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Traduzioni, Follie varie...

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view post Posted on 23/11/2015, 18:23     +1   +1   -1
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Grand Pez di Girella

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Fine carriera pre-natalizia
Racconto satirico


Qualche giorno fa tornando a casa incontrai in cortile il nostro vicino Rolando, insieme al suo figlioletto di sei anni.
“Un attimo!” mi chiese ed estrasse un pezzo di panpepato dalla tasca.
“Oh, grazie,” risposi e feci per prenderlo.
“Non è per te!” sbottò Rolando irritato e diede il dolce a suo figlio. Lui se lo infilò in bocca, quindi si girò e fece per defilarsi. Il padre lo acchiappò per il cappuccio del giaccone.
“Gianfilippo!” disse Rolando. “Il tuo testo. Per favore!”
Gianfilippo biascicò qualcosa di incomprensibile in direzione dei suoi stivali.
“Molto bene,” lodai, perchè a quanto pare i due se lo aspettavano, e mi volsi per andare a fare la spesa.
“Un attimo, per piacere,” mi chiese Rolando. “Gianfilippo sa fare di meglio. Non è vero, Gianfilippo?”
Gianfilippo fece una smorfia, ma suo padre non mollava la presa.
“Gianfilippo! Il tuo testo, un’altra volta,” comandò. “Forte e chiaro! Per favore!”
“Una stella...” balbettò Gianfilippo. “Una stella!”
“Bravissimo!” lodai. “Scusate, ma ho fretta di acquistare qualcosa.”
Quando ritornai i due mi aspettavano in entrata vicino allo scalone.
“Fuori cominciava a fare troppo freddo,” spiegò Rolando. “E Gianfilippo vuole recitare ancora una volta il testo per te. Sai, ha bisogno di pubblico per essere davvero bravo.”
Rolando diede a suo figlio un’altro pezzo di panpepato.
“Concentrati, Gianfilippo!” disse. “Per favore!”
Gianfilippo diede un morso al dolce, deglutì e si inginocchiò. “Una stella,” declamò, lo sguardo afflitto indirizzato alla lampada dell’atrio, “una stella!”
“Bravissimo!” esclamai. Quindi aggiunsi, nel silenzio pieno di aspettative che seguì: “Di cosa si tratta?”
“E’ per la rappresentazione del presepe vivente a scuola,” disse Rolando. “Certamente ne hai sentito parlare, sarà una gran cosa. Il regista è un vero professionista. E Gianfilippo ha il ruolo più importante di tutta la rappresentazione. A ragione, come hai già visto, con il gran talento che ha...”
“Chi interpreta?” chiesi cortesemente. “Giuseppe?”
“No,” rispose Rolando.
“Gesù Bambino?” domandai, cominciando a rompermi la testa e a imprecare segretamente perché l’ascensore non arrivava. “Erode? Pinocchio?”
“Non scherzare,” sorrise Rolando. “Il suo è il ruolo chiave di tutta la rappresentazione. L’uomo senza il quale tutta la storia della cristianità, l’intera storia umana si sarebbe svolta diversamente: il pastore!”
“Quale pastore?” domandai irritato.
“Il pastore, no!” esclamò Rolando. “L’uomo che vide la cometa sopra alla stalla di Betlemme. Senza questo pastore, senza nostro figlio, nessuno al mondo si sarebbe accorto che il Redentore era nato!”
Feci finta di essere molto impressionato.
“Deve imparare molto testo?” chiesi.
“Il testo lo sa a perfezione, come hai appena potuto constatare,” disse Rolando e ci spinse tutti e tre nella cabina dell’ascensore. “Stiamo solo rifinendo l’interpretazione. Lo sanno tutti che per un attore è la parte più dura del lavoro.”

Un paio di giorni dopo incontrai ancora Rolando e suo figlio sulle scale. Volevo svignarmela, ma Rolando mi fermò.
“Vuoi ascoltarlo ancora?” mi chiese e tirò fuori il panpepato.
“Naturalmente,” risposi a malavoglia.
Gianfilippo diede un morso al panpepato, masticò e quindi si inginocchiò sul pianerottolo. “Una stella!” esultò. “Una stella!”
“Ebbene?” domandò Rolando.
“Molto espressivo,” risposi. “Ma perché mangia sempre panpepato prima di declamare?”
“Fa parte del ruolo,” rispose Rolando. “Il pastore si accingeva a cenare quando si è accorto della stella.”
“Siete sicuri che il pastore stesse mangiando un panpepato?” domandai.
Rolando sospirò con impazienza.
“Probabilmente no. Ma a Gianfilippo non piace il pane semplice, allora il regista ha deciso di optare per il panpepato. Gli siamo molto grati e lo abbiamo già invitato a cena tre volte, anche se rutta e si pulisce le mani con la tovaglia. Venerdì viene da noi un’altra volta.”
“Con quelle pessime maniere?” domandai.
Rolando mi guardò incredulo.
“Non capisci?” mi chiese. “E’ il regista! Se ce lo facciamo amico fino alla rappresentazione forse permetterà a Gianfilippo di avvicinarsi al pubblico ancora di uno o due passi. O gli permetterà di dire qualche parola in più per sottolineare l’importanza del suo ruolo.”

La prossima volta incontrai Rolando e suo figlio vicino ai bidoni per le immondizie. A mia richiesta Gianfilippo non dovette inginocchiarsi sul lastricato per recitare ma ottenne il permesso di rimanere in piedi. Notai che la sua pronuncia era molto migliorata. Però c’era qualcosa di strano.
“Come mai ha un tappo di sughero in bocca mentre parla?” domandai.
“Un vecchio trucco degli attori per migliorare la pronuncia,” mi spiegò Rolando. “Ho acquistato dei DVD per l’allenamento linguistico registrati da attori professionisti. Scusami ma dobbiamo continuare. Ho preso delle vacanze apposta.”

Quando entrai nell’ascensore la settimana dopo trovai Gianfilippo che sonnecchiava appoggiato alla parete. Sembrava piuttosto ingrassato. Quando gli tolsi il tappo dalla bocca lo morse automaticamente e si inginocchiò con lo sguardo volto verso l’alto.
“Una stella!” esclamò con voce sonora. “Una stella!”
“Ottimo, Gianfilippo,” lo applaudii. “Credo che l’esercitazione basti ormai.”
“Il mio allenatore la vede diversamente,” disse Gianfilippo. “E mio padre dice che mi potrò riposare solo dopo la rappresentazione.”
“Il maestro lo ha aspettato per un’ora,” mi disse Rolando scuotendo la testa dopo che avevo accompagnato il suo sbadigliante figlio alla porta di casa. “Queste lezioni di recitazione ci costano troppo se continua a dimenticarle per il sonno!”
A quel punto domandai a Rolando se forse non stava pretendendo un po’ troppo da suo figlio.
“Al contrario,” disse Rolando. “Con il suo enorme talento gli serve un vero professionista come maestro. Noi vogliamo solo il meglio per nostro figlio.”
“Sei sicuro che tutto questo sia necessario?” gli domandai.
“Non capisco,” disse Rolando. “Ti aspetti forse che permettiamo a uno degli altri scolari di sorpassarlo? Che un’altro scriva i voti migliori? Finisca meglio la maturità, scriva un diploma, un dottorato migliore? Per poi alla fine portargli via l’impiego migliore?!”
“Ma Rolando, si tratta solo di dire due frasi per un presepe vivente!” osai dire.
Rolando boccheggiava.
“E allora?” esclamò. “I genitori di Luigi si stanno esercitando con loro figlio sin dalla fine delle vacanze estive. La madre di Elisa adesso lavora solo metà giornata anche se Elisa è la Madonna e non deve spiccicare una parola. E i genitori di Torben hanno prenotato per lui un corso in un Actor’s Studio a Los Angeles - interpreta Giuseppe e ha tre frasi intere.”
“Sono tutti matti,” commentai.
“No,” corresse Rolando. “Matti sono i genitori di Alain. Alain interpreta uno dei Re Magi, ma i genitori vorrebbero un ruolo singolo per lui.”
“Allora?”
“Vogliono che ci sia un solo Re, cioè lui!” mi spiegò Rolando impaziente. “Prima hanno invitato il regista a fare le vacanze a Mallorca. Lui ci è andato, ma dopo si è ancora rifiutato di riscrivere il testo con un ruolo per il solo Alain - perché a quanto pare secondo la Bibbia non va. Adesso la madre di Alain, che è responsabile per il rinfresco, tenta di irritare gli altri due Re con commenti maligni durante le prove. E suo padre ha offerto ai due una discreta sommetta se si ammaleranno il giorno prima della rappresentazione.”
Cercai di fuggire in direzione del nostro appartamento, ma Rolando mi bloccò.
“In questo riguardo volevo ancora chiederti un consiglio,” mi disse. “Forse sai già che nella rappresentazione c’è un angelo che parla al pastore. Lo interpreta un certo Giuliano, ma in maniera così dilettantesca che temiamo che possa influenzare negativamente l’interpretazione di Gianfilippo, se capisci cosa intendo dire...”
“Capisco perfettamente,” dissi e lo spinsi via. “Perchè non rapite semplicemente questo Giuliano prima del fatidico giorno?”
“Ci abbiamo già pensato”, disse Rolando che mi rincorreva. “Ma negli ultimi tempi i rapimenti sono diventati la regola prima delle rappresentazioni dei presepi viventi, quindi saremmo subito i primi sospettati. Allora, se hai qualche altra idea... Fermo! Dove vai?!”

Toccò anche a me e mia moglie andare a vedere il presepe vivente, Rolando non ci aveva lasciato scelta.
L’aula era piena zeppa di genitori e altri parenti, tutti con lo sguardo fisso al palcoscenico e le labbra che si muovevano in silenziose preghiere.
La rappresentazione non era neanche male. Fino al punto in cui Gianfilippo apparve sul palcoscenico e si inginocchiò vicino al fuoco da campo che crepitava allegramente. Tirò fuori di tasca il suo panpepato, gli diede un morso, masticò, deglutì. Alzò in alto lo sguardo e - si gettò a terra tossendo mezzo strozzato.
Rolando saltò su dalla sedia e si buttò in ginocchio per terra vicino a noi, ripetendo ancora e ancora il testo di suo figlio.
Finché mi riuscì di salire sul palcoscenico e dare a Gianfilippo qualche pacca sulla schiena perché riprendesse a respirare... aveva già cominciato a parlare l’angelo.
Rolando dice che la carriera del suo unico figlio è andata distrutta per colpa mia.



Traduzione: dicembre 2015.
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.

Edited by Delari - 25/12/2022, 18:07
 
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Grand Pez di Girella

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Delizie di Natale
Racconto satirico


Mia moglie ed io desideravamo che un giorno nostra figlia avesse bellissimi ricordi dell’usanza di preparare i biscotti natalizi: a luce di candele, intonando canzoni natalizie e con tutte le sue amichette dell’asilo.
Quando Luisa enumerò i nomi di dieci bambine ci mettemmo a ridere. Lei ululò che aveva tante amiche, e basta! Alla fine ci mettemmo d’accordo per invitare sei amichette.
“Siccome non si sa mai,” mia moglie decise di invitare anche Malin, una giovane di 25 anni che a volte fa la bambinaia per nostra figlia. “Sarò molto occupata con i biscotti, e sette bambine sono forse un po’ troppe per te,” argomentò.
Mi dichiarai subito d’accordo perché questo mi offriva la possibilità di ritirarmi nello studio a lavorare di quando in quando.
Le amichette di Luisa erano deliziate del nostro invito, i loro genitori ancora di più. I genitori di Mia decisero perfino di rinviare la partenza per la settimana bianca.
„Siete sicuri di volerlo fare?” scherzò la madre di Leonie quando il giorno designato portò da noi la figlia insieme al suo mattarellino e molte formine per i biscotti. Ci limitammo a un sorriso.
„Se non ce la fate più telefonatemi pure,” disse la madre di Mia. “Ho il telefonino sempre acceso. O preferite che resti con voi?”
Sembrava intenderlo seriamente. Le assicurammo che non era necessario. Il papà di Anna ci portò, insieme alla figlia, una bottiglia di kirsch. “Per calmare i nervi!” Scuotemmo le teste e riflettemmo che nel periodo pre-natalizio molti genitori sembrano sviluppare una tendenza all’isterismo.

Tutte e sette le bambine si sedettero intorno al nostro tavolo da cucina compostissime; con grande concentrazione spianarono l’impasto dei biscotti e si imprestarono a vicenda le formine con squisita cortesia - “Per favore, mi daresti...”
Malin e io davamo consigli riguardo alla decorazione e raccoglievamo i biscotti finiti perché non venissero mangiati tutti prima ancora di essere cotti. Mia moglie faceva la spola tra il tavolo e il forno. Feci un paio di foto dell’idilliaca scena e avvertii Sofia di non mangiare troppo impasto perché le avrebbe fatto venire il mal di pancia; quindi volevo ritirarmi per scrivere qualcosa in pace.
In questo momento Liliana corse in corridoio e tirò fuori dal suo piccolo zaino un’affare che lampeggiava e pigolava e sembrava un gameboy per i più piccoli. La scortai indietro al tavolo e lasciai discretamente scomparire il maledetto affare. Troppo tardi.
Sofia scoppiò in lacrime senza causa apparente. Maja bersagliò Leonie con una palla fatta di impasto fresco, e Leonie tentò di picchiarla. Malin faceva del suo meglio per calmare le bambine, ma ora Sofia strillava a voce altissima perché, così diceva, le altre bambine avevano fatto molti più biscotti di lei.
„Sentite, cantiamo qualcosa insieme!“ esclamai e cominciai a intonare una delle ridicole canzoncine per bambini riguardo alla gioiosa occupazione della preparazione di biscotti.
Nessuno si aggregò. Luisa e Anna avevano cominciato a giocare a chiapparello intorno al tavolo. Sofia urlava ancora, questa volta perché il suo biscotto appena finito era scomparso e sospettava che se lo fosse pappato Mia. A Maja venne in mente che doveva urgentemente andare al gabinetto e Malin la accompagnò. Liliana marciò in direzione zainetto per riprendersi l’ordigno lampeggiante.
Decisi di rinviare il lavoro a dopo, anche perché la nostra Luisa cominciò a comportarsi in maniera inusitata: saltò dal tavolo con un’urlo bestiale. Finì addosso ad Anna, che si mise a piangere e venne presa in braccio da Malin. Mia aprì il nostro frigorifero ed esclamò che adesso voleva a tutti i costi mangiare della senape e che nessuno aveva il diritto di proibirlo.
Leonie e Maja erano scomparse; le trovai nella nostra camera da letto dove facevano i salti sul letto. Mia moglie non vedeva più niente perché nel preparare la marmellata per i biscotti le si erano appannati gli occhiali. Solo Sofia era tranquilla, seduta al tavolo con espressione beata mentre mangiava un biscotto molto grande e di colorazione stranamente pallida. Mi venne in mente l’offerta di aiuto da parte della madre di Mia e per telefonarle corsi in bagno, affinché le urla delle bambine si sentissero meno.
Non rispose. In cambio misi un piede in una pozzanghera di pipì. Dopo essermi pulito il piede uscii e inciampai su Mia, che aveva in mano una forbicetta e la usava per tagliare in pezzettini la mia carta d’identità. In cucina Malin stava febbrilmente pulendo delle macchie di sangue dal pavimento. Era il sangue di Maja, che stava seduta in grembo a mia moglie e frignava a più non posso. Dal forno vidi uscire un filo di fumo nero. In quella suonò il telefono - probabilmente erano i vicini.
Non risposi, invece aprii il forno, tirai fuori la teglia con i biscotti neri e fumanti e la buttai sul balcone a raffreddare. Quindi spinsi tutte le bambine nella cameretta di Luisa, gettai dietro una manciata di biscotti commestibili e mi sedetti di guardia davanti alla porta.

Uno dopo l’altro vennero i genitori a riprendersi le figliolette. Ci lodarono esultanti e ammirarono la quantità e qualità di ottimi biscotti (che mia moglie aveva in fretta e in furia comprato dal pasticciere all’angolo).
„Ma come avete fatto?“ chiese la madre di Mia. “Quando ci abbiamo provato noi è sempre finita in una catastrofe. Per favore, dovete assolutamente ripeterlo l’anno prossimo!“
Mia moglie ed io annuimmo lusingati.
„Dite un po’“, disse il padre di Leonie, „non manca un pezzo di intonaco sul muro dietro al tavolo?“
Fu allora che mi venne in mente il biscotto grande e biancastro di Sofia. Ma non ci pensai a lungo.



Traduzione: dicembre 2015.
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.

Edited by Delari - 30/12/2015, 15:10
 
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Grand Pez di Girella

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Equivoco festivo


Padre e figlio (di forse 3 anni) davanti a un’enorme coniglietto di cioccolato.

FIGLIO pigola: Babbo Natale...
PADRE: Eh eh, che buffo il piccoletto! Eh eh, no, non si tratta di Babbo Natale, quello è un coniglio pasquale, eh eh.
FIGLIO: Babbo Natale...
PADRE: Eh eh, no, non è Babbo Natale, sai, adesso siamo a primavera. Adesso non è più inverno, sai, eh eh.
FIGLIO: Babbo Natale...
PADRE: Ma no, eh, questo è un coniglietto, il Coniglietto di Pasqua, vedi che ha le orecchiette? Fra qualche settimana porterà gli ovetti al bimbo, eh.
FIGLIO: Babbo Natale...
PADRE: Senti, ma no, veramente, questo non è, ehm, Babbo Natale, è il Coniglietto di Pasqua, non è Babbo Natale, mi capisci, vero?
FIGLIO: Babbo Natale...
PADRE: Ma insomma, no, ascoltami, se te lo dico io, questo non è Babbo Natale, è il Coniglietto di Pasqua, no. Capisci adesso?
FIGLIO: Babbo Natale...
PADRE: Discolaccio impertinente, come faccio a spiegartelo? Ma guarda che roba, ancora un po’ e ti do una sberla, eh.
FIGLIO: Babbo Natale...
PADRE: Ma porc...! Ma è mai possibile, adesso continua a contraddirmi, eh. Ma vuoi ascoltarmi una buona volta, io continuo a dirtelo che non è Ba... Bab... cioè, volevo dire, coniglietto, ehm...
FIGLIO: Babbo Natale...
PADRE: No, non è Babbo Natale!! Insomma!, questo bimbo quando si mette una cosa in testa non c’è verso di cavargliela, ma guarda te...
FIGLIO con vocetta sempre più fioca: Babbo Natale...
PADRE urla: Ma basta, non se ne può più!! Ragazzaccio della malora, ma capiscilo una buona volta, questo non è Babbo Natale, è il Coniglietto di Pasqua, mi capisci, co-ni-gliet-to!!!
FIGLIO con vocetta sempre più triste: Babbo Natale...


Traduzione: dicembre 2015.
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.



Per i commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=71738486

Edited by Delari - 12/10/2016, 22:51
 
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Ma lascialo!
Racconto satirico


“Attento,” mi disse mia moglie mentre a colazione volevo prendere una seconda fetta di pane. “Stasera c’è il cenone di Natale dai miei genitori!”
Riposi subito il pane.
“Ma devo proprio venire?” domandai. “Proprio tutte le volte? Non posso magari... essere malato?”
Lei mi sorrise. “Parli come un bambino.”
“E’ così che mi sento quando vengo a mangiare dai tuoi,” risposi. Ma mia moglie non mi ascoltava perché era occupata a bere litri di acqua per allargare lo stomaco prima di sera.

I miei suoceri si mostrarono visibilmente contenti di vederci.
“Questa volta ho preparato una cena molto leggera,” disse mia suocera dopo il liquorino di benvenuto, mentre gettava dalla coda dell’occhio uno sguardo sofferto in mia direzione. “E per essere sicuri che vi basterà, come primo c’è una bella zuppa di gamberi.”
Sulla tavola da pranzo si trovavano quattro piatti fondi grandi come insalatiere. Mia suocera portò l’enorme pentola dalla cucina e si accinse a riempirli fino all’orlo nonostante le proteste del marito e della figlia.
“Suvvia,” disse, “questa zuppa è ottima. Una vecchia ricetta di famiglia! La preparo solo a Natale.”
“Solo poca per me,” dissi quando fu il mio turno. “Ho il mal di stomaco.”
“Deve essere la fame,” rispose mia suocera e versò la prima mestolata nel mio catino. La zuppa era così densa che in qualsiasi ristorante sarebbe passata per un gulasch.
“Grazie, basta così,” dissi dopo la secondo mestolata.
“Stai scherzando,” sorrise mia suocera e riempì la terza mestolata con un supplemento di gamberi. “Questa zuppa è leggerissima e ben digeribile. Non se ne può mangiare troppa.”
“Ma a me basta veramente,” insistii. “Altrimenti non ce la faccio a mangiare il secondo. Lo giuro, dopo questa zuppa di gamberi dovrò mettere via il cucchiaio perché sarò già pieno!”
Mia suocera mi guardò sopra il bordo degli occhiali.
“Ma dài,” disse quasi offesa e rovesciò la terza mestolata nel mio catino. “Sei così magro, ti farà bene mangiare qualcosa.”
“No, grazie,” risposi costringendomi a mantenere la calma. “Non desidero altra zuppa. Non ce la faccio, è tutto. Il mio stomaco non è un secchio da dieci litri!”
Inesorabilmente, mia suocera riempì ancora il mestolo.
“Mamma!” disse mia moglie severamente. “Non hai sentito? Ne ha abbastanza.”
“Ma sono sicura che non è vero. Un’uomo grande e grosso deve nutrirsi bene. O forse ha paura che la mia Zuppa di Gamberi Natalizia non gli piaccia?”
“Non è quello,” protestai. “Sono sicuro che la zuppa è ottima. E’ solo la quantità. Non ce la faccio a mangiare tanto!”
Ma mia suocera non ascoltava. Con un sorriso bonario agitò il quarto mestolo colmo fino all’orlo sopra al mio catino.
“Annarosa!” disse mio suocero. “Ma lascialo!”
Impassibile, mia suocera vuotò la quarta mestolata nel mio piatto.
“Ecco fatto,” disse quindi, raggiante. “Adesso vi auguro buon appetito, miei cari!”
Subito dopo il primo cucchiaio mi affrettai a dire che la zuppa era ottima, il che era perfettamente vero. Solo che il contenuto del mio catino da solo sarebbe già bastato come portata principale per quattro. Per breve tempo riflettei di mangiare quanto potevo e poi pretendere, prima della seconda portata, di dover finire qualche lavoro urgente e svignarmela a casa. In quella mi venne in mente che ci avevo già provato l’anno scorso, senza successo: mia suocera aveva messo da parte una doppia porzione del piatto principale e mi aveva costretto a mandarla giù quando eravamo venuti a prendere il caffé il giorno dopo.
Quindi tentai di mangiare piano, pianissimo, sperando in un’occasione. Ma l’occasione non si presentò. Al contrario.
“Il pane!” Mia suocerà saltò su come se stesse andando a fuoco la tovaglia. “Ho dimenticato il pane! Ma perché non dite niente? Non potete mica mangiare la zuppa senza pane, così non avete niente in bocca!”
“Sì invece,” risposi, “sì che possiamo. La zuppa è ottima anche senza pane. Io almeno non ne voglio, grazie.”
Ma lei mi tese il cestino del pane finché non ne presi un pezzo. Tentai di far sparire il pane sotto al tavolo sbriciolandolo lentamente, il che non era facile perché mia suocera mi osservava con preoccupazione.
“Ma tu non mangi niente!” disse. “Non ti vanno i gamberi? Ho in frigo una porzione di lasagne, se vuoi te la metto in forno prima del secondo...”
“No, grazie,” dissi affrettatamente prima che potesse alzarsi di nuovo. “Sei molto gentile, ma la zuppa mi piace moltissimo. La sto solo mangiando lentamente per... per goderla meglio.”
Il rimprovero nello sguardo di mia suocera era inconfondibile.
“Per migliorare naturalmente si può aggiungere un po’ di panna acida!” disse alzandosi e scomparendo in direzione della cucina.
Dopo pochi secondi era tornata con in mano una brocca.
“Non per me,” protestò energicamente mia moglie. “Non se ne parla!”
Mia suocera si volse verso suo marito, che senza dire una parola incrociò le mani sopra il suo catino. Quindi ella si rivolse a me.
“Anche per me non ci vuole panna,” dissi con decisione.
“Ma così la zuppa guadagna sapore,” disse e abbassò l’orlo della brocca.
Feci un debole tentativo di rimuovere il mio piatto da un lato. Lei mi guardò aggrottando la fronte e abbassò ancora la brocca.
“Annarosa!” esclamò mio suocero. “Ma lascialo!”
“Ma non può essere già sazio,” disse mia suocera. “E vedrà subito che la zuppa è molto più delicata con la panna - ho aggiunto anche burro e crema di avocado.”
Decisi che era meglio abbandonare la resistenza diretta, così invece misi a riposo il cucchiaio.
Negli occhi di mia suocera lessi delusione cocente.
“Ho da parte degli spiedini con salsa di arachidi, se li preferisci,” disse. “E delle salsicce alla griglia. Un attimo che te li metto nel forno a microonde.”
“Annarosa!” avvertì un’altra volta mio suocero.
“Mamma!” disse ora anche mia moglie.
“L’ho già detto,” dissi più gentilmente che potevo, “la zuppa è buonissima. Ma vorrei poter assaggiare anche un po’ del secondo, se possibile.”
“E’ un vero peccato che tuo marito non finisca questa ottima zuppa,” disse mia suocera alla figlia.
“Ma non ne può più! Gliene hai data troppa!” rispose mia moglie estenuata.
“Non vi capisco,” continuò mia suocera scuotendo la testa. “Dopo che avete detto per anni che la mia zuppa ai gamberi è tanto buona...”
“Annarosa!” la interruppe suo marito. “Il secondo! Sta stracuocendo!”
Mia suocerà balzò in piedi e corse in cucina dove la sentimmo armeggiare con pentole e strumenti vari.
“Cosa c’è di secondo?” osò domandare mia moglie.
“Oca al forno con contorno di cavolo rosso e canederli a base di patate e di pane”, chiamò indietro lei.
“Ma mamma...” la voce di mia moglie tremava. “Avevi parlato di una cenetta leggera!”
“Siamo a Natale, no? E la mia ricetta è davvero leggerissima per l’oca,” rispose mia suocera e tornò con due enormi piattoni stracolmi di carne e contorni che appoggiò davanti a noi due. “Niente addensanti artificiali!” spiegò mentre andava a prendere gli altri due piatti. “Niente strutto, niente grasso di oca aggiunto come lo fa zia Maria. E’ tutto naturale.”
Non aveva accennato, però, che oca, cavolo e canederli erano mezzi allagati in un mare di sugo. Su tutti i piatti a parte il suo.
“Mamma, hai dimenticato il sugo per te,” disse mia moglie.
“No, cara, ho fatto apposta. Il medico mi ha detto di stare attenta con i sughi.”
“Oh, anch’io!” esclamai subito. “Anzi, devo stare attentissimo!”
Mia moglie mi lanciò un’occhiata di avvertimento.
“Non sai cosa ti perdi,” disse mia suocera. “Quest’anno il sugo mi è venuto particolarmente bene. L’ho assaggiato mentre cucinavo.”
E rivolta a mia moglie continuò: “Spero che ora tuo marito abbandoni il suo riserbo riguardo alla mia cucina.”
Aprii la bocca per dire qualcosa ma mia moglie mi diede una lieve spinta sotto al tavolo.
“Ma, mamma,” disse quindi, “se non mangi il sugo non senti che aroma delicato ha insieme ai canederli. Devi assolutamente assaggiare! Solo un pezzettino, ecco qui.”
E spinse uno dei suoi canederli in sugo sul piatto della madre.
Capii subito cosa aveva in mente.
“Non ci crederai,” dissi a mia suocera, “con il canederlo al pane il sugo è ancora migliore. Dài, prova.”
Anche io le misi uno dei miei canederli sul piatto, per l’esattezza uno e mezzo.
Mio suocero ridacchiò sommessamente.
“Siccome parliamo di assaggi,” disse mia suocera, schizzò su e andò a prendere una terrina dalla cucina, “non ero sicura se invece del cavolo rosso non era meglio l’insalata di cavolo bianco come contorno. Ditemelo voi!”
E gettò sul mio piatto e quello di mia moglie due enormi porzioni di insalata di cavoli.
“Mmmh,” disse mia moglie masticando,” non è male. Però credo che insalata di cavoli mista al cavolo rosso, magari anche con un po’ di pancetta e mela fritta, sarebbe ancora meglio.”
Con un movimento fulmineo accumulò la metà della sua insalata di cavoli insieme alla metà del cavolo rosso sul piatto della madre.
Prima che questa si fosse ripresa dalla sorpresa, rincarai la dose: “Questo petto d’oca...” mi entusiasmai. “Mia cara, questo pezzo è particolarmente buono. Deve essere il leggendario touchée, il pezzo più delicato del volatile, come lo chiamano i cuochi - devi assolutamente provare!”
Con l’aiuto di coltello e forchetta spinsi il mio intero quarto di oca sul suo piatto.
In un attimo capii che avevo esagerato.
“I canederli!” esclamò mia suocera e saltò su. “Santo cielo, perchè non dite niente, non avete più canederli sul piatto!”
“Grazie, ho ancora tutti i miei canederli e mi bastano,” protestai.
“Ma hai ancora tanto buon sugo,” rispose e mi mise ancora due grossi canederli sul piatto. “Sarebbe un peccato non finirlo!”
Con un gesto agile aggiunse altri due canederli ai primi due.
“Oh,” disse quindi, “adesso quasi non ti basta il sugo.”
“Ti do volentieri uno dei miei canederli, o anche due o tre,” risposi in fretta. “Tanto non ce la faccio.”
“Ma non ti preoccupare,” rise mia suocera e afferrò il pentolino pieno di sugo, “in pentola ce ne sono ancora tanti. E ti dò anche un’altro po’ di sugo. Non puoi mica mangiare i canederli secchi!”
“Sì che posso, non m’importa. Adoro i canederli secchi. E non voglio più sugo. Per favore, niente sugo! Ferma! Stop!!”
“Annarosa!” disse mio suocero. “Ma lascialo!”
Ma mia suocera versò una profusione di sugo sul mio piatto, ignorando la mano che avevo tenuto sopra come scudo.
Mentre mi pulivo la mano con il tovagliolo mi contorsi e riuscii a fare sparire due dei canederli nella tasca della mia giacca, che avevo provvidentemente rivestito di plastica. Un terzo canederlo lo lasciai cadere sotto al tavolo mentre mia suocera versava un’altra porzione di salsa al burro sul piatto di mia moglie nonostante le sue accese proteste. (Mi ricordai troppo tardi che il cane di casa era morto poco dopo l’ultimo cenone natalizio.) Un’altro canederlo lo presi in mano e lo portai in entrata quando suonò il mio telefonino - avevo attivato la sveglia -, e lo feci sparire in bagno.
Quindi distribuii il resto della mia insalata di cavoli in maniera discreta sul piatto dando l’impressione di avere davvero mangiato molto, e spinsi via il piatto con un sospiro di soddisfazione.
“Pancia mia fatti capanna! E’ stato tutto ottimo,” dissi con grandissima convinzione. “Ma adesso non ce la faccio veramente più. Nessuno vuole finire il mio sugo?”
“Be’,” disse mia suocera, evidentemente ammansita, “per qualcosa di dolce si trova sempre un posticino nello stomaco. Vi ho fatto lo strudel di mele.”
Quando arrivò dalla cucina con il dolce mio suocero fuggì sul balcone pretendendo che voleva fumare la pipa. Mia moglie non aveva più la forza per reagire.
“Che delizia!” esultai dopo avere assaggiato un pezzettino di strudel e nascosto segretamente il resto nel cestino del pane. “E’ un finale magnifico.”
“Ma no,” disse mia suocera, “dimenticavo che ci vuole il liquore all’uovo. E i croccanti!”
Ammucchiò sul mio piatto e quello della mia disperatamente masticante consorte un secchio di panna montata, diversi grossi cucchiai di croccante e mezza bottiglia di liquore.
Il telefono in corridoio suonò all’ultimo momento. Saltai su.
“Scusi, ho sbagliato numero,” disse una voce con la tipica depressione natalizia.
“Un attimo,” gridai, “vado a prenderla!”
Non appena mia suocera fu sparita in corridoio corsi sul balcone con il mio piatto e gettai lo strudel, la panna, i croccantini e il liquore dalla ringhiera, mentre mio suocero si spostava da un lato.
Da sotto venivano esclamazioni di indignazione.

“Mi sento gonfia come un pallone,” ansimò mia moglie mentre andavamo a casa. “Se non mi passa dovrai portarmi a fare una lavanda gastrica.”
Anch’io sentivo una strana sensazione nello stomaco. Una che si faceva via via più intensa.
Avevo fame.


Traduzione: dicembre 2015.
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.



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Edited by Delari - 30/12/2015, 15:11
 
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L’angelo di orpello (Rauschgoldengel)
Leggenda


Norimberga, 1570

Erasmus Ebner era uno dei Consiglieri della città di Norimberga e un ottimo commerciante. Secondo gli atti del tempo veniva chiamato “approntatore di ottone”, il che significa che la sua professione era quella del fabbro.
Soprattutto, Ebner viene descritto come uomo circospetto la cui voce aveva molta importanza nel Consiglio e che veniva spesso appuntato delegato della città in caso di trattative difficili.
Inoltre era una persona generosa che tentava di aiutare chi si trovava nei guai. Fu così che durante il gelido inverno dell’anno 1570 diventò responsabile di alcuni senzapatria che erano dovuti fuggire dalla Francia a causa della loro religione, chiamati ugonotti, e che ora pellegrinavano per i paesi tedeschi cercando un posto dove poter rimanere.

Per dare il buon esempio Ebner stesso accolse un profugo in casa sua insieme alla figlia. Lo straniero veniva da un paesello nei pressi di Lyon. Era intagliatore di legno di professione, e a giudicare dalle figure che portava nella sua sacca da viaggio era un vero maestro nel suo campo, per cui tutti lo chiamavano “Maestro” e il suo vero nome non venne tramandato.
La sua figlioletta aveva il nome di Anne; era una bambina buona, piuttosto delicata e malaticcia. Per anni i suoi genitori avevano vagabondato per le strade pregando la buona gente di dare loro un tetto qui e un pezzo di pane là. Ma la madre non sopravvisse agli stenti e morì. Così il Maestro raggiunse Norimberga vedovo e con la figlia orfana di madre, entrambi stanchi e scoraggiati dalle sventure.
Erasmus Ebner e la sua famiglia fecero il possibile per occuparsi degli ospiti, e i bambini della casa presero Anne sotto alla loro protezione e fecero del loro meglio per distrarla e divertirla.
Una domenica Anne volle visitare la messa protestante insieme agli altri, ma si vergognava del suo abito da viaggio tutto liso. La signora Ebner allora le regalò un vestito nuovo, ricamato e decorato con nastri colorati, del tipo che in quei tempi usavano portare le bambine nei giorni di festa. Era composto da una lunga gonna a pieghette, un grembiule di colore allegro, un corpetto nero di velluto e uno scialle con un disegno di fiori. Il tutto era coronato da una cuffia che veniva posta sui capelli acconciati a trecce.
La famiglia Ebner era orgogliosa della loro graziosa ospite, a cui il costume tradizionale donava molto. Anche il Maestro era contento per lei. Anne era grata per l’affetto e l’aiuto che riceveva, ma rimaneva chiusa e malinconica perché spesso si sentiva stanca.

Un giorno Anne si ammalò seriamente; solo ora che aveva avuto il tempo di riposarsi un po’, si manifestò la grave malattia che aveva incubato. Alla fine dovette mettersi a letto, e di lì non si alzò più. Gli Ebner mandarono a cercare dei medici, e il padre li implorava di fare qualcosa per la figlia, ma fu tutto inutile. Anne morì e secondo il desiderio della famiglia Ebner fu posta nella tomba di famiglia, vestita del suo bell’abito tradizionale.
Il padre era inconsolabile. Il destino non aveva avuto pietà: dopo la patria e la compagna gli aveva rubato anche la sua unica figlioletta. Per settimane, il Maestro andò in giro per la casa con gli occhi spenti, quando non si rinchiudeva in camera sua, ed era così cupo in volto che nessuno osava avvicinarlo.

Una mattina la signora Ebner si fece forza e tentò di incoraggiare il padre in lutto: gli posò gli arnesi da lavoro sul tavolo e gli chiese di ricominciare a lavorare. Il lavoro, disse, era una cosa che dava consolazione a molti.
In questo tempo il fabbro di casa era riuscito a produrre una foglia di ottone molto fina, che venne chiamata orpello (Rauschgold). Orgoglioso, venne nella camera del Maestro per mostrargli il bel materiale. Questo toccò con ammirazione l’orpello, ma non disse una parola.
Sconsolato, Ebner se ne tornò nel suo laboratorio e si domandò come sarebbe finita questa triste storia.

La risposta non tardò a venire: un giorno il Maestro era sparito dalla casa degli Ebner. Sul tavolo della sua cameretta trovarono una bella figurina raffigurante un angioletto, il cui abito era fatto di orpello. L’abito era quello tradizionale, con la gonna, il grembiule, lo scialle; non mancava nulla, tutto era ben pieghettato e i colori erano in armonia uno con l’altro. Solo la cuffia non era una cuffia normale ma ricordava una corona, come quella che viene attribuita a coloro che sono andati nell’aldilà. Per completare la rappresentazione angelica il Maestro aveva approntato due lunghe ali pieghettate alla schiena della figura.
La parte più bella era però il viso, che il Maestro aveva intagliato da un pezzo di legno di tiglio. Tutti si avvidero subito che rappresentava il viso della figlioletta morta.
Vicino alla figura trovarono un biglietto con una breve notizia. “Miei cari, vorrei ringraziarvi per il bene che avete fatto a me e mia figlia. Perdonatemi, ma non resisto qui perché dopo la morte della mia Anne non trovo più pace. Devo dunque ripartire per il mio viaggio. In segno di gratitudine vi lascio questa figurina. Non so se vi piacerà, ma penso che forse potrà piacere ad altri, soprattutto a coloro che hanno bisogno della consolazione di Dio. Vi benedico, non dimenticatemi come io non vi dimenticherò.”

Questa storia presto fece il giro di tutta la città di Norimberga. Molti vollero venire a vedere il grazioso angelo vestito di orpello, e siccome si era sotto Natale molti ne desiderarono una copia per le decorazioni festive. Gli intagliatori e i fabbri ebbero ben presto un bel daffare per soddisfare tutte le ordinazioni che entravano.

Con il passare degli anni, l’angioletto vestito di orpello diventò l’articolo più importante di vendita ed esportazione della città, e infine diede al tradizionale mercato natalizio il nome che porta fino ad oggi: Christkindlasmarkt. *



* Christkindl: Figura tradizionale bavarese e austriaca chiamata “Gesù Bambino” ma con le sembianze di una fanciulla.

Edited by Delari - 28/5/2016, 23:14
 
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Aggiungo un'immagine di un tipico Rauschgoldengel. Sarà un po' kitsch, ma così lo vuole la tradizione...

Edited by Delari - 19/12/2015, 19:06

Attached Image: Rauschgoldengel

Rauschgoldengel

 
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L’albero coniugale
Racconto satirico


Avevo sempre riso dei frenetici che, mordendosi le labbra, si fanno venire capelli bianchi e attacchi di bile settimane prima del Natale per via dell’abete.
Per esempio nonno Francesco, di cui mi raccontò mia moglia una sera di avvento, un’uomo gentilissimo che andava d’accordo con tutti, con due sole eccezioni: sua moglie e gli alberi di Natale.
“Era una sorta di circolo vizioso,” spiegò mia moglie. “Aveva una tale paura di portare a casa un abete che non piacesse alla moglie che ogni anno andava dal venditore ancora più tardi. Per poi tornare a casa con i peggiori bidoni possibili.” Ridacchiò. “Quando arrivavamo per aprire i regali mia nonna stava sempre in cucina a fare il muso, mentre dal salotto sentivamo lui che imprecava mentre perforava il tronco dell’albero in diversi punti e aggiungeva altri rami. Ci impiegava una vita. Dapprima la festa di Natale veniva rinviata solo per due o tre ore, poi al giorno seguente. L’ultima festa di Natale prima che la nonna divorziò la festeggiammo mezz’ora prima di Capodanno.”
“Possibile che delle persone adulte non possano comportarsi ragionevolmente con queste cose,” dissi io, scuotendo la testa. “In fondo si tratta solo di un albero!”
“Sono contenta che con noi non sia così,” annuì mi moglie. “Tu porti sempre a casa abeti magnifici. E anche se una volta ce ne fosse uno non tanto bello - che importanza ha? L’importante è che ci vogliamo bene.”
Ci abbracciammo con trasporto.

Quando diedi un’occhiata al calendario la mattina dopo mi accorsi che mancavano solo tre giorni alla vigilia di Natale.
Il venditore di abeti all’angolo del nostro isolato, un’omaccione grande e grosso, aveva ancora molta varietà di scelta.
Domandai se aveva degli abeti nordici, perché perdono gli aghi più tardi; mi presentò tre esemplari ben fatti, di grandezza diversa. Decisi di acquistare l’esemplare medio, alto circa due metri.
“Certo che ha deciso molto in fretta,” mi disse il venditore mentre gettava gli altri due abeti sul loro mucchietto. “E’ scapolo, o forse divorziato?”
“Perché?” domandai.
Il venditore si mise a ridere.
“Se avesse una moglie o fidanzata impiegherebbe molto più tempo per scegliere. Sa, nella maggior parte delle famiglie l’albero di Natale è una faccenda delicata.”
“Ce l’ho una moglie,” mi sfuggì. “Cosa c’entra?”
“Oh,” disse il venditore di abeti e appoggiò a terra l’abete che stava per impacchettare in una rete. “E’ sicuro di non voler fare almeno una breve chiamata a casa? Ha con sè il cellulare?”
“Perché?” chiesi attonito.
“Per evitare inutili guai,” disse il venditore. “Non mi va di mettermi a discutere con Lei per ore se domani vorrà restituirmi questo perfetto albero. Solo perché sua moglie dice che è troppo grande o troppo piccolo.”
“Non accadrà. Perché dovrebbe?” chiesi.
“L’altro anno ho sentito di tre divorzi a causa di abeti della grandezza sbagliata,” disse il venditore. “D’accordo, un caso è stato a proposito, il signore aveva conosciuto un’altra al mercato natalizio e...”
“Non si preoccupi!” lo interruppi con grande fermezza. “Ci sono già stato con mia moglie, al mercato natalizio! Inoltre lei si fida ciecamente di me quando si tratta di abeti. Questo Le basta?”
“Allora, perdiana, Lei è una vera eccezione,” sospirò l’uomo. “Io ho cominciato a vendere abeti appunto per avere l’opportunità di scegliere l’abete migliore già mesi prima del Natale. Si figuri che l’anno scorso una donna ha inseguito suo marito tra gli abeti a suon di schiaffi, solo perché aveva scelto un albero che secondo lei era troppo storto. Storto, si figuri. Ah, ah, ah...”
Sopprapensiero tirai dalla tasca il cellulare per chiedere a mia moglie se dovevo comprare anche delle mele per il muesli.
“...cioè, se riesco a entrare nel negozio di ortaggi, insieme all’abete,” aggiunsi casualmente. “Ne prendo uno alto circa due metri, dovrebbe essere proprio la misura giusta per il nostro salotto.”
“Non è necessario che tu vada anche a comprare le mele,” disse mia moglie. “L’abete deve essere pesante.”
“Potrei anche prendere un abete più piccolo, così è più leggero,” aggiunsi subito. “Oppure uno che arriva al soffitto, così fa più colpo.”
“Prendi quello che ti piace di più,” rispose mia moglie.
“Certo,” dissi io. “Se tu non hai preferenze.”
“Oh, suonano alla porta. Deve essere il fornitore di bevande!” esclamò mia moglie. “A dopo, sbrigati che non vedo l’ora di vederti!”
“Allora, lo posso impacchettare ‘sto abete?” domandò il venditore, sospettoso.
“Naturalmente,” dissi. “Sebbene... Abbia la cortesia di tenerlo diritto ancora per un momento.”
Dopo avere girato intorno all’abete per la terza volta notai una stranezza. Solo una bazzecola, ma si notava subito guardando attentamente.
“In teoria, l’albero va benissimo,” dissi. “Ma vede questa leggera curvatura? Non ne ha forse uno un po’ più diritto?”
Il venditore ispirò aria profondamente. Quindi mi portò a ispezionare due altri abeti nordici, che avevano all’incirca la stessa grandezza.
Il mio occhio adesso più allenato si accorse che uno degli abeti era troppo folto in basso, il che avrebbe reso difficile decorarlo. Il secondo, invece, aveva una punto vuoto più in alto.
“Vada per il primo,” decisi. “E’ chiaro che è il migliore.”
“Ottima scelta,” lodò il gigante. “Spero che sua moglie sia della stessa opinione."
“Che cosa direbbe Lei, con la Sua esperienza?” domandai. “Quale abete disturba la festa di Natale di meno, uno troppo folto alla base, uno con un punto vuoto in alto o uno che è un po’ storto?”
Lui si strinse nelle spalle. “E’ la Sua moglie, non la mia.”
Ignorai la sua impertinenza e tirai fuori di tasca un’altra volta il cellulare.
“Dove sei?” domandò mia moglie. “Ancora a comprare l’abete?”
“Sì, sono stato trattenuto,” dissi. “Ho tre alberi per la scelta finale: uno ha una punto vuoto vicino alla cima, uno è molto folto in basso, e l’altro è un poco storto. Penso che prenderò quello storto... Ma veramente volevo chiederti se devo portare a casa anche dei limoni.”
“Sì, ottima idea!” rispose mia moglie. “Adesso sbrigati a tornare a casa! Era mia madre, ci ha portato un tronco di Natale.”
“Va bene,” dissi. “Allora porto a casa l’abete un po’ storto. Circa due metri, come dicevo. Verde bluastro, aghi a punta, un po’ arrotondati. Sono sicuro che ti piacerà.”
“Non sarà certamente storto come quello di Marco,” rise mia moglie.
“Marco?” chiesi io. “Perché?”
“Poco fa mi ha chiamato Caterina,” spiegò mia moglie. “Hanno bisticciato tremendamente perché Marco ha portato a casa un albero storto da far paura. Caterina è tornata ad abitare dai suoi. Ma posso raccontartelo anche dopo, adesso vieni a casa!”
Cominciai a riflettere febbrilmente.
“Non ha forse un’alternativa?” chiesi al venditore. “Un abete che non ha un punto vuoto in cima, non è troppo folto in basso e non è storto?”
“Gli alberi sono prodotti della natura,” mi rispose l’uomo, spietato. “Crescono come gli pare, non come lo dice Sua moglie. Io stacco per oggi. Allora, si decide?”
Di norma mi sarei allontanato mandando quell’uomo al diavolo. Ma la vigilia di Natale incombeva. Quindi pregai il venditore di riservarmi tutti e tre gli alberi fino a Natale.
“Non posso,” rispose lui. “Natale è fra tre giorni. Ma ho abeti in abbondanza. Per sicurezza venga domani insieme a sua moglie.”
“Non è necessario, faccio da solo!” esclamai.

Mia moglie era sorpresa di vedermi senza abete.
“Non è così facile,” dissi alla leggera. “Quest’anno non c’è molta scelta.”
“E’ quello che ha detto anche Marco,” disse mia moglie. “Però bisogna ammettere che porta sempre a casa abeti bruttissimi. Ti ricordi che roba due anni fa? Ne parlavamo tornando a casa, ti ricordi?”
No, non me ne ricordavo. Proprio per niente.
La sera del giorno dopo il venditore aveva una scelta nettamente inferiore. I miei favoriti del giorno prima mancavano.
Il venditore si strinse nelle spalle. “Li ho venduti tutti stamattina. Ma ne ho ancora tre di quella misura.”
Il primo aveva un’enorme punto vuoto. Il secondo era così folto che non sarebbe stato possibile pigiare una sola pallina tra i rami. Il terzo invece, lo vidi a prima vista, era perfetto. Aveva le proporzioni giuste, non aveva punti vuoti da nessuna parte e non era troppo folto. Inoltre era dritto in maniera esemplare.
“Mi piace che Sua moglie non si irriti se un abete ha una doppia punta,” disse il venditore mentre si accingeva a impacchettare l’albero nella rete.
“Doppia punta?” ripetei.
“Quest’albero mi è già stato riportato due volte,” disse il venditore. “Anche se avevo già offerto di abbassare il prezzo di cinque euro.”
“Aspetti un attimo,” dissi, estrassi il cellulare e dissi a mia moglie che la libreria di fronte a casa nostra aveva già chiuso, altrimenti al ritorno avrei comprato un libro a proposito di simbolismi, soprattutto il simbolismo delle doppie punte, perché anche il nostro abete ne avrebbe avuto una...
“Caro,” disse lei inspirando aria udibilmente, “se hai trovato un bell’abete, portalo! Non importa quante punte ha.”
Solo per scaramanzia chiesi al venditore di girare l’albero un’ultima volta. In quella mi accorsi che era un po’ storto. Non molto, ma in maniera visibile, soprattutto da vicino e guardandolo di sbieco dal basso.
“Si nota molto?” chiesi al venditore. “Cosa ne dice Lei?”
“Prenda uno degli altri due,” rispose lui e mi lasciò per dedicarsi al prossimo cliente.
Esaminai, guardando da diversi punti, se gli altri due infelici alberi con il punto vuoto o con i rami foltissimi non erano forse altrettanto accettabili (negativo!) e per prendere una migliore decisione volli mettere vicino l’abete a doppia punta per fare il paragone.
“Lo ha appena comprato il signore là in fondo,” mi informò il venditore. “Sua moglie ha detto che è troppo storto, vero?”
Piantai in asso sia lui che i suoi alberi compromessi.

Quella sera mia moglie tentò di dirmi due o tre volte di non preoccuparmi troppo per l’abete, quello stupido albero davvero non era la cosa più importante del Natale.
“Ma ho già scelto un abete,” risposi. “Devo solo andare a prenderlo, domani.”
“A prenderlo?” chiese lei. “Scusa se te lo dico, ma mi sembri un po’ irritato.”
“Certo! Solo a prenderlo!” dissi. “Non ti preoccupare.”
Il giorno dopo, quatto quatto, uscii un’altra ora prima dall’ufficio per andare in cerca di altri punti vendita di abeti natalizi nelle vicinanze. Ce ne erano due.
Il primo aveva in offerta quattro abeti nordici che a prima vista erano accettabili. A seconda vista si notava però che tre di essi avevano dei punti vuoti vicino alla punta. Il quarto in basso era fitto come il pelo di una pecora delle Ebridi.
Al secondo punto vendita incontrai Marco. Camminava su e giù per una fila di dieci abeti stesi per terra, con il venditore che lo seguiva, visibilmente stufo.
“Caterina mi ha dato un’ultima possibilità,” mi disse Marco con voce fioca e quindi mi prese per il braccio. “Non posso permettermi di sbagliare ancora! Tu te ne intendi. Quale prenderesti?”
Vidi subito che c’era un solo abete abbastanza bello. Per inciso: era l’unico abete nordico rimasto.
“Grazie!” sussurrò Marco prima di abbracciarmi e scomparire insieme all’abete.
“Non ha altri abeti nordici in vendita?” chiesi al venditore.
Lui indicò gli alberi che erano per terra. “Che ti aspetti, capo?” domandò. “Sono tutti quelli che ho. La vigilia di Natale è domani.”
Tornai all’altro punto vendita per dare un’occhiata all’albero troppo folto in basso.
“L’ho appena venduto,“ disse il proprietario. “Ma ho ancora in offerta alcuni abeti rossi belli diritti. Perdono gli aghi più in fretta, ma comunque...”
Esitavo.
“Avrei anche un pino deformato,” disse il venditore. “Se lo appoggia vicino al muro perché non caschi da un lato, guardandolo da destra è piuttosto bello.”
Telefonai a mia moglie per dirle che quell’idiota di un venditore di alberi aveva tenuto in riserva per me l’albero sbagliato e che ora rimaneva solo una scelta tra un pino deformato e qualche abete rosso. “Naturalmente non mi sognerei di comprare questa robaccia,” conclusi. “Non vorrei che tra noi vada come tra Marco e Caterina.”
“Ma no,” disse mia moglie, “che ti viene in mente? Per favore, vieni a casa adesso. Se vuoi andiamo insieme a scegliere l’albero, domani.”
“No grazie, cara,” dissi. “Posso fare da solo.”

Con il berretto tirato sul viso tornai dal primo venditore, sperando che quel bellimbusto non mi riconoscesse.
“Ah, è ancora Lei,” mi disse.
“Mi faccia vedere i Suoi abeti nordici,” dissi. “Tutti!”
“E’ facile,” schernì lui. “Me ne è rimasto solo questo.”
Era l’abete con il punto vuoto più grande di tutti quelli che avevo visto finora.
“Può anche infilarci dentro qualche ramo, così non si nota,” mi propose il venditore. “Glieli posso dare io.”
“No!” risposi inorridito. “Non sono ridotto a questo!”
“Lì in fondo ho ancora due abeti bianchi e rossi. E due pini,” disse lui. “Se vuole può andare a guardarli da solo, ho qui della clientela che è pronta ad acquistare.”
Ormai era così buio che non riuscivo neppure a vedere dove si trovavano gli alberi.
“Quando apre bottega domani?” chiesi al venditore.
“Alle otto e mezza,” rispose lui mentre annodava la rete in cui si trovava l’abete nordico con il punto vuoto, appena comprato da una coppia di pensionati che ridacchiavano tutti contenti.
“Per domani otterrà rifornimento di alberi?” chiesi come ultima speranza.
“Domani è la vigilia!” mi rimproverò lui. “Lo dica a Sua moglie!”

Quando tornai a casa mia moglie aveva preparato un punch. Dopo circa un’ora tentò di scoprire come progrediva l’acquisto dell’albero.
“Tutto a posto,” dissi a denti stretti. “Ho parlato con il venditore. Domani gli mandano degli alberi freschissimi.”
Quella notte mi girai nel letto senza prendere sonno fino alle cinque e mezza; quindi mi alzai pianissimo e telefonai a Marco per chiedergli come andava il suo matrimonio e dirgli che se stava andando male ero pronto a comprare l’abete da lui. Quell’ingrato mise giù senza rispondere.
Alle otto e un quarto ero già arrivato al punto di vendita abeti.
“Ma guarda, è già qui,” disse il gigante quando arrivò poco prima delle nove.
Trovai un abete bianco che aveva un punto vuoto in cima ed era troppo fitto in basso, e un abete normale con una punta lunghissima e un tronco storto, che aveva già incominciato a perdere gli aghi.
“Benissimo, li prendo entrambi,” mentii. “Vado solo in fretta alla banca, ho dimenticato i soldi.”
L’altro venditore stava appena per aprire quando arrivai trafelato.
“Prendo uno degli abeti rossi,” ansimai.
“Venduti da un pezzo,” rispose lui facendo cenno di no. “Mi è rimasto solo il pino deformato da appoggiare al muro. Posso anche farle uno sconto.”
Tornai di corsa dal primo venditore sorpassando un’uomo grasso e tarchiato che correva più lentamente di me.
“Allora...” ansimai tirando fuori il portafogli.
Il gigante si strinse nelle spalle. “Spiacente, ho venduto entrambi gli alberi. Non potevo sapere se fosse tornato.”
Per un attimo riflettei di strangolarlo, ma poi ci ripensai.
“Cosa Le resta?” chiesi con voce sorda.
“Tre abeti rossi,” dissse il venditore.
Uno degli abeti rossi aveva punti vuoti da ricordare i denti di un vecchio, uno era deformato, il terzo era abbastanza bello (da quanto si possa dire che gli abeti rossi siano belli come alberi di Natale), ma aveva tre punte.
“Lo prendo,” dissi flebilmente. “Potrebbe dare un taglio diritto al tronco?”
“Oggi è il giorno della vigilia,” disse il venditore e non fece cenno di muoversi.
“Non è un problema,” disse l’uomo tarchiato e si spinse di fronte a me. “Non deve sporcarsi le mani. Io prendo l’albero così com’è.”
“Un attimo!” dissi. “Voglio comprarlo io quest’albero!”
“Non lo ascolti,” disse l’uomo tarchiato al venditore. “Le do dieci euro in più.”
“Venti,” disse il venditore.
“Venticinque,” dissi per riflesso.
Arrivati a cinquanta euro dovetti smettere, non avevo abbastanza denaro con me.
“Mi dispiace,” mi sussurrò l’uomo tarchiato prima di andarsene con l’abete. “Tra me e mia moglie le cose non vanno molto bene.”
“Mi dia il pino deformato”, dissi al venditore con voce spenta.
“Spiacente,” rispose lui. “Questo lo porto in centro e lo metto all’asta tra un’ora, ormai lì è invaso da mariti disperati. Posso darle il pino con i punti vuoti. E’ l’ultimo albero che ho. Quanto mi offre? Accetto tutte le carte di credito e gli eurocheques.”
Pagai un prezzo utopico. Con aggiunta di un’altra somma altissima mi diede anche alcuni rami sciolti.
“Ne avrà bisogno,” mi disse. “Buone feste. E auguri per il Suo matrimonio.”

In cortile incontrai il nostro portinaio. Quando mi vide con il mio albero si mise a ridere a crepapelle.
“Poveraccio!” esclamò, “mai visto un bidone simile! A parte quello di mio cognato... cioè, adesso è il mio ex cognato...”
Lo misi a tacere con un solo sguardo, gettai il pino nell’immondezzaio ed entrai in casa a mani vuote, pronto a dare il via alla fine del mio matrimonio.
“Non ti arrabbiare,” disse mia moglie non appena mi vide.
Indicò un angolo del salotto.
Lì c’era qualcosa. Un albero. Un bellissimo abete bianco.
“C’è un punto vendita di fronte al mio ufficio, e questo albero mi è parso tanto bello. E il tuo cellulare era spento...”



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Edited by Delari - 30/12/2015, 15:13
 
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Cambio di regali… incognito
Racconto satirico


Quando arrivai in centro il primo giorno di apertura dei negozi dopo Natale si vedeva già una fiumana di persone incamminarsi verso i grandi magazzini, tutti imbacuccati e carichi di voluminosi sacchetti e pacchetti.
Per sicurezza cercai rifugio nella tranquilla entrata di un condominio e chiamai mia zia Emilia con il cellulare.
“Ciao, zia,” cinguettai. “Bel tempo oggi, eh? Cosa stai facendo di bello?”
“Sto nel giardino d’inverno, al sole. Ammiro il vostro regalo. Che vaso bellissimo! E il mio regalo, cosa fa?”
“Oh, il tuo barboncino di porcellana si trova ancora sul nostro tavolo da salotto e si fa ammirare da tutte le parti,” mentii cercando di dare un’intonazione commossa alla mia voce. “Appena possibile gli cercheremo un bel posticino.”
“Un posto sicuro, per favore,” rispose zia Emila. “E’ stato molto costoso!”
“Certamente, zia, certamente,” le assicurai. “Un posto sicurissimo.”

Lo sportello di informazioni dei grandi magazzini era assediato da tutte le parti. “Il cambio di merce senza scontrino fiscale viene eseguito per condiscenza dei magazzini alla cassa centrale nel piano sotterraneo,” continuava a sgolarsi una donna del personale.
Con tanto di sciarpa alzata e il berretto tirato sul viso mi collocai alla fine della coda nel piano sotterraneo.
“Anche tu qui?” mi chiese uno sconosciuto. Feci un balzo per lo spavento, ma quando si levò il cappello floscio scoprii che si trattava del mio amico Oliver.
“Sì, purtroppo”, risposi, aprii il mio sacchetto e gli permisi di dare un’occhiata al barboncino di porcellana. Oliver rabbrividì. Quindi indicò la borsa che portava in mano.
“Bicchierini da grappa, con uno stemma di avvoltoio - il regalo di mio fratello.”
“Che c’entrano gli avvoltoi?” gli chiesi.
Oliver si strinse nelle spalle. “Il problema con roba come questa è che non te ne puoi liberare neanche in internet. E anche così la rischi grossa. Ti ricordi Marcel? L’altro anno la sua zia, quella da cui si aspetta di ereditare, gli ha regalato un galateo sorpassato. Lo ha messo in asta da ebay quella stessa sera e scritto che il testo è così deficiente da avere almeno un merito in quanto a rarità.”
“Ha trovato degli interessati?” chiesi.
“Sì, sua zia,” rispose Oliver e sussultò tutto a un tratto. “Mio fratello!” sibilò e scappò a grandi passi in direzione ‘Intimo per signora’.

Mentre proseguivo nella coda scoprii, più indietro, una signora che mi ricordava zia Emilia. Anche il modo in cui raddrizzava gli occhiali e si guardava intorno mi sembrava proprio quello che avrebbe adottato la cara zia se avesse tentato di beccarmi in flagranti mentre volevo liberarmi del suo regalo.
Per tranquillizzarmi la chiamai sul cellulare. La donna con gli occhiali estrasse dalla tasca un cellulare.
“Scusi, ho sbagliato numero,” bisbigliai con voce sommossa e interruppi la comunicazione.
Vidi la donna che mi ricordava zia Emilia dire qualcosa al cellulare prima di mettere giù e guardarsi intorno sospettosa.
Mi acquattai e mi nascosi dietro a un cavalletto dove si affacciava ancora qualche squinternata cartolina natalizia. Da lì vidi la donna cavare dalla borsetta un binocolo da teatro e guardarsi intorno in ricognizione.
“Posso aiutarla?” mi chiese una commessa da dietro di me e tirò da un lato il cavalletto. Mi nascosi subito dietro al prossimo.
“Sì, se può restituire questo barboncino di porcellana per me alla cassa,” risposi ed estrassi l’oggetto incriminato dal sacchetto, allo stesso tempo aggrappandomi al cavalletto come fosse l’ultima cosa salda al mondo.
La donna gettò uno sguardo al barboncino e si allontanò subito con una smorfia di disgusto, probabilmente in cerca di rinforzi.

Poco più tardi scoprii che da uno dei cavalletti circolari, che metteva in bella mostra négligés per signora, avevo una vista migliore in direzione coda, se mi rassegnavo a stare sempre mezzo inginocchiato. Insieme a me c’erano una giovane donna che osservava in lacrime il fidanzato, e un’anziana coppia che aveva appena deciso che a quest’ingrato di un nipote (si trovava in fila con un assortimento di cravatte) non avrebbe ereditato un bel niente.
Incominciarono a farmi male le ginocchia.
Quando tentai di raddrizzare le mie gambe piegate mi trovai di fronte una donna che stava ispezionando una camicia da notte tutta pizzi. La donna mi guardò con gli occhi sgranati.
“Sono solo qui a causa di mia zia!” tentai di spiegarle. La donna fu presa dal panico e cominciò a picchiarmi con la crocetta.
Riuscii a svignarmela in un’altro cavalletto circolare, ma zia Emilia ora sembrava insospettirsi seriamente. Peggio ancora: vidi che cominciava a guardare proprio nella mia direzione con il suo binocoletto. Quindi tirò fuori il cellulare e sentii una suoneria nel mio taschino interno.
Zia Emilia si avvicinava a grandi passi al mio nascondiglio.
Mi rifugiai affrettatamente nella cabina di prova più vicina. Vi trovai dentro tre altre persone, una donna e due uomini, uno di cui era Oliver.
“Mio fratello se ne è appena andato,” bisbigliò lui e spiò la coda dalla fessura della tenda. “Che sfiga però, ora mi toccherà fare tutta la coda un’altra volta.”
“Non è necessario,” sussurrò l’altro uomo con voce roca. Aveva la barba e portava un berretto e una cuffia auricolare. “I nostri sono posizionati in tutta la coda.”
“Chi sarebbero ‘i nostri’?” chiesi io.
“Non importa,” rispose il barbuto. “Posso solo dirle che viviamo di persone che non vogliono tenere in casa regali orrendi. Lei potrebbe per esempio prendere il posto della signora con il cappotto bianco. O quello del ragazzo con la giacca jeans, che è già quasi arrivato alla cassa.”
Mi venne un’idea. “Si può magari anche dare il mio regalo a uno dei suoi colleghi perchè esegua lui il cambio? Perchè sa, mia zia...”
“Certo che si può,” rispose il barbuto. Quindi sussurrò il prezzo della transazione.
La donna estrasse sospirando una manciata di banconote dalla borsa e le consegnò al barbuto insieme a un’enorme e bruttissimo orologio a cucù.
L’uomo fissò l’orologio, quindi la donna, si strappò di dosso berretto e barba finta e gridò: “Giulia! Come puoi farmi questo?!”
“Ramon!” strillò la donna. “Tu mi spii! Mi dici le bugie! E se tu mi amassi veramente, lo sapresti che quest’orologio è di pessimo gusto!!”
Nel battibecco che seguì mi impossessai di berretto e barba finta e abbandonai la cabina di prova appena in tempo prima che il personale dei magazzini la prendesse d’assalto.
Zia Emilia non si vedeva da nessuna parte, ma comunque mi sentii molto meglio nella fila dopo essermi travestito con berretto e barba.
La cassiera accettò dalle mie mani il barboncino di porcellana con un sorriso compassionevole.
Fischiettando, mi liberai dal mio travestimento, mi girai - e guardai direttamente in volto a zia Emilia.
“Tu?” mi fece lei. “Allora... eri davvero tu,” balbettò. “Volevo solo... pensavo... insomma, io ne ho già tanti di vasi...”
Solo adesso vidi quello che aveva in mano.
Il vaso. Il nostro vaso. Il bellissimo vaso che io e mia moglie avevamo faticosamente scelto e le avevamo amorevolmente regalato!



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L’arte della stiratura


Da quando siamo sposati e abbiamo un figlio a volte mi sveglio nel mezzo della notte, fradicio di sudore, mi fa male la schiena e mi sento rigido come un’asse di legno, e mi chiedo se ce la farò con una famiglia, tutto il lavoro, la responsabilità, dover guadagnare soldi e tutto il resto.
Perché non posso avere una piccola cartoleria, mi chiedo allora, dove la gente entra ed esce? Di tanto in tanto compra qualcosa e in cambio lascia un po’ di denaro sul banco, e nel frattempo me ne sto in pace. O perché non una tintoria, dove si sente il profumo di biancheria pulita tutto il giorno, si chiude la sera alle sette e si torna a casa per guardare tranquillamente il telegiornale?
“Non dirai sul serio,” dice allora mia moglie Paola e mi fa: “Che ne sai dei problemi che hanno i proprietari di negozi di articoli da cancelleria, o di tintoria?” Dovrei smetterla, invece, di cercare sempre e solo tranquillità e sicurezza nella vita, aggiunge, e imparare a vederla piuttosto come una sfida.
“La vita è un’avventura!” mi disse una notte, mi strinse e mi disse di non preoccuparmi, che sarebbe andato tutto bene.

Altre volte di notte mi sveglio perché nostro figlio Luigi urla. Ha due anni, e di quando in quando si sveglia senza motivo apparente (come suo padre), tutto sudato, e urla. E non urla soltanto in generale. No, lui urla “Stirare!!!”
Sembrerà strano, ma stirare è la sua attività preferita. Almeno quello che ritiene che sia la stiratura. Noi tiriamo fuori l’asse e il ferro e lui stira, con il ferro spento, un pezzetto di stoffa, sempre lo stesso, circa un centinaio di volte.
L’altra notte si è ancora svegliato urlando “Stirare!!” e Paola è andata da lui per calmarlo cantando un paio di ninne-nanne, ma lui non le voleva sentire quelle cantilene. Voleva stirare!
Paola tentò di spiegargli che alle tre di notte non si stira, sono tutti a letto che dormono. Ma lui continuava a strillare: “Stirare! Stirare!! Stirare!!!”, in piedi nel suo piccolo sacco a pelo, aggrappato alle sbarre del lettino, e piangeva - un piccolo ometto disperato che doveva stirare e non poteva. La sua testa diventò tutta rossa, tutta la sua personcina diventò una testa, una testa nella quale bruciava un solo, estenuante pensiero:
“STIRARE!!!”
Non c’era niente da fare. Paola lo tirò fuori dal suo lettino, aprì l’asse da stiro e gli diede in mano il ferro, e lui stirò il suo pezzetto di stoffa con zelo e alacrità.
A volte mi chiedo se forse anche alla nostra cancelliera, la signora Merkel, capitano queste cose. Magari si sveglia di notte anche lei, tutta sudata; oppure sta ritta sul materasso e grida: “Governare!!”
Allora suo marito tenta di calmarla e di dirle che non si può governare a quest’ora, in piena notte. Ma lei insiste: “Governare! Governare!”
Alla fine lui, rassegnato, la porta in cancelleria, e lei si siede alla scrivania e governa per mezz’ora, prima di calmarsi e tornare a letto.
O magari uno dei partecipanti al Giro d’Italia ancora settimane dopo sta ritto nel letto e grida: “Correre! Correre!!” E la moglie lo deve portare alla pista d’allenamento e farlo correre mezz’oretta affinché gli torni il sonno.
Probabilmente non è così, ma se così fosse credo che mi sarebbero più simpatici.

Per quanto riguarda il piccolo Luigi, a mia moglie e a me toccò guardarlo per un quarto d’ora mentre stirava, sbadigliando e pensando com’è strana questa vita, dove due adulti si trovano intorno a un bambino alle tre e mezza di notte intenti a dire:
“Come sei bravo! Ma come stiri bene!”
Finalmente ne ebbe abbastanza e volle dormire. Paola lo prese in braccio e lo riportò nel suo lettuccio, e io mi dissi: non si sa mai, forse sarà lui un bel giorno ad aprire un negozio di tintoria, sembra avere l’inclinazione adatta. O forse un giorno sarà lui il nostro cancelliere, o un famoso ciclista. O qualcos’altro, qualcosa che oggi non riesco neppure a immaginare.
Allora mi chinai sopra di lui, gli accarezzai la testolina e gli dissi:
“Ce la farai. La vita è un’avventura!”



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Mrs Fidget


Mi viene in mente la signora Fidget, che è morta qualche mese fa. E’ sorprendente quanto la sua famiglia sia cambiata. Sul viso del marito non si vede più la solita l’espressione tesa; a volte lo si sente perfino ridere. Il figlio più giovane, che ho sempre conosciuto come lunatico e dispettoso, comincia far vedere dimostrazioni di umanità. Il maggiore, che praticamente non era mai a casa fuorché per dormire, adesso c’è quasi sempre perché sta riorganizzando il giardino. La ragazza sembrava essere una creatura ‘delicata’: adesso va a cavallo, di cui prima neanche a parlarne, va spesso a ballare o gioca a tennis. Anche il cane, cui non era mai permesso di uscire fuorché al guinzaglio, adesso è un ben conosciuto membro del Club dei Lampioni nella sua strada.

La signora Fidget diceva spesso che viveva per la sua famiglia. E infatti era così. Tutto il vicinato lo sapeva. “Vive per la famiglia,” dicevano, “che madre e moglie!”
La signora Fidget lavava sempre tutta la biancheria. Lo faceva male, e avrebbero potuto permettersi di mandarla in lavanderia, e le chiedevano spesso di lasciar perdere. Ma lei lo faceva lo stesso.
Per chiunque si trovasse a casa c’era sempre pronto un pranzo caldo e una cena calda di sera (anche in piena estate). La famiglia la implorava di non farlo: protestavano, quasi con le lacrime agli occhi, dicendo che preferivano piatti freddi. Senza risultato. Lei viveva per la sua famiglia.
Era sempre alzata ad aspettare chi usciva di sera, e anche se questa persona tornava solo alle due o tre di notte, si trovava sempre davanti quel visino fragile, pallido e debole che lo attendeva come un’accusa silenziosa. Il che significava naturalmente che da persone decenti non si poteva uscire spesso.
Inoltre voleva vestire tutti; era convinta di essere bravissima a cucire e fare a maglia capi di vestiario per i diversi membri della famiglia. Il che significava che se uno non voleva essere una persona brutale e senza cuore doveva indossare queste cose. (Il vicario mi ha detto che dopo la sua morte le donazioni di abiti usati da parte della famiglia sono ammontate a più di tutto il resto del comune.)

Per non parlare di come si occupava della salute dei suoi cari. Sopportava il peso della ‘salute cagionevole’ della figlia tutta da sola. Il medico - un vecchio amico di famiglia, che veniva pagato di tasca privata - non aveva mai il permesso di parlare con la paziente: dopo un brevissimo esame la madre subito lo portava nella stanza accanto e cominciava a elaborare i sintomi della figlioletta. A questa non era permesso avere preoccupazioni o responsabilità proprie: solo amorevole assistenza, carezze, cibo preparato specificamente, ricostituenti dal sapore orribile e colazioni a letto.

La signora Fidget diceva spesso che lavorava fino a “consumarsi le dita fino all’osso” per la sua famiglia. E non riuscivano a impedirglielo. Neppure potevano, volendo essere persone decenti, stare a guardarla. Dovevano aiutarla. La aiutavano continuamente. Insomma la aiutavano a fare cose che non volevano.
Per quanto riguardava il cane, esso era per lei, come diceva, “esattamente come uno dei suoi cari figli.” E infatti la povera bestia era suo figlio fino al punto in cui poteva farlo tale. Ma dato che al contrario degli altri non aveva scrupoli, viveva un po’ meglio di loro, e anche se vaccinato, nutrito e sorvegliato al millimetro, a volte almeno riusciva a raggiungere il bidone dell’immondizia davanti a casa, o il cane dei vicini.

Il vicario dice che la signora Fidget ora ha trovato la pace. Speriamo sia così. Una cosa è certa: chi ha finalmente trovato la pace è la sua famiglia.



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Bianco Natale


8 dicembre
Ha cominciato a nevicare. E’ la prima neve quest’anno. Mia moglie e io ci siamo seduti davanti alla finestra con due tazze di tè caldo e abbiamo passato ore a guardare enormi, soffici fiocchi bianchi cadere dal cielo. Sembrava di essere in una favola. Era così romantico che ci siamo sentiti come durante la nostra luna di miele. Amo la neve.

9 dicembre
Quando ci siamo alzati, una meravigliosa coperta di neve aveva coperto ogni centimetro del paesaggio. Che vista magnifica! Ci può essere un posto più bello al mondo? Quella di venire a vivere qui è stata la migliore idea di tutta la mia vita.

Oggi ho spalato neve per la prima volta da anni e mi sono sentito come un ragazzino. Ho liberato di neve l’entrata e il marciapiede. Oggi pomeriggio è passato lo spazzaneve e ha gettato nuovamente tutta la neve della strada su entrambi, così ho ancora messo mano al badile. La vita è una cosa meravigliosa.

12 dicembre
Il sole ha sciolto tutta la nostra bella neve. Che delusione. Il nostro vicino dice che non mi devo preoccupare perché avremo sicuramente un bianco Natale. Sarebbe terribile dover passare il Natale senza neve! Roberto dice che fino alla fine dell’anno avremo tanta di quella neve che non ne vorrò più vedere per il resto dei miei giorni. Non credo che sarà mai possibile. Roberto è molto gentile, sono contento che sia nostro vicino.

14 dicembre
Urrà, è tornata la neve! 30 centimetri la scorsa notte. La temperatura è caduta a 20 gradi sottozero. Il freddo fa brillare tutto. Il vento era da togliere il respiro, ma mi sono scaldato spalando la neve. Questa sì che è vita!

Lo spazzaneve è tornato oggi pomeriggio e ha di nuovo coperto tutto di neve. Non sapevo che avrei dovuto spalare tanto, ma è un ottimo mezzo per tornare in forma. Solo vorrei che non mi venisse tanto presto il fiatone.

15 dicembre
Il bollettino ha previsto 60 centimetri. Ho sbolognato la macchina e comprato un jeep, catene di neve per la macchina di mia moglie e due badili di riserva.
Ho anche stipato di cibo il frigorifero e la dispensa. Mia moglie vuole un forno a legna in caso che manchi la corrente. Le ho detto che è ridicolo - non siamo mica in Alaska.

16 dicembre

Tempesta di neve questa mattina. In entrata sono caduto sul fondoschiena mentre volevo spargere la sabbia. Fa un male del diavolo. Mia moglie ha riso per un’ora intera. Non è bello da parte sua.

17 dicembre
Siamo ancora abbondantemente sottozero. Le strade sono troppo ghiacciate per uscire. La corrente è mancata per cinque ore. Mi sono dovuto avvolgere in un mucchio di coperte per non morire di freddo. Naturalmente era spento anche il televisore e non avevo altro da fare che fissare in faccia mia moglie e cercare di irritarla. Penso che sarebbe stato meglio acquistare un forno a legna, ma non lo ammetterei mai. Detesto quando ha ragione lei! E detesto sentirmi morire di freddo nel mio salotto!

20 dicembre
E’ tornata la corrente, ma la scorsa notte sono caduti altri 40 centimetri di neve! Ancora a spalare. Ci ho impiegato tutto il giorno perché quel maledetto spazzaneve è passato due volte.
Ho cercato di convincere uno dei figli dei vicini ad aiutarmi a spalare, ma quelli dicono che non hanno tempo perché devono allenarsi per il torneo di hockey. Credo che dicano le bugie. Volevo acquistare una fresa da neve in negozio: mi hanno detto che le hanno esaurite e che aspettano il prossimo rifornimento solo per marzo. Credo che dicano le bugie.
Roberto dice che devo spalare o lo fa il comune e dopo mi manda il conto. Credo che dica le bugie.

22 dicembre

Roberto aveva ragione con il bianco Natale perché stanotte sono caduti altri 30 cm di neve e fa un freddo tale che probabilmente non si scioglierà fino al prossimo agosto. Prima di uscire a spalare ho impiegato 45 minuti per vestirmi - e in quella ho sentito il bisogno di andare al gabinetto. Dopo essermi svestito, andato al gabinetto e rivestito mi sono sentito troppo stanco per spalare.
Ho cercato di convincere Roberto ad aiutarmi perché ha una fresa di neve montata al furgone, ma dice che ha troppo da fare. Credo che dica le bugie anche lui, quell’antipatico.

23 dicembre
Solo 10 centimetri oggi, e la temperatura è salita a 0 gradi. Mia moglie mi ha chiesto di addobbare la casa con le lucette natalizie. Ma è impazzita? Non ho tempo per questo cose io, devo SPALARE!!! Perché non me lo ha già detto un mese fa? Afferma di averlo fatto, ma secondo me dice le bugie.

24 dicembre
20 centimetri. Lo spazzaneve ha formato dei cumuli di neve così densi che mi si è rotto il badile. Per poco non mi veniva un colpo apoplettico. Se becco quel disgraziato che guida lo spazzaneve lo trascino per la neve tirandolo per le palle. Lo so benissimo che si nasconde dietro l’angolo e aspetta finché ho finito di spalare - e poi arriva con 150 chilometri all’ora e getta tonnellate di neve proprio dove ho appena spalato!
Stanotte mia moglie voleva intonare canti natalizi e aprire regali con me, ma non ne avevo tempo. Figuriamoci. Dovevo vedere se tornava lo spazzaneve.

25 dicembre
Buon Natale. Ancora 60 centimetri di questa schifosa roba bianca. Siamo sepolti vivi in casa. Il pensiero di uscire a spalare mi fa venire la bile. Dio, come odio la neve! Come se non bastasse, è passato il conducente dello spazzaneve e ha chiesto un’offerta natalizia. Gli ho dato una badilata in testa. Mia moglie dice che ho delle pessime maniere. Io credo che lei sia un’idiota. Se mi devo sorbire un’altra volta Toto Cutugno la ammazzo.

26 dicembre
Ancora non si può uscire di casa. Perché mai siamo venuti a vivere qui? E’ stata tutta un’idea di mia moglie. Mi urta davvero i nervi.

27 dicembre
La temperatura è caduta a 30 gradi sottozero e l’acqua nelle tubature si è ghiacciata.

28 dicembre
La temperatura è salita a 5 gradi sottozero, ma siamo ancora intrappolati in casa. MIA MOGLIE MI FA IMPAZZIRE!!!

29 dicembre
Altri 30 centimetri. Roberto ha detto che devo spalare la neve anche giù dal tetto o si sfonderà. Mai sentito niente di più idiota. Ma chi si crede di essere?

30 dicembre
Il tetto si è sfondato. Il conducente dello spazzaneve mi ha fatto causa e richiede 50.000 € di indennizzo. Mia moglie è andata a trovare sua madre. Il bollettino prevede 25 centimetri.

31 dicembre
Ho messo fuoco al resto della casa. Niente più spalare per il resto della mia vita.

8 gennaio
Mi sento bene. Le pilloline che mi danno qui mi piacciono. Rimane solo un’estenuante quesito: Perché mi hanno legato al letto???!!???!!??????



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Che salame
Racconto satirico


A quei tempi abitavamo in periferia, in mezzo al verde. Nostro figlio Luigi faceva parte di un asilo gestito da un’iniziativa di genitori. La riunione serale dei genitori si teneva una volta al mese; lo trovavo un po’ frequente, ma non commentavo. La riunione a volte si protraeva fino all’una di notte, il che secondo me era un po’ lungo, ma non dicevo nulla. Si vede che si tratta di genitori con iniziativa, pensavo, più iniziativa di quanto ne abbia io.
Una sera, una di quelle in cui non c’era riunione, mi trovavo in cucina intento a mangiare un panino al salame. In quel momento mi chiamò al telefono Giorgio, uno dei padri dell’iniziativa genitori e loro presidente, per chiedermi dove fosse stato comprato il salame per la colazione dei bambini all’asilo.
“Non lo so,” risposi e deglutii il mio pezzo di pane e salame più piano possibile.
“Non era la tua responsabilità fare la spesa per la colazione dei bambini questa settimana?” chiese Giorgio.
Io risposi di sì, ma aggiunsi che non avevo acquistato affettati.
Allora doveva continuare le sue ricerche, disse Giorgio, chiamare la maestra, gli altri genitori. Non voleva che i bambini si nutrissero di salame, lo avrebbe impedito con tutti i mezzi. Il salame fa male ai bambini, diceva.
“E il formaggio era del Conad,” aggiunse con voce tagliente.
“Sì,” risposi io.
“Non lo hai comprato nel negozio di alimentari biologici,” disse.
“No,” risposi io.
“Aha!” fece lui con voce da commissario, e mise giù il telefono. Io mi preparai un secondo panino al salame.

Nei giorni che seguirono, Giorgio mi chiamò ripetutamente. Non era solo il presidente dell’iniziativa genitori, era anche una specie di vigilante alimentare. Mi telefonava per esempio anche quando sul tavolo della colazione vedeva pane bianco invece che integrale, biscotti contenenti zucchero, mele non biologiche e carote non ecologiche.
Forse che non sapevamo...? chiedeva a me e mia moglie. Non avevamo sentito...? Non avevamo capito...?
Tutte le volte che metteva giù il telefono mi veniva un gran appetito di salame. Sviluppai una dipendenza al salame. La voce di Giorgio bastava per svegliare in me un’incontrollabile appetito per qualsiasi pietanza a base di carne; di sera spesso facevo un salto alla stazione di servizio per comprare prosciutto o insalata di carne di produzione industriale, che mi pappavo ancora seduto in macchina.
Un giorno, all’asilo mia moglie Paola fece l’errore di preparare delle polpette per pranzo. Subito Giorgio organizzò un raduno speciale; discutemmo due giorni e due notti per infine decidere l’abolizione del salame e di qualsiasi tipo di carne, in particolare quella tritata. Arrivato a casa mi preparai undici polpette e le mangiai, con ottimo appetito, insieme a otto fette di salame grosso.

Purtroppo, non molto dopo successe questo fatto: Luigi diede in testa a un altro bambino un trattore (di legno), perché questo non lo aveva voluto mollare. Purtroppo, l’altro bambino si mise a sanguinare. Purtroppo si trattava del figlio di Giorgio.
Quando telefonò era in casa solo la nonna. Le gridò che era stufo, che questa era l’ultima goccia! La nonna lo pregò di parlare con suo figlio invece di urlare nell’orecchio a lei.
“Quel salame di Suo figlio!” gridò Giorgio. “Bella famiglia davvero!”
In fretta e in furia venne organizzato un raduno speciale per discutere il problema “Luigi”. Giorgio ci tenne un discorso riguardo all’educazione dei figli a un atteggiamento sociale e pacifista, che aveva elaborato per iscritto. Intanto io uscii dalla sala raduno per aprire il frigo portatile che stava nel portabagagli, aiuto ormai insostituibile, e mangiai tre panini al prosciutto, otto scaloppine fredde e un’intera gelatina di maiale.
Quindi rientrai per chiedere a Giorgio se una pestatina tra bambini non è una cosa comune.
“E gli skinheads muniti di mazza da baseball, forse che anche quelli sono fatti comuni?!” urlò Giorgio.
Tornai fuori. Aprii il portabagagli e ne estrassi sei prosciutti affumicati, due salsicce al fegato, due altre salsicce al sanguinaccio. Quindi rientrai. Giorgio stava dichiarando che aveva “una pessima impressione della nostra intera famiglia”.
In quella sentii qualcosa farsi largo sotto le radici dei miei capelli: ero ebbro di colesterolo. Urlai in faccia a Giorgio che gli interessava soltanto poter controllare tutto e tutti, e che era un fascista del salame. Uscii sbattendo la porta. Appena tornati a casa mi preparai un chilo di spaghetti con salsa alla bolognese.

Alla fine siamo traslocati, in città. Nostro figlio va in un altro asilo, dove i raduni dei genitori si limitano a una volta all’anno.
Io sto ancora vivendo di insalata e frutta fresca. E soprattutto vivo senza Giorgio, senza Giorgio, senza Giorgio...



Traduzione: gennaio 2016
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Edited by Delari - 28/5/2016, 23:14
 
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Strega esasperata
Favola satirica


C’erano una volta un’uomo e una donna che vivevano in una bella casa nel verde con i loro due figli. Guarda caso, i bambini si chiamavano Hänsel e Gretel.

L’occupazione preferita di Hänsel e Gretel era: bisticciare. Lo facevano tutti i giorni. Già di prima mattina mentre si vestiva Gretel urlava: “Il mio vestito ha i fiorellini e i tuoi stupidi pantaloni nooo!”
Allora il fratellino le saltava addosso per picchiarla. Poi, andando in cucina per la colazione, le faceva le boccacce e diceva: “Io scendo le scale più in fretta di te!”
Quindi era lei a buttarsi addosso a lui e suonargliele. E Hänsel urlava da trapassare i timpani.
A pranzo, disse alla sorella: “I miei spaghetti sono più buoni dei tuoi, stupida!”
Gretel, che aveva deciso di passare a una nuova tattica, rispose: “Chi dice che qualcuno è stupido è lui lo stupido.”
Allora fecero entrambi mezza corsa attorno al tavolo, si incontrarono a metà strada, e ancora giù botte.

I genitori, disperati ed esausti, alla fine decisero di abbandonare questi discolacci nel bosco. Avevano avuto dei figli perché desideravano una famiglia, ma queste sempiterne liti erano divenute insopportabili.
I bambini si accorsero dell’infame piano dei loro genitori e raccolsero dei sassolini per segnare la via del ritorno. Ma si tradirono già prima di arrivare al bosco, perché litigavano a gran voce riguardo a chi avesse trovato i sassolini più grossi e più bianchi. Inoltre i genitori conoscevano bene i trucco dei sassolini perché avevano letto e riletto la favola di Hänsel e Gretel ai loro figli almeno cinquemila volte. Quindi, abbandonati i figli, durante il ritorno alla loro bella (e finalmente pacifica) casa raccolsero tutti i sassolini.

Hänsel e Gretel, disorientati, andarono in giro per il bosco per un po’ finché trovarono la casa che una strega aveva costruito di pane, con un tetto di biscotti al posto delle tegole e le cornici delle finestre fatte di zucchero.
I due bambini subito staccarono due cornici di finestre, e Gretel disse: “La mia finestra è molto più buona della tua!”
E Hänsel rispose: “Noooo che non lo è!”
La strega si sentì un po’ irritata, ma decise lo stesso di ingrassare Hänsel per poi prepararlo arrosto e mangiarselo. Lo chiuse in una gabbietta e tutti i giorni gli palpava un dito per sentire se era già abbastanza grasso.
La prima volta che lo fece, Gretel gridò: “Il mio dito è più magro del tuo!”
La strega, che aveva un temperamento collerico, sbottò: “Allora finisci il tuo piatto e smettila di parlare mentre mangi!”
Hänsel tentò di mollare un ceffone alla sorella attraverso le sbarre della gabbia.
“Smettila,” urlò la strega, “riordina la tua gabbia piuttosto!”

Dopo pochi giorni la strega aveva i nervi a fior di pelle.
“Ma non andate mai d’accordo?” chiese a Gretel.
Gretel rispose, “Non lo sa che fratelli e sorelle litigano sempre?”
“No,” rispose la strega un po’ imbarazzata, “sono stata figlia unica.”
Hänsel gridò alla sorella: “Marameo, io sto in una bella gabbietta e tu no - tiè!”

Alla fine la strega, non potendone più, prese i due litigoni per il bavero, li trascinò per tutto il bosco fino alla bella e pacifica casa nel verde, suonò il campanello e disse ai genitori:
“Riprendeteli ‘sti due - neppure una strega stagionata come me li sopporta!”
Allora i genitori, contentissimi, riabbracciarono i loro figlioletti perduti, perché nel frattempo erano piombati in una grave crisi esistenziale e avevano dovuto riconoscere che la vita fa veramente senso solo quando si hanno dei figli.



Traduzione: febbraio 2016
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L’arte dell’arrabbiarsi


Siamo in un bar, dentro al corpo del signor X. Il suo fegato è ben occupato, mentre gli altri organi sonnecchiano. Finché non si fanno sentire le orecchie...

Orecchie a cervello: “Abbiamo appena dovuto sorbirci la parola ‘ubriacone’!”
Cervello a orecchie: “Chi è stato?”
Orecchie a cervello: “Boh. Chiedilo agli occhi.”
Cervello a occhi: “Chi ci ha dato dell’ubriacone?”
Occhi a cervello: “Il tipo che ci sta seduto di fronte. 1 metro e 95, spalle da scaricatore di porto e faccia di uno che non ha paura di niente.”
Cervello a tutti: “Tutti pronti per arrabbiarsi! Cervello a ghiandole: Preparare un forte getto di adrenalina!”
Ghiandole: “Fatto.”
Milza a cervello: “Che succede lì da voi? A me non dice mai niente nessuno.”
Cervello a milza: “Non devi sapere niente, tu. Tienti fuori dalla comunicazione. Cervello a cuore: Alzare la pressione!”
Cuore a cervello: “Sa-sa-salita.”
Cervello a nervi: “Tremare!!”
Nervi: “S-s-stiamo già t-t-tremando.”
Milza: “Tremo anch’io.”
Fegato a cervello: “E l’alcool? Non ho più niente da fare.”
Cervello a mano destra: “Fai un pugno!!”
Milza a cervello: “Lo faccio anch’io il pugno?”
Cervello a milza: “Stai zitta, tu! Cervello a mano destra: Dagliene a quel maleducato che ci sta di fronte!!”
Pugno a cervello: “Non oso.”
Milza a mano destra: “Fifone, fifone!”
Cervello a milza: “Deciditi a tacere o ti butto fuori.”
Milza a occhi: “Cosa vedo, cosa vedo di bello...”
Occhi a milza: “Tu non vedi un bel niente, orba!!”
Milza a cervello: “Con tuo permesso, io gliele dò.”
Fegato a cervello: “Dove rimane l’alcool?!”
Cervello a tutti: “Bastaaa!! Zitti tutti, banda di matti! State buoni! Come si fa ad arrabbiarsi decentemente, con questo casino?! Ascoltatemi una buona volta!”
Milza a cervello: “Marameo!”
Cervelletto a cervello: “Su, ragazzi, datevi una calmata. Lasciate perdere, tanto farete una magra.”
Cervello a cervelletto: “Hai ragione. Meglio non azzuffarsi. Cervello a tutti: arginare la rabbia. Fermare il flusso di adrenalina e calmare la pressione! Prepariamoci a farcelo amico, quello zoticone. Cervello a lingua: Ordina due birre, una per il signore e una per il fegato.”
Lingua a cameriere: “Ci porti due birre belle fresche, eh...” :innocent.gif:


Traduzione: febbraio 2016
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.



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