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TsurugiTetsuya FF Gallery - solo autore, solo autore

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view post Posted on 13/2/2018, 12:50     +2   +1   -1
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Filologo della Girella

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Sarà che la primavera è alle porte, fatto sta che ripensando a una certa canzone m’ha preso la malattia di Stella di Fleed.

Apice della guerra contro Mikene, Fortezza delle Scienze.
Nell'alto di sala controllo, Tetsuya; in terrazza, a vista sotto di lui, Jun; davanti a entrambi, come il Golfo di Catania la Baia di Suruga: mare, scogli, paeselli, e a lato anche qui un vulcano; non d’arancio ma di ciliegio i petali all'aria s’affidano, come pensieri inconfessabili a lettere immaginarie e così, paro-paro, del nostro eroe si leva il canto….






MI VOTU E MI RIVOTU

Mi votu e mi rivotu suspirannu
passu li notti ‘nteri senza sonnu.
E li biddizzi to' iu cuntimplannu
li passu di la notti ‘nsinu a jornu.
Pi tia nun pozzu ora cchiù durmìri
paci nun havi cchiù st’afflittu cori.
Lu sai quannu ca iu t’haiu a lassari:
quannu la vita mia finisci e mori.
Palumma ca camini mari mari
ferma, quannu ti dicu du paroli
quannu ti pinnu ‘na pinna di st'ali
quannu fazzu 'na littra a lu me amuri;
li littri ti li mannu a tri a dui
risposta ca di tia nun haiu mai.
O chi si persi la carta pi vui
o puramenti scriviri nun sai.
Mi votu e mi rivotu suspirannu
passu li notti ‘nteri senza sonnu.

MI GIRO E MI RIGIRO

Mi giro e mi rigiro sospirando,
passo le notti intere senza sonno.
E contemplando le tue bellezze
le ripenso nella notte fino al giorno.
Per te ora non posso più dormire,
pace non ha più questo afflitto cuore.
Lo sai quando io ti lascerò:
quando la mia vita finisce e muore.
Colomba che procedi sul mare
fermati, quando ti dico due parole,
quando ti strappo una penna dalle ali
per scrivere una lettera al mio amore;
le lettere te le invio a tre e a due
con risposta che da te non ho mai.
O forse che si è persa la lettera per voi,
oppure scrivere non sai.
Mi giro e mi rigiro sospirando,
passo le notti intere senza sonno.

Per cantarmene quattro: https://gonagai.forumfree.it/?act=Post&COD...2981448#preview

Edited by TsurugiTetsuya - 20/1/2020, 22:02
 
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view post Posted on 10/3/2018, 16:33     +1   +1   -1
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30. OLTREOCEANO.

Politecnico di New York, alloggi universitari. Sabato, ore 09:00 a.m.

Un’altra settimana densa di lezioni era terminata e tra gli studenti decisi a mettere a frutto il week-end c’era anche lui, matricola che a una certa miss tra poco avrebbe proposto un po’ di jogging in the park, seguito da un saporito fast food e poi da una seratina at the drive in, dove vicini under the moonlight… Chissà?
Curioso: sbarcati dall'aereo che li aveva trasferiti nel Nuovo Mondo aveva cominciato a vederla sotto tutta un’altra luce, accorgendosi davvero di quanto fosse graziosa, e desiderabile. Sapeva di piacerle, semplicemente si trattava di…
Due colpetti alla porta - Eccola!
Precipitatosi ad aprire:
- Good morning!
- Come, ancora in pigiama?!
- Eh? Ah, sì, stavo giusto per cambiarmi, ma…
- Ti ricordi, vero, che ci siamo dati appuntamento per studiare??
- Ehm, certo… te l’ho proposto io! Dai, entra, mi vestirò in un attimo – tanto, era pronta la sorpresa che con un gesto del braccio fu subito presentata: per il breakfast time, ecco la tavola del suo mini-appartamento attrezzata con due robuste taniche, una di vitaminico orange juice e l’altra di sano milk alla più lunga conservazione in cui affogare abbondanza di cornflakes, con accompagnamento di confezionate slices of bread generosamente spalmate di peanut butter e dell’immancabile litro di american coffee in caldo nell'apposito apparecchio, mentre al fornello le uova in compagnia di bacon e di hotdogs altro non aspettavano che d’essere strapazzate, e l’effetto sull'ospite fu grande:
- Ooh, ... Hai deciso di morire giovane?

Era riuscita a dire “sì” al solo succo d’arancia, un goccio nel bicchiere e: “Basta, basta, grazie”...
Il minuto servito per indossare una tuta e per tornare di là, invece, a lei era bastato per sgombrare parte del tavolo, facendo spazio al libro e agli appunti che già la impegnavano… Per contro, il suo pensiero tornò immediatamente ai quotidiani che il gentile professor Watson settimanalmente gli procurava e che da ben due giorni lo attendevano là, sul tavolino accanto alla poltrona…
- Sai, ho qui una copia dello Yomiuri, una dell’Asahi e anche una del Japan Times. Da quale preferisci cominciare??
Schiena dritta, sguardo chino e penna tra le dita, lei:
- Da nessuno dei tre, grazie, perché al momento sto studiando inglese, come dovresti fare anche tu.
- Vero, ma prima di tutto io sento il dovere di aggiornarmi su quel che accade al nostro paese: dammi ancora un attimo e poi comincerò a studiare anch'io, okay??
Sollevata la testa, sognanti gli occhioni color nocciola di sotto l’ampia frangia l’avevano fissato proprio come se fosse trasparente, irrimediabilmente assorti nello studio... Chi tace acconsente! – ed eccolo, in poltrona, quotidiano sulle ginocchia ad aprirne i grandi fogli croccanti e fragranti di stampa:
- Allora, vediamo come se la cavano i no…
- Silence please. – ammonì lei dal tavolo e lui ammutolito dovette procedere al vaglio degli articoli, da quelli di politica nipponica interna ed estera, sino alla cronaca in cui, voltata un’altra pagina…
- Hey, senti questa! “Pilota del Gurēto Majingā aggredisce giornalista”!!
Così, alla studentessa toccò d’interrompersi, per ascoltare il trafiletto… che infine il lettore commentò:
- Sentito?! Pazzesco: ha malmenato quel tale, solo per aver cercato d’intervistarlo!
- Beh, non un bel gesto… – considerò lei, ripensando a non molto tempo addietro, quando presso una misteriosa struttura protetta dal mare era stata accolta, insieme a suo padre… – Ma sai come sono i reporters: pur d’ottenere un servizio farebbero di tutto; ne sappiamo qualcosa, ricordi?
Con la mente allora, anche lui tornò indietro, di circa due anni, a quando il perfido Hell era riuscito nel subdolo intento di influenzare l’opinione pubblica spingendola a schierarsi contro l’energia fotonica, rischiando di far chiudere l’Istituto, … ma:
- Che c’entra?? Nel nostro caso il problema era molto serio: proprio per aver fatto il nostro dovere abbiamo rischiato la gogna! In questo caso invece la gente non fa altro che osannare robot e pilota, guarda! - battendo con le nocche sulla carta di giornale – Qui c’è scritto che il Gurēto sarà addirittura ospite d’onore all'inaugurazione del prossimo Fuji Grand Champion!
- Oh, capisco, però… Ascolta, cerca di darti pace: per il conflitto attuale noi potremmo fare ben poco. Ti rendi conto della velocità degli scontri? Solo a vederli allo schermo ho la pelle d’oca!
Scattando dalla poltrona:
- Possibile che tu debba sempre ripetere a pappagallo tutto quel che dice tuo padre??
- Ma come ti permetti?! – cambiata espressione, anche lei s’era levata in piedi - Mio padre è una persona seria, che quando parla sa quel che dice, mentre tu - puntandogli l’indice – non sei che un fanfarone! Anzi, scommetto che da gran pavone quale sei, al posto di Tsurugi saresti già sotto i riflettori a fare la ruota per qualche marca sportiva, o magari per un dopobarba! – e detto ciò, senza più preoccuparsi dei suoi libri, rossa in faccia aveva inforcato la porta, schiantandola da far temere per l’intero pensionato…
E perché no?! – dato che col suo fisico ci si vedeva benissimo in posa atletica, vestito d’un completo di prestigioso sport-brand, esattamente come in atteggiamento seduttore a nebulizzarsi d’una trendy essenza after-shave, ma… La conosceva abbastanza: messe in discussione le opinioni di suo padre, probabilmente per giorni lei non gli avrebbe rivolto la parola - Accipicchia, che carattere! - Comunque, roba da non credere: un ragazzo come lui scaricato, condannato a trascorrere il week-end studiando per ingannare il tempo!?
- Peggio per te, sciocca, ché non sa quel che ti perdi!

Un incubo!

A sedere nel letto, madido di sudore – Ancora quell'incubo. – si ripeté sottovoce…
In missione, sul punto di sferrare il colpo di grazia all'avversario, braccia e gambe malgrado lo sforzo immane di comandarli improvvisamente si rifiutano di rispondergli, il Dottore a sbraitargli via radio di fare subito qualcosa e poi lì davanti, a chiedergli ragione del fallimento nonostante gli anni e anni di addestramento che avrebbero dovuto renderlo l’eccellente tra i piloti…

Un sogno dallo strascico che costringe ad alzarsi, per sciacquarsi il viso…

Ma faticando a riprendere sonno, sentendosi soffocare, s’alzò di nuovo, stavolta per aprire la finestra…

Notte d’inverno stellata, di mare pacifico.
Quieto e regolare, lo sciabordio ai pilastri del Centro induce i pensieri a riprendere il filo…

Alla Fortezza, probabilmente più d’uno sapeva, o per lo meno immaginava, ma dal diretto interessato mai un accenno alla questione che nessuno si sarebbe mai permesso di sollevare…
Nessuno tranne me – si rimproverò per il giorno in cui in sala radar, all'inquadratura d’un bambino prigioniero del nemico, inaspettatamente i nervi del Direttore avevano ceduto e… Come non chiedere??

“Forse un giorno te ne parlerò…”

Forse.

All'appello estemporaneo, in piedi alla finestra nel suo studio il Direttore aveva accolto i due convocati, mani allacciate alle terga, mostrando con costanza il retro del camice…

- Tetsuya, Jun. Per più di un motivo la frequentazione del Centro da parte di Shiro rappresenta un rischio da valutare attentamente. Troppe volte il nemico ha tentato di sfruttare una situazione che a questo punto è meglio vi sia chiara, perché tra il sottoscritto e quel bambino esiste una parentela diretta: per la precisione, si tratta di mio figlio. - Silenzio imbarazzato, occhiate incerte tra commilitoni, quindi la specifica: – Ora, il mio timore è che vi sentiate in obbligo di proteggere quel bambino oltre il dovuto.
Immediata la reazione di Jun: - Dottore, ma che dici?! Shiro per noi è proprio come un fratellino, è naturale che ci sentiamo responsabili di lui! - senza del tutto centrare il punto, perciò:
- Non preoccuparti, Dottore, con Mazinga procederemo sempre secondo priorità.
Allora s’era voltato, raggiante:
- Non so come ringraziarvi, ragazzi. – E poi, rabbuiato: - E' giunto il momento che io affronti questo discorso anche con il bambino.

E così, bando alle chiacchiere s’era in pratica approcciata la faccenda, ciascuno lasciando ai propri compiti, debiti come facoltativi….

Koji. Quel Koji, che in prima missione contro il nuovo più temibile avversario aveva soccorso, evitandogli la fine toccata all'edizione di Mazinga in semplice Lega Zeta. Come potesse essere ancora vivo a dispetto dell’addestramento a dir poco carente e della macchina ormai datata sotto quel sedere era stata cosa da non credere, ma ad ogni modo, prima o poi, il pilota per caso dall'America sarebbe tornato, con una laurea in ingegneria aerospaziale più titolato persino di suo nonno e di suo…

Maledizione - davanti alla finestra spalancata, il sudore gli si era gelato addosso.


Link a prevendita biglietti per l’inaugurazione del “prossimo” Fuji Grand Champion: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=270#lastpost

Edited by TsurugiTetsuya - 20/1/2020, 22:43

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Fuji_Gran_Champion

 
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view post Posted on 10/1/2019, 16:32     +1   +1   -1
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Hey, ma in questa gallery son cresciuti i rovi! Allora, tentiamo di dare una sistemata.

Col capitolo 30. avevamo lasciato due matricole universitarie agli esordi della loro preziosa esperienza di studio all'estero, mentre dall'altra parte dell'Oceano nel cuore della notte qualcun'altro si trova a rimuginare le sfaccettate implicazioni di un'imprevista rivelazione piovuta "dall'alto"...
Ed ora, ecco la volta di un intermezzo in stile "O guerra, o pace", dato che questo ha ispirato dell'anime del GM l'episodio di turno, che per ricominciare vi propino.
 
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view post Posted on 10/1/2019, 16:35     +1   +1   -1
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31. STORIE D’ORDINARIA RADIOCONVERSAZIONE.
Liberamente ispirato a “Il Grande Mazinga, episodio 23: La Marchesa Yanus, discutibile comandante”.

L’anime del GM a mio parere possiede un’atmosfera di fondo tutta sua particolare, di cui l’episodio in questione penso sia un ottimo esempio: avete presente il tono con cui Kenzo Kabuto e Tetsuya via radio sono usi comunicare in situazioni come la prima comparsa dell’Isola Vulcanica, missili nemici che a sorpresa sbucano dalle acque a rischio di abbattere il Great?! (cfr. www.dailymotion.com/video/x5q4y03, dal minuto 07:40)

Pacifico Settentrionale, fine Febbraio, Grande Mazinga in missione di perlustrazione sul mare…

- Tetsuya! Tetsuya!?
Raddrizzatosi sul sedile del Brain Condor, lievemente acciaccato l’ace-pilot alla radiochiamata risponde:
- Eccomi, Dottore - e pigiato il tasto del caso, il mezzo busto del Dottor Kabuto si materializza nel monitor di bordo, lato destro della cloche.
Kenzo: - Ah, Tetsuya, finalmente rispondi, che cosa ti è successo??
Tetsuya: - Niente, mi son distratto un attimo e il Grande Mazinga è stato centrato da un missile che penso provenisse da quell'isola vulcanica, ma dev'essere sprofondata, non la vedo più…
Kenzo: - Capisco… Ascolta Tetsuya, in tua assenza qui al Centro ha citofonato un Mostro Guerriero dicendo che vorrebbe distruggere la Fortezza. Cosa gli dico?
Tetsuya: - Non saprei, Dottore, che ore si son fatte?
Kenzo: - Mmh… - uno sguardo all'orologio di sala radar – Le diciassette e trenta, passate.
Tetsuya: - Beh, mi pare un po’ tardi per un attacco: tra un momento farà buio, manca poco all'ora di cena e poi, Dottore, lo sai anche tu che l’esplosione d’un Mostro Guerriero non è la stessa cosa senza il tramonto.
Kenzo: - Già, è vero… Allora che faccio, tiro su la barriera e dico al Mostro di tornare domani?
Tetsuya: - Ma sì, facciamo così, per sicurezza però manda anche il Centro in immersione, ché con quei vigliacchi di Mikene non si sa mai.
Kenzo: - Non ti preoccupare, qui ci penso io, piuttosto senti, ti scoccia fermarti a prendere il pane?
Tetsuya: - Perché, è finito? Scommetto che se l’è fatto fuori Shiro a merenda come al solito, ma appena torno quel marmocchio mi sentirà!
Kenzo: - Ci conto. Comunque, Tetsuya, quanto ti manca a rientrare alla base?
Tetsuya: - Mah, se adotto la procedura rapida direi dieci minuti, fai quindici col pane.
Kenzo: - Bene, allora dico a Jun di aspettare a buttare la pasta così ti diamo il tempo per una doccia calda, ma mi raccomando ragazzo, fa’ presto, ché qui abbiamo tutti una fame!
Tetsuya: - Ricevuto. Cercate di resistere, ancora un po’ di pazienza e arrivo, col Grande Mazinga!

Per frustare Shiro che si finisce sempre il pane a merenda (o per frustare me!): https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=270#lastpost

Edited by TsurugiTetsuya - 15/2/2022, 19:45
 
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view post Posted on 24/3/2019, 13:38     +1   +1   -1
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32. TRASFORMAZIONI.


... - Perché!?
- Ascolta. Sei grande abbastanza per comprendere la situazione, che è molto...
Voce incrinata:
- Perché gli avete fatto una cosa del genere!?
- Eh?! No, senti, devi sapere che lui stesso s’è offerto, e il professore…
- Il professore è suo padre!! – d’improvviso scoppia - Come ha potuto suo padre fargli questo?!?
- Cerca di calmarti, per favore, e modera i toni. Pensavo che parlartene fosse la cosa più giusta, ma evidenteme...
- Voglio vederlo!! – sragionando già punta all'uscita ma per un braccio trattenuto, deve ascoltare:
- Questo non è possibile, non ora. Cerca di capire, figliolo,…
Sottraendosi alla presa - Non chiamarmi così!! – reagisce con una rabbia da dovergli intimare:
- Ora basta! Va’ nella tua stanza e non lasciarla finché non ti sarai tranquillizzato!
Con gli occhi grigio acciaio accusando, carico d’odio da sala controllo se ne corre via.

- A tutto il personale: immergere il Centro, procedura rapida.

Portare il laboratorio al fondo era un modo per evitargli colpi di testa soprattutto in una fase tanto delicata: in quel momento, in un luogo per fortuna assai distante, il giovane omonimo si trovava alle prese coi postumi di un intervento sperimentale il cui esito sarebbe stato decisivo.


Tre giorni dopo.

Appurato che da quando erano usciti per recarsi a scuola nessuno più ne aveva avuto notizia, del Centro Ricerche aveva perlustrato ogni angolo.
Quindi, oltre alla loro assenza avendo riscontrato anche la mancanza di determinati effetti personali, della scomparsa di due minorenni s’era rassegnato a informare la polizia...


- Dovevi a tutti i costi portarti dietro il dannato orsacchiotto?!
- In verità non è un orsacchiotto. È un panda.
- Quel che è ma portatelo tu, ché nello zaino occupa spazio prezioso.
- Per me Panda è prezioso.
- L’unica cosa preziosa che abbiamo con noi è il cibo, se proprio devo spiegartelo.
- Ma senza Panda a me passa anche l’appetito!
- Togli Panda dallo zaino t’ho detto, o lo scaravento sui binari quando passa il treno!!



- Non voglio dormire nel bosco, ho paura.
- Paura di cosa??
- Paura del buio. E del bosco.
- Di buio e di bosco, che io sappia, non è mai morto nessuno.
- Vuol dire che sarò io la prima.
- Mmh!! ... Toh, tieni Panda, così t’addormenti e la fai finita.

...

- Ho freddo.
- Freddo?? Ma se si sta benissimo!
- Tu stai benissimo, io ho freddo.
- Mettiti un’altra maglia e chiuditi bene nel sacco a pelo.
- Non ho altre maglie, ho solo questa!
- T’avevo detto di prendere due maglioni!
- Me ne sono scordata.
- Ma che hai nel cervello??
- Non lo so. Però so che ho freddo.
- Mmh!!! ... E va bene, vieni nel sacco a pelo con me.

...

- Cosa ti è saltato in mente, balordo?!? – un ceffone mal calibrato e la guancia tenera s’era rotta... - Vagabondare per giorni trascinandoti una bambina, guarda come siete ridotti! Ma ora mi spiegherai cosa ti passa per quella testa, che aspetti? Parla!
- Non fosse stato per i cani, – accenno d'affronto, subito troncato da un Kenzo Kabuto fuori da ogni grazia:
- Ti sto chiedendo ragione della tua fuga, non giustificazioni per esserti fatto catturare! – indovinando quel che l’addestrando quattordicenne intendesse: braccato per i boschi del Fuji, se dai cani segugio alla fine s’era lasciato trovare era stato perché d’uccidere le povere bestie non aveva avuto cuore - Ti avverto ragazzo, questa non la passerai liscia: staremo qui, in piedi, finché ti deciderai a dirmi cosa ti è preso in quest’ultimo periodo. E vedi di fare in fretta, così che Jun non abbia a svenirci sotto gli occhi.

Ostinato, a bocca cucita s’era mantenuto, per minuti interi, durante i quali a un certo momento sul serio Jun aveva principiato a barcollare, davvero rischiando di crollare per la fame e per la stanchezza che ormai non reggeva più, sicché:
- Fa’ con me quello che vuoi - ecco sputato il rospo - ma lei lasciala stare!!
... - Che dici?! – finalmente arrivando a far luce sui pensieri che l'adolescente all'oscuro chissà da quanto tempo covava, facendosi infatti sempre più ostile - Tetsuya-kun, … - tra due dita pinzando il mento del figliolo la cui latitanza aveva tenuto ben bene sulla corda – Guardami, e ascoltami: non ti nascondo che se ne sia parlato, ma mai ho ritenuto necessario farvi quel che tu immagini. Mi credi? – fissandolo dritto negli occhi - Rispondimi! – insistendo, costringendolo a lottare, lasciandolo dibattersi contro fantasmi fin quando, strizzate le palpebre:
- Sì... - lungo le gote spremendosi le lacrime, s'era arreso.

A quel punto l’ingegnere robotico sospirando lasciò la presa, e recatosi al trasmettitore chiamò uno dei collaboratori a raggiungerlo nei suoi appartamenti; poi alla bambina s’andò a genuflettere, per valutarne le condizioni, dicendole:
- Tra poco ti ordinerò la cena. Tu intanto farai un bagno caldo, d’accordo Jun? - e sopraggiunto l’assistente, prima d’affidarsi ad altri la piccola, stravolta, aveva risposto appendendoglisi al collo...

Pizzicando, appiccicosa la guancia adesso bruciava.
- E ora, - rimasti soli, nel rialzarsi il Direttore risolse – medichiamo una ferita.

Chino nel disinfettarlo: - Prima di presentarti a tavola bada anche tu di passare sotto la doccia, – e applicandogli un cicatrizzante – ché per individuarvi non c’era affatto bisogno di cani molecolari.

Senza accorgersi all'appunto aveva riso, e del gran peso che tanto a lungo aveva sopportato, di colpo l’anima s’era ritrovata alleggerita.


Il mattino seguente.

Dopo aver ascoltato della sorte toccata al collega del Dottore e al resto della sua famiglia, pur se in fastidio aveva acconsentito alla visione del documento che Kabuto era a proporgli e, incerto su cosa da un camice di laboratorio doversi aspettare, in tensione nella meeting-room della Fortezza s’era seduto con lo spirito di chi stia per assistere a un film dell’orrore, denti stretti in attesa che la proiezione iniziasse, nel prefigurarsi spaventosa la sala operatoria dei suoi incubi rabbrividendo...

Invece, in bianco e nero di esterno un’immagine fissa, da telecamera a circuito chiuso, che in silenzio a ripetizione mostrava, al passo tutti uguali, sfilare scuri, tozzi, massicci automi, di gambe e di braccia dotati, ma in proporzione carenti di testa senza volto in marcia, rigidi, compatti, perfettamente equidistanti a riempire la via della città straniera che, per il resto, si poteva dire abbandonata...
- Dottore, ma cosa...?
- Zitto, e osserva.
Allora s’era concentrato...
E così della figura bianca di fattezza umana aveva colto l’apparizione guizzante rapida da non poterne seguire la traiettoria, ma l’istante successivo la formazione dei robot non era più ordinata e nel varco che s’era creato, c’era stata un’esplosione!? Sì, con uno spostamento d’aria da disturbare la videoripresa una di quelle macchine era saltata in pezzi, notando poi che a scomporre le fila dell’esercito meccanico qualcosa contribuiva nella mischia scattando nervoso, elegante...!

Inatteso sollievo era stato in quel quadrupede riconoscere l’intelligente Lucky: non era solo, anzi, era nella più fedele delle compagnie e inseparabili come sempre sarebbero stati, anche... - Contro chi, cioè, contro cosa combattono?
- Contro androidi come loro. O per meglio dire, simili a loro, perché non altrettanto dotati d’intelletto.
- Possono ucciderlo??
- Mmh... Non certo nel senso che intendi tu: il suo corpo ora è completamente sintetico e dunque immortale, in teoria. Ma in pratica potrebbero, - spegnendo il proiettore alle sue spalle Kabuto affermò - se riuscissero a distruggere il sistema del suo circuito centrale... - quindi scollegandone i cavi - Il che però non sarà facile, come tu stesso ti sarai reso conto. - E concentrato lo sguardo acuto in lontananza - Comunque auguriamoci che riesca nell'impresa per cui ha scelto di sacrificare la sua giovane esistenza, visto che il futuro dell’Occidente al momento è unicamente nelle sue mani.


Link a lista della spesa per la FdS (aggiungere shampoo e saponette che stan finendo): https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=285#lastpost

Edited by TsurugiTetsuya - 20/1/2020, 23:13

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Come da consueta alternanza è il turno di un capitolo di “attualità”, ove farina del mio sacco sono solo alcuni pensieri (e anche alcune reazioni) di KK così come del comandante della neocomparsa base nemica; per tutto il resto c’è: gli episodi IT :D



Liberamente ispirato a “Il Grande Mazinga” episodi 24, 25 e 26: “La grande scommessa”, “Atterraggio sulla base avanzata” e "Il Segreto del Dottor Kabuto”.

33. LA MENTE DI TETSUYA.

- Perbacco, me l’ha fatta anche stavolta! – affrettandosi all'ascensore tra sé e sé Kenzo borbotta, contrariato ma soprattutto preoccupato nel rimproverarsi: - Mannaggia, possibile che dopo tanti anni io non abbia ancora imparato, quando invece è tanto semplice? Se voglio proibirgli qualcosa devo dirgli “Sì, Tetsuya, fa’ pure”, mentre se voglio che faccia qualcosa devo proibirgliela, ovvero, l’esatto contrario che con una persona normale. – E così ragionando raggiunto il livello subacqueo della propria Fortezza, percorrendo corridoi diretto all'hangar il professore va, rimembrando le battute scambiate col figlio adottivo nell'intervallo tra i due scontri sostenuti col temibile Faràbos, sul cantiere di riparazione d’un Grande Mazinga parecchio danneggiato, appena prima che il ragazzo risolvesse di lanciarsi in una missione praticamente suicida...

- Dottore, vuoi dire che se la macchina è così malridotta è per colpa mia, ché non sono stato in grado di controllarla? – aveva chiesto nel suo tono speciale, tra il colpevole e l’accusatorio.
- Certo che no. – t’eri affrettato a rassicurarlo – Contro quel sarcofago ambulante d’un mostro guerriero persino la tua bravura, Tetsuya, può essere messa a dura prova - Quando fa così però lo strozzerei, lui e la sua mania d’autoflagellarsi quando non ce n’è motivo!
- Accidenti, – era stata la replica – il nemico è molto meno danneggiato di noi, e ci attaccherà prima che siamo in condizioni di difenderci!
- Certo che sì. – avevi convenuto - Ma mannaggia a lui: ogni tanto se ne esce con certe ovvietà che verrebbe voglia d’allungargli un manrovescio!
- Comunque, Dottore, dobbiamo sbrigarci con le riparazioni: non penserai che Venus possa tener testa a quel mostro enorme!?
- Certo che no, ma non ti preoccupare, Tetsuya, vedrai che riuscirò a riparare i circuiti del Grande Mazinga prima che ci attacchino di nuovo.
- Le armi non funzionano! – di colpo era saltato il giovanotto, di palo in frasca...
Dannazione a te e al tuo brutto vizio di far polemiche inutili! – al momento t’eri trattenuto dall’offenderlo, ma a quel punto facendone una questione di principio: - Non direi, Tetsuya: il Raggio Gamma funziona - eccome!
- Ah! - allora l’insofferente era passato a lagnarsi - Il Raggio Gamma non sarà sufficiente! - e lì, sulla balconata dell’hangar:
Adesso lo butto di sotto… Anzi no! Gli darò ragione, così vediamo:
- Hai ragione, Tetsuya, con un’arma sola non ce la potrai fare - Tie’! – e in quel modo zittitolo, verso sala controllo avevi ripiegato, colà dal quel tormento pensandoti al sicuro... Per scoprire che proprio lì ti attendeva, impaziente nel battere un piede a terra istantaneamente riattaccando:
- Dottore, a che punto sei col Grande Mazinga?? Il radar sta segnalando un oggetto in avvicinamento, certamente è il mostro guerriero!!
Mό gliele suono! – E-ehm, purtroppo, per le riparazioni occorre più tempo del previsto.
- Ma non avevi detto che era cosa da poco?!? – irriducibile t'aveva rinfacciato, pure incollerito, e così esaurita la pazienza:
- Per Bacco e per Diana, Tetsuya, è colpa tua!! – l’avevi investito – Ché con tutte le tue chiacchiere hai il potere di mandarmi in confusione, oh!!
- Bene, allora io esco col Grande Mazinga così com'è! – dell’incosciente era stata la sensata conclusione, e finalmente:
Ah, ecco dove vuole arrivare! – avevi compreso – A tutti i costi vuole uscire col Grande Mazinga rattoppato alla bell'e meglio, solo per il gusto di far spuntare i capelli bianchi a un cyborg, facendo anche di tutto per ottenere il mio benestare, ma stavolta non l’avrà vinta: - No, Tetsuya! – severo t’eri imposto - Te lo proibisco nel modo più assoluto: uscendo col Grande Mazinga in questo stato finirai per farti ammazzare!!
- Ma se non intervengo subito, Venus sarà distrutta!
Calma, Kenzo, calma... - Tetsuya, sentiamo: come penseresti di cavartela col solo Raggio Gamma??
- Userò anche il Pugno Atomico! – lì al momento di sana pianta s’era inventato.
- Ma come?!? Non ti sei appena lamentato che le armi non funzionano?!?
- Sì, ma poi m’è venuto in mente che con la mia mente ce la posso fare anche solo con un braccio solo, Dottore, sono pronto a scommettere tutto sulla possibilità di vittoria del Grande Mazinga! – rifilandoti una gran spallata aprendosi la strada per l’ascensore al grido di: - Dottore, io vado! - e allora:
- Bravo Tetsuya, vai, vai all'inferno!! E che diamine! Stavolta me l’hai proprio tolta di bocca!

Era stato così che, circa un quarto d’ora dopo, ai comandi d’un Grande Mazinga ridotto alla metà del potenziale, stritolato nell'abbraccio del mostro gigantesco, Tetsuya era ricorso all'unica arma di fatto disponibile, sordo ad ogni raccomandazione portando il Raggio Gamma alla massima potenza per uno,... per due,... per tre lunghissimi, interminabili minuti, la massa dei due corpi metallici ormai arroventata e quasi al punto di fusione, inizio del conto alla rovescia in sala controllo, e poi... Ciò che c’era da aspettarsi!!!

Un botto immane.

Ma contro ogni previsione, ecco un ace-pilot al rientro.

Nell'hangar lentamente si solleva la calotta di Condor, … nel cockpit il pilota apparendo normalmente seduto tuttavia, sotto il casco, il suo viso cos'ha di strano? Per esempio il colore della pelle: quantomai insolito per un essere umano, ma molto adatto ad un’aragosta bollita... Stupefacente anche che sia in grado di cavarsi la tuta da combattimento, che avresti giurato gli si fosse tatuata addosso per sempre, invece…
Invece, ricoverato d’urgenza in infermeria gli si pratica il trattamento per gli ustionati di secondo grado, intanto che di colore la sua pelle scottata vira sino a un punto di fucsia che neppure un anemico sul ponte d’una nave unto d’olio di cocco sdraiato per ore al solleone, e stargli accanto è come stare a ridosso d’una stufa a incandescenza, insomma, pare proprio averti preso in parola Tetsuya, che all'Inferno sembra esserci andato per davvero!


Il giorno seguente.

Fortezza delle Scienze, stato dei lavori: Grande Mazinga riparato, Venus ancora in riparazione e nel parco macchine, da oggi, due nuove unità saranno operative.
La prima è il modulo che Venus potrà agganciare per finalmente volare, manca solo il collaudo.
L’altra nuova unità, invece, consiste in un capriccio del piccolo Shiro che il Dottor Kabuto ha pensato bene d’accontentare.
Forse per non aver ancora trovato il modo di confessargli d’essere suo padre, il Direttore si sta dimostrando particolarmente sensibile alle richieste del figlioletto...
E buon sangue non mentendo, il ragazzino ha espresso il desiderio non d’una mountain bike, né d’un go-kart, né d’una mini-moto bensì d’un robot tutto suo da pilotare, così dall'accoppiamento tra un giocatore di baseball col burattino Pinocchio è nato Robot-Junior, cui Shiro proprio ora sta tentando l’agganciamento a bordo del velivolo di comando il quale, manco a dirlo, ha foggia d’un casco da baseball…
Beh, tralasciando la questione estetica (in fondo si tratta di poco più che d’un giocattolo), i risultati del pilota in erba sono tali che lì, nel capannello radunato al monitor di sala controllo, nessuno può trattenersi dal ridere alla scena d’un robot che comanda il suo pilota...
Ah, se ad assistere a un simile spettacolo ci fosse anche Tetsuya-san, i cui commenti si possono comunque immaginare:
- Shiro, ma che stai combinando?!? Adesso t'insegno io come si pilota quel trabiccolo! - arrivando senz'altro a dimostrare come - Prendi questo! - della testa d’un mostro guerriero armati di mazza da baseball si possa tranquillamente fare - Home run!!!

Invece l’eroico pilota del Great, uscito ustionato dallo scontro di ieri, così è stato minacciato dal Dottor Kabuto: se prematuramente oserà alzarsi, nel medicarlo a mezzo delle stesse bende sterili il Dottore ce lo legherà direttamente, al letto!
Coincidenza, lì accanto al Dottore ad ammirare le prodezze di Shiro anche Jun-san sembra aver pensato al commilitone, dato che:
- Chissà quando potremo vedere Shiro combattere al posto di Tetsuya?! – seria ha appena domandato.
- Ma che dici, Jun?! – alla sola idea il cyborg-comandante è perfino impallidito - Sappi che conto di farla finita con questa guerra prima che Tetsuya raggiunga l’età pensionabile!
Graziosa volgendo il viso di lato: - Anch'io conterei di sposarmelo entro l’età pensionabile... - Jun-san mormora - Sperando che non gli arrivi prima la pensione d’invalidità.
Kabuto: - Non ti ho sentita, Jun, che hai detto?
- Niente, Dottore, dicevo che secondo me Shiro come pilota ha un grande potenziale: se Tetsuya per caso decidesse di congedarsi anzitempo…
- Dottore! – da addetto al radar tocca sospendere il calcolo contributivo per il pilota del Great - Missili in arrivo!!
- Immersione rapida!! – Kabuto tuona, in tempo per evitare i primi missili, ma poco dopo la Fortezza in immersione è scossa da esplosioni di siluri sottomarini!
– Non preoccupatevi, la barriera resisterà! – Kabuto incoraggia e in quel momento, dall'adito alla sala incerto un rumore di passi spinge tutti a voltarsi per vedere - Mio dio, la Mummia?!? - dalla cintola in su avvolta in bende candide, braccia tese e passo rigido - Ma no! Trattasi di Tetsuya-san! - alla cui vista comunque tutti si resta, ammutoliti come team d’egittologi di fronte al ritrovamento del secolo mentre ad ogni passo, ad ogni contatto tra pelle ustionata e tela dei pantaloni va lamentandosi l’imbalsamato fin quando, arrestatosi sul posto, trova la forza di parlare:
- Dottore, fammi uscire col Grande Mazinga! – avanzando pretese che lì in sala controllo ormai non stupiscono più nessuno.
- Non preoccuparti, Tetsuya! – premurosa Jun-san accorre al commilitone ferito - Appena Venus sarà pronta in battaglia andrò io al tuo posto! – d’impeto entrambe le mani schiaffando alle braccia dell’ustionato, che per il dolore manca poco sviene... Ma riavutosi:
- Assassina! – incattivito lui le sibila, e: - Come pensi di potermi sostituire tu, donna?!
- Se preferisci, Tetsuya, - Kabuto interviene - in battaglia ci mando Shiro con Robot Junior?
- Eh?! Una donna e un bambino al mio posto!?! – imperterrita la Mummia recrimina - Questa è follia, Dottore, io esco con Mazinga! – ma prima che possa muovere un passo Kabuto s’avventa a trattenere il suo pilota, stranamente afferrandolo... per il collo!
Occhi sbarrati: - Dot-to-re…!? - Tetsuya-san rantola, e delle mani di cyborg per fortuna s’allenta la morsa...
- Beh? Che avete voi da guardare?! - il Direttore apostrofa la sala, passando a giustificarsi: - L’ho preso per il collo perché è l’unica parte sana che gli è rimasta. – Poi contegnoso, rivolto al pilota - E tu di’: come puoi pensare di uscire a combattere in queste condizioni?
Tetsuya-san: - Dottore, posso forse restare a guardare senza fare nulla? - e Kabuto:
- Certo che no. Hai proprio ragione, ragazzo: tu devi immediatamente uscire col Grande Mazinga, anche se sei gravemente ferito, anzi, io te lo ordino! E non ti preoccupare, ché se morrai Venus e Robot Junior saranno pronti a sostituirti, dunque coraggio, salta su Brain Condor e fatti onore, siamo nelle tue mani, in bocca al lupo, Tetsuya! – tutti in sala lasciando interdetti mentre, fronte corrugata e sopracciglia disassate, la tempia di Tetsuya-san lentamente s’imperla di sudore...
Finché, sguardo intenso e tono vibrante:

- Dottore,... perdonami, perchè stavolta non uscirò col Grande Mazinga. Cerca di capire, devo tornare a riposare, per ristabilirmi in fretta: concorderai con me che non è pensabile lasciare questa guerra nelle mani di una donna e di un bambino. – E ciò detto, meccanicamente si volta la Mummia, per a passo rigido e braccia tese uscire di scena, così come c’era entrata...
Al che, dalle rispettive postazioni uno ad uno s’alzano i colleghi, per a turno recarsi a stringere la mano del Direttore della Fortezza verso il quale, oggi più che mai, si nutrono profondo rispetto e infinita comprensione.


Circa un’ora dopo, punto imprecisato al largo dell’Oceano Pacifico, base nemica “Isola Vulcanica”; al grande schermo della plancia la Marchesa Yanus è intenta ad osservare il Borot che, in volo scoppiettante e con un carico non identificato sulla schiena, s’appresta a un atterraggio di fortuna proprio lì, sulla sua mimetica, semovibile, inindividuabile Base Avanzata in mezzo al mare…

Yanus: - Mikenes, vedi anche tu quello che vedo io?
Soldato (incerto): - Sì, Marchesa: un cumulo di ferraglia vecchia?
Yanus: - Infatti è quel catorcio di Boss Robo’, ma che cos'ha in spalla? Sembra Pinocchio senza il naso... – e tra sé, amareggiata: - Dalle parti di Kabuto devono star messi proprio male per abbassarsi a tanto.
Soldato: - Marchesa, ha detto qualcosa?
Yanus: - Mikenes, fatti gli affari tuoi e pensa a mandar fuori il mostro guerriero ad accogliere quei due rottami - ché magari Tetsuya trova la forza di venirli a salvare.

All’ordine, in breve il mostro di turno ha educatamente aggredito i due ospiti dell’Isola, cortesemente intrattenendoli sino a indurli ad invocare rinforzi…

Ed ecco finalmente gli strumenti della Base Avanzata segnalare un oggetto in avvicinamento!
Ma con gran disappunto di Yanus, presto si scopre che in vece del Grande Mazinga in soccorso dei profughi sta volando Robot Venus…
Soldato di Mikenes (affranto): - Terrestri moderni, mandare a combattere donne e bambini... – e in tutt'altro tono:
- Fate a pezzi quella sciacquetta!! - a pieni polmoni strilla Yanus - Strappatele le braccia, rompetele le gambe, fate in modo che quando avremo finito con lei nemmeno la sua parrucchiera possa più riconoscerla!!

Sono presto esauditi i desideri di Yanus: letteralmente sventrata dal mostro guerriero, miseramente Venus Alfa sta rotolando giù per la scarpata dell’isola... Quand'ecco, dal cielo, familiare giungere un sibilo di motori fotonici, intanto che una sagoma scura con lunghe ali gradualmente si profila all'orizzonte...
- Il Grande Mazinga!! – la Marchesa esulta.
- Questo però dovevo dirlo io! – nel Robo’ Venus protesta Jun.
- Zitta, linguaccia! – bercia Yanus che ha orecchie ovunque, l’istante dopo flautando – Salve, Tetsuya! Sei venuto anche se ferito?! Che uomo senza paura!
- Chi ha parlato?! – scrutando a destra e a sinistra oltre il cristallo del Brain Condor Tetsuya domanda, senza però vedere nessuno perché in ritardo Yanus si sta ricordando di materializzarsi, per l’emozione scegliendo la faccia sbagliata tra le due che ha, e così nel monitor di Condor un volto mostruoso di strega appare:
- AAH! – l’uomo senza paura grida, traendo a sé la cloche: cigolio improvviso di Mazinga al quale soffia, s’ingobbisce e con un miagolio sinistro dalla spalla di Yanus il gatto nero schizza traversando davanti a Condor il cui pilota, che in missione si fa superstizioso, prontamente mette mano ai gioielli di famiglia...
- Tetsuya, che ti è successo?! – ansioso alla radio s’informa Kabuto.
- Dottore, ‘sta strega della Yanus m’ha fatto prendere un colpo, accidenti a lei! Ora però assaggerà la potenza del Grande Maz… - improvviso prurito al polpaccio ustionato, a denti stretti e sopracciglia aggrottate Tetsuya s’abbandona a doveroso lamento: - Ah, le mie ferite! - distrazione di cui scaltra Yanus subito s’approfitta, smaterializzandosi per voltar faccia dal lato buono...
All'intorno non vedendo più nessuno, innervosito Tetsuya:
- Chi sei tu? Dimmelo! - e intrigante una voce femminile:
- Sono la Marchesa Yanus, comandante della Base Avanzata!
- Tanto piacere! – fa Tetsuya – Vieni fuori, se hai il coraggio!
- Mo vengo solo se hai voglia… – con vago accento emiliano la Marchesa infervorata risponde, dimenticandosi la fine della frase...
- Cosa!? – irritato Tetsuya, due dita a grattarsi nello stivale – Mi hai stancato, Marchesa, adesso ti faccio assaggiare questo! – tra tutte le armi di Mazinga scegliendo il Missile Centrale, come a voler fertilizzare lo sterile suolo dell’Isola Vulcanica sparandone a pioggia...
- Che potenza! – Yanus frenetica esulta, ordinando ai suoi: - Lanciate ancora missili!! – al che previdente un soldatino di Mikene:
- Marchesa, non ne ha assaggiato abbastanza? Andiamo in immersione o ne usciremo distrutti! - ma proprio in quel momento sulla scena della battaglia qualcuno torna a far capolino: Venus s’è rialzata! Avvedutosene, senza sospendere la raffica dei missili pelvici Tetsuya:
- Jun, attenta a Venus, o Junior Robo’ sarà presto zio!
Jun, incredula: - Tetsuya, sull'Isola Vulcanica da solo non ti ci lascio più venire!
Lui, stupito: - E perchè?? ... Sarai mica gelosa della Yanus!?
In cagnesco, lei: - Come tu sei geloso di Boss!

Vittoriosi nel tramonto.

Tutti e quattro sani a salvi, eccovi in volo di rientro mentre alle vostre spalle inghiottita dal vortice marino, l’Isola di Yanus sconfitta sta battendo in ritirata...
Nella vostra traversata aerea, Borot sta aggrappato a Venus mentre via radio Jun scherzando minaccia Boss di lasciarlo cadere a mare e tu, nonostante le ferite ancora dolenti, alla sua battuta ridi di gusto, improvvisamente realizzando che bisogna ammetterlo: già abile nel creare preziosi diversivi, ad ogni scontro Jun si fa sempre più esperta e sicura.

A conferma il giorno seguente, quando in battaglia netta avrai la sensazione di avere al tuo fianco un valido aiuto: trovata la giusta strategia, Venus e Grande Mazinga per la prima volta insieme in volo agiranno all'unisono, letteralmente sbaragliando le forze nemiche!

Dunque, ecco giunto il momento di considerare Jun per ciò che è diventata: la tua degna compagna di combattimento coraggiosa e brava, quasi quanto te.


Per dirmi di guardare meno cartoni animati: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=300#lastpost


Links agli episodi incriminati:





Edited by TsurugiTetsuya - 21/4/2022, 23:53

Attached Image: La_parrucchiera_di_Jun

La_parrucchiera_di_Jun

 
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view post Posted on 12/2/2020, 19:38     +1   +1   -1
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Filologo della Girella

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Un capitolo di flashback al passato prossimo con aggiunta di "dietro le quinte”, che partendo da un’ideale, fantasiosa fusione tra l’epilogo dello Zeta e il mediometraggio di cross-over tra le serie dei due Mazinga, riporta all'incipit di quella dedicata al Great:



34. PRIMO SCONTRO, PRIMO INCONTRO.

Ovunque nella Fortezza l’allarme della sirena acuto si propaga, assordante, implacabile, gli altoparlanti che per voce del Direttore, grave, metallica, scandiscono comunicato prima d’ora inaudito:

- A tutto il personale: attenzione, questa non è un’esercitazione, ripeto, a tutto il personale…

E mentre nel resto della base tutti ai loro posti di sicuro stan correndo, qui non c’è che da aspettare - Maledizione...
Nell'attesa, la schiena trova la parete sotterranea fresca, da approfittarne, dopo mesi di prove sul campo già sapendo quel che là fuori, in pieno giorno di piena estate, l'aver indosso casco e tuta significhi; motivo per cui è consigliabile bere acqua a sufficienza prima di chiudersi nella cabina che, dal sole arroventata, in breve farà da sauna svedese e da bagno turco insieme...

Forse che aveva bevuto tanto anche per il nervoso? Ma no, non era nervoso, era solo impaziente: di gran lunga avrebbe preferito restare su, fino all'ultimo in sala controllo a seguire gli eventi al monitor, come al solito. Stavolta però le disposizioni erano diverse: stavolta lo si voleva già cambiato e pronto ad attendere un ordine che - Accidenti! - non arrivava mai?
- Tetsuya-kun! – puntuale, audio-diffuso il vocione di Kabuto – Perché non sei ancora a bordo del Brain Condor??
A molla scattato alla volta dell’hangar: - E tu che aspettavi a dirmelo?! - e di nuovo l’audio-diffusione:
- Tetsuya-kun, facciamo uscire il Grande Mazinga! Tetsuya-kun, facciamo uscire il Grande Mazinga!!
Correndo come il vento nel corridoio: - Ho capito, ho capito!! - balzando nel vuoto del condotto, per là sotto essere accolto dal sedile ergonomico di Brain Condor, chiedendosi: Chissà se alla sua età sarò ridotto anch’io così, a ripeter sempre le stesse cose?

Ecco laggiù il punto, praticamente a ridosso dell’Istituto per l’Energia Fotonica... – abbassandosi di quota, oltre lo Zeta contando ciò che a terra fa mossa intanto che a comando manuale, fluido come ginnasta colossale, quasi senza vibrazioni atterra il Great Mazinger.
Ritiro delle ali.
Ed ora, alla prima vera missione si scopre come di una schiera d’avversari addirittura non curarsi, ché in cima al gigante d’acciaio dal cuore per le vene già scorre il brivido, al ventre e alle braccia diretto, e al cervello, che automatismi lascia a discernere sagome per forma, per dimensione...
Quel guerriero, il più vicino, rotea tipo frusta una mazza alla catena... Gurēto immobile, dita tese a toccar comando attendi, attendi…
Finché il peso è scagliato!
Al braccio levato di Mazinga come previsto la catena s’arrotola; al suolo ben piantati i robotici piedi, strattonata la leva, l’avversario a forza è trascinato verso la Spada pronta a fendere aria, arti, il Fulmine che in cielo brilla alto...

Piovono infuocati frammenti di metallo...

Tornato presente, gli occhi ritrovano i comandi, a fuoco riportando il campo, guardia sempre alta quando via radio un grido spinge a voltarsi con tutto il robot in tempo per vedere che, ai piedi d’un mostro-guerriero nemico, malconcio resta a terra il gemello di Mazinga! Sintonizzato al suo canale:
- Usa la mia Spada!
Di precisione il lancio, pronta la presa dell’altro che in mano del suo robot adesso stringe l’elsa…

Così potrò resistere, ma per quanto ancora?
In svantaggio dall'inizio, dallo scontro di ieri già spossato, sangue che gocciola al sopracciglio, la forza nelle braccia ad ogni istante cala:
Non fosse per l’aiuto inaspettato…
- Attento!!! – all'avviso intuita accanto al sole l’ombra alata, d’istinto s’impone la lama che, eccezionale, dell’avversario come di burro fa metà!
Ma per tanto poco sforzo, la vista ora si va annebbiando, proprio mentre un nuovo assalto si prepara…

Fragore di lamiere...

- Tutto a posto?
Alla radio non risponde?!
- In ginocchio, Mazinga!
L’aliante sbalzato dalla macchina, attraverso il vetro sfondato, casco schizzato via, s'intravede il pilota, abbandonato sul sedile, ma senza tempo per spostarlo al riparo, a scudo s’erge il Great Mazinger:
- Mostri, a noi!

Indice meccanico puntato al cielo, all'energia sprigionata, sul campo di battaglia il drone aveva cessato il suo segnale.
Ma per apprezzare anche l’ultima delle esplosioni da là provenienti, lì all’Istituto non occorreva il monitor, gli occhi d’ognuno in sala controllo bastando e avanzando...
Tra tutti in quella sala, salvi, ma disorientati tra polvere e macerie, il piccolo Shiro per primo s’era riavuto:
- Mamma mia… Distruggere i mostri per quel robo’ è stato come giocare!

Oltre il cristallo di Condor, qua e là cumuli di ferraglia ardente al suolo, e per l’aria, acre l’odore d’olio combusto…

Accostatosi all'aliante, piegati del Great ginocchio e testa era balzato dalla propria cabina a quella accanto...
Controllati del ragazzo respiro e battiti, era pronto a riferire alla propria torre, quando il ferito s’era sforzato di parlare, e lui, alla fievole richiesta, aveva prestato orecchio nonostante la radio di Condor insistesse a segnalare comunicazione in entrata…
- Presto, caricalo a bordo e rientra.
- Ricevuto.
Prima di eseguire, spento il comunicatore, al semplice quesito del semi-cosciente aveva deciso di rispondere, con la semplice verità.

...

- Tetsuya-kun, la prossima volta che agirai in prossimità di infrastrutture cerca di fare più attenzione: l’istituto del professor Yumi era già abbastanza danneggiato prima che tu arrivassi a peggiorare la situazione - Questo il commento a caldo del Direttore in merito alla prima e vittoriosa missione del Grande Mazinga, e senza spazio per le repliche - Ho fatto inviare un messaggio al professore, che tra non molto sarà qui, in auto. Ti prego di accoglierlo, insieme a chiunque lo accompagni, per condurlo da… dal suo pilota. Al momento opportuno, il professore e lui solo potrà raggiungermi in torre di comando.

- Prego, professor Yumi, da questa parte.

Formale colui che aveva accolto s’era rivolto solo a me, tuttavia, di primo acchito doveva aver inquadrato tutti, visto che prima di lasciarci entrare nella stanza preoccupantemente attrezzata come quella di un ospedale, conciso aveva avvertito: voci basse.
Ma dal piccolo Shiro scosso alla vista del fratello maggiore bendato e privo di coscienza, la regola era stata presto infranta e così, alla prima infantile esclamazione, quel giovanotto alto e prestante non s’era fatto scrupolo di strattonare il braccio del bambino, a fargli realizzare quanto serie fossero le condizioni del nostro Koji, la cui vista aveva gettato nello sconforto persino Boss...
A non lasciarci troppo tempo per i compianti però, una voce maschile, autoritaria, era scaturita da un altoparlante al soffitto del locale, facendo sobbalzare tutti, tranne la nostra taciturna guida dalle maniere invero un po’ brusche…

- Chi ha parlato, papà?
- Il responsabile di questa struttura, suppongo.... Sayaka, a nome di tutti andrò a ringraziare.
- Va bene, papà. Noi resteremo qui, con Koji... - un’occhiata timorosa allo sconosciuto - Se fosse possibile, naturalmente.
In risposta un cenno d’assenso a lei, e un nuovo ammonimento per gli altri:
- A patto che teniate a bada la voce. - E l’accompagnatore s’era avviato a scortare mio padre chissà dove in quella sorta di labirinto isolato in mezzo al mare, lasciandomi in compagnia di Boss a trattenere le lacrime, e di Shiro che:
– Avrei bisogno del bagno – altro non poteva più trattenere.

- Ah, eccoti qui, Shiro. L’hai poi trovato, il bagno?
Indicando alla retrostante terrazza, oltre la vetrata:
- Sì, ho chiesto a lui e… Boss, è proprio come pensavo: Tetsuya-san, è lui il pilota di quel robo’ straordinario! Però… - l’entusiasmo s’era subito smorzato – Dice che Mazinga Zeta non è adatto a combattere contro i nuovi nemici e…
- Coosa?!? Ma come si permette quel…
- Zitto Boss, ché sta rientrando!
Lungi dal dar retta, piazzato in mezzo al corridoio, il Boss a muso duro aveva deciso di affrontare un pilota di robot-gigante fisicato e chiaramente professionista:
- Dunque eri tu alla guida di quel diavolo di robo’ che ha rapito Kabuto, eh?! Perché avete portato Koji qui?? Che posto è mai questo???
- Tanto per cominciare, – a tono il pilota del Borot era stato immediatamente ricambiato - prima di parlare del mio robot, sciacquati la bocca. Poi, altro non ti è dato di sapere, anzi, di questo posto sarà meglio tu ti dimentichi anche dell’esistenza, chiaro?
- Ehi, ma?! - e il tono di Boss s’era pericolosamente scaldato: - Si può sapere chi ti credi di essere, tu? Koji Kabuto è mio amico, e se qui trattate i feriti come trattate gli ospiti… - nell'altro provocando una grassa risata prima, e poi:
- Tutto dipende da quanto gli ospiti sono desiderati, perciò tornatene da dove sei venuto, ché qui non abbiamo tempo da perdere coi piloti della domenica - al che, il sangue era montato definitivamente alla testa del Boss:
- Brutto bastar...!
- Boss, c’è qualche problema?
Appena in tempo il ritorno del professor Yumi aveva impedito alla situazione di degenerare, permettendo a un bambino di rilassarsi, tirando un respiro di sollievo: il Capo era grande, grosso e anche deciso, ma contro il pilota del Great c’era da scommettere che se la sarebbe vista davvero brutta!

In profonda ansia per le condizioni di Koji, l'impressione era stata di un luogo tetro, per mancanza di luce naturale nei corridoi articolati da far perdere l’orientamento, e per il silenzio che là dentro regnava, come se quell'edificio, immenso, potesse fare a meno di personale!
Appreso che Koji non era da considerarsi in pericolo di vita però, riaccompagnata all'esterno, a cuor leggero rosso e arancione il tramonto aveva visto liquefarsi nell'oro della baia, nel profumo di resina che la brezza di terra portava sino al ponte di quella incredibile nave-torre, che in vista dell'approdo tranquillamente sembrava ormeggiata...

- Quella specie di gorilla buttafuori! – Boss sbraitava nel rimontare sul sedile posteriore – Ma la prossima volta,…
- Boss, piantala! - minacciando allo specchietto retrovisore - Ti sembra il caso di farci fare brutta figura con chi ci ha soccorsi? - e impegnata alla guida - Piuttosto, papà, puoi dirci a chi appartiene questa struttura?... Papà??
- Vi basti sapere, Sayaka, che Koji è in buone mani – e poi a tutti rivolgendosi nell'automobile - Perdonatemi, ma di più non posso dire. - così aveva risposto, pensieroso, il professor Gennosuke Yumi.

Non appena l’auto con a bordo i quattro visitatori aveva raggiunto il limite distale della passerella, imboccando il canyon alla terraferma, sibilando il ponte aveva principiato a ritirarsi, quindi senza alcun preavviso la Fortezza delle Scienze era entrata in fase di immersione, abbandonando una piacevole, tiepida serata estiva, a favore di un precoce incontro col crepuscolo di fondale...


E il mattino seguente per qualche motivo ancora si stazionava in profondità, infatti, causa carenza di luce solare, qualcuno nella Fortezza aveva beatamente proseguito il proprio sonno ben oltre la decenza, finché a dare il buongiorno in stanza, era squillato il telefono!
All'altro capo, il Direttore, che dal pomeriggio precedente in giro per la base nessuno aveva più visto, né sentito…

In attesa del resoconto tecnico della prima battaglia sostenuta dal Grande Mazinga, tende tirate ad oscurarlo, seduta alla scrivania l’ufficio ospitava l’ombra del Dottore… Che c’era da chiedersi se quel resoconto avesse ascoltato, dato che, senza commenti al monologo altrui, aveva sempre tenuto lo sguardo concentrato al piano d’un tavolo su cui altro non v’era se non lucido legno.

E per tutto il resto del tempo che il pilota dello Zeta convalescente aveva trascorso lì, sul serio ci si era chiesti se al suo interno la Fortezza delle Scienze ancora ospitasse il proprio comandante.

- Dove... dove sono?
- Sei al sicuro, sta' tranquillo.
- Mazinga Zeta... dov'è?
- Non agitarti: adesso si trova in riparazione.
- Devo andare, io…
- Non dire sciocchezze, e resta sdraiato: sei ferito, ora devi solo riposare.
- Ma i mostri meccanici…
- Non preoccuparti, li hai sconfitti, tutti quanti.

Era bastato che si riprendesse un minimo, e prima che da quel letto potesse muovere un altro passo, l’elicottero era già pronto ad accoglierlo, assicurato in barella, per condurlo altrove alla riabilitazione.

...

- Se quel che pensiamo è vero, perché ai suoi figli adesso non dovrebbe dire la verità?
- Beh, dopo esserti fatto credere morto dalla tua famiglia, avendo mentito su tutto, incidente di laboratorio compreso, arrivare dopo tanti anni a giustificare il perché possiedi un corpo meccanico non credo sia facile, sai com'è.
- Sì, però, ... con noi non ha mai fatto mistero di nulla.
- Non essere sciocca. Con noi non poteva permettersi segreti. E poi noi ci siamo abituati, ma loro...
- Sono d’accordo, ma... Credo che comunque dovrebbe parlare con loro.
- Andiamo, possibile che tu non capisca?
- Che io non capisca cosa??
- Che si vergogna, ecco cosa non capisci.
Messa a tacere, ma non per molto:
- Okay, ma resto convinta che così farà solo del male a sé stesso, oltre che a quei due ragazzi. Non lo pensi anche tu?
- Veramente… Non saprei.
- In ogni caso non possiamo fare finta di niente, dobbiamo parlargli, fargli capire che...
- Fargli capire cosa? Come pensi di affrontare un simile argomento?? Tu non lo hai visto in faccia la sera che Koji moribondo è arrivato qui, io invece sì, e ti assicuro che avrebbe impressionato pure te. È una faccenda troppo delicata, che oltretutto non ci riguarda.
- Ma come puoi dire una cosa del genere?! Ci ha cresciuti come fossimo figli suoi, glielo dobbiamo!
- Ficcare il naso nelle sue faccende private, io non lo vedo come un dovere. E poi Koji sta per partire, starà in America per anni: come pensi di risolverla, forse per telefono?!
- Certo che no! È vero che Koji sarà lontano, ma Shiro invece starà ancora all'istituto, abbastanza vicino!
- E dunque??
- E dunque potremmo preparare il terreno facendoli incontrare, semplice, no?
- No. Sei tu a farla troppo semplice.
Un attimo di riflessione, e di nuovo all'attacco:
- Senti, ma davvero tu intendi lasciare che quel bambino cresca insieme a un pastrocchio come quel Boss??
Istantaneo dagli occhi grigi un bagliore: forse stavolta aveva toccato il tasto giusto...
- Dannazione... E va bene, va bene! Ma ti avverto: l’iniziativa è tua e io non intendo metterci becco, né esserne coinvolto in alcun modo, sono stato chiaro??
Per tutta risposta, della mano leggero un tocco sulla spalla, e vivace una strizzatina d’occhio:
- Su, Tetsuya, non fare quella faccia. Vedrai, non sarà tanto difficile!

...


Per l’appunto non era stato difficile, anzi: tempo neanche un mese e senza bisogno di intermediazioni, al successivo attacco di Micene il bambino nelle peste stava invischiato fino al collo. Difatti eccolo lì, alla Fortezza delle Scienze anche lui bell'e ricoverato, anche lui disteso sul letto dell’infermeria...

- Ben svegliato. Ti senti un po’ meglio?
- Sì, ahi!
- Di’, ti è passata la paura?
- No, cioè, quale paura?! Io non ho mai paura!
- Ah, no? Eppure poco fa, mentre dormivi, mi è sembrato di sentirti chiamare aiuto… Su, avanti, confessalo: nella boccaccia di quello scimmione meccanico, chiunque se la sarebbe fatta sotto.
- È vero, ma piuttosto che fargli scoprire questo posto, io…
- Ho visto: ti saresti fatto ammazzare. Sei un piccolo pazzo, ma sei coraggioso. Ora però torna a dormire, così guarirai più in fretta.
- Vorrei, ma… Mi scappa tanto la pipì.
- Accidenti… Veramente non credo che tu possa già alzarti, ma d’altra parte… Vorrà dire che al bagno ti ci dovrò portare in braccio...

- Tetsuya-san, perché hai tolto la chiave dalla porta?
- Per evitare che tu ti senta male nel bagno chiuso.
- Ah, okay... Finito!
- Bene, allora… Op-là! Si torna a letto.

- Tetsuya-san, senti, quel dottore è il tuo papà, vero?
- Eh? Intendi il Direttore? No, ma...
- Ma??
- Ma è come se lo fosse.
- Ah, capisco. Sai, anch’io non mai conosciuto il mio papà perchè è morto quand'ero appena nato, e…
- Giusto a proposito, Shiro: il professor Yumi è molto preoccupato per te. Poco fa ha telefonato dall’Istituto del Fuji per sapere come stai. Dice però che ultimamente non ti sei più fatto vivo al suo Centro, e pare che da altrettanto tempo tu non stia più andando a scuola. È così??
- Be', sì, perché sai, io a scuola non ci andrò più: d’ora in avanti starò sempre col Boss, per imparare a pilotare un robo’, così potrò combattere contro tutti i brutti mostri che ci vogliono distruggere!
- Cosa?! Eh, già: avresti proprio bisogno di stare un po’ qui anche tu, col Dottor Kabuto. Ma adesso basta, è ora: prova a dormire, avanti!
- Mmm… Okay, ci provo… Buonanotte, Tetsuya-onichan...

- Meno male, Dottore, che hai aspettato a entrare o non si sarebbe riaddormentato mai più.
- Be’, dalla porta ho visto che mi facevi gesti, e così ho capito. Allora, che dice il nostro piccolo temerario?
- Sembra stia meglio: appena riaperti gli occhi, ha attaccato a parlare a mo’ di macchinetta dicendo che a scuola non ci andrà più perché, senti questa, Dottore: vuole stare tutto il tempo con quel Boss, per addestrarsi a pilotare un robot!
- Mmh... Temo che il professor Yumi sia un po’ troppo tenero con questo bambino, che comunque appena guarito a scuola tornerà, altro che.
- Giusto... ma, Dottore, come farai ad accertartene?
- Semplice: d’ora in poi ce lo accompagnerai quotidianamente tu. Oppure Jun, in alternativa s’intende.

E chissà se al Dottor Kabuto era sfuggita l’espressione del neo incaricato di moto-scuolabus, mentre questi si riprometteva di stanare immediatamente l’infingarda della sua compare, ovunque lei si trovasse lì nella Fortezza?



Per congratularsi col nostro buon pilota di robottone in Nuova Lega Zeta che in un attimo dal “Tetsuya-san” si è già passati al “oni-chan”: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=315#lastpost


P.S. Per l’esclamazione del piccolo Shiro a saluto della prima discesa in campo del GM, ringrazio il mio nipotino di 7 anni, entusiasta estimatore del “cartone preferito della zia” :wub:

Edited by TsurugiTetsuya - 15/2/2022, 23:07

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35. FAMIGLIA SPERIMENTALE KABUTO.
Ispirato a “Il Grande Mazinga, episodio 26: Il segreto del Dottor Kabuto”.


Suruga Bay, stanza da letto del Direttore della Fortezza delle Scienze, ore venti e trenta.

Perbacco, che giornata: una di quelle in cui tra mattina e sera sembra trascorsa un’eternità...

Da settimane impegnato a studiare una strategia per dichiararsi almeno a suo figlio minore, alla fine era intervenuta Micene, a ingaggiare Venus e il Grande Mazinga su due diversi fronti; allora, nella Fortezza delle Scienze bersagliata dall'incessante pioggia di fuoco della base di Yanus dal mare, e contemporaneamente dal cielo speronata dalla fortezza volante Mikeros, un’esplosione in sala comandi, improvviso un dolore alla spalla, e attraverso lo squarcio nel camice asciutta di sangue era a nudo l’intima verità, esposta allo sguardo di tutti i presenti, piccolo Shiro compreso: anziché muscoli, accumulatori, e transistori invece di nervi...
Ma tutto sommato, dato che il bambino poi aveva trovato la forza di vincere lo shock di quella vista e di quella scoperta, c’era quasi da ringraziare il nemico e il suo efficace assalto: dopo tanti anni, risentire quella breve parola accentata pronunciata dalla voce di uno dei suoi figli era stata cosa da sovreccitare persino il suo refrattario sistema nervoso sintetico, in grado anche di sopire momentaneamente il dolore della brutta ferita, o per meglio dire, del bruciante cortocircuito cui da poco i suoi bravi tecnici in emergenza avevano saputo porre rimedio, in attesa delle parti di ricambio che definitivamente l’avrebbero rigenerato.

Intanto, accosto al capezzale, resta raggiante di gioia il piccolo Shiro...

- Papà, ora corro a telefonare a Koji! T’immagini come sarà felice di sapere anche lui di te?! - e alla ferita di Kenzo: - Ah! - il dolore s’era istantaneamente riacutizzato.
- Papà mio!? Hai ancora molto male alla spalla, vero? - toccante la preoccupazione del secondogenito.
- No, non molto, ma... Shiro, perché essere così precipitosi, perché non aspettare domani?
Rassicurato e di nuovo entusiasta il bambino:
- Oh, papà, si capisce proprio che non stai bene: ti sei dimenticato del fuso orario? Se telefonassi di giorno, là in America sarebbe notte: sveglierei mio fratello nel pieno del sonno! È adesso il momento!
Reclinando il capo sul guanciale - Hai ragione, - Kenzo riconobbe al ragazzino - ma in ogni caso, ora io sento il bisogno di riposare - fissando i pannelli della controsoffittatura al di sopra del proprio letto... - Vorrà dire che domattina mi farai sapere della vostra telefonata, d’accordo figliolo? - abbozzando un sorriso, accomodante propose lo scienziato.
Manina pronta al pomolo della porta:
- Sicuro, papà! - Shiro garantì al ritrovato genitore - Penserò io a dirgli tutto, tu intanto dormi pure, così ti rimetterai presto in salute!

Due minuti dopo, nella torre di controllo della Fortezza delle Scienze avvolta dal silenzio, in turno di guardia notturno la coppia dei piloti di Suruga sistemata a due postazioni contigue, scambiandosi un’occhiata interrogativa, si pone in ascolto del ronzio dell’ascensore che inaspettatamente sta salendo al piano...

- Ehi, Shiro, che ci fai qui, a quest’ora? Come sta il Dottore?
Traversando sicuro la sala comandi:
- Papà sta riposando, - informa il bambino - io invece devo telefonare subito a Koji, che là in America di nostro padre ancora non sa nulla - gongolante aggiungendo: - Chissà che sorpresa avrà!
Sorpresa?! - mentalmente all’unisono si ripetono i due fratellastri, e di conseguenza: - Shiro, dimmi, - prontamente ma con tatto Jun prova a sondare il terreno - il Dottor Kabuto ti ha dato il permesso per questa telefonata?
Intento alla plancia dei comandi, a memoria pigiando sul tastierino del telefono: - Ma certo! – quasi indignato il ragazzino assicura alla sorella adottiva, in breve - Pronto, Koji!? - senza intoppi ottenendo la linea, attaccando coi saluti: - Ciao, come stai? E Sayaka?? Lì da voi adesso è mattino presto, vero? Fratellone, tienti forte, ché ho una notizia grandiosa da darti...
- Calma, Shiro! - Jun ha deciso di interferire nella conversazione a distanza - Lascia parlare anche tuo fratello, no? - riuscendo a ottenere che il ragazzino ceda la parola...
- Sì, io sto benone, ma... - ecco che Shiro della conversazione s’è già reimpadronito - Onichan, adesso ascoltami: ieri sera qui alla Fortezza è successo che… - ben deciso a portare al sodo la transoceanica comunicazione, e a quel punto:
- Jun, resta tu di guardia, io esco a farmi un giro in moto.
Così distratta dal clou della conversazione:
- Tetsuya, ma proprio ora!? - più disorientata che contrariata protesta lei.
- Sì, proprio ora - il pilota di Suruga conferma, con le dita frugando nel taschino al petto della giubba, riuscendo a estrarne le chiavi del mezzo, mentre accanto alla commilitona:
- Koji?? - il giovane Shiro adesso va interrogando la cornetta anche con lo sguardo, dubbioso insistendo - Onichan, mi senti ancora? Onichan?? Accidenti, che disdetta, è caduta la linea! - concludendo, e rassegnato riagganciando il telefono, l’espressione del musetto assai delusa per non aver fatto in tempo a ricevere dal fratello maggiore il tanto agognato feedback.

New York City, ad un pianerottolo nel pensionato universitario del Politecnico...

- Koji?! - Alle solite, che nervoso! - Sono le otto passate, sbrigati o farai anche oggi tardi a lezione! - senza più attendere risposta facendo leva sulla maniglia, irrompendo nell'appartamento dagli avvolgibili ancora abbassati; un rapido sguardo di ricognizione nella semioscurità, e spedita s’era diretta al fondo della living, esclamando: - Koji?! Si può sapere che ci fai in poltrona?? - soltanto da vicino notando la cera del suo viso... - Non stai bene? - e al debole cenno dell’interessato - Oh, povero Koji-kun!

A braccetto accompagnato in camera l’ammalato perché tornasse subito a riposare, dall'armadietto dei medicinali del bagno premurosa gli aveva recuperato al volo un analgesico, allungandoglielo insieme a un bicchier d’acqua...
Osservandolo assumere il farmaco:
- Senti, ora io scappo a lezione, tu intanto riguardati, ché appena finita l’ora di matematica tornerò a vedere come stai, okay?

Stesso luogo, circa un’ora e mezza dopo.

Di ritorno dall'aula universitaria, fatto ingresso nell'alloggio sempre in penombra dell’indisposto... Verso il centro della saletta stavolta s’era precipitata, accucciandosi al pavimento:
- Koji!? - di tra le mani sfilandogli la bottiglia del sakè da meditazione che lui aveva sempre sostenuto di voler conservare per al caso offrirne al professor Watson, e che invece quasi vuota le aveva appena ceduto, senza opporre resistenza, ma senza rispondere alle domande:
- Da quando bevi?? Di prima mattina poi?! - E di fronte al suo sguardo vacuo: - Santo cielo, Koji, che ti prende??
Finalmente mostrando reazioni, come riemergendo da un sogno:
- Succede, Sayaka,… - bocca impastata, strascicando le parole - che ho ritrovato mio padre.
- … Koji Kabuto, sei ubriaco?! Si può sapere di chi parli??
Sguardo improvvisamente concentrato, lui: - Del direttore della Fortezza di Suruga Bay. E di chi sennò?
- Ma-ma che dici?! - anche lei attaccando a balbettare, confusa cercando di far mente locale... - Non capisco, Koji... Tuo padre non è..., non era...?
- Morto, volevi dire? - un moto del labbro superiore, e: - Oh, no. No, perché sai... Il Dottor Kenzo Kabuto, cioè mio padre, all'incidente di laboratorio è sopravvissuto, dato che mio nonno - singulto - è riuscito a conservarne il cervello - preoccupante inflessione nella voce - dentro un corpo meccanico, pensa! - sempre da seduto a terra, le spalle stranamente curve sotto la camicia del pigiama leggero...
- Koji, ti prego, fammi capire: chi ti avrebbe detto tutto questo?
Tentando scoordinato di alzarsi dal pavimento:
- Shiro... Stamattina presto... Per telefono... - finché l’analgesico, allo stomaco vuoto ben innaffiato con eccellente vino di riso, diede spiacevole ma liberatorio effetto.

Riuscita senza sapere come nell'impresa di ricondurre a letto un Koji a malapena in grado di reggersi sulle gambe, adesso era suo il turno di brandire la cornetta del telefono, rapidamente componendo il numero di casa propria in Giappone, cioè del Centro delle Ricerche per l’Energia Fotonica…
- Papà? Ciao,… Insomma, “tutto bene” non direi. Senti, ho bisogno di chiederti certe cose di cui penso tu sia al corrente…


Avvicinati...
Osserva coi tuoi stessi occhi le incredibili risorse che dal lontano passato giungono direttamente nelle nostre mani,
affinché le nostre menti ne possano disporre...
Menti superiori, la mia, e la tua...
Oh, sono sicuro che anche tu, come me, hai realizzato questo aspetto che ci accomuna...
Mi chiedo però se tu abbia riflettuto sulle infinite opportunità che qui ci vengono offerte...
In caso contrario, io ti invito a farlo adesso.
Perché tu ed io insieme saremo capaci di grandi cose...
Non lo credi anche tu, Kenzo?


All'interno del cranio artificiale, nel riposo da convalescente, irrequieto il cervello di uno scienziato stentava ad abbandonarsi al sonno.


Per dire quel che ne pensate, del giovane Shiro compreso, da questa parte: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=330#lastpost

Edited by TsurugiTetsuya - 26/3/2022, 13:40
 
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36. PERSY.

Parecchi anni prima, Yokohama, S.M. International School.

Luminosi, abbondanti, morbidi e ondulati capelli color del miele tagliati di netto sopra le spalle; occhi azzurri trasparenti come il mare tra gli scogli, nasino dritto e pelle candida compatta da sembrare in polvere di marmo; minuta ma proporzionatissima, sempre infallibilmente vestita con quell'eleganza che non dipende da ciò che si indossa, sinceramente la ammirava. In segreto però, perché una ragazza come quella, per accompagnarsi a una come lei, era troppo bella, troppo spigliata e a dire il vero anche troppo spregiudicata, dato che Persy beveva alcolici con la confidenza che si dà all'acqua, fumava non solo tabacco e dei rapporti che aveva coi ragazzi non si preoccupava di fare mistero. Ma quando, risata d’argento, nella dentatura candida ella mostrava i canini che di poco eran più lunghi del normale, dal suo musino di furetto decorato da un paio di profonde fossette nelle guance bianche appena sfumate di rosa, non si poteva che restare affascinati.

Con maggiore insistenza di lei naturalmente quella compagna di classe era osservata dai maschi, non solo coetanei, che a giudicare dall'espressione con cui la guardavano pareva stessero vedendo un pasticcino, ma difficilmente azzardando apprezzamenti, ché la bella greca sapeva cosa rispondere loro e quando lo faceva, nessuno più s’azzardava a riprovarci. A meno che l’interessata non gradisse, e in tal caso Persy all'ammiratore di turno rispondeva sempre con grande sicurezza, sussurrandogli all'orecchio parole che lei non sapeva cos'avrebbe dato per conoscere.

Che però con la greca non convenisse scherzare, tutti lo si era capito fin dal primo giorno di scuola, quando all'appello l’insegnate di giapponese aveva provato a pronunciare il nome di battesimo della giovane europea, involontariamente storpiandolo; al che, di quel nome stravagante qualcuno tra i ragazzi si era prodotto a fare il verso e allora metà della classe s’era messa a sghignazzare…
Finita la lezione di giapponese, durante il successivo intervallo curiosamente un capannello di studenti nell'atrio della scuola s’era radunato, per assistere a chissà cosa... In punta di piedi sbirciando oltre la cortina di spalle e di teste degli altri spettatori, alla fine le era risultato riconoscibile il compagno di classe che due ore prima, all'appello, al sentire il nome della greca aveva fatto lo spiritoso: ebbene, proprio quel ragazzo ora si poteva vedere inginocchiato sul pavimento della scuola, intento a lustrarlo con la lingua! E là davanti in piedi a braccia conserte stava la greca, a contemplare la scena con aria condiscendente e con un sorriso dolce come la crema...
Non si era mai saputo il motivo per cui quel ragazzo si fosse abbassato a tanto, fatto stava che da quella mattina in poi, all'appello quotidiano il silenzio in classe era sempre rimasto di tomba... E per restare sul sicuro, tutti da subito avevano preferito chiamare la ragazza greca col più accessibile abbreviativo di “Persy”.

- Jun?
Quel giorno, al termine dell'ora di educazione fisica, nello spogliatoio della palestra insieme al suo ristretto gruppo di selezionate amiche la greca le si era avvicinata e inaspettatamente le aveva rivolto la parola…
- Ti chiami Jun, vero?
- Io? Sì…
- Jun, vieni a pranzo con noi? Dai, non essere timida, mica ti mangiamo: al bar della mensa fanno ottimi hot-dogs, sai?
Era verissimo, purtroppo: lei era molto timida e di ciò la compagna tanto disinvolta ovviamente s’era accorta; ma anche se il sentirselo osservare dalla greca in persona era stato tremendo, per qualche motivo, forse per la battuta del mangiarsela come un hot-dog, alla fine aveva accettato di seguire il proprio idolo femminile fino alla super affollata mensa della scuola.
Poco dopo sedute tutte insieme ad un tavolo, sul proprio pranzo lei stava oltremodo concentrata, soprattutto in quanto a corto di argomenti di conversazione da ritenersi degni delle sue commensali, finché:
- Mm-m,... oltre che timida, Jun, – interrompendosi dal degustare il proprio hot-dog la greca aveva nuovamente pensato di osservarle – sei pure terribilmente silenziosa. – E prima che l’interessata potesse risentirsene: - Spiegami un po’: com'è che una come te se ne resta all'angolo? - Persy aveva proseguito - Voglio dire: poco fa a ginnastica ti ho guardata bene, sai? Hai un fisico atletico da paura, e su quel tatami o come lo chiamate qui in Giappone, ti mancava solo di stenderlo, il nostro insegnante di judo.
- Scusami, non credo di aver capito…
- Oh, scusa tu, Jun: la mia pronuncia del giapponese è orrenda, ma lo so che mi hai capita – e strizzandole maliziosa l’occhio Persy aveva ripreso a mangiare, senza minimamente preoccuparsi di ricevere una risposta.
- Anch'io ti ho capita benissimo, Persy! - una tra le amiche della greca allora era intervenuta - Non è vero che tu pronunci male, e poi sono giapponese anch’io, ma mica sono così brava nel judo come te, Jun, che però non devi essere giapponese del tutto, perché hai la pelle..., be’, insomma, intendo dire... - così il discorso della connazionale si era progressivamente arenato perché, alzata la testa dal suo pranzo, alla ragazza che le era seduta di fronte gli occhi di Persy avevano mandato un’occhiata talmente fredda che alla chiacchierona era sembrato si fosse congelata la lingua…
- In effetti, cara, – sorridendo con simpatia la greca aveva confermato alla compagna appena ammutolita – la pelle di Jun è di un bel color bronzo dorato: un po’ diverso dal tuo giallognolo, non trovi? - mentre imbalsamata sulla sedia con l’aria di chi abbia appena addentato un limone, l’altra fissava Persy, senza più nemmeno azzardarsi a fiatare.

Nella stanza che condivideva con altre tre studentesse la greca dagli occhi limpidi rideva e scherzava con naturalezza, botta e risposta sempre pronte, con le coinquiline conversando in un inglese tanto fluente che a lei riusciva di cogliere solo una parola su dieci tra quelle che le compagne provenienti da varie zone del mondo allegramente si stavano scambiando...
Quanto vorrei essere come te, Persy, proprio come te, disinvolta, e con la tua bella pelle perfettamente bianca…
Finché - cosa questa che aveva compreso senza difficoltà - le quattro ragazze erano passate a rivolgersi dei saluti, in seguito ai quali in tre avevano abbandonato la stanza, lasciandola lì da sola con la greca…
- Ah, che brave ragazze, vero? – appena la porta fu richiusa, in giapponese Persy aveva apprezzato – Tutte iscritte al corso pomeridiano di cucina: tutte ragazze da sposare, no? - e lanciatale un’occhiata critica: - Oh, Jun, cara, non mi dire che anche tu già pensi al matrimonio?
- Cosa? Io? No, no, io no... Anche perché... Insomma, non credo proprio che potrò mai sposarmi.
- Addirittura “mai”? E per quale ragione?? - la greca prontamente si era interessata - Su, raccontami: cosa dovrebbe impedire alla nostra Jun di potersi un giorno sposare?
E ascoltato attentamente il motivo:
- Jun, mi pare che non ci siamo. – aveva sentenziato - Non so dove tu abbia vissuto fino ad oggi, ma un po’ di mondo io l’ho girato e ti posso garantire che esistono milioni di uomini che per una come te farebbero i salti mortali...
Figlia di un ricchissimo e altrettanto potente armatore greco, al seguito del padre nella sua seppur giovane esistenza Persy aveva già avuto modo di viaggiare, domiciliando in svariati paesi del globo - Comunque, - la greca intanto s’era levata dal divanetto ove comodamente era stata distesa - non devo certo essere io a garantirtelo, piuttosto dovresti essere tu a convincertene… Vabbè, giusto per tirarti su il morale, che ne dici se adesso ci facciamo un gleifitzoúri?
- Un cosa?? - lei in risposta aveva esclamato, terrorizzata all'idea che la greca trasgressiva le stesse per propinare un qualche genere di sostanza proibita...
- Oh, senti, come si chiama in giapponese proprio non lo so, comunque to’, prendine uno.
- Ah, ma... Un lecca-lecca?!
- Ecco, brava, un lecca-lecca. - alla clamorosa scoperta Persy aveva commentato - Ma dato che è fatto di zucchero, in nessuna lingua può suonare meglio che in greco, non trovi? Buono, vero? Io ne vado pazza, soprattutto per il gusto panna e fragola - e consumando con voluttà la tonda caramella bicolore affrancata al bastoncino - Credimi, Jun: un buon gleifitzoúri può cambiarti la giornata da così... – e tra le dita Persy aveva ruotato per metà il bastoncino del suo lecca-lecca – a così!

...


- Adesso basta, Jun! - quella volta Persy l’aveva sgridata - Non puoi piangere per quello che dice un povero mentecatto, possibile che tu non lo capisca?
- Mi ha offesa, e quell'altro mi anche ha messo le mani addosso: che cosa dovrei capire??
- Be’, te l’ho appena spiegato: sono solo dei poveri barbagianni. D’accordo che ne è piena l’aria, però… Senti, adesso ti accompagno in bagno, dove ti sciacquerai il tuo bel faccino, così ti darai una calmata e poi torneremo in mensa insieme, entáxei?
- No! Non ci voglio più tornare in quella mensa, mai più!
- Dai retta, - Persy aveva insistito - tra un momento noi due si tornerà in quella mensa pulciosa per sederci a un tavolo e tranquille come due angiolette mangiare il nostro pranzo, come è nostro diritto. O intendi forse darla vinta a quattro barbagianni?

Col suo fare deciso Persy era riuscita a rassicurarla al punto da convincerla a tornare insieme alla mensa, dove al loro ingresso i ragazzi al tavolo vicino alla colonna - quelli cui poco prima lei solitaria afro-giapponese aveva commesso l’errore di sedersi vicino - s’erano evidentemente accorti del suo ritorno perché, anche se il locale a quell'ora era gremito, dalla direzione dei loro sguardi si capiva benissimo di cosa stessero ridendo…
- Cosa prendi da mangiare, Jun?- noncurante Persy intanto s’informava.
- Non ho fame, se mangio ora starò male.
- Uff, come vuoi. Invece io prenderò... Minestra di verdure, ecco!
- L’altro giorno hai detto che verdure e minestra ti fanno schifo - spontanea lei le aveva ricordato.
- Oh, Jun, che brutto modo di esprimersi, una signorina come te! - dal volgare modo di dire Persy aveva preso le distanze - Diciamo che in genere non ne vado matta, ma oggi con questo freddo un bel minestrone caldo è quel che ci vuole, no?
- Okay, però fa’ presto: non voglio restare qui da sola con quelli là che continuano a fissarmi.
- Tranquilla, farò in un attimo.
Allora Persy s’era accodata in fila al buffet… Per subito attaccare bottone col ragazzo che la precedeva, il quale gentilmente l’aveva lasciata passare avanti… Stessa cosa con la persona oltre e così via, finché in meno di due minuti la greca al buffet già era arrivata a servirsi... Vassoio tra le mani eccola quindi intraprendere il tragitto del ritorno al tavolo, la sua figura minuta che continuamente le scompariva e ricompariva alla vista nel mare dei commensali, quando improvvisamente un urlo raccapricciante in sala aveva sovrastato il brusio di fondo, seguito laggiù, vicino alla colonna, da un gran trambusto nel quale anche Persy era evidentemente coinvolta: gonfiando le gote infatti la ragazza andava ripetutamente soffiandosi su una mano, per poi energicamente sventolare l'estremità, fin quando con una smorfia di dolore barcollando era arretrata la greca, finendo per andare a sbattere di schiena contro un armadio, un insegnante che interveniva a soccorrerla per scortarla, sostenendola, in direzione dell’uscita dalla mensa e lei di corsa li aveva raggiunti: - Persy, cosa ti è successo? - mentre l’insegnante esortava - Signorina, forza, l’accompagno in infermeria, lei però cerchi di non svenirmi, eh?!
- Oh, Jun, - sofferente Persy intanto gemeva - vieni anche tu con me, stammi vicina - mentre nella sala la confusione alle loro spalle proseguiva...

In attesa all'esterno dell’infermeria, il suono d’una sirena da fuori la scuola era in avvicinamento: un’ambulanza era in arrivo!? Quand'ecco aprirsi la porta della sala medica e Persy uscirne sulle proprie gambe, da sola, la mano fasciata, l’espressione mesta, ma era viva e vegeta l’amica...
- Persy, come stai?
- Abbastanza bene, Jun, anche se la mano mi brucia un po’.
- Ma cos'è successo in mensa?
- È successo che nella calca qualcuno mi ha urtata e mi ha fatto rovesciare la scodella della minestra... Per fortuna che me la sono cavata con una leggera scottatura alla mano, ma tu pensa, Jun, a quel povero ragazzo che il minestrone bollente se l’è ritrovato tutto sul cavallo dei pantaloncini da ginnastica… - e a capo chino la greca aveva scosso la testa, affranta nel commiserare: - Povero. Povero, piccolo barbagianni.

Quando il Dottor Kabuto dall'oggi al domani le aveva prospettato l’imminente trasferimento presso una lontana scuola secondaria speciale, scelta apposta per lei, per la prima volta era entrata in conflitto col genitore acquisito. Da ragazzina ex-orfana infatti, di ragioni per rifiutare quella decisione del tutto arbitraria ne aveva di molto valide: prima di tutto si trattava di un istituto assai distante dalla Fortezza delle Scienze che era diventata la loro casa, motivo per cui in quella scuola lei avrebbe dovuto trasferirsi in pianta praticamente stabile; come se ciò non bastasse, in merito alla frequenza con cui avrebbe potuto tornare a casa il Dottore era restato molto sul vago, ed ecco che per colpa di quella novità lei si sarebbe trovata di nuovo sola e indifesa ad affrontare il mondo, senza più nemmeno la possibilità di contare sul fratello adottivo che la sorte nel frattempo le aveva affiancato! In quella faccenda però più di tutto le aveva bruciato il fatto che, per contro, la scuola secondaria di Tetsuya era stata accuratamente scelta dal padre adottivo nelle vicinanze della Fortezza, in modo che il privilegiato potesse continuare ad addestrarsi ogni singolo giorno della sua esistenza. E ciò le era parso profondamente ingiusto.
Per tutte queste ragioni lei ci aveva provato, a puntare i piedi, per realizzare che ribellarsi ad una decisione del Dottor Kabuto equivaleva a finire contro uno dei materassi che negli allenamenti proteggevano lei e Tetsuya dal fracassarsi contro gli ostacoli in palestra: semplicemente ci si rimbalzava, e di fatto nulla cambiava.

Dunque a quella scuola s’era ritrovata, per una volta là scoprire che, soprattutto col senno di poi, la situazione non era così tragica come se l’era figurata: istituto di fondazione cattolica, vi aveva persino ritrovato l’usanza della preghiera mattutina cui da bimba all'orfanotrofio delle suore missionarie era stata abituata. Inoltre, di corsi per il tempo libero alla scuola internazionale ce n’era per tutti i gusti, e così si era tolta anche lo sfizio delle lezioni di chitarra. Ciò che in quell'istituto davvero contava però era la possibilità di praticare gli sport più disparati, il che era fondamentale per non perdere l’allenamento quotidiano cui altrimenti avrebbe dovuto rinunciare. Perciò si era iscritta a tre diverse discipline sportive, per coprire con l’attività fisica ogni pomeriggio della settimana, cosa che alla fine di quella trasferta triennale le avrebbe permesso di non ritrovarsi in schiacciante svantaggio rispetto all'addestrando fratello adottivo. Ultimo ma non ultimo là aveva conosciuto Persy, anche se mai era riuscita a comprendere la ragione per cui una ragazza come la greca avesse deciso di eleggere a propria amica del cuore una reietta orfana afro-nipponica come lei, che lontana da casa tra perfetti sconosciuti s’era trovata completamente spaesata e assolutamente inadeguata, gravemente affetta com'era da un invincibile complesso d’inferiorità razziale.
Ma così era andata, che grazie sia alla frequentazione della scuola internazionale sia soprattutto alla frequentazione della brava Persy, il brutto anatroccolo alla fine s’era trasformato, cominciando col mollare sandaletti e tuta da ginnastica per alla sera in libera uscita arrivare a sfoggiare, rigorosamente abbinati alla minigonna, alti stivali stringati con tanto di tacco, imparando anche a truccarsi e a laccarsi le unghie, fino a realizzare come alle offese razziste che per nascita aveva creduto di meritarsi era invece sacrosanto diritto opporsi.

Verso la fine del primo anno scolastico, una sera, a una festa in compagnia di Persy s’era resa complice di un episodio di ubriachezza molesta nei confronti di certi coetanei poco tolleranti l’umana biodiversità.
Episodio in seguito al quale il Dottor Kabuto aveva dovuto raggiungerla su convocazione della direttrice didattica, a evitarle un’espulsione dalla scuola.

Tempo dopo era stata la volta di un atto di vandalismo per il quale lei e Persy, non a caso, erano state tra le sospettate di aver nottetempo rimodellato a martellate i motorini dei personaggi che nel tale pub le avevano abbordate con frasi offensive e discriminatorie.
E anche quella volta il Dottor Kabuto era accorso a mediare.

Pure in quell'ultima occasione tutto si era svolto secondo i piani suoi e della greca, a partire dalla vestizione in previsione dell’uscita serale, con minigonna aderente sopra i fedeli stivali alti al ginocchio, giubbotto di pelle nera aperto sulla generosa scollatura di quattordicenne già abbondantemente sviluppata, e unghie dipinte di rosso lucido così come le labbra:
- Una mora da urlo! - in stanza a preparativi ultimati, squadrandola Persy aveva gioito soddisfatta.
Poco dopo, nella via di gran passaggio, lo specchietto per allodole come sempre aveva funzionato: al primo apprezzamento osceno di stampo razzista che tra i passanti era volato, i componenti un branco di barbagianni come Persy li chiamava, presi completamente alla sprovvista dai colpi di karate di una ragazzetta, uno dopo l’altro erano crollati sull'asfalto, tipo i manichini delle esercitazioni alla Fortezza; anzi, al confronto i manichini prima di abbattersi di solito richiedevano più impegno.

Per nulla pentita dietro le sbarre della cella nel comando di polizia, immaginava bene che lì dentro stavolta avrebbe passato il resto del suo tempo prima di essere ovviamente processata e quindi condannata per aggressione e per lesioni aggravate, dicendosi che quello era l’unico destino possibile per un’orfana oltretutto meticcia e irrimediabilmente troppo scura di pelle, e angosciata da simili visioni riguardo il proprio incerto futuro, dietro le sbarre infine s’era addormentata...
E all'alba di soprassalto era stata svegliata dall'aprirsi della porta della cella. Quindi da un agente era stata scortata in una stanza arredata con una sedia vuota dinanzi ad una scrivania, sotto la luce d’una lampada puntata proprio come nei migliori film polizieschi, ma al vedere in controluce l’uomo con l’impermeabile che là su due piedi era ad attenderla, un cappello dalla tesa larga a nascondergli il volto, era rabbrividita prima di rendersi conto che il supposto ispettore o potenziale aguzzino altri non era che il Dottor Kabuto, punte dei baffi frementi e linea dei sopraccigli alterata, giunto alla caserma per pagarle la cauzione, a riscattare la figlia adottiva da guai particolarmente seri...
All'espressione truce con cui il Dottore l’aveva accolta in commissariato però, ed al silenzio ermetico nel quale il padre adottivo era andato guidando la propria berlina, forse il confronto con un magistrato sarebbe stato preferibile... Nemmeno aveva pensato quella mattina presto di essere finalmente ricondotta alla Fortezza delle Scienze; invece, una volta a casa, al cospetto del padre adottivo che logicamente esigeva spiegazioni, sorprendendosi di sé stessa s’era difesa, a testa alta e voce ferma perorando la propria causa senza minimamente ammettere di aver forse esagerato, mentre l’altro scuro in volto la fissava con occhi severi d’un nero brillante che sembravano proprio anticipare la recriminazione che a quel punto lei si aspettava, la peggiore che il Dottore avrebbe mai potuto rinfacciarle: “Mi hai molto deluso, Jun, sono pentito di averti adottata.”...
- Jun... - in tono grave effettivamente il Dottore aveva attaccato - Da tuo genitore, per quanto adottivo, sappi che mai avrei voluto arrivare a questo, ma... Ho terminato i disegni del robot per il quale tanto hai insistito. Una macchina che ti sarà possibile agganciare tramite apposito velivolo di comando, e... cosa aggiungerti? Ah, sì, due cose: innanzitutto che, per questioni squisitamente logistiche, la manovra di agganciamento sarà tutt'altro che semplice, per cui l’addestramento che dovrai affrontare sarà assai duro, e poi che essendomi ispirato alla mitologica figura della Sfinge egizia, si tratterà di una macchina di aspetto femminile di colore, perciò risulterà a tua immagine... Ragazza mia, prendere o lasciare.

Al termine della scuola secondaria, a quel punto le mancavano solo pochi mesi. Mesi che, con la prospettiva di iniziare l’addestramento sulla Queen Star ormai prossima al cantiere, sarebbero scivolati via velocissimi e senza più bravate (in caso contrario, in un attimo il Dottor Kabuto avrebbe cambiato idea circa il costruirle un robot). In corso di quell'ultimo anno di scuola, d’altra parte, Persy al seguito del padre aveva dovuto nuovamente trasferire la propria vita altrove, e perciò tra amiche ci si era perdute di vista...

Finché un giorno, a distanza di anni ripensando alla compagna d’adolescenziali avventure, s’era ricordata del tomo sui miti greci che nella biblioteca personale del Dottore, con la stampigliatura degli eleganti caratteri dorati sulla costa in pelle scura, si faceva notare a interrompere l’infilata dei trattati di ingegneria robotica, molti dei quali a firma di Kabuto Juzo se non direttamente di Kabuto Kenzo, e dallo scaffale quel libro aveva preso in prestito...

Mezz'ora dopo, nella privacy della propria stanza completamente assorta nella lettura, giunta ad un dato punto del capitolo che la interessava s’era interrotta, per a fior di labbra pronunciare l’altisonante nome di battesimo della cara vecchia amica che era Persefone.



Per dire a Jun, o al Dottore, o a me, qualunque cosa vi sia passata per la testa: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=330#lastpost


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Edited by TsurugiTetsuya - 10/3/2022, 20:12
 
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37. APPRENDISTATO.

Altrettanti anni prima, marina di Yokosuka, istituto tecnico dell’Accademia Nazionale di Difesa.

Le tue orecchie avevano registrato un battere cadenzato di tacchi sul pavimento e tu, gettato uno sguardo lungo il corridoio, a colpo d’occhio avevi valutato che chiunque stesse sopraggiungendo era decisamente più alto e più robusto dell’atteso; perciò, restando pazientemente seduta nella sala d’aspetto della scuola per militari, eri tornata a sistemarti sulle cosce la minigonna di recente acquisto. Così, solo in ultimo ti eri avveduta del paio di scarpe in lucido cuoio nero che ora stava sotto i tuoi occhi, fermo a guardare le punte dei tuoi stivali da donna… Allora, levando lo sguardo, avevi scoperto che il proprietario del paio di scarpe lustre era un giovanotto in uniforme, la cui capigliatura a dispetto del contesto si presentava indisciplinata e che in viso stranamente poteva ricordare proprio…
- Ciao ragazzo, come stai? - alzatosi dalla seduta ove vicini avevate atteso, il Dottore intanto aveva salutato.
- Non c’è male, grazie – una voce maschile estranea ma al contempo familiare al saluto del Dottore aveva risposto, mentre una spanna sopra di te un paio d’occhi color del piombo insistente ti teneva di mira, finché:
- Hey, Jun, non ti hanno insegnato che salutare è buona educazione? - l'apparente sconosciuto ti aveva apostrofata...
Tono indisponente, fare sostenuto, sguardo beffardo, solo di fronte a tutte quelle qualità messe insieme, alla fine, eri faticosamente riuscita a far combaciare l’immagine del fusto lì ben piazzato a sovrastarti con quella del quindicenne tuo fratello adottivo, il quale esattamente un anno prima aveva lasciato la Fortezza delle Scienze per entrare alla scuola superiore dell’accademia militare, quindi:
- Tetsuya, sei proprio tu!? - a scoppio ritardato avevi esclamato, al che l’altro prima con gli occhi era parso ridere e poi:
- Ma sentitela! Jun, si può sapere chi ti aspettavi di incontrare qui, forse Saburo Sakai?! - ti aveva canzonata. E mentre ancora incredula e incapace di spiccicare altre parole facevi ciò di cui al momento eri in grado, cioè fissarlo a bocca aperta - Jun, guarda che la mia era una bellissima battuta – lui serio ti aveva fatto notare – Ma davvero non sai chi è Saburo Sakai??
Di nuovo padrona di te - No, non lo so, e allora?! – voltandogli la faccia scocciata lo avevi rimbeccato.
- Buoni, ragazzi – il Dottore a quel punto era intervenuto – Spero non abbiate intenzione di mettervi a litigare proprio qui, appena incontrati?! Vi ricordo che il permesso di Tetsuya sarà di breve durata, perciò conviene sbrigarsi ad andare a pranzo... O volete dirmi che non avete fame?
- Come no! – all’idea del buon cibo il ragazzo per primo aveva reagito.
- Una fame da lupi! – a ruota anche la figliola si era pronunciata.
- Bene, vedo con piacere che l’appetito riesce sempre a mettervi d’accordo - e con queste parole Kenzo Kabuto, reindossando il suo soprabito, nel corridoio dell’accademia si era avviato, così inducendo entrambi i suoi figli adottivi a seguirlo.

Seduti al tavolo del ristorante che per l’occasione era stato prenotato, ordinato il pranzo, avevi approfittato della successiva attesa per meglio squadrare il tuo ritrovato fratello adottivo... E più l’avevi osservato, più ti eri fatta l’idea che i notevoli cambiamenti in lui non avessero interessato solo il fisico, perché d’accordo che Tetsuya di carattere non era mai stato un espansivo, ma...
Restio a intraprendere discorsi, alle domande che il Dottor Kabuto in mezza giornata gli aveva rivolto, l’altro si era sempre limitato a rispondere per monosillabi, puntualmente seguiti da intervalli silenziosi nei quali il commensale era apparso assente, lo sguardo concentrato altrove... Un modo di fare che aveva finito per rattristarti, perché sin troppo chiaramente l’atteggiamento ricordava quello del ragazzino di rientro dall’isola nell’arcipelago Izu, dove a periodi il Dottore per anni aveva condotto il bambino adottato e da dove ogni volta Tetsuya rientrava taciturno e distaccato, quasi che quell’isola avesse il potere di trasformarlo in un'altra persona; un effetto che per fortuna col passare del tempo si affievoliva, man mano che l’interessato tornava alla quotidianità, però... Per le poche ore che in quel pomeriggio avevate potuto trascorrere di nuovo insieme, l’atteggiamento in questione non era mai cambiato: a parte l’essersi preso gioco di te al primo rivederti, tra il ristorante e il rientro all’accademia la recluta era sempre rimasta seria ed impassibile, come esente da emozioni, perciò, fosse dipeso da te, Tetsuya da quella scuola militare sarebbe dovuto tornare a casa immediatamente!
Tuttavia ciò semplicemente non era possibile, dato che per volere del Dottor Kabuto, mentre nei successivi due anni tu avresti continuato a frequentare la scuola di Yokohama, tuo fratello adottivo avrebbe avuto ancora chissà quanti anni da trascorrere presso svariati corpi militari, ad imparare tutto ciò che il vostro padre acquisito riteneva utile per la formazione del suo addestrando pilota di robot gigante.

La sera stessa, Suruga Bay, Fortezza delle Scienze.

- Allora, Jun, come hai trovato Tetsuya dopo tutto questo tempo?
Alla domanda peraltro attesa del Dottore, soppesando le parole avevi risposto:
- Be’, direi… cambiato. Da non riconoscerlo.
- Già, – l’altro aveva convenuto, proseguendo – si sta facendo un uomo. Sono molto soddisfatto del suo rendimento alla scuola militare: il professor Maki mi conferma che il report del nostro futuro caporal maggiore è eccellente, mentre in fatto di prove fisiche i suoi risultati sono i migliori di tutto il corso! - così si era espresso il professore, tradendo tutto il proprio orgoglio di primo addestratore del figlio adottivo e forse anche di padre...
- ... Ne sono felice, Dottore - ma stavolta non ti era riuscito di dissimulare, infatti:
- Qualcosa non va, Jun? Mi sembri pensierosa.
Valutando meglio i pesci da pigliare:
- Ma no, Dottore, che dici, è solo che Tetsuya… Mi è sembrato un po’ sulle sue, tutto qui.
- Capisco, - Kabuto allora aveva interpretato - però ti assicuro che era molto contento di rivederti, anche se come al solito non l’ha dimostrato. Da questo lato dovresti conoscerlo, no?
- Ma certo, Dottore, hai proprio ragione! - allora ti eri affrettata a concordare, nell’avviarti all’uscita della modernissima e minimale living comunicando - Scendo in palestra ad addestrarmi.
- Jun, ora sei in vacanza, non è indispensabile - Kabuto aveva provato a consigliarti.
- Non importa, Dottore, le feste di Pasqua alla scuola cattolica sono lunghe, e quando Tetsuya tornerà, io non dovrò essergli da meno in nulla.



***




Un anno più tardi, radice della penisola Izu, costa est, stazione di soggiorno di Atami.

Alla tanto rispettabile quanto isolata villa con vista mare, i pezzi arrivavano già sbozzati.
A produrli era la fucina industriale che da anni ormai era installata nel Monte Fuji.
Laggiù, nelle profondità del vulcano sopito, associato alla miniera che rendeva la rarissima materia prima, un enorme crogiolo alla poderosa forgia continuava a fornire lingotti d’acciaio opportunamente arricchiti al japanium…

Quello dell’innovativo metodo di arricchimento del metallo era stato il primo dei brevetti depositati che uno dopo l’altro avevano contribuito ad accrescere la fortuna di un ingegnere, negli anni consentendo di reinvestire con profitto gli ingenti ricavi prodotti da una filiera che di fatto si autoalimentava.
Infatti, una volta avviata l’unica attività estrattiva del genere al mondo, alle pendici del Fuji aveva finanziato anche la costruzione di una centrale fotonica, a sostentare estrazione e lavorazione del minerale stesso. Nel frattempo il migliore dei suoi assistenti, Gennosuke Yumi, era divenuto il più diligente dei suoi collaboratori e se ad oggi la centrale di generazione fotonica era arrivata a distribuire energia pulita a tutta la prefettura di Shizuoka, ciò era stato grazie alla capacità del giovane ricercatore di lavorare in autonomia, anche in assenza del maestro.
In ultimo, prima di rendersi irreperibile, connesso alla centrale aveva fatto in tempo a fondare l’istituto di ricerca per lo sviluppo e per le applicazioni dell’energia fotonica, nominandone direttore Yumi stesso. Quest’ultimo investimento aveva già permesso all’equipe del Fuji di compiere i primi passi nella sperimentazione di macchinari che, dalle dimensioni eccezionali e dall’innovativa fonte alimentati, in un futuro non lontano avrebbero servito l’umanità per scopi dichiaratamente pacifici.
A risvolto dell’intera faccenda, comunque, restavano gli utili che da tutti quei brevetti continuavano a derivare, da soli bastando a determinare la ricchezza dell’unico titolare. E a conti fatti, se da ingegnere all’avanguardia non avesse avuto da spendere per i suoi privatissimi passatempi, di quella vera e propria montagna di guadagni effettivamente non avrebbe saputo che fare, invece...
Invece, da che negli ultimi tre anni era stabilmente rientrato in Giappone, il laboratorio al nuovo domicilio lo attendeva, ma stavolta in segreto. Un segreto di cui nemmeno il buon Yumi era a conoscenza, e idem Tsubasa: per maggiore sicurezza, infatti, persino la sua attuale nonché unica collaboratrice non avrebbe saputo di quel suo “passatempo”, almeno fino all’ultimo momento. Perché nessuno poteva dire se e quando il momento sarebbe arrivato, il che era il vero problema, perciò bisognava darsi una mossa! Quindi anche oggi era giunta l'ora di rimettersi al lavoro che sopra a tutti contava, adesso che a fine giornata Tsubasa col secondogenito aveva lasciato la villa per tornarsene a casa propria, mentre il nipote più grandicello al campeggio per tutto il mese era stato sistemato, dunque...
Via libera!

Là, sotto la strategica botola metallica a parecchie mandate sopra la testa ben richiusa, al totale riparo da occhi e da orecchie indiscreti come in qualunque altro sotterraneo si scendeva, non prima d’aver acceso la fonte di luce manco a dirlo fornita da un generatore al japanium, che qui in versione poco più che domestica a ciascun dispositivo trasmetteva energia.
Poi c’era da attivare il computer, che collegato a un grande tornio di fotonica precisione ogni pezzo come da progetto era in grado di scolpire, alla perfezione.
Così rifinita una nuova parte era pronta ed allora, grazie all’impianto che il cantiere ipogeo con studiati raggi radenti come a giorno rischiarava, al pari che sotto le migliori condizioni di luce naturale si passava a testare, compreso a vista, il prodotto in lega Zeta.
E superato anche l’ultimo controllo di qualità, altro non restava che procedere all’assemblaggio, sempre in base al progetto ogni parte posizionando nello spazio grazie al comodo paranco.
Infine, arrampicato sull’impalcatura che toccava i dodici metri d’altezza, collegati gli eventuali cavi d’alimentazione, una bella stretta a viti e bulloni et voilà: il gioco da ingegnere robotico anche oggi era fatto.

Disceso dall’impalcatura al pavimento dell’enorme officina scavata nel basalto del promontorio, l’anzianotto professore prima aveva tirato il fiato e poi, mani ai fianchi del camice da laboratorio ora unto come quello d’un meccanico, critico aveva alzato lo sguardo al soffitto del sotterraneo, ovvero alla cima della sua opera, considerando che ormai di quella fatica si stava quasi guardando la fine. E così, da costruttore del primo prototipo di un super robot da pilotare, finalmente si sarebbe tolto la curiosità di mettere alla prova quel pulcino bagnato che un giorno suo figlio era giunto a presentargli, augurandosi che nel frattempo con quell’orfanello non si fosse restati mani in mano, bando agli scarabocchi dell’infante e all’assurda pretesa di psicanalizzarli. In seguito a quella piccola discussione occorsa sette anni prima, capriccioso il suo unico erede se n’era andato sbattendo porte in casa paterna e, da allora, più nessuna notizia Kenzo si era degnato di comunicare riguardo gli sviluppi di un progetto partito con un’adozione concertata. Adesso però era davvero il caso che qualcosa in merito suo figlio gli rendicontasse, altrimenti...
L’improvviso suono emesso dall’allarme istantaneamente aveva distratto l’ingegnere dai suoi eventuali propositi, per chiedersi - Cosa sarà finito fulminato stavolta dal sistema anti intruso là fuori? La solita volpe o il solito cane randagio?
Riemerso dal sotterraneo al piano terra, richiusa la botola mimetica al pavimento senza tralasciare di celarla sotto il pesante tappeto, il professore era ormai rassegnato all’idea di gestire i resti semicarbonizzati di chissà quale bestia di una certa dimensione, dato che di simpatici passerotti in piena notte certamente non poteva trattarsi.
Da là gli eventi si erano succeduti con tale rapidità da non consentirgli all’inizio di provare paura: un passo fuori dalla porta sul giardino e nel buio s’era sentito serrare forte alla gola, da qualcuno che gli stava alle spalle, perciò non era mai riuscito a gridare, una mano a premergli sulla bocca e una mezza voce all’orecchio a intimare - Sta’ zitto! - mentre nelle fauci qualcosa gli era stato introdotto, una stoffa, che ben stretta alla nuca impediva di articolare parola. Quindi saldamente afferrato per la collottola attraverso il giardino era stato sospinto da energiche braccia fin dentro il vecchio pollaio dismesso, dov’era stato rinchiuso.
Lì dentro, nell’oscurità dell’angusto gabbiotto basso da obbligare a mantenersi a capo chino, dall’ampia fessura tra muri e tegole un po’ di luce pallida di luna dall’alto filtrava, nell’aria satura di polvere permettendo agli occhi di abituarsi, pian piano rivelando l’accozzaglia di attrezzi agricoli che alle strette insieme alle ragnatele costringeva. Intanto, del fastidioso foulard alla bocca si era già sbarazzato, mentre un’altra fonte di luce era andata rischiarando sempre meglio l’ambiente, più calda e instabile di quella della luna, ballerina, e allora aveva pensato - Del fuoco?! - Al che d’istinto all’interno della porticina si era addossato, scoprendo che per le incongruenze tra le assi si poteva sbirciare, così appurando che là fuori nella notte il suo splendido giardino era in fiamme, ma nemmeno di ciò si era potuto disperare, ché nel silenzio notturno una raffica secca era esplosa! Avendo vissuto l’ultimo conflitto mondiale, senza dubbio aveva riconosciuto nel rumore la scarica d’una mitragliatrice, accompagnata da concitate esclamazioni, presto seguita da un’altra mitragliata e poi da altre ancora! Così, come catapultato indietro nel tempo si era ritrovato sullo scenario di una guerriglia dove però, anziché esposto, tra muri di cemento rannicchiato stava al riparo, e certo che gridare non gli conveniva, almeno finché l’incendio non avesse insidiato il suo rifugio o qualcuno non fosse sopraggiunto alla porticina, che chiusa al pericolo per ora lo manteneva prigioniero forse, ma se non altro al sicuro. In ogni caso, le ripetute scariche d’arma da fuoco l’avevano subito indotto ad allontanarsi dall’uscio in legno per tornare all’angolo tra le più protettive mura, a cercare ulteriore nascondiglio nella rinfusa catasta d’oggetti. E lì accovacciato e muto era rimasto, ma ad orecchie ben aperte...
Poi, dopo un tempo che non avrebbe saputo quantificare era tornato alle feritoie della porta, che seppure dalla limitata inquadratura gli avrebbero permesso di accertare la situazione esterna: da un bel po’ infatti non si erano più uditi spari, né alcun altro suono al di fuori del crepitio del fuoco, e anche se l’incendio là fuori restava in corso, dopo avere per sicurezza atteso e atteso ancora, alla fine si era azzardato a toccare la porticina, per provare a spingerla, con sorpresa scoprendo che l’uscio era tutt’altro che sprangato... Allora, per primo aveva cautamente cacciato fuori il naso aquilino, seguito dal mento, quindi dai baffi e infine da tutta la canuta zazzera di scienziato, controluce alle fiamme per la nera figura umana lì fuori sfiorando l’infarto!
- Mi serve una mano - così il tizio dal volto celato da un passamontagna alla soglia del pollaio aveva accolto la sua uscita allo scoperto, il battito cardiaco d’un povero vecchio che a stento resisteva... - Tutto bene? - a quel punto l’altro si era informato.
- … Sì... Tutto bene - con un filo di voce il professore si era udito rispondere, senza il minimo spirito per chiedere delucidazioni.
- Presto allora, ché a momenti arriveranno i pompieri!
- Pompieri? - Pompieri, certo, ché in lontananza le sirene dei vigili del fuoco si udivano sempre più distintamente, con tutta probabilità chiamati a estinguere l’incendio nel suo adorato giardino...
- Avanti, dobbiamo farli sparire tutti - e al rinnovato sprone il proprietario della villa ancora frastornato s'era guardato attorno, là a pochi passi sul tappeto erboso effettivamente scorgendo nel buio una persona riversa, la quale in tutto e per tutto aveva l’aspetto di un soldato... - Ho già ammucchiato gli altri, - lo sconosciuto intanto era andato comunicando nel dirigersi là nei pressi ad una discreta pila di corpi - ma adesso aiutami a portarli via da qui - afferrando per i piedi uno dei trapassati, atletico apprestandosi all’urgente suo lavoro...
- D’accordo... - a furia di sollecitazioni si era convinto, finalmente intuendo il motivo di quell’urgenza, e brancato a propria volta un paio di stivalacci, pronto a tirarli - Ma tu chi saresti, di grazia?
- Non c’è tempo adesso, portiamoli al pozzo e buttiamoli giù.
- Nel pozzo? E come farei poi a cavarli da là sotto?? Inquineranno acqua buona per anni! - così l’anziano dimostrando di essersi definitivamente riavuto dalla disavventura.
- Allora dove?
- ... Di là, vieni! - e sul prato trascinando a fatica il suo fardello, tra il chiaro e lo scuro della notte di mezzaluna l’ingegnere, attraverso il parco di sua proprietà, aveva indicato la strada.

Tutti i cadaveri trasferiti al punto di raccolta, via telecomando dal padrone di casa avviata l’apertura del portellone sul giardino, i corpi lungo il piano inclinato erano in breve rotolati di sotto ed ora l’enorme lastra metallica, sempre a comando, sul sotterraneo s'era già richiusa, con l’erba del prato tornando a mimetizzarsi completamente.
Mani alla schiena dolente per l’insolito sforzo, il professore: - Bene, ora io tornerei di là, a parlare coi pompieri...
- Racconta che l’incendio è partito dal barbecue appiccando al mucchio delle foglie secche, perché così è stato - lo sconosciuto allora aveva istruito.
- Intesi… Ma quindi... Hai dato tu fuoco al mio giardino?!
- Sa com’è, con quattro avversari armati di mitra, come diversivo è riuscito benone, mi sembra.

Incendio domato, vigili del fuoco con mille scuse e mille grazie congedati, davanti a un tè caldo nel salotto seduti al tavolo in centro al tappeto persiano, con più calma ora si sarebbe potuto discutere. Frattanto lo sconosciuto si era liberato del passamontagna, oltre agli occhi dal colore chiaramente poco giapponese mostrando anche il resto del volto, così confermando l’ipotesi che si trattasse di un ragazzo sui diciott’anni a dir tanto. Vestito di una speciale tuta rinforzata e assai spettinato, prima di tutto l’aitante ospite aveva chiesto di poter sciacquare la robusta lama con cui in giardino aveva agito, ché lorda di sangue adesso in casa avrebbe sporcato; quindi al tavolo del salotto il giovane si era sistemato, di lena prendendo a tuffare biscottini uno dopo l'altro nella tazza del tè, senza sosta...
- Adesso posso chiederti come ti chiami, giovanotto? - ... Ma non rammentando con certezza né cognome né nome dall’altro prontamente dichiarati: - Toglimi una curiosità, ragazzo: quanti anni hai?
E alla risposta tornandogli i conti, l’ingegnere possedeva ora tutti gli elementi per concludere che no, suo figlio con l’orfano, in quegli anni, non era affatto rimasto mani in mano.


Radice della penisola Izu, costa ovest, porto di Numazu, 7 ore prima.

L’attesa per l’imbarco sarebbe stata ancora lunga e di sicuro noiosa, almeno quanto il sudoku nel quale il suo compagno di viaggio sulla panchina all’ultimo sole lì, al molo d’attracco accanto al bagaglio, continuava a restare immerso...
- All’arrivo della nave manca ancora parecchio tempo: ora che abbiamo sistemato coi documenti, io andrei a farmi un giretto qui attorno.
Senza distrarre lo sguardo dal suo rompicapo: - Certo, va’ pure, ma tieni d’occhio l’orologio.

I porti e i loro dintorni da sempre gli risultavano tra i luoghi più attraenti, con l’andirivieni di variegata umanità e le attività ferventi, nell’apparente loro isolamento sempre pronti a riservare dietro l’angolo qualche sorpresa, come ad esempio l’ambulante venditore di fritture cui assolutamente non aveva inteso resistere... Quindi sgranocchiando squisite seppioline in pastella aveva assecondato il richiamo delle onde, che a un solitario porticciolo per barche l’aveva condotto, seduto sulla scogliera nel vento a godersi lo spettacolo che ben conosceva e che mai deludeva: quello del sole che maturo come un’arancia enorme all’orizzonte stava per toccare l’acqua di mare, in quel modo dando l’impressione di intiepidirla per la notte, e al ritmico e profondo respiro della risacca era già sera. Allora aveva controllato l’orologio, calcolando che nel giro di un quarto d’ora al molo d’imbarco sarebbe stato di ritorno, ampiamente in tempo per la partenza. Se non che, nel rialzarsi dal grande scoglio artificiale che tra gli infiniti altri gli era servito da sedile, all’udire voci provenire proprio dal mare si era meravigliato, perché la superficie dell’acqua là davanti fino a quel momento si era presentata assolutamente deserta... Dunque, quel natante che là sotto il suo sguardo nel crepuscolo mostrava la prua alla costa era forse sbucato dal nulla? Né a quelle voci aveva potuto evitare di prestare orecchio, anche perché più nel silenzio si avvicinavano alla riva e meglio le distingueva, come amplificate in stereofonia... Finché la barchetta a remi si era accostata al punto che gli enormi frangiflutti in primo piano l’avevano nascosta alla vista, ma ugualmente stando là in cima i suoni come a teatro dal basso del molo giungevano chiari, mentre lui dall’alto tra gli scogli si era sporto a curiosare... E nei circa due minuti di ascolto e osservazione intercorsi, quel che aveva visto e sentito era stato sufficiente per indurlo a tornare immediatamente al punto d’imbarco, stavolta non passeggiando bensì correndo a più non posso per le viuzze che a quell’ora si erano spopolate...
Giunto a destinazione, però, il compagno di viaggio sulla panchina a fronte del molo non c’era più, ma per fortuna al primo tentativo l’aveva ritrovato dov'era più logico cercarlo, cioè nel caffè là nei pressi, nel quale trafelato aveva fatto ingresso, trovandosi ad insistere non poco per convincere l’altro ad uscire, ché certi discorsi non sono da bar. E una volta all’esterno, a bassa voce prima d’un fiato gli aveva riferito e poi aveva dovuto ripetergli tutto daccapo, dato che alle sue parole si stentava a credere:
- Li ho sentiti bene, ti dico: parlavano di “energia fotonica” e sono tipi molto strani, tutti vestiti uguali, come soldati ma col gonnellino, tranne uno che ha addosso un pastrano lungo fino ai piedi...
Nell’ascoltarlo per la seconda volta da incredulo l’altro si era fatto sempre più scuro in volto e, alla fine, per entrambi aveva stabilito il da farsi…

- Dunque io sono salvo quasi per miracolo, - ascoltato il racconto del ragazzo, davanti alle tazze da tè ormai vuote il professore aveva compreso - visto che chi intendeva farmi una sorpresa per qualche motivo ha preferito sbarcare alla costa di là, mentre Kenzo per Bardos si è già imbarcato, da solo...
- Proprio così - il ragazzo aveva confermato, passando a indagare - Hai un’idea di chi fossero gli incursori e di che cosa esattamente cercassero qui alla villa?
- Mmh... No, “esattamente” non ne ho idea, ma a giudicare dall’aspetto di quei quattro soldati...
- Difatti: elmi, spade, gonnellini, tolti i loro mitra sembravano saltati fuori dalle pagine di un libro di storia, dai primi capitoli intendo. Per non dire del tizio o tizia che li comandava, che parlava con una voce incredibile, come fosse due persone insieme, ma sta di fatto che alla mal parata dal giardino se l’è data a gambe. Allora per sicurezza l’ho seguito di nuovo, finché sono stato certo che stesse davvero scappando verso il molo, e chissà poi dove sarà andato a cacciarsi quel bizzarro individuo... Professore, ma proprio non si sa cosa quel dottor Hell stia combinando su quell’isola in Grecia?
- Ah, ecco il vero quesito, giovanotto! Quando due mesi fa all’improvviso Hell, dopo tre anni che non ci si vedeva né ci si sentiva più, si è ripresentato all’istituto del Fuji chiedendo di me, non sapendo dove trovarmi, Yumi si è premurato di recapitare la lettera del collega alla mia residenza in Tokyo, da dove la busta è stata reindirizzata qui. In quella lettera Hell accenna alle nuove e più recenti scoperte che avrebbe fatto a Bardos, invitandomi a tornare sull’isola per illustrarmele, tuttavia... Tuttavia non ho ritenuto opportuno accettare la proposta, dato che qui in Giappone al momento ho già abbastanza da fare... Comunque, della novità ho pensato di informare mio figlio, così gli ho telefonato e allora Kenzo, come sai, si è offerto di recarsi a Bardos per andare a verificare coi suoi occhi ciò che tu mi hai appena chiesto.
- Però, professore, mi sembra di capire che di questo Hell non vi fidiate granché, o sbaglio?
- A dire il vero, Hell come persona non mi è mai piaciuto, già da quando frequentavamo insieme l’università, ma a quei tempi si trattava unicamente di questioni personali, appunto. Come scienziato invece si tratta indiscutibilmente di un genio, motivo per cui, quando in seguito si cominciò a collaborare per ricerche che si prospettavano importanti, finii per convincermi che il sodalizio professionale tra noi fosse ideale: un bioingegnere e un ingegnere robotico che insieme rischiavano di compiere la più grande scoperta che si potesse concepire, in campi che i nostri rispettivi saperi coniugavano in modo impensato, sorprendente addirittura...
- Sono molto preoccupato, professore - a quel punto il giovane aveva interrotto.
- Anch’io, e non te lo nascondo. Se all’idea di Kenzo di tornare senza di me a Bardos non mi sono opposto è stato solo perché mio figlio mi ha tranquillizzato, dicendo che qualcuno di fidato e capace l’avrebbe accompagnato, parlando di te, come del resto potevo immaginare. Quel che invece non potevo immaginare è la velocità con cui gli eventi sembra stiano precipitando...
- Allora dobbiamo raggiungere il Dottor Kabuto su quell’isola, subito!
- “Subito” è una parola grossa, ragazzo, almeno quanto ciò che converrebbe portare con noi sin là.
- E cioè??
Alla domanda, il professore dalla sedia s’era levato, guardandosi attorno con fare circospetto prima di rispondere:
- Spostiamoci da questo tappeto, così vedrai.

Ciò che nel sotterraneo della villa aveva visto, confrontandolo coi progetti del Dottor Kabuto che, Brain Condor a parte, stavano ancora tutti sulla carta, l’aveva lasciato senza parole. Persino il nome di quella macchina era esaltante.

Risaliti nel salotto:
- Ora ti prego, ragazzo mio, dimmi che sai portare una motocicletta - il professore aveva tenuto a sapere.
- Certo che sì: quando ho compiuto quattordici anni il Dottor Kabuto mi ha regalato la mia prima due tempi - senza che nemmeno gliel’avessi chiesta - Poi, da due anni a questa parte siamo passati alle quattro tempi e al momento guido una seicento di cilindrata - anche se ancora non ne avrei l’età.
- Bene, sono confortato: vedo che mio figlio non ha trascurato proprio nulla - perché mentre lui in questi anni si è fatto sostanzialmente gli affaracci suoi, al contrario io, sugli sviluppi del mio lavoro, l’ho sempre tenuto aggiornato! - E adesso scusami, ho una telefonata urgente da fare.
- Ma professore, sono le tre di notte, o del mattino se preferisce, e...
- Figliolo, ascolta, il mio nome è Juzo e così “se preferisci” mi puoi chiamare - ché il tuo continuo passare dal tu al lei mi rende schizofrenico - E la telefonata che sto per fare è alla mia assistente, per avvertirla di contattare prima possibile la baby-sitter - e alla faccia perplessa del bravo giovane - Tranquillo, si tratta di persona più che fidata che in tutta questa faccenda darà una bella mano, anche se avrebbe un figlio piccolo di cui occuparsi... Ma ti assicuro che l’idea di affidarlo per partire quanto prima alla volta dell’isola di Bardos non la disturberà, anzi.

...

Trillando alle sei del mattino il campanello della villa aveva sbrandato un giovane che nell’attesa, causa pedinamento con massacro notturni, in tuta da combattimento sul sofà in salotto era stato vinto dal sonno, mentre il padrone di casa, che di dormire stavolta in particolare non avvertiva necessità, recatosi al videocitofono aveva appurato:
- Proprio come pensavo, è arrivata anche prima del previsto.

- Buongiorno, Juzo.
- Buongiorno a te, se di buon giorno vogliamo parlare: scommetto che nemmeno la tua baby-sitter lo considera tanto buono, visto l’orario a cui l’avrai buttata giù dal letto. Comunque, Tsubasa, questo è Tsurugi Tetsuya e, Tetsuya, questa è la mia collaboratrice, la biotecnologa Nishikiori Tsubasa.
- Ah, ecco qui il favorito di Kenzo, dunque. Mi chiedevo quando mai avremmo avuto il piacere di fare la tua conoscenza - posando un grosso zaino da trekking su una sedia l’assistente del professore, una bella donna sulla trentina, un carrè di folti capelli castano caldo e vividi occhi verdi, con un sogghigno aveva salutato.
- Be’, mia cara, come ti dicevo prima al telefono, questo ragazzo stanotte mi ha salvato la pellaccia, perciò direi che si tratta del benvenuto. E tu, figliolo, bada di non lasciarti intimorire dalle maniere di questa donna che controbilancia l’iperfunzionalità dei suoi neuroni con un carattere che te lo raccomando. Ed ora mettiamoci al lavoro, ché non abbiamo tempo da perdere.

Entro il mezzogiorno, dal professor Juzo Kabuto senza badare a spese era già stato affittato un mercantile adatto, che salpando direttamente dalle coste di Atami con un carico che anche al capitano della nave sarebbe rimasto ignoto, trasportando carburante di scorta senza scali avrebbe fatto rotta per una certa isola greca, incrociando sui mari al massimo della velocità possibile per un cargo. Quindi nei pressi della medesima isola la nave sarebbe rimasta a disposizione in rada, nell’attesa di un rientro in patria in cui, data la situazione, più che altro si sperava. Durata della traversata: tre settimane di navigazione, un tempo che ai loro occhi di gente con una fretta del diavolo pareva infinito, ma per trasferire a destinazione quel loro speciale carico, un sistema più rapido purtroppo non esisteva...

- Ad aver immaginato di dover un giorno andare noi fino in Grecia a stanare Hell, - ad un certo punto della giornata Tsubasa aveva considerato - avresti fatto bene a progettare e costruire anche una nave a energia fotonica, eh, Juzo?
- Già, - seriamente l’altro aveva commentato, con la sua voce roca e stridula che era quella della massima autorità nel campo in questione - a pensarci, potremmo tenere questa nave in darsena, a modificarla, smontandole il motore per sostituirglielo con uno di mia fabbricazione: arriveremmo prima lo stesso.
- Dite davvero? - uno speranzoso Tetsuya allora aveva chiesto, ma chissà perché gli altri due non gli avevano dato retta, calmi e metodici al tavolino del salotto riprendendo a programmare ogni passo che fosse programmabile... Ma interrompendosi di nuovo dal pianificare:
- Ah, nel frattempo, figliolo, - Juzo improvvisamente aveva realizzato - anziché startene lì impalato, sarà meglio che tu con quella motocicletta vada a fare un po’ di pratica, a provarne l’agganciamento. E se oltre a quella tuta possiedi anche un casco protettivo, conviene che in qualche modo tu lo vada immediatamente a recuperare.

La notte stessa, alle ore 01:00 in punto, ufficialmente a causa di un guasto parziale la centrale fotonica alle pendici del Fuji aveva di colpo lasciato la cittadina costiera di Atami completamente al buio. Al momento del blackout nel sotterraneo della villa, al lume elettronico d’una cloche sotto il portellone spalancato alla costa:
- Juzo, per piacere, fatti più in là, ché in questo abitacolo c’è poco spazio.
- Ah, se la metti così, d'accordo: so io dove andare a sistemarmi... Ecco fatto, e adesso via, ragazzo, di corsa!
- Sono pronto, ma mi raccomando lì fuori, professore, si tenga forte!
- Non preoccuparti, figliolo, ché questa è la mia creatura: ENERGER ZETA, AVANTI TUTTAAA!!!

Esattamente venti minuti più tardi, altrettanto ufficialmente il guasto alla centrale del Fuji era stato riparato, ma due minuti prima che le luci di Atami nella notte tornassero a brillare, nel mercantile che al punto concordato della costa li aveva attesi tutti e tre contemporaneamente col loro deambulante mezzo d’eccezione si trovavano già imbarcati, puntuali come da cronoprogramma, con tutto l’equipaggio che momentaneamente come da contratto stava ritirato sottocoperta col divieto permanente di scendere allo scafo.
Viaggiando appollaiato sulla spalla della sua meccanica creatura antropomorfa che nella pancia della nave adesso era stivata supina, l’ingegner Kabuto aveva forse un po’ sofferto i contraccolpi del trasferimento in corsa sostenuta, ma decisamente ancora in gamba, asciutto e nervoso lo scienziato dalla sua postazione come un grillo era saltato al fondo del cargo che intanto era salpato, lentamente prendendo il largo dalle coste giapponesi...
- Tutto a posto, professore?
Rassettandosi la giacca del completo sahariano - Benissimo, ragazzo. - Juzo aveva tagliato corto, ché la preoccupazione sul suo volto come nella sua voce non era minimamente dovuta agli acciacchi dell’età, bensì al pensiero dell’imminente soggiorno mediterraneo il quale stavolta più che mai si presentava carico di sorprese... Allora:
- Avanti, saliamo in cabina a recuperare quasi due notti insonni - decisa come sempre Tsubasa aveva risolto per tutti e tre.


Il giorno precedente la partenza, nel laboratorio al pianterreno della villa, al pensiero di - Ah, ferraccio scadente e pure di dubbia provenienza - a piè pari aveva scartato l’idea di reimpiegare quel metallo per renderlo parte d’un prossimo robot gigante. Che fare dunque dei giunti e delle piastre ferrosi che senza sorpresa, dissezionando, aveva scoperto integrare ossa e derma dei soldati le cui carcasse insieme a un mucchio di elmi e spade d’epoca protostorica gli stavano ingombrando casa?

Così, una settimana dopo la partenza per Bardos, mentre una squadra di giardinieri rimediava ai danni di un incendio, nel parco della villa di un ingegnere col pallino dell’archeologia l’idraulico montava una statuetta brunita, nuova di zecca in stile neoclassico riproducente la Nike di Samotracia, alata e zampillante in centro alla vasca dei pesci a fare adesso bella mostra di sé.


Il tempo del lungo viaggio per mare era stato trascorso quasi esclusivamente a prefigurarsi ogni possibile scenario che all’approdo in Grecia avrebbe potuto accogliere, intanto che il giovane pilota al robot sdraiato nella pancia della nave almeno una volta al giorno scendeva, meticoloso a riprovare la manovra con cui la potente due ruote inserendosi nella macchina diveniva per quest’ultima la postazione di comando.
Recatisi ad assistere a una di tali acrobatiche, rombanti esercitazioni...
- Ma davvero, Juzo, credevi di poter costruire tutto ciò sotto il mio naso senza che io sospettassi di qualcosa?
- Be’, a tenere segreto il cantiere di sotto io ci ho provato, convinto che le nostre ricerche al laboratorio del piano di sopra, insieme al bimbo, ti tenessero impegnata abbastanza per non accorgerti di nulla. Comunque, a onor del vero, il progetto di questa macchina è di Kenzo.
- Bene, ma a proposito del laboratorio di sopra, Juzo: che ne pensi del modo con cui le parti meccaniche in quei quattro corpi sono state integrate con la base biologica?
- Mi è sembrato un sistema sbrigativo. Efficace magari, ma rudimentale.
- È l’idea che mi sono fatta anch’io... Però, se davvero si trattasse dell’opera del mio primo insegnante, la sua tecnica negli anni dovrebbe essersi raffinata, invece...
- Invece, potrebbe darsi che il tuo ex maestro non stia puntando tanto alla qualità...
- Quanto alla quantità, è questo che intendi?
- Precisamente, Tsubasa, è proprio ciò che intendo.
- Accidenti, in tal caso saremmo in guai ancora più seri di quel che pensavamo: Hell starebbe costruendosi addirittura un esercito...
- A maggior ragione, starà a noi fare il possibile perché simili piani non conoscano un seguito.
- Allora, Juzo, sarà meglio che mettiamo al corrente questo ragazzo di ciò che sull’isola potrebbe trovarsi di fronte, almeno per quel che ne sappiamo.
- Mmh... Anche tu temi che Hell sia riuscito a rimettere in funzione i giganti meccanici di Bardos?
- No, altrimenti ci avrebbe attaccati direttamente con quelli, immagino. Piuttosto parlavo di Hell stesso e di Ashura, che non sono propriamente i personaggi più affabili cui fare visita, e anche di un po’ di storia dell’isola di Bardos, di modo che il nostro giovane pilota, per quanto abile, non rischi di trovarsi là totalmente spiazzato.
- D’accordo, ma... Giusto per capirci, Tsubasa, tu avresti intenzione di rivelare a questo ragazzo anche la storia di Ashura, compresa la sua natura e come abbia fatto a tornare in vita?
- Direi che a questo punto sia indispensabile, ovviamente lasciando che Hell risulti l’unico responsabile della faccenda: molto meglio che Tetsuya a quei comandi stia il più sereno possibile, senza pensieri che rischino di turbarlo o di confonderlo troppo, considerato che si tratta di poco più che d’un ragazzino.
- Parlando di turbamenti, Tsubasa, dimmi un po’: come ti senti al pensiero di rivedere Kenzo?
All’ultima domanda, tutt’altro che serena la nuora si era istantaneamente avvalsa della facoltà di non rispondere nient’altro che - Salgo sul ponte a prendere un po’ d’aria.

E l’aria che soffiava sul ponte della nave, ove il suocero in breve l’aveva raggiunta, era parecchia...
Collo incassato nel bavero e mani affondate nelle tasche della giacca, a ripararsi dall’insopportabile ventaccio:
- Solo perché tu ne sia al corrente, Tsubasa, prima di partire ho telefonato al campeggio.
- … Scusami, quale campeggio?
- Quello dove si trova il nostro Koji, ad avvisare di prolungare il suo soggiorno là per tutto il mese prossimo.
Seduta su un cassone in ferro verniciato, il caschetto dei capelli sferzati dal vento a scoprirle del tutto la nuca, l'ancor giovane schiena di Tsubasa stava curva, come a sopportare un peso per lei evidentemente troppo gravoso...
- Grazie, Juzo, per prenderti cura tu di quel bambino...
- Oh, di nulla. Si tratta di mio nipote e l’occuparmi di lui è solo che un piacere.


Nel pieno dell'ultima settimana di traversata, con l’ingresso nel Mare Arabico le coste del Medio Oriente sulle acque si erano delineate sempre più nitide e quindi sempre più avvolgenti man mano che la nave si addentrava nel grande Golfo di Aden, in previsione di infilarsi nella stretta artificiale del Canale di Suez... E allo sbocco di quello, da Porto Said spingendo di nuovo i motori della nave al massimo, meno di un giorno di navigazione li avrebbe separati dalla meta.



- Su, avvicinati...
Osserva coi tuoi occhi le incredibili risorse
che dal lontano passato giungono direttamente nelle nostre mani,
affinché le nostre menti ne possano disporre...
Menti superiori, la mia, e la tua...
Oh, sono sicuro che anche tu, come me, hai realizzato questo aspetto che ci accomuna...
Mi chiedo però se tu abbia riflettuto sulle infinite opportunità che qui ci vengono offerte...
In caso contrario ti invito a farlo adesso,
perché tu ed io insieme saremo capaci di grandi cose...
Non lo credi anche tu, Kenzo??


- il seguito al prossimo capitolo -



Per lamentarsi del mal di mare, da questa parte, prego: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=345#lastpost

Edited by TsurugiTetsuya - 25/9/2023, 20:41
 
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view post Posted on 15/4/2022, 11:09     +1   +1   -1
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38. DA MICENE ALL’ENERGER, I PROGRESSI DELL’UMANITÀ.

L’energia ha sempre un costo: un’ovvietà che qualunque scienziato dovrebbe conoscere.
Nel vostro caso, però, il semplice concetto è risultato talmente macroscopico da averlo subito perso di vista, infatti davanti ai prodigi che a Bardos vi si sono svelati uno dopo l’altro siete caduti, un’intera equipe di luminari avendo inciampato innanzi tutto nell’eccessiva priorità attribuita alla scienza, e poi qualcuno anche nella cupidigia.
Degli errori commessi tuttavia solo oggi riesci a prendere coscienza, ora che ti trovi di fronte alle conseguenze che non del tutto sono da imputare alla pazzia di Hell, perché in quanto a sete di sapere né tu né Tsubasa né Kenzo siete da meno del folle biologo, col difetto che tuo figlio manca dell’esperienza della vecchia volpe presso cui ha inteso recarsi a prendere lezioni private.
Di conseguenza, ecco appreso in cosa le nuove scoperte del collega a Bardos consistono: forme di vita inclassificabili in quanto totalmente sconosciute alla tassonomia, voraci, aggressive, a crescita rapida e indefinita, capaci di infettare oltre al fisico anche la mente, con cui tranquillamente condurre esperimenti usando come cavia un ospite.
In seguito a tale iniziazione sull’isola egea tuo figlio ha accolto il vostro arrivo, in vece di Hell arrivando a puntarti un’arma, con l’inaudita proposta di collaborare ai fanatici progetti partoriti dal collega chiaramente affetto da megalomania.
E così, ostaggi nella terra perduta, circondati non solo dal mare vi siete trovati in scacco, se non che, sfruttando un miracoloso attimo di distrazione una pedina del pericoloso gioco ha pensato di rompere gli schemi, un orfano devoto non avendo esitato a opporsi al mentore cui avrebbe dovuto tutto, a partire dalla riconoscenza per essere stato riscattato dalla miserevole condizione di nascita - Che proprio questa condizione abbia mantenuto il ragazzo impermeabile al fascino del male e del potere? - Fatto sta che, gettandosi addosso al genitore completamente uscito di senno, il coraggioso giovanotto ha aperto la scappatoia per te, per tua nuora e anche per tuo figlio. Peccato che l’atto di eroismo abbia condotto a fine prematura un pilota eccezionale. Giusto il tempo di apprezzarne le doti e il collaudatore del prototipo di Mazinga è andato incontro a una sorte orribile: stretto nell’abbraccio tentacolare, le protuberanze ad artiglio del mostro annidato in Kenzo impietose sono evaginate a trapassare il giovane, che nonostante ciò ha conservato la forza di mantenere inchiodato alla scogliera un padre irriconoscibile. Perciò un’unica pallottola è bastata, a neutralizzare l’uno e ad evitare ulteriori sofferenze all’altro. Il ragazzo stesso ha chiesto di fare fuoco, urlando che Kenzo andava fermato, senza preoccuparsi di chi fosse nel mezzo.
Dopo di che, al posto del pilota dedicato Tsubasa in qualche modo è riuscita a comandare i movimenti dell’Energer, le grandi mani robotiche ad afferrare chi stava a terra e per la scarpata impervia siete rovinati sino alla costa, ove la vostra nave avvisata via radio stava pronta a salpare, per un soffio scampando al bombardamento di lunga gittata, sul Mar Egeo riuscendo a guadagnare il largo, dall’isola maledetta prendendo per sempre le distanze.

Nel cargo solcante i mari verso la salvezza, ferito a morte, imbrattato di sangue, il corpo del giovane pilota ancora conserva un alito di vita, ma...
Nulla di ciò che accade può essere confessato, nulla dovrà saperne il mondo della scienza né tantomeno l’opinione pubblica. Il - per così dire - “incidente” di Kenzo e di Tetsuya occorso a Bardos resterà un segreto, motivo per cui affidare il ragazzo alle cure urgenti di un ospedale è assolutamente fuori discussione.
Se non altro, al rientro in patria la salma del valoroso potrà ricevere degna sepoltura.


Appena rifugiati a bordo, per prima cosa hai provveduto a stivare in cella frigorifera quel poco che di tuo figlio è rimasto. Poi, una volta fuori dalla portata della milizia di cui Hell negli anni a spese dei micenei si è dotato, alla bell’e meglio ti sei medicato l’occhio che, ferito da una scheggia, quasi certamente perderai. Quindi in infermeria sei rimasto a sorvegliare il ragazzo in coma, nel timore che dalle membra in fin di vita il parassita a caccia di più vigorose vittime decida di fuoriuscire; un tipo di monitoraggio che per tuo figlio invece non è necessario, perché l’immonda creatura non può più nascondersi nel lacero mezzo busto cui Kenzo è ridotto, consumato oltre l’accettabile persino per i gusti di un mostro del genere.

Nell’attraversare l’Oceano Indiano il corpo del giovane si è andato raffreddando, purtroppo finendo anch’esso a raggiungere la cella frigorifera.

E una volta sbarcati alla costa di Atami, con un furgone in affitto da Tsubasa condotto a tutta velocità avete raggiunto il laboratorio della villa: crioconservato l’encefalo di Kenzo si mostra ancora vitale, perciò il tuo lavoro febbrile è subito iniziato, la materia grigia in meno di un minuto alloggiata nello speciale contenitore che ancora a lungo la manterrà, nutrita e integra, in attesa di un corpo di sintesi cui poterla ricollegare in via definitiva. In tal modo tuo figlio con la sua intelligenza potrà continuare a esistere, nonostante per i suoi misfatti a Bardos tu l’abbia disconosciuto; ma avendo compreso che agiva in preda ad una forza maggiore, schiavo di un male al di sopra dell’umano controllo, alla fine hai deciso di donare a Kenzo un’altra possibilità. Un tentativo che vale la pena, non solo perché si tratta del sangue del tuo sangue, ma anche perché tuo figlio ha ereditato da te tutto il talento, e ormai anche tu come Tsubasa sei padrone dell’arte che per un’umanità ancora inconsapevole è insieme tabù e speranza: la cyber-robotica, disciplina per la quale ancora disponete della fonte di energia che tu hai scoperto, o per meglio dire di cui ti sei appropriato, illudendoti fosse gratis.

Nell’altra stanza invece la salma del giovane, ripulita e ricoperta da un lenzuolo, può riposare in pace vegliata da Tsubasa, la quale dal tragico epilogo a Bardos è uscita turbata al punto da non poterti essere di alcun aiuto in laboratorio ad armeggiare su suo marito, nemmeno se lo volesse...

Finché giunta la sera la giovane madre, ora tecnicamente vedova, ha dovuto fare rientro a casa propria ad incontrare una baby-sitter ingaggiata in pianta ormai stabile, a tentare di evitare traumi ai suoi due bimbi che sono i tuoi adorati nipoti. Allora, terminato ciò che per Kenzo oggi è stato possibile fare, chiuso il laboratorio per la notte sei passato di là per un ultimo controllo sul cadavere del ragazzo, nello sfiorarlo balzando all'indietro perché non più freddo come da un morto ci si aspetterebbe! A conferma un termometro, che strabiliandoti ha dimostrato come la temperatura del presunto cadavere si sia risollevata al punto che quelle spoglie ti sei ritrovato costretto a sorvegliare, di nuovo sospettando dell’attività del mostruoso parassita in quelle carni insinuato, tra te e te analizzando - Vero che la pallottola sparata da Tsubasa non ha raggiunto organi vitali, e fin qui la scienza potrebbe spiegare. Ciò che però a questo corpo non dovrebbe avere lasciato scampo sarebbe appunto il mostro, le cui protuberanze hanno trafitto in diversi punti...
Fatto è che, nottetempo, sotto lo sguardo vigile di uno scienziato incredulo le lacerazioni inferte dagli aculei dell’orrendo essere hanno lentamente preso a rimarginarsi, così come la ferita d’arma da fuoco... E trasferite quelle spoglie in laboratorio, avendole esaminate, radiografate, scandagliate con ogni tecnica possibile, infine hai dovuto prendere atto che l’organismo del ragazzo effettivamente non presenta traccia dell'orrido parassita, a quel punto riducendoti a tirare in ballo cause inaccettabili per un uomo di scienza - Che una volontà superiore abbia deciso di conservare questa vita? - dato che in tema di volontà superiori, l’intera vicenda di Bardos e di Micene con annesse divinità non offre che l’imbarazzo della scelta.

Durante la giornata la sua temperatura corporea è cresciuta ancora, costantemente, sino a riportarsi a valori prossimi a quelli di un essere umano… Finché sul letto operatorio di colpo ha spalancato gli occhi, le pupille come capocchie di spillo sotto la luce accecante del faro chirurgico irrequiete a traslare da destra a sinistra, incessantemente… E d’improvviso:
- Dov’è Kenzo?! - la voce come un ringhio in crescendo, lo sguardo di brace - Dov’è mio padre?? - la sua mano scattando a serrarti rabbiosa l’avambraccio rivestito del camice fino ad affondarti i polpastrelli nel muscolo - Cosa gli avete fatto?! - con questi interrogativi l’ex deceduto digrignando i denti nell’aldiqua si è risvegliato, le sue domande ossessive a suggerire che il redivivo, alquanto alterato, non si darà facilmente pace.

Nonostante l'iniezione sedativa ancora siede nel letto, anche se non si capisce da dove tragga le energie per farlo; fisico contratto così come i lineamenti cadaverici del volto, labbra cianotiche e sguardo ora inespressivo degli occhi cerchiati di scuro, sembra guardarti, ma non sei proprio sicuro che ti veda né che ti riconosca…
Somministrandogli un ulteriore calmante - Tranquillo, ragazzo, Kenzo sta bene - nel tentativo di quietare l’anima in pena garantisci - e tra non molto potrai rivederlo - aggiungi, a fatica obbligando il corpo nudo e rigido a tornare supino mentre i suoi occhi spiritati, ansiosi, continuano a indagare i dintorni, e chissà se il miracolato è in grado di comprendere dove si trovi e se ha ricordi dell’accaduto oltre al fatto che a Kenzo è capitato qualcosa. In ogni caso, la preoccupazione che il redivivo mostra verso tuo figlio ha dell’incredibile: Kenzo lo ha assassinato - o almeno ci ha tentato - ed ora la vittima per prima cosa chiede rassicurazioni circa la salute del proprio boia... Altro fatto curioso è che il ragazzo consideri tuo figlio agli effetti come un padre, quando invece tu eri fermo al progetto dell’orfano da allevare all’unico scopo di farne il pilota perfetto, perciò l’ultima cosa che ti saresti aspettato era di ritrovarti con un nipote acquisito tanto affezionato... Qualcosa evidentemente non è andato secondo i nostri piani, ma meglio così, prima di tutto perché altrimenti nessuno di noi qui adesso sarebbe vivo. Inoltre, se Kenzo intendesse riscattarsi dagli atti riprovevoli di cui a Bardos si è macchiato, certamente troverebbe in questo giovane una valida sponda.

...


Due giorni dopo il rientro in Giappone, di pomeriggio, mentre l’anziano professore si trovava assiduamente impegnato nella fabbricazione di un corpo meccanico per l’erede, al cancello della villa qualcuno aveva suonato il campanello…
Sospeso il lavoro nel laboratorio al pianterreno, scocciato per l’interruzione Juzo Kabuto nel monitor del videocitofono con attenzione aveva esaminato la figura dell’inattesa visitatrice: una ragazzetta sconosciuta, mulatta - Una bisognosa inviata da qualche missione cristiana? - ma avendo deciso di non rispondere all’appello il professore aveva subito fatto per tornare alle sue urgenti occupazioni, se non che un nuovo squillo di citofono lo aveva trattenuto; ripromessosi di attendere che là fuori si desistesse, restando nell’ingresso il padrone di casa aveva sopportato il terzo squillo di campanello, quindi il quarto e allora esasperato l’ingegnere aveva ceduto all’insistenza con cui là fuori la giovane cocciuta agiva sul dannato pulsante, attraverso il citofono interrogando con uno stridulo, interessatissimo:
- Sìì, chi èè?
- Ehm, buonasera… - dall’altra parte in tono titubante l’estranea aveva attaccato - Mi chiamo Honoo Jun e sono qui per Tetsuya e per… - ma prima che il successivo nome fosse pronunciato il padrone di casa s’era già precipitato a disattivare l’allarme fotonico perimetrale, attraverso il comunicatore invitando a farsi avanti, svelto provvedendo a legarsi la fascia di raso cremisi a nascondere la poco presentabile orbita sinistra che nel frattempo, a perenne ricordo dell’isola di Bardos, era divenuta orfana del bulbo oculare...

Un minuto dopo dinanzi l’uscio di casa aperto l'ingegner Kabuto s'era trovato a squadrare di persona la giovinetta dalla lunga e corposa chioma color del carbone, che in piedi sullo zerbino a sua volta lo scrutava, il professore apprezzando trattarsi di un’adolescente più che graziosa, la cui minigonna ben contribuiva a metterne in mostra il fisico armonico di esotica bellezza...
- Buonasera, io sarei... Sono la figlia adottiva del Dottor Kabuto.
Vinto il legittimo stupore:
Cara, allora io sono il tuo nonnino adottivo - Juzo aveva immaginato di risponderle, invece preferendo indagare - Figliola, chi ti avrebbe detto di venire qua? - Che diamine, le mie attività in questa villa sono top secret: chi saranno mai gli informatori della ragazzina?
- Ecco, - timida la fanciulla aveva spiegato - stamattina mentre ero a scuola mi hanno telefonato da casa, cioè dalla Fortezza delle Scienze, per dirmi che il Dottore e Tetsuya nel rientrare dalla Grecia hanno avuto un contrattempo e che per vederli avrei dovuto venire qui, ma che cos’è successo, stanno bene? - l'affascinante mezzosangue aveva finito col chiedere, addosso all’interlocutore piantando un paio di nerissimi occhioni preoccupati, lì sull’uscio standosene dritta e ferma, in inevitabile attesa di riscontro…
Ah, scommetto che qui c’è lo zampino di quei due tecnici che lavorano sia all’Istituto con Yumi sia a Suruga con Kenzo - il professore aveva dedotto, prima di rispondere:
- Ehm, cara, nel tragitto dal porto i tuoi hanno avuto un piccolo incidente d’auto, niente di serio, però hanno bisogno di riposo - specialmente l’invasato del ragazzo - Ma prego, entra pure: ti porto da Tetsuya, ché il Dottor Kenzo al momento non può ricevere visite.

Sudato e teso, i tuoi neuroni han dovuto lavorare alla velocità della luce per lì su due piedi elaborare la plausibile menzogna, mentre - Mannaggia a te, Kenzo, - mentalmente recrimini a tuo figlio - si può sapere quanti ne hai adottati di ‘sti benedetti ragazzini?! - Senti, figliola, - allora con garbo ti informi - in quanti fratelli siete là, alla Fortezza delle Scienze??
Alla richiesta, stupita la fanciulla con occhi d’ebano ti fissa e:
- In due, - risponde - perché??
- Così, per sapere - simulando indifferenza, tiri un respiro di sollievo - Eccoci, Tetsuya è in questa stanza, ma è ancora un po’ debole, perciò fai piano, mi raccomando.

Presenziando alla visita, per precauzione, ma anche per curiosità verso la nipotina acquisita che proprio non sapevi di avere, con estremo interesse osservi il comportamento della giovinetta, che seduta composta sullo sgabello accanto al capezzale del resuscitato, silenziosa mani in grembo da minuti interi sta vegliando il ragazzo, il quale dal mattino ritrasferito nella stanza degli ospiti, sotto l’effetto del potente sedativo regolarmente iniettato, nel letto continua a giacere perfettamente immobile... Dunque:
- Non si sveglierà per un bel po’ - decidi di avvertire.
- Non importa, aspetterò. – con disarmante fermezza la giovinetta assicura.

E quando dopo un’ora buona il degente aveva dato i primi segnali di risveglio, premurosa la ragazzina dallo sgabello si era protesa a posare delicatamente una mano sulla sua, il professore dal proprio canto pronto a intervenire contro le reazioni violente che immancabilmente accompagnavano le riprese di coscienza del sopravvissuto, il quale nel frattempo aveva riaperto gli occhi...

- Tetsuya… - sussurrando con voce di flauto lei lo ha chiamato, e il convalescente le volge lo sguardo, con inattesa calma constatando:
- Jun... Sei qui... - mentre tu:
- Ti ha riconosciuta! - gridando hai esternato tutta la tua sorpresa, la giovinetta sullo sgabello a voltarsi per gettarti un’occhiata obliqua, ma subito dopo riportando l’attenzione a colui che teoricamente sarebbe il fratello, il tutto senza mai lasciargli la mano bianca come il lenzuolo su cui resta posata, in estremo contrasto con la carnagione al cioccolato di lei, che lo rassicura:
- Certo che sono qui.
- Sono vivo? – con un filo di voce il ragazzo le chiede, sempre conservandosi calmo.
- Direi di sì – con naturalezza lei gli conferma.
- Il Dottor Kabuto dov’è? - ecco che l’altro arriva a domandare, al che voltandosi di nuovo la ragazzina con lo sguardo ti rigira il temuto interrogativo…
- È qui anche lui - allora ti affretti a promettere ai due - E non appena starà meglio verrà a trovarvi, adesso però lasciamo riposare questo giovanotto che ha bisogno di recuperare le forze.

...


- Kenzo, svegliati.
Apre gli occhi… Ti guarda.
- Mi riconosci, Kenzo?
Un istante, e lo sguardo vacuo finalmente s’accende: il suo cervello è attivo e l’apparato visivo funziona, quindi solleciti:
- Puoi parlarmi?
Sintetica la bocca di tuo figlio si dischiude e:
- Papà? - la sua voce si ode leggermente metallica, sicuramente da aggiustare, ma anche l’impianto acustico è funzionante.
- Come ti senti, figlio mio?
Kenzo si concentra, sbatte le palpebre e poi:
- Dove siamo? - domanda.
- Nella villa di Atami.
Lo sguardo che dapprima sembra perdersi, di nuovo tuo figlio si concentra e in breve:
- Eravamo… Abbiamo lasciato Bardos? - chiede, ma subito dopo resta ad occhi sbarrati e bocca spalancata… Sta ricordando: la sua mente dunque non solo è attiva, ma ha persino conservato intatti i ricordi! Dopodiché, da sdraiato sul tavolo operatorio smuovendo un braccio trasale, d’impeto portandosi la mano davanti agli occhi, per incredulo osservarsi l’estremità che scura e robusta, non più organica, è comunque frutto di sofisticata tecnologia... Quindi:
- Il Kedra! - con voce roca esclama - Il Kedra mi ha divorato! - e scattato a sedere si strappa di dosso il lenzuolo, a controllarsi le gambe che purtroppo ancora incomplete si presentano come scarne, sottili, mere protesi… E da seduto tuo figlio ti volge uno sguardo disperato che mai prima d’ora gli avevi visto…
- Allora,… Non è stato un sogno?
- No, non hai sognato, Kenzo, ma tutto sommato possiamo dire che ci è andata bene, visti e considerati gli scempi che questo mostro, che tu mi insegni chiamarsi “Kedra”, è in grado di provocare.
- Ma dunque… - visibilmente sconvolto e bisognoso di conferme il robot dal cervello umano prosegue a ricostruire l’accaduto - Dunque Tetsuya è... ?!
- Sta’ calmo, il ragazzo è qui ed è vivo - rassicuri, controllando l’orologio - E a quest’ora avrà riattaccato a reclamare di te. Lasciami andare a controllare, torno subito.

- Nei tuoi panni, Kenzo, non ne farei una tragedia. Il tuo fisico era completamente smembrato, ma il tuo cervello era illeso ed ora hai un corpo nuovo, con cui agire e con cui poterti… riscattare.
L’aver realizzato di essere divenuto un cyborg comprensibilmente ha gettato tuo figlio nel panico, ma per indurlo a reagire, un modo potrebbe esserci:
- Andiamo, - manovrando e spingendo il lettino a rotelle - ti porto di là dal ragazzo - così, vedendo le sue, di condizioni, forse ti sarà più facile accettare la tua.

- Eccolo... Lo devo tenere sedato perché quando riprende conoscenza è roba da legarlo. Tu hai cercato di ucciderlo, Kenzo, ma nonostante i tuoi sforzi non ci sei riuscito: sembra che al Regno dei Morti questo giovanotto non abbia fatto una buona impressione, per sua e per nostra fortuna.
- Ma… Com’è possibile?? – confuso tuo figlio ti domanda, da sdraiato sulla barella ospedaliera allargando per aria il suo nuovo paio di braccia meccaniche, come a fartele presente.
- Evidentemente le forze in campo non sono tutte malvagie - allora gli suggerisci - Qualcosa o qualcuno ci ha protetti e il ragazzo ne è la prova vivente, com’è proprio il caso di dire. Capisci cosa ciò significherebbe? Che gli atti coraggiosi saranno premiati: qualsiasi gesto a rimedio dei nostri sbagli potrebbe essere assistito da una buona stella, o qualcosa del genere. E rimediare adesso è nostro dovere, contrastando ciò che di diabolico nelle profondità della terra è stato risvegliato: un segno, a suggerirci di continuare coi nostri progetti.
Ma nonostante le tue parole Kenzo esita, la testa sulla lettiga girata verso il figlio adottivo che nel letto lì accanto giace pallido e come privo di vita, dubitando:
- Dopo ciò che è successo, dopo quel che gli ho fatto, mi domando come potrà…?
- Come potrà esserti ancora fedele, intendi? Da quel che ho capito non sarà questo il problema: malgrado tutto il ragazzo ti è ancora devoto, quindi tu disponi ancora della tua bella opportunità. Abbiamo imparato che l’energia ha un prezzo e stavolta dovremo essere pronti a pagarlo.
- ... Però, Tetsuya, questo prezzo, lo ha già pagato - correttamente tuo figlio ti obietta.
- Ah, dunque è come pensavo: proprio per ciò non era il caso di affezionarsi tanto a lui. Ma se qui sta il tuo dubbio, Kenzo, dovesse il tuo pilota sopravvivere anche a ciò che probabilmente lo aspetta, troveremo il modo di ricompensarlo adeguatamente. In ogni caso ora è troppo tardi per tirarsi indietro: il confine è già stato oltrepassato e noi siamo tenuti ad affrontare qualsiasi conseguenza.

- I bambini dove sono?
- In questi giorni sono tornati a stare da Tsubasa, ma non è bene che ci restino: dopo lo shock vissuto a Bardos i nervi di tua moglie sono definitivamente crollati, tanto che quella donna avrà serio bisogno di curarsi. Inoltre le Maschere di Ferro potrebbero tornare, con Ashura che volendo sa già dove trovarmi. E la novità dei Kedra mi impensierisce: mi chiedo a quale scopo l’antico popolo di Micene si sia tanto industriato a far pervenire simili mostruosità intatte nei secoli... Comunque è solo una questione di tempo, Kenzo.
Alle tue ultime considerazioni, stavolta tuo figlio impiega più tempo a reagire…
- Allora dovrò accelerare al massimo il mio lavoro, in modo che sia pronto prima del previsto!
- Non dimentichiamoci però che le insidie potrebbero derivare non solo da Hell: sappiamo che nelle viscere della terra di cui Bardos è la porta, dorme ben altro che presto o tardi potrebbe risvegliarsi, tanto più che, come mi hai confessato poc'anzi, insieme a quel bilioso di un biologo nella sala più sacra dell’isola anche tu, ancora a mente lucida, hai infierito sui corpi dei micenei sprofondati nell’oblio, contribuendo a versare il sangue di un popolo le cui origini sarebbero ancora tutte da indagare...
- Ma in tal caso, rischiamo di trovarci a combattere su due fronti contemporaneamente?!
- Proprio per ciò, Kenzo, ritengo sia meglio che tu metta a punto la tua macchina nel rispetto delle tue capacità, senza troppa fretta e senza rinunciare all’eccellenza che ti contraddistingue, la quale alla fine ti ripagherà, ne sono convinto. Piuttosto, penserò io a puntare alla rapidità: ho già pronto il progetto dell’evoluzione del modello Zeta, che metterò immediatamente in cantiere per ultimarne la costruzione il prima possibile.
- E questa tua nuova macchina potrebbe essere pilotata da Jun.
- Sì, potrebbe essere la soluzione, dato che non abbiamo più il tempo per trovare e per addestrare un pilota così come è stato fatto con Tetsuya.
- D’accordo: il primo tra noi a terminare i lavori sarà il primo a poter scendere in campo.
- Così sia, Kenzo, e che Zeus continui a mandarcela buona.

Frattanto la temperatura corporea del redivivo era tornata a crescere, stavolta arrivando a superare il livello di guardia...

- Figliolo, che ti succede?
Nel letto il ragazzo dischiude gli occhi, lucidi di febbre, e malgrado la debolezza riesce a sorriderti, il suo torace che insieme al lenzuolo impercettibilmente si solleva e si riabbassa…
- Tetsuya, per ciò che è successo a Bardos, io…
- Non è stata colpa tua - a fatica ma interviene a interromperti - So che non volevi.
Senza parole, dalla sedia a rotelle protendi una mano artificiale alla sua guancia bollente, immaginando come il metallo della tua estremità possa trasmettergli un po’ di refrigerio, pensando che con questo figlio almeno ti sarà dato di condividere, per quanto il compito cui è chiamato sia ingrato, avendolo già portato a sacrificare infanzia e giovinezza a tutto vantaggio di una causa altrui…
- Guarisci presto, ragazzo, mi raccomando.
- Devo guarire - in risposta ti mormora - Il Grande Mazinga mi aspetta e io lo piloterò…
Davvero incredibile che le sue aspirazioni continuino a coincidere con le mie necessità... Ma qualunque cosa accada stavolta l’affronteremo insieme, e nel caso tornassero a reclamare la tua vita, figlio mio, non esiterò a offrire in cambio la mia.

Che cicatrice grande! - così un giorno di sette anni prima, in un orfanotrofio, un innocente con ammirazione aveva accolto la serie di punti di sutura che di taglio alla tua fronte è ricordo di un vecchio incidente di laboratorio; un inestetismo in bella mostra che tuttavia non era valso a respingere il bambino, anzi...

Anche incoraggiato da quel ricordo, alla successiva visita di Jun alla villa in Atami eri psicologicamente già preparato: entrambi i ragazzi, coi quali fianco a fianco ti saresti prima o poi trovato a rischiare, avevano diritto e dovere di conoscere la tua nuova condizione fisica, nella speranza che la accettassero. Un confronto che ti avrebbe messo a nudo, ma ormai avevi deciso che il segreto di pulcinella coi tuoi figli adottivi non valeva la pena di mantenere, nonostante tuo padre, col suo paziente lavoro di cesello, abbia talmente rispettato la tua esteriorità da permetterti addirittura di riconoscerti allo specchio.

Così, affrontato l’iter riabilitativo che col tuo nuovo corpo meccanico ti aveva permesso di trovare sufficiente sintonia, molto più sereno alla Fortezza delle Scienze eri tornato, per rimetterti senz’altro al lavoro.
E al prossimo meeting coi colleghi Shiba e Azuma cui senza dubbio ti saresti recato, avresti avuto la tua da raccontare, stavolta per esperienza altro che diretta.


Per disquisire sui progressi dell'umanità, o per rammentare a Juzo che con la ragazzina mulatta è consigliabile tenere a posto le mani: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=360#lastpost

Edited by TsurugiTetsuya - 26/9/2023, 20:37
 
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39. VIVERE DA ACE-PILOT.

Ispirato a “Il Grande Mazinga” episodi 30 e 31.


Suruga Bay, ora del tramonto.

A pezzi, sudato fradicio, stanco morto, reduce da una giornata campale di scontri serrati contro mostri guerrieri e fortezze nemiche, a bordo del Grande Mazinga hai appena fatto rientro alla base in qualità di esausto ma indiscusso vincitore.

Nel vasto hangar al fondo della Fortezza delle Scienze, dalla testa del super-robot sganciato il Brain Condor, nel condurre il velivolo a passo d’uomo lungo la pista sino al punto di ricovero hai notato il capannello che laggiù, nei pressi dell’ascensore, ha tutta l’aria di essere ad attenderti: un nutrito gruppo di persone in cui, tra i tecnici dai bianchi camici, si distingue il Dottor Kabuto dalla corporatura più robusta degli altri, poi il giovanissimo Shiro che causa la statura ridotta è come sempre piazzato in prima linea, mentre la silhouette della tua compagna di combattimento che oggi alla base è rientrata ben prima di te si presenta defilata, alla scena nel complesso giustificandoti:
Be’, in effetti la sconfitta del Generale Nero non è cosa di tutti i giorni.

Aperta la calotta di Condor, radunate le forze necessarie, dall’abitacolo sei balzato a terra, miracolosamente riuscendo a mantenere l’equilibrio... Dominato il lieve capogiro, tolto il casco per infilartelo sotto il braccio, in quel momento - Dannazione! - nel comitato accoglienza il tuo occhio ha individuato la presenza occulta, ovvero l’infiltrato tra i camici bianchi: ossuto, pallido, sguardo da pesce lesso dietro i fondi di bottiglia che ha per occhiali, si tratta del più fastidioso tra i medici di guardia assunti lì al Centro, che staccatosi dal gruppo con andatura saltellante già si appropinqua, valigetta dei ferri alla mano... Ma per quanto tu sia spossato, di sicuro conservi energie sufficienti a respingere un trattamento sanitario superfluo, se non che Shiro a sua volta si è distaccato dal gruppo, anche lui per venirti incontro, però di corsa al grido di - Tetsuya, fratello mio! - e sorpassando in volata, piccino ma solido il bambino inavvertitamente urta il fragile medico scaraventandolo un metro di lato, almeno temporaneamente mettendolo fuori combattimento.
In tal modo il ragazzino è giunto da solo, a gettartisi addosso di peso esclamandoti:
- In battaglia contro il Generale Nero ho creduto fossi morto! - al che, a stento attutito l’impatto col fratellino adottivo, ora servirebbe un oggetto ferroso qualunque da toccare onde evitarti in pubblico un più esplicito gesto scaramantico, un altro pensiero sovvenendoti lì per lì: contro il medico che importuno anela ad occuparsi di te, del bambino tenterai di farti scudo. Così, fatto voltare il ragazzino, trattenendolo per le spalle e insieme sospingendolo anche con le ginocchia nell’hangar in coppia fraternamente coordinati s’avanza, arrivando a sfilare sotto gli sguardi tra l’apprensivo e l’ammirato di tutti, quello di Jun compreso… E grazie allo stratagemma, indenne hai guadagnato lo spogliatoio alla cui soglia hai abbandonando Shiro: allora le gambe hanno fatto per cederti, la vista ad annebbiarsi, ma comunque sei riuscito a raggiungere la panca più vicina appena in tempo per lasciartici ricadere seduto, schiena e nuca al muro, a rilasciare le membra stanche al punto che togliersi la tuta da combattimento appare un’impresa, per non parlare di sfilarsi gli stivali… A quanto pare, però, neppure nel proprio personale spogliatoio che persino per Jun rappresenta una no flying zone un ace-pilot è padrone di rilassarsi, visto che sbucando alle spalle di Shiro il medico inquietante ha appena fatto ingresso e allora, oltre che da sfinimento colto anche da rassegnazione, abbandonandoti del tutto sulla panchina lentamente hai abbassato le palpebre…

- Oh santo cielo! - dalla porta dello spogliatoio Shiro era tornato strillando - Papà, corri, presto, ché Tetsuya stavolta è morto per davvero!
- Cosa!? - all’allarme lanciato dal figlioletto - Shiro, ma che dici?! - dall’hangar Kenzo Kabuto si precipitò nel locale di servizio, con uno spintone scansando il dottorino che gli impediva la visuale della panchina sulla quale il figlio adottivo ad occhi chiusi sedeva, accasciato ed immobile... E a quella vista, levando una robusta mano artificiale in direzione del gruppo che nel frattempo si era accalcato alla porta della stanza, a colpo d’occhio il professore diagnosticò: - Tranquilli, sta solo dormendo - con le dita dell’altra mano il Direttore della Fortezza passando a farsi il conto dei nemici che nell’arco della giornata il suo pilota aveva affrontati e sconfitti, nell’ordine: Fortezza Mikeros, pisciforme mostro marino Juran, guerriero terrestre Marìgon, altro guerriero terrestre Danzanìa e - dulcis in fundo - il Generale Nero in persona, vinto a seguito di interminabile, sofferto duello di spade, dunque: - Andiamocene, - rivolto agli astanti Kabuto invitò - lasciamolo dormire in pace.
- Dottore, ma come?! - affacciatasi alla soglia della stanza Jun era intervenuta - Vogliamo lasciare Tetsuya a dormire qui, sulla panca dello spogliatoio??
- Ma certo, - pacifico lo scienziato garantì alla figlia adottiva - considerando che ottanta e passa chili di muscoli non si smuovono facilmente, a meno di desiderarlo in prima persona.
- È vero, però… - ancora la ragazza tentava di opporsi, mentre nel voltarsi per uscire dal locale Kabuto sorprendeva il dottorino che, puntando una pinzetta con bambagia all’estremità, furtivo si apprestava al dormiente, con la chiara intenzione di disinfettare i tagli sanguinanti che il vetrino del casco scheggiandosi in battaglia aveva provocato a entrambe le guance del pilota. Al che, assai interessato il professore ben piantato a gambe divaricate e braccia conserte restò a osservare dapprima il batuffolo di cotone toccare la pelle del paziente... il quale non aveva fatto mossa, quindi indisturbato il medico tramite la pinzetta aveva già ripreso a strofinare le escoriazioni al volto dell’eroe, sfregandovi la bambagia con impeto via via crescente…

Intanto, da seduto sulla sua panca Tetsuya sognava… Sognava che qualcosa, qualcuno disturbava il suo sonno - Un mostro guerriero?! - e senza preavviso il destro del pilota in automatico scattò, con tutta la potenza propria dello stato onirico trovando dritto dritto lo stomaco del sanitario il quale sulla panca alla parete opposta finì a sua volta per accasciarsi, mentre - Atomic Punch! - tra sé Kenzo esultava - Tutto bene? - con nonchalance il Direttore della Fortezza domandando al medico più zelante che avesse di guardia, alla vittima piegata in due offrendo il braccio - Coraggio, dottore, venga, la aiuto a tornare di sopra, in infermeria.

Neanche mezz’ora dopo ai piani bassi della Fortezza, sotto la puntuale luce dei faretti che a quell’ora funzionavano a risparmio energetico, armata di coperta a cavallo dell’avambraccio e di cuscino trattenuto sotto l’ascella, a passo deciso Jun procedeva verso lo spogliatoio del commilitone, ripetendosi che per nessuna ragione al mondo avrebbe permesso che Tetsuya passasse la notte sulla nuda panca d’un camerino, senza un minimo di comfort ad alleviarne il fisico provato dai pesantissimi scontri protrattisi per tutto il pomeriggio... Anche se disturbando il riposo del guerriero era un po’ preoccupata Jun di fare la fine del medico, ma si trattava di un rischio che assolutamente intendeva correre, perché era praticamente certa che nonostante il sonno profondo Tetsuya l’avrebbe riconosciuta, e a lei non avrebbe fatto alcun male. Così ragionando la ragazza era arrivata alla svolta del corridoio, lì restando di stucco a constatare che il guerriero di cui stava andando in soccorso non era più dormiente, dato che per poco dietro l’angolo non gli aveva sbattuto contro!
- Oh, Tetsuya, sei qui - nella sorpresa lo aveva salutato, tuttavia l'altro non solo non le aveva risposto, anzi, ignorandola completamente nel tunnel aveva ripreso ad avanzare, lei ad osservarlo camminare trascinando i piedi ancora calzati dei robusti stivali da battaglia, mentre a intervalli il commilitone con la mano andava toccando la parete, come alla ricerca di una sicurezza per procedere...
- Non ti senti bene, vero? - allora lei premurosa gli aveva chiesto e anche se con un certo ritardo, da lui che di spalle si era fermato con l’avambraccio adeso al muro, pervenne risposta:
- Jun,… oggi ho combattuto ininterrottamente per quasi una giornata intera. Da poco mi sono svegliato su una panca nello spogliatoio, dopo averci dormito da seduto per non so quanto tempo. In tutto ciò non ho mai né mangiato né bevuto: non sto male, sono solo un po’ stanco - e nel dire ciò il reduce con fatica aveva ripreso ad allontanarsi... Ma tallonandolo in compagnia di coperta e di cuscino, preoccupata lei ritenne doveroso informarsi:
- Adesso dove vai? - e alla nuova domanda Tetsuya ancora si fermò, accanto alla mano contro il muro stavolta poggiando anche la fronte nel risponderle:
- Prova a immaginare, Jun. Con un po’ di fantasia scommetto che indovinerai.
- Stai andando a letto, spero: con te è sempre meglio chiedere, ché non si sa mai cos’hai in mente.
Alla considerazione l’altro senza ribattere nel corridoio semplicemente aveva ricominciato ad arrancare, e ancora una volta lei lo aveva raggiunto, stavolta per assicurarsi:
- Non avrai intenzione di andare a dormire con addosso la tuta da combattimento, eh? - quesito al quale l’indisponente, riprendendo ad avanzare, doveva aver deciso di non rispondere… - E la doccia, non la fai?! - A quest’ultima domanda l’altro s’era voltato, nella penombra fulmineo un bagliore ad attraversargli le fessure degli occhi e in una frazione di secondo per la mano l’aveva afferrata, con energie improvvisamente rinnovate lungo il corridoio letteralmente trascinandola, dicendo:
- Jun, mi sono appena ricordato che prima di andare a riposare tu ed io dobbiamo scambiare due parole, perciò vieni, andiamo un attimo qui in sala riunioni - e appunto alla meeting-room l’aveva condotta a passo sveltissimo, quasi correndo, e una volta entrati - Siediti lì - le aveva intimato indicando la fila di sedie più prossima alla parete dotata di schermo e lavagne varie, dalla vaschetta di quella a cavalletto prelevando un pennarello, sonoramente cavandone il tappo. Allora, accomodata in prima fila Jun stette a osservare il commilitone in piedi a due passi da lei disegnare in centro alla bianca lavagnetta il numero 5, facendolo seguire da un trattino oltre il quale, con ostentata precisione, Tetsuya passò a tracciare tondo tondo il numero zero... Quindi al di sopra del numero 5 si aggiunse la sigla “G.M.”, mentre sopra lo zero, come già lei aveva immaginato, comparve la scritta “V. Alfa”, al che mesta Jun abbassò lo sguardo al pavimento...
- Il problema però non è questo, - dalla lavagna Tetsuya intanto chiariva, seccamente battendo il pennarello contro lo zero disegnato - perché questo è tutto più che prevedibile. Ciò che invece non è accettabile, Jun, è questo... - e sotto il numero 5 che senza dubbio rappresentava la quantità dei nemici da lui abbattuti nel corso della giornata, si aggiunse un +2, dal quale divergenti verso il basso lui fece dipartire due frecce, alla punta dell’una scrivendo “Borot” e in punta dell’altra ripetendo la sigla “V. Alfa”, cerchiando quest’ultima, a porla in risalto... E incrociate le braccia, in piedi col pennarello tra le dita, in silenzio l’ace-pilot rivestito della sua tuta speciale restò a fronteggiare la compagna di combattimento, in evidente attesa di un intervento da parte dell’interessata, finché:
- Tetsuya, non capisco l’ultima aggiunta - sincera lei confessò, al che:
- Ah, non capisci?! - l’altro sbottò - Allora te lo spiego meglio - col pennarello sulla lavagna toccando il +2: - Vedi, tra le difficoltà da affrontare io mi rifiuto di contare anche Venus Alfa: Jun, oggi tu e Boss aggrappandovi al mostro guerriero mi avete obbligato a scegliere tra voi e il nemico. So che lo avete fatto con l’idea di aiutare, così come so che da Boss devo aspettarmi di tutto, ma da te no! Sappi che quando ho lanciato il Doppio Fulmine, nella stanchezza ho pregato di avere calcolato bene la potenza, perché avrei potuto uccidervi - e di nuovo, scandendo bene le parole - Avrei-potuto-ucciderti... La qual cosa mi avrebbe dato parecchio fastidio, quindi Jun, per favore, non farmi mai più una cosa del genere, ti prego, non farmela mai più! - e con queste parole, ritappato il pennarello per schiaffarlo nell’apposita vaschetta, con un brusco - Buonanotte - il commilitone aveva abbandonato la sala.

Rimasta sola, inchiodata alla sedia con la coperta in grembo la pilota di Venus, che in seguito al chiarimento non aveva più osato battere ciglio, stretta al cuscino che si portava appresso scoppiò in lacrime, a sfogare tanto la severa ramanzina appena ricevuta dal compare quanto la tensione residua della battaglia che anche lei, seppure con risultati pressoché nulli, comunque aveva sostenuto...

Solo più tardi, nell’intimità della propria stanza, sgomenta Jun realizzò che a indurla al pianto c’era stato dell’altro, perché tra le dure parole e i freddi numeri sciorinati in una meeting-room, una volta tanto e per quanto a modo suo, il fiero pilota del Grande Mazinga aveva dichiarato di tenere a lei.


Per consigliare al più zelante dottorino di guardia a Suruga Bay di chiedere il trasferimento presso una qualunque altra struttura meno a rischio: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=360#lastpost

Edited by TsurugiTetsuya - 26/9/2023, 09:03
 
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40. RIENTRO ALLA BASE.

Baia di Suruga, 7 anni allo scoppio del conflitto VS Micene.

Il percorso di studi a Yokosuka era giunto al termine e quella mattina, nella living room alla Fortezza delle Scienze, Jun aveva atteso che il ritorno a casa del neodiplomato fosse annunciato dall’impianto di filodiffusione.
Per l’occasione gli aveva comprato un regalo, per festeggiare la sua promozione e quindi anche la fine della loro pressoché ininterrotta separazione. Nei tre anni che quella scuola militare era durata, infatti, persino i giorni liberi dello studente erano stati messi a frutto dal Dottor Kabuto per ampliare la formazione del futuro pilota speciale, le sue vacanze occupate prima da corsi extra tra un corpo e l’altro delle nipponiche Forze di Autodifesa, e poi da un’improvvisa missione nel Mar Egeo.
A conti fatti, in tutto quel tempo tra fratelli adottivi ci si era incrociati solo due volte: all’inizio del secondo anno, quando col Dottore per mezza giornata ci si era recati a fare visita all’allievo dell’Accademia Interforze, e poco meno di un anno dopo alla villa di Atami.
Di quel loro ultimo incontro, però, l’altro non poteva ricordare nulla, perché al rientro dalla spedizione in Grecia, in quella specie di laboratorio-ospedale che era la villa del padre del Dottore, Tetsuya si trovava allettato in uno stato indicibile, del tipo più di là che di qua. Per tacere delle condizioni del Dottore stesso, che da quell’avventura aveva addirittura guadagnato un’esistenza nuova, dal momento che al suo risveglio ad Atami anziché il suo corpo organico s’era ritrovato un autentico gioiello della bio-robotica…
Scrollatasi di dosso il pensiero dei risultati della sortita dei due Kabuto con Tetsuya a Bardos, Jun era tornata a concentrarsi sull’ambiente in cui si trovava.
Secondo lo stile proprio della Fortezza delle Scienze, anche quel locale era arredato all’insegna del minimalismo e tra i vari ripiani disponibili, tutti belli lucidi e assolutamente sgombri, aveva optato per il candido tavolo di servizio dalla piantana d’acciaio, posandovi l’omaggio in centro.
Scrutando il pacchetto del regalo accuratamente infiocchettato e ora sistemato in bella vista - Chissà se gli piacerà? - per l’ennesima volta s’era chiesta, dubbiosa perché Tetsuya aveva gusti originali, perciò l’immaginare cosa desiderasse era complicato, sempre che desiderasse qualcosa. Insomma, associato al fratello acquisito che rappresentava l’essenzialità fatta persona, qualunque accessorio poteva apparire superfluo...
A distoglierla da simili preoccupazioni ecco intervenire l’altoparlante, che con la voce del tecnico di turno lassù, in torre di controllo, aveva avvertito dell’imminente rientro del Direttore dalla stazione di Mishima.
A quell’avviso s’era precipitata in corridoio per consultare lo schermo in dotazione al piano, che collegato al circuito di sorveglianza avrebbe permesso di visionare i dintorni della struttura isolata dal mare.
Selezionata dunque la telecamera puntata alla terraferma della penisola, il monitor le aveva restituito l’immagine del solco che laggiù era l'unica strada d’accesso al Centro Ricerche, col puntolino in rapida approssimazione riconoscibile come la berlina del Dottor Kabuto e l’estremità della passerella in estensione quasi prossima alla costa.
Allora dal corridoio era balzata direttamente nell’ascensore di cui aveva premuto il terzultimo pulsante, corrispondente all’inferiore livello dei garage
E approdata a destinazione, fuoriuscita nella pacifica penombra del tunnel che poco sopra la superficie del mare conduceva all’autorimessa, tendendo l’orecchio aveva udito passi tra loro sfalsati in avvicinamento e poi anche la voce profonda del Dottore cui un’altra aveva appena fatto eco, quest’ultima dal timbro spiazzante, perché maturata, ma che ugualmente tra mille altre sarebbe stata in grado di riconoscere!
Dominando l’impulso di rimettersi a correre, s’era imposta di procedere nel corridoio a passo normale…
- Ah, ecco Jun - al vederla comparire poco dopo il Dottore aveva salutato, mentre il giovanotto che lo accompagnava, fermatosi sotto la serie delle feritoie stagne che all’ombra della sovrastante struttura fornivano un po’ di luce naturale, se ne restava zitto…
- Bentornati - di rimando lei aveva accolto, contenuta, sapendo che da nessuno di quei due c’era da aspettarsi né baci né abbracci: non dal Direttore, anche solo per il fatto che questi dalla Fortezza s’era assentato giusto un paio d’ore prima, mentre da quell’altro, be’, le effusioni non avevano mai fatto parte di Tetsuya, che difficilmente avrebbe approfittato della circostanza per smentirsi.
Intanto, visto che il Dottore stava a mani vuote mentre il reduce portava unicamente una sacca di tela a tracolla, considerato che quest’ultimo era stato in trasferta per tre anni consecutivi:
- C’è da prendere il resto del tuo bagaglio, Tetsuya? - lei s’era premurata.
- Quale resto di quale bagaglio? - con tale moneta il giovane spartano l’aveva ripagata, sarcastico aggiungendo - Jun, spiace deluderti ma l’elefante col baldacchino e le casse dei souvenir in treno non me li hanno lasciati caricare.

Saliti tutti e tre nella living, senza altre parole Tetsuya aveva lanciato la sua sacca sulla prima poltroncina che aveva incontrato; l’attimo dopo era già affacciato al balconcino dove oltre la porta-finestra dallo scorrevole spalancato, l’avevi osservato allargare le braccia per poggiare i gomiti alla ringhiera metallica e là restare, leggermente chino sul vuoto a contemplare il mare della baia, che calmo al riverbero del sole meridiano si presentava di un blu carico e scintillante…
Incapace di scollare gli occhi, non dal panorama, ma dalla presenza maschile che tuo malgrado continuava a risultarti estranea, avevi confrontato l’altezza della persona con quella nota della ringhiera, per giustificarti intanto il suo considerevole incremento in statura.
Poi, per stabilire cosa quel giovane uomo alto dal fisico statuario, visto da dietro, conservasse del ragazzino con cui da bambina avevi condiviso l’esistenza, t’era toccato proseguire l’esame…
Di certo restava la sua ricca capigliatura corvina, inconfondibile perché da sempre irrispettosa della gravità.
A confonderti però, oltre alla statura, c’erano l’estensione della schiena e l’ampiezza delle spalle, che vigorose e di gran lunga eccedenti il ricordo che ne conservavi, col paio di guizzanti bicipiti scolpiti e dal calibro incredibilmente lievitato sembravano fare a gara nel mettere alla prova la T-shirt mimetica, a forza stirandone il tessuto di cotone…
Finché, voltatosi, socchiudendo gli occhi Tetsuya ti aveva rivolto uno dei suoi rari, splendidi sorrisi.
Presa alla sprovvista di riflesso lo avevi ricambiato, immediatamente distogliendo lo sguardo.

Impressionante - guardando la ragazza che stava nel salottino ti eri ripetuto ora che per la seconda volta t’eri preso il granchio, come prima giù nel tunnel avendola d’acchito giudicata la più bella che avessi mai visto, troppo tardi realizzando trattarsi di Jun. Allora là fuori sul balconcino avevi sorriso, al pensiero che in tua assenza la sorellina adottiva fosse stata sostituita con una sosia d’ormai sedici anni e maggiorata di almeno una taglia.
Alla fine, però, avevi dovuto prendere atto del cambiamento cui era andata incontro l’acciughina nel mentre che l’avevi persa di vista.
Gli infantili arti inferiori di Jun, per esempio, come la sua minigonna dimostrava, s’erano plasmati in un paio di gambe che in altro modo non si potevano definire se non perfette, slanciate e al contempo tornite da tutti i muscoli necessari: allungati e ben disegnati i tricipiti rastremati al ginocchio, pieni e affusolati i gemelli del polpaccio, le caviglie che entro gli stivali s’intuivano agili e leggere, da puledra. In pratica, nulla a che vedere con le gambette filiformi dall’interno coscia depresso di tante femmine, scarne da non capire come i colleghi d’accademia potessero considerarle.
Anche i capelli di lei, di natura corposi e scuri dai vaghi riflessi ramati, erano stati lasciati crescere tanto da ammantarle oltre le spalle anche le braccia, la chioma ondulata spingendosi a sfiorarle i fianchi sino al fondo della schiena...
Mentre per quanto riguardava il giropetto sopra il vitino da vespa della “nuova” Jun, be’, gli ex compagni di corso avrebbero senza dubbio concordato nel dichiararlo un pezzo da novanta.
E se in qualche maniera potevi ancora identificare la piccola che alla Fortezza avevi lasciata, ciò era grazie alla sua carnagione, che colorata al caffelatte era il risultato d’un sano ed equilibrato mix afrogiapponese.

Scartato il suo regalo di bentornato, per qualche secondo il giovanotto tra le mani s’era rigirato l’articolo, con aria interessata analizzando il nero e lucido lettore portatile di nastri magnetici d’ultimo modello, che ultraleggero e compatto per essere assicurato alla cintola, era pure corredato da auricolari ergonomici, in tono di cortesia commentando:
- Davvero bello, - e quindi informandosi - ma che dovrei farne?
Allibita dalla reazione persino più tiepida del previsto, lei:
- Ascoltarci la musica, cos’altro se no?
- Jun, secondo te, io avrei tempo di ascoltare musica? - seriamente l’altro aveva dubitato.
- E come no!? - irriducibile lei gli aveva suggerito - Tra allenamenti di corsa ed esercizi in palestra, vedrai quanta musica potrai ascoltare in questo modo! - e all’intervento del Dottore a sostegno di quella tesi - Esatto, un po’ di buona musica ad accompagnare l’attività fisica contribuirà a mantenere alto il ritmo degli addestramenti - il neopromosso caporal maggiore s’era prodotto in una delle sue classiche smorfie d’insofferenza, che come il suo sorriso di poco prima, aveva permesso a Jun d’intravedere il Tetsuya che da sempre conosceva.



Il mattino seguente, di buon’ora, il Direttore della Fortezza delle Scienze sul cantiere di recente inaugurato per la realizzazione del Grande Mazinga s’era visto raggiungere dal suo pilota designato, che ora promosso al grado di Sottufficiale di Terra, tralasciando il buongiorno se n’era uscito con una proposta inedita:
- Vorrebbe per favore accompagnarmi in palestra?

Sorpreso anche dal fatto che ti si fosse rivolto dandoti del “lei”, incuriosito per i meandri della Fortezza ti eri avviato insieme a un Tetsuya particolarmente anticomunicativo, ignaro di quale palestra si intendesse tra le diverse di cui il tuo istituto era dotato.
Seguitolo avevi capito trattarsi del tradizionale dojo riservato alle arti marziali, dove tolte le scarpe da ginnastica il ragazzo era salito sul tatami, ed eseguito l’inchino rituale s’era girato a guardarti, improvvisamente rompendo il suo silenzio:
- A chiusura dell’anno scolastico il professore di storia ci ha portati a visitare un museo.
E di nuovo in silenzio era rimasto dritto in piedi, con gli occhi grigio cupo a fissarti dal tatami.
Completamente all’oscuro di dove si volesse andare a parare:
- Ebbene, quale museo siete stati a visitare? - avevi sollecitato.
- Quello della città di Ami, nella baia di Kasumigaura. Ha presente, Dottore?
- Mmh... Veramente no, il luogo non mi dice nulla, - a scanso di ulteriori silenzi incalzando - Di che si tratta?
- Si tratta dello Yokaren Peace Memorial Museum.
Di quell’intitolazione la prima parola era bastata a inchiodarti, facendoti mestamente chinare il capo...

Yokaren.
La bellezza di ventiquattromila boccioli di ciliegio scelti da affidare all’aria per volare lontano, sul mare, con la missione di non fare ritorno...


Rialzata la testa, incredulo davanti al naso avevi messo a fuoco l’impugnatura della spada da kendo che il ragazzo, decisamente più alto e sviluppato d’un tempo, a braccio teso ti stava porgendo...
- Tetsuya, ma cosa...?
- Prendila.
Al repentino cambio di registro l’istinto ti aveva consigliato di assecondare la nuova e precisa richiesta, nell’altra mano accettando anche la stoffa scura che, ben ripiegata, Tetsuya s’era sfilata dalla tasca dei jeans; quindi voltandosi di schiena, l’altro aveva praticamente confermato la tua idea. Approfittando di non essere più sotto il tiro del suo sguardo che in quel dojo s’era fatto magnetico:
- Perché tutto ciò?
Restando di spalle, senza muovere un muscolo così ti aveva risposto:
- In quel museo ci sono oggetti, fotografie, filmati, tutti originali. Nel vederli, di colpo ho desiderato essere di nuovo sull’Isola delle Memorie. Buffo, no? - e sempre mostrandoti la schiena s’era portato le mani ai fianchi, in un inequivocabile gesto d’attesa...
No, figliolo, in questa tua forma di nostalgia non trovo nulla di buffo - avresti voluto rispondergli e tuttavia, a tua volta eliminate le calzature e salutato l’accesso al tatami, avevi ripetuto l’atto che cento altre volte nell’arcipelago delle Izu col ragazzino avevi compiuto, cioè con la spessa stoffa l’avevi bendato, ma al rallentatore, forse a guadagnare tempo per comprendere da dove l’insano desiderio originasse...
Se non che Tetsuya con la benda agli occhi era già passato a fronteggiarti, da cieco assumendo la posizione di guardia, mentre tu, con la shinai ferma nella mano abbassata - Che fare? - dopo anni di astinenza da quella pratica oggi chiedevi a te stesso.
Neanche t’avesse letto nel pensiero:
- Avanti, Dottore! Che c’è, non ricordi come fare? - in tono che più che d’affronto era suonato di delusione, in tal modo spingendoti ad agire, nella certezza che il ragazzo ormai cresciuto e ancor meglio addestrato avrebbe facilmente schivato la bordata che senza metodo avevi menata, la quale invece su una spalla gli si era abbattuta facendolo contrarre per il dolore, ma senza un lamento.
L’istante dopo, sempre alla cieca l’altro s’era già riportato in posizione di guardia e tu, nel timore che con quell’esercizio si fosse irrimediabilmente finiti fuori allenamento, per la seconda volta avevi levato la verga, allo scopo di verificare facendola fischiare per l’aria.
E di nuovo Tetsuya in piedi sul tatami s’era piegato in due, la sferzata avendolo raggiunto al braccio, ma per quanto si fosse ancora trattenuto dall’esternare a voce la sofferenza, era chiaro come la difficile lezione impartitagli da bambino fosse stata nel tempo dimenticata, motivo per cui l’insistere non aveva più alcun senso, quindi:
- Basta così - con sollievo avevi concluso.
- No, continuiamo.
- Basta così, ho detto.
- Proviamo un’ultima volta - gli occhi sempre celati dalla benda, riportandosi in posizione d’attesa aveva trattato - Se ancora non riuscirò, smetteremo.
Solo per accontentare il testardo, che evidentemente in quel modo intendeva mettersi alla prova, avevi simulato un altro colpo lento e leggero da non potergli causare alcun male, finalmente mancando il bersaglio: intuita la traiettoria, la shinai era stata evitata.
Di conseguenza sempre usando cautela avevi ritentato, e dato che anche l’ultima azione era andata a vuoto, gradualmente avevi provato ad aumentare velocità e potenza delle sferzate, ma senza più riuscire a toccare il ragazzo che d’un tratto pareva tornato padrone della tecnica, a ogni nuovo fendente pur senza vederlo sottraendosi grazie a lievi inclinazioni del corpo.
A quel punto col massimo dell’impegno avevi preso a levare la verga di bambù, deciso e con forza ora calandola a fendere l’aria, per scoprire sgomento che il gioco era finito lì: anziché schivare stavolta era sceso su un ginocchio Tetsuya, fra le mani giunte accompagnando la spada sino a fermarla, un dito sopra la sua testa adesso trattenendola con fermezza, tu in preda all’affanno, lui imperturbato ad asserire:
- Sa, Dottore, nel museo dedicato agli Yokaren ho capito che il dolore più grande è stato quello dei genitori per la sorte toccata ai loro figli. Allora ho compreso la mia fortuna: al caso, nessuno mai dovrà soffrire piangendo me - e liberata la shinai s’era rialzato e s’era tolto la benda, in piedi lì davanti accennando un inchino come di tutto ciò a voler ringraziare.

Per visitare anche voi lo Yokaren Peace Memorial Museum*:


* Potete visionare il video con sottotili: attraverso la scritta a caratteri originali attiva in alto a sinistra, apritelo direttamente in YouTube; in basso a destra cliccate sull'icona rettangolare accanto alla rotella impostazioni e selezionate la lingua desiderata.

Per dire la vostra: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=375#lastpost

Edited by TsurugiTetsuya - 13/10/2023, 07:11
 
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view post Posted on 29/4/2024, 20:05     +1   -1
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41. Ci.Vi.Di

Giappone, Penisola Izu, Suruga Bay.

Nell’hangar ai piani più bassi della sua Fortezza, Kenzo Kabuto ancora non si capacitava: aveva acconsentito.
E non lo aveva fatto sotto minaccia, piuttosto sotto tortura. Infatti, di fronte al primo secco ed insindacabile “No.” proferito dal Direttore della Fortezza delle Scienze, dapprima il tanghero aveva poco dignitosamente attaccato a pregarlo. Quindi, contro l’indifferenza che era la migliore arma a quel punto sfoderabile da uno scienziato di levatura mondiale, l’altro aveva adottato la strategia del tormento, ovunque spuntando fuori all’improvviso per implorarlo con la sua vociona gracchiante: nella sala-riunioni, in controluce al proiettore palesandosi sotto forma di ombra assai ingombrante a disturbare fondamentali meetings d’aggiornamento con tecnici e piloti; poi in laboratorio, dove al tecnigrafo un ingegnere robotico pressato dalla guerra in atto si scervellava armeggiando con righe a T, retini e compasso; infine persino nell’ufficio privato, dove tranquillo un direttore di base strategica anti-distruzione terreste si credeva al sicuro nell’esaminare la posta in entrata, mentre da sotto la scrivania in massello di noce che era eredità di suo padre Juzo, anche da là sotto gli era sbucato di punto in bianco - Cose da pazzi!
Una volta il bischero - di fatto uno stolker professionista - si era addirittura spinto ad intrufolarsi a scuola nella classe di Shiro dove, una volta tanto, un padre-scienziato per quanto oberato di lavoro s’era deciso a partecipare all’annuale incontro di presentazione dell’anno scolastico, del tipo “tutti insieme appassionatamente”, tra insegnanti, studentelli elementari e relativi genitori. E là, di fronte ad una platea di ragazzini con maestra, tutti increduli, l’energumeno s’era pubblicamente ridotto ad un pianto di disperata supplica.
Nonostante ciò - Calma, Kenzo, calma - lui era sempre e signorilmente riuscito a mantenere il controllo di sé, evitando di ordinare a Tetsuya di svolgere di nuovo l’antipatico compito del buttafuori nei confronti d’una persona tanto cara al piccolo Shiro...
Comunque, esattamente come la pover’anima del professor Tonda a suo tempo, anche Kenzo Kabuto alla fine era giunto a cedere. Non certo per compassione bensì perché, con la sua strategia di lavorarlo instancabilmente ai fianchi per settimane e settimane, quello scocciatore lo aveva tarlato fin nel midollo osseo che da cyborg ora nemmeno più possedeva. E dato che di quello strazio con continue seccature ed interruzioni sul lavoro come nella vita privata non se ne poteva proprio più, aveva deciso di accondiscendere a quella che, ingegneristicamente parlando, era da catalogarsi come una pura e semplice follia.

Ora, nell’officina della Fortezza sul pelo delle acque del mare, da direttore stava appunto predisponendo affinché le maestranze del Centro Ricerche eseguissero il progetto che il professor Kenzo Kabuto di proprio pugno in quattro e quattr’otto aveva redatto per il potenziamento nientepopodimeno che - Del Boss-robo’?!?! - la squadra dei collaboratori stupefatti in coro lì per lì gli aveva domandato conferma.
- Sì, esatto. - Come al solito avevano capito benissimo i suoi bravi collaboratori, ai quali non v’era certo da confermare anche che ciò significava sottrarre una certa parte dei già risicati stanziamenti governativi alla manutenzione nonché al miglioramento del robot primario, ovvero del Grande Mazinga... Be’, voleva dire che ancora per un po’ Tetsuya si sarebbe accontentato della sua cintura di sicurezza a passaggio unico ventrale, la quale ad ogni urto più deciso permetteva al busto del pilota d’essere proiettato in avanti con violenza... Tanto, ormai, a sbattere la faccia contro la cloche il ragazzo ci aveva fatto il callo, e mai una volta che il giovane impavido se ne fosse lamentato. In ogni caso, di fronte all'emergenza ovvero allo stress da sfinimento cui ultimamente il Boss con la sua assurda richiesta lo sottoponeva, altro rimedio che fosse incruento al momento semplicemente non esisteva.

Finché, al termine della giornata stessa, si era bell’e che pronti per il collaudo del Borot modificato.
Collaudo che Boss, assistito dai suoi due fedeli accoliti Nuke e Mucha, aveva evidentemente deciso di sostenere presso lo sgangherato suo capannone alias cantiere nautico abbandonato, sito sulla medesima costa della Fortezza a poca distanza ed in vista di quest’ultima, dove in preda ad un entusiasmo incontrollato il pilota fai-da-te aveva testé condotto di corsa la sua enorme e sgraziata, ma ora finalmente potenziata, creatura di latta. Istantaneamente balzata in sella alle rispettive motociclette, la coppia d’inseparabili curiosi di Tetsuya e Jun lo aveva pedinato, motori quatto-tempi rombanti in rapido allontanamento lungo la passerella del Centro Ricerche...

Da principio, pareva che a levarsi dalla struttura fosse stato un fischio, un fischio persistente e sempre più acuto - Come una pentola a pressione in piena ebollizione, o come una caffettiera con la valvola di sfogo otturata subito prima di borbottare, hai presente, Dottore? - era stato il colorito resoconto della pilota di Venus. - E quando quel sibilo assordante è cresciuto in decibel fino a sfondarci i timpani, allora abbiamo capito di doverci portare al sicuro, così abbiamo dato gas alle moto e siamo filati via, il più lontano e il più velocemente possibile - a ruota Tetsuya aveva proseguito il racconto del collaudo del Borot cui un motore fotonico, per quanto piccolo, era stato integrato a rendere il cator... - pardon, la macchina - finalmente capace di volo attivo, almeno sulla carta.
Il botto a seguire si era udito benissimo anche alla Fortezza, al che tutti i tecnici in sala-controllo dalle loro postazioni sulle poltroncine a rotelle cigolanti erano arretrati quasi a convergere al centro dell’ambiente, da lì rivolgendo al loro Direttore sguardi dubbiosi e molto preoccupati, ma non una parola era sfuggita a quelle preparate e fedeli bocche.
Commento di Shiro: - Meno male che stavolta non ero là anch’io col Boss”.
- Shiro, figlio mio, vedi come il decidere di restare a casa per svolgere i propri compiti di scuola, cioè il proprio dovere, a volte può salvarci la vita - questa fu la conclusione ufficiale del Dottore, mentre di sotto i filiformi e nerissimi baffetti a punta: - Contrariamente agli scienziati, - Kenzo si confermava - numeri e calcoli non mentono mai: ecco quel che ci si deve aspettare se si decide di montare su di un’utilitaria il motore d'un bolide da corsa.
Anche se il cercare di spiegare ciò al Boss non sarebbe ovviamente servito a nulla.


Dei componenti la carrozzeria del Borot, per molto tempo non sarebbero giunte notizie di ritrovamento.

I conducenti dell’altrimenti detto Boss-robo', invece, furono infine separatamente rintracciati come naufraghi su tre diverse micro-isole dell’assai dispersivo arcipelago Izu meridionale, tra foreste di palme ed indigeni, nel concerto dei tam-tam.
Tuttavia, convincere il Boss ad abbandonare l’isoletta su cui s’era ritrovato a precipitare senza paracadute ma abbracciato alla Borot-pendola, per Shiro, Nuke e Mucha non fu cosa facile: gli autoctoni di quell’isola, infatti, ancor oggi narrano del “Gran Dio del Tempo Piovuto dal Cielo”, ché con questo appellativo il corpulento pilota del Borot, col suo orologio a pendolo, dall'oggi al domani era divenuto consenziente oggetto di sentita venerazione locale.


Per aderire al culto del Divino Boss, qui: https://gonagai.forumfree.it/?t=72981448&st=390#lastpost

Edited by TsurugiTetsuya - 29/4/2024, 22:54
 
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