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Danza e Balletto, il magico mondo della danza

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view post Posted on 17/4/2023, 15:29     +1   +1   -1
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STORIA DELLA DANZA E DEL BALLETTO

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La storia della danza si occupa dello sviluppo - nei secoli e nelle varie parti del mondo - di questa particolare forma di espressione artistica che si serve del movimento del corpo sulla base di un ritmo interno, che può essere (o meno) suggerito o ispirato da fonti musicali.
La disciplina storiografica riguardante la danza tuttavia è di origini relativamente recenti. Infatti solo nel XX secolo sono iniziati gli studi più specificamente dedicati a questa arte, grazie alla diversa considerazione che essa è andata acquistando rispetto al passato: non più "sorella minore" della musica, ma espressione umana autonoma e con una propria dignità di arte. Di conseguenza sono comparse le prime pubblicazioni a carattere storiografico, sia per quanto riguarda il campo di ricerca in ambito antropologico, sia per quello intorno agli usi e costumi sociali nei secoli e nelle varie parti del mondo, sia per quello che concerne la danza come arte dello spettacolo.

La danza è la prima espressione artistica del genere umano perché ha come mezzo di espressione il corpo. Tutte le altre arti infatti prevedono l'uso di oggetti che fungono da strumenti, ad eccezione del canto che, come la danza, si avvale di uno strumento corporeo.
Nel corso dei secoli è sempre stata lo specchio della società, del pensiero e dei comportamenti umani. Inoltre la danza è l'unica arte che si avvale insieme del tempo e dello spazio. Perciò la storia della danza è una disciplina vastissima e riguarda le espressioni etniche e popolari (etnocoreologia), i balli di società (storia della danza sociale) e infine la danza come arte dello spettacolo, che fino al XX secolo riguardava esclusivamente il teatro e più recentemente anche il cinema e la televisione.

Antica Grecia
La danza accompagna la storia della civiltà umana a partire dall'epoca preistorica fino al consolidamento delle prime civiltà stanziali acquistando un ruolo rilevante soprattutto in Antica Grecia. Qui si svilupparono numerose tipologie di danze classificate dagli storici in tre categorie:
Danze guerriere, il Prosodion, l'Enoplion, le Gimnopedie (tipiche della città di Sparta), la Pirrica.
Danze religiose, il Ghéranos, la Cariatìdes, la danza delle Hiérodules.
Danze profane, l'Emmeléia, la Bibasis, l'Apokinos.
Si può dire che fin dalle origini del teatro la danza ne è stata parte integrante costituendo uno dei suoi principali livelli espressivi e l'elemento principale dei rituali religiosi. Nella Grecia antica le rappresentazioni teatrali erano momenti importanti di aggregazione della collettività che venivano organizzati dalle autorità politiche in occasione delle feste dedicate alle varie divinità. Nella tragedia l'azione era portata avanti dagli attori e dal coro, che si esprimeva cantando e danzando; la parola κόρος, infatti, deriva dal verbo κορέυο, danzare, e dallo stesso verbo derivano alcuni termini ancora oggi utilizzati - come [coreografia], [coreografo], [coreutica]. Così è per la parola "orchestra", che nell'italiano moderno designa un insieme di strumenti musicali, mentre nell'antica Grecia indicava il luogo del teatro dove agiva il coro e derivava da ορκέομαι, un altro verbo che significava "danzare", perché l'azione del coro era formata dal canto e dalla danza. La tragedia e la commedia si esprimevano a mezzo della μουσικῄ, termine che indicava l'insieme inscindibile di poesia, musica e danza, tre arti considerate di pari importanza che interagivano continuamente. La danza tipica della commedia era la Cordax, caratterizzata dalla lascività e dalla vivacità. Nel dramma satiresco invece si usava danzare la Sikinnis.

Medioevo

Durante il Medioevo la danza, che in un primo periodo era praticata anche all'interno degli edifici religiosi come parte dei rituali e accompagnamento dei canti, subì la condanna delle autorità ecclesiastiche che vedevano nella sua pratica il pericolo della lascività dei costumi, data l'ostentazione del corpo in movimento e il tipo di comunicazione prettamente visiva che si andava contrapponendo a quella orale-uditiva dei predicatori. Tuttavia anche durante questo lungo periodo si hanno numerose forme di intrattenimento spettacolare con danze e/o mascherate danzate. Il professionista dello spettacolo medievale è il giullare, che spesso intratteneva il pubblico con balli solistici oppure, in occasione delle feste, guidava le danze collettive dei villaggi o delle città.
Tra le danze popolari quella che viene menzionata più spesso è sicuramente la carola, danza a catena chiusa (le persone si tenevano per mano e danzavano in cerchio), eseguita soprattutto nelle feste di primavera intorno a un albero o a un personaggio che incitava i ballerini battendo mani e piedi a ritmo. La carola è citata più volte da Boccaccio nel Decamerone e anche da Dante nella Divina Commedia. La farandola è invece una danza a catena aperta, nella quale le persone si tenevano ugualmente per mano ma aprivano il cerchio iniziale per dar luogo a nuove evoluzioni e disegni. Altre danze sono la tresca, la ridda e il ballonchio.
Dopo l'anno Mille in tutta Europa si diffuse la danza macabra, che sembra fosse praticata nei pressi dei cimiteri, dato che il termine "macabro" deriverebbe dall'arabo makàbr, che vuol dire cimitero. Non si hanno notizie certe sulla pratica effettiva di questa forma di danza, ma solo numerose testimonianze iconografiche e letterarie.

Rinascimento

Durante il Rinascimento nelle corti italiane si sviluppò una forma ricercata di ballo che prevedeva norme da seguire e un certo studio di passi e movimenti. La danza infatti era ritenuta una vera e propria forma di educazione. La danza dei nobili era di diretta derivazione da quella del popolo, ma veniva trasformata secondo le regole del perfetto cortigiano: la compostezza, l'atteggiamento nobile, le convenzioni sociali della cavalleria e della galanteria. Nel Quattrocento la figura del maestro di ballo era molto richiesta per istruire i signori e i cortigiani; tra questi, Domenico da Piacenza (detto "Domenichino") e il suo discepolo Guglielmo Ebreo da Pesaro saranno i primi autori di veri e propri trattati di quella che già veniva chiamata l'"Arte del Ballo". Domenichino scrisse il manuale De arte saltandi et choreas ducendi e Guglielmo, autore del De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum, acquistò una rinomanza tale da essere chiamato alla corte di Urbino da Federico da Montefeltro. A loro contemporaneo è Antonio Cornazzano, che scrisse il Libro dell'arte del danzare.
Nel secolo successivo saranno Fabrizio Caroso da Sermoneta con Il Ballarino e Cesare Negri con Le Gratie d'amore i principali autori di trattati sull'"arte di ben condurre le danze". Anche in Francia non mancava chi si incaricò di raccogliere e descrivere le principali danze in voga ai suoi tempi: è Jean Taburot, canonico di Langres, autore del trattato l'Orchésographie, da lui pubblicato nel 1589 firmandosi con lo pseudonimo di Thoinot Arbeau, che altro non è che l'anagramma del suo nome.
Nel 1581 presso la corte di Francia nacque il primo balletto della storia, il Ballet Comique de la Reine, composto di brani recitati, danzati e cantati. La parola “comique” sta ad indicare che la rappresentazione, per il suo argomento, apparteneva al genere della Commedia.

Il Seicento
Ma è solo nella seconda metà del XVII secolo la danza sale sui palcoscenici teatrali. Sempre in Francia, essa ricevette una forte spinta da Luigi XIV, che amava molto danzare ed esibirsi in prima persona negli spettacoli di corte, tanto che fu chiamato "Re Sole" per essersi esibito come "Sole nascente" nel Ballet Royal du Jour et de la Nuit del 1653, su musica in parte scritta da Giovanni Battista Lulli. Egli nel 1661 promosse la nascita dell'Académie Royale de Danse, istituzione preposta alla definizione delle regole inerenti a quest'arte. Le convenzioni sociali e le regole formali erano essenziali alla corte del Re Sole, questo spiega il gran lavoro di codificazione delle Accademie. Con la costituzione dell'Académie Royale de Danse prese avvio la danza accademica, così denominata perché la sua caratteristica è quella di dipendere dalle norme codificate in quella Accademia. Per questo motivo la terminologia del balletto classico è universalmente in lingua francese. Per quanto riguarda gli spettacoli teatrali le forme in voga erano la tragédie-ballet, la comédie-ballet, l’opéra-ballet, tutte forme dove poesia, danza e musica erano parte integrante dello spettacolo.

Il Settecento
Per il secolo XVIII si deve distinguere tra danza di corte e danza di teatro. Quest'ultima infatti si era trasformata nello stile per obbedire alle esigenze del tipo di visione imposta dalla struttura dello spazio scenico: a differenza degli spettacoli organizzati negli ambienti di corte, dove il pubblico si posizionava intorno allo spazio delle danze, ora il palcoscenico era posto di fronte agli spettatori e tutto ciò che vi stava sopra doveva seguire delle linee prospettiche, altrimenti la visione non sarebbe stata buona. Le scenografie usavano linee diagonali e così doveva essere per gli atteggiamenti dei ballerini, che vennero spinti ad assumere le posizioni dette in épaulement (con una rotazione del busto in linea diagonale). Le danze si volsero sempre di più a una cura eccessiva della forma, a scapito dell'espressione. La cura principale era indirizzata all'eleganza delle linee e a creare passi sempre più complessi per stupire il pubblico.
Ma il Settecento è chiamato “il secolo delle riforme”, perché in ogni campo si sentiva l'esigenza di uscire dai canoni codificati e artificiali e di riferirsi maggiormente alla natura dell'uomo. Il pensiero illuministico spingeva verso la natura, l'abbandono dell'artificio, la ricerca degli aspetti più genuini, il ritorno dell'umanità alla sua essenza, non condizionata dalla civiltà. Perciò l'Illuminismo spingeva anche alle riforme in ogni campo. Per la danza, nella seconda metà del Settecento Jean-Georges Noverre in Francia e Gasparo Angiolini in Italia, con l'introduzione del ballet d'action, si adoperarono per la riforma degli spettacoli coreutici, contemporaneamente al tedesco Christoph Willibald Gluck, che operò per la riforma del Melodramma. Per il desiderio di rifarsi alla natura, Noverre esortava a liberare il corpo della ballerina dalle vesti pesanti e ingombranti e dalle maschere e dalle parrucche che nascondevano le forme naturali, ma in realtà nei movimenti delle danze il risultato fu quello di un maggiore sviluppo della pantomima e non tanto la riunificazione delle tre arti della musica, del teatro e della danza: l'espressione dei sentimenti era intesa come imitare la natura, quindi si cercava il modo di riprodurre le emozioni naturali per farle sembrare vere, ma alla fine si realizzava un nuovo artificio.
In realtà a quel tempo la concezione dell'arte era prettamente naturalistica: pittori e scultori erano considerati "bravi" se sapevano imitare la natura al meglio e in musica anche i compositori si ingegnavano nell'imitazione dei suoni naturali. Però nei primi anni del secolo XIX un coreografo napoletano in qualche modo operò per la riunificazione delle tre arti: Salvatore Viganò con il suo "Coreodramma" o dramma danzato. Inoltre un altro napoletano, Carlo Blasis, adeguava le forme virtuosistiche della danza classica ai nuovi parametri di espressività e di adesione alla natura propri dell'Illuminismo. Blasis scrisse vari libri sulla tecnica della danza classica, nei quali esortava anche a tenere in considerazione le arti “sorelle” - la pittura e la scultura - per realizzare con il proprio corpo "forme belle" (secondo l'idea di "bellezza" propria dell'epoca). Blasis si ispirò alla statua del Mercurio del Giambologna per realizzare una delle pose principali della danza classica: l’attitude, intesa come espressione di un dinamismo che tende verso il cielo. Questa posa peraltro è rappresentata molto di frequente anche nelle statue greche e romane, dato che a sua volta il Giambologna si era ispirato a queste. Danza, recitazione, canto, ormai sono definitivamente separati. Siamo in pieno Neoclassicismo: un ritorno ai classici, filtrato però dalle idee illuministe, perciò non più rigido e artificiale come una volta, ma caratterizzato da esigenze nuove che spingono alla ricerca dell'espressione dei sentimenti dell'individuo aprendo la strada al Romanticismo.

L'Ottocento e il Romanticismo

Durante l'Ottocento, inizia a diffondersi il Balletto Romantico, basato su una nuova sensibilità, una nuova visione del mondo più libera ed appassionata, che rompe le vecchie certezze legate al sistema normativo tradizionale, dominato dal culto della ragione, per recuperare una realtà inesplorata legata al versante oscuro dell'inconscio, dando voce ai moti dell'animo, dei sentimenti, del sogno. È del 1832 la messa in scena all'Opéra di Parigi di La Sylphide, il primo esempio di balletto romantico. Abbandonati i temi mitologici e storici, l'azione ora si trasferisce nel mondo delle fiabe. È in questa occasione che viene introdotta dal coreografo Filippo Taglioni, padre della ballerina che lo interpretava, Maria Taglioni, l'uso della danza sulle punte e del tutù come consuetudine. L'aspirazione al volo che traduceva la tensione romantica verso una realtà trascendente, la sensibilità e la grazia che caratterizzavano il nuovo stile, si sposano a una tecnica rigorosamente classica che trova nelle punte, nell’arabesque, nel port de bras i suoi principi fondamentali. Ogni movimento, ogni figura sono perfettamente controllati, nascondendo la fatica fisica e il sudore sotto un'immagine di eterea leggerezza che si libra nello spazio esaltando la bellezza plastica degli atteggiamenti nel rigore di una nitida purezza geometrica. Dopo la seconda metà dell'Ottocento, l'Opéra di Parigi entra lentamente in crisi: costretta a reclutare le sue étoile all'estero, priva di validi maestri di balletto e corografici, non esercita più la sua supremazia, per cedere il passo alle altre scuole che sulle sue orme cominciano a fiorire negli altri paesi europei, come quella del Teatro alla Scala di Milano. Il vigoroso impulso all'arte della danza promosso in Russia dagli zar nel Settecento, è sostenuto e incoraggiato nel corso dell'Ottocento, facendo di San Pietroburgo un punto di passaggio obbligato per tutti i coreografi e i solisti più rinomati d'Europa. Il compito di condurre a una sintesi il patrimonio di esperienze accumulatesi nell'arco di un secolo spetta a Marius Petipa, un coreografo francese che, assunto nel 1847 come primo ballerino, acquistò ben presto un ruolo preminente nei teatri imperiali russi. La stagione di Petipa coincide con l'introduzione del balletto romantico in Russia, che avviene però tardivamente, quando altrove è già in declino. I gusti del pubblico, composto soprattutto dall'aristocrazia, esigono che il balletto si concentri intorno alla figura femminile, mostrando di apprezzare opere d'impostazione fastosamente spettacolare che lascino spazio all'esibizione virtuosistica.

Petipa riprende quindi i capolavori del balletto romantico come La Sylphide, Giselle, Coppélia, Le Corsaire, La Esmeralda. L'attenzione verso i valori del passato si riscontra anche nelle sue creazioni coreografiche. Erede del balletto d'azione, Petipa adatta la trama drammatica ai contenuti romantici, ma ne disperde talvolta la tensione inserendo accessori, non sempre perfettamente integranti nel soggetto, che costituiscono momenti virtuosistici fini a sè stessi. Egli mira soprattutto a realizzare una grande visione spettacolare che susciti l'ammirazione del pubblico, non curandosi se per ottenere questo risultato è costretto a sacrificare il rigore della composizione drammatica. Sono suoi i capolavori Don Chichotte, La Bayadère, La Bella addormentata nel bosco, Lo Schiaccianoci (in realtà coreografato dal suo assistente Lev Ivanov) e Il lago dei cigni (coreografato in collaborazione con Lev Ivanov), tuttora rappresentati nei migliori teatri del mondo ancora con le sue coreografie.


Il balletto è un particolare tipo di rappresentazione coreografica che nasce a partire dal primo Rinascimento dalle composizioni dei maestri di ballo presso le corti signorili italiane e francesi.
Con le successive evoluzioni, il termine balletto oggi comprende un'ampia varietà di rappresentazioni sceniche di un dramma visivo svolto per mezzo di danza e pantomima, spesso accompagnato da musica e interpretato da danzatori secondo una coreografia predeterminata. Comunemente con il generico termine balletto o balletto classico ci si riferisce anche al balletto moderno evolutosi dalla scuola di San Pietroburgo in particolare attraverso l'esperienza dei Ballet Russes fino alla spinta in senso più "formale" di George Balanchine, e comunque a forme di danza teatrale che utilizzano movimenti del corpo riconducibili alla tecnica accademica della danza classica.

Il Rinascimento: la nascita del balletto

Incisione che raffigura il Ballet Comique de la Reine di Baldassarre Baltazarini da Belgioioso (1581). Museo del Louvre (folio, Paris, Mamert Patisson, 1582.)
Il fiorire dei commerci, l'affinarsi delle tecniche, il nuovo interesse per la cultura scaturito dall'Umanesimo provocarono nell'Italia di inizio 1400 un fiorire delle arti presso le corti nobiliari. Mentre presso le corti medioevali il prestigio era dettato dal potere militare e dai possedimenti, diventò ora importante per la classe dominante dimostrare la propria eccellenza e trasformare la corte nel teatro dove mettere in scena il proprio splendore.
In particolare le feste di corte diventarono sempre più sfarzose e fantasiose, includendo spesso anche rappresentazioni danzate nelle quali però i danzatori non erano professionisti ma nobili di corte che danzavano per piacere e dovere sociale.
In questi anni, caratterizzati da una massiccia codificazione di tutte le arti, comparve nelle corti italiane un nuovo personaggio: il maestro e teorico di danza. Alcuni nomi sono giunti a noi grazie agli scritti conservati presso le biblioteche, come Domenico da Piacenza, e i suoi allievi Antonio Cornazano (pure attivo fra Piacenza e Ferrara) e Guglielmo Ebreo da Pesaro (conosciuto anche come Giovanni Ambrogio), accomunati da una stessa visione teorica e da una stessa terminologia, tanto da poter parlare di una primitiva scuola italiana (la "scuola lombarda") che stabilisce per prima le regole tecniche, l'estetica, l'etica del danzatore.

Dal ballo nobile alla danza teatrale
Domenico nel suo trattato De arte saltandi et choreas ducendi operava una prima distinzione fra bassa danza e ballo, la prima (distinguibile in bassadanza propriamente detta e quaternaria) eseguita con una tecnica che evita i salti, a contatto con il suolo e caratterizzata da un incedere grave e dal portamento nobile, il secondo (rapido e identificato da saltarello e piva) con salti e variazioni più dinamiche.
Il termine balletto si comincia a usare in Italia al posto di ballo agli inizi del Cinquecento. Una prima testimonianza di messa in scena di uno spettacolo danzato legato ad un tema unitario si trova poi sempre in Italia, messo in scena durante il banchetto di nozze fra Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d'Aragona nel 1489 a Tortona. La rappresentazione allegorica, realizzata a cura di Bergonzio Botta e dedicata alla esaltazione dell'amore coniugale, prende il nome di balletto conviviale e verrà imitata in molte altre corti negli anni successivi.

Le origini del balletto in Francia sono legate alla nascita del ballet de cour ad opera dell'italiano Baldassarre Baltazarini da Belgioioso. I maggiori balli in uso nel XVI secolo in Francia e in altri paesi europei sono stati accuratamente descritti nel 1589 da Thoinot Arbeau (pseudonimo di Jean Tabourot) nel suo trattato Orchésographie. Appartiene al genere delle mascherate il Bal des ardents organizzato da Carlo VI nel 1393, un particolare tipo di corteo messo in scena da nobili travestiti da personaggi storici o mitologici. Le cronache riportano che in occasione del matrimonio del duca di Vermandois il re stesso aveva messo in scena un ballo, assieme a quattro amici tutti travestiti da «uomini selvaggi», indossando costumi ricoperti di fiocchi di lino cardato; essendosi avvicinati troppo al fuoco di una torcia, i danzatori si erano trasformati all'istante in torce umane, e solo il re fu salvato dal rogo grazie al pronto intervento di una dama che con la propria gonna spense le fiamme.

In Inghilterra lo sviluppo della danza teatrale pare essere invece legato alle Masque, danze mascherate che si svolgevano durante i balli reali con la partecipazione degli stessi sovrani e che comprendevano danze, canti e recite di poesie secondo programmi e testi predefiniti (Ben Johnson all'inizio del Seicento fu autore di alcune Masque).

Parallelamente in campo musicale si assiste ad un graduale affrancamento della musica strumentale dal canto, e questa trasformazione influenza non poco anche i modi della danza che non più guidata dalle parole può divenire ritmica e sviluppare una poetica indipendente e una espressività nuova con il corpo in primo piano.
Un segno evidente della grande trasformazione che avviene nelle rappresentazioni danzate in questo periodo è la nascita delle prime "scuole di ballo nobile", scaturita anche dalla ampia diffusione dei primi trattati sulla tecnica di cui abbiamo detto sopra e dalla richiesta proveniente inizialmente dagli stessi principi e gentiluomini per non sfigurare a corte. La prima grande scuola per ballerini, venne fondata all'inizio del Cinquecento da Pompeo Diobono: da qui usciranno Ludovico Paluello, Bernardo Tetoni, Baldassarre Baltazarini da Belgioioso, Cesare Negri. Dalle scuole italiane cominciarono poi a diffondersi in tutta Europa maestri di Ballo nobile che si stabilirono presso le principali corti europee, dando inizio ad un irraggiamento delle conoscenze tecniche e teoriche di danza che non si arresterà per i successivi quattro secoli.

Nel 1602 Cesare Negri, ormai anziano, pubblicherà nel suo Le Gratie d'amore (poi ripubblicato nel 1604 col titolo Nuove inventioni di Balli) le prime norme stilistiche che si ritrovano tuttora ripetute nella tecnica accademica, fra cui la base delle cinque posizioni e l'impostazione con i piedi in fuori.

Spettacoli coreografici vennero poi rappresentati di frequente anche alla corte di Enrico III di Francia, che era stato fra gli spettatori delle messe in scena di Baltazarini, ma al tema mitologico o allegorico veniva spesso preferita una forma più leggera, il ballet mascarade, in genere parodia mimata di fatti di attualità. Pare che alcune creazioni siano poi state realizzate a scopi di propaganda dallo stesso cardinale Richelieu, come ad esempio il Ballet de quatre monarchies chrétiennes (1635) e il Ballet de la prosperité des armes de France (1641), il che testimonia la popolarità già raggiunta allora dal balletto.

In Italia la Corte dei Medici risultava ai tempi piuttosto attiva, sotto la guida del coreografo Angelo Ricci. Fra gli spettacoli, ispirati in genere a quei temi propri dell'Umanesimo che era stato fonte ispiratrice delle origini, si cominciarono a trovare sempre più spesso balletti con cavalli in scena, probabile eredità dei tornei medievali. Questo genere equestre verso la fine del Cinquecento trovò sempre più larga fortuna specie in Francia e a Vienna, oltreché Firenze. L'esempio più eclatante fu la messa in scena a Vienna nel 1667 di La contesa dell'aria e dell'acqua, a cura dell'italiano Alessandro Carducci.
A fianco di Firenze, anche Torino è particolarmente attiva attorno alla metà del Seicento, sotto la guida del conte Filippo d'Agliè di San Martino, autore di balletti e caroselli molto apprezzati anche in Francia.

Il Seicento: lo sfarzo e lo splendore
Agli splendori paesaggistici che architetti come Bernini e Borromini allestivano per la scenografia della Roma papale corrispondeva un gusto dominante per lo spettacolare anche nelle rappresentazioni teatrali. Ancora Firenze era uno dei principali centri creativi e di sperimentazione, e qui a metà del Cinquecento si sperimentavano le prime scenografie mobili, che vennero ben presto migliorate e usate con grande successo determinando una esaltazione della scena a discapito della rappresentazione. Gli scenografi teatrali italiani trionfarono in tutta Europa: Ferdinando Bibiena incantava Vienna, Giacomo Torelli prima e Gaspare Vigarani poi guidavano il gusto parigino, ma prima di loro Ludovico Burnacini con le fantastiche macchine teatrali allestite per le opere monteverdiane e gli sfarzosi costumi evocativi di terre lontane e di inferni ammonitori aveva inaugurato l'era barocca a teatro. La danza in Italia restava quindi confinata al suo ruolo di intermezzo, in particolare all'interno del melodramma, non riuscendo a imporsi autonomamente.

La Francia parve invece preferire una sua strada ancora legata ad una danza lenta e solenne. I maestri italiani, dopo che Milano, il centro italiano della danza, venne conquistato nel 1515 dalle truppe di Francesco I, cominciarono a trasferirsi nel nord Europa. Su richiesta del re lo stesso Pompeo Diobono lasciò Milano nel 1554 per recarsi in Francia presso la corte di Enrico II prima, Carlo IX e Enrico III poi.

Luigi XIV: Il balletto reale

Il Ballet Comique de la Reine sancì Parigi come capitale del mondo del balletto. Fu così quindi che il balletto, benché nato in Italia, divenne poi un'arte squisitamente francese.
Il grande sostenitore di quest'arte fu re Luigi XIV (1638-1715) detto Re Sole. Egli amava molto danzare e prendeva parte ai balletti dati dalla sua corte ma si fermò quando il fisico gli impedì di continuare a danzare. Ancora oggi nella tecnica accademica esiste un passo da lui eseguito chiamato in suo onore Entrechat Royal.

Nel 1661 Luigi XIV fondò l'Accademia Reale di Danza con lo scopo di preparare ballerini che si esibissero per lui e la sua corte, dando così inizio alla prima accademia di danza dedicata alla formazione professionale dei ballerini. Seguendo l'esempio di Luigi XIV, in tutta Europa iniziarono a svilupparsi simili compagnie. Una di queste fu l'Accademia Imperiale del Balletto di San Pietroburgo, la cui scuola fu fondata nel 1738 e che diventerà nell'Ottocento la capitale mondiale del balletto classico grazie a maestri come Enrico Cecchetti e Marius Petipa. I ballerini francesi diventarono così bravi che iniziarono ad esibirsi pubblicamente nei teatri. All'inizio tutti i danzatori erano uomini e le parti da donna venivano eseguite en trevesti. I danzatori del XVIII secolo erano coperti da maschere, indossavano grosse parrucche e scarpe col tacco. Le donne indossavano gonne larghe e lunghe, strette nei loro corpetti. Le due migliori ballerine francesi dell'epoca, Marie Camargo e Marie Sallé rivoluzionarono il mondo della danza, introducendo scarpe senza tacco, accorciando le gonne rendendole meno ingrombranti e abbandonando le maschere.

La riforma del balletto: il "ballet d'action"
Nella seconda metà del Settecento, il francese Jean-Georges Noverre e l'italiano Gasparo Angiolini elaborarono e teorizzarono una profonda riforma del balletto, diretta a emancipare la danza dalle altre forme sceniche (canto e declamazione), alle quali era sempre collegata (e subordinata) negli spettacoli teatrali, e ad affidare ai balletti il compito di narrare autonomamente delle vicende drammatiche, con l'espressività dei gesti danzati e il ricorso alla pantomima.

Il Romanticismo fu una corrente artistico-letteraria che si diffuse in tutta l'Europa in maniera uniforme a partire da Regno Unito e Germania. Chi si riconosceva nel movimento romantico dichiarava una ribellione alle regole del classicismo antico, in particolare come reazione al manierismo caratteristico del Settecento, dichiarando l'intenzione di indagare più profondamente nell'animo umano. Da qui una grande attenzione per l'occulto, la magia, il soprannaturale, l'esotico, il distante nel tempo e nello spazio. La Francia, e in particolare il Teatro de l'Opéra di Parigi, divenne il luogo d'eccellenza del balletto, fungendo da esempio per il resto dell'Europa. Fu in Francia infatti che venne creato il balletto considerato punto di partenza del romanticismo nella danza: La Sylphide danzato da Maria Taglioni su coreografie del padre Filippo Taglioni (1832). La trama rifletteva in pieno i temi cari al romanticismo: l'amore impossibile tra un uomo e uno spirito, l'ambientazione in Scozia, magie e spiriti danzanti (le silfidi appunto). La Sylphide diventò il prototipo di molti altri balletti basati sullo stesso tema tra i quali il più celebrato fu Giselle (1841), che immortalò un'altra grande ballerina, Carlotta Grisi, e si distinse per il libretto creato da Théophile Gautier e le musiche composte da Adolphe Adam.
Il pubblico accorreva a questi balletti grazie anche alla curiosità generata dai nuovi costumi teatrali e dalle nuove tecniche di danza.

La Bayadère.

Le gonne diventavano più leggere e più corte, si usavano le scarpe da punta per sottolineare il distacco della ballerina dal mondo terreno e apparve il tutù (inventato da Eugéne Lamy proprio per La Sylphide).

La danza maschile perse gradualmente la sua supremazia. Vennero creati ruoli incentrati sulla ballerina eterea e romantica, le donne dominavano la scena, gli uomini furono messi in ombra e relegati al ruolo di partner, diventando semplici porteur. Spesso i ruoli maschili venivano interpretati da danzatrici en travesti, come ad esempio accadde per il ruolo di Franz nella prima rappresentazione di Coppélia (1870).

Alla fine dell'Ottocento, il ruolo de l'Opéra di Parigi perse il predominio e il balletto romantico rinacque a nuova vita e in tutto il suo fasto nelle creazioni dei grandi balletti narrativi di Marius Petipa, coreografo dei Balletti Imperiali presso la corte russa. Questi balletti, capisaldi della danza arrivati fino ai giorni nostri, trattano di racconti fiabeschi, fantastici o esotici, come Il lago dei cigni, La bella addormentata, Lo schiaccianoci (tutti con la musica di Pëtr Il'ič Čajkovskij), o come La Bayadère (musica di Ludwig Minkus).

La nascita del balletto russo coincide con la fondazione dell'Accademia di Danza presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1738, diretta dal Maestro francese Jean-Baptiste Landé durante il regno della zarina Anna di Russia (1693-1740). Quando, nel 1762, Caterina la Grande salì al trono, la sua festa per l'incoronazione fu un imponente spettacolo di danza per il quale furono impiegate circa 4000 persone. Vennero invitati dall'Italia e dalla Francia maestri di balletto per organizzare l'evento. Caterina II contribuì in maniera determinante allo sviluppo della danza in Russia. Chiamò i migliori coreografi dall'Europa ad insegnare nell'accademia. Il primo di questi fu Charles Didelot, nato in Svezia ma educato in Francia. Insegnò a San Pietroburgo dal 1801 al 1811 e dal 1816 al 1837. Poi fu la volta di Jules Perrot da Parigi che restò in Russia dal 1851 al 1858. A lui succedette Arthur Saint-Léon dal 1859 al 1869. Fu poi la volta del maestro dei maestri, il francese Marius Petipa che diresse i balletti imperiali per circa un trentennio creando i più grandi capolavori della storia del balletto tra cui: La bella addormentata (1890), Il lago dei cigni (1895, in collaborazione con Lev Ivanov) e Lo Schiaccianoci (1892), la cui coreografia si deve però a Lev Ivanov. Figlia di tutto ciò è anche una tra le più prestigiose scuole di balletto della Russia: la scuola del Teatro Bol'šoj di Mosca.

Il balletto nel XX secolo
Petipa creò più di 50 coreografie per i Balletti Imperiali. Alla fine la sua formula rischiava di esaurirsi e di diventare un vuoto contenitore per dimostrare la bravura della ballerina o del ballerino. Nel 1909, un impresario russo che non sapeva nulla di danza ma molto di come si produceva uno spettacolo di successo, Sergej Djagilev, fondò i Ballets Russes nei quali l'unione di pittura, musica e danza costituiva l'elemento portante.
I Ballets Russes spopolarono in Europa e misero in luce personalità della danza importantissime quali: Anna Pavlova (ballerina), Vaslav Nijinsky (ballerino e coreografo), Michel Fokine (primo coreografo della compagnia), George Balanchine che influenzerà in modo determinante la danza classica americana.
La compagnia si sciolse alla morte di Djagilev nel 1929. I danzatori e i coreografi si unirono ad altre compagnie in molte parti del mondo influenzando il balletto in modo determinante ovunque essi andassero.
 
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EXCELSIOR

Azione coreografica, storica, allegorica in 6 parti e 11 quadri

Coreografia e libretto Luigi Manzotti
Musica Romualdo Marenco
Prima rappresentazione Milano, Teatro alla Scala, 11 gennaio 1881
Interpreti Bice Vergani (Luce), Carlo Montanara (Tenebre),
Rosina Viale (Civiltà), Carlo Coppi (Dionisio Papin),
Angelo Cuccoli (Alessandro Volta), F. Razzani,
Geninazzi, Coppini Bartolini, May, Hofschuller,
Radice, Achille Balbiani, Vismara.
Scenografia e costumi Alfredo Edel

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Sul libretto, l’autore scrive: “Vidi il monumento innalzato a Torino in gloria del portentoso traforo del Cenisio ed immaginai la presente composizione coreografica. È la titanica lotta sostenuta dal Progresso contro il Regresso ch’io presento a questo intelligente pubblico: è la grandezza della Civiltà che vince, abbatte, distrugge, per il bene dei popoli, l’antico potere dell’oscurantismo che li teneva nelle tenebre del servaggio e dell’ignominia. Partendo dall’epoca dell’Inquisizione di Spagna arrivò al traforo del Cenisio, mostrando le scoperte portentose, le opere gigantesche del nostro secolo. Ecco il mio Excelsior che sottopongo al giudizio di questo colto pubblico.”

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Manzotti parte dall’Inquisizione di Spagna, massimo esempio di potenza raggiunta con iniquità, che Luce e Civiltà riusciranno a sconfiggere (quadro I). La prima parte termina con il trionfo di un’epoca nuova grazie alla Scienza, alle scoperte, al progresso di un’era moderna (quadro II).
Ecco il primo battello a vapore (sulle sponde del fiume Weser, vicino alla città di Brema) inventato da Dionisio Papin e poi distrutto dagli stessi battellieri istigati dall’Oscurantismo (quadro III); il quadro successivo vedrà però gli sviluppi della sua invenzione, cioè un grande piroscafo (quadro IV). Il quadro V mette in scena Alessandro Volta, genio dell’elettricità, mentre il VI espone l’invenzione del telegrafo. Permane ancora la lotta tra il Genio delle Tenebre e la Luce: a viaggiatori travolti da una tempesta di sabbia del deserto, la luce indica la salvezza (quadro VII), ed ecco che in luogo del deserto si scorge un largo canale, l’istmo di Suez. Uomini di tutte le nazioni si abbracciano fraternamente. In un lungo pas de deux, la Civiltà libera lo Schiavo dalle sue catene (quadro VIII). Nel quadro successivo ingegneri ed operai italiani e francesi fanno esplodere l’ultima mina consentendo l’apertura del traforo del Cenisio. Gli ultimi due quadri inneggiano alla vittoria della Scienza sull’Oscurantismo in un’apoteosi della filosofia positivista.

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Realizzato secondo la formula del "ballo grande italiano" e denominato "azione coreografica, storica, allegorica in 6 parti e 11 quadri", lo spettacolo è basato sull'idea, dominante nella società di fine Ottocento, del trionfo della scienza. All'allegoria della vittoria di Luce e Civiltà contro Oscurantismo, nemico del Progresso seguono quadri che esaltano le grandi opere e invenzioni di quel periodo: il battello a vapore inventato da Denis Papin, il piroscafo, la pila di Alessandro Volta, il telegrafo, la lampadina di Thomas Edison, il canale di Suez, il traforo del Moncenisio (detto così erroneamente poiché il traforo passa sotto il Monte Fréjus. L'errore di denominazione è dovuto al fatto che il traforo sostituiva la via molto più lunga e impervia, del passaggio sul Colle del Moncenisio). Durante il dispiegarsi dei grandi successi della Scienza, continua tuttavia la lotta fra Luce e il Genio delle Tenebre, che si risolve con Civiltà che alfine libera lo Schiavo dalle sue catene e l'irrinunciabile apoteosi finale.

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In scena il dispiego di mezzi è imponente: composto da undici quadri, ricco di effetti speciali, si avvale di un corpo di ballo costituito da quattrocentocinquanta elementi. Il Corriere della Sera scrive: È il paradiso, il trionfo dell'umanità incivilita, una festa del pensiero, ricco e splendido. Lo spettacolo è molto patriottico, tanto che pure la sala è piena di lampadine e bandiere tricolori; si vuole esaltare l'avvento di un mondo in cui regnano modernità e pace. L'incasso è straordinario per l'epoca: 6000 £, e lo spettacolo resta in cartellone per 103 serate consecutive.

Riguardo al simbolismo che pervade l'intero balletto, secondo Flavia Pappacena: "Il ballo prosegue la tradizione allegorica del Settecento. A partire dall'esaltazione della ragione, fino alla civiltà intesa come processo di elevazione culturale, i temi di fondo richiamano i principi massonici".
Peraltro Romualdo Marenco era massone.

Di tutti i “grandi balli” di Luigi Manzotti (1835-1905), l’Excelsior è il più popolare di tutti e rallegrò le più vaste platee in ogni parte d’Europa. Nella sola annata 1881 ebbe oltre cento repliche e fu ripreso negli anni 1883, 1888, 1894 con un altro centinaio di rappresentazioni (sempre alla Scala). Ebbe anche edizioni a Vienna (1885) e a Londra (Her Majesty’s Theatre, 22 gennaio 1885, con Enrico Cecchetti). Nel corso di una trentina di anni riuscì a toccare le 330 repliche. Nel XX secolo fu ripreso alla Scala (1916 nella versione di Renato Simoni) e al San Carlo di Napoli (1931, versione di Giovanni Pratesi). Una delle più recenti edizioni è stata curata dal regista Filippo Crivelli in collaborazione con il coreografo Ugo Dell’Ara per il Maggio Musicale Fiorentino al Teatro Comunale di Firenze (prima rappresentazione 27 giugno 1967) con ripresa l’anno successivo. Scene e costumi erano di Giulio Coltellacci, mentre gli interpreti erano Ludmilla Tcherina (Luce), Ugo dell’Ara (Oscurantismo), Carla Fracci (Civiltà), direttore d’orchestra Franco Mannino. Con Carla Fracci e Paolo Bortoluzzi nei ruoli della Civiltà e dello Schiavo, il ballo di Manzotti e Marenco ricompariva alla Scala il 16 settembre 1974 e alle Terme di Caracalla di Roma (stagione estiva 1976 con il complesso di ballo del Teatro dell’Opera). Nell’estate 1978, in occasione dei duecento anni di storia della Scala, il famoso teatro milanese riproponeva ancora una volta Excelsior di nuovo con Carla Fracci (Civiltà), e Paolo Bortoluzzi (Schiavo), Enrico De Mori dirigeva l’orchestra che suonava il Marenco rivisitato da Fiorenzo Carpi.

Il balletto prelude ad un nuovo genere di spettacolo, la rivista, anche grazie alla spettacolarità degli effetti scenici e delle macchine teatrali in uso nel balletto barocco. La coreografia di Manzotti è impiegata in questo ballo secondo i canoni che erano appartenuti alle evoluzioni geometriche, alle file, ai cerchi e alle diagonali dei cortei, tra l’atletismo e la ginnastica.

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Fra le molte versioni e riproduzioni dell’Excelsior in Europa e nel mondo sono da ricordare un’edizione, parzialmente filmata, a cura di Luca Comerio nel 1914 e quella realizzata con le marionette del Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca e dei Fratelli Colla di Milano alla Piccola Scala (1969) e al Festival di Spoleto (1970-1990).
 
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DON CHISCIOTTE

Direi il mio preferito... in mezzo a tanti altri preferiti. In questo ho avuto occasione di "praticare".


Il balletto Don Chisciotte si basa sul famoso romanzo di Miguel de Cervantes dal titolo Don Chisciotte. Anche se esistono molti adattamenti del lavoro, la versione più celebre e acclamata è quella del coreografo Marius Petipa sulla musica di Aloisius Ludwig Minkus, rappresentato per la prima volta il 14 dicembre 1869 dal Balletto del Bol'šoj.

Soggetto del balletto
La trama del balletto narra del tentativo infruttuoso di un uomo molto ricco, Gamache (Comacho nel romanzo), di sposare la bella Kitri (Quitera) che invece si innamora di Basil (Basilio), un giovanotto del villaggio. Il padre di Kitri non vuole che sua figlia sposi Basil. Allora Kitri e Basil scappano e organizzano una festa in una taverna, ma il padre li vede e li insegue arrivando così alla taverna. Basil, visto il padre di Kitri, fa finta di essere in punto di morte. Kitri chiede al padre l'approvazione del matrimonio prima che Basil muoia e il padre approva, Basil si alza da terra e dopo un po' si festeggia con una gran festa.

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Storia del balletto
La storia fu adattata al balletto per la prima volta nel 1740 da Franz Hilverding a Vienna, Austria. Un'altra versione venne montata all'Opéra national de Paris nel 1743 con il titolo di Don Quichotte Chez la Duchesse e la musica di Joseph Boismortier. Nel 1768 il grande maestro di balletto Jean Georges Noverre montò un'altra versione di Don Chisciotte a Vienna su musica di Josef Starzrin, una produzione che sembrava comunque un revival di quella originale di Hilverding. Ci fu anche un adattamento de La Scala di Milano nel 1783 del maestro di balletto Paolo Franchi con la musica di Angelo Tarchi. La versione di Franchi fu di ispirazione per un altro allestimento del racconto di Cervantes, messo in scena da Antoine Pitrot su musica di Nicola Antonio Zingarelli. L'Opéra diede un'altra versione nel 1801 con il titolo de Le nozze di Gamache , allestito da Louis Jacques Milton.

Charles Didelot, conosciuto oggi come il "padre del balletto russo" montò una versione in due atti del Don Chisciotte a San Pietroburgo per i Balletti Imperiali nel 1808. Nel 1809 James Harvey D'Egville montò una versione del balletto al Her Majesty's Theatre, Londra. Paolo Taglioni (fratello di Maria Taglioni) presentò la sua versione del his own version of Don Chisciotte per l'Opera di Stato di Berlino nel 1839, suo zio, Salvatore Taglioni allestì una produzione al Teatro Regio di Torino nel 1843.

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L'adattamento più famoso fu creato dal coreografo Marius Petipa, impareggiabile Maître de Ballet dei Balletti Imperiali dello Zar a San Pietroburgo, e dal compositore austriaco Ludwig Minkus. Petipa montò il balletto per il Teatro Bol'šoj a Mosca su commissione. La produzione debuttò il 26 ottobre 1869 (14 ottobre per il vecchio calendario) con un enorme successo. I danzatori principali furono: Wilhelm Vanner (Don Chisciotte), Anna Sobeshchanskaya (Kitri), Sergei Sokilov (Basil), Polina Karpakova (Dulcinea), Vassily Geltser (Sancho Panza), Leon Espinosa (Harlequin), Dmitrij Kuznecov (Gamache).

In seguito Petipa allestì il balletto con una produzione più opulenta e grandiosa per i Balletti Imperiali di San Pietroburgo, con debutto il 21 novembre 1871 (9 novembre per il vecchio calendario). Tra i danzatori principali vi erano: Alexandra Vergina (Kitri), Timofei Stukolkin (Don Chisciotte), Lev Ivanovič Ivanov (Basil). Questa produzione consisteva di 5 atti (undici episodi, un prologo e un epilogo) e sfruttava le stesse scenografie della prima produzione.


Alexander Gorsky allestì il balletto per il Teatro Bol'šoj nel 1900, rimpiazzando la produzione originale di Petipa del 1871 per i Balletti Imperiali. Il cast era eccezionale: Kitri era danzata da Matil'da Feliksovna Kšesinskaja, Basilio da Nikolaj Legat, Don Chisciotte da Aleksei Bulgakov, Sancho Panza da Enrico Cecchetti e Gamache da Pavel Gerdt. I ruoli della danzatrice di strada, di Amore e Juanita erano danzati rispettivamente da Olga Preobrazhenskaya, Tamara Platonovna Karsavina e Anna Pavlova. Per le sue produzioni del 1900 e del 1903, Gorsky aggiunse nuove danze. Per la produzione del 1900 il compositore Anton Simon scrisse musica nuova: una variazione per la Regina delle Driadi (un personaggio creato da Gorsky), una danza per le amiche della Regina delle Driadi e una danza spagnola per l'ultima scena. Quando nel 1903 Gorsky mise in scena a San Pietroburgo il Don Chisciotte, Riccardo Drigo compose due nuove variazioni per la Kschessinskaya: la famosa "Variazione di Kitri con il ventaglio" per il Pas de deux finale del balletto e la "Variazione di Kitri nei panni di Dulcinea" per la scena del sogno di Don Chisciotte. Queste variazioni sono presenti nelle produzioni contemporanee del balletto.

In seguito Gorsky interpolò il Grand pas des toreadors dal balletto Zoraiya coreografato da Petipa nel 1881, un pezzo che ancora è incluso nelle produzioni moderne. Don Chisciotte durò in Russia ben oltre la Rivoluzione del 1917, mentre molti altri balletti non vennero più rappresentati nel periodo sovietico. A dire il vero diventò parte del repertorio permanente sia del Bol'šoj che del Kirov. Per il Bol'šoj le produzioni più famose furono quella di Gorsky del 1906 e quella di Rostislav Zakharov e Kasyan Goleizovsky nel 1940. Per il Kirov le produzioni più famose furono quelle di Fedor Lopukhov nel 1923 con una nuova coreografia per il fandango e quella di Petr Gusev nel 1946 con lo scenario modificato di Yuri Slonomsky e nuove danze introdotte da Nina Anisimova.

Dalla Russia all'Occidente
Chi per prima portò il Don Chisciotte in Occidente fu Anna Pavlova con la sua compagnia nel 1924 in una versione ridotta. Il balletto intero non fu allestito in Occidente per molti anni. Il famoso Grand Pas de Deux dal balletto fu presentato agli inizi del 1940, messo in scena per la prima volta dai Balletti russi di Monte Carlo. Il balletto intero fu montato per la prima al di fuori della Russia dal Ballet Rambert nel 1962. Nel 1966 Rudol'f Nureev allestì la sua versione per il balletto dell'Opera di Stato di Vienna, con la musica di Minkus adattata da John Lanchbery.

Nel 1973 Nureyev filmò la sua versione con l'Australian Ballet e Robert Helpmann nella parte di Don Chisciotte.

Michail Baryšnikov montò la propria versione nel 1980 per l'American Ballet Theatre, con Cynthia Harvey nel ruolo di Kitri. La versione è stata rappresentata da moltissime compagnie. Oggi il balletto viene allestito da molte compagnie usando diverse versioni ed è considerato uno classico del balletto.

Il coreografo George Balanchine creò una versione moderna del balletto nel 1965 per il New York City Ballet sulla musica di Nicolas Nabokov con Balanchine stesso nella parte di Don Chisciotte, Suzanne Farrell in quella di Dulcinea e Francisco Moncion come Merlin.
Questa produzione non ha nulla a che vedere con la versione di Minkus e fu rappresentata fino a metà degli anni settanta e poi tolta dal repertorio della compagnia. Nel 2005 fu ricostruita dalla Farrell e continua ad essere rappresentata oggi.


L'opera è divisa in tre atti. Un breve prologo di mimica è seguito da un episodio chiamato "Una piazza a Barcellona" in cui la coreografia classica imita lo stile spagnolo con una serie di frizzanti danze di carattere.

Il secondo episodio, "L'accampamento zingaro" presenta un forte contrasto: qui la pantomima e le danze di carattere regnano sovrane.

Il terzo episodio, chiamato "Il sogno", è puramente classico con esclusivamente ballerine.

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Questo è seguito da "Una taverna a Siviglia", ancora pieno di danze di carattere e di mimo.

La celebrazione finale del matrimonio è un lungo grand pas de deux con i personaggi principali.

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Nureyev reinterpreta il Don Chisciotte
Come nel caso de Lo Schiaccianoci, Rudolf Nureyev (in qualità di coreografo) ha dato nuova vita a questa opera.
Pur ispirandosi alla tradizione russo-sovietica Nureyev ne ha modificato considerevolmente la coreografia, cambiando in parte l'argomento e la messinscena, ripristinando fra l'altro il prologo nella magione di Don Chisciotte.
Le prime modifiche nella versione in scena al Bolshoi e per l'Opera di Vienna. Un tale successo che il coreografo sarà invitato a rimontare lo spettacolo per molte altre compagnie.
E la sua versione “autentica” delle intenzioni di Nureyev è certamente costituita dal film girato con l'Australian Ballet (la scena fu creata in un hangar per aerei a Barry Kay), film che ha contribuito a far conoscere il balletto. Alla Scala il suo Don Chisciotte arriva nel 1980.

Scrive lo storico Alberto Testa: “Nureyev si bilancia su due colori ambientali, su due tonalità: l'atmosfera cupa di Goya e quella spensierata di un paese che si diverte cercando di dimenticare “gli orrori della guerra” attraverso la danza. C'è, proprio per questo ritmo frenetico e gaio, una gioia di vivere, una esuberanza che vanno d'accordo perfettamente con il tono burlesco di certe situazioni”.

Intervistato nel 1971 dalla rivista Show, Nureyev dichiarò:
“Ho cercato di riportare i sei personaggi principali del balletto alle maschere della commedia dell'arte. Chisciotte è Pantalone, Kitri è Colombina, Basilio è Pierrot. Non volevo che la storia girasse intorno a Don Chisciotte, ma che fosse incentrata sulle reazioni della gente nei suoi confronti. All'inizio odiavo la figura di Don Chisciotte. Non l'ho capita per molto tempo. Stavo dalla parte della gente. Poi ho letto il libro! C'è così tanto che in un balletto si può sfiorare solamente la superficie. Ho cercato di metterci un mucchio di cose che avevo provato leggendo il libro...
Poi, volevo una parte comica, e poiché nessun coreografo me ne aveva mai offerta una, me la sono fatta da me”.

Sostiene Alexander Bland:
“Anche nella versione di Nureyev la scena del sogno ha mantenuto la sua integrità risalente ai tempi di Petipa, ma Nureyev vi ha aggiunto un episodio per sottolineare l'elemento indispensabile dell'amore. È un passo a due al chiaro di luna sotto le ali di un mulino gigante... Nella versione originale, la successione continua delle danze di gruppo era molto raramente interrotta dal dramma e dalla commedia. Nureyev ne ha aumentato di molto il peso, ha introdotto un elemento di commedia dell'arte nel quale egli tiene il ruolo del filo di Arianna, brillante, splendente, che corre da un capo all' altro del balletto”.
 
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GISELLE

Balletto in due atti


Fu Théophile Gautier, scrittore autorevole e critico d'arte, a ideare il balletto Giselle, sfogliando le pagine del romanzo "De l'Allemagne" di Heinrich Heine. L'autore fu profondamente affascinato dalla leggenda delle Villi, spiriti della tradizione slava.
Nel 1841, animato dalla fervente ammirazione per la ballerina Carlotta Grisi, decise di iniziare a scrivere di suo pugno un balletto intitolato Les Wilis. Balletto. In un primo tempo, il timore di attirarsi lo sdegno di quanti, ritenendolo un grande romanziere, avrebbero considerato questa opera troppo effimera e superficiale lo fece vacillare nel suo intento. Successivamente, forse anche grazie ai versi di Fantômes, tratti dalla raccolta Orientales di Victor Hugo, comprese la dignità letteraria del tema che aveva prescelto e sciolse ogni riserva.
La sera stessa in cui prese la decisione si recò all'Opéra National de Paris dove incontrò il drammaturgo Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges, cui volle affidare l'incarico della stesura del libretto. Entusiasta della proposta, il drammaturgo completò in pochi giorni una bozza, che però si discostava molto dal pensiero originario di Gautier. I due autori allora decisero di redigere a quattro mani il libretto definitivo, che fu accolto immediatamente all'Opéra National de Paris.
La scelta del compositore per musicare il balletto non poteva che ricadere su Adolphe-Charles Adam, artista di grande fama nella produzione di balletti. Le musiche vennero composte in poco tempo, in stretta collaborazione con gli autori del libretto. Giselle ebbe così la sua musica, nuova, accolta benevolmente anche dalla critica del tempo.
Il coreografo designato dagli autori non fu lo stesso che poi realizzò, almeno formalmente, le coreografie: all'Opéra National de Paris avevano incaricato della coreografia Jean Coralli, mentre gli autori, che avevano fortemente voluto Carlotta Grisi, avevano designato in questo stesso ruolo il compagno della ballerina il famoso Jules Perrot. Si decise dunque che Coralli avrebbe curato le scene nell'insieme, mentre Perrot avrebbe ideato i passi della ballerina; il lavoro di quest'ultimo fu compiuto in segreto e gratuitamente. In seguito, sui manifesti e i volantini, comparve solo il nome di Jean Coralli.
All'Opéra National de Paris, il 28 giugno del 1841, giorno del suo ventiduesimo compleanno, Carlotta Grisi si esibì per la prima volta in Giselle, insieme a Lucien Petipa nel ruolo di Albrecht. Il balletto riscosse un successo incredibile, tanto che ancora oggi viene considerato come uno dei più grandi balletti classici mai rappresentati.
Dalla sua creazione, “Giselle” è considerato l’apoteosi o, addirittura, il simbolo del balletto romantico. E’ Théophile Gauthier che ne suggerisce l’argomento a G. Saint-Georges, ispirandosi a un passaggio del libro di Heinrich Heine “Della Germania”, dove si narra della leggenda delle Willis, ragazze morte per amore alla vigilia delle nozze, che alla notte circondano i viaggiatori imprudenti, coinvolgendoli in girotondi e danze mortali.
La prima rappresentazione di “Giselle” si tiene il 28 giugno 1841 presso l’Accademia Reale di Musica di Parigi ed è segnata dal trionfo personale di Carlotta Grisi e degli altri interpreti principali, Lucien Petipa e Adèle Dumilatre. Il 12 maggio dello stesso anno, il balletto viene allestito a Londra, questa volta con la partecipazione del grande Marius Petipa nel ruolo di Albert (o Albrecht). L’anno successivo, il balletto approda alla Scala di Milano, su musiche, però, di Baietti.
In Russia, il 18 dicembre 1842, con la coreografia di A. Titus, Elena Andreianova porta “Giselle” sulla scena del Teatro Grande di San Pietroburgo.
Diversi sono stati i riallestimenti dello spettacolo nei teatri russi e sovietici, ma quello rimasto fino ad oggi in repertorio, ripreso nel 1991 da Kasatkina e Vasiliov, è datato 1944 e porta la firma di Leonid Lavrovski, in quegli anni coreografo principale del Teatro Bolshoy. Una versione, la sua, che si ispira fedelmente a quella di Jules Perrot, Jean Coralli e Marius Petipa.
È veramente poco ciò che è lecito modificare di questo capolavoro, ma anche qui Kasatkina e Vasiliov non mancano di introdurre un loro contributo originale. La danza contadina o della Vendemmia del primo atto è infatti riallestita da loro, con il passo a due inserito che ne diventa parte integrante e insopprimibile.

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Primo atto – In un piccolo villaggio della Renania, Giselle, giovane contadina, è felice, rallegrata dal calore del sole, dall’azzurro del cielo, dal canto degli uccelli, ma, soprattutto, dalla gioia di un amore puro. È sicura di amare Albert e di esserne riamata. Invano il guardiacaccia Hans, da sempre innamorato di lei, cerca di convincerla che Albert non è un semplice contadino, ma un giovane aristocratico che la inganna. Penetrato di nascosto nella casa che Albert affitta nel villaggio, Hans trova una spada d’argento con tanto di blasone, prova che Albert è effettivamente un nobile sotto mentite spoglie.
Al termine della caccia, alcuni nobili signori si fermano con il loro seguito al villaggio, dove vengono accolti con gioia e ospitalità dalla gente del luogo. Una giovane aristocratica, Batilde, fa dono a Giselle di una collana. Giselle è all’apice della felicità. Al contrario, Albert è confuso e preoccupato: Batilde, figlia del duca di Curlandia è infatti la sua promessa sposa.
È il momento che Hans attendeva da tempo: recuperata la spada nascosta, la mostra a Giselle e agli altri presenti, rivelando la vera identità di Albert e il suo perfido inganno.
Il mondo, i suoi sogni, il suo amore, tutto sembra crollare addosso a Giselle, che impazzisce e muore.

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Secondo atto – Durante la notte, tra le tombe del cimitero del villaggio appaiono le Willis, fantasmi di ragazze morte per amore prima del matrimonio.
Vestite da spose e coronate di fiori … meravigliosamente belle, le Willis danzano alla luce della luna sempre più appassionatamente a mano a mano che sentono scivolare via l’unica ora che è loro concessa per danzare, poiché dopo dovranno nuovamente ridiscendere nelle loro tombe fredde come il ghiaccio. (H. Heine).

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Torturato dal rimorso, Hans si reca sulla tomba di Giselle, ma viene circondato dalle Willis che, su ordine di Mirta, loro implacabile regina, lo costringono a danzare fino alla morte. Anche Albert non riesce a darsi pace per la morte di Giselle e si inginocchia in raccoglimento presso la sua tomba. Le Willis lo circondano immediatamente e la terribile sorte del guardiacaccia minaccia di colpirlo ugualmente. Ma l’ombra di Giselle lo protegge dalla collera delle Willis, il suo amore puro e pieno d’abnegazione lo salverà.
Al primo chiarore dell’alba i fantasmi delle Willis si dissolvono e con loro scompare anche l’ombra leggera di Giselle. Resterà per sempre, tuttavia, il suo ricordo nella memoria di Albert, ormai condannato a vivere con il sogno e il rimpianto di un amore perduto, di un amore più forte della stessa morte.

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LA BAYADERE

La Bayadere è un balletto in 4 atti e 7 scene con apoteosi. Storia d’amore, gelosia e morte, è il più esotico e il più tragico fra i balletti di Marius Petipa, a cui si deve la coreografia. La musica è di Ludwig Minkus ed il libretto è di Serghei Khudekov. Le scene ed i costumi sono di I. Andreev, M. Bocharov, P. Lambin, A. Roller, M. Shishkov, H. Wagner. La storia è ben nota e ricalca gli stilemi ottocenteschi del balletto romantico, trasposti per l’occasione in un’India leggendaria, opulenta, sanguinaria, in una parola l’India salgariana, vista con gli occhi dei colonialisti romantici dell’Ottocento.

Trama
Il balletto, ispirato a Sakuntala di Kalidara, tratta temi particolarmente cari alle platee ottocentesche, nel periodo delle grandi esplorazioni geografiche: esotismo, promesse amorose tradite, sentimentalismo, romanticismo, gusto per il soprannaturale.

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I atto: Il guerriero Solor è innamorato della Baiadera Nikiya. Prima di partire con i suoi guerrieri per la caccia alla tigre, Solor incarica il fachiro Mahedawee di comunicare a Nikiya che l’attenderà al tempio. Solor, soddisfatto per la buona caccia, manda in dono al Rajah una tigre da lui cacciata. Dal tempio escono solennemente il Grande Brahmino e gli altri sacerdoti per celebrare il rito di adorazione del fuoco. I fachiri e le baiadere, tra cui la bella Nikiya, eseguono le danze sacre. Dimentico del suo ruolo e del voto di castità, il Grande Brahmino dichiara a Nikiya il proprio amore, giurando di deporre ai suoi piedi tutte le ricchezze dell’India, ma ottiene il fermo rifiuto della ragazza. Per vendicarsi, il Bramino manda il fachiro Magdaveya ad avvisare Nikiya che Solor la sta aspettando al tempio. Mentre con le altre baiadere serve ai fachiri l’acqua consacrata, il fachiro Mahedawee trasmette segretamente a Nikiya il messaggio di Solor.
Quando è scesa la notte, Solor attende al tempio di essere visto da Nikiya, la quale esce dal tempio con un servo e incontra Solor, che vorrebbe fuggire insieme a lei. Ella acconsente, ma prima costringe Solor ad un giuramento d’amore eterno davanti al fuoco sacro. Nonostante la sorveglianza del fedele fachiro, che veglia sul loro incontro, il Grande Brahmino riesce di nascosto ad ascoltare la loro conversazione, il giuramento di fedeltà eterna di Solor, la proposta di fuggire insieme. La sua vendetta sarà tremenda.

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Il mattino seguente il Rajah, impressionato dal dono di Solor, offre a quest’ultimo la mano di sua figlia. Solor non vuole offendere il Rayah ed è incapace di reagire, anche se il ricordo di Nikiya e del giuramento fattole lo tormenta. Quindi il Rayah annuncia alla figlia Gamzatti che potrà finalmente vedere l’uomo da lui sceltole come promesso sposo, il coraggioso Solor. Il Rajah presenta i due giovani e li dichiara ufficialmente fidanzati. Solor è molto colpito dalla bellezza di Gamzatti. Prima della festa di nozze, cui dovrà partecipare anche Nikiya, come danzatrice del tempio, il Grande Brahmino si reca dal Rajah, chiedendogli udienza riservata per rivelargli un segreto. Sospettando che quanto sta avvenendo sia legato al suo fidanzamento, Gamzatti si nasconde per origliare la conversazione dei due, apprendendo così dell’amore di Nikiya e Solor. Intanto, Gamzatti convoca Nikiya per comunicarle che dovrà danzare alla sua festa di nozze e le mostra il ritratto del fidanzato. Alla vista di Solor, Nikiya, dapprima incredula, si rifiuta di danzare, grida che Solor ama solo lei, rifiuta sdegnosamente i regali che Gamzatti le propone perché rinneghi il proprio amore, affema che preferisce morire piuttosto che rinunciare a Solor e, in un impeto di disperazione, cerca di pugnalare la figlia del Rajah, ma viene fermata da un servo. Una schiava, Aya, propone a Gamzatti di vendicarsi uccidendo Nikiya. Anche se adirato nei confronti di Solor, il Rajah non cambia la sua decisione: Solor e Gamzatti si sposeranno e la baiadera dovrà morire. A nulla valgono preghiere e minacce del Brahmino, che non si aspettava una simile decisione. Il Rayah è irremovibile.

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II atto: Nel giardino del palazzo del Rajah si sta celebrando la festa nuziale. Alle danze delle baiadere per il festeggiamento prendono parte, per ordine del Rayah, la stessa Nikiya e Aya, la confidente di Gamzatti. Nikiya deve intrattenere gli ospiti danzando, ma non riesce a nascondere il dolore e la delusione. La sua è una danza di dolore, punteggiata da un continuo dialogo di sguardi con l’amato. Quando un fachiro, su richiesta di Aya, le consegna un cesto di fiori a nome di Solor, la danza della baiadera si colma di incontenibile gioia, ma, all’improvviso, viene morsa da un serpente velenoso, nascosto tra i fiori. Morendo, Nikiya intuisce l’inganno e comprende che ad ucciderla è la vendicativa Gamzatti. Il fachiro uccide il serpente, mentre il Brahmino le propone di salvarla, offrendole un antidoto, a patto che lei accetti di sposarlo ma Nikiya risponde col rifiuto e danza fino alla morte, fedele al suo amato Solor, che si allontana con la promessa sposa. Mentre Nikiya muore, Solor si dispera e fugge dalla cerimonia.


III atto: Inconsolabile e tormentato dal rimorso, Solor prega il fachiro Mahedawee di distrarlo dai suoi tetri pensieri. Questi gli offre un particolare veleno. Sotto l’effetto dei fumi del narghilé e della danza magica del fachiro, Solor sprofonda nel mondo dei sogni, per ritrovarsi nel regno delle ombre. Davanti a lui, dalle tenebre emergono le ombre, come una lunga catena scendono dai pendii dei monti. Tra le ombre Solor vede Nikiya, alla quale giura nuovamente fedeltà eterna.

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IV atto: Risvegliatosi, Solor si precipita al tempio per chiedere perdono agli dei, ma è troppo tardi. Il matrimonio con Gamzatti è stato preparato e non c’è più modo di impedirlo. Entra dunque nel tempio per celebrare le nozze, ma durante la cerimonia il fantasma di Nikiya continua ad apparirgli, rammentandogli il suo sacro giuramento. Durante le nozze tra Solor e Gamzatti, quando Solor sta per dare il consenso nuziale a Gamzatti, rompendo così la promessa sacra fatta a Nikiya, la furia degli dei lo punisce per l’amore tradito. Tra tuoni e lampi, gli dei fanno crollare le pareti del tempio, seppellendo e uccidendo tutti sotto le macerie. Per Solor il mondo reale cessa di esistere e l’ombra della splendida Nikiya lo trascina con sé. Le anime di Solor e Nikiya sono così riunite per l’eternità in un mondo migliore. Negli allestimenti successivi l’ultimo atto è stato omesso, anche se nel repertorio del Kirov figura la versione integrale.

La distruzione del Tempio
Tutta la storia ruota attorno alla sacralità del giuramento: il povero Solor sbaglia clamorosamente a sottovalutare un giuramento compiuto di fronte agli dei. E’ a causa della sacralità del giuramento d’amore che gli dei distruggono il tempio dove si sta per celebrare il matrimonio illecito fra Solor e Gamzatti. Tanto è sacro il giuramento per Nikiya (all’inizio della storia, quando il Bramino le fa la sua offerta d’amore rinunciando alla sua carica, ella inorridisce proprio perché egli sta rompendo un giuramento sacro) tanto Solor non riesce a coglierne l’importanza, trascinando la sua amata, a causa della sua incapacità di agire, in una spirale tragica di gelosia e di morte. Ma Nikiya non è un fantasma benevolo, come Giselle; la sua storia è intessuta di dolore fin dall’inizio (unico breve spiraglio, il pas de deux d’amore del prologo) e lei è un personaggio totalmente solo, forse il più solo del balletto classico. Le Ombre delle baiadere non sono fantasmi vendicativi come le Villi: appaiono senza sentimenti, semplicemente congelate nella loro dimensione parallela, tra l’aldilà e il mondo dei vivi.

L’arabesque ripetuto ossessivamente dalle trentadue ballerine nella celeberrima discesa in palcoscenico, straordinaria invenzione scenica di Petipa, è il segno delle anime intrappolate che non riescono a liberarsi. Gli arabesques penchée delle Ombre rendono il concetto di un qualcosa di congelato in una ripetizione: sono anime rimaste imprigionate in un luogo né al di là né al di qua. Sono fantasmi ancora legati al mondo terreno e alla loro sofferenza che ripetono ossessivamente (l’arabesque penché dà il senso del dolore e dell’oppressione, la ripetizione allude a un gesto ossessivo e vuoto). Non a caso in tutti i racconti di fantasmi c’è sempre un rituale o un gesto ripetitivo, legato alla sofferenza vissuta sulla terra (una morte violenta, un assassinio).

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Nel caso delle Ombre, come in quello delle Villi, si tratta della sofferenza d’amore che, come sappiamo, può essere devastante. In Nikiya si somma alla morte violenta e improvvisa, che causa uno shock all’anima che non si rende conto del trapasso e rimane legata alla terra, visitando i luoghi dov’era vissuta, come istupidita dal dolore. Il pas de deux di Nikiya e Solor non è un vero e proprio incontro come quello di Giselle e Albrecht; si svolge in un’atmosfera onirica e i due protagonisti paiono non rendersi nemmeno conto di essersi incontrati (lui è nei fumi dell’oppio e ha la coscienza oscurata); rivivono il pas de deux del primo atto ma in un’atmosfera completamente diversa, come due automi. Ciò è evidenziato dalla coreografia: il jeté di Nikiya e la sua diagonale di pirouettes velocissime, quasi meccaniche, che chiude l’atto.


Storia
La Bayadère fu creazione originale di Marius Petipa. La musica fu composta dal compositore austriaco Leon Minkus. Il più grande coreografo ottocentesco, Marius Petipa, autore sia del soggetto che della coreografia originale, mise in scena paesaggi esotici, promesse d’amore tradite, sentimentalismo e tragedia, assieme ad evocazioni soprannaturali. La Bayadère è un tipico prodotto del periodo in cui venne scritta e montata: una storia melodrammatica, frammentata da vari episodi, che si svolge in una terra antica ed esotica, perfetto veicolo di danze e scene di mimo in atmosfere sontuose e ricche. In quegli anni, Petipa preferiva i soggetti della tradizione del balletto romantico, tipici balletti melodrammatici che coinvolgevano un triangolo amoroso e presentavano donne soprannaturali che racchiudevano l’ideale femmineo. La trama piuttosto tragica de La Bayadère è sicuramente conforme a questi modelli.

Le origini de La Bayadère sono piuttosto oscure e il dibattito è aperto su chi sia responsabile della creazione del libretto del balletto. Di solito nella San Pietroburgo zarista, prima del debutto, si pubblicava sul una lista di danze e un articolo che descrivesse la genesi del lavoro. Nel caso de La Bayadère non si citò nessun autore del libretto. Quando Petipa allestì di nuovo il balletto nel 1900, la Gazzetta di San Pietroburgo pubblicò il libretto, questa volta facendo il nome di Sergei Khudekov, scrittore e drammaturgo, come autore. Petipa scrisse una lettera di rettifica all’editore del giornale, nella quale affermava che solo lui era l’autore del libretto, così come della coreografia, mentre Khudekov aveva contribuito in minima parte come direttore di scena.
Lev Ivanov nel ruolo di Solor
Maria Taglioni in Le Dieu et la Bayadère (1830)

Il balletto trae ispirazione, indubbiamente, da “Sakountala“, balletto su musica di E. Reier, libretto di Théophile Gauthier e coreografia di Lucien Petipa, fratello di Marius. Nel 1839, una compagnia itinerante di autentiche bayadere indiane visitò Parigi e lo scrittore Theophile Gautier rimase affascinato dalla ballerina principale della compagnia, la misteriosa Amani. Anni dopo, nel 1855, Gautier apprese che la ballerina si era impiccata a Londra durante una crisi depressiva e, in sua memoria, scrisse il libretto di Sakountala, derivato in parte da un lavoro teatrale del poeta indiano Kalidasa. Il lavoro debuttò all’Opera di Parigi il 14 luglio 1858, ma fu presto dimenticato.

Un altro lavoro con temi simili di un’India esotica che potrebbe aver ispirato Petipa fu l’opera-balletto in due atti di Filippo Taglioni dal titolo Le Dieu et la Bayadére ou La courtisane amoureuse, presentato a Parigi il 13 ottobre 1830 dalla compagnia dell’Académie Royale de Musique. Tra il pubblico ad assistere a questo balletto c’era anche il giovane Marius Petipa. Fu un successo enorme al quale parteciparono talenti quali il famoso tenore Adolphe Nourrit e la leggendaria ballerina Maria Taglioni nel ruolo della Bayadère (l’unica parte di questo balletto che ancora si balla oggi è il Pas de Deux, noto come Grand Pas Classique).

La prima rappresentazione del balletto La Bayadére avvenne a San Pietroburgo, in Russia, presso il Teatro Imperiale Bolshoi Kamenny, il 23 gennaio per il calendario giuliano (5 febbraio per il calendario gregoriano) del 1877. In quell’occasione, la ballerina Ekaterina Vazem danzò nella parte di Nikya, Pavel Gerdt in quella di Solor, Lev Ivanov impersonava il Rajah, Maria Gorshenkova interpretava Aiya, Maria M. Petipa era Gamzatti.
Ekaterina Vazem nel ruolo di Nikiya
Pavel Gerdt nel ruolo di Solor

La Bayadère fu creata espressamente per Ekaterina Vazem, prima ballerina del Teatro Imperiale di San Pietroburgo. Il balletto in Russia, in quel periodo, era dominato da artisti stranieri ma si cercava di incoraggiare comunque i talenti autoctoni e la Vazem, era uno di questi talenti. L’etoile russa doveva scalzare dal palcoscenico le tante colleghe straniere che nel frattempo riempivano i cartelloni e le stagioni di balletto.

Il creatore del ruolo di Solor fu Lev Ivanov, primo ballerino del Teatro Imperiale, che diventerà assistente “maître de ballet” di Marius Petipa, assistente del Balletto Imperiale e Coreografo.

Petipa lavorò duramente per sei mesi. Il direttore dei Teatri Imperiali, il barone Karl Karlovich Kister, non aveva alcuna simpatia per il balletto e appena possibile diminuiva il budget. A quel tempo nella San Pietroburgo zarista, l’Opera italiana era molto più in voga del balletto e la compagnia lirica monopolizzava lo spazio per le prove. La compagnia di balletto aveva solo due giorni alla settimana per le rappresentazioni mentre l’Opera andava in scena anche per sei o sette giorni. Petipa riuscì ad avere solo una prova generale in cui mettere insieme tutte le scene e le danze fino ad allora provate separatamente. Durante questa prova, Petipa ebbe un contrasto con la Vazem riguardo il Pas d’Action finale, e molti problemi con gli scenografi, che avevano costruito effetti teatrali complicati. Per peggiorare la situazione, il maestro temeva di debuttare in un teatro vuoto poiché il barone Kister aveva aumentato il prezzo del biglietto in modo che fosse più caro di quello dell’Opera, già a sua volta piuttosto dispendioso.

Rudolph Nureyev e Margot Fonteyn
Invece, il successo di questa produzione fu enorme tanto da essere rappresentato per settanta volte fino al ritiro dalle scene della Vazem nel gennaio del 1884, cosa sorprendente se si pensa che a quel tempo vi erano due soli spettacoli di balletto alla settimana. Dopo questo enorme successo però il balletto venne messo da parte e ripreso da Petipa solo una volta per la ballerina Anna Johnasson nel dicembre dello stesso anno.

Quando Anna Johansson si ritirò, nel 1886, scelse la Celebrazione del fidanzamento del secondo atto come passo d’addio. Questa fu l’ultima volta in cui La Bayadère fu rappresentata prima di venir ritirata dal repertorio dei balletti imperiali.

Petipa rimontò un revival completo del balletto nel 1900 per i primi ballerini del Balletto Imperiale Mathilde Kschessinskaya, nel ruolo di Nikiya, Olga Preobrajenskaya nel ruolo di Gamzatti e Pavel Gerdt nel ruolo di Solor.

Revival de La Bayadére del 1900
Un altro importante cambiamento fu l’interpolazione, per i ballerini solisti, di nuove variazioni nel Grand Pas d’action finale. Come si usava fare ai quei tempi, Minkus non compose le variazioni per il finale del balletto perché venivano sempre eseguite ad libitum, vale a dire a scelta del danzatore. Nella partitura originale, Minkus, dopo il Grand adage del Grand Pas d’action scrisse semplicemente a margine: “seguito dalle variazioni di Solor e Gamzatti”. In genere queste variazioni erano prese da altri balletti già esistenti. Il cinquantaseienne Pavel Gerdt non poteva danzare la variazione di Solor, che venne invece danzata da Nikolai Legat. Per il Grand pas d’action egli scelse la Variation di Djalma, aggiunta da Minkus nel 1874 in occasione del revival del balletto Le Papillon. Nel 1941, Vakhtang Chabukiani coreografò questa variazione per sé stesso, ed è quella che ancora oggi si usa per il ruolo di Solor.

Molte delle maggiori ballerine del tempo, come Olga Preobrajenskaya, Vera Trefilova, Anna Pavlova, Ekaterina Geltzer, Lubov Egorova, Olga Spessivtseva, trionfarono nel ruolo di Nikiya.
Anna Pavlova nel ruolo di Nikia
Il regno delle Ombre
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Semyon Kaplan e Natalia Dudinskaya in La Bayadere

Insuperabile capolavoro coreografico rimane il quadro detto “delle Ombre”, ambientato in un onirico regno dei morti, sublime esempio di Atto Bianco, dalle rigorose geometrie e dalle complesse figurazioni che si succedono, eteree, in un’atmosfera ricca di suggestioni, sapientemente creata dal sinfonismo della musica di Minkus. La redazione qui utilizzata è quella di F. Lopukhov. Il regno delle ombre diventò uno dei test cruciali per un corpo di ballo e molte giovani ballerine soliste fecero il loro debutto danzando una delle tre variazioni delle ombre. Nel marzo del 1903 questo pezzo fu rappresentato singolarmente per la prima volta durante una serata di gala al Peterhof in onore della visita di stato del Kaiser Guglielmo II e ben presto divenne tradizione estrapolare la Scena delle ombre dal resto del balletto.



Tra i cambiamenti più importanti attuati da Petipa, ci fu l’uso degli allievi nella scena del Regno delle Ombre. Petipa cambiò l’ambientazione da un castello incantato nel cielo di un palco completamente illuminato ad un paesaggio roccioso e cupo sulle vette dell’Himalaya. I danzatori del corpo di ballo passarono da trentadue a quarantotto, dando l’illusione di spiriti che discendono dal cielo nella famosissima Entrata delle Ombre.

ABT – La Bayadére nella versione di Natalia Makarova. Natalia Makarova (Nikiya), Cynthia Harvey (Gamzatti), Antony Dowell (Solor)

La Bayadère è stata allestita e rivisitata molte volte nella sua lunga storia: oltre allo stesso Petipa, che la rivide nel 1900, vanno ricordati Alexander Gorsky e Vasily Tikhomirov, Agrippina Vaganova, Vakhtang Chabukiani e Vladimir Ponomarev, Rudolf Nureyev, Natalia Makarova e Sergei Vikharev.

La versione integrale de “La Bayadere”, comprensiva del quarto atto del cosiddetto crollo del tempio, è un allestimento in appannaggio del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Del resto proprio da quel palcoscenico si è partiti per la prima tournée in Occidente nel lontano 1961 con “La Bayadere” poi ripresa da Rudolf Nureyev per il londinese Royal Ballet nel 1963, e da Natalia Makarova per l’American Ballet Theatre nel 1974.
Attualmente La Bayadère gode della rappresentazione in due differenti versioni: quelle derivate dalla messa in scena per il balletto del Kirov, da parte di Vakhtang Chabukiani e Vladimir Ponomarev nel 1941; quelle derivate dalla produzione del 1980 di Natalia Makarova per l’American Ballet Theatre.


Natalia Makarova e Mikhail Baryshnikov in “La Bayadère” (ABT) 1970

La versione di Natalia Makarova, epurando il balletto dei pesanti e ormai desueti accessori coreografici (le numerose danze che accompagnavano il divertissement) rende l’azione scenica essenziale, concentrandola sulla dinamica dei sentimenti in gioco, facendo emergere la figura di Gamzatti come quella di un’antieroina romantica, perfetto specchio in negativo di Nikiya ma ugualmente sola, continuamente in lotta per un amore che non le spetterà, mentre Solor è il perfetto paradigma maschile del giovane bello ma pericoloso, che causa tragedie con la sua leggerezza, parallelo esotico dell’Albrecht di Giselle.
 
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COPPELIA


Il balletto si svolge in un piccolo villaggio della Galizia, regione boscosa nei Carpazi dell'Europa centrale.

Atto I: La piazza del villaggio
Piazza del villaggio, con due case ai lati. Una è quella del Dottor Coppélius (Spalanzani nel racconto di Hoffmann), uno strano personaggio, fabbricante di giocattoli un po' mago, e l'altra è di Swanilda, un'adolescente che vive lì con i suoi genitori, fidanzata di Franz.

Swanilda, uscendo, vede qualcosa di strano. Al balcone della casa del Dottor Coppélius vi è una bellissima ragazza seduta a leggere un libro. Potrebbe essere la misteriosa figlia di Coppélius che nessuno in villaggio ha mai visto. Swanilda cerca inutilmente di attirare la sua attenzione ma vedendo arrivare Franz si nasconde per fargli una sorpresa. Appena Franz entra nella piazza, la sua attenzione è catturata da Coppélia: Franz si dimostra galante e le lancia un bacio. Swanilda esce dal suo nascondiglio e si agita contro Franz in preda alla gelosia.
Adeline Genée in Coppélia (Londra, 1900)

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Intanto la piazza del villaggio si riempie, il borgomastro deve fare un importante annuncio: il duca del castello vicino ha donato una nuova campana per la chiesa e il giorno seguente si organizzerà una festa in suo onore. A chi si sposerà il giorno seguente il duca donerà una borsa piena d'oro. Swanilda danza con le amiche e poi raccoglie una spiga: una vecchia leggenda dice che se una ragazza sente il grano risuonare nello stelo della spiga, significa che l'amore del suo spasimante è vero. Swanilda non sente però nulla e si convince che Franz non la ami.

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Gli abitanti del villaggio ballano una brillante mazurca e i nobili un'elegante czardas.

La sera si avvicina e la piazza si svuota, Coppélius esce di casa e si allontana non accorgendosi di aver perso la chiave. Swanilda e le sue sei amiche arrivano poco dopo, vedono la chiave e decidono di entrare nella casa del Dottor Coppélius: Swanilda vuole assolutamente scoprire chi è Coppélia. Dopo poco Coppélius torna indietro, scopre che la porta è stata aperta e decide di tendere una trappola agli intrusi. Nel frattempo anche Franz, con una scala, si intrufola in casa entrando dal balcone.

Atto II: Un laboratorio
Laboratorio del Dottor Coppélius.

Tutto è buio e misterioso, in un angolo vi è una tenda dietro la quale Swanilda trova Coppélia, sempre seduta a leggere un libro. Toccandola, Swanilda scopre che la causa di tutte le sue gelosie è in realtà una bambola meccanica. Esultando di gioia, le amiche mettono in moto tutte le bambole meccaniche presenti nel laboratorio ma proprio in quel momento Coppélius irrompe nella stanza e scaccia le ragazze. Solo Swanilda non riesce a fuggire e si nasconde dietro la tenda prendendo il posto di Coppelia. A quel punto entra Franz dalla finestra e dichiara a Coppélius il suo amore per la figlia. Il mago prima lo caccia, ma poi cambia idea e lo invita a bere del buon vino che in realtà è narcotizzato.

Franz cade addormentato e Coppélius gli porta vicino la sua bambola (in realtà ora è Swanilda) sperando di riuscire, attraverso le arti magiche, a trasferire la vita da Franz a Coppelia. Swanilda sta al gioco e incanta il mago con una danza spagnola e una danza scozzese. Alla fine Swanilda sveglia Franz, lo mette al corrente dell'inganno e scappano dal laboratorio mentre Coppélius abbraccia sconsolato il suo manichino.

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Scena II
Nella piazza del villaggio si svolgono i festeggiamenti per la consegna della campana. Alcune coppie si sposano, tra queste anche Franz e Swanilda. Seguono i festeggiamenti con varie danze (Danza delle Ore, Preghiera, Alba, Gavotta).

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La fiaba “briosa” di Petit
Una fiaba ancora una volta. Pare che il balletto sia la forma di teatro che più sa mettere in scena il fiabesco, sarà per quel gesto naturalmente innaturale attraverso cui si esprime, che trova meglio il suo pretesto nei personaggi surreali e sereni che sono gli eroi di fiaba.
Insieme a loro campeggiano i magici aiutanti, più spesso fate e altre creature leggendarie che per muoversi sospirano e sembrano riaffermare ad ogni passo lo stesso monito che il maestro di ballo ripete ogni giorno ai suoi allievi inchiodati alla sbarra: “La forza di gravità non esiste!”.
Ma anche gli anti – eroi trovano ragione di danzare ed ecco che streghe e maghi neri invadono la scena. Ce n'è uno in particolare che non calza il cappello a punta né è facile ascrivere fra i cattivi, sebbene costituisca l'ostacolo che i protagonisti dovranno superare per ripristinare l'ordine perduto e anzi conquistare una nuova superiore armonia.

Il Coppelius di Roland Petit, nel celebre balletto intitolato alla bambola che porta il suo stesso nome, è un fascinoso dandy fin de siècle, geniale giocattolaio e scadente fattucchiero, attempato scapolone più buffo che aggressivo, più malinconico che perfido. È follemente innamorato della svagata Swanilda (guarda un po' il gioco di parole…), ovviamente bella giovane e leggera, che a sua volta rincorre il suo Franz. Un vero è proprio triangolo amoroso se non fosse che fin da subito emerge il quarto incomodo: una figura femminile ambigua e misteriosa che ammicca dall'alto di un balcone irretendo l'ingenuo Franz.
Un quadrilatero dunque? Niente affatto, in realtà quella donna è per l'appunto Coppelia, solo un automa, bambola semovente creata dal mago con le stesse fattezze di Swanilda.
Franz, dunque, non sa ancora di essere sedotto dall'avvenenza di una fanciulla che in realtà non esiste o, se mai, è l'imitazione di una in carne e ossa che, volendo, ha già tra le sue braccia…
E il mago è piuttosto un solitario, confuso e decadente, che si costruisce in casa quel sogno che nella realtà non può realizzare. E per renderlo ancora più credibile, vuole insufflare la vita al suo simulacro artigianale, come un novello Pigmalione, ricorrendo stavolta ad un incantesimo che rubi proprio l'anima di Franz.


Qui il gioco degli intrecci trova il suo fulcro attorno al quale gira la carambola dei personaggi così come anche il momento di danza più famoso di tutto il balletto: la magia non riesce e Swanilda veste i panni di Coppelia per liberare l'amato dagli artigli del mago, fingendo che la bambola abbia preso vita tra il commosso stupore di chi l'ha creata.

La fiaba diventa brillante commedia degli equivoci che offre il destro a virtuosismi interpretativi che si sommano a quelli tecnici, il connubio dei quali è il vero valore di questa coreografia. I primi sono necessari per disegnare a tutto tondo tre protagonisti che più che tipi umani in Roland Petit diventano macchiette leggere, profili squisiti in patinatura francese. Con un doppio fondo di personalità, quasi il bicolore del bene e del male, briosa e languida al tempo stesso.
Così che Swanilda deve essere dolce, ironica, civetta, caparbia, astuta e innocente e vestire bene i panni della rigida bambola e di una giovinetta spensierata e incosciente anche dei dolori altrui. Alla fine del balletto, infatti, il mago distrutto e sconsolato sulla scena non fa compassione a nessuno se non al pubblico che fino a quel punto di lui aveva riso e sorriso. Così che i due amanti alla fine riveleranno una punta di crudele indifferenza.
E in danza tutta questa architettura di sentimenti, leggera certo visto il genere ma comunque complessa, diventa sicuro entusiasmo di un repertorio tecnico petipatiano, vale a dire del più tradizionale accademismo, che sfoggia fin da subito giri e salti cristallini e passi a due complessi. È un vocabolario che Roland Petit conosce bene ma che ha il dono geniale di rendere incredibilmente moderno, quasi una lingua nuova, attraverso una sintassi tutta sua che non smette di vivificare anche con l'apporto di neologismi.
Questi sono ammiccamenti maliziosi, che non mancano mai nelle sue creazioni, o mimica da commedia dell'arte, apporti particolarmente destabilizzanti all'interno di un sostanziale classicismo. E le variazioni sono fin da subito sofisticate, ricche di passaggi elaborati e veloci il cui pretesto è solo la bellezza delle musiche, tra le più danzabili della storia del balletto. Si tratta della partitura di Leo Delibes, l'unico vero competitore di Cjaikovskj, che crea un insieme ricco e brillante in cui non è possibile riconoscere un solo tema dominante, ma tanti e tutti di grande pregio, sebbene inseguano il brio brillante dell'operetta. Una creatività feconda senza mai smettere di essere raffinata e che fa muovere ritmicamente i piedi sotto le poltrone. Ma è l'esecuzione di Alessandra Amato il vero spettacolo della sera del 3 ottobre, che ci rammenta come il ruolo di Swanilda nella versione di Petit sia un banco di prova tecnica impegnativo per i tanti e bei momenti di danza pura che la vedono impegnata. Ed è qui che l'interprete dispiega tutta la sua pulizia tecnica in piroettes senza sbavature, in linee lunghe e ben tenute, in aplombes musicali tutto senza intaccare la levità del gesto sempre porto facilement. I suoi partner, Manuel Paruccini (Coppelius) e Dinu Tamazlacaru (Franz), sono credibili e ben assortiti, ma non splendono quanto lei per nitore dell'esecuzione.

Lo stesso Coppelius, sebbene sufficientemente adeguato, non può reggere il confronto con il carisma e la presenza scenica di Luigi Bonino, l'erede artistico di Petit di cui rimonta i balletti in giro per il mondo, nonché dello stesso coreografo francese che ci ha ormai consegnato del personaggio interpretazioni magistrali e imprescindibili.
Infine, segnaliamo il corpo di ballo di soldati e dame che in insiemi allegri e spiritosi ha retto bene nel ruolo “corale” di cassa armonica di un incredibile inno alla giovinezza e all'amore.


Coppelia è uno dei balletti che più ha colpito la fantasia dei coreografi. Ne sono state realizzate infatti numerosissime versioni tra le quali quelle di Karl Telle (Vienna 1876), Paolo Taglioni (Berlino, 1881) e Marius Petipa (Pietroburgo 1884).

La trama è ispirata al racconto di Hoffmann "L’uomo di sabbia" e tratta la storia d’amore tra Swanilda e Franz e quella di un misterioso costruttore di giocattoli, Coppelius, che costruisce una bambola particolare poiché possiede un’anima, Coppelia.
Swanilda scopre che il suo fidanzato, Franz, si è innamorato della bambola facendola, così, ingelosire; decide di conoscere la sua rivale da vicino, entra di nascosto con le sue amiche nel misterioso palazzo di Coppelius.

Il secondo atto si svolge nel laboratorio di Coppelius: Swanilda scopre con gioia che Coppelia è una bambola meccanica.
Intanto Coppelius ritorna, vede la porta aperta, e si precipita dentro: tutti scappano tranne Swanilda, nello stesso momento, Coppelius trova Franz che entra di soppiatto dalla finestra.
Franz confessa l’amore per la figlia e vorrebbe sposarla: Coppelius finge di ascoltarlo con interesse, ma gli offre alcune pozioni da bere che lo addormentano, quindi affianca Coppelia al giovane per rubargli la linfa vitale, attraverso le arti magiche. Costei, però, è Swanilda, che dopo aver sentito la dichiarazione d’amore di Franz, ha cambiato posto con la bambola.
Per evitare di essere scoperta, Swanilda finge di essere prima una bambola e poi di diventare un essere umano: danza senza sosta creando caos nella stanza, mentre Franz, nel frattempo è rinvenuto.
Entrambi fuggono dal palazzo inseguiti da Coppelius: egli rientra e trova la bambola stesa su di una sedia, senza vestiti, e sconsolato abbraccia il suo inanimato manichino.

Nel terzo atto, Swanilda e Franz decidono di sposarsi, ma Coppelius furibondo arriva e accusa gli amanti di aver distrutto il lavoro di una vita. Borgomastro interviene donandogli un sacco di oro e lo manda via. Infine, la gente del paese festeggia il matrimonio dei due fanciulli.
 
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PAQUITA


Il balletto è ambientato in Spagna durante l’occupazione napoleonica e narra dell’amore della zingara Paquita per l’ufficiale francese Luciano. La differenza di rango sembrerebbe dividere i due innamorati, ma alla fine risulterà che la fanciulla è di nobili origini e i due potranno convolare a giuste nozze.

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Infiniti i rifacimenti, le modifiche, gli arrangiamenti. Vi interviene anche il coreografo Marius Petipa per la sua versione di Pietroburgo nel 1847; lo stesso coreografo, poi, nel 1881, chiese a Ludwig Minkus una nuova musica per un Pas de trois e un Grand pas (sono questi i due pezzi rimasti nel repertorio del Kirov-Marinsky). Balanchine creò due differenti versioni del Pas de trois per il Grand Ballet du Marquis de Cuevas nel 1948 e per il New York City Ballet nel 1951. Alexandra Danilova mise in scena una versione in un atto per il Ballet Russe de Monte-Carlo nel 1949. Nureyev allestì il Grand pas per un gala, nel 1964, al Drury Lane Theatre di Londra. La stessa versione fu riprodotta da Marika Besobrasova per la Scala di Milano (1970), per i ballerini dell’Opera di Stato di Vienna (Salisburgo, 1970) e per l’American Ballet Theater (1971). Tra le molte altre versioni ricordiamo quella di Casenave, per il London Festival Ballet (1967) e per lo Scottish Ballet (1975) e quella di Galina Samsova, per il Sadler’s Wells Royal Ballet nel 1980. L’atto secondo fu riprodotto da Natalia Makarova per la sua stessa compagnia a New York sempre nel 1980. Ricordiamo anche il divertissment di Zarko Prebil per il Gruppo dell’Accademia Nazionale di Danza. Mai rappresentato o mai più rappresentato in Italia, di Paquita si è visto qualche volta solo il divertissment staccato dal contesto del balletto d’azione. È questo il caso dello spettacolo andato in scena al Teatro Regio di Torino a partire dall’8 febbraio 1991 nell’elaborazione coreografica di Fernando Bujones (da Petipa), interpreti principali Eleonora Cassano e Julio Bocca, scene e costumi di Peter Farmer.

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ONEGIN

Balletto coreografato da John Cranko su musica di Pëtr Il'ič Čajkovskij (Tchaikovsky), tratto dal romanzo di Aleksandr Puškin "Eugenio Onegin".
Il balletto venne eseguito per la prima volta a Stoccarda nel 1965.

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Atto I
Scena 1: Il giardino di Madame Larina Nel giardino di casa, Madame Larina con le figlie Olga e Tatiana e la governante stanno finendo di cucire gli abiti per la festa di compleanno di Tatiana.
Mentre pensano al futuro, delle ragazze del posto eseguono danze folkloristiche secondo cui chi guarderà nello specchio vedrà il proprio vero amore.
Lensky, un giovane poeta fidanzato con Olga, arriva da San Pietroburgo con l'amico Eugene Onegin, annoiato dalla vita di città. Tatiana si innamora a prima vista dell'affascinante sconosciuto, che però la vede solo come una ragazzina ingenua e romantica.

Scena 2: La camera da letto di Tatiana Quella notte Tatiana sogna di Onegin e al risveglio gli scrive una lettera d'amore che chiede alla governante di consegnare.

Atto II Scena 1:
Il compleanno di Tatiana Mentre i locali si accalcano alla festa di Tatiana, Onegin fatica a non annoiarsi in mezzo ad una compagnia così provinciale e finisce con l'essere sgarbato. L'uomo è anche infastidito dalle lettere di Tatiana, considerandola solo un vezzo adolescenziale.
Straccia la lettera di fronte alla giovane, dicendole di non poterla amare.
Il principe Gremin, un lontano parente di Tatiana, arriva alla vesta e Madame Larina spera che l'aristocratico possa sposare la figlia, che però è troppo addolorata per notare Gremin. Onegin è talmente annoiato da cominciare a flirtare con Olga per infastidire Lensky, che però cede alla provocazione sfida l'amico a duello.

Scena 2: Il duello Tatiana ed Olga provano a convincere Lensky a non duellare con l'amico, ma il giovane non sente ragioni e viene ucciso in duello con Onegin.

Atto III
Scena 1: San Pietroburgo Anni dopo Onegin torna a San Pietroburgo dopo aver viaggiato per il mondo.
Il giovane va a un ballo a casa del principe Gremin, dove si meraviglia della trasformazione di Tatiana da forosetta ad elegante principessa.
Onegin si accorge quindi di aver perso tanta bellezza a causa del suo vecchio rifiuto e se ne addolora.

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Scena 2: La camera da letto di Tatiana Onegin scrive una lettera d'amore a Tatiana e le chiede di vederla, ma la principessa rifiuta. La giovane supplica il marito di non lasciarla sola quella sera.
Onegin viene a trovarla e le dichiara tutto il suo amore: Tatiana si rende conto che il ravvedimento dell'uomo è sincero ma, pur amandolo, tra loro non può esserci niente dato che è sposata con Gremin e Onegin ha ucciso Lensky.
Tatiana straccia la lettera di Onegin e gli ordina di andarsene per sempre.

Edited by .Luce. - 18/4/2023, 17:32
 
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IL CORSARO

Le Corsaire è un balletto in tre atti basato sul poema Il corsaro di Lord Byron (1814) e musicato da Adolphe Adam.

Personaggi

Conrad—Capitano della nave dei corsari
Ali—Schiavo di Conrad
Birbanto—Primo compagno e amico di Conrad
Lankendem—Mercante di schiavi
Medora—Giovane donna greca
Gulnare—Giovane donna greca e amica di Medora
Seid Pascià—Un nobile turco

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Il debutto avvenne il 23 gennaio 1856 all'Opéra di Parigi, Francia. Originariamente venne coreografato da Joseph Mazilier.
Il balletto ha subito molte revisioni in Russia, tra cui quelle di Jules Perrot (1858), Marius Petipa (1858, 1863, 1868, 1885, e 1899), Alexander Gorsky (1912), Agrippina Vaganova (1931), Pyotr Gusev (1955), Konstantin Sergeyev (1972, 1992) e Jurij Grigorovič (1994).

Durante il XIX secolo la partitura di Adam aveva già visto un considerevole aumento di musica addizionale e all'inizio del XX secolo si erano già aggiunti sei compositori diversi: Cesare Pugni, il granduca Pietro II di Oldenburg, Léo Delibes, Léon Minkus, il principe Nikita Trubetskoi e Riccardo Drigo.

Al giorno d'oggi Le Corsaire è rappresentato fondamentalmente in due versioni. In Russia e in Europa la versione di Pyotr Gusev del 1955, in America e in alcune parti dell'Europa occidentale la versione di Konstantin Sergeyev del 1973. Spesso però, a causa di una trama fumosa e poco coerente che ne rende difficoltoso l'allestimento, vengono presentati i suoi brani più famosi: Le Jardin Animé, il Pas d'Esclave, il Grand Pas de Trois des Odalisques ed il celeberrimo Pas de Deux.

Il primo adattamento al balletto del poema Lord Byron fu allestito da Ferdinand Albert Decombè su musica di Nicolas Bochsa per il Teatro Reale Drury Lane nel 1837, una produzione ripresa anche nel 1844 con un buon successo.
Originariamente il ruolo del Corsaro non era una parte ballata, ma fu affidata ad un famoso mimo italiano, Domenico Segarelli.

Un secondo adattamento, più famoso, fu quello presentato il 23 gennaio del 1856 dal balletto dell'Académie Royale de Musique (oggi balletto nazionale dell'Opéra di Parigi), frutto dell'idea dell'allora direttrice dell'Opèra, l'imperatrice Eugenia di Francia, moglie di Napoleone III. Per allestire questa produzione fu chiamato il coreografo e maestro di balletto dell'Opéra Joseph Mazilier, uno dei migliori coreografi del tempo, molto abile nell'allestire balletti narrativi (suo è anche Paquita del 1844). Come era prassi a quei tempi, si chiese ad uno scrittore di scrivere il libretto e la scelta di Maziler cadde su Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges, un famoso scrittore che aveva già affrontato la stesura della trama di Giselle in collaborazione con Théophile Gautier nel 1841 e in seguito affronterà La figlia del faraone per Petipa nel 1862.

Le Corsaire venne messo in scena soprattutto per dare risalto alla famosa ballerina italiana Carolina Rosati che allora era la "Prima ballerina" incontrastata dell'Opéra, celebrata per la sua bellezza, le punte forti, la batterie pulita, la precisione di esecuzione e il mimo ben fatto e comprensibile. La partitura fu commissionata, per l'incredibile somma di 6,000 franchi, oltre ai diritti d'autore, ad Adolphe Adam, il quale era, a quel tempo, il miglior compositore in Francia sia per l'Opera che per il balletto.


Il debutto de Le Corsaire fu un notevole successo e l'interpretazione dell'eroina Medora da parte della Rosati infiammò i cuori parigini. Gli effetti teatrali erano i migliori mai visti sul palco de l'Opéra, disegnati e fabbricati dal macchinista Victor Sacré. Nella scena del naufragio del terzo atto, Andrei Roller, maestro di effetti teatrali del Bol'šoj ha usò effetti elettro-galvanici per i fulmini e Gustave Doré immortalò la scena con i suoi disegni. L'imperatrice Eugénie, che tanta parte ebbe nella realizzazione dello spettacolo, ne restò così impressionata da esclamare: "In tutta la mia vita non ho mai visto, e probabilmente non vedrò mai più, nulla di più emozionante e bello."

La partitura di Adam fu molto elogiata per la melodia, l'orchestrazione e l'intensità drammatica. Sfortunatamente fu l'ultimo suo lavoro: morì di attacco cardiaco il 3 maggio 1856, quasi quattro mesi dopo il debutto del balletto. La mattina della sua morte, all'Opéra venne data una rappresentazione in commemorazione del compositore e gli incassi furono devoluti alla vedova.

Le Corsaire fu rappresentato 43 volte nel solo 1856 con la Rosati nella parte di Medora. La sua interpretazione fu considerata da tutti insuperabile e quando la ballerina se ne andò da Parigi nel 1859, il balletto venne tolto dal repertorio. Non molto tempo dopo anche Mazilier si ritirò dalle scene.

Le Corsaire in Russia
L'allestimento di Petipa e Perrot nel 1858

Le Corsaire fu allestito in Russia dal grande maître de ballet Jules Perrot per il Balletto Imperiale (oggi Mariinsky Ballet) per mettere in risalto le doti della ballerina Ekaterina Friedbürg. L'allora giovane Marius Petipa interpretava la parte di Conrad. Perrot sostanzialmente riprese la coreografia originale di Mazilier mentre Petipa, che contribuì all'allestimento del balletto, riscrisse alcune delle danze originali, tra queste il Pas de Éventails del primo atto (nel quale Medora e sei corifee creano un effetto "coda di pavone" con grandi ventagli) e la Scéne de Seduction.

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Il Pas d'esclave

Per la produzione del 1858, Petipa aggiunse un pas de deux, preso dal suo balletto del 1857 La Rosa, la Violetta e la Farfalla, un lavoro scritto sulla musica del granduca Pietro II di Oldenburg. Questo Pas fu aggiunto soprattutto per la ballerina Lyubov Radina, che danzò il ruolo di Gulnare e diventò famoso con il titolo di Pas d'Esclave, un Pas d'action drammatico in cui il mercante di schiavi Lankendem mostra agli altri mercanti la splendida schiava Gulnare per venderla.
L'allestimento di Petipa nel 1863
Jules Perrot se ne andò dalla Russia nel 1858 e Petipa diventò l'assistente del Maître de Ballet del Balletto Imperiale Arthur Saint-Léon. Alla morte di Saint-Léon, nel 1870, Petipa prese il suo posto come Maître de Ballet mantenendo la posizione fino al 1903.

Nel 1863 Petipa presentò una versione completamente nuova de Le Corsaire, allestita soprattutto per la moglie, la Prima Ballerina Maria Surovshchikova. Per questa produzione Petipa commissionò nuova musica al primo compositore del Balletto Imperiale Cesare Pugni. Tra le aggiunte di Pugni notiamo la Mazurka dei corsari del secondo atto, balletto che compare ancora nelle moderne produzioni.

Il Grand Pas de Trois des Odalisques
Per l'edizione del 1863, Petipa ampliò il Pas des Odalisques del secondo atto. Originariamente il Pas era solo un valzer di Adam ma Petipa decise di farlo diventare Pas de Trois nella forma classica composta da Entrée, 3 variazioni e una coda). Il valzer originale di Adam diventò l'Entrée, per le prime due variazioni e la coda si usò musica originale di Pugni, mentre la terza variazione, trasferita da un'altra scena, era di Adam, originalmente scritta per una variazione di Gulnare. Il Grand Pas è danzato ancora oggi.
Mentre danzava Le Corsaire a Parigi, Adèle Granztow fu invitata a San Pietroburgo. Per l'occasione Petipa montò un allestimento totalmente nuovo del balletto nella speranza di ottenere lo stesso successo di Parigi. La Grantzow garantì che avrebbe danzato il Grand Pas de Fleurs e aiutò Petipa nel montare la coreografia di Mazilier ma fu molto stupita quando vide i consistenti cambiamenti fatti da Petipa. Non solo, egli cambiò anche il nome del pezzo in Le Jardin Animé, ed è con questo nome che il balletto è arrivato fino a noi. Le Corsaire debuttò all'inizio del 1868 ed ebbe così tanto successo che altre rappresentazioni di altri balletti dovettero essere cancellate per soddisfare le richieste del pubblico.

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Nel 1885, Petipa presentò la terza revisione de Le Corsaire creata espressamente per la ballerina Eugeniia Sokolova. Il coreografo rifece tutto ancora una volta e aggiunse dei brani di Léon Minkus (Primo Compositore del Balletto Imperiale di San Pietroburgo) al pezzo de Le Jardin Animé in sostituzione di quelli di Delibes.

L'ultima revisione di Petipa, e invero la più importante, venne fatta nel 1899 espressamente per la Prima Ballerina Assoluta Pierina Legnani che danzò Medora con Olga Preobrajenskaya nella parte di Gulnare e Pavel Gerdt in quella di Conrad.

Le Corsaire nel ventesimo secolo
Nella prima metà del ventesimo secolo Le Corsaire continuò ad essere rappresentato quasi esclusivamente in Russia. Dopo la morte di Petipa, Alexander Gorsky montò una versione nuova che debuttò nel gennaio del 1912 con Ekaterina Geltzer nella parte di Medora e Vasily Tikhomirov in quella di Conrad aggiungendo, alla versione di Petipa, nuove danze di compositori come Vasily Soloviev-Sedoy, Reinhold Glière, Fryderyk Chopin e anche Ciaikovsky. Il revival de Le Corsaire di Petipa rimase in repertorio del Balletto Imperiale fino al 1928.

Agrippina Vaganova fece una revisione del balletto per il Kirov Ballet nel 1931.
Una versione completamente nuova fu invece quella del maître de ballet Pyotr Gusev nel 1955 per il balletto del teatro Maly di San Pietroburgo. Il libretto fu scritto dallo stesso Gusev e dallo storico della danza Yuri Slonimsky e vi fu introdotto un nuovo carattere, lo schiavo Alì, che danzava anche nel famoso Pas de Deux come il pretendente. Gusev effettuò anche una completa revisione della partitura del balletto, che nonostante contenesse molti brani di altri autori, ancora per la maggior parte era da attribuire ad Adolphe Adam. Gusev eliminò quasi completamente la musica originale per adottare quella del balletto di Adam del 1842 La Jolie Fille du Gand, aggiungendo pure molte musiche di Cesare Pugni.

Con questa musica interpolata, vennero aggiunti nuovi "leitmotiv" per i personaggi principali del balletto e nello stesso tempo Gusev creò una nuova versione del prologo del balletto (il famoso naufragio). Qui Gusev aggiunse un'entrata per Medora, un elaborato "pas" per Medora, Gulnare e altre 10 ballerine che in seguito trovano Conrad e i suoi compagni sulla riva del mare. Subito dopo le donne vengono rapite da Lankendem e i suoi compari e questo costringe Conrad ad andare a salvarle. Gusev aggiunse anche molte danze individuali dalla partitura di Riccardo Drigo per il balletto coreografato da Petipa nel 1889 dal titolo Il Talismano. Originariamente, Gusev voleva montare questa revisione per il balletto del Kirov ma la compagnia decise di tenere la versione del 1931 della Vaganova. La produzione di Gusev è ancora danzata dal balletto di Novosibirsk.

Nel 1962 Vakhtang Chabukiani creò una nuova versione della coreografia di Petipa, incrementando la parte danzata per i ballerini maschi. Cambiò il Pas de trois di Drigo in un passo a due. Questo passo a due è stato reso celebre dall'interpretazione di Margot Fonteyn (1919 - 1991) e Rudolf Nureyev (1938 - 1993) e presentato per la prima volta al Covent Garden a Londra.

Nel 1989 il balletto del Kirov decise di presentare n revival de Le Corsaire per l'imminente tour mondiale che si accingeva a fare. Ci fu un gran dibattito su quale versione tenere, se quella di Gusev o quella di Sergeyev ma alla fine si decise di tenere quella di Gusev pur con costumi e scenografie ancora più sontuosi. Questo allestimento fu un gran successo a New York alla Metropolitan il 3 luglio 1989, con la Ballerina Altynai Asylmuratova nella parte di Medora.

Sergeyev allestì un revival della sua versione del 1973 su invito di Jurij Grigorovič, il direttore della compagnia del Teatro Bol'šoj.
Questa versione debuttò l'11 marzo 1992 con grande successo e fu l'ultimo lavoro di Sergeyev: morì il 1º aprile di quell'anno. Grigorovich decise allora di ritirare l'allestimento di Sergeyev dal repertorio del Bol'šoj dopo sole sette rappresentazioni in modo che non ci fosse alcuna competizione con il suo allestimento andato in scena il 16 febbraio del 1994, una produzione che è ancora nel repertorio del balletto del Bol'šoj.

Trama
Versione del Kirov/Mariinsky (di Pyotr Gusev e Yuri Slonimsky)
Prologo: Il naufragio
Un gruppo di pirati, guidato da Conrad, da Birbanto e dallo schiavo Ali, viene sorpreso in mare da una tempesta e la nave ben presto affonda.

Atto I
Scena 1: La spiaggia Conrad e i suoi amici sono naufragati sulla spiaggia. Arrivano alcune giovani donne greche, guidate da Medora e Gulnare, scoprono i corsari naufragati e Medora e Conrad si innamorano a prima vista. Arriva una pattuglia di commercianti turchi, guidati dal mercante di schiavi Lankandem, a caccia di giovani donne da vendere come schiave. I turchi subito catturano le giovani donne e pagano Lankendem profumatamente. Si dirigono verso il mercato degli schiavi al bazar turco e i corsari giurano di salvare le fanciulle sfortunate.

Scena 2: Il mercato degli schiavi Il facoltoso Pascià Seid arriva al mercato per comprare alcune schiave per l'arem. Lankendem gli mostra tutte le belle fanciulle rapite in Palestina e Algeria ma il pascià non è interessato fino a quando vede Gulnare con cui Lankendem danza un Pas d'action (il Pas d'esclave). Il pascià la compra e vorrebbe comprare anche Medora, la più bella delle schiave, ma riesce a spuntarla un misterioso commerciante (in realtà Conrad mascherato) che fugge con lei, seguito dalle altre sue compagne. Nella confusione i corsari di Conrad catturano anche Lankendem.

Atto II
La caverna del corsaro Conrad e i corsari portano Medora e le sue compagne nella loro caverna piena di tesori. Medora e Conrad dichiarano il loro amore e Alì giura di diventare lo schiavo devoto della fanciulla. I tre danzano un Grand Pas Classique (noto come Grand Pas de Deux à Trois o Le Corsaire Pas de Deux). Le altre donne chiedono a Medora di intercedere per loro per farle liberare ma Birbanto e suoi amici si rifiutano e ne nasce una battaglia. Conrad riesce però a liberarle come aveva promesso. Lankedem, che aveva visto tutto, si mette in affari con Birbanto: in cambio della libertà, fornirà una pozione che, spruzzata su un fiore, farà dormire immediatamente chiunque lo annusi. Birbanto accetta. Conrad e Medora ritornano e Lankedem offre a lei un bouquet di fiori da dare a Conrad, il quale, appena annusatolo, si addormenta. I corsari catturano Medora e quando Conrad si sveglia giura, con il fedele Alì, di salvarla ancora.

Atto III
Scena 1: L'Harem del Pascià Seid Gulnare sta per essere festeggiata dal Pasha e si diverte. Lankendem arriva e presenta al Pasha tre bellissime donne. Esse danzano un Pas de Trois Classique (il cosiddetto Grand Pas de Trois des Odalisques). Presto Lankendem introduce il premio migliore, Medora. Anche se è molto triste per essere stata di nuovo catturata, si riprende un poco per il fatto di essere ancora con la sua amica Gulnare.

Scena 2: Il giardino animato Medora, Gulnare e tutte le donne dell'harem si uniscono per danzare un Grand Ballabile nel quale celebrano la bellezza, la grazia e l'armonia in un giardino pieno di fiori e fontane magiche.

Scena 3: Il salvataggio Il Pascià viene avvisato che sono arrivati dei pellegrini misteriosi. L'arrivo di questi pellegrini coincide con la preghiera della sera, condotta dal leader che in realtà è Conrad mascherato. La vera identità dei nuovi arrivati viene subito svelata e si vendicano del Pascià, dei suoi uomini e di Lankendem e salvano Medora e Gulnare.

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Epilogo
Medora, Conrad, Gulnare e Ali si imbarcano per nuove avventure, certi questa volta di trovare felicità senza fine.
Versione dell'American Ballet Theatre (derivata dalla versione di Sergeyev)
 
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LA FILLE MAL GARDEE

La Fille mal gardée, in italiano talvolta La fanciulla mal custodita, è il balletto più antico ancora in repertorio nelle compagnie di danza in tutto il mondo grazie all'attraente semplicità e all'ingenua familiarità dell'azione.


In tutta la sua lunga storia, il balletto è stato rimaneggiato molte volte. Otto cambi di titolo e non meno di cinque differenti partiture musicali, due delle quali adattamenti di vecchie musiche. Oggi ne esistono due versioni: quella russa (e in generale dell'Europa dell'est) coreografata da Marius Petipa e Lev Ivanov nel 1885 e rivisitata da Alexander Gorsky nel 1903 su musica di Peter Ludwig Hertel creata per l'allestimento di Paolo Taglioni fatto a Berlino nel 1864 e quella inglese coreografata nel 1960 da Sir Frederick Ashton su musica di Ferdinand Hérold adattata da John Lanchbery.

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La Fille mal gardée fu creata da Jean Dauberval, uno dei più grandi coreografi del suo tempo, allievo di Noverre e futuro insegnante di Charles Didelot. La leggenda vuole che Dauberval trovasse ispirazione un giorno a Bordeaux osservando le vetrine di un negozio di stampe. Lì vide un'incisione del dipinto di Pierre Antoine Baudouin dal titolo La Reprimande. Une jeune fille querellée par sa mère, nel quale una fanciulla in lacrime con i vestiti in disordine viene sgridata dalla madre in un granaio, mentre il suo spasimante, sullo sfondo, si arrampica su una scala per scappare nel solaio. Presumibilmente questo particolare dipinto divertì il Maître de Ballet al punto di indurlo a scrivere immediatamente uno scenario adatto per un balletto.
Così nacque La Fille mal gardée.

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Il balletto fu presentato per la prima volta al Grand Théâtre di Bordeaux (Francia) il 1º luglio 1789. La moglie di Dauberval, la ballerina M.me Théodore (moglie di Dauberval) danzò la parte di Lison (Lise nelle versioni moderne), il danzatore Eugène Hus fu Colin (Colas nelle versioni moderne), e François Le Riche interpretò la vedova Ragotte (nota come Madame Simone nelle versioni moderne). Il titolo originale, ispirato anch'esso al dipinto di Baudouin, era Le Ballet de la paille ou Il n'est qu'un pas du mal au bien. Il lavoro ebbe un notevole successo di pubblico e fu il balletto più popolare e duraturo di Dauberval.


La partitura originale del balletto era un insieme di 55 melodie francesi ed è arrivata fino ai giorni nostri nella forma di quindici parti orchestrali conservate nella biblioteca municipale di Bordeaux. Il manoscritto non reca il nome di un compositore (o meglio di un arrangiatore) e nessun contemporaneo nei resoconti della produzione originale di La Fille mal gardée menziona un compositore. È possibile che Dauberval stesso abbia arrangiato la partitura dal momento che era un valente violinista. Oppure potrebbe essere il lavoro di uno dei musicisti impiegati nel teatro a quei tempi. Un probabile candidato potrebbe essere stato Franz Beck, che al periodo era Maestro di musica in carica al teatro di Bordeaux. Un'altra possibilità riguarda il violinista dell'orchestra del teatro, noto oggi solo con il nome di Lempereur, che aveva a quel tempo composto la musica per Mareie Milet ou l'Héroïne villageoise, rappresentata per la prima volta nel marzo del 1789.

Due anni dopo la prima rappresentazione del balletto, Dauberval andò a Londra per montare il lavoro per il balletto del King's Pantheon Theatre. Per l'occasione, Dauberval cambiò il titolo originale in quello che conosciamo oggi (La Fille mal gardée). Per la prima rappresentazione (30 aprile 1791) M.me Théodore ripresentò il ruolo di Lise, mentre l'allievo di Dauberval, Charles Didelot, danzò Colas.

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I musicisti dell'orchestra del Teatro Pantheon detestavano la partitura del 1789. Quando Ivor Guest e John Lanchbery scoprirono le parti orchestrali originali nel 1959, le trovarono coperte di commenti che andavano dalle battute di spirito ai sarcasmi feroci.


Il coreografo Jean Pierre Aumer, un allievo di Dauberval, continuò a rivedere la versione di Hus del 1803 per tutta la sua carriera di maître de ballet all'Opéra. Andò a Vienna nel 1809 per montare il lavoro per il balletto del Burgtheater. Il 17 novembre 1828, Aumer presentò una versione completamente nuova de La Fille mal gardée all'Académie Royale de Musique di Parigi, allestita per la ballerina Maria Taglioni nella parte di Lise. Per questa produzione, Ferdinand Hérold creò un adattamento della partitura originale del 1789 e prese anche in prestito molti temi dalle opere di compositori quali Gioachino Rossini, Jean Paul Egide Martini e Gaetano Donizetti.

Nel 1837, la ballerina austriaca Fanny Elssler fece il suo debutto all'Opéra di Parigi nella versione di Aumer del1828 della La Fille Mal Gardée.

Come era uso nel tempo, le ballerine spesso commissionavano nuove variazioni e nuovi pas da inserire in balletti già esistenti per le loro performance e così fece la Elssler. Consultando ampiamente l'archivio della biblioteca dell'Opéra di Parigi, la ballerina selezionò i temi per la sua variazione dalla prendendoli dall'opera di Donizetti L'Elisir d'Amore e uno dei copisti della biblioteca, Aimé-Ambroise-Simon Leborne, riunì e orchestrò la musica.


Il coreografo italiano Paolo Taglioni, fratello della leggendaria Maria, fu ingaggiato come maître de ballet alla Staatsoper di Berlino negli anni. Il 7 novembre 1864 Taglioni presentò il suo allestimento completamente nuovo de La Fille mal gardée. Per questa produzione, Taglioni commissionò la musica al compositore del Balletto di Corte dell'Opera, Peter Ludwig Hertel. L'allestimento ebbe un buon successo e restò nel repertorio del balletto di Berlino per molti anni.

Nel maggio del 1876, la grande ballerina italiana Virginia Zucchi debuttò nel balletto di Taglioni. Trionfò nel ruolo di Lise, dando nuova linfa al lavoro con la sua espressività.

La Fille mal gardée fu allestita in Russia nel 1800 da Giuseppe Solomoni per il Balletto del Teatro Imperiale del Bol'šoj di Mosca (noto oggi con il nome di Teatro Bol'šoj). Questa produzione venne rivisitata otto anni più tardi dal successore di Solomoni al Bol'šoj, Jean Lamiral. Didelot, l'allievo di Dauberval, diventò maître de ballet del Teatro Imperiale di San Pietroburgo nei primi anni del diciannovesimo secolo e nel 1808 montò la prima produzione de La Fille mal gardée per la compagnia. Entrambi gli allestimenti partivano da quello originale di Dauberval e usavano il pastiche originale delle musiche.

Un allestimento della versione di Aumer del 1828 con la musica di Hérold venne messa in scena in Russia per il Teatro Imperiale del Bol'šoj nel 1845 da Irakly Nikitin. Il grande coreografo Jules Perrot, maître del Balletto Imperiale dal 1850 al 1859, mise in scena la sua versione della produzione di Aumer nel 1854 e per questa produzione aggiunse nuova musica composta da Cesare Pugni. L'ultima rappresentazione della versione di Perrot venne data nel 1880 come performance di presentazione del Primo Giovane Danzatore del Balletto Imperiale Pavel Gerdt.
L'allestimento di Marius Petipa e Lev Ivanov
Virginia Zucchi nel ruolo di Lise (1885)

La ballerina Virginia Zucchi fece una tournée a San Pietroburgo nel 1885, esibendosi con successo in molti teatri della capitale imperiale. In agosto di quell'anno la Zucchi fu invitata dallo zar Alessandro III in persona a ballare per il Balletto Imperiale. Per far debuttare la Zucchi con il grande coreografo Marius Petipa e il suo assistente Lev Ivanov, si decise di riprendere la versione di Paolo Taglioni del 1864 de La Fille mal gardée con la musica di Hertel. La Zucchi stessa avrebbe contribuito alla messa in scena di alcune danze originali di Taglioni. Il titolo del balletto venne cambiato in Vane precauzioni (così è noto tuttora in Russia) e debuttò il 16 dicembre (28 dicembre per il calendario gregoriano) del 1885. Per l'occasione Léon Minkus compose appositamente alcune musiche addizionali per le variazioni della grande ballerina. L'esibizione della Zucchi nella parte di Lise diventò leggendaria in Russia, dove aveva l'appellativo di "divina Virginia". Si narra che, durante la scena nota con il titolo di Quando mi sposerò, l'interpretazione affascinante ed emozionante della Zucchi fu così impressionante che fece piangere molte persone del pubblico. La ballerina fu molto osannata per il celebre Pas de Ruban, nel quale Lise e Colas danzano usando dei nastri, con Colas che finge di essere un cavallo e Lise che corre con lui.

Quando la Zucchi lasciò il Teatro Imperiale Bol'šoj Kamenny (il principale teatro del Balletto Imperiale fino al 1886), Lev Ivanov mise in scena una versione ridotta de La Fille mal gardée per l'esibizione a Krasnoe Selo nell'estate del 1888, con Alexandra Vinogradova nel ruolo di Lise. La Vinogradova danzò il ruolo anche in ottobre dello stesso anno al Teatro Mariinskij (il teatro principale del Balletto Imperiale dopo il 1886). Questa fu l'ultima esibizione del balletto fino al 1894, anno in cui Ivanov lo allestì per Hedwige Hantenbürg, una ballerina tedesca in visita. Da quel momento il balletto trovò un suo posto nel repertorio del Balletto Imperiale.
Olga Preobrajenska nel ruolo di Lise (circa 1890)

La Fille mal gardée si dimostrò un buon mezzo per dispiegare le capacità tecniche e interpretative delle grandi ballerine del palcoscenico imperiale quali: Olga Preobrajenskaya, Anna Pavlova, Tamara Karsavina, e la prima ballerina russa nominata Prima ballerina assoluta Mathilde Kschessinskaya, che per un certo periodo di tempo non permise a nessun'altra ballerina di danzare il ruolo di Lise (lo stesso fece per La Figlia del Faraone di Petipa e La Esmeralda).

Una caratteristica della produzione di Ivanov fu l'uso di galline vere sul palco. Una sera, mentre la Preobrajenskaya danzava Lise, la sua rivale, la Kschessisnkaya, lasciò uscire tutte le galline durante la sua variazione e molte di esse caddero nella buca dell'orchestra. La Preobrajenska continuò a danzare come se niente fosse.


Il 7 dicembre 1903, fu presentata al Teatro Bolshoi di Mosca un'importante ripresa de La Fille mal gardée. Montata da Alexander Gorsky, ex-danzatore del Balletto Imperiale, era essenzialmente una revisione della produzione precedente. Gorsky aggiunse nuove danze al balletto prese da altri balletti, soprattutto nuove variazioni per Lise nel Pas de Deux del secondo atto su musica di Drigo dal balletto di Petipa del 1900 I Milioni di Arlecchino. Questa versione del Pas de Deux è quella rappresentata anche oggi (è un cavallo di battaglia per concorsi e gala) ed è la base per quasi tutte le produzioni russe e in molte altre parti d'Europa.

Anna Pavlova nella versione del 1912
La compagnia della ballerina Anna Pavlova (una delle più grandi interpreti di Lise) rappresentò per la prima volta all'ovest la versione russa (ridotta) de La Fille mal gardée a Londra nel 1912.

Nel 1930 i coreografi Asaf Messerer e Igor Moiseyev montarono, per il balletto del Bolshoi, una nuova versione del balletto, basata sull'allestimento di Petipa/Ivanov, aggiungendo un nuovo atto (Il matrimonio di Lise e Colas) e un divertissement sulla musica dell’Orfeo di Michail Glinka. Questa versione fu in seguito ripresa al Bolshoi con il titolo de I rivali nel 1935, con la musica di Hertel/Glinka orchestrata da Aleksandr Vasil'evič Mosolov. Nessuna delle due produzioni restò a lungo nel repertorio.

Per molti anni il Balletto Kirov/Mariinskij (ex Balletto Imperiale) di San Pietroburgo non ebbe in repertorio La Fille mal gardée. A volte veniva danzata dagli studenti dell'Accademia Vaganova con i laureandi dell'anno nelle parti soliste. Nel 1994 il direttore della compagnia Oleg Vinogradov montò un nuovo allestimento basandosi essenzialmente sulla versione tradizionale di Petipa/Ivanov/Gorsky. Nei ruoli principali si alternarono Margarita Kullik, Irina Badaeva, Vladimir Kim, Fethon Miozzi. All'uscita di Vinogradov dalla compagnia, la sua versione non venne più danzata. Nel 2002 il Bolshoi mise in scena la versione di Sir Frederick Ashton. Il Mariinskij attualmente non ha questo balletto in repertorio.

Nel 1942 il Ballet Russe de Monte Carlo presentò la prima produzione di La Fille mal gardée allestita da Alexandra Balachova, ballerina del Balletto Imperiale, in una versione in gran parte basata sul quella di Petipa/Ivanov. Molti dei danzatori che lavorarono con il Ballet Russe de Monte Carlo ebbero carriere di successo all'estero come coreografi, insegnanti e maître de ballet. Questi danzatori usarono la versione della Balachova come base per molti revival nel mondo. La grande ballerina cubana Alicia Alonso danzò questa versione de La Fille mal gardée negli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso e allestì la propria versione per il Balletto cubano nel 1964.


Nel 1972 il maître de ballet Claude Bessy coreografò La Fille mal gardée per la Scuola di ballo dell'Opéra di Parigi, con scenario e costumi di Dimitri Romanoff. Per questa produzione Bessy scelse di utilizzare la musica di Hertel del 1864 orchestrata dal direttore dell'Opéra Jean-Michel Damase, mantenendo solo poche delle aggiunte fatte nel corso degli anni, soprattutto quelle di Minkus e Pugni. Bessy tenne anche alcune delle coreografie tradizionali tramandate dalla produzione Petipa/Ivanov attraverso la produzione di Gorsky. Questa versione è stata rappresentata con successo fino al 1993 e poi tolta dal repertorio per venire reintrodotta nel 2002.

Nel 1959, il coreografo Sir Frederick Ashton decise di creare una versione completamente nuova de La Fille mal gardée per il Royal Ballet. Questa produzione debuttò il 14 settembre 1960 con Nadia Nerina nella parte di Lise e David Blair nella parte di Colas. la versione di Ashton ebbe un enorme successo e fu ritenuta all'unanimità la versione definitiva de La Fille mal gardée. Fin dall'inizio la versione di Ashton è diventata un classico nel repertorio del balletto.

Originalmente Sir Frederick Ashton voleva usare la musica di Ludwig Hertel ma dopo un attento esame della musica, decise che era troppo pesante e banale per la nuova produzione. Dietro suggerimento dello storico del balletto e musicologo Ivor Guest, Ashton studiò la partitura di Ferdinand Hérold del 1828 e trovò quella musica leggera, semplice più adatta per quello che aveva in mente.

Ashton coreografò alcune delle sue danze più magistrali per la nuova versione del balletto. Riportò sulla scena il Pas de Ruban per Lise e Colas, nel quale gli amanti eseguono un affascinante pas con intricati passaggi usando un nastro di raso rosa. Ashton portò quest'idea ad un livello completamente nuovo con Fanny Elssler Pas de Deux, inventando uno spettacolare Grand Adagio per Lise, Colas, e otto donne con otto nastri. Egli incluse anche la sequenza di mimo originale di Petipa nota con il titolo di When I'm Married, un passaggio che era eseguito da tutte le grandi ballerine del passato. Chi gli insegnò questo passaggio fu Tamara Karsavina, ballerina del Balletto Imperiale e dei Ballets Russes. La Karsavina a sua volta l'aveva imparata dal suo maestro, Pavel Gerdt, uno dei più grandi solisti maschi del Balletto Imperiale che fece da partner a tutte le "Lise" della fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, inclusa Virginia Zucchi.

Per dare ispirazione a Lanchbery per la Clog Dance, Ashton portò il compositore ad una performance di danzatori con gli zoccoli del Lancashire. La danza nel balletto è eseguita dalla Vedova Simone, la mamma di Lise. Lanchbery decise di usare il tema (o leitmotiv) prendendolo dalla partitura di Hertel (questa è l'unica musica di Hertel usata nel balletto). Ashton creò uno spiritoso numero per Simone e quattro ballerine, in cui si danza sulle punte dei piedi con gli zoccoli!

La versione di Ashton de La Fille mal gardée continuò ad essere allestita da molte compagnie in tutto il mondo e oggi è forse la versione più famosa del balletto.

Personaggi
Lise — (la figlia mal custodita)
Colas — (l'amato di Lisa)
Vedova Simone — (la madre di Lisa, di solito danzata da un uomo "en travesti")
Alain — (Lo stupidotto e ricco pretendente di Lise)
Thomas — (Il padre di Alain)
Il Notaio
Contadini — (amici di Lise e Colas)
Un gallo e tre galline

Trama
Lise e Colas sono innamorati e vogliono sposarsi. Ma Maman Simone vuole che Lisa sposi lo stupidotto, ma estremamente ricco, Alain e ha già disposto per il contratto matrimoniale con il padre di Alain, Thomas. Nel periodo del raccolto, Simone e Lise vengono invitate per un picnic da Thomas e Alain. I contadini si uniscono in una danza dei nastri attorno ad un palo ornato di nastri (una danza tipica del periodo del raccolto) e le donne ballano la danza degli zoccoli. Arriva un temporale e tutti cercano riparo.
La vedova Simone e Lise tornano a casa. I contadini portano il raccolto e la vedova lascia la casa dopo averla chiusa per impedire a Lise di incontrarsi con Colas. Lise pensa a Colas e mima il fatto di essere madre di molti bambini. Colas, che era nascosto dietro ad un covone, un po' imbarazzato, esce allo scoperto. All'arrivo di Maman Simone, Lise nasconde Colas nella sua stanza. Quando Simone entra in casa, ordina a Lise di andare nella sua stanza a prendere l'abito da sposa comprato per l'imminente matrimonio con Alain. Lise cerca di restare dove è ma Simone la spinge nella stanza e chiude la porta a chiave.
Thomas arriva con un notaio e il figlio e arrivano anche i contadini, amici di Lise e Colas, Maman Simone apre la porta della stanza e Lise appare vestita da sposa con Colas al fianco. Thomas e Alain si offendono e Thomas, infuriato, strappa il contratto matrimoniale. Lui, il figlio e il notaio se ne vanno indignati.
Lise e Colas chiedono perdono a Simone. L'amore conquista tutti e tutti fanno festa a Lise e Colas.

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LA SILFIDE

Titolo originale: La Sylphide
Debutto: 12 Marzo 1832, Operà di Parigi
Librettista: A. Mourrit
Coreografo: F. Taglioni
Musiche: Schneitzhoeffer
Interpreti: Maria Taglioni, Noblet, Mazilier, L. Elie
Opera: in due atti

La Syplhide è stato il primo balletto sulle punte: la tecnica definita en pointe richiede che il piede si alzi da terra scaricando tutto il peso del corpo sulla punta, utilizzato per donare maggior grazia e leggerezza alla ballerina. Intorno al 1820 molte ballerine incominciarono a sperimentare questa tecnica, ma l'apoteosi e la conseguente affermazione la si avrà proprio in questo balletto, quando Maria Taglioni, prima grande ballerina della Silfide, salirà in punta per donare leggerezza e bellezza al suo personaggio.

Il balletto è ispirato al racconto di C. Nodier Trilby, ou le Lutin d’Argail (1822) la cui trama romantica è incentrata sull’impossibile amore tra un essere umano e una creatura soprannaturale.
La vicenda è ambientata sulle Highland scozzesi: dove il protagonista è James, che riceve in sogno una visita da una Silfide alla vigilia delle sue nozze con la sua fidanzata Effie.

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In tutto il balletto la Silfide si muove con grazia e leggiadria: le braccia devono essere leggere e morbide, in contrapposizione con James che è sinonimo di forza e presenza fisica.


Con l’entrata in scena della futura sposa e un gruppo di scozzesi, iniziano i preparativi delle nozze; tra gli ospiti compare anche la maga Magde, una terribile strega che ammonisce James con tremende profezie. Magde non rappresenta soltanto il lato oscuro del male ma è anche il motore drammatico della storia; inoltre, non danza, ma mima i gesti muovendosi a tempo di musica.

La Silfide ricompare, ma solo James la può vedere, che prima della cerimonia ruba l’anello nuziale destinato a Effie; così, James la insegue nella foresta, abbandonando la fidanzata.
Gurn, innamorato e deluso dalle nozze di Effie, assiste alle effusioni amorose tra l’uomo e la Silfide: corre da Effie svelandole il tradimento.
Il secondo atto si svolge nel bosco incantato, dove la strega con le sue diaboliche compagne è indaffarata a creare incantesimi.

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Intanto la Silfide presenta James alle sorelle, ma questi vedendo tutte le creature identiche a Silfide è assai confuso, poiché non riesce a distinguere la sua amata dalle altre. Intanto Gurn trova la strega che gli consiglia di corteggiare la sua amata e di sposarla.

Successivamente James riceve in dono dalla strega Madge un drappo magico, che dovrebbe consentirgli di catturare la sua Silfide.
Ma quando il ragazzo cerca di appoggiare il drappo su di lei, le ali della creatura cadono a terra e la Silfide muore tra le braccia di James. Un corteo di silfidi scende dal cielo per raccogliere la sorella: James è sconvolto e scappa, da lontano, si accorge di un altro corteo, quello delle nozze di Effie con Gurn.


Atto I
Preludio
James sta dormendo seduto sulla poltrona
Entra Gurn che schernisce James
Arrivano gli ospiti
Entra furtivamente Madge
Madge predice che Effie non sposerò James ma Gurn
James è solo adesso
Pas de deux di Effie e James
La Sylphide implora James di abbandonare Effie

Atto II
Nella foresta
La danza delle silfidi
Le silfidi circondano James
James e la Sylphide
Entrano i contadini scozzesi
Effie e i contadini
Entra James e Madge si nasconde
James dona alla Sylphide la sciarpa
La Sylphide muore
Il corteo di matrimonio di Effie e Gurn

La Sylphide è l’archetipo del balletto romantico per le sue connotazioni estetiche, per la nuova tecnica di danza assolutamente rivoluzionaria, per l'incarnazione degli ideali di bellezza e purezza che emana e che ne hanno fatto un modello: il ballet blanc.

Dalla Silfide in poi, tutti i balletti del repertorio ottocentesco offrono un “atto bianco”: caratterizzato da particolari creature avvolte da tutù e scarpette bianche come le silfidi, le villi o le ondine, frutto di visioni che appartengono al mondo fiabesco del Romanticismo. Drammaturgicamente parlando questo atto viene interpretato come una fuga dalla realtà da parte dei protagonisti della vicenda per vivere in un mondo incantato e libero da regole.
La Sylphide, che ci è pervenuta intatta dall’Ottocento, non è quella francese, diretta da Filippo Taglioni (liberamente ripresa da Lacotte), bensì quella danese, coreografata da August Bournonville: quest’ultimo aveva ammirato la rappresentazione di Taglioni a Parigi e successivamente decise di allestirla a Copenaghen per la sua allieva preferita: Lucile Grahn.

A causa dei diritti d’autore, Bournonville commissionò una nuova partitura al compositore Herman Severin Løvenskjold e, con una nuovo allestimento scenografico nacque nel 1936 la Sylfiden.
Esiste anche una terza versione, quella italiana realizzata nel 1841 da Antonio Cortesi per la ballerina napoletana Fanny Cerrito, che fu rappresentata al Teatro alla Scala di Milano: questo balletto è stato composto da tre compositori tra cui Gioacchino Rossini.

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Nel 1972 ci fu una rivisitazione della Silfide, da parte del coreografo Pierre Lacotte che racconta la sua nascita durante un’intervista: “Mentre scrivevo un libro sul balletto romantico ho ritrovato dei documenti eccezionali su La Sylphide.
Ricerche approfondite mi hanno portato a scoprire nelle collezioni private tutta una documentazione che mi ha permesso di ricostruire la versione autentica del balletto di Filippo Taglioni.
 
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LES SYLPHIDES
è il titolo di un balletto romantico.



La coreografia originale fu realizzata da Michel Fokine su musiche di Fryderyk Chopin orchestrate da Alexander Glazunov. Glazunov nel 1892 aveva già arrangiato parte della musica, presentata al pubblico nel dicembre 1893 sotto forma di suite orchestrale col titolo Chopiniana, Op. 46 per la direzione di Nikolai Rimsky-Korsakov.

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Il balletto, spesso descritto come un "sogno romantico", di fatto fu il primo balletto ad essere veramente tale. Infatti Les Sylphides non ha una trama né segue una storia ma prevede solo la danza sotto la luna tra un gruppo di silfidi in tunica bianca e un giovane poeta sognatore in pantaloni bianchi e abito nero. Nelle sue Memorie di un maestro di balletto, Fokine spiega che volle rendere omaggio al sentimento ispiratore dei balletti del primo romanticismo, l'era di Maria Taglioni e di Théophile Gautier, perché in essa, la danza classica era stata veramente, a suo avviso, espressione di un intento artistico, di un moto dell'anima, e non mero sfoggio atletico e di virtuosismo tecnico fine a se stesso, come lo era divenuta al Teatro Marinskij alla fine del XIX secolo, all'epoca della formazione dello stesso Fokine.


Storia
L'effettiva identificazione della prima assoluta non è precisa. Secondo alcuni, coincide con l'esecuzione del balletto Rêverie Romantique: Ballet sur la musique de Chopin avvenuta nel 1907 al teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Questo spettacolo servì da base a Fokine per il balletto Chopiniana che però assunse una propria connotazione diversa.

Il balletto Les Sylphides nella sua forma attuale fu presentato per la prima volta al Théâtre du Châtelet di Parigi il 2 giugno 1909 dalla compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djagilev. Questa è la prima esecuzione più famosa, che vedeva come solisti Tamara Karsavina, Vaslav Nijinsky nel ruolo del giovane poeta sognatore, Anna Pavlova e Alexandra Baldina.


La prima esecuzione a Londra avvenne alla Royal Opera House (Covent Garden) durante la prima stagione di presenza dei Balletti Russi di Djagilev.

La prima esecuzione negli Stati Uniti fu una versione non autorizzata messa in scena al Winter Garden di New York il 14 giugno 1911, più incentrata sulle silfidi, con la presenza della sola Baldina. La prima ufficiale da parte della compagnia dei Balletti Russi avvenne il 20 gennaio 1916 al Century Theater di New York con Lidija Lopuchova che aveva danzato anche nella produzione non autorizzata di cinque anni prima. Nijinsky danzò nella rappresentazione del 14 aprile 1916 alla Metropolitan Opera, che prevedeva anche la messa in scena di un balletto analogo sulla musica di una suite per pianoforte di Robert Schumann, Papillons, sempre su coreografia di Fokine.

Fokine allestì il balletto anche per altre compagnie, danzando per alcuni anni egli stesso con la moglie Vera nei ruoli principali.

Nel 1940 la produzione passò all'American Ballet Theatre che lo rappresentò la per la prima volta l'11 gennaio dello stesso anno al teatro del Rockefeller Center.

Il balletto Chopiniana si basava su una composizione musicale differente. La prima esecuzione nella suite originale di Glazunov utilizzava solo quattro brani di Chopin. Fokine in seguito fece orchestrare e aggiungere un valzer, mantenendo anche per questa versione il titolo Chopiniana.

Polacca in La maggiore, Op. 40, no. 1,
Notturno in Fa maggiore, Op. 15, no. 1,
Mazurka in Do diesis minore, Op. 50, no. 3,
Valzer in Do diesis minore, Op. 64, no. 2, fatto aggiungere da Michail Fokine[4]
Tarantella in La bemolle maggiore, Op. 43.

Il valzer orchestrato servì da ispirazione a Fokine per rivedere le coreografie nella loro forma pressoché definitiva, selezionando altri brani di Chopin orchestrati da Maurice Keller del teatro Marijnskij.

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In occasione della prima parigina nell'ambito della "Saison Russe" del 1909, Djagilev commissionò la riorchestrazione di tutti i brani, ad esclusione del valzer orchestrato da Glazunov, ad Anatolij Lijadov, Sergej Taneev, Nikolaij Čerepnin e Igor Stravinskij. Questa fu la versione intitolata Les Sylphides che debuttò in prima assoluta a Parigi nel 1909.

La versione canonica include:

Polacca in La maggiore (sostituita da alcune compagnie con il Preludio in La maggiore)
Notturno in La bemolle maggiore (Op. 32, no. 2),
Valzer in Sol bemolle maggiore (Op. 70, no. 1),
Mazurka in Re maggiore (Op. 33, no. 2),
Mazurka in Do maggiore (Op. 67, no. 3),
Preludio in La maggiore (Op. 28, no. 7),
Valzer in Do diesis minore (Op. 64, no. 2),
Gran Valzer in Mi bemolle maggiore (Op. 18, no. 1)
 
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IL CARNEVALE DEGLI ANIMALI

Il carnevale degli animali (Le Carnaval des Animaux) è una delle più famose opere del compositore francese Camille Saint-Saëns.

Fu composta nel 1886 durante un periodo di riposo a Vienna. Venne eseguita privatamente nel 1887, in occasione della festività del martedì grasso. Per volere del compositore, infatti, l'opera doveva essere eseguita pubblicamente solo dopo la sua morte. La sua prima fu il 26 febbraio 1922, trentasei anni dopo la sua composizione e un anno dopo la morte dell'autore.

Il carnevale degli animali divenne la musica più caratteristica di Saint-Saens per i suoi toni umoristici e canzonatori.

I 14 brani, tutti molto brevi, si riferiscono ciascuno ad un animale. Non mancano riferimenti dichiaratamente satirici e umoristici. La comicità del brano è data anche dalle citazioni esplicite di brani o motivi conosciuti.

1. Introduzione e Marcia del leone
Il primo brano descrive la camminata pomposa e avanzata del leone, immaginato come di consueto come re della foresta. Gli accordi ripetuti dei pianoforti sottolineano la cadenza del passo dell'animale. La solennità del brano è resa da sonorità chiare e incisive, in tempo Andante maestoso. Il leone si presenta con una melodia dal ritmo molto marcato e solenne, che ne evidenzia il carattere e la superiorità nei confronti degli altri animali.

2. Galline e galli
Pianoforti, violini e viola riproducono il chiocciare delle galline per trentacinque battute. Il "chicchirichì" è reso da note corte e incalzanti, con l'acciaccatura sulle note acute.

3. Emioni
L'immagine che il brano propone è la corsa veloce e frenetica di questi asini o cavalli selvatici; il tempo Presto furioso caratterizza questa parentesi virtuosistica dei due pianoforti. Dopo veloci arpeggi e scale, il brano si conclude con sbrigativi accordi finali.

4. Tartarughe
L'ironia del brano consiste nella scelta del tema. Il famoso Can-can dell'Orfeo all'inferno di Jacques Offenbach, originariamente un travolgente balletto, viene qui proposto in versione lenta, evidentemente "adattato" per l'andatura lenta delle tartarughe.

5. L'elefante
Il goffo animale viene descritto dal timbro grave del contrabbasso, che espone un valzer su accompagnamento del secondo pianoforte. Anche qui la citazione di un tema famoso, la Danza delle silfidi di Hector Berlioz, dà ironia al brano: le silfidi erano creature mitologiche leggiadre e graziose, che contrastano con la pesantezza dell'animale.

6. Canguri
I salti improvvisi dei canguri sono riprodotti da brevi successioni di note dei pianoforti (prevalentemente acciaccature). Nonostante il carattere comico della descrizione musicale, il brano conferisce un tono di mistero e di ambientazione fantastica, introducendo al suggestivo brano che segue.

7. Acquario
I pianoforti, il flauto, la glassarmonica e gli archi eseguono una dolce nenia, in tempo Andantino.
I fraseggi e gli arpeggi, esplorano sonorità inconsuete, descrivendo l'ambiente impalpabile e al contempo soave dell'Acquario. Le scale ascendenti degli archi e del pianoforte descrivono efficacemente le bollicine dell'acquario.
I pianoforti suonano nel registro acuto. TEMA: violini e flauto (traverso).

8. Personaggi dalle orecchie lunghe
Il brano riproduce inequivocabilmente il raglio degli asini, con note acute dei violini succedute da note basse (hi-ho). Il titolo del brano però allude anche ai critici musicali del tempo e alla loro aria saccente, presi di mira da Saint-Saëns con questa descrizione caricaturale.

9. Il cucù nel bosco
Il cuculo si inserisce con il suo cu-cu (suonato dal clarinetto) in una trama di accordi minimali dei pianoforti. L'atmosfera riproduce i colori e le sensazioni della foresta, con la presenza quasi nascosta dell'uccello.

10. Voliera
Il rapido volo incessante di uccelli non identificati viene riprodotto da una leggera frase del flauto, ripresa più volte, sull'accompagnamento degli archi. Il brano suggerisce sensazioni di libertà e spensieratezza. Infatti dopo aver ascoltato questo brano gli uccellini cantano e sbattono le ali come per cercare di volare il frullio è riprodotto dal pianoforte.

11. Pianisti
La musica di questo brano non è altro che una serie di semplici e ripetitivi esercizi di studio per l'apprendimento del pianoforte. Inserendo la "razza" dei pianisti tra gli animali, Saint-Saëns dipinge una divertente parodia di questi musicisti, costretti ad ore di ripetitivo ed estenuante studio sulla tastiera. Lo strumento stesso viene messo in ridicolo, mentre propone la propria posizione elementari studi, scale, arpeggi o virtuosismi.

12. Fossili
I fossili vengono riprodotti dallo xilofono, che fa pensare al rumore delle ossa. I temi di questo brioso brano sono tratti dalla Danza Macabra dello stesso Saint-Saëns e dal Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini. Con questo brano Saint-Saens prende in giro i critici musicali, considerati vecchi e antiquati.

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13. Il cigno
Probabilmente il più celebre motivo di Saint-Saëns, conosciuto soprattutto per il balletto La morte del cigno, coreografia di Mikhail Fokine su questo pezzo. Sugli arpeggi dei due pianoforti, il violoncello espone il dolcissimo tema, in tempo 6/4 in sol maggiore.



NOTA IMPORTANTISSIMA DI LUCE!!!!!

L’ultimo brano, cioè “Il cigno”, viene erroneamente confuso da tantissime persone col “Lago dei cigni” (anche da mie colleghe ballerine, purtroppo!). Una volta, andammo a vedere il Lago e dopo una mi fa: “ma dov’era la morte del cigno? Mica l’ho vista”
AAAAARRRRRGGGGGHHHHHH!!!!!


Sono due cose completamente diverse, sia per: storia, durata, coreografia, compositori.
Altra cosa: gli “inesperti” di balletto li riconosco subito. Citano sempre e solo Il lago dei cigni e fanno una gran confusione: per tutti loro, la figura della ballerina è sempre e solo collegata ad un cigno di certo morente. Non è assolutamente vero, perché nel balletto c’è di tutto e di più.
 
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IL LAGO DEI CIGNI

Compositore Pëtr Il'ič Čajkovskij
Tipo di composizione balletto
Numero d'opera op. 20
Epoca di composizione 1875-1876
Prima esecuzione Mosca, Teatro Bol'šoj, 20 febbraio 1877
Durata media 2 h 30 min circa (a seconda della versione)

Il lago dei cigni è uno dei più famosi e acclamati balletti del XIX secolo, musicato da Pëtr Il'ič Čajkovskij (op. 20). La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro Bol'šoj di Mosca il 20 febbraio 1877 (calendario giuliano), con la coreografia di Julius Wenzel Reisinger.

Il libretto di Vladimir Petrovic Begičev, direttore dei teatri imperiali di Mosca insieme al ballerino Vasil Fedorovič Geltzer, è basato su un'antica fiaba tedesca, Der geraubte Schleier (Il velo rubato), seguendo il racconto di Jophann Karl August Musäus.

Primo dei tre balletti di Čajkovskij, fu composto tra il 1875 e il 1876. Viene rappresentato in quattro atti e quattro scene (soprattutto fuori dalla Russia e nell'Europa orientale) o in tre atti e quattro scene (in Russia e Europa occidentale). Sebbene esistano molte versioni diverse del balletto, la maggior parte delle compagnie di danza basa l'allestimento, sia dal punto di vista coreografico che musicale, sul revival di Marius Petipa e Lev Ivanov per il Balletto Imperiale, presentato la prima volta il 15 gennaio 1895 (data come sopra) al Teatro Imperiale Mariinskij a San Pietroburgo, Russia.

In occasione di questo revival, la musica di Čajkovskij venne rivisitata dal maestro di cappella dei Teatri Imperiali, Riccardo Drigo.

Storia del balletto
La prima esecuzione assoluta fu accolta tiepidamente ma i problemi erano molteplici: l'orchestra e il direttore, un semidilettante, lamentavano le difficoltà di una partitura "complicata" e diversa dalla consuetudine. Lo stesso avvenne da parte dei danzatori avvezzi a standard meno impegnativi. Pure l'allestimento scenico fu debole e assemblaggio di precedenti spettacoli. Ad aumentare la dose le due prime protagoniste che si alternarono nello sviluppo delle recite avevano doti coreutiche minori o si trovavano in età tecnicamente avanzata. Le critiche del tempo banalizzavano l'esito coreografico: "un'ammirevole abilità [del coreografo, ndr] nell'arrangiamento degli esercizi ginnici"; la Gazzetta Teatrale del 22 febbraio 1877 ammetteva "qualche momento riuscito" ma affermava che "in generale la musica è piuttosto monotona, noiosa... interessante probabilmente solo per i musicisti".
Il punto della situazione e la verità dei fatti è rintracciabile nelle memorie (1896) di un critico quotato amico del compositore, Nikolaj Dmitrievič Kaškin:
« Il Lago dei Cigni ebbe successo, non grande ma certamente lo ebbe, e continuò ad essere eseguito per molti anni fino a quando il decorativismo fu completamente sorpassato per non essere più riportato in auge. Non solo se ne minimizzò questo elemento; la musica soffrì sempre più, fino a quando circa un terzo di essa venne sostituita da musica di altri balletti, non necessariamente buoni"»

Dopo la morte del compositore, nel 1895, il balletto passò nelle mani di Marius Petipa, coreografo che si era distinto egregiamente anche nell'altra opera di Pëtr Il'ič Čajkovskij (La Bella Addormentata), e in quelle di Lev Ivanov.

Il 15 gennaio 1895, ebbe luogo il primo allestimento coreografato da Petipa e Ivanov presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Petipa curò il primo e il terzo atto, mentre Ivanov curò gli atti bianchi, il secondo e il quarto. Inoltre vennero apportate anche modifiche alla sequenza dei numeri e furono aggiunti brani del musicista trascritti dal compositore italiano (e direttore d'orchestra in tale occasione) Riccardo Drigo.
Questa volta fu un successo e Il lago dei cigni entrò a pieno diritto nel repertorio dei teatri pietroburghese e moscovita, e col tempo in quello internazionale, divenendo una pietra miliare del balletto classico.

La musica
L'orchestra de Il Lago dei Cigni è composta da due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, quattro corni, due cornette, due trombe, tre tromboni, una basso tuba, una serie di timpani, triangolo, tamburello, nacchere, rullante, piatti, grancassa, gong, xilofono, arpa e archi.
A causa delle varie interpolazioni, tagli, manomissioni che la musica subì prima e dopo la morte dell'autore, il balletto presenta molte incognite musicali e drammaturgiche. La posizione dei vari brani (come il Passo a due, che oggi vediamo nel III atto, detto "del cigno nero") e "numeri" della partitura (ossia la stessa struttura del balletto in sede rappresentativa), è tuttora argomento di dibattito. Non marginale poi lo svolgimento narrativo, in particolar modo riguardo alla conclusione del balletto, ove ebbe a suo tempo un ruolo determinante, al fine di una variante "positiva", il fratello del musicista, Modest, dopo la scomparsa di Čajkovskij. In una lettera a Hermann Laroche del 1894 disse: «È fatto talmente male [il libretto] che ho dovuto cambiare l'intero testo», come ricorda Thomas Kohlhase.

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Trama
Il movimento che introduce il balletto è una breve sintesi musicale ed emotiva del dramma, che rimpiazza la tradizionale ouverture. La melodia d'apertura è il primo tema del cigno, in esso risuona già una delle scale discendenti che si incontreranno poi in tutto il balletto. Queste scale alludono al destino che incombe sui due amanti, a cui non potranno sottrarsi. Il movimento agitato che appare simboleggia il sortilegio del mago su Odette e la sua trasformazione in cigno. In talune revisioni librettistiche e coreografiche, comunque non conformi all'originale, la breve scena viene rappresentata sul palcoscenico, come antefatto (ad esempio in Nicholas Beriozoff, Milano, 1964).

Atto I
In un giardino di fronte al palazzo reale, il principe Siegfried festeggia coi suoi amici il suo compleanno. Si avvicinano delle contadine per porgergli gli auguri e lo intrattengono con le loro danze. Arriva la Regina Madre, che regala al figlio una balestra, dato che esso è molto amante della caccia, e lo esorta a trovarsi una sposa tra le ragazze che lei ha invitato al ballo del giorno dopo. Alla sua uscita, le danze dei contadini riprendono con due divertissement, posti al di fuori dell'intreccio. La festa continua con scherzi e balli del giullare di corte. Gli ospiti rientrano nel castello ed il principe Siegfried e i suoi amici decidono di andare a caccia e imbracciato l'arco s'inoltrano nella foresta. Appare il secondo tema del cigno, più precisamente della "fanciulla cigno".

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Atto II
Sulle acque di un lago nuotano i cigni, in realtà bellissime fanciulle stregate dal malvagio mago Rothbart, che possono assumere forma umana solo la notte. Siegfried e i suoi amici li contemplano sotto la luce della luna. Questo numero, ideato come entr'acte, divenne in seguito un tableau scenico. I cacciatori prendono la mira, ma proprio in quel momento i cigni si trasformano in fanciulle. La loro regina, Odette, narra al principe la loro triste storia, e spiega che solo una promessa di matrimonio fatta in punto di morte potrà sciogliere l'incantesimo che le tiene prigioniere. Siegfried, stregato dalla bellezza di Odette, la implora di prendere parte al ballo del giorno dopo, in cui egli dovrà scegliere una sposa. Ha inizio un divertissement, parte essenziale dell'intreccio, composto dalle danze delle fanciulle cigno e da un pas d'action, la cui musica è tratta dall'opera giovanile Undine, dove Siegfried e Odette si giurano eterno amore. È l'alba, e le fanciulle si ritrasformano in cigni.

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Atto III: Il cigno nero
Nella sala da ballo del castello entrano gli invitati, accolti dalla Regina Madre e da Siegfried. Iniziano i festeggiamenti. Gli squilli di tromba annunciano l'arrivo delle sei ragazze aspiranti pretendenti del principe. Siegfried si rifiuta di scegliere, quand'ecco che uno squillo di tromba annuncia l'arrivo di nuovi ospiti.
Si tratta del mago Rothbart e della figlia Odile che, grazie a una magia del padre, ha assunto l'aspetto di Odette. L'intento del mago è quello di far innamorare Siegfried di Odile, in modo da mantenere per sempre Odette in suo potere. La musica espone il tema del fato, e il motivo della “fanciulla cigno” suggerisce la somiglianza tra Odette e Odile, che il pubblico può comunque distinguere dal costume, che nel caso di Odile è nero. Ciascuna ragazza balla una variazione per il principe. Seguono una serie di danze nazionali.
Con il suo fascino, Odile è riuscita a far innamorare Siegfried, che la presenta alla madre come sua futura sposa e regina. Rothbart esultante si trasforma in una civetta e fugge dal castello, che piomba nell'oscurità fra l'orrore degli invitati.
Siegfried, resosi conto dell'inganno, scorge la vera Odette attraverso un'arcata del castello, e disperato si precipita nella notte alla ricerca della fanciulla.

Atto IV
Odette, morente, piange il destino crudele che la attende. Siegfried arriva da lei tentando di salvarla, ma una tempesta si abbatte sul lago e le sue acque inghiottono i due amanti. La bufera si placa e sul lago, tornato tranquillo, appare un gruppo di candidi cigni in alto volo.

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Finali alternativi del balletto
Dopo la Rivoluzione del 1917, ma soprattutto nel periodo stalinista, anche i protagonisti dei balletti dovettero in qualche modo essere assimilati al concetto di eroi positivi. Proprio per aderire a questa nuova filosofia, il finale del balletto venne modificato. Nella versione di Vladimir Bourmeister del 1953, dopo un combattimento tra Rothbart e Siegfried, questo riesce a sconfiggere il mago e Odette riprende le sue sembianze umane potendo così vivere il proprio sogno d'amore con il principe.
Esistono molte altre versioni della scena finale originale (1877) del balletto come è stata qui sopra riportata, giusta la lezione di Thomas Kohlhase e Warrack. I libretti nella versione 1877 e 1894-95 sono contenuti nell'appendice al volume 11b dell'Edizione Completa delle Opere di Čajkovskij.

Le più rappresentate sono:
Versione del 1895 di Modest Il'ič Čajkovskij:
Dopo la separazione dall'amato, Odette si getta nel lago. Il libretto del 1894/95 si conclude così: Quarta scena: lo spirito maligno vola sotto le spoglie di un gufo. Siegfried si trafigge e il gufo cade morto. Il lago scompare. - Apoteosi: un regno subacqueo: Ninfe e Naiadi salutano Odette e il suo innamorato e li portano nel tempio della felicità e della beatitudine eterna.

Odette, morente, piange il destino crudele che la attende. Siegfried arriva da lei tentando di salvarla, ma una tempesta si abbatte sul lago e le sue acque inghiottono i due amanti. Finita la bufera, le anime dei due si riuniscono in un'Apoteosi celeste.

Siegfried combatte contro il malvagio mago, ma ha la peggio. Rothbart minaccia Odette di uccidere il principe, se lui non avesse acconsentito alle sue nozze con Odile. Siegfried per amore di lei prende la spada di Rothbart e si uccide. Così facendo, il suo amore spezza l'incantesimo, i cigni ritornano fanciulle, Siegfried torna in vita e può vivere il suo sogno d'amore assieme a Odette.

Odette, costretta a rimanere un cigno per l'eternità, decide di suicidarsi gettandosi da una rupe. Siegfried in seguito decide di fare lo stesso. Questo atto di sacrificio e di amore sconfigge il potere di Rothbart. Infine al sorgere dell'alba le anime dei due amanti si riuniscono in un'Apoteosi celeste.

Il principe implora Odette di perdonarlo, rendendosi disponibile a morire con lei pur di rompere l'incantesimo. Appare allora Rothbarth che dà inizio a un duello col principe in cui il malvagio viene sconfitto, ponendo fine al suo sortilegio.

Adattamenti
Una versione-adattamento molto particolare del balletto si deve a Matthew Bourne per il Teatro Sadler's Wells di Londra (1995), che ha goduto di un grande successo nel mondo, ma anche di critiche dai "puristi". Una delle singolarità è che i cigni sono interpretati da ballerini maschi. Fra i tanti riferimenti del soggetto manipolato, ve ne sono anche all'uomo Čajkovskij, allusione del resto usata da altri coreografi, anche in Italia recentemente, Paul Chalmer, 2011, MaggioDanza.

Il 26 novembre 1999 debutta a Lecce la versione del coreografo italiano Fredy Franzutti per la sua compagnia, il Balletto del Sud. La produzione, che replica in numerosi festival e teatri italiani, è subito lodata da Vittoria Ottolenghi nel proprio libro Mi è caduta la danza nel piatto (2008) [senza fonte]. Franzutti propone delle analogie tra il personaggio di Sigfried e Ludvig II di Baviera che, nel periodo della composizione, venne dichiarato pazzo e deposto. Il demone Rothbart chiede l'anima del ragazzo in cambio di una vita senza responsabilità e di duratura bellezza (tramutarsi in cigno). Il gruppo di cigni prigioniero dell'incantesimo di metamorfosi è, per Franzutti, costituito da ragazze e ragazzi che hanno accettato il patto.

Il 2 dicembre 2011 debutta a Stoccolma una riscrittura audace del classico di Čajkovskij a firma di Fredrik Rydman –uno dei membri della Bounce Streetdance Company– che miscela danza classica e street dance con brani originali di musicisti pop e rock. Swan lake reloaded è ambientato nel presente, con i cigni che sono prostitute drogate, vestite con pellicce bianche e con stivali di vernice nera, sottomesse dal protettore/pusher Rothbart. Dopo Stoccolma lo spettacolo ha registrato successi nei teatri di Londra, Parigi, Berlino, Zurigo. Il 17 marzo 2014 debutta in Italia al Teatro degli Arcimboldi di Milano.
 
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LO SCHIACCIANOCI

Lo Schiaccianoci è un balletto con musiche di Piotr Ilič Čaikovskij, il quale seguì minuziosamente le indicazioni del coreografo Marius Petipa e, in seguito, quelle del suo successore Lev Ivanov.
Il balletto, commissionato dal direttore del Teatro di Mosca su richiesta specifica dei regnanti russi, divenne immediatamente la più popolare opera messa in scena nel periodo natalizio.
La storia deriva dal racconto Lo Schiaccianoci e il Re dei Topi di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1816).

Storia del Balletto
Piotr Ilič Čaikovskij compose le musiche del balletto tra il 1891 e il 1892.
La prima rappresentazione, che si tenne insieme alla prima dell'opera Iolanta dello stesso Čaikovskij, ebbe luogo il 18 dicembre 1892 presso il Mariinsky Theatre di San Pietroburgo, Russia. Fu condotta interamente dal compositore italiano Riccardo Drigo e coreografata dal ballerino russo Lev Ivanov: questa esecuzione tuttavia ne limitò il successo.

Tra gli interpreti di questa prima esecuzione spiccano l'italiana Antonietta Dell'Era, nel ruolo della Fata Confetto, il russo Pavel Gerdt, Olga Preobrajenska e il giovane Nicolaj Legat. Da ricordare che il ruolo di Clara era interpretato da una bambina della scuola di ballo del teatro Mariinsky.

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La suite, che ne derivò dal balletto, divenne molto popolare nell'ambiente dei concerti, tanto che lo stesso Čaikovskij decise di estrarne sette movimenti.

Una novità presente in quest'opera è la presenza di uno strumento che fu visto per la prima volta dal compositore a Parigi: la Celesta. Tchaikovsky lo volle assolutamente inserire nell'opera e lo aggiunse in alcuni passaggi del secondo atto.

Alcune versioni diverse
Dopo la prima esecuzione di Ivanov vanno ricordate quelle riviste da Gorskij nel 1917 e da Lopukhov nel 1929.

Nel 1934 al Mariinsky (Kirov) Ballet and Opera theatre venne inscenata l'edizione di Vassilij Vajnonen (il ruolo di Clara veniva a coincidere con quello della Fata Confetto) e sempre nello stesso anno ci fu il debutto europeo del balletto, in mese Giugno al Sadler's Well di Londra, riprendendo la coreografia di Ivanov.

In Italia arrivò solamente quattro anni dopo la prima rappresentazione, nel 1938, alla Scala di Milano, coreografata da Margherita Froman.

Gli anni successivi videro numerose versioni differenti del balletto, tra le quali quelle di Boris Romanov, Frederick Ashton e quelle di Nicholas Beriozoff. La rivisitazione più particolare fu quella di Georges Balanchine che nel 1954 decise di dividere il balletto in due parti, seguendo la trama originale: la realtà e il sogno. Questa versione fu poi rappresentata dal New York City Ballet.

Lo Schiaccianoci moderno
Lo Schiaccianoci è stato ripreso più volte dal cinema, dal teatro e anche dallo sport, soprattutto le sue musiche e la sua trama.
Un esempio cinematografico è il film Fantasia della Disney, in cui fate, funghi animati e pesci danzano al ritmo delle note della suite dello Schiaccianoci.
Ad ogni modo, la partitura musicale di Čaikovskij è stata riproposta fedelmente. Questo non è accaduto però in molte rappresentazioni allestite di recente. Il balletto originale infatti dura solamente novanta minuti, quindi è più breve rispetto al Lago dei cigni o a La bella addormentata. In queste rappresentazioni i compositori omettono brani, li riordinano o addirittura aggiungono brani tratti da altre opere, creando solamente confusione nella suite.
Nel 1983 infatti, ne Lo Schiaccianoci: Fantasia su Ghiaccio, un adattamento televisivo per uno spettacolo di pattinaggio su ghiaccio, le musiche originali sono state riordinate secondo un'altra scaletta e sono state aggiunto poi musiche di un altro compositore russo, Mikhail Ippolitov-Ivanov.

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L'attuale popolarità de Lo Schiaccianoci è in parte dovuta a Willam Christensen, fondatore della compagnia San Francisco Ballet, che importò il lavoro negli Stati Uniti nel 1944. Il successo del balletto e la coreografia di George Balanchine per la sua prima rappresentazione nel 1954 creò una vera e propria tradizione invernale nelle rappresentazioni dell'opera negli Stati Uniti
Il libretto è tratto da un racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann ma non nella sua forma originale, perché sembrerebbe troppo cruenta. Il racconto ripreso dal libretto dunque si basa su una revisione meno cruenta di Alexandre Dumas. Qui verrà analizzata la versione originale del balletto, quella di Marius Petipa.


Trama
È la vigilia di Natale e Clara festeggia l'evento assieme alla sua famiglia. Durante la festa, il padre invita anche lo zio che dà a Clara uno schiaccianoci di legno. La giovane chiede spiegazione al giocattolaio, il quale le racconta una meravigliosa e triste storia sulla vera natura di quel "principe da bambola": lo schiaccianoci in realtà non è altro che suo nipote Hans, trasformato per vendetta dalla Topo-Regina. Sebbene quest'ultima sia ormai morta, l'incantesimo continuerà ad imprigionare Hans nelle sembianze di uno schiaccianoci sinché il giovane non distruggerà il Topo-Re, figlio superstite della crudele Topo-Regina, e non verrà incoronato sovrano del Paese delle Bambole insieme ad una gentile fanciulla che lo saprà amare a dispetto del suo aspetto. Quella stessa notte, quando ormai tutti dormono, Clara scende nel salone di casa per vedere lo schiaccianoci. In quel momento però zio Drosselmeyer, nelle vesti di mago-fantasma, dà vita a tutte le bambole di Clara, schiaccianoci compreso, perché combattano contro Topo-Re e i topi suoi sudditi, giunti sin lì proprio per distruggere lo schiaccianoci. Sebbene la lotta sembri volgere a favore delle bambole, l'intervento di Clara sarà determinante per salvare la vita allo schiaccianoci, caduto in un tranello del re dei topi. Clara tuttavia perde conoscenza a causa di una caduta e il giorno successivo nessuno sembra credere alla sua storia, fuorché zio Drosselmeyer che tuttavia non ammette nulla esplicitamente. Quella stessa notte il Topo-Re, che ha svegliato Clara proprio nella sua stanza, sfida a duello lo schiaccianoci: ancora una volta quest'ultimo sarà messo alle strette dalle sleali astuzie del topo, ma stavolta a salvarlo sarà Pantalone, un coraggioso soldato-giocattolo. Purtroppo il nobile gesto costerà caro al veterano che verrà ferito dal Topo-Re. Alla fine del duello lo schiaccianoci avrà la meglio e il corpo del re dei topi sembra cadere morto. Non resta altro da fare che incoronare lo schiaccianoci "Principe delle Bambole" e per farlo bisogna andare nel regno di queste ultime, attraverso una porta magica all'interno di un castello-carillon. Clara, complice la magia di zio Drosselmeyer, diventa piccola quanto i suoi amici e può accompagnarli in questo viaggio. Dopo un volo a dorso di cigno, Clara e lo schiaccianoci giungono in un castello di dolci, dove lo schiaccianoci è acclamato principe dai suoi sudditi. Questi allora, dopo aver danzato con Clara, le dichiara il suo amore e le chiede di essere la sua principessa. Sebbene innamorata la giovane rifiuta: il suo posto non è tra le bambole, ma con la sua famiglia nel mondo degli esseri umani. A quelle parole tutte le bambole, lo schiaccianoci compreso, s'irrigidiscono e perdono vita. Clara, disperata, prova a motivare le sue ragioni e, sebbene lo schiaccianoci sembri comprenderla, nulla può ormai fermare la "magia della normalità" che riporta le bambole alla loro condizione di fantocci inanimati. Proprio allora compare il Topo-Re, ferito a morte, ma giunto sin lì deciso quanto meno ad uccidere Clara prima di morire a sua volta. Lo schiaccianoci, ormai senza vita, non può aiutare la sua amata Clara e il Topo-Re alla fine precipitano da un balcone del palazzo, ma mentre la prima riesce ad aggrapparsi alla ringhiera e a salvarsi, il secondo invece precipita in mare e muore. Le bambole del palazzo e lo schiaccianoci spariscono e Clara, che continua ad invocare inutilmente il suo amato, viene a sua volta circondata dalla nebbia per poi svegliarsi all'improvviso nel suo letto quando il sole è ormai alto. Confusa perché non sa spiegarsi se l'avventura vissuta sia solo un sogno, la fanciulla corre alla bottega di zio Drosselmeyer, decisa ad ottenere finalmente delle spiegazioni. Qui però Clara incontra Hans, ormai tornato umano, che la saluta come se fossero vecchi amici e lei, ricambiando, lo saluta chiamandolo " principe schiaccianoci".

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view post Posted on 17/4/2023, 16:59     +1   -1
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SYLVIA

Sylvia è un balletto in due o tre atti su musica di Léo Delibes. La prima di questo balletto fu rappresentata il 14 giugno del 1876, con le coreografie di Louis Mérante. I danzatori furono: Rita Sangalli, Louis Mérante, Marco Magri, Marie Sanlaville, Louse Marquet.
Le origini di questo balletto risalgono al poema Aminta di Torquato Tasso del 1573.
Sylvia viene considerato un balletto classico, e costituito da un'ambientazione mitologica e da una partitura musicale del tardo diciannovesimo secolo che conferisce al balletto un’antica atmosfera. Tutto questo lavoro è considerato molto innovativo per il suo tempo e la musica ancora oggi risulta magnifica per la sua grandezza.

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Quando Sylvia esordì nel 1876 all’Opéra Garnier, il balletto non raccolse il clamore del pubblico per ben sette allestimenti, ma nel 1952 il coreografo Frederick Ashton propose un nuovo allestimento del balletto e il successo non tardò ad arrivare.

La compagnia dell'Opéra di Parigi, scelse il libretto di Jules Barbier e Baron de Reinach e le coreografie vennero affidate a Louis Mérante, che venne scelto proprio per la sua grande esperienza.
Il ruolo di Sylvia venne affidato alla prima ballerina Rita Sangalli, che viene ricordata per la sua magnifica interpretazione.
Ma nel 1952 Frederick Ashton coreografò nuovamente il balletto cercando di ispirarsi per il ruolo della protagonista alla ballerina Margot Fonteyn con la quale aveva già lavorato in passato, Margot Fonteyn interpretò il ruolo di Sylvia.
Nell’anno 2004 il San Francisco Ballet mise in scena la nuova produzione del balletto e questa fu la prima volta che Sylvia venne proposto nei confini americani. Ma questo allestimento non seguì la coreografia di Ashton, ma bensì la produzione originale di Mérante del 1876 e fu curata dal coreografo Mark Morris. Successivamente la compagnia ripropose il balletto il 21 Aprile 2006 ottenendo un grande successo come i precedenti.
Nel 2004 il Royal Ballet eseguì la produzione visto anche la ricorrenza del centenario di Frederick Ahton.
Durante le varie rappresentazioni danzarono diversi artisti tra i quali ricordiamo Darcey Bussell, Jonathan Cope, Marianela Nunez, Rupert Pennefather.
L'ultima produzione al Metropolitan Opera Houese il 4 giugno 2005 vede come protagonisti Paloma Herrera, Angel Corella, Jesus Pastor, Craig Salstein e Carmen Corella. Questo allestimento del coreografo Newton fu più corto rispetto all’originale, infatti venne eseguito solo con due atti

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1° Atto
La prima scena del balletto inizia con un momento di culto in cui delle giovani creature della foresta danzano davanti ad Eros. Aminta, un pastore arriva interrompendo il rituale e mentre danza per esprime il suo amore per la ninfa Sylvia devota alla dea Diana, lascia ai piedi della statua il suo mantello.
Sylvia arriva sul luogo seguita da un seguito di sue cacciatrici e con fare canzonatorio si prende gioco del dio dell’Amore. Le ninfe scoprono il mantello precedentemente lasciato da Aminta e Sylvia ordina loro di prendere il pastore. Portato davanti a lei, lui le dichiara il suo amore, ma Sylvia lo respinge puntandogli l’arco. Poi prendendosela con Eros che infiamma il cuore degli uomini gli scaglia una freccia contro, ma Aminta per proteggere la divinità viene colpito, allora Eros tira con l’arco una freccia verso Sylvia che viene colpita e si allontana dalla scena. Il pastore ancora sofferente riesce ad alzarsi, ma per il dolore si sdraia ai piedi della statua.
Anche un altro cacciatore Orion che era nascosto e stava osservando tutta la scena, si scaglia contro il pastore Aminta gettandolo a terra, ma sentendo l’avvicinarsi di qualcuno si allontana. Sopraggiunge nuovamente Sylvia che crede di aver ucciso Aminta, ed è pentita del gesto, ma anche confusa, infatti la freccia di Eros ha raggiunto il suo scopo facendola innamorare del pastore.


Sylvia gli si avvicina e gli prende la mano e poi mentre si sta allontanando viene rapita da Orion. Tutti i popolani sono addolorati per Aminta, ma ad un certo punto appare una figura misteriosa vestita di grigio. I contadini credendolo un mago gli chiedono di salvare Aminta. L’uomo riesce ad animarlo grazie ad un fiore e poi gli rivela che Sylvia è stata rapita da Orion. Tra lo stupore di tutti Eros rivela la sua vera identità e riprendendo il suo posto indica con il braccio la via che il pastore dovrà seguire per salvare la sua amata.

2° Atto
Mentre è tenuta prigioniera da Orion, Sylvia viene tentata dallo stesso con gioielli e vino, ma senza grande successo. Sylvia che ha custodito la freccia con cui ha colpito Aminta, è rattristata. Orion gliela ruba e Sylvia decide di farlo ubriacare fino a fargli perdere i sensi, così potrà fuggire.
Sylvia mette in atto il suo piano e vestita da odalisca danza in modo molto sensuale. Orion credendo di aver raggiunto il suo scopo cerca di unirsi alla ninfa, ma ormai ubriaco è confuso e Sylvia lo getta sul suo giaciglio, recuperata la freccia chiede aiuto invocando Eros.
Il dio dell’amore la rassicura e al suo comando la caverna si apre mostrando la nave che la porterà in salvo. Eros invoca l’immagine di Aminta che lo attende al tempio di Diana e i due salgono a bordo.

3° Atto

Davanti al tempio di Diana sta per avere inizio una festa dedicata a Bacco. Arrivano varie figure mitologiche tra cui Cerere e Giasone, Proserpina e Plutone, e poi è la volta delle muse guidate dalla dea Tersicore e in ultimo Apollo. Tutti omaggiano il dio Bacco e si uniscono a danze frenetiche.

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Aminta danza e chiede di Sylvia, ma nessuno sa rispondergli. Ad un certo punto giunge una nave da cui sbarcano otto fanciulle con una donna velata ed Eros. Dopo un breve assolo toglie il velo alla donna ed appare Sylvia, Aminta vorrebbe avvicinarsi, ma Eros lo ferma ed esegue una danza con le fanciulle. Poi conduce i due innamorati al centro, mentre tutti sono felici e gioiosi. Seguono varie danze, tra cui anche il passo a due dei due giovani innamorati. Ma l’idillio viene interrotto dall’arrivo di Orion, che dopo aver separato i due innamorati si getta su Aminta. Sylvia cerca di nascondersi nel tempio di Diana, ma Orion tenta di raggiungerla. Diana allora esce minacciosa con in mano un arco e scaglia una freccia mortale contro di lui. Diana manifesta poi la sua ira verso la ninfa per essersi innamorata, Sylvia chiede indulgenza, ma la dea ribadisce il suo veto a quella storia. Compare così nuovamente il mago che rievoca una scena ricordando a Diana il suo amore giovanile per Endimione. Il mago riprende le sembianze di Eros e la dea ormai convinta richiama i due innamorati per benedire la loro unione.
Tutti riprendono a danzare omaggiando Diana e Eros.
 
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