno d’aiuto; l’avrebbe chiesto a Gandal. Era un superiore severo, ma come uomo era affidabilissimo. Non gli avrebbe negato un favore.
– Volevi parlarmi? – Gandal fece ruotare la poltrona per poter guardare in viso il suo sottoposto.
– Vorrei che tu tenessi questo – Hydargos gli tese un plico.
Gandal lo rigirò tra le mani: sigillato e piuttosto gonfio. Doveva contenere carte e dischi magnetici. – Che devo farne?
Hydargos non rispose subito. Sull’ampio schermo alle spalle di Gandal, la Terra riluceva come un azzurro, preziosissimo gioiello. Per quanto fosse quasi arrivato ad odiarlo, quel pianeta imprendibile, la sua vista lo affascinava sempre.
– Inutile nascondercelo, questa guerra si rivela più difficile di quanto avessimo previsto – Hydargos parlava lentamente, gli occhi fissi su quel mondo ceruleo – Gli scontri sono sempre più pesanti. Io non sono un uomo che si tira indietro davanti al pericolo, e tu lo sai. Ho combattuto in prima persona, ho rischiato e rischierò ancora – si volse verso Gandal – So che in uno dei prossimi combattimenti potrei morire.
Gandal assentì gravemente e si alzò a sua volta, il plico tra le mani.
– Se dovesse succedere – continuò freddamente Hydargos – troverai là dentro il da farsi. Ho già predisposto tutto.
Gandal osservò il plico: – Non hai lasciato scritto a chi devo consegnarlo.
– Devi aprirlo tu.
– Io? Ma… la tua famiglia…
– Io non ho famiglia! – tagliò corto Hydargos, reciso – Tutto quel che ti chiedo è di conservare quel plico, aprirlo nel caso io dovessi morire ed eseguire quel che c’è da fare. Posso contarci?
– Ma certo – Gandal lo guardò dritto in viso – Me ne occuperò io, personalmente. Hai la mia parola.
Capitolo 9 – Re Vega Non capitava praticamente mai che qualche ospite giungesse nell’alloggio di Hydargos; ma se questo fosse un uso di Vega o fosse semplice misantropia da parte del suo padrone, Naida non sarebbe stata in grado di dirlo.
L’eccezione alla regola accadde senza alcun preavviso.
Una sera giunse in visita un uomo altissimo, dal viso che pareva intagliato nella roccia; come Naida venne poi a sapere, si trattava nientemeno che del Comandante Supremo Gandal.
Il nuovo venuto si guardò attorno, soffermando lo sguardo sulla mensola su cui erano posti i vasi con le piante di Naida in coltura idroponica: uno spettacolo davvero insolito, per un alloggio di Skarmoon. Sorpreso, Gandal si girò con aria interrogativa verso Hydargos, che sostenne tranquillamente il suo sguardo ostentando indifferenza.
I due uomini sedettero, cominciarono a conversare (la Terra, su Skarmoon ormai non si parlava d’altro che della prossima invasione di quel meraviglioso pianeta). Ad un cenno di Hydargos, Naida si fece avanti portando un vassoio con bicchieri e bottiglie.
– Gradite un rinfresco, comandante? – chiese con un filo di voce, senza osar alzare gli occhi.
– Volentieri – per quanto poco incline a manifestare apertamente i propri sentimenti, Gandal la fissò con aperta ammirazione.
Naida li servì entrambi, prima di andarsene lasciandoli soli; Gandal, che fino ad allora era stato incapace di staccarle gli occhi di dosso, alzò la coppa in direzione del collega.
– Quella è la tua famosa schiava di Fleed? – esclamò – Complimenti. Adesso non mi meraviglio più che tu la tenga rinchiusa.
– Non è così – Hydargos bevve un sorso, soddisfatto: le lodi alla bellezza di Naida equivalevano per lui ad un complimento personale – Non le impedisco di uscire, anzi. È lei che non vuole farlo.
– Forse hai avuto la mano troppo pesante – osservò Gandal.
– Con una donna simile? Scherzi? Avrei avuto paura di rovinarla! E poi non ho mai avuto motivi per punirla. È molto docile.
– Sei doppiamente fortunato, allora – Gandal depose accanto a sé la coppa ancora mezzo piena – Probabilmente sarà stata maltrattata dai soldati prima che la prendessi tu.
– Penso di sì, anche se non ne ha mai parlato – Hydargos tenne la coppa tra le mani, gli occhi fissi sul liquore dorato – Posso sempre chiederglielo. Comunque, domani sera uscirà.
– Vuoi portarla alla cena in onore dell’arrivo di Sua Maestà?
– Perché no? È una donna di classe, molto educata. Farà una bella figura, non pensi?
Sua Maestà era giunto in visita sulla base di Skarmoon: svariati motivi l’avevano tenuto fino ad allora lontano dall’avamposto, non ultimo il contrasto con sua figlia Rubina, che l’incolpava della distruzione di Fleed. Purtroppo, era risaputo che la principessa Rubina, idealista com’era, non aveva mai avuto senso pratico: per lei un pianeta sconfitto corrispondeva a stragi ed orrori, non a nemici finalmente eliminati. Mah…
In visita con Sua Maestà erano venuti il Ministro delle Scienze Zuril, che Hydargos aveva conosciuto in occasione dell’attacco a Fleed, e l’odioso – e odiato – generale Dantus, Ministro della Difesa. Naturalmente erano presenti anche Gandal, Barendos ed alcuni alti ufficiali. Poi Hydargos si presentò con al braccio Naida, meravigliosa in un vestito candido a tunica che ne modellava morbidamente le forme; al collo, una cascata di gemme verdi e bianche che mandavano sprazzi di luce. Era una collana di squisita fattura, degna d’una regina; Naida la odiava. Era praticamente sicura che fosse parte di un bottino ottenuto da Hydargos dopo aver distrutto ed ucciso, ma non aveva potuto rifiutarsi d’indossarla.
Il loro ingresso produsse una certa sensazione, il che fece inorgoglire Hydargos. L’ammirazione destata dalla sua donna lo colmava di fierezza; persino Dantus, pur altezzoso com’era, era rimasto senza parole davanti alla bellezza di Naida.
Con l’aria di superiorità di chi sa d’avere con sé una donna non comune, Hydargos salutò i presenti, chiacchierò amabilmente con tutti, fu gentile persino con il detestabile Dantus, che gli rivolse un saluto forzato, gli occhi gialli fissi sulla procace giovane donna che si stringeva timidamente al fianco del suo padrone.
Per ultima arrivò trafelata la dottoressa Koyra, la primaria responsabile del Centro Medico; indossava ancora camice e calzoni che la facevano apparire più alta e magra di quanto già non fosse. In un impeto d’amor proprio femminile si passò nervosamente le dita tra gli arruffati capelli corti, scompigliandoli maggiormente. Sua Maestà la vide, sospirò e tacque: lei era un eccezionale chirurgo, non certo una modella. Non era la prima volta che si presentava ad una cerimonia ufficiale coi vestiti da sala operatoria, e non sarebbe certo stata l’ultima. Non era tipo da preoccuparsi di certe inezie come il vestiario, lei. Pure, con quel viso dagli zigomi alti, gli occhi viola cupo tagliati obliqui e la bocca morbida avrebbe potuto essere una gran bella donna…
Vennero serviti gli aperitivi, che sarebbero stati presi in piedi, in attesa di sedere al tavolo. Naida si guardò nervosamente attorno, senza osar fissare in viso nessuno. Quegli uomini e quelle donne erano i capi di Vega. Fleed era stato distrutto da loro.
Le misero in mano un bicchiere; lei si bagnò appena le labbra, aggrappandosi ancora più fortemente al braccio di Hydargos. Aveva tanto temuto di incontrare Rubina, e si era sentita sollevata nel sapere che la giovane principessa non sarebbe stata presente. Si erano conosciute su Fleed, e non erano state propriamente amiche; per Naida sarebbe stato orribile ritrovarla adesso, nella sua nuova condizione di schiava.
Nella sala si erano formati gruppetti di gente che conversava. Naida li osservò di sottecchi, cercando il coraggio che non aveva in un altro sorso del suo cocktail.
Hydargos stava parlando appunto con Dantus (l’invasione della Terra, ovvio). Più in là, Zuril era impegnatissimo in una conversazione scientifica con la dottoressa Koyra, che discuteva animandosi e agitando il proprio bicchiere, schizzando in giro il suo aperitivo. Più vicino, Gandal stava parlando a bassa voce con Re Vega, e gli spezzoni dei loro discorsi le giungevano a tratti. L’invasione di quel nuovo pianeta, naturalmente.
Naida si voltò ancora verso Zuril: dunque, quello era stato il padrone di Kein… chissà perché si era aspettata che avesse un aspetto meno mostruoso. Comunque, sembrava avere modi molto più pacati e meno aggressivi degli altri veghiani. Quanto le sarebbe piaciuto chiedergli di Kein! Purtroppo, non sapeva se avrebbe avuto la possibilità – o il coraggio – di domandargli notizie.
Naida bevve un altro sorso e cercò di prestare attenzione a ciò che Dantus stava dicendo ad Hydargos. In genere non voleva sentir parlare dell’invasione della Terra, non dopo aver visto distruggere Fleed, ma non poteva evitarlo ancora. Pareva non si potesse parlare d’altro.
– Stiamo ultimando la progettazione di un mostro da combattimento di nuova generazione – stava annunciando pomposamente Dantus – Un mostro di concezione completamente nuova.
– E cos’avrà mai di diverso dagli altri, questo nuovo mostro? – chiese Hydargos, tagliente.
– Non è interamente meccanico – rispose soddisfatto Dantus – È ottenuto partendo da un animale vivo, accresciuto, robotizzato e perfettamente controllato. La sua potenza e i suoi riflessi lo rendono infinitamente superiore ai mostri vecchio modello.
– Bene, ti auguro che sia così – sogghignò Hydargos – Vedremo se in combattimento questo mostro riuscirà a non farsi distruggere, come gli altri!
– Il mio mostro non sarà sconfitto! – proclamò Dantus – Anzi, sarà proprio il mio mostro a fare a pezzi Duke Fleed e quel suo Goldrake!
Il calice di Naida s’infranse a terra.
– Duke Fleed? – gridò lei – È VIVO?
Un silenzio terribile piombò nella sala. Improvvisamente, Naida sentì tutti gli sguardi su di sé, e d’istinto si rannicchiò su sé stessa, quasi avesse voluto sparire.
– Vieni qui, schiava – disse la voce profonda di Re Vega.
Naida riaprì gli occhi, guardò Hydargos: era pallidissimo, il viso di pietra, ma annuì impercettibilmente. Bisognava obbedire. Lei allora mosse qualche passo avanti, fermandosi di fronte al sovrano, che non osò guardare in viso.
– Sì, Vostra Maestà – mormorò.
– Conosci Duke Fleed?
Naida guardò ancora Hydargos, prima di parlare. – Sì, Vostra Maestà… ma… è vivo?
– Non sta a te fare domande, schiava. Come ti chiami?
– Naida Barsagik, Maestà.
– Barsagik – ripeté Zuril, facendosi avanti – C’era un Barsagik nella famiglia reale di Fleed, se non ricordo male… un duca. Sei sua figlia?
Naida guardò ancora Hydargos.
– Rispondi – disse lui.
– Sì, signore. Sono la figlia del duca Barsagik.
– Ti eri preso una duchessa, complimenti – sibilò velenosamente Dantus a Hydargos – Quanto scommetti che te la porteranno via?
– Taci! – ringhiò Hydargos.
– Il duca Barsagik – ripeté pensosamente Re Vega; poi si rivolse al suo Ministro delle Scienze: – Zuril, tu sei stato su Fleed e conoscevi bene la famiglia reale.
– Sì, Maestà – rispose lui, cercando di scacciare dalla mente la leggiadra immagine di Rubina.
– Questo duca, che parentela aveva con Duke Fleed?
– Erano cugini, anche se alla lontana. Tuttavia, la sua famiglia viveva in un’ala della reggia. Ricordo che mi era stato parlato di una Naida, amica d’infanzia di Duke Fleed. Erano cresciuti assieme, e si era cominciato a ventilare un possibile matrimonio.
Re Vega lo guardò un po’ in tralice: – Sei ben informato. Queste cose le hai sapute da mia figlia… da Rubina?
Zuril strinse le labbra, mostrandosi impassibile: – Sua Altezza non mi onora delle sue confidenze, Maestà.
– Ooh, molto bene – intervenne improvvisamente lady Gandal, esaminando Naida – Una cugina di Duke Fleed, cresciuta con lui e con cui c’è stato del tenero… Maestà, è un’occasione da non perdere.
– È quel che penso anch’io – Re Vega si rivolse solennemente ad Hydargos: – Mi spiace, Vicecomandante, ma dovrete rinunciare alla vostra schiava. La faremo condizionare e la useremo per distruggere una volta per sempre quel maledetto Duke Fleed.
– No…! – esalò lei.
– Maestà – esclamò Hydargos, ponendosi istintivamente davanti a Naida, facendole scudo – Voi sapete che ho sempre messo a repentaglio la mia vita per voi… ma la mia schiava… il condizionamento è rischioso, la missione è irta di pericoli…
– Verrete risarcito, naturalmente – rispose Re Vega; poi, in un impeto di grande generosità aggiunse: – Riceverete il doppio del suo valore.
– Ma, Maestà…
– Basta così – e a Gandal: – Fatela portare via, Comandante.
Un cenno di Gandal, e due soldati furono pronti ai fianchi di Naida, che guardò Hydargos, disperata; ma lui, che fremeva d’ira impotente, non poté far altro che serrare i pugni fino a farli crocchiare.
– Un momento – Dantus si fece avanti, gli occhi gialli sempre fissi su Naida, e fece cenno a due delle guardie speciali di Vega – Prendo io in consegna la prigioniera.
– Non ce n’è bisogno – obiettò Gandal, seccato di vedersi scavalcare dal collega.
– I soldati di questa base sono fedeli a Hydargos – continuò soavemente Dantus – Credo che sia più prudente se facciamo sorvegliare questa donna da delle guardie sicure.
Offesissimi, i due militi che avevano preso in consegna Naida lasciarono la loro prigioniera e si volsero di scatto verso Dantus, che sogghignò della loro reazione: – Che dicevo? Non sono affidabili.
– I soldati di Vega sono degni della massima fiducia! – esclamò rabbiosamente Hydargos.
– Ma davvero…! – rise Dantus, che stava covandosi Naida con gli occhi; un suo cenno, e si fecero avanti un paio delle guardie personali di Re Vega, pronti a portare via la giovane donna. Finché Zuril avesse preparato il condizionatore mentale, ci sarebbe stato il tempo perché Dantus potesse spassarsela con quella bellissima schiava… e naturalmente, ci sarebbe stato qualcosa anche per loro due.
Naida conosceva fin troppo bene quello sguardo; terrorizzata, s’accostò ad Hydargos, che si pose tra lei e Dantus, mento alzato e spalle squadrate, pronto alla lotta.
Anche a Zuril era fin troppo chiaro il desiderio di Dantus, e ne era urtato. Celando il disgusto dietro alla sua maschera impassibile, lo scienziato si fece avanti ponendosi tra i due avversari: – Un momento solo.
Dantus si volse rabbiosamente verso di lui, un lupo ringhioso che teme di vedersi sfuggire la preda: – Che ti prende, Zuril?
Il Ministro delle Scienze si rivolse a Sua Maestà: – Temo, Sire, che non sarà possibile preparare Naida in tempi così ridotti. Non appena giunto su Skarmoon, sono entrato nel computer principale per controllare il sistema…
– Cosa c’è che non va bene? – brontolò Gandal, piccato.
– Semplicemente, il programma è in una versione a dir poco obsoleta.
Dantus sbuffò: – Per una volta in vita tua, puoi parlare semplicemente, senza usare tanti paroloni?
Zuril si volse verso di lui, glaciale: – Sorpassato. Scaduto. Vecchio, se proprio vogliamo usare un termine di facile comprensione.
– Maledizione, Zuril, smettila! Ho capito!
– Ah, sì? – Zuril si permise un lieve sogghigno – Avevo creduto il contrario.
– Basta così – Re Vega inchiodò Dantus con un’occhiataccia, prima di rivolgersi a Zuril: – Non puoi eseguire la distorsione mentale usando il vecchio programma?
– Certo, potrei – rispose tranquillamente Zuril – Però è molto meno affidabile del programma nuovo. Consiglio vivamente di attendere che io abbia aggiornato l’intero sistema, Maestà: con Naida, non possiamo correre il minimo rischio, o ne andrà del nostro piano.
Re Vega piegò all’ingiù gli angoli della bocca: – Quanto tempo ti ci vuole?
– Alcune ore per installare e riprogrammare l’intero sistema, più altro tempo per i controlli necessari.
– E se cominci subito?
Zuril si permise un sorrisetto: – Ho avviato la procedura automatica di backup, e in questo momento sto creando una copia dell’intero database. Non potrò programmare nulla finché la copia non sia stata ultimata… il che richiederà almeno un paio d’ore di lavoro.
Re Vega gettò uno sguardo a Naida, che sembrava sul punto di svenire: – Va bene, Zuril. Sei tu il responsabile dell’operazione. Fai come ti sembra meglio.
– Grazie, Maestà – Zuril si girò verso Hydargos: – Non appena saremo pronti, manderò dei soldati a prendere Naida.
– Quanto tempo ci vorrà? – chiese Hydargos, impassibile.
– Non li manderò prima di domattina.
– Nel frattempo – intervenne Dantus – sarà meglio che questa donna venga chiusa in una cella e sorvegliata.
– Rispondo io di lei – ringhiò Hydargos.
Dantus lo guardò con aria vagamente canzonatoria: – Davvero?
– Cosa vorresti dire? – sbottò Hydargos, gli occhi che mandavano lampi.
– Dico che voglio essere sicuro che quella schiava domani ci sia, ecco cosa dico!
– Pensi che la farei scappare?
– Saresti capace di farlo.
Hydargos serrò i pugni: – Stai accusandomi di tradimento?
– No, naturalmente! – tagliò corto Zuril, asciutto, fissando in viso Dantus – Sono certo che domani il comandante Hydargos consegnerà Naida ai miei uomini.
– Ho i miei dubbi – rispose Dantus, godendo intimamente nel vedere la collera del rivale.
– Io invece non ne ho affatto – rispose Zuril sottolineando ogni parola – So di potermi fidare della parola del comandante Hydargos.
– Concordo in pieno – aggiunse inaspettatamente Gandal, godendo nel vedere l’ira impotente di Dantus.
– Basta con queste sciocchezze! – sbottò Re Vega, brusco – Zuril, l’aggiornamento del computer è troppo importante. Prenditi tutto il tempo che ti è necessario.
– Grazie, Maestà – e lo scienziato chinò educatamente il capo.
– Quanto a te, Hydargos, sei responsabile per quella donna – continuò Re Vega – È affidata a te. Se lei dovesse fuggire o suicidarsi, puoi considerarti morto.
– Non succederà, mio signore.
Un gesto di Gandal e i soldati lasciarono Naida, che subito corse a rifugiarsi presso il suo padrone.
– Grazie, ministro Zuril – Hydargos prese Naida per un braccio e si girò verso Re Vega – Maestà, chiedo il permesso di ritirarmi.
– Ma certo – concesse generosamente Re Vega – Abbi cura di Naida. Non appena il ministro Zuril sarà pronto, manderemo a prenderla.
Allora Hydargos uscì, e Naida gli tenne dietro.
– Maledizione! – Hydargos si strappò di dosso il mantello scarlatto e ne fece una palla che scaraventò a terra. Controllò che la porta dell’alloggio fosse chiusa; poi andò a versarsi un abbondante bicchiere di liquore, che trangugiò d’un fiato. Quindi, ricordatosi improvvisamente di Naida, rimasta in piedi in mezzo alla stanza, gelata di terrore, tese la bottiglia verso di lei: – Un goccio anche tu?
– Grazie, signore – lei pareva sul punto di scoppiare in pianto: – Cosa mi faranno?
Hydargos le mise in mano una coppa: – T’impianteranno un microchip sotto pelle, dietro l’orecchio; non sentirai male. Poi ti daranno le direttive.
– Quali direttive?
– Come devi comportarti. Suppongo ti diranno che odi Duke Fleed.
– Ma io… io gli voglio bene! Non posso…
Hydargos piantò gli occhi in quelli di lei: – Naida, nel momento in cui il chip rileverà che il tuo comportamento non è conforme alle istruzioni, tu proverai un dolore indicibile. È meglio se ti adegui… se non vuoi soffrire.
Naida crollò la testa. Non riusciva nemmeno a piangere.
– Perché non mi hai mai detto di essere parente di Duke Fleed? – chiese Hydargos.
– Perdonami, signore… – lei si sforzò di ricacciare indietro i singulti – Non mi hai mai fatto domande sulla mia vita. Credevo non t’interessasse.
Infatti, non m’interessava… fino ad ora, pensò Hydargos. Dannazione! Perché aveva voluto portarla a quella cena, esibirla per vantarsi della sua bellezza? Perché non l’aveva lasciata a casa, come lei stessa avrebbe voluto?
– Perché non sei stata zitta, quando hanno nominato Duke Fleed? – esplose invece.
– Mi dispiace, signore, io… io non sapevo… io credevo che fosse morto.
– No, non lo è – rispose lui, a denti stretti – È il nostro peggior nemico, invece. Il mio peggior nemico. – E lei era la tua fidanzata, Fleed. Te l’ho portata via. Adesso è mia. Almeno in questo t’ho battuto.
Hydargos terminò in fretta il suo liquore, mentre accanto a lui Naida cercava di riprendere una parvenza d’autocontrollo. Poi lui gettò la coppa sul tavolo e si voltò verso la sua schiava, una luce febbrile negli occhi.
– Abbiamo ancora questa notte – l’afferrò per le spalle e la strinse a sé, sentendosi invadere da un fuoco che ben conosceva e che solo lei avrebbe potuto estinguere – Forse è tutto ciò che ci resta.
Naida esitò un solo istante. Guardò Hydargos, quel suo padrone che tutto sommato non era mai stato crudele con lei, che l’aveva sempre trattata bene, che quella sera aveva cercato di difenderla incurante della sua stessa rovina; per la prima volta da che si conoscevano, sentì nel petto un calore che credeva non avrebbe provato mai più.
Ma allora… possibile che…?
L’immagine di Duke Fleed balenò nella sua mente.
NO!
Non voleva pensare a cosa provava veramente per quel veghiano… non voleva pensare all’orrore che l’attendeva l’indomani… non voleva pensare affatto.
Si gettò tra le sue braccia, si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò febbrilmente.
Capitolo 10 – TorturaDue soldati vennero il mattino dopo a prendere Naida; sulla soglia, lei si volse un’ultima volta per salutare Hydargos. Fu un addio molto freddo e formale, ben diverso dal bacio infuocato che si erano scambiati pochi istanti prima, nell’alloggio, al sicuro da sguardi indiscreti. Poi lei seguì docilmente i due uomini e lui, rimasto fino all’ultimo immobile sulla porta a guardarla allontanarsi, s’incamminò quasi di corsa giù per un corridoio puntando verso l’ufficio privato di Zuril.
Come al solito, lo scienziato si mostrò molto calmo e molto ragionevole.
Certo, avrebbe fatto in modo di non recare danni irreversibili durante il condizionamento… danni fisici, cioè. Era impossibile prevedere cosa sarebbe successo nella mente di Naida.
– Ammettiamo che sopravviva alla missione – spiegò pazientemente Zuril – Il chip può essere rimosso, e con esso il suo influsso; ma Naida avrà subito i suoi effetti da tempo, senza contare la distorsione vera e propria. È molto difficile che possa uscire da quest’esperienza senza conseguenze – vide l’espressione angosciata di Hydargos e aggiunse: – La reazione più comune è un esaurimento nervoso, che può essere curato con successo. Comunque, io seguirò personalmente tutte le fasi del condizionamento. Posso assicurarti che lavorerò con la massima attenzione.
– È già molto – mormorò Hydargos – Grazie.
Un rapido passaggio al centro medico, e il microchip venne iniettato a Naida, che sentì solo un leggero pizzicore. Controllato il funzionamento del chip, Naida fu trasferita ad una stanza nella zona detenzione (“camera per gli interrogatori”, le spiegarono). Naida venne fatta addossare ad una parete metallica e legata con cinghie; la giovane donna fece appena in tempo a guardarsi in giro, terrorizzata, quando la porta scivolò di lato lasciando passare l’immensa figura di Re Vega, seguito da un uomo che riconobbe subito… Zuril. Il padrone di Kein.
Mentre il sovrano si poneva in disparte, il ministro sedette ad un terminale, impostando rapidamente la procedura per la distorsione mentale: era un lavoro delicato, e ci teneva ad eseguirlo con cura. Lui lavorava sempre con cura.
Zuril non era un sadico: lo fosse stato, avrebbe goduto nel torturare Naida. Invece, per la sua fredda mente di scienziato non vi era alcun piacere in quanto stava per fare: anzi, lo considerava un autentico spreco. Una donna così bella… un vero peccato.
Represse rapidamente quegli assurdi scrupoli ed osservò Naida: si controllava, ma era al limite del panico.
Così non va. Con un soggetto terrorizzato non si lavora certo bene.
Evitando qualsiasi gesto brusco, un po’ come avrebbe fatto per tranquillizzare un animaletto atterrito, si alzò e le si avvicinò per esaminare i legami: – Ti stringono troppo? – aveva una voce gentile, nonostante quello che stava per farle.
Naida, che lo fissava con gli occhi sbarrati, scosse lievemente la testa. Tremava da capo a piedi, e Zuril se ne accorse: – I soldati ti hanno maltrattata?
Naida scosse ancora la testa. No.
Zuril gettò un’occhiata sopra la spalla a Re Vega, che sedeva impassibile poco più in là, e abbassò la voce: – A me puoi dirlo. Parla pure liberamente.
Lei fece ancora segno di no col capo: – Non… mi hanno trattata male, signore.
Pareva incredula di aver trovato un veghiano che la trattasse con gentilezza.
Andiamo meglio, si disse Zuril. È sempre una buona politica mostrarsi amichevoli con il soggetto di un esperimento.
Le sorrise lievemente, mentre le allacciava una sottilissima fascia metallica attorno ad un polso.
– Serve a controllare le tue condizioni – spiegò – Ora ascoltami bene, Naida. Il chip che ti è stato iniettato può scatenare crisi di dolore ai limiti del sostenibile.
– Sì – lei si umettò le labbra secche – Sì, lo so.
– Bene. Ricorda allora che non ti conviene resistere al trattamento. Più ti ribelli, più soffri. Se collabori, finirà tutto in fretta.
Naida assentì, gli occhi dilatati dal terrore.
– Un’altra cosa – Zuril parlava sempre con estrema gentilezza – Non è possibile evitare il condizionamento, ricordatelo bene. Opporsi significa solo prolungare i tempi e provare dolore. Tu verrai condizionata comunque; sta a te decidere se vuoi patire o meno.
– No – mormorò lei – No. Non voglio soffrire.
– Perfetto. Allora sarà una faccenda rapida ed indolore. …Sei pronta?
Naida assentì: – Facciamo presto.
– Bene. Cominciamo – Zuril sedette al terminale del computer che governava il tavolo, e impartì un paio d’ordini. Una gran luce s’accese sul soffitto, proprio sopra Naida, inondandola completamente. La luce prese poi a baluginare, bianca, gialla, verde… Naida avrebbe voluto distogliere gli occhi, ma non poteva farlo… la luce continuava a lampeggiare, blu, viola, rossa…
Suoni inquietanti cominciarono ad insinuarlesi nelle orecchie, un ritmo serrato simile ad un veloce battito cardiaco… poi una voce oscura ed inconfondibile, la voce di basso profondo di Re Vega.
– Sai perché sei prigioniera di Vega, Naida? – chiese Sua Maestà – Perché Fleed è caduto. Ed è caduto perché le sue difese erano inutili.
– Siamo un popolo pacifico – rispose lei, sempre abbagliata dalle luci – Non abbiamo un sistema difensivo valido.
– Un popolo pacifico capace però di costruire una macchina da combattimento come Goldrake! – obiettò Re Vega, sarcastico.
– Ma Goldrake è stato costruito per proteggere Fleed…
– Però non l’ha fatto. Duke Fleed vi ha abbandonati, è fuggito quando avevate bisogno di lui. È un vigliacco.
– Non è vero! – esclamò Naida, ma un dolore spaventoso la fece spasimare. Aveva l’impressione che le fosse stato messo un cerchio di ferro attorno alla testa, un cerchio che stringeva sempre più, sempre più…
Improvviso com’era apparso, il dolore scomparve.
– Duke Fleed è un vigliacco – ribadì Re Vega – e un traditore.
– No! – Naida gridò, mentre il dolore esplodeva in lei, più forte che mai.
– Duke Fleed non vi ha protetti, non vi ha salvati dall’invasione, vi ha traditi! – incalzò Re Vega.
– No, non è vero! – Naida lanciò un urlo lacerante, dibattendosi come una forsennata.
– Non resistere, Naida – l’avvertì Zuril – altrimenti il dolore sarà sempre più forte.
– Sai dov’è ora Duke Fleed? – continuò Re Vega, implacabile – Vive sulla Terra, tranquillo e felice. Credi che gli importi cos’è successo a te e agli altri fleediani rimasti in vita?
– No…! – Naida scoppiò in singhiozzi; chiuse gli occhi, ma le luci continuarono a baluginarle nella mente, tormentandola… Duke Fleed non era un traditore, non poteva, non doveva…
In preda ad un nuovo, lancinante attacco, Naida urlò con quanto fiato aveva in gola.
Le porte scorrevoli scivolarono di lato, e Zuril entrò nello studio di Hydargos; la prima cosa che vide fu la coppa di liquore sul tavolo davanti a lui. Uh-uh.
Hydargos non alzò la testa, non lo guardò nemmeno.
– Avete finito? – chiese, con voce sorda.
– Finito. È perfettamente condizionata – Zuril andò ad appoggiarsi contro il bordo della scrivania e rimase lì, immobile.
Hydargos bevve un sorso: – Ha sofferto molto?
Zuril si guardò rapidamente attorno, cercando con cura le parole adatte.
– Purtroppo, Naida doveva venir condizionata a considerare traditore un uomo che non lo è affatto, e di cui lei è ancora innamorata… Lo sapevi, vero, che Naida ama Duke Fleed?
Hydargos batté la coppa sul tavolo: – Naida è una schiava. I suoi sentimenti non m’interessano. A me basta che sia docile, obbediente e fedele; a queste condizioni, può amare chi vuole.
– Credevo tenessi a lei.
– Ripeto: è solo una schiava.
Zuril lo guardò, una strana espressione sul viso: – Molto bene, se la pensi così…
Hydargos alzò di scatto la testa e per la prima volta in quel dialogo fissò direttamente il collega: – Cos’è successo? Sta male?
– Il condizionamento non è piacevole da subire, e lei ha resistito parecchio, nonostante io l’avessi consigliata di non farlo. Naida non voleva assolutamente accettare la colpevolezza di Duke Fleed…
– E allora…? – chiese ansiosamente Hydargos.
Zuril esitò un ultimo istante: – Avresti dovuto avvertirci che era incinta.
Lui rimase come impietrito: – …Cosa…?
– Oh, non lo sapevi? – Zuril pareva molto a disagio – Effettivamente, era di poche settimane. Probabilmente non lo sapeva con precisione nemmeno Naida stessa.
– L’ha perso? – alitò Hydargos.
– Ha abortito, sì. Adesso è al centro medico, ma la dottoressa Koyra mi ha assicurato che si riprenderà perfettamente. Nonostante quella sua aria fragile, Naida è una donna forte.
– Di… di quanto era?
– Quattro settimane. Maschio.
Era mio, si disse Hydargos, era proprio mio. Mio figlio.
– Potrà averne ancora, in seguito – aggiunse Zuril, e la sua comprensione era sincera: aveva un figlio anche lui. Capiva.
Hydargos s’alzò: – Vado a vederla.
– È sotto sedativi – l’avvertì Zuril – Non ti potrà parlare. È inutile che tu vada.
Hydargos s’arrestò un attimo sulla soglia: – Puoi sempre provare a fermarmi.
Le porte si chiusero alle sue spalle.
Zuril guardò la sedia su cui fino ad un istante prima era stato Hydargos; poi si versò da bere e alzò il calice come per un brindisi, sorridendo: – Solo una schiava, hm?
Pallidissima, gli occhi cerchiati di ombre azzurrine, Naida giaceva in un letto del centro medico; era stata sedata, per cui non reagì quando l’ombra di Hydargos cadde su di lei.
Impassibile e silenzioso, lui osservò quella che era stata la madre di suo figlio; poi alzò gli occhi sul display sulla testiera del letto. Per quel poco che s’intendeva di medicina, capiva da sé che le condizioni di Naida erano abbastanza buone; comunque, era stata la primaria in persona a rassicurarlo. Naida fisicamente stava bene, si sarebbe ripresa senza problemi.
Purtroppo, per il bambino non c’era stato nulla da fare.
Hydargos serrò le mascelle, affilando gli zigomi, e sedette accanto al letto.
Uno dei tanti, deleteri effetti dell’inquinamento di Vega era stato un forte aumento della sterilità anche negli individui più sani. Un figlio era divenuto un bene ancora più prezioso perché raro. Perderne uno non significava automaticamente che in futuro avrebbe potuto arrivarne un altro.
Lui aveva perso il suo.
Rimase in silenzio, immobile, il viso di pietra.
Naida si mosse nel sonno, gemette. Una delle sue mani bianche scivolò sulla coperta, mentre lei, in preda agli incubi, si agitava muovendo la testa da una parte all’altra.
D’istinto Hydargos le prese la mano, gliela strinse tra le proprie; lei si rilassò, e con un sospiro sprofondò nuovamente nel sonno.
Lui la guardò: appariva così fragile, così fragile… persino la mano sembrava ancora più piccola, più minuta. Con precauzione tornò a deporgliela sul letto; avrebbe voluto parlarle, ma non sapeva che cosa dire. Avrebbe voluto carezzarle i capelli, ma non osava farlo.
Non osava proprio lui, Hydargos, che fino ad allora aveva fatto di lei quel che più gli era piaciuto.
Lei sedeva in un angolo della sala d’aspetto, remota, gli occhi persi come in un sogno – e non era un bel sogno.
Era guarita. Le avevano procurato un vestito tagliato a tunica secondo la foggia di Fleed; anche gli orecchini azzurri provenivano da Fleed, probabilmente erano tutto ciò che era rimasto di una delle tante, anonime schiave catturate.
Hydargos entrò nella saletta, rimanendo silenzioso presso la porta; lei lo guardò senza dare il minimo segno di riconoscerlo.
– Buona sera – mormorò Naida, abbassando subito gli occhi.
Lui sentì un fremito percorrergli la schiena. Lei l’aveva trattato come un perfetto sconosciuto. Si schiarì la voce: – Non ti ricordi di me?
– Ci conosciamo…? – stavolta Naida lo guardò con attenzione. Si mise in piedi ponendosi proprio davanti a lui, alzando il mento per poterlo guardare bene in viso. Aggrottò la fronte nello sforzo di ricordare, ma la memoria non venne.
Naida non sapeva chi fosse, quell’uomo che sembrava aspettarsi qualcosa da lei. A disagio, continuò a scrutarlo: sentiva confusamente di conoscerlo, e dentro di sé era sicura che lui fosse molto meno crudele di quanto il suo aspetto mostruoso potesse lasciar credere… però nessuna luce si accese a rischiarare la sua povera mente annebbiata.
Si morse un labbro, scostandosi nervosamente una ciocca di capelli dal viso; poi azzardò, incerta: – Sei… mio marito?
Hydargos fece per rispondere, capì di non potersi fidare della propria voce e scosse il capo. No.
Un rumore di passi perfettamente scanditi, e due soldati entrarono a loro volta nella saletta; alle loro spalle, Zuril s’arrestò presso la porta.
– Chiedo scusa, signore – esordì uno dei due militi – Dobbiamo portare via la prigioniera.
Il loro comandante non rispose, limitandosi a chinare il capo in segno d’assenso; si fece da parte mentre i due uomini prendevano in consegna Naida.
Lei non parve nemmeno far caso a loro: scrutava Hydargos, gli occhi colmi di domande inespresse. Continuò a fissarlo mentre la portavano via, e s’allontanò per il corridoio sempre restando voltata verso di lui, finché due porte non scivolarono chiudendosi e si frapposero tra di loro.
In silenzio, Zuril si fece avanti, fermandosi al fianco di Hydargos.
– Non si ricorda di me – mormorò questi.
– È naturale. Effetto della distorsione – rispose calmo lo scienziato – Col tempo la memoria tornerà.
Hydargos tacque, limitandosi a guardarlo con aria interrogativa; Zuril allora spiegò, scegliendo con cura le parole:
– Per attuare la distorsione mentale, abbiamo selezionato i ricordi che erano utili al nostro scopo: la vita trascorsa su Fleed, la conquista del pianeta e tutto quanto di negativo Naida abbia subito dopo la sua cattura. Altri ricordi sono stati alterati in modo da far credere a Naida che Duke Fleed si sia comportato da traditore. Sapere che l’uomo che ama l’ha abbandonata nelle nostre mani sarà un pensiero fisso, ossessionante che farà scattare in lei il bisogno di vendicarsi – Zuril occhieggiò Hydargos ed aggiunse: – Ovviamente, per ottenere questo risultato bisogna che Naida ricordi solo le proprie sofferenze. Non certo il fatto di essere stata trattata bene.
– È per questo che mi ha dimenticato? – chiese Hydargos, il viso di pietra.
Zuril si strinse nelle spalle: – Con lei, tu sei stato un padrone molto generoso. A noi serviva che Naida ricordasse solo dolore e sofferenza.
– Capisco – e Hydargos si chiuse in un silenzio glaciale.
Capitolo 11 - Terra– Dottor Procton! – gridò improvvisamente Hayashi – C’è un oggetto non identificato in rapido avvicinamento!
– Yamada, passami il segnale sul video principale – ordinò Procton, calmo come sempre.
– Subito, professore! – un veloce comando manuale di Yamada, e sul grande schermo che campeggiava sull’intera parete del laboratorio apparve una sfera di fuoco: qualunque cosa fosse, si era incendiata a causa dell’attrito con l’atmosfera e stava precipitando al suolo a grande velocità.
– Sembra un meteorite – azzardò Hayashi.
Procton scosse lentamente il capo: – Non ne sono così sicuro. Qual è la sua traiettoria?
Hayashi controllò il suo monitor: – Dottore, se non brucerà interamente entro l’atmosfera, cadrà nel bosco dietro la montagna.
Procton strinse gli occhi. Dietro alla montagna… vicino cioè alla fattoria, al laboratorio… e a Goldrake.
La scia luminosa sfrecciò nel cielo, scomparendo dietro la vetta; un istante dopo la terra tremò.
Il cavallo s’impennò nitrendo di terrore, sbalzando di sella Rigel che piombò urlando al suolo; anche Mizar cadde, rischiando di ritrovarsi tra gli zoccoli dell’animale imbizzarrito.
Dalla fattoria si levò un improvviso coro di muggiti, belati, nitriti: tutte le bestie stavano urlando il loro terrore.
Da dietro il fienile accorsero Actarus e Venusia.
– Ma che è successo? – gridò il giovane.
Rigel si rimise a sedere, strofinandosi amorosamente la testa: – Che cos’è successo, chiede lui… era una palla di fuoco! È caduta nel bosco!
– Come? Non è stato un terremoto? – si stupì Actarus.
– Una palla di fuoco, hai detto? – chiese Venusia, allarmata.
– Una palla di fuoco, sì! – confermò Rigel, reciso – Doveva essere un UFO, te lo dico io!
Alle loro spalle, i portelloni della rimessa vennero aperti; con il consueto sibilo, il disco giallo di Alcor s’innalzò rapidamente nel cielo.
– Ecco, vedi: Alcor sì che è un ragazzo intelligente! – si compiacque Rigel; mise le mani a coppa attorno alla bocca ed urlò: – Ehi, Alcor, gli extraterrestri sono nostri amici! Vedi di trattarli bene!
Actarus gettò a terra il forcone che ancora stringeva in mano e si slanciò rapidamente verso la rimessa, dove aveva ricoverato la sua speciale motocicletta.
– E tu dove corri? – gli gridò Rigel – Tu potresti combinare solo guai! Ti ordino di tornare indietro!
Si slanciò in avanti, deciso ad inseguirlo, e subito Venusia gli tagliò la strada, afferrandolo per trattenerlo: – Papà, lascia stare Actarus!
– Quel buono a nulla, quel fannullone! Ogni scusa è buona per non lavorare…!
– Papà, smettila!
Actarus balzò sulla sua moto e l’avviò con un secco colpo di pedale. Il rombo del motore coprì per intero gli schiamazzi di Rigel e le proteste di Venusia.
Spinto a tutta velocità, il TFO oltrepassò rapidamente la vetta innevata del monte spingendosi sulla vasta abetaia che ne copriva l’intero versante.
Dall’alto, si notava subito la zona dell’impatto: alberi sradicati facevano da corona al relitto di un’astronave. Un incidente…?
Alcor sorvolò la zona, cercando se vi fossero tracce di superstiti, ma in quel punto gli abeti crescevano ancora fitti, rendendo difficile scorgere qualcosa… poco al di sotto della foresta però c’era una zona priva d’alberi, una sorta di sentiero innevato: Alcor lo conosceva bene, vi era stato più volte con la jeep, anche se…
All’improvviso, un movimento tra gli alberi sotto di lui. Alcor avvicinò il disco: dalla foresta erano emerse alcune figure che correvano proprio su quel sentiero. Una, snella e dai capelli lunghi, sembrava una ragazza; alle sue spalle correvano una decina d’inseguitori, che Alcor riconobbe subito per soldati di Vega.
Dieci contro una donna… Alcor fece per sparare i razzi contro i veghiani, ma si trattenne: la ragazza era troppo vicina, avrebbe potuto colpirla. Staccò allora un mitra dal supporto a fianco della postazione di pilotaggio, abbassò il più possibile il disco e aperto il vetro deflettore fece fuoco sui soldati, falciandone un paio alla prima raffica. I superstiti smisero subito d’inseguire la ragazza e risposero al fuoco di Alcor, che evitò per un soffio di venir centrato dalle loro raffiche e alzò prudentemente il disco.
Approfittando di quel diversivo, la giovane donna aumentò la velocità: poco oltre il sentiero faceva una curva, se fosse riuscita ad oltrepassarla i soldati l’avrebbero persa di vista e lei avrebbe potuto tentare di nascondersi nuovamente nella foresta.
I veghiani continuavano a sparare contro Alcor; uno di loro s’accorse che la ragazza stava per scomparire dietro la curva e ordinò di riprendere l’inseguimento. Gli uomini tornarono a slanciarsi dietro la fuggitiva, ma proprio allora udirono un rombo di motore alle loro spalle. Si voltarono di scatto, proprio mentre Actarus balzava con la sua moto in mezzo a loro.
Ad un comando del giovane, dai mozzi delle ruote fuoriuscirono due punte che trafissero i due militi più vicini; Actarus si gettò addosso ad un terzo soldato, colpendolo al viso e strappandogli di mano il mitra a raggi energetici.
Due dei soldati superstiti aprirono il fuoco contro Actarus; con un balzo, il giovane schivò i colpi sparando a sua volta una raffica che uccise i suoi due nemici.
Actarus respirò, guardandosi attorno in cerca di altri avversari; proprio allora, il soldato cui aveva strappato il mitra e che aveva mezzo stordito con un pugno lo assalì alle spalle, afferrandogli le caviglie e facendolo cadere al suolo. Rapidissimo, Actarus sparò al veghiano che crollò a terra senza nemmeno un grido.
Un silenzio irreale piombò sul sentiero. Actarus si rimise in piedi guardandosi attorno: nessuno dei soldati era sopravvissuto.
Percepì un lievissimo rumore alle sue spalle, e si voltò di scatto.
Da dietro lo spuntone di roccia attorno cui curvava il sentiero, era apparsa un’esile figura femminile dai lunghi capelli sciolti sulle spalle; la nuvola che velava il sole gettava la sua ombra su di lei, ma… non era possibile…
Actarus rimase a fissarla, stupefatto. Non poteva credere ai suoi occhi, non poteva essere lei… non era possibile, non era logico…
La nuvola si scostò, e un raggio di sole piovve sulla giovane donna, illuminandone il viso dai grandi occhi spauriti, accendendo di riflessi dorati la lunga chioma verde chiaro… era proprio lei.
Incredulo, Actarus dovette schiarirsi la voce, che minacciava di spezzarglisi ad ogni sillaba: – Ma tu sei… Naida…?
Lei trasalì, parve riscuotersi come da un sogno.
– Naida! – Actarus avrebbe voluto slanciarsi in avanti verso di lei, ma sentiva le ginocchia rigide, pesanti… il suo stesso corpo pareva non potesse obbedirgli: – Naida! Mi riconosci? Sono Duke Fleed!
Stavolta, lei parve finalmente reagire: sembrava quasi che fino ad allora non si fosse accorta del giovane che aveva davanti: – Duke Fleed…?
– Ma sì, sono Duke! Non ti ricordi?
Naida si riscosse, come se fosse finalmente riuscita a destarsi da un sogno sgradevole. Lo rivide, riconobbe gli occhi azzurro cupo, i lineamenti che aveva tanto amato… ascoltò quella voce che non aveva mai dimenticato, e che aveva creduto non avrebbe più potuto udire…
– Oh, sì, sì… – sentì le lacrime scorrerle liberamente sul viso, mentre gli tendeva le braccia: – Sei tu… sei proprio tu! Duke, amore mio!
Un attimo prima, Actarus era stato incapace di muoversi da dove si trovava; un istante dopo fu da lei, la stringeva tra le braccia, sentiva la seta dei suoi capelli contro la propria guancia… era pazzesco, impossibile, ma era proprio lei, lei! Naida, la sua Naida che aveva creduto d’aver perso per sempre… la sua voce dolce, il suo profumo… i ricordi parvero sommergerlo, e Actarus sentì mancargli il respiro. Caddero entrambi in ginocchio sulla neve e rimasero abbracciati, increduli d’essersi ritrovati.
– Mi ero rassegnata a non vederti mai più! – Naida gli nascose il viso contro il petto: lo ricordava ragazzo, lo ritrovava uomo. Ma era sempre lui, il suo Duke, il primo vero amore della sua vita.
– Temevo che fossi stata uccisa quando Vega ha invaso il nostro pianeta – Actarus la strinse a sé quasi avesse avuto paura che lei svanisse come un sogno – Non credevo ai miei occhi, vedendoti!
– Nemmeno io – Naida si scostò da lui quel tanto che le bastava per poterlo guardare in viso, ritrovare in lui il ragazzo che aveva tanto amato; anche Actarus la scrutava, cercando in lei la sua amica d’infanzia, il suo antico amore… l’adolescente d’un tempo era divenuta una bellissima giovane donna.
Si guardarono, e come sempre era accaduto in passato, si capirono. Fu come se entrambi fossero stati riportati improvvisamente a quanto era accaduto un’infinità prima.
All’improvviso, rividero le macerie della reggia, il cielo rosso solcato da colonne di fumo oscuro, i dischi nemici che piombavano dall’alto portando distruzione e morte… la polvere, il fumo acre, le grida di terrore e l’ancora più terribile silenzio…
Vega aveva vinto.
E gli anni erano inesorabilmente passati.
Naida sentì gli occhi bruciarle ancora: – Oh, Duke… quanto tempo perduto!
Lui la strinse tra le braccia: – Siamo di nuovo insieme. Adesso, nessuno ci separerà, Naida. Mai più.
Lei assentì, si sforzò di sorridergli; Actarus l’interrogò con lo sguardo prima di chinarsi a baciarla, dapprima timidamente, quasi con precauzione… poi il tempo perduto non fu più che un semplice pensiero di cui dimenticarsi, mentre si stringevano l’uno all’altra con la passione dei loro giovani anni.
Erano entrambi così giovani, così belli… nessuno, vedendoli assieme, avrebbe dubitato che fossero fatti l’uno per l’altra. Una meravigliosa coppia, felice ed innamorata, che passeggiava nella foresta innevata.
Hydargos non riusciva a staccare gli occhi dall’immagine sullo schermo: Naida… la sua Naida… mentre stringeva tra le braccia Duke Fleed, si alzava sulle punte dei piedi per rispondere al suo bacio (anche con me lo faceva!).
Davanti a lui, una bottiglia colma di liquido dorato scintillava, invitante. Hydargos si versò una coppa di liquore, mentre continuava a guardare sullo schermo i due giovani che ridevano, si abbracciavano, parlavano cercando di colmare quel vuoto che anni di separazione avevano scavato tra di loro.
– È stata programmata per comportarsi così – disse alle sue spalle la voce di Zuril.
– Lo so – rispose Hydargos, ostentando un’impassibilità che non provava affatto.
– Più avanti ricorderà che Duke Fleed è un traditore – spiegò Zuril, restando in piedi accanto alla poltrona del collega – Per ora, bisogna che lui non abbia il minimo sospetto sul conto di Naida, per cui lei dovrà mostrarsi… hm… amichevole.
– Capisco – occhi foschi e viso imperturbabile, Hydargos sorseggiò lentamente il suo liquore.
Zuril esitò un istante; poi non resistette: – Pensavo che tu non avresti… voglio dire, Naida…
– Credi che m’importi di quello che lei fa o non fa con quel Duke Fleed?
Francamente sì, amico mio. Penso proprio che t’importi. Solo che moriresti, piuttosto che ammetterlo, fu ciò che pensò Zuril.
– No, naturalmente – fu ciò che invece rispose – Stupido io a preoccuparmi.
Hydargos non disse nulla; bevve un altro sorso, e tornò a guardare lo schermo.
Capitolo 12 – L’ombra del passato– L’unico modo per descrivere Fleed dopo l’occupazione di Vega è paragonarlo all’inferno.
Raggomitolata su una sedia, Naida parlava guardando fisso davanti a sé, senza vedere niente né nessuno, la mente persa in spaventosi ricordi. Immobili, Actarus, Alcor e Procton ascoltavano senza fiatare, ammutoliti dall’orrore.
– I pochi che sono riusciti a sopravvivere al massacro – continuò Naida, sempre senza rivolgersi a nessuno in particolare – sono finiti schiavi nelle miniere radioattive. Altri, sono stati utilizzati come cavie per esperimenti atroci, o sono stati trucidati per semplice divertimento… o per monito – “C’è qualcun’altra che vuole ribellarsi?” . Naida rabbrividì, chiuse gli occhi al ricordo.
Le ci volle qualche istante prima di essere nuovamente in grado di riprendere il suo racconto: – Ogni giorno, distruzioni, torture, massacri… non hanno rispettato niente e nessuno. Sterminavano subito i deboli, i malati, gli anziani – deglutì pensando alla nonna, a sua madre, e riprese, la voce malferma: – Ho visto distruggere case, palazzi, giardini. Devastavano per il gusto di farlo. Sentivamo ogni giorno le esplosioni delle bombe, il crollo delle case… e poi urla. Urla. Urla. – tacque, chinando la testa.
Agghiacciati, i tre uomini si scambiarono un’occhiata: per quanto avessero immaginato un simile orrore, sentirlo narrare dalla voce di Naida era infinitamente peggio di ogni loro idea.
Naida parve riscuotersi, come se fosse emersa improvvisamente da un abisso; sentì tutti gli sguardi su di sé e aggiunse: – Io… io non so come sia riuscita a sopravvivere e infine a fuggire.
Era vero: non avrebbe saputo dirlo. Non ricordava niente, fino a quando non si era trovata in quella saletta d’aspetto, con quell’uomo alto che… che…
Una fitta dolorosa alla testa. Naida si portò una mano alla fronte, il viso contratto dal dolore; subito, Procton fece cenno ai due giovani di non chiederle più niente, per il momento.
Actarus s’avvicinò a Naida, le mise le mani sulle spalle: – Adesso sei qui con me, e non devi più avere paura. La Terra è bella come lo era il nostro Fleed, e la gente è buona. Qui, potrai dimenticare tutti gli orrori che hai conosciuto.
Naida serrò le labbra in una smorfia di sofferenza, gli occhi fissi sul pavimento.
Actarus le fece alzare il viso, guardandola negli occhi: – Starai con me, Naida. Anche la gente della Terra conosce il significato della parola amore, anche loro amano la vita così come anche noi l’abbiamo sempre amata. Siamo più simili di quanto tu non possa credere.
Naida non reagì, mentre Actarus l’attirava tra le sue braccia; subito, Alcor e Procton si scambiarono un’occhiata. Meglio uscire, lasciarli finalmente soli.
Scivolarono silenziosamente fuori della stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
– Mi sono venuti i brividi! – Alcor si strinse nella sua giacca – Davvero, professore, sentendo il racconto di Naida… e vedendola in viso… ma voi lo sapete meglio di me. Non era così anche Actarus, quando è arrivato sulla Terra?
– Non proprio – rispose Procton; ma non volle aggiungere altro.
Tante volte, nei libri aveva trovato il termine “abissi di disperazione” per descrivere gli occhi d’un protagonista affranto dal dolore; sempre, aveva liquidato quella frase come eccessiva, melodrammatica.
Ora, dopo aver incontrato lo sguardo di Naida, quella splendida giovane donna che gli aveva ricordato una ninfa dei boschi, capiva d’aver sbagliato.
Alcor pensava che Actarus avesse avuto un’espressione simile, un tempo… non era stato così. Era sconvolto, terrorizzato, addolorato; mai però Procton aveva avvertito in lui un simile vuoto, una tale angoscia senza speranza, una simile stanchezza di vivere.
Di una cosa era certo: nonostante tutto l’orrore provato da Actarus, per Naida le cose erano andate infinitamente peggio; e lui non era sicuro di voler sapere cosa la gente di Vega avesse fatto a quella creatura.
L’uscita di Procton ed Alcor era passata del tutto inosservata.
Naida si voltò verso un’ampia finestra, guardando senza vederlo il panorama che si stendeva davanti a lei: la pineta, il fiume, le montagne innevate che brillavano contro il cielo crepuscolare… era tutto molto, molto simile a ciò che un tempo era stato Fleed. E tutto inesorabilmente diverso.
Singhiozzò lievemente, sentendosi il petto oppresso da un’inesprimibile angoscia; ignaro del suo tormento, Actarus le cinse le spalle, osservando con lei nel cielo le ultime tracce fiammeggianti del sole morente.
– Anche su Fleed le nostre giornate erano scandite dai suoni della natura – riprese, assorto nei suoi ricordi – Correvamo a piedi nudi nell’erba dei prati… e quante volte ci rimproveravano perché stavamo troppo tempo lontani da casa!
Naida rabbrividì: rammentava ogni particolare, il profumo dei fiori, l’erba che sfiorava le loro caviglie, le loro mani strette…
– A volte c’incontravamo di nascosto – proseguì Actarus; ora che aveva cominciato a rammentare, i ricordi gli fluivano inarrestabili, affollandosi nella sua mente: – Quando lo facevamo, il tuo fratellino veniva a spiarci.
Una fitta al cuore: – …Sirius…!
Actarus sorrise, la mente sempre più volta al passato: – Ti ricordi di quella volta che ci eravamo rifugiati sotto un albero, e lui è saltato giù dai rami lanciando urla selvagge? Era dispettoso e amava fare scherzi, Sirius, ma era un ragazzino molto simpatico. …Naida! Che ti succede?
Lei singhiozzò, asciugandosi rapidamente gli occhi: – Sirius è stato ucciso!
– Ucciso?! – Actarus si riscosse: quel ragazzino vivacissimo e pieno di vita non c’era più… – Ma com’è successo?
– Nei laboratori di Vega – Naida deglutì, riprese fiato – In un esperimento… è orribile! – si coprì il viso con le mani, ma il pianto non venne.
– Sì, è orribile! – Actarus l’afferrò per le spalle, la strinse: – Dobbiamo fermare i veghiani! Odiare e far soffrire gli altri, ecco cosa li fa felici! Sono dei veri mostri!
– Mi fai male…! – gemette Naida.
– Scusami! – Actarus la lasciò immediatamente, mortificato, e lei si tirò da parte evitando di guardarlo.
Uno sprazzo di memoria… ricordò altre mani su di sé – bluastre, aliene, ma nel complesso gentili: possibile che fossero state invece proprio le mani del suo Duke a causarle dolore?
– Mi dispiace, davvero – aggiunse Actarus – ma questa notizia mi ha sconvolto!
Naida assentì, distrattamente. Perché non riusciva a ricordare altro?
Ma anche Actarus non badò alla reazione della sua compagna. Pallido d’ira, non poteva pensare ad altro che non fosse il suo nemico: – Bisogna fermare Vega! Non possiamo stare a guardare! Troverò il modo di attaccarli, di sconfiggerli!
Naida si voltò finalmente a guardarlo, il bel viso chiuso ed indurito, gli occhi gelidi, e non rispose.
– Ecco la tua camera – Actarus guidò Naida in una stanza che in genere riservavano agli ospiti. Ampie finestre davano sulle montagne oltre la pineta; arredata con eleganza e semplicità nei toni del blu e dell’azzurro, la camera era ariosa, serena. L’ideale, per una creatura tormentata come Naida.
La giovane donna si guardò rapidamente in giro: vide il letto, i mobili – armadi, dovevano essere… – lo strano tessuto colorato per terra…
– È un tappeto – spiegò Actarus.
Naida lo osservò con curiosità: abituata da anni all’asettico ambiente di Vega, tutto nude superfici lucide, metallo e plastica, i mobili in legno le sembravano qualcosa di così lontano dalle sue abitudini… e quel tappeto, poi! Nessuno su Vega avrebbe tenuto un tessuto così spesso per terra: l’avrebbero considerato un ricettacolo di sporco e germi.
Altro tessuto blu pendeva dalle finestre: evidentemente, sulla Terra non c’era la stessa ossessione per l’igiene che regnava su Vega. Naida s’avvicinò alle finestre, toccò il morbido velluto color della notte.
– Sono tende – spiegò Actarus – Devi chiuderle, o domattina la luce del sole ti sveglierà all’alba. Adesso ti faccio vedere – tirò le cortine mentre Naida, silenziosa, lo osservava con curiosità. Actarus capiva: anche lui, non appena arrivato sulla Terra, aveva trovato tutto piuttosto strano; col tempo si era abituato. Sarebbe accaduto anche a lei.
Le mostrò i vari mobili, facendole vedere come si aprivano gli armadi (girare una chiave, tirare una maniglia, niente aperture automatiche!). Poi le mostrò il bagno, che naturalmente presentava stranezze anche maggiori: la doccia senza ultrasuoni, per esempio, o lo strambo asciugacapelli… senza contare l’antiquato, ridicolo sciacquone. Actarus rise mentre gliene mostrava il funzionamento; stavolta Naida non resisté e sorrise a sua volta. Era davvero così strano… così buffo!
Actarus rise più forte, sperando che lei s’unisse alla sua ilarità, ma Naida tornò subito seria, pensosa. Sembrava che qualcosa la rodesse, tormentandola senza lasciarle un attimo di pace.
In silenzio, Naida tornò nella stanza; scostate le tende guardò fuori, beandosi di quel meraviglioso paesaggio che la luce lunare rendeva magico, irreale.
– È un mondo molto bello, non trovi? – Actarus le si pose a fianco – Anche se ormai vivo qui da anni, continuo a trovare che la Terra sia meravigliosa. Non ci si può abituare alla bellezza: ti sorprende sempre.
– È molto diverso da Fleed – mormorò Naida.
– È diverso, sì – convenne lui.
Naida alzò gli occhi sullo spicchio argenteo che sovrastava le montagne: – Come si chiama quel satellite? – un vago ricordo le s’affacciò alla memoria – È la Luna?
– Si chiama così – assentì lui.
Naida aggrottò la fronte: conosceva quel nome… qualcuno doveva averglielo detto. Ma chi? Quando? Se solo i ricordi fossero tornati…
Stelle, un’ampia cupola di plastivetro… un meraviglioso pianeta azzurro che galleggiava nell’oscurità… qualcuno con lei, una voce profonda che le diceva… le diceva… la Terra, la Luna…
Così com’era improvvisamente apparso, il ricordo svanì.
– Ti senti bene?
– Cosa…? – Naida batté le palpebre, parve emergere da un mondo remoto… un mondo in cui erano rimasti i suoi ricordi perduti – Io… sto bene, sì. Sono solo un po’ confusa.
– Sei così pallida – Actarus le sfiorò una guancia con la mano, e d’istinto lei gliela prese, se la premette contro il viso.
I pugni contratti fino a far schioccar le nocche, le mascelle serrate fino a fargli dolere l’articolazione, Hydargos fissava lo schermo senza staccare lo sguardo.
Naida chiuse gli occhi, evocando un altro luogo… acque limpide, fiori rossi profumati, alberi dalle chiome fruscianti… il palazzo dalle sottili colonne bianche, i grandi giardini… le stanze fresche e silenziose… Fleed.
Perduto, lontanissimo, irreale…
Con un singhiozzo, Naida tornò bruscamente alla realtà. Sentiva ancora contro il viso il tepore della mano di Duke, ma non poteva essere…
Invece, lui era lì. Vivo, reale. Era una vera mano – carne, nervi, ossa – quella che lei ancora teneva nella propria.
Nel caos della sua povera mente sconvolta, passato e presente parevano confondersi in un turbine d’immagini: persone vive e perdute, luoghi scomparsi per sempre… Fleed… la Terra… Vega, la base Skarmoon… un uomo alto, oscuro…
Un dolore lancinante alla testa, improvviso e violento; Naida vacillò, e subito Actarus l’afferrò, sostenendola: – Naida! Cosa ti succede?
Rapida com’era giunta, la fitta scomparve, lasciandola dolorante e ancora più confusa. Naida sentì le lacrime salirle agli occhi, la disperazione artigliarle l’animo.
– Oh, Duke! – gli gettò le braccia al collo e scoppiò in singhiozzi, disperata. Era tutto così difficile, così complicato… non ricordava più niente, niente… era forse malata…? – Duke, ti prego, aiutami…!
La sua donna tra le braccia del suo peggior nemico…
Il viso di pietra, gli occhi incandescenti, Hydargos continuava a fissare le immagini sullo schermo.
Vedere tutto lo faceva star male… non sapere, sarebbe stato peggio.
Naida continuava a piangere tenendo il viso nascosto contro il petto di Actarus, mentre lui la cullava dolcemente, mormorandole parole dolci e rassicuranti e aspettando pazientemente che la crisi passasse.
Avrebbe voluto che Naida si confidasse, gli narrasse quali orrori avesse subito; allo stesso tempo, non osava chiederle nulla, e aveva paura di sentire il suo racconto. Quella giovane donna dal viso triste e gli occhi colmi di disperazione era così diversa dalla Naida dolce e solare che lui aveva conosciuto… ma che le avevano fatto, quei maledetti?
Naida parve finalmente calmarsi; s’asciugò il viso, mentre gli ultimi singulti le spezzavano il respiro. Alzò la testa, incontrò gli occhi di lui e rimase immobile a guardarli: erano come di levigato vetro trasparente azzurro cupo, con un orlo netto di un blu più scuro. Non li aveva mai dimenticati…
Gli anni parvero volare via, divenire un semplice, inutile ricordo. Erano ancora i due ragazzi che erano cresciuti assieme, e assieme avevano giocato, parlato, pianto, gioito… e assieme, avevano conosciuto il desiderio e l’amore.
Actarus si chinò a baciarla con dolcezza, avendo in cuor suo il vago timore che lei lo respingesse; dopo un attimo di esitazione, Naida invece lo strinse a sé, rispondendo con ardore al suo bacio. Gli affondò le mani nei capelli – li ricordava bene, così fini e morbidi! – gli carezzò il collo, la schiena: si era fatto più robusto, il ragazzo sottile che lei aveva amato era diventato un uomo… ma era sempre lui, lui, il suo amore, il…
Il ricordo parve esploderle nella mente: altre braccia, un altro corpo, un’altra bocca… lunghe mani bluastre… un altro tocco, un altro odore…
NO!
Naida s’inarcò all’indietro, cercando di divincolarsi: – Lasciami!
Sorpreso, sbalordito, Actarus si staccò da lei per poterla guardare in viso: – Naida…?
Lei si dibatté con la forza della disperazione, strappandosi alle sue braccia e finendo con le spalle contro la parete: – Lasciami stare! Non toccarmi!
Allibito, lui la fissò senza comprendere: – Ma… ma io non…
– Non posso! – singhiozzò lei, sempre addossata al muro – Non posso farlo! Per piacere, vai via!
Istintivamente, Actarus fece un passo verso di lei; la vide appiattirsi ancora di più contro la parete e s’arrestò subito: – Va bene, Naida. Come vuoi. Me ne vado.
Aveva detto l’ultima frase quasi in tono interrogativo, sperando che lei cambiasse idea e lo richiamasse… ma Naida tacque, evitando anche solo di guardarlo.
Pochi attimi prima lui era stato sicuro che avrebbero fatto l’amore… e ora… – Naida, se ho fatto qualcosa di sbagliato…
– Ti prego, ti prego, vai via!
– Volevo solo chiederti scusa – rispose lui, un lievissimo rimprovero nella voce.
Lei scosse il capo: – Non sei tu, Duke… sono io che non posso… non posso… – lo guardò con aria supplichevole – Cerca di capire.
È proprio quello che vorrei… capirti. Ma non ci riesco, e tu non mi aiuti – Ma certo. Scusami ancora, non avrei dovuto… buona notte – andò alla porta, si voltò un istante a guardarla: Naida rimaneva addossata alla parete, pallidissima, gli occhi remoti, persi in chissà quali ricordi…
Ricordi dai quali lui era escluso.
Actarus uscì nel corridoio e richiuse silenziosamente la porta dietro di sé.
Scossa da un lungo brivido, Naida era ancora addossata contro la parete.
A lungo, Duke Fleed rimase in piedi davanti alla porta chiusa. In silenzio, il giovane cercava di riprendere il controllo di sé stesso, di dirsi che naturalmente lei aveva avuto ragione a respingerlo, a non voler andare oltre…
Non era possibile superare in poche ore tutto il tempo perduto, ritrovarsi dopo anni e pretendere che ogni cosa accadesse con la naturalezza del passato. Lui era stato troppo impulsivo e Naida l’aveva costretto a rientrare in sé.
Non doveva considerarlo un insuccesso… però bruciava, e molto.
Hydargos guardò il suo rivale: dolore, sconfitta, abbattimento si leggevano chiaramente sul suo viso impallidito, e la bocca aveva assunto una piega triste, amara.
Il principe di Fleed era così bello, così giovane, così simpatico… e Naida l’aveva respinto senza alcuna esitazione.
Con negli occhi l’immagine di Actarus che s’allontanava, il passo incerto e le spalle curve, Hydargos rise, rise, rise fino a restare senza più fiato.
Naida si svestì, si lavò e si preparò per la notte con gesti meccanici, la mente lontanissima da quanto aveva attorno: aveva l’impressione d’essere immersa in una sorta di incubo, da cui prima o poi si sarebbe finalmente risvegliata.
E la memoria, poi… perché non riusciva a rammentare nulla? Perché dopo la distruzione di Fleed e la sua cattura, il primo ricordo coerente che aveva risaliva a pochi giorni fa… un centro medico, infermieri, dottori… e uno strano uomo alto e magro che l’aveva fissata quasi si fosse aspettato da lei chissà cosa…
Un momento: poco prima, mentre era stata tra le braccia di Actarus, era stata sul punto di ricordare un’altra persona… lo stesso uomo che era venuta a vederla poco prima della partenza? Possibile…?
Un altro dolore alla testa. Naida si premette la fronte: non ricordava d’aver mai sofferto di cefalee; ora si sentiva sempre come se avesse avuto dell’ovatta nel cervello, e fitte più o meno forti le percorrevano il cranio ad intervalli sempre più ristretti. Alle volte aveva l’impressione di controllare male persino il suo corpo, un po’ come se fosse stata ubriaca.
Devo essere malata. Non è possibile…
Bevve un bicchiere d’acqua: era fresca, e portò sollievo alla sua bocca inaridita. S’infilò nel letto e spense la luce.
Si rialzò di scatto su un gomito ed aggrottò le sopracciglia: era sola. Perché aveva la vaga impressione di essersi aspettata di trovarsi qualcuno, al suo fianco? E chi, poi? Duke? Ma se si erano appena ritrovati, dopo tanti anni! E poi, l’aveva respinto pochi minuti prima…!
Ancora l’immagine di quell’uomo oscuro ed enigmatico… perché gli aveva chiesto se lui era suo marito? Perché aveva avuto l’impressione di conoscerlo, e molto bene?
Perché lui era stato molto importante, per lei.
Non avrebbe saputo dirne il motivo, ma era sicurissima d’aver conosciuto quel corpo alto e asciutto, d’aver provato i suoi baci…
…Hydargos…?
Un’altra fitta. Naida si premette la mano sulla fronte e con un gemito ricadde sul cuscino. Respirò affannosamente, attendendo che l’ondata di nausea cessasse; si aggrappò al pensiero di Duke, l’amore della sua vita, quasi l’averlo in mente le avesse potuto ridare un po’ di forza.
Non s’accorse che man mano che impallidiva il ricordo dell’altro uomo, il dolore calava fino ad affievolirsi del tutto. Con in mente l’immagine di Duke, Naida chiuse gli occhi sperando che il sonno venisse in fretta a darle un poco di sollievo; ma era destino che lei non potesse riposare.
Duke… Duke l’amava ancora, e lei l’aveva respinto… perché?
Duke Fleed è solo uno sporco traditore!
Naida balzò nel letto: chi aveva parlato?
Accese la luce: era sola, nella stanza non c’era nessuno: eppure, lei aveva udito quella voce… una voce che conosceva, che aveva sicuramente già sentito: non poteva sbagliarsi.
Inquieta, tornò a sdraiarsi, mentre sentiva agitarsi dentro di sé vaghe immagini evanescenti che le sfuggivano di continuo; solo qualche sprazzo di memoria le si affacciava alla mente in una sorta di mosaico spezzettato e privo di senso: uomini d’aspetto mostruoso… un’enorme cella… disperazione, sangue, violenza… scariche elettriche, un dolore spaventoso…
Duke Fleed è un traditore e un codardo! È fuggito evitando la lotta e lasciandoti sola a soffrire anche per lui!
Madida di sudore, Naida strinse la coperta serrandola con i denti per non mettersi ad urlare, mentre un sordo dolore pulsante le s’irradiava nel cranio.
– Non è vero! – bisbigliò, mentre il male aumentava sempre più – Duke non è un traditore, e io lo amo!
Uno spasimo atroce che le strappò un urlo strozzato, lasciandola poi semisvenuta e boccheggiante: e allora quella voce profonda parlò ancora dentro di lei: – Chiudi gli occhi e ascoltami.
Sconfitta, piegata dalla sofferenza, Naida cedette: sapeva che solo così quel supplizio avrebbe avuto fine. Rassegnata, ascoltò quella voce oscura che riprese a parlare, versando lentamente in lei il suo veleno: – Duke Fleed vi ha abbandonati. Ha avuto paura di lottare ed è fuggito lasciandovi indifesi. Ha abbandonato i suoi genitori, il suo popolo, tutti voi. Non si è mai curato né di te né della tua famiglia, in tutti questi anni non si è mai preoccupato di sapere nulla di te. Non ti ha mai cercata. Duke Fleed ti ha abbandonata.
– Sì… – quello di Naida fu poco più di un sospiro.
– I tuoi genitori sono morti – continuò implacabile la voce – La tua casa distrutta, i tuoi amici sterminati. Sai cos’è successo a tuo fratello?
– Ti prego… no! Era solo un bambino…
– Era solo un bambino, certo. Avrebbe potuto crescere, diventare un uomo; Duke Fleed non ha voluto difenderlo, e tuo fratello è stato ucciso.
– …No…! – Naida si tirò il cuscino sulla testa: non voleva sentire più nulla, più nulla… ma la voce era un demone dentro di lei, non era possibile sfuggirle.
– Tuo fratello è morto, e il suo cervello è stato impiantato dentro un mostro di Vega – riprese la voce, scandendo impietosamente ogni parola – Quel mostro è stato distrutto proprio da Duke Fleed! Non solo ti ha tradita: ha anche ucciso quel che restava di tuo fratello!
Naida non aveva più nemmeno il fiato di urlare: completamente annientata, piangeva fievolmente.
– Ora, tu puoi vendicare tuo fratello assassinato, i tuoi genitori uccisi, la tua casa distrutta, il tuo popolo massacrato, il tuo pianeta devastato – continuò la voce – Uccidi Duke Fleed e avrai vendicato tutti; e tu conoscerai finalmente la pace.
Naida aggrottò la fronte: lei… uccidere…?
Rimase immobile sotto le coperte, mentre la voce si faceva sempre più lieve, un semplice soffio appena percepibile: – Uccidi Duke Fleed… uccidilo…uccidilo…
--continua--Per eventuali commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=30613338Edited by isotta72 - 10/6/2010, 10:27