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Racconti a più mani per la Cronologia: GREN vs il Generale Nero, Amon114,Isotta72

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isotta72
view post Posted on 15/4/2010, 17:12     +1   -1




Ufo Robot Grendizer contro il Generale Nero

di AMON114 e ISOTTA72


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“Daisuke! Daisuke!”
Goro correva. Il sorriso stampato sul volto.

Correva incontro a quel giovane, il figlio dell’astronomo, il ragazzo che era ormai diventato parte integrante della fattoria, e della sua vita.
Era stato proprio Genzo Umon, il direttore del Centro Ricerche, a portarlo lì, un giorno qualunque. E da allora era rimasto.
Da quel momento Umon aveva cominciato a far visita presso la fattoria più spesso di quanto usasse fare, con grande gioia di suo padre Danbei, che oltre ad aver acquisito un lavorante in più, aveva molte più occasioni per prenderlo d’assalto con le sue folli domande sugli spaziali.

Daisuke era un ragazzo taciturno e solitario, che però trovava sempre un minuto per lui, quando la sorella Hikaru era troppo impegnata nelle faccende di casa ed il padre aveva la testa persa nel suo personalissimo mondo di Ufo.
Era sicuro che l’avrebbe ascoltato.

“Calmati Goro. Cosa succede? Perché strilli tanto?”
“ Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta! Daisuke, finalmente l’ho visto!”

“ Chi, cosa?” Gli chiese continuando a raccogliere il fieno.

“ Mazinger Z! Il robot! Tornando da scuola col pulmino è volato proprio sopra di noi!
Ero rimasto l’unico in tutta la mia classe a non averlo visto da vicino. Avresti dovuto vederlo, è enorme, possente .. E’ bellissimo Daisuke! Bellissimo!”

Il giovane non distolse lo sguardo dai covoni, e l’entusiasmo si spense sul volto di Goro.

“Ma come, non mi ascolti?” chiese deluso, le braccia lungo i fianchi.

“Lo sai che non sono interessato a questo genere di cose, Goro” rispose freddamente il ragazzo.

Goro ormai considerava Daisuke come un fratello maggiore.
Rimase a guardarlo mentre inforcava il fieno con vigore, e si accorse che la sua espressione era cambiata.
Il suo viso era diventato teso, pallido, gli occhi assenti e non era la prima volta che succedeva.
Non era nuovo ai suoi cambiamenti di umore.
C’erano delle cose che lo facevano incupire: nella migliore delle ipotesi diventava serio, come in quel momento, nella peggiore scappava da qualche parte, con la moto, o con uno dei cavalli. Spariva per ore.
Una di queste cose era Mazinger e la guerra in corso contro il Dott. Hell.
Si diede dello stupido.

“ Ti senti bene Daisuke?” chiese preoccupato il ragazzino..
“ Si, sto bene, non è nulla” rispose asciugandosi la fronte
“ Vai a casa, da bravo, raccontalo a tuo padre, vedrai che lui sarà molto interessato alla tua storia, io…lo sai Goro che…”

“ Lo so. Lo so, non preoccuparti. Dovresti riposarti un po’ lo sai? Sembri molto stanco.”
“E’ tutto a posto, davvero! “ gli rispose con un sorriso forzato.

Il piccolo Goro si allontanò correndo verso casa, il suo entusiasmo sembrava non essere stato minimamente intaccato.
Meglio così, pensò Daisuke tra sé e sé.
Gli spiaceva non condividere la sua eccitazione, era affezionato a quel bambino.
Riprese a lavorare con ancora più lena.
Sfiancarsi, dare fondo a tutte le energie, per crollare la sera, e non avere nemmeno la forza per pensare, era uno dei modi che aveva trovato per andare avanti.

C’erano ancora delle cose che gli facevano male.
E doveva starne alla larga.
Certi eventi, certe situazioni, gli procuravano ancora dolore.
Angoscia, se non addirittura panico, di cui non si era più liberato dalla sua fuga da Fleed, e contro cui combatteva, con caparbietà, da allora.

Era passato un anno dal suo arrivo sulla Terra, e aveva lentamente risalito il baratro, grazie al padre adottivo che gli aveva curato le ferite del corpo e dell’anima, grazie agli abitanti della Fattoria, quella gente semplice e cordiale che lo aveva accolto con spontaneità e calore.

In alcuni momenti era talmente sicuro di essere Daisuke, il fattore dei Makiba, che Vega, Fleed, la guerra, l’invasione, la sua fuga, Grendizer, sembravano appartenere ad un’altra dimensione, a quella degli incubi, a quella delle sue notti tormentate.
Ma non era la sua vita. Non più.

Alieno.
Aveva sentito Umon chiamarlo così con uno degli assistenti del Centro Ricerche.
Che vuol dire altro, diverso, estraneo.
Questo gli aveva detto imbarazzato alla sua richiesta di spiegazioni.
Quella parola lo aveva ferito.
Anche se era vero, maledettamente vero.
Un’altra lingua, altre usanze, esperienze diverse, ma non era solo quello. Ora sapeva che anche sulla Terra, come all’interno della Nebulosa del Centauro, esistevano razze che differivano per questi elementi.
Ma c’era di più: il corpo, la mente..

Ma non era più così.
Lo aveva voluto con tutte le sue forze.
Non era più Duke Fleed, l’alieno.
Aveva fatto il possibile per non usare le sue capacità, fisiche e psichiche.
Le aveva relegate in fondo alla memoria, dimenticandosele, alla fine.
Aveva ricominciato a vivere.
Forse il primordiale istinto di sopravvivenza lo aveva aiutato.
Sicuramente Genzo lo aveva aiutato.
Era scappato. Era un traditore, un codardo. Non aveva combattuto.
Che fosse successo perché non ne aveva avuto le possibilità importava ben poco.
Di questo era convinto al suo arrivo, e i sensi di colpa lo stavano uccidendo.
Non riusciva nemmeno a parlare, nei primi tempi lo stomaco era talmente stretto che non era il non conoscere la lingua, il vero ostacolo, era il nulla che sentiva dentro, a congelare le sue parole.

Poi, pian piano.. Genzo gli aveva scaldato il cuore. Con pazienza e fermezza lo aveva convinto che c’era ancora una possibilità, per lui, che poteva convivere con i suoi demoni. Aveva imparato a conoscerli e ora facevano un po’ meno paura.
Era quasi sempre così. Quasi.

Quella guerra lo turbava profondamente.

Quando era arrivato sulla Terra, in Giappone lo scontro era al suo apice.
Uno scienziato tedesco, lo spietato Dottor Hell, sottoponeva la nazione a violenti attacchi ad opera dei suoi mostri meccanici.
In contrapposizione agli attacchi, il governo giapponese aveva a propria disposizione un Robot potentissimo che da solo riusciva a tener testa all’intero esercito di Hell: Mazinger Z.

Le Tv nazionali erano diventate una sorta di Reality Show, mostravano a tutte le ore le battaglie in ogni loro particolare, e ogni volta veniva colto da forti attacchi di panico.
La violenza, in qualunque sua manifestazione, lo urtava nel profondo.
Quando i Makiba si riunivano in sala, la sera, davanti alla Tv, lui preferiva accomiatarsi. Oramai si erano abituati e non lo prendevano come un atteggiamento maleducato.
Se ne andava in cima alla collina, sotto la sua quercia, dove gli unici rumori erano il fruscio delle foglie, l’ululare del vento, ed il canto delle stelle.

Lì stava bene.

Erano ormai tre anni che la guerra tra Hell e Mazinger Z andava avanti, ed ora a detta dei media lo scontro era quasi giunto all’epilogo.
Ultimamente gli attacchi dello scienziato si facevano sempre meno frequenti, Hell sembrava aver esaurito il suo arsenale.
Ogni tanto si vedeva volare Mazinger Z, ma erano per lo più manovre di addestramento, proprio come quel giorno.
Il robot spesso volava basso e salutava i civili, come un divo.
Duke pensava che il pilota dovesse essere un eccentrico pallone gonfiato, non condivideva quegli atteggiamenti, una macchina da guerra è pur sempre uno strumento di distruzione, non si doveva andare fieri di ricorrere allo scontro, mai, nemmeno quando era a fin di bene.
Suo padre gli aveva insegnato che la violenza anche a scopo difensivo rappresentava comunque una sconfitta, e non era motivo di vanto.
I suoi genitori.. giacevano insepolti tra le rovine del Palazzo, il tempo avrebbe fatto scempio dei loro corpi, così come quella guerra devastante aveva fatto con l’intero suo pianeta.


Un tremendo boato sopra la fattoria, Duke alzò gli occhi. Mazinger z stava volando sopra la sua testa.

I ricordi di Fleed si accavallarono nella sua mente alle immagini del robot che distruggeva i mostri meccanici..il rombo dei motori gli fece girare la testa.. ecco, stava per perdere il controllo un’altra volta.
Ormai sapeva come sarebbe andata a finire, si appoggiò al muro della stalla, in preda alla nausea, si lasciò cadere in ginocchio, cercando di far entrare aria nei polmoni.


Il peggio ormai era passato, ora aveva bisogno di rilassarsi un po’.
Faceva caldo, andò in cucina per prendere qualche cosa da bere.
Hikaru stava preparando la cena, gli sorrise distrattamente, mentre canticchiava il motivetto che trasmettevano alla radio.

Si sedette al tavolo della cucina, cercando di concentrarsi sul suo tè al limone, e sul movimento ritmico del coltello che affettava le verdure.

Corrugò la fronte sforzandosi di pescare nella sua memoria.. ”ma quello è un kyriu o un nasu? Boh..”
Aveva assimilato tanti di quei concetti e di vocaboli, per non parlare di esperienze in quei mesi, che ogni tanto gli sembrava di scoppiare. E nonostante questo ancora faceva figure pessime, che nemmeno la storiella dell’adozione di un profugo di un qualche paese lontano e sconosciuto poteva giustificare.
Solo il fatto che Umon fosse persona rispettabilissima e inattaccabile vestiva di precaria credibilità la bugia sulle sue origini.

Ad alcune centinaia di chilometri di distanza, su una delle terrazze della Centrale Foto Atomica, altri cinque ragazzi ballavano spensierati al ritmo dello stesso motivetto.

La musica si interruppe per un comunicato urgente. Hikaru andò ad alzare il volume:

“Interrompiamo le trasmissioni radio per un importante comunicato delle autorità militari.
Un esercito di mostri meccanici sta attaccando numerose capitali in tutto il mondo. Attaccano dal mare, dal cielo e dalla terra.
La popolazione è invitata a mantenere la calma ed evacuare secondo i piani di sfollamento prestabiliti. L’esercito sta prendendo posizione per le strade di Tokio, dove è atteso nei prossimi minuti l’arrivo di un attacco in forze.
Ripetiamo: la popolazione è invitata mantenere la calma e raggiungere i propri rifugi.”

Daisuke si alzò di scatto, lasciando cadere la seggiola alle sue spalle.
“Sembrava fosse finita” mormorò Hikaru. Quando si voltò il ragazzo era già sparito.

Sulla terrazza ormai deserta della Centrale Foto Atomica la radio gracchiava solitaria.

Divorò la decina di chilometri che separavano la fattoria dal Centro Ricerche, il cuore in gola.
Era riuscito a far orecchio da mercante a quegli eventi, facendoseli scivolare addosso, per sopravvivere, fino a quel momento.
Ma questa volta c’era di più. Lo sentiva.
Lo sentiva..
Era riuscito ad addormentare i suoi e.s.p., perché ora tornavano a martellargli il cervello come una squadra di carpentieri al lavoro?

Arrivò sul piazzale del Centro Ricerche, abbandonò la moto e si precipitò nella sala controllo.
Umon era in piedi, di spalle all’entrata, parlava al telefono.
Una rapida occhiata al figlio che gli si era avvicinato, un cenno di saluto con la mano, e continuò la conversazione.

“Capisco, Gennosuke. Ma cosa te lo fa credere?”
Annuì, era visibilmente preoccupato.

“Si, ricordo.. il Professor Juzo Kabuto aveva parlato di qualcosa del genere, ma non credevo che fosse…Si, speriamo, speriamo davvero..”

Daisuke sembrava una statua di sale. Ascoltava la conversazione senza capirci un gran ché.
Umon gli rivolse uno sguardo, prima di rispondere di nuovo.
Vide l’espressione angosciata del figlio, quegli occhi da animale braccato che sperava di aver cancellato per sempre, era pallido, le occhiaia profonde.
Crollò il capo.

“No, Gennosuke, questo no. Mi dispiace. Non posso farlo, davvero, io non..
Sapevo che avresti capito, amico, ti ringrazio, credimi, mi dispiace, mi dispiace davvero.. Arrivederci e buona fortuna”
Umon chiuse la comunicazione.

Daisuke si fece avanti:

“ Padre, alla radio, attaccano di nuovo.. con chi eri al telefono?” il tono di Umon non gli era piaciuto.

“ Il Professor Yumi, un caro amico dei tempi dell’Università di Tokyo.” Rispose, cercando di non tradire la sua preoccupazione.

“ Non sapevo che fossi in contatto con lui. Se non sbaglio è il direttore della Centrale Foto Atomica, la base di Mazinger, parlavate dell’attacco,vero?”

Genzo Umon annuì:
“Lo conosco da anni, eravamo entrambi allievi del Professor Kabuto ai tempi dell’Università. “

“Il Professor Kabuto?” chiese Daisuke

“Si, Juzo Kabuto. Era una delle menti più brillanti del Giappone, dobbiamo a lui la scoperta dell’energia Foto Atomica, e soprattutto la progettazione e la realizzazione di Mazinger Z.
Subito dopo l’Università io, Yumi e Kenzo Kabuto , il figlio del professore , abbiamo collaborato per un po’ di tempo alla ricerca sull’energia Foto Atomica.
Sono stati anni incredibili, ho imparato tanto da quell’esperienza”
Umon tacque per un istante, perso nei ricordi.

“Cos’è successo in seguito, padre?”

“Un incidente, un terribile errore in un esperimento, dove persero la vita Kenzo e sua moglie.
Fu una tragedia. Lasciarono due bambini piccoli.
Juzo cambiò, divenne schivo, taciturno, passò i primi anni dopo la morte del figlio rinchiuso nel suo laboratorio.
Dopo la morte di Kenzo, Yumi ed io prendemmo strade diverse: io mi specializzai nella ricerca spaziale, lui continuò gli studi sospesi da Kabuto.
Qualche anno dopo venni a sapere che Juzo era finalmente uscito dal suo isolamento ed in collaborazione con Yumi era riuscito a creare il Generatore Fotonico…poi è iniziata la guerra contro Hell, e Juzo perse la vita. Il resto lo conosci.. il pilota di Mazinger Z è il primogenito di Kenzo.”

“E riguardo l’attacco? C’è qualche cosa di nuovo, vero? Cosa ti ha chiesto Yumi, padre? Cosa hai dovuto rifiutargli?”

“Nulla Daisuke, non preoccuparti”
Umon era teso, cercava in ogni modo di non lasciar trapelare la sua angoscia, sapeva che il figlio aveva una sensibilità superiore alla norma, e che era difficile nascondergli gli stati d’animo.

”Questo tuo amico, padre, sa di me?”
Umon abbassò gli occhi.
Daisuke si avvicinò e gli appoggiò le mani sulle spalle, cercando il suo sguardo:
“Sa di me?”

“E’ uno dei miei migliori amici, fu lui ad avvistare per primo la tua scia quando entrasti nel sistema solare: i suoi radar sono addirittura più sofisticati di quelli dell’esercito, e sempre allerta per eventuali attacchi dei mostri meccanici di Hell.
Mi chiamò, voleva un mio parere sulla natura di quell’oggetto che si avvicinava a gran velocità. Lanciammo l’allarme per allertare l’esercito. Ti seguimmo per un po’, ma ad un certo punto la scia svanì, ti eri come dissolto..

“No, la cortina antiradar di Grendizer..” replicò Daisuke

“Esatto..ma non potevamo immaginarlo. Eravamo assolutamente certi che di qualunque cosa si trattasse, si fosse disintegrata all’ingresso dell’atmosfera.
La notte stessa, non riuscivo a dormire, salii nella sala controllo, ed il resto lo sai.
Non me la sono sentita di tenerglielo segreto.
Devo molto a lui come collega, come uomo, e poi, avevo bisogno di condividere questa cosa con qualcuno che capisse, ma che al contempo fosse riservato al di là di ogni ragionevole dubbio. Ci è stato utile, tra l’altro, fu lui a rassicurare l’esercito sul fatto che fosse una falsa intercettazione, un errore, un abbaglio. La sua credibilità è enorme, e tutti si dimenticarono in fretta della faccenda.”

Daisuke ascoltava con attenzione, aveva pochi ricordi di quei giorni, e molto confusi. Era rimasto semi-incosciente per buona parte del viaggio, e le prime ore dopo l’arrivo erano ancora un turbinio isterico di immagini sfocate.

Ma Umon non gli aveva ancora risposto. C’era qualche cosa che lo metteva a disagio, la richiesta di Yumi, sicuramente.

La conferma subito dopo: Umon cercò di nuovo di mettersi in contatto con la Centrale Foto Atomica.
Questa volta la linea era molto disturbata, e Umon mise il viva voce per riuscire a capire meglio.

“Purtroppo la mia ipotesi è confermata, Genzo, la natura di questi mostri è differente, o Hell ha cambiato strategia, oppure siamo di fronte ad una nuova minaccia!” Yumi gridava, il frastuono di sottofondo copriva in parte la sua voce

“Cosa succede, Yumi?”

“Stanno attaccando la Base Foto Atomica, Mazinger è già uscito, sta volando verso Tokio: in Giappone stanno attaccando su due fronti, qui e sulla capitale. Ma il Mazinger è uno, non potevo evitare di lasciare la Centrale sguarnita. Ci rifugeremo nei sotterranei, e che Dio ci protegga. Sono molti, e feroci..Genzo..”

Un nuovo boato interruppe la comunicazione.

Genzo chiuse il viva voce.
Questa volta le lacrime velavano i suoi occhi.

“Il video collegamento con Tokio, presto!” disse cercando di scuotersi.

“Dottor Umon! Guardi le immagini!”
Hayashi aveva indicato lo schermo. Inquadrava un dirupo dove un folto gruppo di mostri guerrieri si stava accanendo contro un impotente Mazinger Z.

Daisuke fissava lo schermo, era sconvolto..
I mostri meccanici alternavano gli attacchi, ma le risposte di Mazinger erano inutili, le armi di quel potente robot non servivano a scalfire nemmeno la determinazione di quel nuovo, feroce esercito.

“La natura di questi mostri è differente” aveva detto Yumi prima che le comunicazioni si interrompessero. Era trasalito, pensando a Vega, ma non era così.

Non erano mostri meccanici, avevano qualche cosa in più, come se agissero per volontà propria, non comandati da un pilota. Erano incredibilmente coordinati tra di loro, agivano secondo una strategia precisa e condivisa. Ed erano potenti, spaventosamente forti.
Il pilota del Mazinger sembrava disorientato, reagiva con lentezza, subendo colpi su colpi.

In quell’istante uno dei mostri lanciò un grosso tridente che colpì in pieno addome il Mazinger, penetrando nella potente lega come se fosse burro.
Il contraccolpo sbalzò il robot contro la parete di roccia.
Mazinger smise di muoversi, accasciandosi come una bambola di pezza.

Non poteva restare fermo. Non poteva lasciare che succedesse..
All’interno di quel robot c’era un terrestre, un uomo che per difendere la sua gente stava rischiando la vita.
Inevitabile che il suo pensiero andasse a quanto era successo a Fleed: anni di diplomazia e passi falsi avevano gettato nel baratro la nebulosa, avevano portato allo sterminio del suo popolo. I terrestri avevano reagito immediatamente, prendendo di petto il nemico, arginandolo. Aveva sbagliato nel giudicarlo: aveva di che vantarsi, quel ragazzo. Poteva essere fiero di se stesso.

I mostri si preparavano ad accanirsi di nuovo su Mazinger, mentre le immagini delle capitali in fiamme scorrevano sugli schermi in una danza infernale, alternandosi nella sua mente ai ricordi di quell’ultima, terribile notte: morte, distruzione, l’aria rovente, carica di fumo e di combustibile, il cielo infuocato, che lasciava cadere la coltre radioattiva a coprire il pianeta come un enorme sudario.
Le immagini di quella devastazione, che diventavano sempre più lontane e sfocate, mentre lui si allontanava, prigioniero di quella macchina che ora odiava, che non lo lasciava combattere, che non lo lasciava morire.
Poi aveva perso i sensi.

Guardò Mazinger, lo sguardo fisso sul cristallo del pilder: un ragazzo, nella sua tuta da combattimento.. l’immagine si offuscò lentamente per trasformarsi nella sua, vedeva se stesso, in quell’abitacolo, il corpo come paralizzato, la frustrazione, l’impotenza.
E sangue, sangue ovunque..

Daisuke crollò in ginocchio, il capo tra le mani
“ No!”, un grido carico di tutto il suo strazio.

Umon si avvicinò al figlio, e si accovacciò a fianco a lui, gli accarezzò i capelli, sollevandogli il viso: sembrava tornato indietro ad un anno prima, stralunato, lo sguardo assente, un’espressione vuota, intravedevi schegge di follia.

“Non posso lasciare che muoia” mormorò.

“No, non puoi farcela.” Rispose Umon, con fermezza.
“Non sai quanto vorrei aiutare Yumi e la sua squadra, ma tu non sei pronto, non ce la puoi fare, non sei in grado di affrontare una battaglia”

Solo una settimana prima si era accasciato tra le sue braccia al passaggio di uno stormo di caccia sopra al centro ricerche.
Quel ragazzo era convalescente, e chissà quanto ci sarebbe voluto, ancora.

“Padre” Duke si alzò in piedi a fatica, facendo leva sulle braccia di Umon
“Non posso scappare di nuovo. Non deve succedere ancora..”
Si avviò barcollando verso l’uscita della sala controllo, la porta scorrevole si aprì

“Non farlo Duke! Non puoi farcela! “ Umon tentò di fermarlo, ma il ragazzo continuò il suo cammino, avrebbe combattuto questa volta..

“ Duke. Non farlo. Morirai!”

Daisuke si voltò a guardarlo:
“Dovrei già essere morto”
e si diresse verso Grendizer


Il casco non lo sopportava, se ne liberò immediatamente.
Grendizer era vigile, in attesa di istruzioni.
Cercò di concentrarsi.
Cercò la sintonia.
Con quell’agitazione addosso, il robot non avrebbe risposto.
L’equilibrio era alla base di tutto
“Controlla te stesso, e controllerai Grendizer” gli avevano detto durante gli addestramenti.
La sua anima era come una casa in cui erano passati i ladri, lasciando i cassetti aperti e gli oggetti rovesciati sul pavimento.
Come poteva pensare di dominare il cervello artificiale del robot?
Provò di nuovo.
Non poteva perdere tempo in quel modo, quel ragazzo rischiava di morire.
Un’emicrania terribile, da fargli scoppiare il cervello.
Grendizer non reagiva.
Maledizione! Ma cosa ne era stato di lui?
Anni d’addestramento, a stringere i denti, per cercare di dominare quella macchina.
Solo in quel momento si rendeva davvero conto di quanto fosse diventato fragile, e debole: era l’ombra di se stesso.
Reagì rabbioso, piantando i pugni sulla cloche.
Il pensiero andò alle ultime immagini del Mazinger che cedeva sotto i colpi dei mostri, ed un’angoscia bruciante gli salì dallo stomaco.
Doveva essere tutto finito, ormai, doveva essere tardi.

E sia, maledizione!

Avrebbe seguito l’ultima strada possibile.
I comandi mentali potevano essere esclusi. Era un sistema di emergenza per permettere di manovrare il robot nel caso in cui il pilota non fosse stato in grado di farlo.
Ma in quel modo Grendizer non poteva usare alcuna arma. Escludere il sistema cognitivo significava anche non poter in nessun modo passare all’offensiva.
Ma Grendizer era una macchina imponente. Si sarebbe scagliato addosso a quei mostri spazzandoli via, se non fosse riuscito a fare altro.
Sarebbe stata la fine, ma sempre meglio che ripiombare nel buio dei rimorsi e dei sensi di colpa.
Sentì una nuova determinazione sgorgare da dentro.
Si asciugò le lacrime che gli offuscavano la vista con il palmo della mano, e cominciò la procedura di esclusione dei comandi mentali.

“Daisuke, tutto a posto?”

Trasalì, Grendizer aveva agganciato la frequenza della sala di controllo.

“Daisuke, fermati, non è più necessario, guarda lo schermo!”

Il fleediano accese il monitor di Grendizer: in cima al dirupo una figura maestosa si stagliava nel cielo diventato cupo, illuminata dalle scariche dei fulmini : un nuovo Mazinger dall’aspetto ancora più imponente.
I fulmini, ridirezionati da mosse sicure del robot, colpivano il drappello di mostri che cadevano come mosche.

Daisuke guardò la mano appoggiata su un pannello della plancia.
Solo in quel momento si accorse che stava tremando.

Non c’era più bisogno di lui.

Mollò la tensione.

Ebbe la sensazione che anche Grendizer tirasse un sospiro di sollievo.
La testa girava, la vista si offuscò, si abbandonò sul sedile, la voce di Umon che lo chiamava sempre più distante.
Perse i sensi.

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Edited by isotta72 - 2/6/2010, 22:57

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