| ANNIBALE E I ROMANI Terminata la seconda guerra punica, Annibale si ritirò a Cartagine: si penserebbe che il quarantaseienne condottiero potesse godersi il frutto della sua gloria. Invece, no: come succede fin troppo spesso, la sua grandezza fu più causa di invidia che di ammirazione. I suoi concittadini l’accusarono di non aver compiuto il suo dovere fino in fondo, occupando Roma e radendola al suolo. Annibale ne ebbe abbastanza: raccattò armi e bagagli, augurò agli ingrati concittadini di finire quali sacrificio a Baal e si trasferì nella città di Tiro. Purtroppo, se i cartaginesi avevano voluto dimenticarlo, i romani invece si ricordavano benissimo di lui: cominciarono a far pressioni su Tiro, perché consegnasse loro l’illustre straniero. Annibale si ritrovò costretto a sloggiare ad Efeso, da cui causa i romani, che insistevano a riaverlo con loro, dovette trasferirsi a Creta. Poi toccò all’Armenia, quindi alla Bitinia, in Turchia. In pratica, gli ultimi anni di vita di Annibale furono tutto un trasloco, che lo costrinse a vivere con le valigie sempre pronte. Alla fine, non potendone più di tutto quel trasferirsi, il povero Annibale decise di farla finita: sulle spiagge del Mar di Marmara, bevve un veleno che portava sempre con sé. Mentre aspettava di morire, pare abbia ricordato un oracolo che aveva sentito da bambino: “Una libyssa (zolla di terra libica) coprirà le tue ossa”: aveva sempre creduto di dover morire nella propria terra. Fu allora che seppe che il luogo in cui stava morendo si chiamava appunto Libyssa. Tito Livio dice che le ultime parole di Annibale furono: – Quanto sono cambiati, i romani! Pare non abbiano neanche la pazienza di aspettare la morte di un vecchio: allora, liberiamoli da questo affanno!
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