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Traduzioni, Follie varie...

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view post Posted on 5/7/2018, 11:33     +1   -1
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Grand Pez di Girella

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Il dramma quotidiano


Sono le ore 6:45, decisamente troppo presto la mattina. Non ci sono scuotere e sbatacchiare, né minacciare né arrabbiarsi, né rullo di tamburi e fanfare che tengano: il bambino non si sveglia - per non parlare di alzarsi. E intanto il tempo scorre, e purtroppo di mattina ha più fretta del solito.
Tra mezz’ora il figlio dei vicini, fresco come una rosa e ben nutrito (la famiglia è del tipo allodola, si sveglia ai primi raggi di sole) si troverà davanti alla porta, perché lui e lo sfiancato figlio-gufo vanno sempre insieme a scuola. Questo avrà solo un braccio infilato nella giacca perché l’altra mano terrà ancora un pane di colazione che non ha finito di mangiare. E chissà dove sarà andata a nascondersi la seconda scarpa.
Per le famiglie del tipo gufo, che di mattina non trovano mai l’uscita del letto, i giorni di lavoro rispettivamente di scuola cominciano a orari quando non si ritengono ancora capaci di far funzionare il cervello. Ma siccome non c’è nient’altro da fare, la sera prima digrignando i denti mettono in funzione quattro sveglie, due in camera e due in corridoio, per gli orari 06:12, 06:14, 06:17, 06:18 e 06:22.
La mattina, sbadigliando e borbottando, spengono una sveglia dopo l’altra e accendono la luce. Pessima idea: sembra tagliare gli occhi neppure fossero dei raggi laser. Non vedono la porta del bagno e devono trovarla a tentoni. Mentre le lancette dell’orologio in cucina, neanche facessero apposta, si muovono più velocemente del normale, i genitori-gufo si muovono come in un film ripreso al rallentatore.

Che sfiga.
Di.
Mattina.
Va.
Sempre.
Tutto.
Così.
Lentamente.

Mentre uno dei genitori estraaaae il burro dal frigo, taaaaaglia il pane, lo meeeeete sul piatto, spaaaalma, spaaaalma e spaaaalma il burro, l’altro le prova tutte per convincere il pargolo ad abbandonare il letto. Fino a qualche anno fa chiamava il mattino presto la sua “risurrezione”. Anche ai genitori sembra sempre di doverlo svegliare dai morti.
Scuoterlo, cercare di allettarlo, sgridarlo, tutto inutile. Alla fine solo la minaccia con un secchio di acqua gelida in testa convince il figlioletto sonnacchioso a fare i primi - barcollanti - passi in direzione del bagno. Ha la schiena piegata in due, le mani strisciano per terra come ad un orango.
“Ma cosa fai?”
“Faccio piano stamattina,” risponde con voce impastata di sonno.
I genitori annuiscono, comprensivi.

„Per noi non c’è nessun problema,” cinguettano freschissimi i genitori-allodola, i cui figli amano alzarsi la mattina presto. Alle sei fanno i salti sul letto tutti insieme, prima ancora che suoni la prima sveglia. Un’ora dopo hanno fatto colazione, preparato la merenda ai pargoli e intanto li hanno intrattenuto leggendogli i loro libri preferiti. Tutti. Dopodiché, si sono preparati un caffè, hanno discusso dell’attuale situazione politica nel mondo, sviluppato un piano concreto per la soluzione di almeno due crisi mondiali, e lo hanno inviato via e-mail alle Nazioni Unite. Dopodiché c’è ancora il tempo per prepararsi un altro caffè.
I genitori-gufo, che di mattina fanno fatica a seguire la conversazione delle allodole e si limitano ad annuire di quando in quando, salvano il mondo non prima delle 8 di sera. Magari anche più tardi.

Per fortuna ci sono sempre sabato e domenica per consolare i genitori-gufo. Weekend, finalmente si può dormire. Venerdì sera si stendono beatamente nel letto, dopo essersi rassicurati che le sveglie di casa sono davvero tutte spente. Poco prima di addormentarsi, la moglie dice al marito: “Sai quanto m’interessa l’oro in bocca?” Lui sorride sommessamente, mezzo minuto dopo entrambi ronfano beatamente.
Sono le sei, troppo presto per un sabato mattina. Il figlioletto li chiama. È seduto diritto sul suo letto, sveglissimo. „Maperchénon dormi?“, bofonchiano i genitori. Le loro bocche non sono ancora abbastanza sveglie per formare delle frasi coerenti. „Sedisolitonontisveglimai?“
Il figlio spinge in alto le palpebre dei genitori che stanno per richiudersi. “Ma oggi è fine settimana! Non devo preparami e posso subito mettermi a giocare. Mica voglio sprecare il mio tempo!“

Ai genitori-gufo rimane una speranza soltanto: la leggendaria adolescenza. Da quanto hanno sentito, durante questo periodo, sabato e domenica i figli non si alzano di propria iniziativa la mattina prima delle dodici.
Si tratta solo di tenere duro per otto anni ancora. O forse sette.
Tenere duro. Sì.
Non addormentarsi.
Non… add...

Zzzzzzzzzz…


Traduzione: luglio 2018


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view post Posted on 11/7/2018, 09:36     +1   -1
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Grand Pez di Girella

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La riscoperta della lentezza


Con i primi passi del loro figlio, per i genitori si apre un mondo tutto nuovo: la scoperta della lentezza. Inizialmente, naturalmente erano stati contenti quando il piccolo aveva fatto i primi un, due passetti, cominciando a conquistare il mondo. Ma con il passare del tempo avevano dovuto scoprire che per loro, questo significava soprattutto una cosa: che non riuscivano quasi più a muoversi.
Ai tempi della carrozzina e del buggy erano ancora loro a determinare il ritmo delle giornate. A passi veloci conquistavano con il loro bebè, dopo con il bambino gattonante, il quartiere. E quello dei vicini. E il resto della città.
Addio.
Ormai il figlioletto, a passi sommessi, va per la propria strada. E lo fa lentamente. Mooooolto lentamente. Non solo perché lotta continuamente con la gravità, che tende a vincere; con la transizione dall’età in cui il bambino gattonava a quella in qui trotterella il bambino scopre il desiderio di prendersi tempo per le piccole cose della vita. Un’ottima idea, dicono gli psicologi esperti a consigliare come migliorare la propria vita; i genitori prendano esempio dal loro pargolo.

Solo che a quanto pare, questi esperti non hanno mai dovuto trovarsi puntualmente dal medico. O all’asilo. O finire di fare la spesa prima dell’ora di cena, o riuscire a fare i passetti dal bidone dell’immondizia all’entrata di casa prima che faccia notte. Queste condizioni, chiamate ‘quotidianità’, non rendono necessariamente felici i genitori quando il frugoletto scopre qualcosa di interessantissimo sul bordo della strada: per esempio una colonia di formiche. Con tanto di colonna! Che stanno trascinando recalcitranti insetti, e altre cose, nella loro tana! Che bottino! Un altro! E un altro ancora!
Meravigliosa questa scoperta della natura, pensano i genitori inizialmente, per la durata di circa quattro minuti. Dopo sei minuti cominciano a innervosirsi. Mentre il bambino non ha ancora osservato abbastanza, da lontano si vedono le luci dell’autobus.
„Vieni, è ora di andare.“
„No, formii!!“ (Tende ancora ad abbreviare le parole.) I genitori sono costretti a guardare il bus allontanarsi.
Quindi decidono di prendere il prossimo bus e di prepararsi meglio, questa volta. Dicono al tesoruccio di dire arrivederci alle formiche, perché verrà il prossimo autobus, e molto presto.
„No“, dice il bambino.
E va bene, che continui a osservare ancora per un minuto, ma poi si va. Il bambino è d’accordo. Finché il minuto è passato.
„NO!“, urla.
L’altro ieri aveva voluto camminare attraverso le pozzanghere sotto alla pioggia scrosciante finché non ci era caduto dentro lungo e disteso. La madre era già bagnata fino alle ossa. E il giorno prima si era rifiutato categoricamente di sedersi nel carrello; no, voleva esplorare lui stesso l’infinita vastità del supermercato. Arrivati alla cassa, i surgelati già gocciolavano sul pavimento. Adesso, davanti al formicaio, i genitori ne hanno finalmente abbastanza.
„FORMIIIII!!!!“, protesta il bambino.
„Nooo!“, rispondono i genitori, che vorrebbero passare il pomeriggio insieme ai loro amici e non con una famiglia di insetti. Il padre, stufo, piglia in braccio il bambino, mentre la madre tiene fermo il buggy. „Formiiiiiii! Formiiiiii! Formiiiiii!“ L’autobus è quasi arrivato alla fermata. Il pargolo spinge mani e piedi dentro il buggy con tutte le sue forze. Infine il padre si infila il piccolo sotto al braccio e si mette a correre, ma i calci di questo contro la sua gamba destra lo rallentano troppo. Dell’autobus rimangono solo due luci che si allontanano.

Dieci minuti ad aspettare il prossimo bus possono diventare maledettamente lunghi, quando si è alle prese con un bambino isterico che continua a urlare „Formiiii!“, affinché il mondo intero sappia dell’ingiustizia che deve sopportare da parte dei suoi genitori. Anche il tragitto in bus è lungo, per non dire interminabile. Gli altri passeggeri condividono questa opinione.
Infine i genitori riprogrammano l’incontro con i loro amici; si vedranno al parco giochi, non al caffè. Di lì almeno non dovranno più muoversi per il resto del pomeriggio.
Nel frattempo il bambino scopre che la sabbia si può benissimo infilare a badilate non solo nel secchiello, ma anche nei propri pantaloncini (cambiargli i pannolini stasera sarà un vero divertimento). Che altri bambini, quelli che non sanno ancora camminare, non possono riprendersi i giocattoli che gli vengono trafugati (solo che purtroppo i genitori di questi sono sempre più svelti). E che dal cancello del parco giochi si ha una vista magnifica sul traffico che scorre. Quante macchine! Un’altra, e un’altra ancora! E ora guardate, un furgone! Potrebbe trascorrere ore intere a guardare. E difatti lo fa.
Durante il ritorno il bambino, finalmente stanco, si lascia infilare senza proteste nel buggy e dopo quattro metri dorme. Così alla sua attenzione sfuggono un cantiere (se fosse sveglio lo osserverebbe per un periodo che a lui sembra cortissimo e ai suoi genitori infinito), un gabinetto pubblico per cani (ahem, parco), 15 cani che vi scorrazzano felici, e milioni di insetti che strisciano e corrono sul marciapiede accanto.
Tutti contenti, i genitori avanzano con la loro velocità consueta, vedono l’autobus avvicinarsi, entrano e si lasciano scorrazzare a casa. Puntuali, calmi e rilassati.
Sono quasi arrivati a casa, mancano solo pochi metri. In quella il pargolo si sveglia.
„Formii…?“


Traduzione: luglio 2018



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view post Posted on 24/12/2018, 17:22     +1   -1
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A Natale… o la va o la spacca


È risaputo che il periodo natalizio porta alla luce i peggiori lati di ogni persona. Il motivo sta nelle nostre esagerate aspettative riguardo alla „festa dell’amore”, per non parlare dello stress causato da feste natalizie, centri città sovraffollati, idee regalo folli e la mancanza di luce naturale durante le giornate.

La mia esperienza mi dice che il Natale è innanzi tutto un test per le coppie. In questo idilliaco periodo soprattutto le coppie ancora nuove scoprono presto se il loro rapporto sarà duraturo o meno. Il problema sta nella nostra infanzia: entrambi abbiamo un mucchio di ricordi legati al Natale e ci portiamo dietro infinite tradizioni, e per qualche motivo siamo più predisposti a non scendere a patti in queste occasioni che quando si tratta di arredare insieme la prima casa, o scegliere i nomi per i futuri figli. Perché per qualche oscuro motivo tutti pensiamo che ci sia un solo vero modo per festeggiare degnamente il Natale: il nostro.

Eravamo insieme da circa due anni e abitavamo insieme da qualche settimana quando scoprii che l’uomo che avevo sempre creduto una persona amabile e ragionevole era in verità un mostro, che a cominciare dal primo avvento aveva deciso di capovolgere tutte le mie tradizioni amorevolmente curate, e per di più lo faceva apposta.

Tutto cominciò con i biscotti natalizi. Come dovrebbe sapere qualsiasi persona che ha una testa sulle spalle, i biscotti vengono preparati prima delle feste, forse anche ammirati, ma certamente non mangiati. Si mangiano solo a partire dal 24 dicembre, ALTRIMENTI PERDONO OGNI SIGNIFICATO!!!! Tanto vale lasciar perdere e darsi all’anarchia. O magari abolire le feste natalizie del tutto.
Insomma, il mio ragazzo già il 1° dicembre cominciò a comprare al supermercato (!) infiniti panpepati e papparseli uno dopo l’altro, e mentre lo guardavo esterrefatta mi spiegava, ancora con la bocca piena, che l’avvento è fatto proprio per riempirsi un po’ la pancia. Lui spazzolava una scatola di biscotti dopo l’altra mentre il Natale non era ancora visibile neppure col binocolo!, e io cominciavo a nutrire dubbi serissimi. Ma eravamo davvero compatibili, come avevo sempre pensato? Mi ero sbagliata in lui in tutti questi mesi? Il nostro rapporto era salvabile?

Alcune persone mangiano biscotti natalizi solo a cominciare dalla Vigilia. Gli altri sono dei barbari disumani, che durante il periodo dell’avvento ingollano dolciumi e quando arriva il gran giorno dichiarano di non poter più vedere nessun tipo di cibo a base di zucchero.
Alcuni si rompono la testa anche nel chiedersi cosa regaleranno quest’anno alla prozia novantenne che vedono in media due volte l’anno. Gli altri disegnano un buono per un massaggio piedi e lo passano 30 volte attraverso la fotocopiatrice, risparmiando un sacco di tempo e denaro perché sanno benissimo che la stragrande maggioranza dei loro amici e parenti non verrà mai da loro a farsi massaggiare i piedi.
Alcuni fabbricano faticosamente per il loro compagno un calendario dell’avvento ricolmo di 24 (a parole: VENTIQUATTRO) regalini minuscoli scelti amorevolmente, tutti con lo scopo di mostrare all’altro quanto gli sta a cuore. Altri comprano una cassa di birra, ci scrivono sopra “Calendario” con un pennarello e si sentono geniali perché si sono risparmiati tutta quella fatica.
Alcuni sanno che il 24 dicembre prima si legge insieme la storia del Natale nel Vangelo di San Luca, poi si intonano insieme canti natalizi, dopo si aprono i regali, indi si cena, poi ci si riposa un po’ tra un biscotto e l’altro, per dopo andare alla messa natalizia delle 11 di sera e dopo mangiare ancora uno o due biscotti prima di andare a letto.
Gli altri invece sbagliano tutto. O forse no?

Dopo il primo Natale insieme, che avevo passato tra mettermi le mani nei capelli e bisticciare con il mio ragazzo per via delle sue disumane abitudini, per fortuna decisi di rifletterci un po‘. Ma erano davvero così stringenti le mie tradizioni, o ero io ad essere inflessibile in questo punto? In tutta la mia via non mi ero mai chiesta se come avevamo sempre fatto le cose fosse anche giusto o necessario. Era “sempre stato così“, punto e basta. Ripensandoci, non era un argomento molto convincente. Quello che avevo imparato da un pezzo riguardo ad altri argomenti - per esempio i gusti diversi nella scelta delle stoviglie o i pareri divergenti riguardo a ordine e disordine casalinghi - lo avevo dimenticato proprio nel periodo natalizio: che per vivere un rapporto paritario e duraturo con una persona bisogna avere la capacità di accettare dei compromessi. Quindi decisi di abbandonare i miei pregiudizi e di guardare un po‘ più da vicino le tradizioni che vengono curate nella famiglia di lui.

Perché bisogna ammettere che alcune delle loro idee sono davvero simpatiche: per esempio per la Vigilia invitano anche amici o conoscenti che per un motivo per l’altro non hanno nessuno con cui poter festeggiare - i miei non lo farebbero mai. E siccome non hanno voglia di andare in chiesa la sera tardi, o non vanno affatto a messa o ripiegano sulla messa per i bambini, che è meno austera e solenne ma offre un bel presepe vivente - nella mia famiglia, sarebbe un sacrilegio.
E per essere onesta: dopo il primo anno ho ceduto anche riguardo ai dolciumi e ora siamo in due a lasciare briciole sul divano ogni sera. Con ottimo appetito e con buona pace dei miei rimorsi. Ora spero solo che mia madre non lo venga mai a sapere… :via:



Dicembre 2018
Traduzione eseguita solo per uso privato



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Elfi Natalizi odierni
Satira

Polo Nord, 1 settimana prima di Natale. Due elfi un po’ vecchiotti sono intenti a lavorare davanti a una catena di montaggio. Nel sottofondo la neve cade, incessante.

Elfo 1: “Che disastro. Da quando Amazon ha comprato il Polo Nord, per noi non significa altro che sgobbare, sgobbare.”
Entra Babbo Natale.
Elfo 2: “Capo! Si può sapere quanto dura ancora il nostro turno?”
Babbo Natale: “Fino al sorgere del sole.”
Elfo 2: “??? Siamo al Polo Nord! Qui non fa giorno d’inverno!”
Babbo Natale: “Appunto.” Esce.
Elfo 2: “Accidentaccio ad Amazon.”
Elfo 1: “Taci che sta passando il drone di controllo…”
Entrambi diventano rigidi come statue. Il drone gli spara due piccoli fuochi d’avvertimento nei fondoschiena prima di uscire di scena.
Elfo 1 e 2: “Ahia!!”
Elfo 2: “Lo ripeto, accidentaccio ad Amazon. Tanto valeva che rimanessi a lavorare per Hermes. - E adesso mi spieghi perché questo pacchetto è vuoto?”
Elfo 1: “È il regalo per la ministra della difesa tedesca. Farà ritardo di cinque anni e poi costerà dieci volte tanto, come tutto nelle nostre forze armate.”
Elfo 2: “Se è per quello, se lo merita anche per le figuracce che fa quando apre bocca al parlamento…”
Elfo 1: “Ce ne vorrebbe uno così anche per la direzione delle ferrovie! Sempre ritardi, prenotazioni sbagliate, prezzi esagerati. E alla reputazione non pensano?”
Elfo 2: “No. E neppure al clima. Adesso per colpa loro in Germania vanno tutti in macchina rischiando code lunghissime, piuttosto che salire su un treno tedesco.”
Tira fuori un altro regalo.
Elfo 1: “Che schifo!, e ora per chi dobbiamo impacchettare questo cosciotto d’agnello?”
Elfo 2: “Per il lupo tedesco, il comeback dell’anno. Pare che ci siano almeno 73 branchi che girano liberamente per il paese facendo una paura matta a tutti.”
Elfo 1: “Che esagerazione! Non è ancora successo niente a nessuno.”
Elfo 2: “Però a spargere il panico ci si diverte sempre. Ti ricordi di quel politico che diceva ‘La natura ha bisogno di lupi, ma se non si comportano ammodo li faremo uccidere subito - non vogliamo trovarci con i muri delle nostre case sporchi di sangue’?”
Elfo 1: “Oh, certo. Pare che in certi villaggi della Bassa Sassonia i bambini debbano scavalcare pecore morte ogni giorno quando vanno a scuola.”
Elfo 2: “Eh, la vita di campagna è così idilliaca - o uccidi o rimani ucciso. Un po’ come quando vuoi andare a fare compere proprio il giorno del Black Friday.”
Elfo 1: (Estrae un coniglietto di stoffa rosa.)
Elfo 2: “Ma che, siamo già arrivati a Pasqua?”
Elfo 1: “No, questo è un regalo da inviare a Chemnitz. Ti ricordi di quel video che divenne virale in rete qualche settimana fa? Un gruppo di uomini voleva picchiare un tipo solo perché aveva la pelle scura, e uno è stato trattenuto da sua moglie che diceva ‘Coniglietto, resta qui!’”
Elfo 2: “Peccato. Coniglietto voleva solo divertirsi un po’. Ma se il pacchetto va all’Est, ci metto dentro anche un pacchetto di caffè e un paio di banane...”
Rientra in scena Babbo Natale e lo prende per un orecchio.
Babbo Natale: “Basta divertirsi alle spalle dei tedeschi dell’Est! È roba di pessimo gusto, e poi non ci ride più nessuno.”
Elfo 1: “Accidenti ad Amazon! Non si può più scherzare? Lo dico al consiglio aziendale, ecco.”
Elfo 2: “È un lavoraccio infame questo. Non potremmo almeno ascoltare un po’ di musica?”
Babbo Natale: “E va bene.” Batte le mani tre volte. Nel sottofondo attacca “Last Christmas I gave you my heart…”
Elfo 1 e 2: (scambiano occhiate disperate.) “Noooooooooooooo!!!”


Traduzione: gennaio 2019
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.



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Dammi la tua mano
Articolo giornalistico


Avrebbe dovuto essere un viaggio di servizio come tanti per me - alzarmi alle cinque, farmi un caffè, non mangiare niente, essere un po’ in ritardo, prendere il treno interurbano per l’aeroporto… E in quella notai che mi ero dimenticata del passaporto.
Mi prese il panico: cominciai a immaginare che mi avrebbero respinta al punto di controllo e spedita a casa, e che mi sarei trovata con un licenziamento per imperdonabile disattenzione domani. Dovevo recarmi a Zurigo per un’intervista, e l’appuntamento non si poteva rimandare. Corsi all’ufficio della polizia, dove il funzionario mi disse: „Non possiamo farci niente, è la Svizzera, lì non accettano documenti provvisori.“ Al mio sguardo disperato però aggiunse: „Comunque provi a salire a bordo! Forse faranno un’eccezione.“
Riuscii davvero a salire a bordo dell’aereo senza intoppi e mi sentii molto sollevata; almeno il primo ostacolo lo avevo superato, anche se ancora non sapevo se sarei riuscita ad entrarci, in Svizzera. Mi lasciai cadere sul sedile ansando.
Stavo ancora rompendomi la testa immaginando ogni sorta di disastri incombenti quando una ragazza bionda arrivò e mise la sua valigetta a quadri nello stipo sopra di noi. La lasciai passare e si sedette sul sedile vicino al finestrino, dove cercò di guardare fuori intensamente. Ovviamente stava cercando di controllarsi, stava tremando tutta. Quando mi rivolse lo sguardo vidi che aveva gli occhi pieni di lacrime. Tirò fuori un fazzoletto e pianse copiosamente - come la bambina che era, ma già sospettavo che dopo questo viaggio non sarebbe più stata.
Dimenticai i miei problemi e le chiesi spontaneamente, „Tutto a posto? Hai bisogno di qualcosa?”
„È che ho appena salutato i miei genitori,” mi rispose. „Non li vedrò per un anno.”
Hannah aveva 15 anni, era nata e cresciuta in una cittadina bavarese. Ora si trovava in viaggio per gli Stati Uniti a trovare una famiglia che l’avrebbe ospitata, e non era neppure mai stata su un aereo prima. Il volo andava da Monaco a Zurigo, dove faceva scalo.
La ragazza singhiozzava, al che presi la sua mano. Hannah la afferrò e la tenne stretta. Mi riconobbi in lei, mi sembrava di vedere la ragazza che ero stata io quindici anni prima: il mio primo volo era andato da Brema a Francoforte, e da lì nell’Ohio. A quel tempo non lo avrei mai ammesso, ma avevo sentito il bisogno di qualcuno che mi sostenesse. E ora, era lei ad avere bisogno di me. Sentire la sua mano tremare nella mia mi fece venire un tuffo al cuore.
Avete mai letto i libri di Harry Potter? Lì ci sono i cosiddetti „port keys“, oggetti magici che quando si toccano trasportano la persona in un luogo definito in anticipo. La mano di Hannah era come un port key nel mio passato, nell’aereo in cui mi ero trovata nel 2003 quando mi accingevo nel mio primo grande viaggio verso la vita. Hannah si trovava esattamente davanti a questa soglia, e l’avrebbe oltrepassata insieme con me.
Per questo cominciai a farle delle domande, le tipiche domande che si fanno a una persona quando si sa che molto probabilmente non la si rivedrà più. E lei mi raccontò di sé stessa allo stesso modo. Mi parlò dei suoi genitori, poi del suo fratellino che non era neanche sembrato triste della sua partenza ma aveva solo detto che non vedeva l’ora di poter giocare nella sua cameretta per un anno. Infine della sua migliore amica, dove avrebbe dovuto passare la notte prima ma poi non lo aveva fatto perché entrambe non avevano voluto affrontare il commiato. In compenso l’amica le aveva dato una lettera spessa diverse pagine, ma Hannah mi disse che non voleva leggerla adesso, altrimenti avrebbe pianto ancora di più.
„Verrà a trovarti, negli Stati Uniti?“ le chiesi.
„No, abbiamo deciso che è meglio di no. Farebbe troppo male doversi separare di nuovo.”
L’aereo si mise in moto e Hannah strinse la mia mano ancora di più: aveva paura. Il pilota accelerò, la ragazza chiuse gli occhi disperata, aveva gli occhi ancora bagnati, finalmente ci librammo in volo - e Hannah divenne raggiante, gioiosa come prima era stata triste. Ora che non poteva più tornare indietro, si sentiva felice come non avevo visto nessuno da tempo.
„Sembra di viaggiare in un pullman in cielo!“ mi disse, mollando la mia mano.
La sua felicità era contagiosa, proprio come prima lo era stata la sua nostalgia. Tutt’a un tratto sembrava non poteva più aspettare che incominciasse la sua nuova vita. Ora era lei a bombardarmi di domande, e io a rispondere. Le avevo detto che ero stata a scuola negli Stati Uniti anch’io, alla sua età: volle sapere com’erano andate le prime giornate, com’erano state le altre ragazze, se doveva stare attenta a qualcosa di particolare. Se avevo litigato con qualcuno, se era vero che le porte dovevano stare sempre aperte in caso venissero ospiti, e se era meglio non parlare di politica con la sua famiglia americana. Più ci allontanavamo dalla Germania, più ci avvicinavamo l’una all’altra. Sicure nel cockpit dell’aereo, prendemmo confidenza, anche se sapevamo bene che il nostro tempo insieme stava per finire.
Quando l’aereo atterrò a Zurigo, l’invisibile legame tra noi si strappò. Eravamo partite insieme, ma da qui il nostro viaggio sarebbe continuato separatamente.
„Buona fortuna,” mi disse perché sapeva del mio dilemma con il passaporto.
„Addio, e stai attenta,” risposi.
Qualche volta mi torna ancora in mente, la ragazza di allora, e mi chiedo come starà ora. E allora penso: grazie per avere preso la mia mano.



Traduzione: marzo 2019
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Pietro che non torna indietro

Parliamoci chiaro: a me piace condividere con gli altri. Quello che non mi piace è dovermi separare da certe cose per sempre. Per esempio, c’è una certa penna di marca svizzera, di ottima qualità. Se telefono e devo appuntare qualcosa mi piace avere qualcosa a portata di mano che sia funzionale e si tenga bene in mano. A parte quello, si tratta della mia penna personale!
Solo che da qualche tempo, quando ne ho bisogno posso scommetterci che non la troverò. Perché Lotta se lo è imprestato… per scrivere qualcosa. E quando Lotta si impresta la mia penna, ci potete giurare che poco dopo non esiste più. Semplicemente perché lei non ricorda dove possa essere.

“Deve trovarsi da qualche parte,“ mi dice Lotta. Mica può scomparire, argomenta. I corpi non possono semplicemente sparire fisicamente, mi ha detto una volta: lo ha imparato a scuola, durante la lezione di fisica. E così, Lotta non si fa problema alcuno.
Attualmente sta cercando il suo portafogli. Ricomparirà, mi dice, in qualche modo misterioso, non si sa ancora bene dove e quando.
Io cerco di insegnarle di fare più attenzione alle sue cose. Lotta perde sempre qualcosa, non solo roba insignificante ma anche il suo cellulare, o la sua tessera di studentessa. Io non perderei mai il mio cellulare! So sempre dove si trova. Stesso dicasi per denaro, carte di credito, biglietti per il metrò… Dico sempre a Lotta che a tenere le cose in ordine si gode di più la vita, perché si passa meno tempo a cercarle.
Il fatto è che Lotta non cerca le cose dopo averle smarrite: dice che presto o tardi si ritrovano sempre. La sua tessera era finita per strada, qualcuno l’aveva raccolta e infilata nella cassetta della posta. Il cellulare l’aveva la segretaria della scuola. “Sono fortunata, ecco tutto!” mi dice.

Mentre Lotta è spensierata, io mi preoccupo il doppio. Per me la sua cameretta è pari al triangolo delle Bermude, causa l’enorme ammontare degli oggetti dispersi. È come un mulinello, un gorgo che mi strappa le cose di mano e non me le restituisce più, a meno che non me le leghi addosso.
Ormai mi sembra di girare perennemente in casa a cercare qualcosa. La mia frase standard: „Chi ha preso (questo o quello) dalla mia scrivania? Ma siete ammattite? Nessuno qui ha rispetto per le cose altrui?! ”
Sono sempre in cerca delle mie cianfrusaglie, e sospetto tutto e tutti. Non appena qualcuno impresta qualcosa, gli corro dietro e sbraito: “Ricorda che quello si chiama PIETRO e deve tornare INDIETRO!”
Ormai tutta la famiglia alza lo sguardo al cielo tutte le volte che mi arrabbio. A volte li sento bisbigliare che sono „proprio fissato“, che avrei un caratteraccio avido e bisbetico. Anche il „borghesuccio“, mi danno. Mi sento come uno di quei nanetti burberi delle favole che sorvegliano il loro tesoro con le unghie e con i denti. Detesto correre dietro alla mia penna. Non era questo che avevo in mente quando mi sono sposato e mi trovo ora con quattro figlie!

Proprio ieri, Lotta ha trovato nella cassetta delle lettere una missiva ufficiale: proveniva dall’ufficio oggetti smarriti. “Guarda, papà: hanno trovato il mio portafogli! E io credevo che si trovasse in camera mia! Com’è buona la vita! Amo il mondo intero!”

Lo so, lo so… in fondo ha ragione lei. Ma questo non mi fa sentire tranquillo. Proprio per niente.


Traduzione: ottobre 2019
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Breve satira trovata qualche giorno fa su un giornale tedesco. :innocent.gif:


La crisi di casa Rolex

Un giornale monacense ha riportato ieri di una devastante crisi della Rolex nella capitale bavarese: assenza totale di orologi Rolex nelle vetrine ed esposizioni di tutti i gioiellieri. Pare che per ogni articolo della marca di lusso svizzera vi siano ora 50, se non 100 potenziali compratori, e che le liste d’attesa per particolari modelli siano già state chiuse.
E questo proprio pochi giorni prima del Natale! Nel seguente le nostre risposte alle domande più brucianti riguardo all’emergenza Rolex, le cause e la dimensione della crisi, e i nostri consigli per aiutare le vittime di tale calamità.

1. La situazione in loco
Scene drammatiche avvengono presso i gioiellieri di Monaco: il famoso calciatore e collezionista Jérôme B. è stato visto lasciare un negozio di orologi sulla Maximilianstraße in lacrime, per finire quasi investito da un Bentley.
Sul notoriamente teso mercato immobiliare della città, ora chi cerca un posto per abitare tenta di corrompere i padroni di casa con posti d’attesa per modelli Rolex particolarmente desiderati. (Attenti in caso che abbiate un immobile da affittare - si tratta solo di truffe, perché chi si può permettere una Rolex certamente non ha bisogno di prendere una casa in affitto invece di comprarla.)
Il sindaco di Monaco è stato ripetutamente minacciato di morte da anonimi dopo avere postato laconicamente su facebook, alla maniera di Maria Antonietta: „Se non trovate le Rolex comprate le Breitling, no?“

2. Cosa fare se si vuole per forza regalare una Rolex per Natale
Provate con gli annunci piccoli su ebay. Se non avete successo e siete particolarmente disperati, prendete il treno notturno per Roma (Monaco ha un ottimo allacciamento). Pare che nella Città Eterna si trovi ancora qualche commerciante che sbologna Rolex di modelli e combinazioni cromatiche che la fabbrica svizzera neanche si sogna. Un vero Eldorado per chi deve per forza essere sempre all’ultima moda.
Comunque è noto che in questo modo si rischia di farsi rifilare dei miseri plagi magari risultando in denunce da parte della ditta produttrice degli originali, quindi sconsigliamo di correre il rischio. In caso decidiate di farlo lo stesso, assicuratevi prima che il vostro avvocato sia raggiungibile 24 ore su 24 anche durante il periodo natalizio.

3. Cosa fare per aiutare i bisognosi
Se avete in casa una Rolex e per qualche motivo non la indossate mai: le organizzazioni di soccorso quest’anno sconsigliano di regalare tesori indesiderati ai migranti e i senza tetto e di considerare invece un aiutino per i disperati a secco di Rolex. Anche se non possedete un orologio di questo tipo di cui vi volete sbarazzare, almeno fate un pacchettino per questi poveretti, magari con una bella bottiglia magnum di Dom Pérignon e un modello di Patek Philippe per i principianti.
Una banca privata di Monaco ha inoltre aperto un conto speciale per le donazioni promettendo che tutte le elargizioni verranno distribuite al 100 % agli infelici che non posseggono le risorse monetarie sufficienti per pagare il supplemento per i modelli Rolex vintage sul mercato nero… Ad esempio quelli che hanno difficoltà a mettere subito le mani sui denari depositati sui loro conti offshore. Per aiutare gli indigenti, il modo più semplice è l’uso della hotline per le donazioni 0800 - ROLEXHILFE.

4. È meglio vendere adesso o puntare su un ulteriore rialzo dei prezzi?
Questo dipende interamente dalla vostra disponibilità di correre rischi. Attualmente molti modelli vengono trafficati a prezzi moltiplicati per quello originale; però ci sono indizi che questi potrebbero ancora raddoppiare. Gli esperti economi avvertono comunque che si sta accennando una pericolosa isteria speculativa, paragonabile alla crisi dei tulipani del 1637.
Se proprio non volete vendere o regalare le vostre Rolex (vedi punto 3) causa un attaccamento personale a questi oggetti, consigliamo speciali misure per la vostra sicurezza: cambiate il codice per la vostra cassaforte ogni mattina, e se vi fate vedere in pubblico siate discreti - nascondete il vostro orologio sempre e comunque sotto alla manica del vostro piumino Moncler.

5. Quali sono le cause della crisi Rolex?
Questa domanda non è ancora stata chiarita in modo soddisfacente. Si pensa però che la crisi sia cominciata a Berlino: si è sparsa la voce che la scena rap tedesca abbia prosciugato il mercato. Questo verrebbe provato dal fatto che i primi modelli a divenire introvabili erano quelli decantati nelle canzoni hip hop di successo, per esempio la Rolex GMT Master II, che i fans del rap chiamano “Roli dal colore Pepsi”.
Un’altra teoria invece pensa che locatori e agenzie immobiliari tedeschi da qualche tempo investano in orologi di lusso come nuova strategia di rendita - per compensare le perdite causa a) la nuova legge per il fermo agli affitti e b) l’iniziativa popolare che voleva espropriare i responsabili per gli appartamenti vuoti in attesa di trovare qualcuno che paghi gli esorbitanti affitti. Questa non ha avuto successo per ora, ma le vittime che posseggono immobili a riguardo tremano al pensiero che ciò possa accadere in futuro, e per questo hanno pensato di premunirsi…


Traduzione: dicembre 2019
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Estratto dal blog di una tedesca “emigrata” in Puglia sposata con un italiano da diversi anni.


Chi come me si intende poco della musica popolare italiana, in questi giorni deve solo tendere le orecchie verso le 6 di sera. Seguendo l’idea di qualcuno che pare non sopporti bene la solitudine e condivisa fino agli ultimi angolini dell’Italia tramite i social media, a quest’ora buontemponi, curiosi, annoiati e / o ottimisti escono sui balconi e si ritrovano in un’azione di solidarietà. Per esempio, applaudono ai medici, infermieri ecc. che si stanno facendo in quattro per la nostra salute, o cantano la famosa canzone “Azzurro”. Io naturalmente non mi ero accorta di niente fino all’altro ieri, o perché i nostri vicini applaudivano molto sommessamente o perché la mia famiglia non passa molto tempo con i social.
Comunque sia, pare che nel nostro vicinato abiti un DJ, o almeno qualcuno equipaggiato con ottime casse musicali: verso le ore 18:00 la melodia di “Azzurro” ci beccò di sorpresa nonostante le finestre nuove e ben chiuse, in una versione da discoteca con tanto di effetti speciali e bassi rintronanti.

„Ma sono impazziti!?!“ fu la mia prima reazione quando uscii sul terrazzo insieme al mio figlioletto Davide, che naturalmente era molto interessato allo spettacolo. Nel palazzo di fronte abitano due suoi amichetti dell’asilo, anche loro erano fuori e le loro madri stavano muovendo le bocche - forse parlavano, forse cantavano, non si capiva dato il volume della musica. Anche sugli altri balconi uscirono i vicini e alcuni tirarono fuori gli smartphone per riprendere l'evento. A canzone terminata, tutti applaudirono e io pensai, “Be’, è una bella iniziativa,” mentre tornammo dentro casa.
Davide si stava lamentando con noi di non poter andare a trovare il suo amico Samuele - in quella il nostro vicino musicale attaccò una versione ballabile di “Volare”. Continuò con l’inno nazionale italiano, fortunatamente la versione breve - mio marito Luigi mi spiegò che ce n’è un’altra che dura 12 minuti. Il viaggio musicale quindi proseguì dall’orgoglio nazionale a quello pugliese con “Ballare in Puglia” di Caparezza. Se fossi io il virus, in questo momento me la sarei svignata subito da tutta la penisola! Invece, mi venne il mal di testa. Luigi tentò di coprire il suono della prossima canzone con „Thunder“ di ACDC, purtroppo senza successo. La sua scelta musicale era buona, ma si vede che i diffusori del mio vecchio stereo erano troppo scalcinati per tenere testa al fracasso.
L’escursione nella cultura italiana continuò fino alle 7 e mezza, quando il cielo ebbe pietà di noi e fece scendere un acquazzone, al che i nostri vicini chiusero le finestre e abbandonarono i balconi.

Ciò che invece mi rincuorò veramente furono i bigliettini appiccicati al muro che scoprii quando andai a fare la spesa stamattina: qualcuno li aveva dipinti e distribuiti nel corso della notte. “Andrà tutto bene!“
Mi associo. Però, onestamente, spero che stasera piova di nuovo… :via:



Marzo 2020
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Edited by Delari - 17/3/2020, 20:14
 
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Due articoli attuali da un giornale tedesco. wink3


L’inizio di una bellissima amicizia

Non me lo sarei mai sognato, ma da qualche settimana mi trovo in una sorta di ménage à trois. Io e il mio coinquilino abitiamo in un appartamento, accogliente ma forse un po‘ piccolino, nel centro di Monaco: due camere, cucina, niente balcone. La sua ragazza era venuta a trovarci da Roma, dove sta scrivendo la sua tesi di dottorato. Ma poi si trovò a controllare ancora e ancora il suo laptop, finché il sospetto fu confermato: volo cancellato, l’intera Italia zona rossa, e tanti saluti. Quindi adesso abiterà con noi per qualche settimana, forse anche qualche mese: con solo due maglioni e senza i suoi libri preferiti.

La pandemia spesso dirotta le persone in luoghi dove non volevano trovarsi, almeno non permanentemente. Di questi giorni a volte ci si sente un po‘ come Robinson Crusoe, arenati su un’isola deserta, ma è ancora meglio di trovarsi bloccati da qualche parte del globo e non poter tornare a casa.
Sui giornali si leggono storie invero poco carine - turisti che si trovano in India e non sanno quando ci sarà il prossimo volo, profughi presi tra due fuochi in mezzo a due confini e che ora hanno ancora meno speranze di uscirne. Possiamo solo sperare il meglio per entrambi.

Però ci sono anche lati positivi. Un mio amico che di norma ama la città non può lasciare la fattoria dei suoi genitori, e ora va in giro con il trattore divertendosi un mondo. E anche se la nostra casina è piccola, noi tre ci siamo arrangiati bene. Ogni sera ci troviamo per cena, cuciniamo insieme e giochiamo a backgammon; a volte ascoltiamo musica italiana. Parliamo molto di storia (sia lui che lei la studiano all’università), di giornalismo, dell’Italia al di là dei cliché, e delle cose che ci preoccupano in questi tempi incerti.

Il mio coinquilino lo avevo conosciuto solo poche settimane fa, e la sua ragazza prima non la conoscevo affatto. Ma ora siamo amici… e a me dispiace pensare che se non fosse stato per questo virus della malora, magari non lo saremmo neanche diventati.

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Fiori per asciugare le lacrime

Era sempre stato il sogno della fioraia Ines del quartiere di Westend di aprire un negozio tutto suo senza nessun credito, solo con il suo proprio capitale. La sua gioia si tramutò in disperazione quando incominciò la pandemia e con il lockdown negozi come i suoi dovettero chiudere i battenti. Addio sogni di gloria! Come farò a pagare la pigione? E il salario per i miei assistenti? E delle mie piante amorevolmente curate, cosa ne sarà? Prima Ines organizzò una liquidazione tra molte lacrime, quindi passò una settimana come in trance. Poi le venne un’idea.
Idea semplice e onnipresente in questi tempi: vendere fiori a domicilio, tanto per guadagnare qualche soldo e non sentirsi così impotente. E nel suo caso, i fiori sono sempre mazzi a sorpresa, una particolarità del suo negozio. Ines aveva fatto i conti con 15, forse 20 ordinazioni. Gliene piombarono in casa 231, e quello non era che l‘inizio.

Da allora le giornate seguono sempre lo stesso ritmo: arrangiare mazzi di fiori, consegnarli, e ricominciare daccapo. E le ordinazioni si susseguono. Intanto le sue esperienze sono talvolta buffe: incontra una donna d’affari che lavora da casa, con camicetta, permanente e trucco, ma siccome non lo vede nessuno con il laptop sotto indossa i pantaloni di una tuta, e calzini multicolori. O un tizio forse un po‘ esagerato che per paura del virus si mette in testa un casco da astronauta prima di aprire la porta. O due amiche che si mandano fiori a vicenda e poi sono confuse quando arriva la consegna.

Il coprifuoco non si adegua con la primavera, anzi, adesso sarebbe il tempo di godersi un po‘ di bei fiori, in giardino o in terrazza o almeno in casa. I fiori di Ines a volte contengono saluti da spezzare il cuore - tra dichiarazioni d’amore, ringraziamenti e auguri tra amici: cinque dei suoi clienti sono molto malati e non sanno neppure se potranno uscire un’ultima volta dopo questa crisi virale, o quando potranno di nuovo ospitare qualcuno.

Ines adesso si sente privilegiata, orgogliosa perché di questi tempi può fare qualcosa per il prossimo e intanto guadagnare qualcosa. E una cosa è certa: con le ordinazioni online si continuerà, comunque finirà questa storia.



Traduzione: aprile 2020
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Edited by Delari - 10/4/2020, 11:47
 
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Altri due articoli attuali da un giornale tedesco.


Dalla nostra corrispondente in California
“Dalla terrazza… si fa per dire”

Tutto era cominciato come un semplice hobby: prendi alcuni oggetti, ad esempio conchiglie, sassolini e sabbia dalla non distante spiaggia, lasciali cadere in un mucchietto di resina sintetica, decora il tutto con perline e inchiostro a base di alcool e 24 ore dopo, quando il tutto si è indurito, ti meravigli di che cosa ne è diventato. Purtroppo due settimane fa ci hanno annunciato che la nostra bella spiaggia è off limits a tempo indeterminato, il che in California è un dramma paragonabile a come se in Baviera chiudessero le birrerie all’aperto. La situazione è seria, e ora molte cose guadagnano un significato nuovo. Per esempio, le conchiglie e la sabbia.

Quindi, da due settimane regaliamo le nostre creazioni di resina sintetica (disinfettate, s’intende), tramite un cestino a mo’ di Cappuccetto Rosso a tutti quelli che passano sotto al nostro balcone. È appena più grande di una vasca da bagno, e causa la nostra nostalgia di casa e il verde con cui l’abbiamo decorato, lo chiamiamo amorevolmente "beercony". (Anche se adesso è chiuso per gli ospiti.) Ma più importante dei nostri regalini sono le persone a cui li facciamo.

Una infermiera conosciuta da poco ci racconta per esempio della sua giornata alla stazione intensiva in un ospedale di Los Angeles. Racconta in lungo e in largo, ma non per sensazionalismo o per indurci ad ammirarla o compatirla, o per ammonirci a restarcene a casa. Vuole semplicemente parlare di ciò che ha fatto durante le ultime dodici ore prima che cominci il suo prossimo turno, e desidera che qualcuno la ascolti: è sola nel suo piccolo appartamento, quindi un regalino e un paio di orecchie che la ascoltano le fanno piacere.

Poi c’è un’anziana coppia che ci racconta quanto sentono la mancanza dei loro nipoti. C’è un ragazzino di otto anni che oggi compie gli anni e ne ha fin sopra i capelli dei divieti esagerati dei suoi genitori, preoccupati per via della quarantena. Un vicino ha portato la sua bottiglia di whisky e vuole bere un po‘ in compagina, anche a distanza, perché ha appena perduto il suo impiego.

La gente desidera solo parlare un po‘. E a noi tocca il dono più bello che si possa fare di questi tempi: non aspettare finché si può parlare, ma semplicemente stare un po‘ zitti. Ad ascoltare.

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Dalla nostra corrispondente in Baviera
“Ma com’è bello il focolare!”


Quando ero una bambina, il pranzo di famiglia era una cosa costante. Mia madre era impiegata, il che nei primi anni 80 dell’Assia meridionale, in una zona di recente urbanizzazione, a volte le faceva incontrare sopracciglia alzate da parte delle altre massaie nel vicinato. Ma era una maestra, il che significa che di norma si poteva pranzare tutti insieme. E questo era bellissimo, sempre premettendo che non ci fossero pietanze a base di carote.

Da quando la pandemia ci ha scacciati in massa da uffici, asili e scuole, il pranzo in famiglia ha festeggiato un ritorno alla grande come non me lo sarei mai aspettato. E nonostante tutte le turbolenze, secondo me è una gran bella cosa.

Prima di questo, il pranzo della mia figlia maggiore era "qualche roba con la salsa, non era buona" nella caffetteria della scuola. Mio marito digiunava all’ora di pranzo dicendo che fa bene alla salute. E io sbriciolavo il mio panino portato da casa ostruendo la tastiera, o mi infilavo nella coda davanti al locale di fronte per comprarmi un’insalata da asporto. Solo la nostra figlia più piccola era felice, perché a quanto pare la cuoca del suo asilo è così brava che tutte le volte che tentavo di cucinare la stessa pietanza la bambina diceva che era una cosa penosa.

Comunque sia, da noi il virus ha causato un ritorno al pranzo, come a una specie di focolare casalingo acceso nel mezzo della giornata; una pausa generale tra pratiche da svolgere, lezioni via Skype, conferenze telefoniche e "chenoiachebarbachebarbachenoia". Se odiassi la cucina sarebbe un’altra storia; meno male che cucinare mi piace.
Certo, alcuni giorni sono così turbolenti anche lavorando da casa che le mie figlie si preparano un panino in piedi e ritornano subito in camera loro. E anche negli altri giorni non cuciniamo nulla da ristorante a cinque stelle (sul mio acconto su Instagram non rinviene nessuna foto di pasti raffinati).

Eppure, ragazzi: quando si riesce a stare tutti insieme in famiglia per pranzo, anche se solo per breve tempo, questo è un modo per unificare professione e famiglia che prima di questa crisi sarebbe stato impensabile. E in questi tempi dove tante cose fanno male, è un bel cerottone.


Traduzione: aprile 2020
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Edited by Delari - 20/4/2020, 10:24
 
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Ancora dal blog della tedesca "emigrata" in Puglia e sposata con un italiano.


Cosa fa il Coronavirus? …Ingrassare!

Sabato scorso ho trovato finalmente una scusa per lasciare la casa e andare fino a Bari in macchina senza rischiare multe: dovevo andare alla mia scuola per occuparmi di alcuni documenti inviati da Cambridge. Va bene, forse non avrei proprio dovuto farlo, ma dopo 6 settimane di #iorestoacasa ogni scusa mi veniva buona.
Quindi mi trovai ad affiancare il lungomare quasi libero di macchine a 50 km all’ora – visto che bisogna sempre aspettarsi un controllo stradale che vuole sapere il motivo per lo spostamento - con la finestra abbassata e ascoltando „All Along the Watchtower“ alla radio, il tutto con un bel vento caldo in faccia… avrei quasi potuto illudermi che fosse estate e che si potesse godere di illimitata libertà.
In quella avevo purtroppo un’altra sensazione sia in testa che intorno al giro vita: una jeans troppo stretta. Trattenendo il respiro e ritraendo la pancia ero appena riuscita a chiudere il bottone.

Lo avevo temuto, ma queste settimane a casa dove praticamente indossavo soltanto una tuta da jogging mi avevano ancora risparmiato la rivelazione che, alla mia uscita di sabato, mi raggiunse senza scampo: il coronavirus fa ingrassare!

E dire che in queste 6 settimane avevo fatto una sola torta, e non, come una mia collega, già cinque torte nel corso delle prime tre. Va bene, il motivo potrebbe anche essere che nei nostri supermercati al posto della carta igienica che manca sempre in Germania, di questi tempi in Italia si fatica a trovare la farina. Così mi ero limitata a preparare due tiramisù alle fragole, finire i dolci natalizi e dare all’assalto ai dolcetti di marzapane che mia madre mi aveva inviato per Pasqua. Le quattro tavole di cioccolata sono ancora intoccate. Però bisogna dire che anche la pausa del tè con tanto di biscottini, che io e mio figlio ci siamo abituati a fare ogni giorno alle dieci, è un’abitudine nuova. E il pomeriggio di consueto lo trascorro davanti al computer, a dare lezioni online (sob!)

Insomma, lo sapevo: il coronavirus fa diventare grassa la gente. Teoria più che accertata nel corso di un raduno online tra me e le mie colleghe quasi tutte femmine, che a causa del lockdown che in Italia rimarrà in vigore ancora fino al 3 maggio, sembrava di più un incontro tra massaie giù di corda.
Confessai che un dolce pasquale, preparato appositamente per la festa due giorni prima, non aveva sopravvissuto fino al fatidico giorno. Anche i resti delle gigantesche uova di Pasqua italiane, che di solito intasano la nostra dispensa fino a Natale, quest’anno sono già stati tutti divorati o sono finiti in qualche dessert.
L’unico maschio del nostro gruppetto e due colleghe con famiglie numerose raccontano di avere iniziato vere e proprie orgie culinarie e di passare molto tempo virtuale sui blog di cucina.
E notizie simili mi hanno raggiunta anche da parte dei genitori degli amichetti dell’asilo di mio figlio, e dalla mia famiglia in Germania.

Una mia amica scherzava dicendo che bisognerebbe scrivere un libro di diete proprio per situazioni come queste, quando si sta chiusi in casa. Peccato che non lo stia scrivendo davvero: scommetto che andrebbe a ruba e verrebbe tradotto in dozzine di lingue.

Per fortuna la mia jeans troppo stretta adesso pizzica un po' meno da quando sabato ho fatto una corsa dal parcheggio alla scuola con il fiatone. No, non esagero! Sotto a queste maschere quasi non respiro, quindi ho corso per potermela togliere il prima possibile. E inoltre le mie gambe erano contente di ricordarsi, per una volta, per che cosa sono state fatte: per essere utilizzate.

Insomma, quando il divieto di fare sport all’aperto verrà allentato credo che sarò una delle prime che comincerà a fare il jogging. Quindi, se dovesse ancora esserci una vita dopo Covid-19, per favore andate in macchina piano e fate attenzione a una signora piccolina, bionda e paffutella con la faccia rossa come un gambero e un respiro affannoso come quello di Darth Vader... Ammesso e concesso che fino ad allora riuscirò ancora a uscire dalla nostra porta.


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Edited by Delari - 14/7/2020, 13:45
 
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Una storia semplice e carina per chi vuole spiegare ai pargoli cos'è il vero amore... O a sé stesso. <3


Rosalia e Tartufo

Tartufo è un suino come tanti altri. Ha le setole marroni, un po’ ispide.
Il suo posto preferito è sotto al melo. Tartufo si trova spesso sotto al melo, intento a sognare. Sogna di trovare la felicità.
“Ma non puoi fare qualcosa di un po’ più pratico?” gli chiede sua madre. “Potresti lavorare con il tuo seghetto da traforo, non era il tuo hobby? O magari giocare a hockey. O raccogliere offerte per i porcellini poveri.”
“Alla tua età,” dice suo padre, “ero il capitano della squadra di calcetto e sognavo la promozione.”
“Ma anch’io sogno,” dice Tartufo.
Tartufo ha due amici: Spazzola e Carlo. Anche loro sognano, ma non a occhi aperti. Spazzola sogna i dolci, in particolare quelli al cioccolato. Carlo sogna… le porcherie.
Ma Tartufo no. Lui è ancora lì che sogna di essere felice. Soprattutto adesso, che il melo è coperto di fiori! Tartufo ne è come estasiato. E non è solo.
Sotto al melo si trova un altro suinetto, intento a sognare.
“Io mi chiamo Tartufo”, si presenta timidamente.
“Io sono Rosalia,” dice la porcella, arrossendo.
Dopo, entrambi tacciono. A volte sospirano.

Tartufo è tre metri sopra il cielo. Corre via per raccontare a tutti della sua fortuna. Chissà la sorpresa di Spazzola e di Carlo!
Ma Tartufo si sbaglia: i suoi amici sono inorriditi. In che pasticcio si è messo questa volta?
Quale pasticcio? Tartufo non ci capisce niente. Ora che tutto il mondo è così bello? Ora che il suo sogno si sta avverando?
Spazzola e Carlo scuotono le teste. Ma dai, dicono a Tartufo, caschi nella rete del primo maialetto con le ciglia che trovi sotto al melo? Magari ti sei fatto appioppare un maialino?! No, no, dice lui.
È da sperare!, rispondono loro. Quando a ogni angolo si trovano nuove e dolci tentazioni che aspettano solo di essere scoperte.
Tartufo è sconvolto. Spazzola e Carlo ci vedono chiaro invece: basta con questi inutili sogni! È ora che Tartufo diventi un vero maiale! C’è carne fresca in attesa dovunque: arrostita, piccante, agrodolce… un vero porco le assaggia tutte!
Ma Tartufo sogna di Rosalia. È proprio un caso disperato, dicono Spazzola e Carlo. Pensa che questa Rosalia gli voglia bene così com’è! Con la concorrenza che c’è in giro! Da ridere! Neanche pensarci.
Le porcelline si aspettano di più da un vero suino: successo, potere, denaro… Anche passione, ma bisogna dosarla bene. Spazzola e Carlo sanno di cosa parlano.

Allora Tartufo si dà da fare. Non ha più tempo per pensare a Rosalia: si destra con le azioni, si allena con le sbarre, si compra la macchina, acconcia le setole.
“Mitico!” dice Spazzola.
“Addio al vecchio e noioso Tartufo!” esulta Carlo.
Una volta, Tartufo passa davanti alla casa di Rosalia con la macchina. È vero, è completamente cambiato: lei non lo conosce più.
Ma com’è possibile? Lo ha dimenticato forse? Tartufo è a terra.
“Cosa vuoi,” dicono i suoi amici. “Voleva un più gran porco di te.”
“Mi voleva così com’ero!” piange Tartufo.
“Non eri niente,” dicono gli amici.
“Ma ero felice,” sussurra Tartufo.
Si mette le mani nelle setole e si scompiglia tutta l’acconciatura. Quindi fugge.

Dove può andare, disperato com’è? Sotto al suo melo.
Ora le mele sono mature. Ah, che bel profumino. Tartufo è al settimo cielo.
E non è solo. Sotto al melo sogna anche un altro maialino…

Rosalie_und_Truffel

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Rosalia è una porcella come tante altre: rosea e paffuta.
Soprattutto, Rosalia è una gran sognatrice. Il suo posto preferito è sotto al melo. Rosalia si trova spesso all’ombra del melo, a sognare. Rosalia sogna di trovare l’amore.
“Non hai nulla di meglio da fare?” le chiede il padre qualche volta. “Potresti imparare una lingua, o fare del balletto, o suonare uno strumento.”
“Se avessi tutto il tempo che hai tu,” sospira la madre, “che cosa non farei!”
“Ma io faccio qualcosa,” dice Rosalia. “Sogno.”
Rosalia ha due amiche: Lotta e Clara. Anche Lotta e Clara sognano, quando hanno un po’ di tempo libero. Eh sì, sono molto occupate a inseguire i loro sogni. Clara sogna di diventare famosa. Lotta sogna di diventare ricca.
Rosalia no: Rosalia sogna dell’amore. Adesso, poi! Il suo melo preferito è tutto in fiore. Rosalia è incantata.
E non è sola: all’ombra del melo c’è anche un altro suino.
“Sono Tartufo,” le dice timidamente.
“Io sono Rosalia,” sussurra lei e arrossisce.
Poi entrambi tacciono. A volte sospirano.

Rosalia corre via, piena di slancio, per annunciare al mondo la sua fortuna! Chissà come saranno contente Lotta e Clara!
Ma Rosalia si sbaglia. Le sue amiche si preoccupano. Brutta situazione, le dicono. Un bel guaio.
Ma perché guaio, si chiede Rosalia? Non si sta avverando il suo sogno? Non è bellissimo questo mondo?
Lotta e Clara scuotono le teste. Rosalia, che modo di fare!, dicono. Che ti viene in mente di rimorchiare il primo porcello che incontri per caso sotto al melo?
Il mondo è pieno di suini. Bisogna passarli tutti in rassegna, prima di fare una scelta.
Rosalia è sconvolta. Ma Lotta e Clara ci vedono chiaro: basta con questi sogni! È ora che Rosalia li conosca, i maiali. Fortunati, salvadanaio, poveri maiali, porcospini.
Ma non c’è niente da fare: Rosalia continua a sognare di Tartufo.
Apriti cielo,! dicono Lotta e Clara. Un caso disperato. Rosalia pensa davvero che questo Tartufo le vorrà sempre bene, così com’è. Con la concorrenza che c’è sul mercato dei porci! Ridicolo! Che ingenua.
L’amore è faticoso. Rendersi interessante per i suini poi, ancora di più.

Allora Rosalia si rimbocca le maniche. Jogging la mattina, palestra invece di merenda, corsi serali, maschere al cetriolo di notte, e poi yoga contro lo stress.
Così forse si dimenticherà di questo Tartufo. Bisogna pensare alle priorità nella vita, le dicono le amiche.
Rosalia cerca di trarre il meglio di sé: nuova pettinatura, nuovo stile, nuovo abbigliamento.
“Sei fantastica,” dice Lotta.
“Irriconoscibile!” tripudia Clara.
È vero: Tartufo la sorpassa con la macchina. Non la riconosce più. E Rosalia è inconsolabile.
“Scordatelo,” le dicono le amiche. “Cosa ti aspettavi! Tutti i maschi sono porci. Non ti voleva veramente.”
“Sì invece,” piange Rosalia. “Voleva proprio me. Così come sono.”
Piange e piange fino a sciogliere tutto il trucco. Si rotola nella polvere.

Quindi fugge dal suo dolore. Dove? Cerca rifugio sotto al caro vecchio melo.
Che bello, le mele sono mature! E che buon profumino! Rosalia ritorna a sentirsi bene.
In quella si accorge che non è da sola.
Sotto al melo, insieme a lei, si trova un altro porcello.

Rosalie_liebt_Truffel


Traduzione: novembre 2020
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Edited by Delari - 30/11/2020, 09:47
 
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Quattro corone di troppo


“Niente corona dell’Avvento quest‘anno!” dissi alla mia famiglia con voce decisa. “Abbiamo l’abete, quello deve bastare. Sulla corona si accumula solo la polvere. E poi ostruisce il tavolo. Dove metto le mie carte quando le devo riordinare? Sul tavolo insieme alla corona, così vanno a fuoco? No. Quest’anno niente corona, no eh!”
Come dovevo aspettarmi, la mia famiglia non era d’accordo. “Ma noi la vogliamo, la corona!” mi risposero. “Possiamo appenderla sopra la porta, come l’anno scorso,” fu l’unanime proposta.
Peccato che la memoria umana sia tanto corta. L’anno scorso il gancio dove avevamo appeso la corona si era staccato proprio mentre stava entrando zia Rosamarie. Di certo per colpa di uno scossone! Zia Rosamarie è una donna energica. Meno male che le candele non erano ancora accese. Be’, la zia non stava poi male con la corona di abete in testa. Sembrava un condottiero, magari Giulio Cesare…
Insomma,! basta con le corone natalizie! In barba ai ricordi e alle tradizioni.

Invece, avrei dovuto immaginare come sarebbe andata. Alla fine, cioè il sabato prima del primo Avvento, avevamo non una ma cinque corone in casa. Guarda un po’ come vengono rispettate le decisioni del capofamiglia, oggigiorno. Che i nostri figli Karen, Peter e la piccola Eva ne avessero procurata una ciascuno, di grandezze diverse, lo potevo ancora accettare. Ma quando arrivò mia moglie Jutta con una corona di enormi dimensioni, mi sentii profondamente deluso. Neanche lei voleva seguire il mio buon esempio e rispettare le mie decisioni!
Ora l’attento lettore avrà notato che avrebbe dovuto trattarsi di quattro corone in tutto, non cinque. E la quinta, da dove era sbucata? Insomma, non mi era andato di fare il guastafeste, e allora avevo portato a casa di nascosto una piccola corona, comprata quando mi ero trovato in centro. Tanto per perdere l’abitudine.
E ora? Non potevamo mica mandarle indietro, le corone. Rimaneva solo decorarle. Le candele non ci mancavano, e stranamente avevamo anche una caterva di pigne, ninnoli, fiocchetti eccetera. A quanto pare qualcuno in famiglia ne aveva fatto incetta, per non trovarsi senza decorazioni coi tempi che corrono.
Arrangiammo tutte le corone unendo le nostre energie e le nostre idee, e alla fine ci trovammo con cinque bellissime corone, festose e colorate che erano una gioia da vedersi.
“Non ne abbiamo mai avute tante!” si rallegrava la piccola Eva.
Ma ora avevamo un problema: non potevamo tenerle in casa tutte.
“Non esageriamo,” ammonii. “Regaliamone qualcuna. Un po’ per uno non fa male a nessuno, dice il proverbio.”
Eva mi guardò con un gran sorriso. “Va bene,” mi disse, “andiamo in giro per il vicinato e domandiamo chi non ha la corona. A chi manca, ne diamo una delle nostre.”
L’idea a me non piaceva, ma gli altri erano entusiasti.
“La signora Brinkmann che sta all’ultimo piano di sicuro non ce l’ha, la corona,” era l’opinione di Karin.
“La famiglia Warth quest’anno di sicuro non ha molti soldi, sono appena traslocati,” aggiunse Peter, “forse a loro farebbe piacere una bella corona.”
“Anche i Moosmüller che abitano di fronte probabilmente sono un po’ alle strette,” disse Jutta, “lui è andato in pensione quest’estate.”
Io ero ancora scettico. “Magari penseranno che vogliamo fare la carità,” argomentai.
Gli altri risero. “Ma no, una corona non è mica un’elemosina! Che idea stramba!”
L’idea stramba era venuta in mente soltanto a me. “E va bene,” conciliai, “andate pure porta a porta con le vostre corone. Io resto qui, ho ancora da fare.”

Alla fine dovetti andare insieme a loro, trascinato con la forza nonostante le mie proteste. E fu un pomeriggio che non mi dimenticai più.
La signora Brinkmann era così commossa da scoppiare in lacrime e invitarci spontaneamente a casa sua per la domenica successiva, a prendere un caffè. La famiglia Warth ci regalò una scatola di panpepato e ammirò la corona con gli occhi raggianti, come se si trattasse di una cosa preziosissima.
Il signor Moosmüller ci disse che sua moglie era all’ospedale da quattro giorni e che l’avevano operata due giorni prima. Circostanze permettendo, stava abbastanza bene, e l’indomani lui aveva il permesso di venire a trovarla per una mezz’oretta.
“Le porterò la corona, così festeggiamo insieme. Sarà un Avvento particolarmente bello, dopo tutte le preoccupazioni delle ultime settimane!”
Fummo tutti d’accordo e gli promettemmo di tornare per portargli un regalino per sua moglie.
“Sembra incredibile che ci siano ancora queste cose al mondo,” disse lui con voce rotta. “I vicini che spendono soldi per regalare le corone dell’Avvento agli altri! Si vede che le persone buone con un po’ di cuore esistono dopotutto.”
Avevo un groppo in gola, e gli altri stavano arrossendo dall’imbarazzo.
“Ma no…” cominciai a dire, ma lui mi interruppe con un cenno della mano.
“Lo so, adesso volete inventare qualche scusa. Le persone buone sono anche modeste.”

Quella sera non parlammo per un bel pezzo. Durante la cena, finalmente la nostra figlia maggiore ruppe il silenzio.
“Non sono belli i rimproveri,” disse a voce bassa. “Ma le lodi non meritate fanno ancora più male.”
Noialtri annuimmo senza rispondere. Infine decidemmo, tutti insieme: l’anno prossimo organizziamo di nuovo cinque corone. Sissignori!



Corona_dellAvvento


Traduzione: dicembre 2020
Disclaimer: eseguita solo per uso privato, senza fini commerciali.

Per i commenti: https://gonagai.forumfree.it/?t=71738486&st=225

Edited by Delari - 9/12/2021, 18:14
 
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view post Posted on 24/12/2022, 16:45     +1   -1
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La festa di Avvento dei topolini


Il piccolo Uwe era a letto quella sera quando venne a trovarlo il Mago Sabbiolino.
"Guarda qui, non spaventarti, ho con me un caro piccolo animaletto. Questa topolina è venuta a invitarti a una festa di Avvento. In casa ci sono molti topolini, abitano sotto al pavimento della dispensa. Questa sera vogliono invitarti a festeggiare con loro.“
"Ma come faccio?“ domandò Uwe. “Io non posso infilarmi in un buco nel pavimento come un topo.”
Il mago rispose: "Non ti preoccupare, penserò io a rimpicciolirti. Lasciami prendere un po‘ di sabbia dal mio sacchetto, adesso te la spargo sugli occhi…” E il piccolo Uwe si rimpicciolì fino ad essere grosso come un pollice.
"Adesso puoi imprestare gli abiti del re dal tuo libro di favole; ti staranno benissimo e farai una bella figura quando ti vedranno gli altri topi.“
"Che bello!“ disse Uwe, e un attimo dopo era vestito di velluto e di seta come un re.
La topolina gli disse: "Abbia la cortesia di prendere posto nel ditale di sua madre, signore! Tocca a me l’onore di tirarla.“
"Grazie per il suo impegno, signora topo,“ disse Uwe cortesemente, e quindi i due partirono per la festa.
Prima arrivarono in uno stretto budello sotto al pavimento di legno, appena abbastanza alto per passarci con un ditale. Il budello era lievemente illuminato dal legno un po‘ marcio, e la topolina disse: "Sente che buon odore? Abbiamo ingrassato tutto il budello con pezzi di cotenna. È l’aroma più buono del mondo.“
Quindi arrivarono nella stanza della festa, e qui si trovavano alla destra tutte le topoline, intente a chiacchierare e ridacchiare, mentre alla sinistra i signori topi si passavano le zampette sui baffetti.
Sopra di loro, attaccata al soffitto si trovava una bellissima corona con quattro grosse corone rosse, tutte accese perché era già il quarto Avvento.
Il banchetto era composto da un ditale colmo di briciole di pane, e sopra era adagiata un’uvetta passa. Come dolce c’era una nocella in cui ognuno poteva mordere una volta sola, perché per i topi era una cosa molto rara e preziosa.
Indi tutti i topi si affrettarono a dirsi a vicenda che la cena era ottima e che si stavano divertendo un mondo.
Alla fine, Uwe fu portato indietro nel ditale di sua madre, tirato dalla stessa topolina di prima.
Si sentiva sollevato, perché era stato in distinta compagnia di topi, ma si sa com’è: con la gente raffinata bisogna sempre inchinarsi e dimostrare le migliori maniere.
Tornato alle sue dimensioni naturali, si raggomitolò nel suo letto, e ben presto stava dormendo, stanco e soddisfatto.


Traduzione: dicembre 2022
Disclaimer: eseguita senza fini commerciali, solo per uso privato.

Edited by Delari - 16/7/2023, 13:45
 
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