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GRANDE BLU: i racconti per la Cronologia

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Grande Blu
view post Posted on 9/7/2010, 15:31     +1   -1




Gocciaghiaccio
di Grande Blu (Vanna)

Dedicato a Isotta, Aster e tutte le mamme del forum

Introduzione

Shira e suo fratello, che hanno una breve apparizione nella serie, giusto il tempo di un episodio, sono i protagonisti di questo racconto … dall’infanzia all’età adulta, come pensarono di porre rimedio alla rovina del loro mondo, fino allo scontro di Shira con Grendizer e alla scelta che ne causò la morte, e quello che accadde dopo ….
Un ringraziamento a Isotta per il materiale.

Gocciaghiaccio

“Shiiira! Nooriiin!”
“Bambini, siate prudenti!”
Due piccole figure correvano velocissime in direzione opposta alla voce che li chiamava …
“Norin, il precettore … non vuoi dirgli, dove andiamo?”
“Già lo sa. Gliel’ho detto la volta scorsa. E sa anche che come scienziati, è nostro dovere esplorare.”. Per un istante, i modi e lo sguardo del bambino sembrarono già adulti. E poi, il precettore era un estraneo. Shira era tutto ciò che restava della sua famiglia, e tutto il suo clan.
“Non vuoi vedere cosa ho trovato?” disse il bimbo voltandosi verso la sorella, mostrando, nonostante la visiera della tuta protettiva, un gran sorriso e occhi splendenti come le gemme di peridoto più pregiate.
Solo a tre caste era permesso muoversi sulla superficie del pianeta: ai detenuti – impiegati nei lavori forzati - e ai loro sorveglianti, agli agronomi e agli scienziati. I due bambini appartenevano alla casta degli scienziati, come provava il triangolo blu con barra d’oro su un lato applicato alle tute.
Non era possibile affrontare senza le tute antiradiazioni l’atmosfera di Vega 1, unico pianeta in orbita attorno alla stella Vega, gigante bianca di grande luminosità. Non era possibile da più di cent’anni, ormai.
Eppure, c’era stato un periodo, almeno così raccontavano gli anziani, in cui Vega 1 poteva dirsi un mondo privilegiato, perché orbitava attorno ad una delta Scuti.
Il termine Delta Scuti definisce le stelle la cui luce varia in modo semi regolare durante l’anno, e spesso le variazioni erano di notevole intensità.
Questo aveva enormemente favorito lo sviluppo della civiltà veghiana, moltiplicando i raccolti contemporanei di ogni genere di vegetali, ottenuti con poca fatica.
Fino al giorno in cui i veghiani non si erano messi in testa di scoprire i segreti della “polvere-fuoco”.
Indagare su quel minerale era stato la rovina di Vega 1.
La polvere-fuoco era un minerale che si presentava come una polvere secca, rosso scarlatto, molto fine, che ogni refolo di vento poteva spargere in tutte le direzioni.
E questa era la sua caratteristica più pericolosa, perché bruciava qualsiasi cosa con cui entrasse in contatto, senza fiamma, carbonizzandola completamente.
Respirarlo, o toccarlo, significava fare una morte atroce.
I re di Vega 1 erano sempre stati ossessionati dalla polvere-fuoco, ma ormai da trecent’anni la famiglia reale dedicava ogni risorsa esclusivamente allo studio di questo misterioso e mortale minerale.
Finché non scoprirono un nuovo uso per il peridoto, che d’allora divenne noto come peridoto reale.
Il peridoto è una gemma verde pallido, diffusa in tutto l’universo … nella varietà meno pregiata è semitrasparente, lattiginosa o opaca … ma nella varietà più pregiata è di un verde tenue trasparente e cristallino.
Il peridoto di Vega 1 era il più resistente dell’universo, e poteva essere tagliato solo da un raggio laser.
Contenitori di peridoto permisero di trasportare e studiare la pericolosa polvere-fuoco, che si scoprì, essere molto duttile. Mescolata con un acido qualsiasi diventava stabile, poteva essere plasmato in qualsiasi forma, e bastavano un polo positivo e uno negativo per avere una batteria in grado di alimentare qualsiasi cosa per mille anni … a patto di non riscaldarlo, altrimenti esplodeva con una violenza tale da distruggere qualsiasi cosa nel raggio di cento chilometri sviluppando un milione di gradi di calore.
Questo fu l’inizio. Una svolta si ebbe quando s’incominciò ad abbinare la polvere- fuoco con l’acido solfidrico … I risultati furono sorprendenti.
Si fecero esperimenti, diluendo l’acido solfidrico in acqua, aggiungendo poi la polvere-fuoco alla soluzione … si formarono dei cristalli, che secondo la quantità di acido impiegato o di polvere-fuoco immessa erano perfettamente trasparenti come rubini, di varia forma, piatti, allungati, oppure semitrasparenti e riuniti in gruppi.
Quelli semitrasparenti avevano le stesse proprietà del minerale in forma plastica, che da quel momento fu noto come “Vegatron”, anche se non erano modellabili nella forma desiderata. In cambio, non esplodevano se riscaldati.
I trasparenti cristalli scarlatti, che ben presto furono prodotti in forma esagonale schiacciata come quella di un piatto, di vario spessore, in tutte le dimensioni, rivelarono un’altra caratteristica straordinaria. Oramai, l’uso del peridoto per contenere il vegatron plastico non era più necessario … si modellava nella forma voluta, poi un piccolo campo magnetico lo bloccava stabilmente in pratici ed economici contenitori di metallo di forma corrispondente … bastava porre su un lato del contenitore un disco di vegatron cristallino, e tramite due elettrodi conficcati nel panetto … far scoccare una scintilla, ed ecco che un raggio dalla potenza inaudita usciva dal lato del prisma cristallino.
Quel raggio poteva incenerire qualsiasi cosa fino a trecento chilometri di distanza, lasciando bruciature nero-scarlatte sul terreno, e un altissimo livello di radiazioni mortali.
Di questi effetti collaterali fecero presto le spese gli stessi veghiani. Gli esperimenti, serrati, innalzarono la temperatura del pianeta, e le radiazioni lo resero progressivamente un mondo fantasma, dove la vita scomparve del tutto.
Senza Eterna Vega, tutto sarebbe stato perduto. Eterna Vega era un laboratorio spaziale, dove si facevano esperimenti, principalmente di idroponica.
Da Eterna Vega si prese il modello per le stazioni spaziali che ben presto popolarono l’orbita di Vega 1, adibiti a vari scopi. I semi furono clonati, e questo risolse il problema delle sementi.
Le coltivazioni idroponiche non avevano avuto grande successo, tuttavia, nel diario di bordo della stazione originale fu recuperata la registrazione di una bonifica dalla contaminazione da vegatron effettuata sul terriccio. Era bastato metterlo in una capsula e porla in orbita attorno alla stella e lasciarlo esposto alla luce di Vega per sei giorni.
La variabilità luminosa della stella bonificava il terriccio dalla radioattività, e lo rendeva di nuovo coltivabile.
Stazioni spaziali computerizzate e addette alla coltivazione furono poste in orbita attorno a Vega. Il terriccio rimosso dal pianeta, che incominciava ad assumere una colorazione nero-rossastra sempre più evidente, era messo nelle terrazze, ed esposto alla luce della stella, poi coltivato.
I raccolti erano immediatamente trasformati in barrette nutritive e pillole alimentari, per favorirne la conservazione.
Nondimeno il terriccio, una volta persa la sua carica vitale, non era più coltivabile. E non c’era concime che potesse risolvere il problema … bisognava scendere su Vega 1 e procurarsi altro terriccio.
Indossando le tute protettive, squadre di agronomi scendevano sul pianeta, dove raccoglievano tutto il terriccio occorrente. Il terriccio esausto era usato per creare dighe, il cui compito era di raccogliere le colate laviche sempre più frequenti dal cuore del pianeta, con un alto livello di radiazioni allo stato naturale, ma una volta bonificate fonti di terriccio ad alta resa.
Ai due bambini cui le tute antiradiazioni erano diventate una seconda pelle, di lava e di terriccio non importava nulla. Sul mondo ormai spettrale c’era sempre qualcosa da scoprire.
“Ecco, guarda!” disse Norin all’improvviso, fermandosi e indicando qualcosa per terra.
Una sottile lastra bianca su una roccia piatta, nelle vicinanze di una bocca vulcanica. I due si avvicinarono.
“Avanti, toccalo!” disse il bimbo alla sorella.
Shira tentennò, ma quando era con Norin, non temeva nulla e nessuno, quindi toccò la lastra bianca.
Freddo … un freddo intenso … da quanto tempo non c’era più qualcosa di freddo su quel pianeta …
Un gorgoglio … i bimbi presi dalla loro scoperta non vi fecero caso … lentamente la lava incominciò a fuoriuscire dalla bocca vicino a loro …
“Attenti alla lava!” gridò una voce sconosciuta.
Norin e Shira alzarono gli occhi, la lava si rifletté nelle visiere delle loro tute … ed anche una misteriosa figura bianca.
“Andate al centro della lastra, piccoli, vi proteggerà”.
Era più facile a dirsi che a farsi, i bambini scivolarono un paio di volte sulla liscia superficie … ma alla fine arrivarono carponi al centro della lastra. La bocca eruttò, ma la lastra bianca, come attivata dal calore, s’inspessì fino a dieci metri e sparse intorno del pulviscolo scintillante, che rifletteva i bagliori della lava … il pulviscolo divenne un tornado, che salì alto verso il cielo.
Norin non seppe mai spiegare a se stesso o alla sorella cosa lo spinse a togliersi la tuta. Guardò in alto, e vide il cielo rosa salmone, come non lo aveva mai visto.
“Guarda Shira!” anche Shira si tolse la tuta. Il vento scompigliava loro i capelli, ed anche Shira vide il cielo rosa salmone … come appariva nelle videomemorie di storia.
Questo momento avrebbe cambiato per sempre le loro vite.
“Ora fareste meglio a indossare di nuovo le tute, piccoli. L’eruzione sta per finire.”
Improvvisamente la figura bianca era accanto a loro, e si resero conto che era una femmina.
Non seppero mai perché obbedirono prontamente agli ordini della sconosciuta.
L’eruzione finì, e il cielo sopra di loro divenne di nuovo nero.
La lastra fredda e scivolosa rimase, ma tutt’intorno era circondata da un muro di lava solidificata.
L’essere misterioso tese la mano aperta contro la parete di lava, questa si ricoprì immediatamente di uno strato simile al pulviscolo bianco. Poi chiuse la mano a pugno e la lava si frantumò, creando un varco.
Norin e Shira la guardarono con attenzione. Era più alta delle donne veghiane. Era completamente calva, la pelle scintillante come il pulviscolo che li aveva protetti dalla lava. Dalla vita in giù aveva una specie di coda, che si assottigliava verso il fondo e terminava con una forma triangolare rigida e sottile che appoggiava, di taglio, a terra. I due si chiesero come potesse tenerla in piedi quella strana struttura, ma sembrava perfettamente a suo agio.
Indossava una fascia composta di piccoli cristalli uniti fra loro all’altezza dei seni, e nient’altro.
“Non ti ho mai vista … chi sei?”
“E’ una lunga storia” disse la figura piegando, senza cadere, quella strana coda e chinandosi alla loro altezza, in modo da incrociare il loro sguardo. Fu in quel momento che videro che gli occhi erano privi di ciglia e sopracciglia, e perfino di iridi e pupille … ma non faceva paura.
“Voi sapete cos’è il multiverso?”
Shira fece cenno di no, ma Norin, serio, rispose.
“ È una teoria. Dice che il nostro non è il solo universo possibile, ma ci sono altri universi che condividono lo spazio del nostro, ma occupano un tempo diverso.”.
“Non è solo una teoria, e le cose non stanno esattamente come ti hanno insegnato. Lo spazio è come una torta con tanti strati, ognuno di un colore e sapore diverso. Vibrano a una frequenza diversa, quindi anche il tempo al loro interno è diverso … tuttavia, nel contatto fra i vari strati, proprio come per le torte, può succedere che un po’ del colore dell’uno passi allo strato successivo. In questi punti ci possono essere contatti fra universi differenti.”.
Detto questo, si rialzò.
“Tu vieni da un altro universo?” chiese Shira, guardando la sconosciuta dalla testa alla punta della coda con occhi spalancati.
“Non solo io, ma anche la sostanza bianca su cui vi trovate … infatti, non appartiene a questo pianeta …”.
“La sostanza che ci ha fatto togliere le tute e vedere rosa il cielo?” chiese Norin, sgranando gli occhi a sua volta.
“Sì”.
“E tu sei venuta per portarla via?” chiese Shira.
“Sì”.
Nella testa di Norin si formò immediatamente un’immagine. Pensò a quella sostanza bianca su tutto il pianeta, a soffocare i vulcani. E pensò di sentire ancora il vento sulla faccia, e giocare di nuovo sotto il cielo rosa.
“No!” si gettò contro l’essere per cacciarlo via. Credeva di farla cadere facilmente, data la sua instabile posizione, invece la creatura lo afferrò al volo e dolcemente lo sollevò prendendolo fra le braccia. Ponendo due dita sotto il suo mento, gli sollevò il viso, e lo guardò negli occhi sorridendo.
“Quello che vuoi fare ti fa onore, Norin, però capirai che non posso lasciare questo grosso lastrone qui in mezzo … ma sono certa che arriveremo a un accordo, vero?”
Norin non disse nulla, era troppo imbarazzato.
“Io! Io! Adesso tocca a me!”
Shira saltellava e si aggrappava all’extradimensionale. Questa pose giù Norin e sollevò Shira, facendola oscillare avanti e indietro, poi la strinse a sé.
“Allora ce lo lasci?”
“Tutto è troppo grande. Non lo potete portare sull’astronave … e se ve ne lasciassi un pezzetto?” disse fissando Norin negli occhi.
“Ma un pezzetto non basta!” replicò il bambino.
L’extradimensionale posò delicatamente Shira a terra. “E se ti dicessi che pochissimo gocciaghiaccio può crescere fino a congelare un intero pianeta?
“Gocciaghiaccio?” chiesero all’unisono i due bambini.
“E’ il nome di questa sostanza. Gocciaghiaccio. Ne basta una quantità minima per fare grandi cose.”.
“Come?” chiese Norin.
“Il come lo avete visto poco fa. Se vi applicherete e studierete il gocciaghiaccio, forse potrete salvare il vostro mondo.
Ora dovete andare, ragazzi.”
Con un cenno della mano, la donna fece sparire la quasi totalità della sostanza bianca. Poi prese dal terreno un sasso con sfumature verde chiaro e lo premette con le mani. Quando le aprì il sasso era diventato un cristallo di peridoto reale, cavo all’interno. Prese un po’ di gocciaghiaccio, riempì la gemma come avrebbe riempito una sfoglia e quando la consegnò ai bambini, con il biancore del gocciaghiaccio all’interno, sembrava un cristallo di peridoto di scarso valore.
“Se scruterete attentamente il cristallo per alcuni secondi, potrete vedermi e parlarmi, ” disse prima di svanire come era apparsa.

Crescendo, Norin e Shira si dimenticarono completamente dell’extradimensionale incontrata sul pianeta. Ma non si dimenticarono del gocciaghiaccio.
Anzi, Norin studiò con profitto e divenne un giovane ricercatore molto stimato.
Vega 1 era diventato un pianeta sull’orlo del collasso, poteva esplodere da un momento all’altro. Le eruzioni si succedevano senza sosta, e le radiazioni erano così alte, che si era reso necessario abbandonare l’orbita e cercare altri mondi abitabili.
Perlomeno questa fu la spiegazione ufficiale adottata per la guerra d’espansione. Tutto il personale scientifico fu arruolato automaticamente.
Shira divenne l’assistente del fratello, e allora i due aprirono un angolo della gemma, e posta una minima quantità del gocciaghiaccio su un vetrino, cominciarono a studiarlo.
Poi, Norin si ammalò gravemente. Avvelenamento da radiazioni vegatron. Continuò a lavorare finché le forze glielo permisero e quando non poté più tenere in mano le provette, continuò ad annotare gli esperimenti che Shira compiva sotto la sua guida.

“Ti credono un sogno, Chill. O peggio, un’allucinazione”.
In una sala buia e disadorna, una figura femminile senza capelli, ciglia e sopracciglia, gli occhi privi iridi e pupille stava dritta e impettita sulla pinna triangolare della propria coda.
Un fascio di luce, proveniente da un punto verde esterno alla sala, s’ingrandiva in un rombo che come base aveva un velo fluido, simile ad acqua. In quel velo si vedevano le immagini di due giovani, un maschio e una femmina, eccezionalmente simili, dai capelli viola chiaro e gli occhi di un verde chiaro e limpido, simili a peridoti reali …
“Lo so, Ice … le loro menti sono troppo razionali e non prendono neppure in considerazione che accanto al loro ci sia un universo molto diverso da quello che conoscono.” Con queste parole, Chill voltò la testa e sorrise all’ interlocutore, che restava in fondo alla sala, e poi si girò di nuovo verso le immagini.
Un leggero rumore le fece capire che Ice era alle sue spalle.
“Sta morendo, Ice. Norin sta morendo. Il gocciaghiaccio che stanno manipolando mi trasmette la sua paura e disperazione.
La figura dietro di lei, che fino a quel momento era rimasta in ombra, si avvicinò alla fonte di luce. Come Chill aveva la pelle scintillante come pulviscolo ghiacciato, niente capelli, ciglia e sopracciglia. Gli occhi erano privi di iridi e pupille.
La sua coda terminava con una pinna triangolare rigida e sottile, che poggiava a terra di taglio … ma era un maschio.
Chill tornò a guardare le immagini.
“Sta passando le consegne. Sta affidando il suo sogno a Shira. Fra poco …”
“Se vuoi proporgli l’Opzione, hai il mio consenso.” Disse lui mormorando contro il suo orecchio, e poggiando le mani sulle sue spalle.
“Ma fai presto. In quell’universo, hai solo due ore.”
“Grazie, Ice”, disse Chill girandosi e appoggiandogli le mani aperte sul torace, “due ore sono più che sufficienti.” Disse alzando la testa per guardarlo negli occhi.

Per Shira il tempo si fermò. Non avrebbe saputo dire se passarono mesi o anni. Di una cosa sola era certa. Che ogni giorno successivo alla morte di Norin fu un incubo senza fine. Seppellire il fratello, continuare gli esperimenti, bollire il liquido ricavato dal poco gocciaghiaccio rimasto e finalmente vederlo gelare all’istante, poi trasformarlo in raggio.
Infine, l’ordine di Vega il Grande: il raggio serviva per congelare Grendizer.
L’incontro con Grendizer, la gentilezza dei terrestri, i modi troppo bruschi di quel Daisuke che l’aveva schiaffeggiata per farle prendere i tranquillanti, e poi, mentre lei pensava a come fuggire dalla cella, la porta si spalanca e Maria e Hikaru vengono a prenderla armi in pugno … vogliono che liberi il pilota di Grendizer imprigionato dall’astronave che rischia di morire assiderato …
Quella gemma verde pallido di dimensione romboidale è con lei da molto tempo … è stata un ciondolo e ora è una spilla … prima conteneva il gocciaghiaccio, ora l’ha trasformata in chiave per la sua astronave …
Eccolo lì, di fronte a lei, l’uomo che gli hanno ordinato d’uccidere, Grendizer il ribelle … ora può eseguire l’ordine … basta attivare l’arma che ghiaccia, nascosta nel suo anello … ma Maria, che si getta a fargli scudo con il suo corpo … Maria che non vuole lasciare il fratello a nessun costo … perché Grendizer e Daisuke sono la stessa persona.
E la voce di Re Vega strepita dagli altoparlanti interni della nave: “Uccidi, uccidi”…
Quando Maria afferma con decisione che non vuole lasciare Daisuke, ed è disposta a seguirlo anche nella morte, qualcosa in Shira si spezza.
Nemmeno lei voleva lasciare andare Norin … se non avesse promesso al fratello di salvare Vega 1, si sarebbe contaminata da sola pur di raggiungerlo … e ora darebbe qualsiasi cosa per rivederlo anche solo per un istante.
Non può far vivere a un’altra ragazza un simile inferno. Non può …
La voce di Vega gracchia insistente: “Uccidilo, uccidilo!”… non rimane che chiedere loro perdono e obbedire.
Ma Daisuke, con mossa fulminea le tira sulla mano un pezzo di ghiaccio, deviando il colpo dell’anello, che colpisce l’infernale comunicatore.
Non sentiranno più gracchiare Vega, almeno.
Il mostro Thuin fa la sua comparsa dal sottosuolo ghiacciato, e incomincia ad attaccare Grendizer, che momentaneamente è privo di pilota. I due ragazzi escono, mentre le ragazze invitano Shira ad andare con loro e la fanno uscire dall’astronave … Appena fuori, è colpita da un colpo di rimbalzo.
Mentre Hikaru si unisce alla battaglia, Maria porta Shira contro un pendio ghiacciato, poco lontano dall’astronave, dove le chiede di aspettarla, al sicuro.
Shira sa che la sua ferita è troppo grave per essere curata dai terrestri, quindi, dopo aver augurato ogni felicità alla sua nuova amica e a suo fratello si alza, e a fatica rientra nell’astronave.
La lotta imperversa, ma Koji nota che l’astronave di Shira è decollata … Shira assiste al combattimento, ma pensa di non poter fare nulla per loro, quindi dice loro addio e a Maria, che con la sua Trivella Spaziale volteggia attorno a lei confida che non tornerà da Vega … ma andrà sul pianeta in fiamme e lo gelerà.

“Sei troppo grave, bambina” dice la figura femminile dalla pelle scintillante come ghiaccio nella stanza buia, mentre osserva le loro azioni su uno schermo romboidale simile a un velo d’acqua.
“Non vivrai fino a Vega 1 …”. Dicendo queste parole, tende la mano aperta, esattamente come fece anni prima …
E Shira improvvisamente vede Vega 1 avvicinarsi sempre più, in fiamme come lo ricordava! Ce l’ha fatta, è arrivata.
Attiva l’arma di ghiaccio, e due cristalli sono lanciati dall’astronave e s’infrangono sulla superficie infuocata del pianeta. Una grande esplosione … il pianeta di fuoco è ritornato bianco e verde chiaro, come nelle videomemorie … rivede le montagne azzurro e indaco e ai piedi dei monti le città che il sorgere di Vega fa sembrare tutte rosa … i genitori che giocano con i figli al limitare delle foreste azzurre … i giovani innamorati che corrono fra i fiori mentre Vega allo zenith rende il cielo aranciato … i bambini che cercano di fare amicizia con gli zae, quadrupedi candidi dal lungo corno sulla fronte, lungo le sorgenti nel verde cupo delle foreste, il loro habitat naturale …
“E’ mio dovere lavorare per la vita” afferma con forza. Nel suo delirio, crede di avvicinarsi alla stella, ma in realtà è in caduta libera, e punta proprio su Thuin …
Thuin avverte il pericolo, punta il raggio congelante sull’astronave che diventa un blocco di ghiaccio …

Nella sala buia, la femmina dalla pelle scintillante si avvicina al velo, ci immerge la mano aperta, fa il gesto d’afferrar qualcosa e di spostarla.
L’astronave esplode nell’impatto con il suolo ma Shira è afferrata delicatamente da una mano di ghiaccio che sembra uscire dal quadro comandi e adagiata delicatamente al suolo nello stesso istante dell’impatto … ed è fra i rottami fumanti, ancora viva, che Maria e Hikaru la trovano.
Circondata dai quattro giovani è serena, vede la morte come un’espiazione, è felice perché fra poco sarà di nuovo con Norin …
I quattro giovani la seppelliscono su un pianoro montano, accanto ad uno strapiombo, accatastando sopra alla tomba un monumento funebre di pietre … Maria depone la spilla con il peridoto su una delle pietre alla base del monumento. Il sole al tramonto rende il peridoto opaco mentre riflette il volto di Maria, mentre lontano dal dirupo due conigli guardano incuriositi la scena e un fiore sboccia, segno evidente della fine dell’inverno.
Mentre il sole tramonta e la luna sorge, le quattro astronavi volano verso casa.

Nella stanza buia, due figure dalla pelle scintillante li osservano allontanarsi, il maschio pone un braccio attorno alle spalle della femmina, l’attira a sé, la bacia sulla tempia e mormora:
“Proponi l’Opzione. Ora.”.
Un grande sorriso illumina il volto della femmina, che si dà una spinta con la pinna e si lancia verso la minuscola fonte luminosa. Come tocca il velo delle immagini scompare.
Atterra proprio accanto al monumento funebre. Piega ancora la coda, dà lo slancio con la pinna, e s’innalza nell’aria ancora fredda. Volteggiando nell’aria come farebbe nell’acqua, gira intorno all’orlo del precipizio con le palpebre quasi totalmente abbassate, gli occhi simili a due fessure.
“Trovata …” dice sottovoce … tende la mano aperta, la chiude a pugno, e fa il gesto di tirare qualcosa.
Una massa di pietre e terriccio esce dal fianco della montagna, e rimane sospesa a mezz’aria. Esce anche il corpo di Shira, composto per l’ultimo viaggio. La femmina fa un gesto e il corpo si allontana leggermente dal dirupo, poi rimette il terriccio e i sassi al loro posto, e ricompone la parete così bene, che sembra intatta.
Poi, volteggiando, torna sull’altura e appoggia la pinna a terra, lasciando che il corpo della giovane veghiana volteggi a mezz’aria.
“So che sei qui. Lascerai questo mondo, ma non nel modo che credi.”.
Una massa sfocata e semitrasparente con le sembianze di Shira compare, poco distante dal suo corpo.
“Tu sei l’extradimensionale che ho incontrato da bambina! Perché sei qui?”
“Per proporti l’Opzione”
“L’Opzione?”
“L’Opzione, esatto.”
“Che cos’è?”
“Avendo incontrato a faccia a faccia un essere proveniente da uno degli universi accanto al tuo, a te e Norin è concessa una possibilità.”
“Norin? Ma Norin è …”
“Morto? Nel tuo universo certamente. Ed è proprio in questo che consiste l’Opzione. Gli è stata offerta una scelta. Terminare la sua esistenza come una delle tante vittime del Vegatron nel tuo universo, oppure iniziare una vita nuova nel mio”.
“Come?”
“Diventando uno di noi … nel caso specifico, essendo un maschio, un gelotritone.”
“Gelotritone? E lui cosa ha scelto?”.
“Fra rimanere un veghiano morto e un gelotritone vivo … ovviamente l’ultima possibilità.”
“Ed io?” Lo spirito di Shira si appanna.
“A te è offerta la medesima Opzione. Rimanere una veghiana morta o diventare una gelosirena.”.
“E rivedrò mio fratello?”
“Certo, e potrete trascorrere una vita felice con me e il mio popolo.”
“Accetto.”
“Bene, rimane un’ultima cosa da decidere. Vuoi iniziare la tua vita di gelosirena alla stessa età che hai ora … o preferisci iniziare da neonata, e quindi nascere come gelosirena?”.
“Qual è la differenza?”
“Se rimani dell’età che hai ora, ricorderai chi sei stata e tutto quello che è accaduto fino ad oggi. Se inizierai come neonata, ricorderai solo che Norin è tuo fratello e vi volete molto bene, ma nulla della tua vita passata.”.
Lo spirito di Shira rimane in silenzio.
“Hai scelto?”
“Sì.”
“Rientra nel tuo corpo, e che il cambiamento cominci.”
La massa sfocata si riunì al corpo immobile.
Le mani aperte di Chill, con movimenti lenti, seguono il corpo di Shira che volteggia, poi diviene sempre più luminoso fino a che i contorni svaniscono in una forma luminosa allungata, che si contrae …
Chill tende le mani alla forma, e quando l’ha afferrata, svaniscono entrambe. Il cristallo della spilla si spezza.
In un mondo bianco dalla luce morbida, un piccolo gelotritone volteggia, seguito da un adulto …
Con un rapido colpo di pinna l’adulto raggiunge il piccolo, lo prende fra le braccia, e i due ridono …
Una gelosirena volteggia verso di loro, con un fagotto fra le braccia, poi si siede su di un masso smussato …
“Mamma, mamma!” urla il piccolo, raggiungendola.
“Ho una sorpresa per te, Norin”
“E’ arrivata?”
“Certo! La mamma è andata a prenderla adesso.
“Papà, papà, corri!” grida il piccolo al padre.
Ice li raggiunge.
Quando entrambi sono accanto a lei, Chill apre la stoffa scintillante del fagotto, rivelando una piccola gelosirena che dorme. Norin e Ice trattengono il fiato. Chill passa un dito sulla guancia della piccola, che apre gli occhi e ride.
“Ciao, Shira … sono la mamma. Ci sono due persone speciali che ti voglio presentare … Lui è il tuo papà …”.
Ice prende la piccola tra le braccia, che esprime con dei gridolini la sua contentezza, e si siede sul sasso accanto a Chill, mentre Chill fa cenno a Norin di avvicinarsi di più.
“Shira … Shira!” Chill la tocca per attirare la sua attenzione, “lui è Norin, il tuo fratellino.”
I due si guardano, e una scintilla di riconoscimento illumina i loro occhi. Ice l’avvicina al fratello, allungando le braccia verso di lui, ma tenendo sempre ben salda la piccola. Norin tende la mano verso di lei, e Shira gli afferra un dito. I due sorridono.
“Ora siamo insieme, Shira …” dice Norin mentre Chill lo prende in braccio avvicinandolo ancor più alla sorella.
Shira sorride e si appoggia contro il braccio di Ice, con aria sonnacchiosa, continuando a tenere ben stretto il dito di Norin.















 
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Grande Blu
view post Posted on 22/12/2010, 20:03     +1   -1




Ferafel
Di Grande Blu (Vanna)

Dedicato a Runkirya, Kojimaniaca, Venusia 71 e tutte le pilotesse girellare.
Introduzione
Il comandante Haruck è una figura molto particolare nel composito esercito di Vega, ed anche lui compare solo per un episodio … di lui si sa solo che ha una passione, i piccioni e che è considerato un grande guerriero … ma perché li ama tanto?
Lo scoprirete in questo racconto, dove le scelte hanno delle conseguenze, e dove l’unico modo per ricordare, è conservare qualcosa che ci riporti al passato.
Nota: nel racconto i personaggi creati da Go Nagai hanno i nomi originali, presi direttamente dalla pagina dedicata a quest’anime sulla Wikipedia.
Grande Blu (Vanna)
Ferafel

Spesso ritorno con il pensiero al giorno in cui i Grandi Misterici mi trasformarono in pasir, un animale del nostro mondo. Se chiudo gli occhi, la scena è vivida come se accadesse in questo preciso istante, così come i pensieri che mi passarono per la mente:
“Un Pasir? Dovrò diventare uno stupido volatile?” Urlai al colmo della mia indignazione al Gran Custode.
“Dovresti pensarci bene, prima di dire che qualcosa o qualcuno è stupido, Ferafel. In fondo è questo che ti ha messo nei guai.”. Rispose asciutto il Gran Custode.
Mi morsi le labbra. Com’era possibile che io, una dei Misterici, con ottime possibilità di divenire Gran Custode … dovessi subire una condanna? E almeno fosse stata una condanna esemplare, in fondo me la meritavo … invece sarei stata trasformata un volatile stupido, talmente stupido, che qualsiasi umanoide poteva catturarlo con poca fatica!
Gli Umani, o umanoidi, come li chiamavo io all’epoca con disprezzo, erano appena sopra i Pasir nella mia personale scala della stupidità. Per secoli avevano considerato la nostra Stella Delta, Delta Lyr, come una stella doppia … anche se persino a occhio nudo era evidente che non era per nulla una stella doppia, bensì due stelle compagne!
Delta Minore, la stella nana di uno scintillante blu che ci fornisce calore e luce, e Delta Maggiore, la gigante rossa che, visibile dal nostro pianeta di notte come di giorno, ci accompagna nel nostro viaggio nel cosmo …
Proprio questa centralità apparente del nostro mondo convinse tutte le stirpi, anche i Misterici, che il nostro pianeta era speciale. In fondo eravamo una delle razze più antiche, eravamo un mondo civile quando gli abitanti di Vega 1 usavano pelli d’animale come abiti, viaggiavamo fra le stelle quando su Vega 1 si sperimentava il vapore come energia motrice … fin dalla notte dei tempi, questa consapevolezza di essere una grande civiltà, segnò il rapporto con il nostro mondo natale, che definimmo come Delta, semplicemente. Niente numeri, eravamo sullo stesso piano delle stelle.
Inoltre, il nostro mondo beneficia di quei doni meravigliosi che i Misteri, senza nostro merito, benignamente ci elargiscono. Le due stelle sono al centro di un ammasso aperto, ossia di uno di quei meravigliosi accentramenti di stelle in un punto dello spazio che, con le loro interrelazioni gravitazionali, consentono anche alle stelle nane – come la nostra splendida nana blu - di continuare a dispensare luce e calore fino alla fine del tempo. Oltretutto, essendo aperto, in realtà questo piccolo ammasso fa parte di un gruppo molto più grande, ma … questo fa parte dei Misteri che io, all’epoca, non ero autorizzata a conoscere, e che invece studiai, in barba ad ogni divieto … quindi che mi misi nei guai e fui punita.
Oh stelle, che piccola praticante dei Misteri ero, e quanto ero pomposa!
Esser trasformata in un pasir, accidenti! Quanto mi sembrava priva di significato quella punizione, allora!
E così fui trasformata in un Pasir … Un uccello di media taglia, dal piumaggio grigio con penne blu sulle ali e la coda, becco bruno, occhi arancioni perennemente spalancati.
Ero furiosa, tanto che volare su quelle forti ali, non mi bastava – anche se era piacevole – e camminare sulle zampe brune dagli acuminati artigli, mi bastava ancor meno … e incurante degli altri Pasir che, spaventati, si levavano in volo, io come una sciocca caddi in una rete.
Per la prima volta in vita mia seppi cos’era il panico. Incominciai a dibattermi nella rete, aggrovigliandola sempre più al mio corpo, e più la sentivo stringere intorno a me, più mi dibattevo.
Incominciava a mancarmi il respiro quando un’ombra gigantesca oscurò la luce di Delta Minore.
“Piano, piano, ti farai male …” disse una voce maschile profonda e rassicurante, e due mani dalla pelle grigio azzurra iniziarono a liberarmi.
Un umanoide …
Con gesti sicuri e continuando a parlare, continuò a sciogliermi dalla rete.
Un umanoide che sapeva rendersi utile, che insperata fortuna!
Quando mi ebbe liberata, continuò a tenermi delicatamente, ma ben salda in quella sua mano enorme.
“Vediamo cosa sei …” disse con il solito tono rassicurante, e con due dita dell’altra mano iniziò a scostare delicatamente le piume del mio addome in prossimità della coda.
Rimasi sbalordita, ma solo per un secondo. Poi m’indignai: come osava, lo spudorato, frugare le mie piume!
Con mossa fulminea, gli assestai una beccata sulle dita, strappandogli un’esclamazione di dolore, e al colmo della collera finalmente lo degnai della mia attenzione.
E, per la prima volta nella mia vita, mi sentii piccola. Davvero piccola. L’umano che avevo beccato doveva essere alto circa 270 centimetri, dal fisico scultoreo con una muscolatura possente, ben intuibile sotto la pelle azzurra. I muscoli erano torniti ma non gonfiati, segno evidente che dovevano esser stati temprati da anni d’allenamento, probabilmente iniziato nella più tenera infanzia.
Il suo abbigliamento era il più ridotto che avessi mai visto. Un paio di calzoncini da lotta, di tessuto elastico, alti in vita, fermati da una cintura. Un lottatore, quindi. Poi notai che i calzoncini non impedivano i movimenti delle gambe, poiché lasciavano le cosce completamente scoperte. Non era un semplice lottatore, quindi, ma un Totale. I Totali erano lottatori addestrati fin dall’infanzia a usare nella lotta ogni parte del corpo, quindi il loro abbigliamento era ridotto al minimo.
Improvvisamente, l’uomo sollevò la mano che mi teneva, ed io con essa, avvicinandomi al viso. Fu allora che notai che sulle spalle portava un mantello con colletto alto, incavato davanti e dietro, quasi a formare due punte ben visibili ai lati, semplicemente fermato da una fibbia … oh no, stelle, e se quell’uomo fosse …
Una fila di tre corna dritte e appuntite di un centimetro di diametro e alte cinque centimetri partiva dal centro della fronte, proprio all’attaccatura delle placchepenna, il secondo corno era a due centimetri di distanza dal primo e il terzo si trovava al centro del cranio. Le placchepenna, di un verde scuro brillante, disposte sulla testa come capelli, vi aderivano strettamente, scendendo anche su nuca e collo, con lo scopo di proteggere quelle zone del corpo da colpi a tradimento. Sui lati del viso le placchepenna formavano una sorta di basette, ed erano portate lunghe, a protezione di tempie e guance.
Incominciai a tremare. Un appartenente al primo clan, l’élite della stirpe dei guerrieri, ecco chi era quell’uomo! I migliori combattenti di Delta, della Lyra, e forse dell’intero universo! Il suo fisico era stato temprato a resistere a qualsiasi cosa, e il suo allenamento era perpetuo. Per questo indossava solo dei calzoncini, una cintura, un paio di stivali e un mantello!
Il tremito aumentò, non riuscivo a controllarmi.
Poi la mano si fermò: “Devo stare attento, potresti cavarmi gli occhi. Meglio tenere quel becco a debita distanza.”. Disse con voce allegra. Guardai il suo viso. Sorrideva.
“Sei una signorina dal gran temperamento, vero?” disse sempre sorridendo. Poi continuò “Buona, buona, non voglio farti del male …” e incominciò ad accarezzarmi, dalla testa fino alla punta delle ali. E continuò finche non mi calmai.
I suoi occhi grandi e scuri esprimevano un animo nobile, il naso dritto, da vero condottiero … L’ovale del viso ingentiliva tutto. Questo non era un uomo rozzo, e probabilmente era un ufficiale.
Con il passar del tempo essere un Pasir non mi dispiacque più di tanto. Haruck, questo il nome dell’uomo che mi aveva catturato, era gentile, e mi trovò un posatoio comodo nel suo allevamento di pasir, dove trascorreva ogni momento libero.
Ben presto si rese conto che gli altri pasir si comportavano in modo strano con me, quasi con deferenza. Mi lasciavano mangiare per prima e volavano lasciandomi sempre la posizione di testa, ma non facevano stormo con me.
La mia solitudine gli ispirò simpatia, anche se non capiva il comportamento dello stormo. Prese il mio posatoio e lo portò in casa, con l’intento di educarmi come animale da compagnia. Iniziò con l’insegnarmi a posarmi sulla sua spalla, aggrappandomi al mantello. Ricordo ancora la sua espressione sbalordita, quando eseguii subito l’ordine senza sbagliare … ma rimase letteralmente a bocca aperta quando mi ordinò di posarmi sul suo dito ed io mi ci posai con naturalezza, senza aver mai provato l’esercizio prima d’ora!
A dire il vero, solo dopo pensai che la mia prodezza potesse costarmi cara, magari finire in un baraccone d’animali ammaestrati. Invece Haruck non ne fece parola con anima viva, anzi, quando un baraccone si trovò a transitare nella sua tenuta, acquistò gli animali al triplo del loro valore, li fece visitare e accudire dai migliori veterinari, con lo scopo di liberarli poi nella tenuta. Dopo aver messo gli animali al sicuro, consigliò caldamente all’ambulante di cambiare mestiere, ed egli tremando promise, anche se non era stato neppure sfiorato.
Solo un pazzo non avrebbe ascoltato i suggerimenti di un appartenente al primo clan della stirpe guerriera …
Cominciai quindi serenamente la mia vita da pasir domestico. Il mio modo di vedere i pasir si era ammorbidito, anche se continuavo a considerarli d’intelligenza limitata. Tuttavia presto ebbi modo di ricredermi.
Un giorno che Haruck ci aveva liberati tutti insieme in una radura riparata, una femmina volò da me, e mi fece capire che aveva bisogno del mio aiuto. Sorpresa, volai a vederne il motivo, e vidi un tikame, predatore alato di grossa taglia dalla vista acutissima, che inseguiva un pasir dello stormo, un giovane che aveva appena cambiato le penne, mettendo la livrea da adulto per la prima volta.
Senza pensarci, volai in soccorso del compagno in pericolo, e mi misi sulla loro linea di volo. Lasciai passare la preda, spalancai le ali, con stupore del predatore che sopraggiungeva protendendo gli artigli, e ordinai:
“Riflesso!”
Improvvisamente la luce di Delta Minore parve concentrarsi nelle mie ali, diventando sempre più splendente. Il tikame, abbagliato, si allontanò.
Avevo riacquistato i miei poteri. Tuttavia l’evento non mi rendeva felice.
Volai fino al cospetto del Gran Custode:
“Ho scontato la pena, Maestro?”
“Esatto, Ferafel. Puoi tornare alla tua forma normale quando vuoi.”.
“Maestro, io …”
“Cosa c’è?”
Sospirai e proseguii: “Dovrei essere felice, invece non lo sono. Anzi, il pensiero di lasciare la casa di Haruck mi crea una grande angoscia.”.
“Cosa ti piace della tua condizione?”
“Stare appollaiata sulla sua spalla, svolazzargli intorno, mangiare dalle sue mani e soprattutto che ha sempre una carezza per me.”
“Credo che non sia solo questo, …” disse sorridendo il Gran Custode, “Ascolta, prova a tornare da lui, e a rivelargli chi sei. E torna a riferirmi tra un anno.”
Felice come non ero mai stata, tornai da Haruck volando come il vento. Lo raggiunsi mentre metteva a soqquadro l’intero allevamento. Quando mi vide, mi chiamò e mi prese tra le mani.
Quella sera stessa provai a rivelarmi. Mi feci vedere da lui con una matita stretta fra gli artigli mentre vergavo su un pezzo di carta. “Guarda nello specchio”.
Obbedì, e si pose davanti ad un grande specchio appeso alla parete.
Svolazzando dietro alle sue spalle, cominciai a parlargli.
“Haruck, io non sono un pasir. Sono una Misterica, che per un periodo di punizione è stata trasformata in pasir.”.
Haruck sollevò un angolo della bocca con espressione divertita.
“Beh, che non eri un pasir, lo avevo capito da come ti trattavano gli altri … E so che ben poche persone su Delta possono trasformarsi in animali, quindi pensai bene d’informarmi presso la Torre dei Misteri.”
Come diavolo faceva Haruck ad avere accesso alla residenza del Gran Custode? Confusa, planai sul mio posatoio.
Haruck si avvicinò e mi disse: “Il Gran Custode fu molto gentile. Mi raccontò che una Misterica era stata trasformata per punire la sua arroganza. Gli dissi che il pasir aveva temperamento, e a me piacciono le persone di temperamento. E che speravo di conoscere meglio la misterica, un giorno. A quel punto il Gran Custode chiamò la governante in capo della Cittadella e mi fece consegnare una grossa borsa. E’ di sopra, nella stanza a destra della scala. Se ti serve il bagno, è la porta accanto.”.
Volai di sopra, e con mia sorpresa trovai uno dei miei abiti, steso ordinatamente sul letto. Sulla sedia accanto era appoggiato un grande telo da bagno. Accanto alla finestra c’era un tavolino da toeletta sormontato da uno specchio, e appoggiati al ripiano, facevano bella mostra di loro i miei pettini a due denti, più i due sacchetti, dove tenevo creme e cosmetici.
Ritornai umana, mi avvolsi nell’asciugamano, e mi fiondai in bagno. Che meraviglia non doversi più lavare nell’acqua fredda di una fonte! Dopo la doccia tornai nella stanza, chiusi la porta a chiave, e finalmente lo specchio rimandò la mia immagine. Mi avvicinai al tavolino e mi sedetti davanti allo specchio.
Come Haruck anch’io ho la pelle grigio azzurra, occhi scuri e tre corna … ma sono alta appena 170 centimetri, e le mie corna non sono disposte in linea retta.
Proprio al centro della fronte, c’è un corno alto pochi millimetri dalla punta arrotondata, di tre centimetri di diametro. Ai lati di questo, a circa un centimetro di distanza e poste leggermente più in alto, quasi all’attaccatura delle capelpiume, ci sono due piccole corna di un centimetro di diametro, acuminate, alte quattro centimetri, curvate verso il corno centrale. Le mie corna sono bianche come quelle di Haruck, e proprio come per lui sono il segno della mia stirpe, la stirpe dei Misterici. Le capelpiume sono lunghi e sottili fili piumosi, trenta centimetri al massimo, che ricoprono la nostra testa, dandole un aspetto perennemente arruffato. Le mie sono indaco, un colore piuttosto raro fra la mia gente.
Indossato il vestito e sistemato al meglio con i pettini la massa vaporosa che ho sulla testa, mi decisi a scendere … Oltretutto, da circa venti minuti, un buon profumino di cucina mi solleticava le narici.
Dalla scala vidi che la tavola era apparecchiata per due, e Haruck stava appoggiando proprio in quel momento la pentola sopra una lastra di pietra rossa, al centro della tavola.
“Haruck …” dissi. Lui si girò e fece due passi verso di me.
Un gran sorriso gli illuminò il volto. Non sapevo perché, ma la cosa mi fece un enorme piacere.
Non tornai mai dal Gran Custode a riferire. E d’altronde non ci sarebbe stato motivo, perché era fra i molti invitati di riguardo al nostro matrimonio, celebrato esattamente un anno dopo il mio ritorno a sembianze umane.
Le nostre nozze furono l’evento dell’anno, e perfino i giornali se ne occuparono. Attribuimmo tutto questo interesse al fatto che eravamo di stirpe diversa, ma rimanemmo entrambi di stucco quando scoprimmo, tramite la cortese e insistente lettura fatta a me dalle damigelle, a lui dai commilitoni, che Haruck apparteneva a una delle più antiche e autorevoli famiglie non solo della stirpe guerriera, ma di tutta Delta, ed io ero considerata fra le più dotate e potenti manipolatrici del Mistero.
Haruck ed io facemmo spallucce, pensando che di tutto questo non c’importava nulla.
Tuttavia, l’articolo fu provvidenziale non tanto per noi, quanto per le nostre stirpi. E noi lo sfruttammo per uno scopo più alto del mero pettegolezzo.
Per l’occasione, erano stati assunti un buon numero di paggi e fantesche, con il compito di servire gli invitati. Una di queste, una giovane delicata dall’aria timida, si trovava al centro delle attenzioni di tre reclute appartenenti alla stirpe guerriera e di tre novizi ai Misteri. Gli sguardi che quel manipolo di giovinastri lanciavano alla poverina non lasciavano dubbi sulle loro intenzioni, e i vini che ingollavano a litri sembravano aizzarli ancor di più.
Lo sguardo sconfitto e rassegnato della ragazza, che ben sapeva di non potersi opporre al volere né degli uni né degli altri – poiché l’appartenenza alle nostre stirpi permetteva di fare il bello e cattivo tempo con chiunque – mi colpì dolorosamente, e mi bastò guardare in faccia Haruck per capire che provava le mie stesse emozioni.
Oltretutto, gli stolti rischiavano di far scoppiare una rissa al nostro banchetto nuziale, ma noi non lo avremmo mai permesso.
Un breve dialogo fra noi, e mettemmo in atto il nostro piano.
Haruck ordinò al Maestro di Cerimonie di far liberare uno spazio al centro della sala, e consegnatomi il mantello, sparì in cantina con il Capo dei Servitori di Sala. Ritornò con un’enorme botte in bilico su una spalla, che poggiò con naturalezza su un cavalletto. La disinvoltura con cui la botte era stata portata senza sforzo e appoggiata delicatamente impressionarono tutti, specialmente reclute e novizi.
Nel frattempo io avevo ordinato a paggi e fantesche di prendere dei bacili e di attendere nuovi ordini. Haruck mi si avvicinò e tranquillamente indossò il mantello. Alzò il braccio destro, segnale che mise fine al brusio degli ospiti e mi sorrise.
Ora fui io a togliermi il mantello con il colletto a due punte, segno del mio ingresso nella stirpe guerriera, e ad affidarlo a Haruck.
“Cari ospiti, ” dissi ad alta voce avanzando al centro della sala, “ora spilleremo il vino che porremo nei bacili di fantesche e paggi, che si porranno in mezzo a voi. Comandante Supremo, Generali, Comandanti, Sottufficiali, Ordinari e Reclute consentitemi l’onore di servirvi da bere com’è costume nella mia stirpe.
Novizi ai Misteri, servirò anche voi, così acquisterete familiarità con le nostre usanze.
Gran Custode, Grandi Misterici, fratelli e sorelle, v’invito, non appena avrò adempiuto il mio dovere di ospite, a servirvi da soli in base al nostro costume dai bacili”. Dissi mentre i servitori si disponevano nella sala.
“Ragazza, vieni qua”. Dissi alla fantesca perseguitata, che al mio ordine si pose a un metro da me.
Chiusi gli occhi per un secondo, e le mie corna s’illuminarono. Dal corno alto pochi millimetri si sviluppò un chiarore diffuso e lattiginoso, mentre dalle altre corna sorsero scintille che resero il chiarore crepitante di potere.
Aprii gli occhi, feci un piccolo gesto e nei bacili si formarono dei piccoli gorghi, che salirono dalle superfici simili a minuscoli tornadi.
I piccoli vortici si levarono alti nell’aria, e la rotazione del liquido su se stesso era ben visibile a tutti, poi a un altro lieve movimento delle mie mani, ognuno di essi raggiunse il bicchiere di un guerriero o di un novizio, ovunque egli fosse, e lo riempì. Una volta raggiunto l’orlo, i vortici tornarono nei bacili da cui erano partiti.
A questo punto, gli altri misterici si servirono con lo stesso sistema, Haruck mi si avvicinò e pose il mantello sulle mie spalle, agganciando la fibbia.
La sala era piombata nel silenzio
“Raramente i giornali dicono il vero, Gran Custode …” affermò il Comandante Supremo vuotando il bicchiere.
“A quanto pare, Comandante Supremo, questa è una di quelle rare volte …” rispose il Gran Custode, rimandando il piccolo vortice che aveva riempito il suo bicchiere a morire nel proprio bacile. Sollevò il calice.
“Ringraziamo il nostro ospite, fratelli e sorelle”. Così dicendo fece a Haruck un leggero inchino.
A queste parole, ogni misterico presente nella sala si volse in direzione di Haruck, sollevò il calice e s’inchinò.
“Signori, sull’attenti!” ordinò il Comandante Supremo, facendomi il saluto militare, e la sala rimbombò del suono di decine di tacchi che cozzavano, mentre decine di mani mi facevano il saluto.
Io e Haruck ringraziammo con un cenno del capo, e sorridendo guardammo i giovani che rischiavano di guastare il “nostro” giorno. Sentendosi osservati, i novizi s’inchinarono mentre le reclute scattarono sull’attenti. Erano mortalmente pallidi, e sembravano di colpo tornati sobri. E soprattutto, la voglia di attaccar briga gli era passata.
Di lì a qualche ora, lasciato tutto nelle mani del Maestro di Cerimonie, io e Haruck ci allontanammo discretamente.
A notte fonda potevamo ancora sentire dalla camera padronale il chiasso degli ultimi ospiti rimbombare nella sala.
Sdraiata accanto ad Haruck mi godevo la sensazione di essere in armonia con l’universo intero, quando mi sentii cingere le spalle con un braccio mentre l’altra mano incominciò ad accarezzarmi l’addome. Ridacchiai, un po’ perché mi faceva il solletico, un po’ per il ricordo di quando ero un pasir.
“Come, adesso ridi mentre l’altra volta quasi mi staccavi un dito!” mi disse con tono risentito.
“L’altra volta, Comandante, non aveva alcun diritto di toccarmi. Non c’eravamo neppure presentati!” Dissi voltandomi a guardarlo negli occhi con finta aria di sdegno.
“E adesso?” disse sollevando un angolo della bocca in un sorriso malizioso, mentre le carezze diventavano più audaci.
Cercando disperatamente di mantenere un autocontrollo che rischiavo di perdere ogni istante, risposi con la maggior freddezza possibile.
“Forse ora qualche diritto lo avete …”
“Bene, ne farò buon uso …”.

Il mese successivo fu quanto di più spensierato si possa immaginare. Haruck svolgeva il suo lavoro, si allenava, io approfondivo lo studio dei Misteri e mi allenavo a mia volta a usare il potere della natura. Ed entrambi ci prendevamo buona cura dei pasir dell’allevamento e di ogni animale dei dintorni.
Avrei voluto ignorare il brivido che mi corse lungo la schiena quando il nostro governo si alleò con Vega 1 in un patto di mutua assistenza militare.
Brivido che fu confermato da una visita del Gran Custode alla nostra casa, un giorno che Haruck era stato convocato al quartier generale.
“Hai sentito il fremito, vero Ferafel?” mi disse senza preamboli.
“Sì, Maestro.” Dissi inchinandomi.
“Non sono più il tuo maestro, ragazza. Niente inchini. Se le circostanze fossero diverse, aggancerei la placca d’oro della sapienza superiore alle tue corna oggi stesso. Nondimeno, i tempi stanno per cambiare, e noi abbiamo preso una decisione.
Tutti i nostri clan lasceranno Delta domani, con il pretesto di recarci a esplorare i confini ultimi dell’ammasso stellare di cui facciamo parte. In realtà per …”
“Per sfuggire alla guerra d’aggressione che Vega il Grande sta preparando in segreto, conflitto che attirerà i nostri mondi nella catastrofe.” terminai io.
“Esatto, figliola.” Disse afferrandomi delicatamente le spalle con le mani.
“Lo studio dei Misteri non si concilia con la violenza e la distruzione. E tu?” mi chiese guardandomi con aria preoccupata, “Tu che farai?”
“Rimarrò accanto ad Haruck. Quando verrà la guerra, il suo senso del dovere e la sua indole gentile si troveranno in conflitto. Spero di poterlo aiutare a mediare il dovere con la giustizia.”.
“Sapevo che mi avresti risposto in questo modo. Lasceremo nello spazio impronte eteree del nostro passaggio, in modo che tu possa raggiungerci.”.
“Grazie, Maestro, ma vi raggiungerò soltanto con Haruck al mio fianco”.
“E sarà il benvenuto, Ferafel, ” disse il Gran Custode con un sorriso, “tuo marito è un uomo dal grande cuore, ed è amato dagli animali. E chi è amato dagli animali, è il prediletto dei Misteri. Tuttavia, se avessi bisogno di un luogo sicuro, sappi che ho lasciato provviste e quant’altro potrà servirti alla Grotta della Folgore.”.
Ringraziai il mio maestro e lo salutai con calore, augurando buon viaggio a lui e alla mia stirpe. Speravo di non aver bisogno di altro rifugio che non fosse la mia casa, ma intuivo che non sarebbe stato così.
Questione di mesi, e Vega il Grande iniziò la sua guerra. E Delta, vincolata da un patto di ferro, dovette coadiuvarlo.
Nel preciso momento della dichiarazione di guerra, Haruck indossò l’arma d’ordinanza per il suo clan.
Il Fantasma Vermiglio, questo il nome del guanto rosso che all’altezza del polso recava gli spuntoni di ossodiamante, che riproducevano fedelmente le corna della stirpe guerriera, lungo fino al gomito che celava attorno alla fila di spuntoni l’arma catena, di graniacciaio, che terminava con una sfera. Il graniacciaio era un metallo che fondeva solo ad altissime temperature, talmente denso, che pesava un chilo per grammo.
Haruck tornava a casa da ogni missione con un’espressione mesta, e con le ombre di mille orrori che si agitavano nei suoi occhi. La notte si svegliava urlando preda d’incubi terribili.
Allora prendeva in mano il guanto da guerra, che poteva togliere solo nella propria casa e solo la notte, e faceva il gesto di sbatterlo con forza sul pavimento, poi calava il braccio con calma, e lo posava di nuovo sul comodino.
“Haruck …”
“Non dire niente, Fera, ti prego …” mi zittiva guardandomi con occhi imploranti e poggiandomi delicatamente un dito sulle labbra. “E’ il mio dovere, non posso sottrarmi.”
Allora scostava le lenzuola con gesto iroso, e schizzava a sedersi sulla sponda del letto, con le gambe penzoloni.
“Non posso sottrarmi …” mormorava prendendo la testa fra le mani.
Allora io mi avvicinavo e mi appoggiavo contro la sua schiena, senza proferir parola, finché il sonno non lo vinceva seduto com’era. Allora usando il potere dei Misteri lo facevo levitare, ed egli a mezz’aria si rilassava, distendendo ogni muscolo. Poi lo riadagiavo sul letto, e appoggiavo la testa al suo torace.
Ciononostante venne il giorno in cui il cuore di Haruck sembrò essersi spento. Non aveva più incubi, e uccidere non gli creava più nessuna emozione.
Questo era troppo.
Potevo accettare che per noi non ci fossero più passeggiate nelle notti che Delta Maggiore riempiva di bagliori aranciati. Potevo accettare che non ci fossero più baci rubati a ogni occasione. Potevo accettare che fosse tanto sconvolto da aver dimenticato cosa fosse una carezza, e per essere mio marito nel reale senso della parola.
Il suo animo era lacerato dalla guerra, e lo capivo. Potevo accettare che eseguisse il suo dovere malvolentieri. Potevo accettare che non potesse sottratti ai giuramenti fatti. Potevo accettare di lenire la sua pena ogni notte senza che lui se ne accorgesse, manipolando i Misteri e togliendo dalla sua anima l’angoscia del giorno, mentre dormiva il sonno artificiale procurato dagli infusi che, per concedergli il sollievo di qualche ora di sonno, dovevo somministrargli.
Un bel giorno, Haruck non si tolse più il Fantasma Vermiglio. I suoi occhi erano cambiati, erano duri e privi d’espressione. Non occorreva interrogare i Misteri per capire che si era abituato all’orrore di spegnere vite.
No, questo non avrei mai potuto accettarlo.
La cerimonia pubblica con cui il mio mondo celebrò i fasti della guerra mi sconvolse. I complimenti delle autorità per l’eroica condotta in battaglia di mio marito, la deferenza con cui ero trattata per il mio mantello … e l’ovazione che si levò dalle bocche di migliaia di deltis quando Haruck, chiamato dal Presidente del nostro mondo salì sul palco, elegantissimo nell’alta uniforme. Il manto era fermato da una fibbia stilizzata a forma di pasir, e recava lo stesso colletto a due punte di sempre, ma in più aveva una parte rigida a copertura delle spalle, che all’attaccatura delle braccia si rialzava a formare due piccole ali appuntite mentre la stoffa cadeva in morbidi drappeggi a coprire la schiena.
Era bellissimo e imponente, con i nostri due pasir domestici posati sulle spalle, aggrappati al mantello. Sentii il mio cuore accelerare i battiti. Poi il Presidente posò Delta Maggiore con doppio nastro, la più alta onorificenza militare del nostro mondo, che riproduceva il cuore incandescente di Delta Maggiore e i suoi raggi rossi e arancio, al collo di Haruck.
A un cenno del Presidente, la folla fece sentire la sua ovazione. I pasir presero il volo, diretti verso la nostra casa. Canti inneggianti alla guerra, il nome di mio marito urlato a squarciagola, applausi …
Eppure il volto del festeggiato non partecipava a tanto giubilo, la sua espressione era composta e dignitosa … ma a me che lo conoscevo bene sembrava anche melanconica.
Forse era il momento giusto. Forse poteva capire.
Aspettai pazientemente la conclusione degli interminabili festeggiamenti, e del viaggio di ritorno dalla capitale alla nostra dimora.
“Haruck?“ lo chiamai dolcemente. Alzò la testa, e mi fisso con espressione apatica, che ignorai. Lo condussi di fronte allo specchio.
“Guarda il tuo viso, Haruck”, dissi abbracciandolo. “E’ triste, privo di emozione. Questa guerra sta uccidendo la tua anima.”.
Lo strinsi forte, ma lui rimase rigido come un pezzo di legno.
“Amore, questo non è il posto per te.” Dissi, mentre con la levitazione compensavo la differenza fra le nostre stature, per arrivare a prendergli il viso fra le mani e fissarlo negli occhi, nella speranza di trovarci un barlume di un’emozione qualsiasi. “Questa non è la guerra per cui sei stato educato, una guerra di battaglie onorevoli dove i guerrieri si misurano l’uno con l’altro. I dischi volano radenti su pianeti indifesi, e sparano sui civili, non contro i soldati!
E quando sbarcate, vi fate largo fra la folla inerme, laser alla mano, sparando a tutti i soggetti che potrebbero opporre resistenza, come uomini e donne dai quindici ai settant’anni, incuranti dei bambini che, alle vostre spalle, piangono i genitori caduti!
Questo è massacro, non guerra!”
Haruck mi guardò, ma il suo sguardo era gelido.
“Io sono un guerriero, moglie. E un guerriero deve combattere le battaglie che a lui sono imposte. Dal mio superiore e dai suoi alleati. Tu non puoi comprendere, ” disse guardandomi con una smorfia di disprezzo che mi lasciò basita, “ … tu non sei nata guerriera, il mantello che indossi è un onore che ti è concesso in virtù del nostro matrimonio! Pertanto frena la lingua, e non parlare di cose che non capisci!”.
Il sarcasmo nelle sue parole era evidente, chissà se era rivolto alla mia stirpe o alla mia intelligenza …
Adesso la misura era colma.
“Hai ragione Haruck, non è più tempo di parole.” Dissi con tono asciutto. Senza aggiungere altro tornai a terra, mi tolsi il mantello, lo piegai e appoggiai sul tavolo, poi mi tolsi l’abito e ogni cosa che indossavo, li piegai ordinatamente e appoggiai accanto al mantello.
Gli occhi di Haruck rimasero freddi. Fino a sei mesi prima avrebbe salutato con entusiasmo questo mio comportamento. Ora non era più un uomo, ma una macchina per uccidere.
Completamente nuda, lo guardai fisso negli occhi mentre mi trasformavo in pasir, poi, sbattendo lentamente le ali per rimanere ferma in aria, gli dissi.
“Se essere tua moglie significa stare zitta mentre diventi un mostro senza cuore, Haruck, io mi prendo una pausa di riflessione da questo ingombrante ruolo. Ci rivedremo quando e se rinsavirai.”
Senza aggiungere altro, uscii volando dalla finestra.
Da lontano spiai la sua reazione. Il suo visto rimase privo d’espressione, come un automa salì le scale ed entrò in camera. Si accasciò sul letto, con ancora indosso l’alta uniforme.
Mi posai su un ramo nel frutteto che mi consentisse una buona visione di quello che accadeva dentro la casa.
Haruck rimase immobile per due giorni, immerso in un sonno catatonico che oramai mi era familiare. E per due giorni io rimasi su quel ramo, attenta a ogni movimento che proveniva dalla casa. Come pasir bastava un frutto per sfamarmi, e poi non avevo molto appetito, ero troppo preoccupata.
Finalmente Haruck si svegliò, e si tolse il manto da cerimonia. Scese le scale con passo lento, guardando le mie vesti. Si tolse il Fantasma Vermiglio, uscì dalla casa e si diresse alla bassa costruzione che ospitava i posatoi.
Di fronte ai posatoi, allargò le braccia sorridendo. I pasir si levarono in volo e si posarono sulle sue spalle, poi lungo tutte le braccia.
Erano in perfetta armonia con lui! Era ancora un prediletto dei Misteri!
Qualcosa non quadrava.
Haruck rientrò in casa. Sopra alle vesti c’era il mio medaglione, con il simbolo degli adepti ai Misteri, che avevo scordato nella mia collera e indignazione.
Prese in mano il medaglione, passò il dito indice sul bordo dello stesso per tre volte in senso orario. Il medaglione s’illuminò, e i simboli in rilievo su di esso risplendettero.
“Fera, non c’è tempo per lunghe spiegazioni” disse mentre il medaglione inviava l’immagine del suo volto preoccupato nella mia mente, e la sua voce calma, ma incrinata dall’emozione rimbombava nelle mie tempie.
“Qualsiasi cosa accada non tornare in questa casa se non in forma di predatore notturno fra una settimana. Solo allora riprenderai il tuo medaglione, ma t’imploro, non portar via nient’altro di personale, neppure i pettini. Ho istruito i pasir per fare il maggior fracasso possibile quando verrai, così i veghiani penseranno a una bestia affamata.”.
“I Veghiani? Cosa c’entrano i veghiani?” pensai. Haruck continuò.
“Non avvicinarti più a me, per nessun motivo, mai più. E, per le stelle compagne, trasformati in un animale che non sia un pasir, cambia forma spesso, ma mai un pasir! Rimani in forma animale finché la guerra non sarà finita, non fidarti di alcuno, né su Delta né altrove …
Non tentare di raggiungere la tua stirpe, rimani nascosta su Delta. Un grave pericolo ti minaccia, devi essere prudente!”.
Improvvisamente mi sentii osservata, e alzando lo sguardo vidi che Haruck mi stava guardando. Un latrato risuonò lontano.
La voce di Haruck era calma, ma udendo quel latrato, spalancò gli occhi in uno sguardo atterrito, e di nuovo tramite il medaglione comunicò con la mia mente.
“Fera, mia Fera, so che sei il pasir sull’albero di moramele … cambia forma, immediatamente! Fai presto Delta Minore, sei in pericolo!”.
Gli obbedii. Le piume grigie e azzurre svanirono in un minuscolo turbine, e poco dopo, al posto del pasir, un sibari nero dagli occhi gialli si leccava le zampe, mollemente adagiato su alcune piume di pasir.
Haruck passò di nuovo il dito sul bordo del medaglione per tre volte in senso antiorario. Il medaglione tornò a essere una spessa lamina d’oro istoriata. Accertatosi che lo seguissi con lo sguardo, andò in cucina e gettò il medaglione nel barattolo della semola, si assicurò che fosse ben nascosto e badando che vedessi bene il meccanismo d’apertura, pose il barattolo in un doppio fondo della credenza, mettendo sul ripiano un altro barattolo di semola.
Poi prese le mie vesti, le cacciò in un secchio e lo calò con una corda in una botola segreta del pavimento.
La mia attenzione fu attratta da due chiatte gravitazionali, una sorta di mezzo di terra adatto a trasportare merci e persone. Entrambe si avvicinavano alla massima velocità, e si fermarono nel nostro cortile.
Haruck indossò lesto il Fantasma Vermiglio, sorrise rapidamente al sibari sull’albero, poi la sua faccia assunse la smorfia altezzosa e crudele delle ultime settimane.
Sulla prima chiatta gravitazionale c’erano il suo superiore diretto, l’ambasciatore veghiano - un medico tristemente noto per i suoi esperimenti sui prigionieri di guerra - e un manipolo di soldati armati fino ai denti.
“Comandante Hydiris!”
“Signorsì, Signore!”, rispose l’interpellato sbattendo i tacchi e mettendosi sull’attenti.
“Siamo venuti a prendere vostra moglie. Dovrà rispondere della scomparsa delle astronavi Misteriche dai radar veghiani. Inoltre dovrà mettersi al servizio delle armate congiunte di Vega e Delta!”.
“E’ fuggita, Signore!” rispose rimettendosi sull’attenti.
“Fuggita? E com’è possibile?”
“Mi ha drogato, ho dormito per due giorni e al mio risveglio era sparita!”
“Frugate la casa!” disse l’ambasciatore veghiano ai soldati. Solo allora mi accorsi che i soldati erano veghiani, e non deltis.
Frugarono la casa, senza approdare a nulla.
Dopo aver frugato per ore, furono costretti ad andarsene, con gran dispetto dell’ambasciatore di Vega.
A Haruck rimaneva solo più un giorno di licenza, e lo trascorse svolgendo le solite attività. Nutrì i pasir e li liberò, in modo potessero provvedere da soli al proprio sostentamento, e chiuse gli accessi ai posatoi.
Nel cuore della notte scomparve nella botola del pavimento, con un pacco sotto il braccio.
Il sibari è un predatore notturno dall’udito sopraffino. Mi bastò seguire i deboli rumori che Haruck produceva, e per gli occhi gialli del felino, la notte era chiara come il giorno.
Da una tana abbandonata entrai nel sottosuolo. La botola dava su un lago sotterraneo, che proprio sotto di essa, formava una piscina naturale dove l’acqua era bassa. Il secchio era lì.
Haruck si spogliò e si tuffò nel lago. Nuotò per qualche tempo, quasi compisse un rituale. Uscì dall’acqua, e si diresse verso il secchio. Tirò fuori i miei indumenti, vi sprofondò il volto, stringendoli a sé spasmodicamente. Poi li piegò ordinatamente, ne formò una pila che coprì con il secchio capovolto.
Aprì l’involto che aveva portato con sé. Conteneva una diafana, le tute antiradiazioni sottilissime che erano l’unica protezione che poteva essere indossata da Haruck e i suoi commilitoni durante i viaggi spaziali. Iniziò a indossarla, e allora mi resi conto che questa diafana era diversa … era rinforzata … si preparava a lasciare Delta per sempre!
Infine indossò il Fantasma Vermiglio e risalì le scale che portavano alla botola.
Ero stata cieca di nuovo! Il Gran Custode mi sopravvalutava, non meritavo certo il riconoscimento della sapienza superiore!
Mi aveva di nuovo salvato la vita, sottraendomi alle grinfie dei veghiani …
Seguii per filo e per segno le sue istruzioni. Cambiai forma spesso, e la notte stabilita entrai in casa per prendere il medaglione, apparentemente seguendo i pasir che, al mio apparire, erano entrati dall’abbaino. Per rendere il tutto più verosimile, fracassai non solo il vaso della semola, ma misi a soqquadro l’intera cucina, in modo che fosse evidente il passaggio di un animale in cerca di cibo.
Poi lasciai la casa, entrai nella grotta dalla tana, tornai umana e indossai la biancheria intima e l’abito, lasciando il mantello sotto il secchio.
Ricorrendo ai Misteri cambiai il mio aspetto, la foggia e colore della veste, lasciai la grotta da un ingresso secondario che avevo scoperto durante le mie esplorazioni in forma animale e mi recai alla Grotta della Folgore.
Avevo seguito le istruzioni di Haruck alla lettera, finora.
Su un punto, però, non avevo la minima intenzione di dargli ascolto.
Indossai una tuta per i viaggi spaziali, prelevai del denaro, e usando una pallaporta, un generatore di forma sferica di portali a corto raggio, mi trasferii sull’altro emisfero di Delta, in una zona adibita ai servizi cargo per le truppe.
Presi un’astronave monoposto, facendo comparire tra le mani dell’attonito proprietario denaro pari al suo valore, e sparii dagli schermi radar e dalla vista di tutti.

Mi aveva detto di non avvicinarmi più a lui … ed io lo avrei seguito da lontano.
Sapevo che la peculiare struttura cellulare di noi deltis, la stessa che permetteva alla mia stirpe di cambiare aspetto o trasformarci in animali avrebbe attirato l’attenzione dei veghiani, e non mi stupii quando il Ministro Zouril si mise a cercare volontari fra gli abitanti del mio pianeta. Tuttavia non immaginavo che Haruck si sarebbe offerto volontario per il progetto e sottoposto all’irradiamento volto a miniaturizzarlo per inviarlo in missione sulla Terra.
Assistetti, grazie alla manipolazione dei Misteri, a ogni fase dell’operazione. Infine vidi Haruck entrare nel laboratorio per sottoporsi al trattamento finale, avvolto nell’alta uniforme.
Quando il ministro gli offrì la realizzazione di una statua da porre su Delta, come riconoscimento per il proprio successo, Haruck chiese che fosse messa in una piazza dove ci fossero molti pasir.
Il Ministro e il Comandante Supremo Gandal si stupirono di quella richiesta.
Io sola sapevo il perché di una scelta tanto insolita.
Bisognava tornare indietro di due anni, nella nostra casa su Delta. Pensavo a cosa indossare per la cerimonia in cui sarebbe stato insignito di Delta Maggiore con doppio nastro, e come ogni donna che deve vestirsi per un’occasione importante, rivoltavo l’armadio.
Avevo già scelto l’intimo: un completino che per me aveva un significato speciale. Haruck me lo aveva regalato per il nostro primo anniversario, e aveva fatto creare un decoro composto di un anello, che aveva dentro, fermata da due piccole saldature, una perfetta riproduzione, in metallo e cristalli colorati, di una piuma di pasir. Tre anelli in tutto, uno al centro del reggiseno e due ai lati dello slip. Mancava solo un abito in tinta …
Quando avevo recuperato i miei vestiti nella grotta sotto la nostra casa, avevo notato che le piume di pasir erano state staccate dagli anelli.
Dal modo di stringere la mano guantata, mentre si toglieva il mantello per sottoporsi al procedimento di miniaturizzazione, affermando ridendo che i pasir gli erano molto simpatici, mi parve chiaro che aveva nascosto le tre piume nel Fantasma Vermiglio, perché erano abbastanza piccole da permettergli d’indossare il guanto senza fastidio.
Haruck soffrì moltissimo durante il procedimento di riduzione biologica, e limitarmi a guardare fu per me una sofferenza ancor più grande …
La Terra … una gemma blu che Vega il Macellaio voleva per la sua collana, e sarebbe stata sua se fosse riuscito a distruggere Grendizer, l’unico ostacolo che si frapponeva ai suoi sogni di conquista.
Perché miniaturizzare Haruck?
Ebbi presto la mia risposta. Haruck non solo era stato miniaturizzato, ma reso in tutto e per tutto simile a un bambino terrestre.
In preda ad un presentimento, mi recai anch’io sul pianeta Terra. Provai un tuffo al cuore quando vidi la trasformazione di Haruck, ancor più quando lo vidi nutrire un piccione, animale molto simile al nostro pasir.
Piccioni, pasir ... cosa sono i nomi in fondo? Definizioni diverse per realtà spesso simili.
Il piccione mangiava senza paura dalle sue mani, esattamente come i pasir del nostro allevamento.
Haruck si voltò al sopraggiungere di un bambino terrestre dagli occhi e capelli scuri. Dal suo viso mutato dalla trasformazione, non trasparì nessuna emozione … ma io non potei evitare di pensare che, se non ci fosse piombata addosso questa folle guerra, nostro figlio o figlia avrebbe avuto solo di un paio d’anni in meno rispetto al bambino terrestre.
Rimesso il piccione nella gabbia, si allontanò con la solita andatura marziale, che neppure la miniaturizzazione poteva attenuare.
Haruo Hideura … sorrisi quando, manipolando l’azoto dell’atmosfera in modo che mi trasmettesse ogni suono con la massima fedeltà, sentii la maestra pronunciare quel nome terrestre … non c’era molta differenza rispetto al nome vero, Haruck Hydiris …
Quella gentile donna terrestre, pensando che Haruo abitava poco lontano dalla fattoria di Goro Makiba, lo condusse accanto al bambino che avevo visto quella mattina, e come prima aveva esortato tutti i bambini a fare amicizia con lui, ora esortò Goro a essere un buon amico per il nuovo arrivato.
Dopo un attimo d’imbarazzo Goro salutò e ringraziò Haruo per aver sfamato il piccione quella mattina … Haruo sorrise, ed era un sorriso spontaneo, non parte dell’inganno di Zouril, e quando il piccolo gli propose di essere amici, afferrò la sua mano.
Non pensò alla differenza di temperatura corporea fra gli abitanti di Delta, riscaldato da una stella blu e la Terra riscaldata da una stella gialla, e neppure che il piccolo avrebbe sentito la sua mano come fredda e viscida …
Quel bambino evidentemente gli era simpatico … e mi chiesi se anche lui non stesse pensando che avremmo potuto avere un figlio solo di un paio d’anni più piccolo.

Seguii tutta la sua operazione sotto copertura … manipolai l’ossigeno dell’atmosfera, in modo che mi riflettesse, come una lente, anche a grande distanza, ogni azione di Haruck …
Vidi la sua faccia sconvolta quando il ministro Zouril gli suggerì di servirsi del piccione per spiare il centro spaziale, e quando scese nei dettagli, proponendo di trasformare il piccione in un robot al suo servizio, vidi la sua collera repressa … avrebbe strozzato Zouril se solo lo avesse avuto tra le mani.
Buon segno, buon segno … evidentemente al mio obbediente soldatino gli ordini dei veghiani cominciavano ad andare stretti …
Tentò in tutti i modi di sottrarsi a quell’ordine, affermando che lo scopo principale era distruggere Grendizer, e il Centro di Ricerche Spaziali poteva essere facilmente distrutto da un mostro guerriero inviato allo scopo …
E, con mia enorme sorpresa, pregò Zouril di risparmiargli quel compito, sostenendo che il loro scopo era di eliminare Grendizer, e per questo potevano inviare un mostro galattico!
Zouril fu irremovibile. Prima di attaccare Grendizer dovevano scoprire il suo nascondiglio.
Vidi Haruck piegato a terra, tenersi la testa fra le mani, lacerato da quell’ordine ineluttabile, al quale non poté sottrarsi.
Dovette uccidere il piccione, e inserire nel suo corpo una sottile bacchetta … essa era il cuore di una ricercata tecnologia cibernetica, conoscenza esclusiva del nostro pianeta, che senza ledere organi e tessuti, attivava in qualsiasi corpo privo di vita connessioni meccaniche che si fondevano con il sistema nervoso dell’ospite, rendendolo, di fatto, un robot, ma nell’apparenza e nei comportamenti, indistinguibile da un essere vivente …
Quando Goro, recatosi il mattino dopo a nutrire il piccione, trovò la gabbia vuota, gli altri bambini ebbero dei sospetti, e affrontarono Haruo … ma il piccolo Goro prese le sue difese, addirittura scusandosi con lui.
Lealtà. Forse l’ultima virtù guerriera che poteva ancora fare appello al suo cuore.
Infatti, Haruo si alzò, e senza dire una parola abbandonò la classe correndo. Sapevo bene che, quando agiva così, qualcosa lo tormentava. Allora aveva bisogno di correre, lanciato a quella velocità incredibile che solo il suo clan poteva raggiungere.
Tuttavia la lealtà di Goro non era abbastanza da farlo ribellare agli ordini.
Vidi il piccione modificato partire dalla capanna, situata su una zona brulla piena di alberi morti, e andare a posarsi sul tetto del Centro Spaziale.
Haruck fece rapporto. Gli fu annunciato l’invio di un mostro spaziale. Dalle vibrazioni del campo gravitazionale della Luna scoprii che il mostro si chiamava Delta … a volte i Misteri sembrano farsi beffe del nostro piccolo intelletto …
Improvvisamente il piccione non trasmise più. Haruck si piegò in due sul pavimento per le fitte di dolore, chiaro segno che il periodo di miniaturizzazione stava per terminare.
Intanto Goro si avvicinava alla capanna … vidi un doloroso stupore nei suoi occhi quando, quasi davanti alla soglia, trovò alcune piume di piccione. Il segnalatore di movimento e calore emise il suo insistente bip-bip, e Haruck, come nella sua indole, andò ad affrontare a faccia a faccia l’intruso, aprendo la porta con tale vigore che gettò a terra il povero Goro che stava discretamente spiando l’interno tramite un buco in una trave …
Al piccolo terrestre certo il coraggio non mancava … affrontò Haruck chiedendogli il motivo dell’uccisione del piccione. Haruck soffriva, ed era sincero, quando gli disse se gli avesse spiegato il motivo, non avrebbe potuto capire … quando il bimbo gli porse un’ocarina a forma di piccione, che gli aveva portato per dimostrargli che era sempre suo amico, il mio cuore ebbe un tuffo. E quando gli disse che non doveva spiegargli nulla, se proprio non se la sentiva, che doveva aver avuto un buon motivo, sentii i miei occhi inumidirsi di lacrime.
Anche Haruck era commosso, perché non riusciva a guardare in faccia Goro. Il dolore si fece più intenso, e spingendo via in malo modo il bimbo che cercava di soccorrerlo, gli disse che non sarebbe dovuto andare da lui e sarebbe stato opportuno si fosse scelto un altro amico, che lui non poteva essergli amico, e che ora avrebbe visto cosa era in realtà. Non lo avrebbe più lasciato andare via …
Di fronte ad un piccolo terrestre spaventato, Haruck riprese le sue sembianze.
Si presentò, dicendo al bimbo terrorizzato chi era e il suo pianeta di provenienza, aggiungendo che Goro era stato così buono con lui, che gli dispiaceva ucciderlo.
Al tempo, mio distruttivo gigante … a costo di dare fondo a tutte le mie facoltà di manipolazione del Mistero, non ti permetterò di torcergli un solo capello …
Haruck stava dicendo a Goro che avendo scoperto la sua vera identità, non gli avrebbe permesso di andare via.
Lo sollevò con una mano per i vestiti, mentre il piccolo si dimenava. Era arrivato il momento d’intervenire.
Usando l’azoto dell’atmosfera terrestre per trasmettere i suoni direttamente all’interno del suo orecchio, gli feci udire la mia voce.
“Haruck …” Egli si bloccò con il braccio sollevato, mentre il piccolo continuava a dimenarsi e a ordinargli di lasciarlo.
“È piccolo ma coraggioso, merita il tuo rispetto. E la tua benevolenza.”
Avrei potuto ordinargli di posare il bambino a terra, di lasciarlo andare … ma essere una praticante dei Misteri m’impediva d’imporre la mia volontà agli altri, anche se ne avevo piena facoltà.
Haruck portò Goro nella capanna, e lo legò ben stretto – badando tuttavia a non fargli male - a uno dei pali di sostegno.
Nonostante la sorpresa, il piccolo terrestre non aveva perso nulla del suo spirito combattivo, e cercava in ogni modo di sciogliersi dai nodi …
Bene, molto bene … il coraggio del piccolo terrestre gli avrebbe salvato la vita. Nella stirpe guerriera il coraggio, soprattutto in brutte situazioni, a disparità di forze in campo, era considerato il segno distintivo degli eroi che sarebbero entrati nella leggenda.

Ogni tentativo di prendere contatto con il robot spia fu inutile. Ad aggiungere beffa al danno, Zouril strepitò dal comunicatore, dando a Haruck dell’incapace, la notizia che Grendizer era entrato in azione.
Haruck lo ascoltò a spalle curve, stanco, e quando il Ministro infuriato gli disse che distruggere Grendizer era la sua unica possibilità di riscatto, egli parve sollevato, dicendogli che era il compito che preferiva.
Un dubbio si affacciò insistente alla mia mente, lo stesso che avevo avuto quando si era offerto volontario per il progetto di Zouril … che stesse cercando la morte?
Non era quello, purtroppo, il momento per pensarci. Lo sguardo crudele che Haruck lanciò a Goro fu tale che mi gelò il sangue. Goro capì, e gli disse che allora lo voleva proprio uccidere.
Era il momento che aspettavo per agire.
Quando Haruck, con aria turbata avvolse Goro e le corde che lo imprigionavano nella catena di graniacciaio, dicendogli che era costretto a farlo, era la sua missione, comunicai con Goro.
“Chiedigli del piccione. Allora non è vero che gli piacevano”.
Haruck cominciò a stringere la catena, ma senza convinzione. Lo avevo visto usare quell’arma in allenamento, quindi sapevo che non faceva sul serio. Buon segno.
Difatti Goro aveva ancora fiato per parlare, e per porre la domanda che gli avevo suggerito.
Nondimeno quando Haruck rispose “no, è la verità, almeno allora era la verità” senza accennare a sciogliere la stretta mortale, capii che dovevo giocare il tutto per tutto. E barare.
Avrei chiesto perdono ai Misteri più tardi.
Usando tutti gli elementi dell’atmosfera terrestre, non solo azoto e ossigeno, ma anche idrogeno e argon, avrei proiettato un ricordo della mia mente davanti agli occhi di Haruck. E non avrebbe solo visto e udito, ma anche percepito con gli altri sensi.
In un istante, Haruck rivisse un istante della nostra intimità, rivide il mio viso a pochi centimetri del suo, mentre gli sorridevo a occhi semichiusi, sentì il mio profumo, il rumore del vento fuori dalla finestra, le mie mani che lo carezzavano e il gusto di una bacca di spinarosa che avevo prelevato da una coppa e gli avevo posto in bocca.
Una coppa di bacche di spinarosa e ghiaccio era posta nella camera degli sposi la prima notte di nozze.
Il ricordo svanì, e davanti a Haruck ci fu solo Goro che lo guardava a occhi spalancati per il terrore, ma che con coraggio gli chiedeva, anzi gli comandava di dirgli perché aveva ucciso il piccione.
Haruck finalmente sciolse la stretta e si rialzò. Le mani gli tremavano mentre raccontava al bambino che allevava piccioni sul suo pianeta, ma che la guerra aveva cambiato tutto quanto. Senza la guerra avrebbe potuto continuare ad allevare piccioni, ma prima di rendersi conto si era trasformato in un essere privo di scrupoli, pronto a uccidere senza esitazione. Aveva trasformato i pasir deceduti di morte naturale dell’allevamento o quelli morti nelle foreste della tenuta in robot-bomba e li aveva lanciati contro le astronavi nemiche. Gli raccontò la farsa dell’essere stato chiamato eroe e dell’esser perfino stato decorato.
Sorrisi mestamente ricordando quella cerimonia.
Improvvisamente Haruck era di nuovo preda della collera, disprezzando la propria debolezza, e avvolse con la catena il palo, proprio una decina di centimetri sopra la testa di Goro.
Allora ordinai ai muscoli della mano di Goro di rilassarsi. L’ocarina a forma di piccione che il piccolo teneva in pugno cadde sul pavimento, ed io pilotai la sua caduta perché cadesse proprio davanti ad Haruck.
Avevo barato ancora.
Haruck guardò l’oggetto a occhi spalancati. Aveva l’espressione sbigottita di chi si sveglia improvvisamente da un incubo.
Feci in modo che il segnale di autodistruzione dell’avamposto entrasse in azione.
“Haruck, liberalo, ti prego … non è un guerriero, e non è neppure un adulto. Fallo tornare dai suoi genitori.” Feci di nuovo risuonare la mia voce nel suo orecchio.
Haruck avvolse il piccolo con la catena per l’ennesima volta.
Guardò con apprensione il segnale d’allarme.
Stavo preparando una contromossa, quando il suo viso si torse in una smorfia d’orrore.
“Non posso farlo, mi ripugna …” disse, e afferrato un pugnale, tagliò le corde che imprigionavano il bambino.
Goro lo guardò stupito. Il volto di Haruck era madido di sudore. Gli intimò di andarsene, perché quel segnale indicava che di lì a pochi minuti la capanna sarebbe esplosa.
“Corri, piccolo, non temere … qualcuno verrà a prenderti”, feci di nuovo risuonare la mia voce, questa volta nell’orecchio di Goro. All’insaputa di tutti avevo guidato sua sorella verso la capanna.
Haruck sollevò l’ocarina dal pavimento. Richiamò Goro, poi prese l’ocarina e la strinse con la mano guantata.
“Buona fortuna, amico mio!” disse.
Respirai di nuovo a pieni polmoni, dopo tanto tempo.
Hikaru arrivò nell’istante successivo all’esplosione della capanna e lo chiamò. Goro vedendola corse ad abbracciarla.
Sorrisi. Sapevo tutto di loro.
Toccai il mio medaglione, mentre le mie corna s’illuminavano:
“Misteri eterni, custodite queste vite ancora in boccio. Fate che tornino sani e salvi dal loro padre, e proteggeteli per il tempo a venire.”.
Il cavallo che Hikaru aveva portato con sé nitrì, spaventato dall’improvviso comparire di Haruck che ignorando i due corse al punto di recupero. Delta lo prelevò.
Intanto Grendizer sopraggiungeva.
Una volta sul disco, Haruck attivò i poteri del suo corno anteriore, che s’illuminò. Il comunicatore esterno entrò in funzione senza bisogno di toccarlo. Disse al pilota di Grendizer che aveva permesso a Goro di mettersi in salvo, e lo sfidò apertamente a battersi con lui.
“Hai detto la verità. Sono pronto. Posso sapere il tuo nome?”
Haruck si presentò. Secondo quanto stabilito dalle regole universali d’ingaggio, questo sanciva l’inizio dello scontro.
Con le braccia conserte, osservavo ogni movimento dei due.
I due mezzi meccanici si scagliarono uno contro l’altro. Iniziò una danza selvaggia di attacchi e parate, di cui non m’importava nulla. La mia attenzione era per i piloti, non per le armi.
Haruck sfidò Grendizer a uno scontro ravvicinato. Era il suo stile. Si combatteva sul serio solo quando si rischiava il tutto per tutto.
Lo amavo anche per questo suo coraggio … sebbene ogni volta rischiasse di lasciarmi vedova.
Aveva trovato un avversario davvero degno di lui. Uno che aveva saputo distruggere le corazze protettive di quell’enorme melizi – animale molto simile al pipistrello terrestre – solo che, al posto degli artigli acuminati che il melizi aveva alla seconda articolazione delle ali per arrampicarsi sui tronchi lisci degli alberi in cerca di larve sotto la corteccia, aveva due orrende falci con catena.
Il pilota di Grendizer era giovane, e malgrado il suo valore, ben presto si trovò in difficoltà di fronte ad un veterano come Haruck. E quindi non gli restò che ricorrere all’astuzia.
“Non può essere un eroe chi uccide i piccioni!” gli gridò mentre era imprigionato nel mortale attacco delle falci fiammeggianti di Delta.
Haruck perse la concentrazione e sospese l’attacco.
Era il momento che il pilota nemico stava aspettando per far contrattaccare il suo Grendizer.
L’azione fu fulminea, e il mostro Delta si trovò distrutto proprio nel momento in cui Haruck credeva di aver vinto.
Io ero pronta.
“Corona”, ordinai.
Haruck vide nella sua mente dei piccioni in volo.
L’alabarda spaziale finì la sua opera, sventrando completamente Delta e tornò al suo proprietario, che vide esplodere il robot.
Il pilota di Grendizer sollevò la visiera per rendere omaggio, secondo le regole del duello universale al nemico caduto, dicendo fra sé e sé: “Quell’essere amava realmente i piccioni. Chiunque ama gli animali non può essere tanto malvagio. Mi dispiace di essere stato costretto a battermi con lui.”.
Chiuse gli occhi e chinò la testa in segno di saluto. Poi voltò il robot e ammirò un volo di piccioni selvatici.
Sorrisi. Leggere nella mente di quel giovane mi aveva mostrato che, nonostante le brutture della guerra, la sua indole non si era guastata e conosceva il valore del rispetto. Questo lo rendeva degno della mia benevolenza.
“Fe … Fera? Ma com’è possibile?”. Disse una voce pigolante alle mie spalle.
“Ben trovato, vita mia, ” dissi voltandomi. Una sfera d’energia di un bianco abbagliante, con riflessi colorati stava lentamente sopraggiungendo. Al suo interno, c’era un pasir.
Volsi lo sguardo al cielo. “Grazie, Stella Sol.” Dissi inchinandomi verso il Sole.
In quello stesso istante, la sfera mi raggiunse, si dissolse e depositò il suo contenuto nelle mie mani.
“Cosa?” disse il pasir.
“Ho appena ringraziato la stella di questo pianeta. È una stella nana, proprio come il nostro sole, ed è stata molto buona con noi … secondo me esiste una sorta di sorellanza fra le stelle nane … devo parlarne al Gran Custode.”, dissi al pasir.
“Cosa ci fai qui Fera? Ti avevo detto di non avvicinarti più a me!” Il pasir si drizzò sulle zampe, poi incominciò a svolazzare. Finalmente consapevole della sua metamorfosi, mi disse sbigottito:
“Cosa mi è successo?”
Lo afferrai come lui stesso mi aveva insegnato anni prima.
“Haruck, mio caro, non hai nulla di che lamentarti. Non mi sono mai avvicinata a te prima di questo istante. Riguardo alla tua metamorfosi, i Misteri ti hanno trasformato nell’ultima cosa cui stavi pensando quando ho ordinato il rito … e ti hanno condotto a me. Se non erro stavi pensando a dei pasir in volo, pochi istanti prima che il robot Delta esplodesse, no?”.
Haruck si posò sulle mie mani, e rimase per alcuni secondi con il becco spalancato.
“Sì.” Ammise, e volò sulla mia spalla.
“Non temere, ” dissi voltando la testa verso di lui. “non è per sempre. Giusto il tempo di raggiungere la mia stirpe. Il Gran Custode ha molta stima di te, ” alzai un dito e glielo porsi. Egli ci si aggrappò. “I Misteri sanno che non volevi nuocere al piccione terrestre, e come ti sei opposto a Zouril. Il piccione ti ha perdonato.” Mentre parlavo, cercavo qualcosa con lo sguardo. La trovai, e sorrisi.
“Comunicazione sottile”, ordinai.
L’immagine semitrasparente di un piccione si materializzò proprio nell’ultimo punto in cui stavo guardando. Tesi l’altra mano, ed egli ci volò sopra e si aggrappò a un dito. Lo avvicinai a Haruck. Il piccione tubava, e gli occhi di Haruck erano spalancati. Poi svanì.
“Mi ha perdonato davvero …” disse Haruck sbigottito.
Poi ripiombò nel silenzio. Non sapendo bene cosa fare continuai a parlare, mentre mi dirigevo verso l’astronave monoposto.
“Ferafel …” mi disse all’improvviso.
Ahi, quando mi chiamava con il nome completo, c’era qualcosa di serio nell’aria.
“Sì, caro?”
“Senza infrangere i tuoi giuramenti, puoi dirmi l’età approssimativa del pilota di Grendizer? Si vedeva che era stato ben addestrato, era lucido, freddo, ma non era un soldato di mestiere. E poi i tempi di reazione …”
“Non ha ancora vent’anni, Haruck.”
Gli occhi del pasir si spalancarono, e iniziò a sbattere le ali.
“Ora capisco quegli ordini assurdi … mirare a qualsiasi soggetto dai quindici ai settant’anni! Come, come ho potuto essere così cieco!”
Svolazzò davanti al mio viso, obbligandomi a fermarmi.
“Tu lo avevi capito! Hai cercato di avvertirmi! Ed io stolto, non ti ho ascoltato!”
Si posò sulle mie mani aperte.
“Sono solo uno sciocco soldato che non ha voluto credere che i superiori potessero essere tanto meschini!”
Lo presi delicatamente fra le mani, e mi diressi correndo verso l’astronave monoposto, stringendolo al petto.
“Ho trascinato in guerra dei ragazzini …” disse con un pigolio soffocato.
Lo conoscevo bene, sapevo che stava piangendo, in silenzio, appoggiato a me, il capo nascosto sotto l’ala.
Giunta all’astronave e salita a bordo, la attivai mentalmente.
“Miraggio, ” ordinai.
Invisibili a tutti, ci allontanammo dalla Terra. Mi appoggiai comoda allo schienale e chiusi gli occhi, continuando a tenere Haruck fra le mani.
Non so per quanto tempo rimanemmo così. Poi, sentii che il suo respiro era tornato regolare, ma rimasi con gli occhi chiusi, aspettando che recuperasse la solita sicurezza.
“Fera?”
“Sì, tesoro?”
“Ecco … fino a che punto arrivano i tuoi poteri?”
Questa volta fui io a guardarlo a bocca aperta per alcuni istanti, poi risposi.
“Non li ho mai misurati, a dire il vero.”
“Puoi proteggerli Ferafel? I ragazzini che io e i miei commilitoni abbiamo stoltamente trascinato in questa guerra! Affronterò qualsiasi pena Misteri riterranno commisurata alla mia colpa!” Mentre diceva questo, Haruck sbatteva le ali, finche non iniziai a carezzargli il dorso.
“Ti dirò che stavo pensando anch’io a quei ragazzi. Riguardo al resto, quando avremo raggiunto il Gran Custode, rimetteremo la cosa nelle sue mani. Ora vediamo cosa posso fare.”
Materializzai un piccolo posatoio accanto al quadro comandi, e Haruck vi prese posto.
Invocai la materia oscura, costituente invisibile a occhio nudo del nostro universo, nonostante ne costituisca l’83 per cento della massa. Ben presto fu come se un velo scuro mi coprisse.
Pensai a tutti i ragazzi che, nell’intero universo, primo fra tutti il principe Duke Fleed, erano coinvolti nella guerra d’espansione di Vega.
Pronunciai mentalmente la formula del rito, poi aprii gli occhi e il velo si dissolse.
Nessun Misterico aveva tentato tanto prima d’ora. Sorrisi a Haruck,
“Vieni qua, ” gli dissi. Egli svolazzò fino a raggiungere le mie mani.
“Sono custoditi dai Misteri, ora. Non posso rivelarti altro.”
Haruck volò sulla mia spalla, e si aggrappò alla tuta, esattamente come avrebbe fatto un pasir domestico.
Presi in mano la barra di volo e iniziai a cercare le tracce eteriche che ci avrebbero condotto alla mia stirpe.
 
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