Terzo e ultimo capitolo...
Vi avverto subito che non ho l'intenzione di tradurre
tutto, dato che si tratta di venti capitoli! Ma ultimamente, rileggendo il libro ho notato che in fondo i primi tre capitoli anticipano, rispettivamente spiegano già, tutto il resto.
L'intreccio che segue è complicato da capire per i protagonisti, non per il lettore attento: il mistero viene svelato una decina di anni dopo da Margarete e Herbert, ormai divenuti adulti.
Se volete facciamo a gara a chi indovina prima...
La dama dei rubiniParte 3“Devo parlarti un momento, Balduin!” aveva detto la signora consigliere, e da quando il signor Lamprecht aveva l’onore di essere suo genero, le richieste della signora venivano obbedite da lui come ordini. Così anche oggi.
Aveva una ruga di disappunto sulla fronte e sembrava che avesse voluto strangolare con le sue mani il pappagallo viziato che portava davanti a sé nella sua gabbietta e che strideva come se potesse leggere i suoi pensieri; ma la signora consigliere di questo non notava nulla, ancora meno perché dal primo piano venne loro incontro la cameriera, che si fece dare la gabbietta e la riportò al suo posto.
Così la delicata, sottile donnina camminava ignara graziosamente al fianco del genero, e il suo corto strascico di seta scura frusciava finemente sui gradini.
L’appartamento privato del signor Lamprecht si apriva vicino allo scalone e comportava la fine della lunga fila di stanze del piano medio. Dietro a queste stanze, a ridosso del cortile, si trovava il corridoio, anche chiamato salone corridoio dagli abitanti, perché la sua lunghezza e poderosa larghezza era tipica per la spaziosa generosità dei vecchi tempi. Finiva solo dietro all’ultima stanza, il cosiddetto salone rosso, dove faceva una curva intorno all’ala est, che era stata aggiunta all’edificio in un tempo successivo, e si stringeva in un budello stretto e dalla luce fioca dietro alla camera dov’era morta la signora Dorothea; qui alcuni piccoli gradini portavano lateralmente giù verso la casa di imballaggio, e una finestrella in alto lasciava appena entrare un poco di luce diurna.
Nel salone corridoio si trovavano credenze antiquate di bellissimo intaglio, e vicino alla parete sul retro, in mezzo alle porte a due ante di legno scuro che conducevano alle stanze, stavano in fila diverse sedie, i cui sedili e appoggi imbottiti erano ancora foderati dello stesso velluto giallo che uno dei vecchi commercianti aveva a suo tempo portato da un suo viaggio ai Paesi Bassi. Ma anche se gran parte dello sfarzoso antico arredamento degli antenati della famiglia aveva mantenuto il suo posto qui, davanti all’appartamento del padrone di casa il rispetto verso i padri finiva: questo era arredato con il gusto e il lusso della modernità.
Sembrava piuttosto il boudoir di una dama che la stanza di un uomo quella dove il signor Lamprecht fece entrare la suocera. Legno di rosa, tende di seta, acquerelli e una dolce luce rosea che sembrava scaturire da ogni angolo - questo delicato arrangiamento creava uno di quei nidi dove si immagina comodamente raggomitolata una bella e giovane donna! E infatti, questa era stata la stanza della defunta signora Lamprecht.
Uomo di forti passioni, dopo la morte della giovane moglie il signor Lamprecht si era rinchiuso qui per diversi giorni finché gli era passato il dolore più acuto, e dopo non aveva mai lasciato cambiare nulla: la stanza era rimasta un luogo sacro per lui.
“Oh, che grazioso!” disse l’anziana signora rimanendo in piedi davanti alla scrivania, dove aveva appena voluto sedersi. Era davvero carino l’acquerello che si trovava sul medaglione di un portadocumenti - un reticolo diafano di felce, e dietro un pezzo di bosco, il suolo animato da creature e germogli segreti appena visibili. “Un’idea originale, ed eseguita bene!” aggiunse la signora consigliere e prese in aiuto la sua lorgnette per guardare meglio. “Molto carina davvero! Eseguito dalla mano di una dama, Balduin?”
“Può darsi,” egli rispose stringendosi nelle spalle dopo avere gettato uno sguardo di sfuggita al portadocumenti, prima di volgersi a raddrizzare un quadro. “Oggigiorno l’industria si serve volentieri anche dell’aiuto di mani femminili.”
“Allora non è stato disegnato appositamente per te?”
“Per me?”
Il chiodino che aveva il compito di tenere diritto il quadro era caduto al suolo, l’uomo alto e prestante si chinò per raccoglierlo e quando si alzò il sangue gli era un po’ salito alla testa. “Cara madre, forse che Lei non è al corrente di ciò che prima di tutto occupa le nostre vite al giorno d’oggi - l’egoismo - e pensa davvero che qualcuno farebbe davvero un lavoro così difficoltoso senza aspettarsi nulla in cambio?”
Mentre diceva così le volgeva ancora le spalle, intento a spingere il chiodo al suo posto nel muro. Dopodiché rivolse nuovamente il volto all’anziana signora, e un sorriso amaro e beffardo gli guizzò intorno alla bocca. “Consideriamo tutte le belle mani femminili di nostra conoscenza, e mi dica quali si cimenterebbero in un lavoro artistico, che richiede tanta pazienza, per un uomo che - non è più libero!”
“In questo hai ragione,” essa sorrise adottando il tono di voce che si adopera per ammettere qualcosa di inoppugnabile. “Lo sa tutta la città che la nostra povera, cara Fanny ha preso il tuo giuramento di eterna fedeltà con sé nella tomba. Solo l’altra sera se ne parlava a corte. La duchessa parlava del tempo quando la mia povera figliastra era ancora viva, invidiata da molte, e il duca ha detto che non si dovrebbe tanto enfatizzare tanto i ‘bei vecchi tempi’ a contrasto delle consuetudini odierne; dacché lo stimato e per la sua severità quasi temuto signor Justus Lamprecht da giovane aveva spezzato il suo giuramento di eterna fedeltà in maniera eclatante, mentre il suo pronipote lo mortifica con la sua nobile saldezza d’animo.”
Il signor Lamprecht era scomparso dietro al tendone rosso. Aveva appoggiato le mani sul davanzale e guardava, oltre la fontana della piazza del mercato, la viuzza che si apriva dall’altro lato.
“Allora, Balduin!” esclamò la signora consigliere e lo cercò con gli occhi, dato che dall’angolo della finestra non veniva alcuna risposta. “Non sei contento che a corte abbiano una così buona opinione di te?”
Il fruscio delle tende laterali nascose il sospiro che tremava sulle labbra dell’uomo mentre tornò a volgersi all’interno della stanza. “Il signor duca sembra ammirare questa qualità più in un altro che in se stesso - lui si è risposato.”
“Suvvia, Balduin, che modo di parlare!” si agitò l’anziana signora. “Come puoi permetterti di parlare così? Si tratta di un caso assolutamente diverso! La prima duchessa era malaticcia...”
“Per favore, madre, non c’è motivo di accaldarsi! Non parliamone più.”
“E va bene!” ella annuì. “Hai ragione, nel tuo caso non si può parlare di tentazioni. Dopo il tuo matrimonio con Fanny è perfettamente comprensibile che non potresti neppure di sfuggita considerare un legame con un’altra. La duchessa Friederike invece...”
“Era brutta e scorbutica.” Il signor Lamprecht gettò lì questa frase nel tentativo di trattenere la conversazione su un terreno neutro.
Ella scosse ancora il capo con disapprovazione. “Non oserei mai parlare così - in ogni caso la nobiltà abbellisce qualsiasi persona. E inoltre c’è una grandissima differenza; il duca non era legato da nessuna promessa, era perfettamente libero e autorizzato a risposarsi.”
Con queste parole, essa tornò ad appoggiarsi allo schienale della sua poltrona. “Non puoi giudicare cose come queste, caro Balduin. Fanny è stata il tuo primo e unico amore, e noi ti abbiamo dato la nostra figlia con gioia. Quando ti sei fidanzato con lei i tuoi genitori erano orgogliosi di te, perché con il tuo sentimento avevi rivolto il tuo sguardo in alto e non, come lo fanno molti giovani immaturi e confusi, su un livello più basso.” Con un profondo sospiro essa si interruppe, lo sguardo fisso dinanzi a sé con rammarico. “Dio lo sa che in ogni momento sono stata una madre protettiva e ligia al dovere, non meno dei tuoi genitori: eppure il mio proprio figlio si lascia distrarre - negli ultimi tempi Herbert mi causa delle preoccupazioni indescrivibili!”
“Il rampollo esemplare, madre?” Il signor Lamprecht la guardò di sopra la spalla con una risatina di scherno.
La signora consigliere si schiarì la voce e raddrizzò la sua figurina con aria piccata. “Lo è ancora, sotto molti aspetti. Ha una gran meta davanti...”
“Lo so, l’ho già detto mentre eravamo in cortile. Salirà e salirà, finché si troverà sotto ai piedi tutto gli altri arrivisti e non avrà più nessuno sopra di sé che non il personaggio più alto dello Stato.”
“Lo biasimi forse?”
“Affatto, se ne ha davvero le capacità. Ma al giorno d’oggi tanti gettano via le loro vere convinzioni e si mettono a fingere e lusingare, con il risultato che molti subalterni leccapiedi di intelligenza media diventano persone di grande autorità.”
“Che modo di bollare l’abnegazione più leale della propria persona!” protestò l’anziana signora. “Chiedi a te stesso se avresti la sfacciataggine di opporti a una direzione imposta da un’autorità superiore alla tua! Lo so bene che nessuno accoglie più volentieri di te gli inviti dei più nobili personaggi, e non ricordo di averti mai sentito esprimere la minima opposizione ai loro punti di vista.”
Questa osservazione tagliente ma veritiera venne accolta dal signor Lamprecht in perfetto silenzio. Con tedio apparente guardò il paesaggio dipinto sul quadro dinanzi a lui e chiese, dopo una breve pausa: “Cos’è che ha da rimproverare a Herbert?”
“Sta amoreggiando in maniera indegna!” sbottò l’anziana signora. “Se non mi ripugnasse tanto la volgarità direi che per me quella Blanka Lenz può andarsene a quel paese... Ieri un colpo di vento mi ha fatto cadere davanti un foglio di carta che gli deve essere caduto dal quaderno; conteneva un fervido sonetto ‘Dedicato a Blanka’... ero fuori di me!”
Il signor Lamprecht era ancora al suo posto davanti al quadro, ma un movimento era entrato in lui - come aveva fatto poco prima nel cortile agitò su e giù la mano lentamente, come se stesse ancora brandendo la frusta da cavallo.
“Bah, quello sbarbatello!” Allungò la sua figura e girandosi con un movimento allo stesso tempo militare e aggraziato si voltò a guardare nello specchio di fronte alla finestra, che raggiungeva il soffitto e gli mostrava un viso leggermente arrossato su cui si dipingeva un sorriso beffardo.
“Lo sbarbatello fa parte di una casa molto distinta, non te lo dimenticare!” rispose sua suocera sollevando l’indice in cenno di ammonimento.
Il signor Lamprecht si fece scappare una risata dura. “Mi perdoni, madre, ma per quanto mi impegni non riesco a immaginare il nostro signorino, ancora senza barba e con i libri di scuola sottobraccio, nel ruolo di un uomo pericoloso e seducente, per quanto brilli l’aureola della sua appartenenza a questo tetto patrizio!”
“Questo devono essere le donne a deciderlo,” brontolò la signora consigliere. “Ho tutte le ragioni per sospettare che Herbert di sera tardi vada a passeggiare sotto al loggiato di legno, il balcone di quella Giulietta...”
“Lui avrebbe l’ardire...?” si inalberò il signor Lamprecht tutt’a un tratto. La rabbia sfigurò i suoi lineamenti al punto da renderlo quasi irriconoscibile.
“Parli di ‘ardire’ riguardo a questa figlia di pittore? Sei impazzito, Balduin?” si inalberò l’anziana signora e si alzò sui suoi piedini con un improvviso scatto quasi giovanile.
Il genero non sopportò il fiume di parole eccitate che seguì e si ritirò dietro al tendone, dove tambureggiò con impazienza sui vetri della finestra.
Lo sguardo al di fuori della stanza sembrava averlo calmato. Smise con il tambureggiamento e guardò di lato la piccola signora. “Come faccio a non arrabbiarmi se quello scolaretto perde tempo con gli appuntamenti romantici! Bah, madre, non ci agitiamo!” Fece spallucce con un gesto beffardo. “Mi sembra una stupida ragazzata! Non sarà tanto difficile tenere sotto controllo un giovanetto immaturo che dovrebbe or ora essere immerso fin sopra i capelli nelle lezioni di greco e latino.”
“Allora vedi che siamo della stessa opinione, anche se non mi piace come parli di lui,” ella esclamò visibilmente sollevata. “E’ appunto per questo che volevo parlarti... Non mi preoccupo del futuro di Herbert per via di questa fiamma di gioventù, sono sicura che non oserebbe mai dimenticare cosa deve alla sua famiglia.”
“Al punto di voler sposare la figlia di un pittore di porcellane? Buon Dio! Sua Eccellenza, il nostro futuro ministro!” scoppiò a ridere il signor Lamprecht.
“Oggi ti sembra piacere più del solito ridere della carriera di Herbert - ma non ti illudere, arriverà tutto come deve! Tutto ciò che ho in mente, adesso, sono i suoi esami. E’ nostro dovere allontanare tutto quello che potrebbe distrarlo, a cominciare dalla ragazza che vive nella casa di imballaggio.”
Mentre ascoltava le sue parole il genero si era allontanato da lei e aveva fatto qualche passo su e giù; quindi prese da uno scaffale un libriccino di miniature, lo aprì e sembrò approfondirsi nella lettura.
L’anziana signora ora fremeva dall’irritazione. Ancora un attimo fa il genero le era sembrato quasi una furia, senza motivo apparente, e adesso dimostrava una indifferenza provocatoria. Ma era decisa a continuare a parlare, finché non avrebbe raggiunto la sua meta.
“Non capisco che cosa ci faccia qui tanto a lungo, la ragazza,” si infervorò. “All’inizio avevo sentito che stava per tornare in Inghilterra e doveva solo passare qualche settimana con i genitori per ricrearsi un po’. Ma intanto sono passate sei settimane, e per quanto io guardi e ascolti, non noto il minimo segno di partenza... La ragazza gode del dolce far niente. Legge, canticchia, danza, si infila fiori nei capelli... e la madre la guarda, estatica, e tutti i giorni sta tutta sudata sul loggiato, a stirare i vestitini chiari e leggeri della sua principessina, affinché questa abbia sempre un aspetto civettuolo e seducente... E questo è il fuoco fatuo intorno a cui si aggirano i pensieri del mio povero figlio! La ragazza deve andarsene, Balduin!”
Il padrone di casa faceva sfrusciare le pagine del libro con noncuranza. “Devo forse dire ai genitori che la mettano in un convento?”
“Per favore, non c’è niente da scherzare! La cosa è seria. Non m’importa dove vada, dico solo che deve lasciare questa casa!”
“La casa di chi, madre? Per quanto ne so qui ci troviamo nella casa Lamprecht e non nel feudo di mio suocero. Inoltre la famiglia Lenz abita dall’altro lato del cortile.”
“E’ appunto questo che non capisco!” ella esclamò, ignorando il tentativo del genero di ricordarle la sua autorità casalinga. “Non ricordo che nessuno abbia mai abitato nella casa di imballaggio.”
“Invece adesso è abitata, madre,” rispose l’uomo appoggiando il libro sul tavolo con noncuranza.
“Purtroppo, ed è stata anche messa in sesto per quella gente. Tu vizi troppo i tuoi operai.”
“Quell’uomo non è un operaio come tutti gli altri.”
“Ma se dipinge tazze da caffè e caminetti di pipa! Non vedo nessun motivo per cui proprio lui debba avere il privilegio di vivere nella casa del suo principale, come se a Dambach non ci fosse abbastanza spazio!”
“Quando ho ingaggiato il signor Lenz un anno fa mi ha chiesto di poter abitare in città. Sua moglie soffre di un male che a volte rende necessaria l’assistenza immediata di un medico.”
“E’ così allora!” L’anziana signora tacque per un momento, ma quindi riprese, dopo una breve riflessione: “Contro questo non si può dire nulla - sarei già contenta se non dovessimo più sentire la voce della piccola civettuola nel cortile mentre canta, e vederla passeggiare sul loggiato. Gli appartamenti in affitto in città non mancano.”
“Insomma dovrei buttare fuori lui e la sua famiglia dalla loro casa sui due piedi, solo perché ha la sfortuna di avere una figlia bella?” Gli occhi dell’uomo lampeggiarono in direzione della suocera e una fiamma oscura cominciò a brillare in essi. “Non ha pensato che tutta la famiglia e anche chi appartiene alla fabbrica penserebbe che ha fatto qualcosa di male? Come potrei fargli un simile affronto? Non ci pensi neppure, madre!”
“Ma santo cielo, bisogna fare qualcosa! Non si può continuare così!” ella esclamò, ormai quasi disperata. “Non mi rimane altro che andare io stessa da quella gente e convincerli a far partire la figlia. E se devo sacrificare una somma di denaro per questo, non mi dispiacerà.”
La voce del signor Lamprecht doveva essere atona, ma sembrava pervasa da uno spavento segreto. “Vuole rendersi ridicola? E non pensa alla mia reputazione come principale, come soffrirebbe da un gesto così? Forse che la gente dovrebbe pensare che il loro benessere dipenda dai nostri affari privati? Non posso permetterlo.”
“Per favore, figlio mio, non eccitarti per una cosa da nulla!” irruppe la signora consigliere freddamente e con un gesto elegante della mano. “Non è nient’altro che un capriccio, il tuo; un’altra volta il destino e l’alloggio del pittore Lenz e della sua famiglia non t’importeranno per niente. Nel frattempo dovrò rimanere attenta ogni ora e non troverò riposo.”
“Non si preoccupi per questo, madre! In me vede il Suo miglior alleato!” egli rispose con una risatina sardonica. “Vedrò di porre fine ai turgidi sonetti e le passeggiate serali - su questo Le dò la mia parola!”
In quel momento da fuori si sentì qualcuno aprire con foga la porta del corridoio, e dei piccoli passettini che si avvicinavano.
“Possiamo entrare, papà?” domandò la vocetta di Margarete, mentre le sue piccole mani bussavano energicamente.
Il signor Lamprecht aprì la porta e lasciò entrare i suoi due figli. “Allora, cosa c’è? I dolcetti di Dietendorf ve li siete già pappati tutti ieri, golosoni, e la bomboniera è vuota...”
“No, papà, non è per quello! Oggi abbiamo mangiato un dolce insieme al caffè!” rispose la bambina. “E’ che zia Sophie vuole avere la chiave - la chiave della camera in fondo al corridoio buio, che sta sempre chiusa.”
“E da dove ha guardato giù la signora del salone rosso poco fa...” aggiunse il fratellino.
“Cos’è ancora questa sciocca storia della dama del salone rosso?” domandò loro il padre con voce burbera.
“E’ quello che dice Bärbe, papà! Lo sai che è tanto superstiziosa,” rispose Margarete.
Quindi raccontò di quello che aveva visto alla finestra, del disegno di fiori sul tendone rosso della camera, che tutt’a un tratto si era separato in mezzo e che si erano vedute delle dita bianche e anche una fronte con dei capelli chiari, e zia Sophie diceva che non poteva essere, che era stato il riflesso del sole. Il signor Lamprecht raccolse il libro di miniature dal tavolo per rimetterlo al suo posto sullo scaffale.
“Certo che è stato il sole, sciocchina! Zia Sophie ha ragione,” rispose dopo aver riposto il libriccino con esattezza ed essersi girato. “Pensaci un po’, bambina!” le fece considerare e appoggiò l’indice contro la fronte. “Sei salita per farti dare la chiave della camera chiusa, e infatti ce l’ho - si trova lì, nell’armadietto delle chiavi. Come dovrebbe entrarci una persona fatta di carne ed ossa in quella camera, forse attraverso gli spiragli della porta?”
La bambina guardò il padre e ci pensò; ma non sembrava molto convinta. E così gli argomenti del padre non risultarono in altro che in una seria risposta: “Puoi credermi, papà, sono sicura che si è trattato della cameriera della nonna!”
Il signor Lamprecht scoppiò a ridere, e la signora consigliere non poté trattenersi dal ridere un po’ anche lei, nonostante non le fosse ancora passata l’agitazione.
“La mia Emma? Cielo, che idee ti frullano in testa, Grete! Lo sai che,” con queste parole ella si rivolse ammiccando al genero, “gli inservienti di casa vogliono ricominciare a farci paura per via di quella vecchia leggenda? Tutti pretendono di aver visto qualcosa, e non solo ombre e nubi di ragnatele - Emma per esempio mi ha giurato tremando e battendo i denti di aver visto sgattaiolare qualcosa di trasparente, e che dai veli per un momento è uscito un braccio tutto bianco e rotondo!” All’improvviso l’anziana signora appoggiò le mani intrecciate al petto. “Spero solo che non si tratti di un complotto tra Herbert e certe persone - il solo pensiero mi fa ribollire il sangue!”
“Poffare, questa sarebbe bella!” rispose il signor Lamprecht. “Allora sì che ci toccherebbe stare sempre in guardia... Ma a dire il vero sono stufo di queste sempiterne chiacchiere tra i nostri domestici, ne va del buon nome della casa! E’ sempre stato un errore non utilizzare l’ala est della casa; è proprio quello che alimenta la vecchia storia dei fantasmi. Ma io vi porrò fine - avrei voglia di invitare ad abitarci qualche famiglia di torcitore di porcellana da Dambach; ma la gente dovrebbe entrare e uscire passando dal salone corridoio, davanti alle mie porte, e tutto quell’andirivieni non mi andrebbe. Allora andrò io ad abitare di quando in quando, nella vecchia camera della signora Dorothea.”
“Questa sì che sarebbe una soluzione drastica!” sorrise la signora consigliere.
“E farò anche approntare una porta con un chiavistello per chiudere il salone corridoio dal corridoio piccolo - così quei conigli che vengono qui sopra a lavorare non avrebbero più modo di sbirciare intorno all’angolo e deliziarsi delle loro paure finché cominciano a vederli davvero, i fantasmi... Ci penserò!”
Mise la mano nella bomboniera che si trovava sul tavolo. “Guarda un po’, si sono ancora smarrite un paio di caramelle qui dentro!” disse e riempì di dolciumi le manine dei bambini. “E adesso per favore tornatevene giù - il papà ha un sacco di lavoro da fare.”
“E la chiave, papà, te ne sei dimenticato?” domandò la piccola Margarete. “Zia Sophie ha detto che vuole salire e aprire le finestre. Dice che non pioverà e che l’aria notturna spazzerà bene la camera, e domani vuole far pulire i pavimenti e i mobili.”
Il signor Lamprecht si arrossò leggermente in viso. “Basta con questa pulizia eccessiva!” esplose. “Qualche giorno fa il salone corridoio era tutto allagato. Dille che se lo scordi! Va’ giù, Gretchen, e dì alla zia che c’è tempo, e che verrò a parlarle io stesso per le modifiche.”
I bambini se ne andarono saltellando, mentre la signora consigliere si accommiatò e uscì dalla stanza con passetti ben misurati.
Lamprecht rimase in piedi nel mezzo della stanza. Fuori la porta si chiuse, e l’uomo aspettò finché si spense l’ultimo suono di passi sulle scale. Quindi si avvicinò in fretta alla scrivania, aprì il portadocumenti, con una mano accarezzò lievemente l’acquerello e lo rinchiuse in uno dei tiretti prima di uscire.
La stanza era abbandonata, e con l’imbrunire i mobili e la tappezzeria si colorarono di rosso pallido. Ma mentre la luce si estingueva, il ritratto della signora Fanny sembrò animarsi in maniera strana, come diventasse vivo e in un attimo la donna potesse afferrare lo strascico del suo abito color argento e appoggiare i piedi sul tappeto per seguire l’uomo a passi silenziosi, con gli occhi fiammeggianti... proprio come la defunta signora Judith...
Traduzione: maggio 2016
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.
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https://gonagai.forumfree.it/?t=71738486&st=75Edited by Delari - 5/12/2017, 17:49