LA BELA ROSIN Rosa Vercellana era già conosciuta come la bela Rosin quando ebbe la ventura di incontrare Vittorio Emanuele, allora ventisettenne erede al trono, tutto dedito alla caccia, gli sport, le attività militari e la ininterrotta conquista di fanciulle. Bella, Rosa lo era davvero: foltissima capigliatura bruna e corpo rigoglioso, era il genere di bellezza ruspante che si può incontrare nei villaggi di campagna; fu amore a prima vista. C’era il piccolissimo particolare che lei, a dispetto della sua aria matronale, non aveva che quattordici anni: un po’ pochi, dato che nel regno di Savoia l’età minima per il matrimonio, e si suppone per altre attività ad esso connesse, erano i sedici anni. Però, diciamocelo: essere l’erede al trono conterà pur qualcosa, no? Vittorio Emanuele non ci pensò due volte: dimenticò il fatto di essere sposato con la principessa Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena e si tuffò a capofitto nella nuova avventura. In genere, le storielle del futuro sire avevano vita molto breve: il più delle volte erano il classico una sveltina e finita lì. La fanciulla riceveva poi una bella somma come dote, che avrebbe fatto sì che il futuro sposo non facesse troppe storie. All’epoca, si sosteneva che un re onorasse le giovani donne con le sue attenzioni; benissimo, Vittorio Emanuele onorava, e onorava parecchio. Con Rosa, la faccenda fu diversa: il principe continuava a onorare, altro che una volta e basta! La famiglia di lei comunque si diede da fare per trovare al più presto un marito compiacente cui far sposare la figliola non appena Sua Altezza avesse deciso di cambiar programma. Si trovò un ufficialetto disposto al matrimonio, previa ovviamente congrua dote; ma Vittorio Emanuele, uomo dalle rapide decisioni, intervenne. Promosse l’ufficialetto spedendolo in Sardegna, e si portò Rosa in un alloggio vicino a Stupinigi. Oltretutto, la fanciulla era pure incinta del primo dei loro due figli. Possiamo immaginare la felicità di Maria Adelaide, nell’avere l’amante del marito a breve distanza dalla reggia: vera Asburgo, la poveretta diede prova di grandissima dignità, e non fece un plissé. Rosa non era affatto amata a corte. Era ritenuta grassa, volgare, di gusti popolani, per giunta era semianalfabeta: Cavour soprattutto fece forti pressioni perché il re la lasciasse. Vittorio Emanuele poteva essere un donnaiolo inveterato, ma a modo suo era fedele. Rosa, schietta, popolana, capace di coccolarlo e viziarlo con ottimi manicaretti era la sua donna ideale, e l’amò tutta la vita – santo cielo, la riempì di corna, naturalmente, ma con uno come lui c’era da aspettarselo. Poi erano scenate da far schizzare le tegole di casa, ma si concludevano sempre in turbinose riappacificazioni, e ai due evidentemente le cose andavano bene così. Quando la povera Maria Adelaide tolse il disturbo e volò al Cielo, Vittorio Emanuele respinse qualsiasi proposta di nuove nozze: l’erede al trono c’era, c’era pure un secondo figlio maschio, la successione era salva, lui aveva fatto il suo dovere. Com’era suo carattere, mandò al diavolo tutti e soprattutto Cavour, e si sposò morganaticamente la sua donna: la bela Rosin non sarebbe mai diventata regina, i suoi figli non potevano ambire al trono, ma era finalmente diventata sua moglie. Cavour e gli altri denigratori masticarono amaro, ma dovettero rassegnarsi.
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