Allora, ieri sera siamo stati a vederlo… Sono ancora un po’ scossa ma vi scrivo la mia impressione e recensione nel modo più spassionato possibile.
Intanto, confesso che non ho mai amato molto Batman perché non mi piace l’idea del milionario eroico, e la svergognata esaltazione del personaggio in
Batman Begins (film che peraltro trovai noiosissimo) me lo aveva reso definitivamente odioso, per cui forse non sorprendentemente
Joker mi ha colpita, soddisfacendo appieno le mie aspettative.
Innanzi tutto, un avvertimento: questa non è la versione cinematografica di un fumetto, ma uno sconvolgente studio sociale. Chi ama Batman nella sua versione classica “fighissimo multimilionario di notte si tramuta in difensore degli oppressi contro cattivi singolari ma da manicomio”, con i suoi opulenti scenari e la classica suddivisione dei personaggi in bianco e nero, forse fa meglio ad astenersi da
Joker perché il film potrebbe sconvolgere tutte le sue idee.
Questo Joker (all'anagrafe Arthur Fleck) non è stato sfigurato da un incidente con dell’acido tossico, è un uomo normale con il viso dipinto da clown; e la sua risata maniacale proviene da un disturbo psichico che scatta tutte le volte che Arthur si innervosisce. L’uomo vittima, il perdente, ironicamente raggiunge per la prima volta l’atteggiamento ironico e disinteressato, il coolness che tipicamente conosciamo dello Joker dopo il suo primo omicidio, commesso prima per autodifesa e dopo per frustrazione.
Ambientato in una città lurida e squallida dove ognuno pensa solo a sé stesso (Gotham City è una versione cruenta di New York che neanche tenta di nasconderlo),
Joker ritrae senza peli sulla lingua il suo protagonista come un individuo schiacciato dal sogno americano, cioè fare qualcosa della propria vita / inseguire i propri sogni: il che però pare condurre al successo solo se nel processo l’individuo calpesta e usa gli altri per i propri scopi e nasconde le sue atrocità con la menzogna, il potere conferito dal denaro, la popolarità, l’arroganza.
Proprio Arthur Fleck, il criminale, l’assassino, in diverse scene diventa la voce della coscienza sociale: “Sembra solo a me, o il mondo là fuori diventa sempre più pazzo?” “Cos’avete tutti? È tanto difficile comportarsi con un po’ di umana decenza?” Arthur inizialmente è solo un uomo che fa del suo meglio, ma è proprio la sua coscienza, il desiderio di riuscire nella vita senza fare del male a nessuno, a renderlo ancora e ancora calpestato, tormentato, umiliato, finché anche gli ultimi barlumi di sanità mentale lo abbandonano (o quasi - non riesce a prendersela con un bambino, o con un nano). In altre parole, è una persona che non aveva mai nessuna speranza di uscire dal buco nero della sua vita; non è nato folle, è in grandissima parte un prodotto del mondo in cui è costretto a vivere, dove la frase "puoi farcela se solo ti impieghi abbastanza" si rivela ancora e ancora un'illusione irraggiungibile.
Anche il rapporto tra Bruce Wayne, il futuro Batman (qui ha forse dieci anni) viene approfondito: i due arcinemici sono molto più vicino di quanto sembri - non sono connessi solo dai due estremi della scala sociale in cui si trovano.
I destini di entrambi Arthur e Bruce sono stati definiti da Thomas Wayne, e di conseguenza i due sono legati da un vincolo di sangue: Wayne aveva messo incinta una donna che lavorava in casa sua (Penny, la madre di Arthur) ma si vergognava del rapporto con una "donna inferiore" e aveva preso ogni precauzione per nascondere il fatto, rifiutandosi di affrontare le conseguenze.
Nota: i documenti che Arthur trafuga per conoscere finalmente la sua provenienza secondo me erano stati falsificati al fine di scaricare la responsabilità sulla madre (presunta adottiva). Per me non fa senso non ritrarre mai la madre come abusiva o confusa, il figlio come ben intenzionato ma con poche speranze e il padre come un opportunista, egoista e falso per tre quarti del film, per poi voler ‘risolvere’ la questione con un banale “Tanto quella è matta e dice solo stupidaggini.” È questa menzogna a far sprofondare Arthur definitivamente nell'abisso, togliendogli l'appoggio dell'unica persona fidata. La tragicità dell'intreccio viene accentuato dal tema biblico di Caino e Abele, ricordandoci che qualsiasi persona con cui ce la prendiamo è in fondo nostro fratello.
Nonostante si tratti della storia di un pagliaccio, di un uomo che desidera fare il comico di professione, non c’è una sola scena o frase veramente comica, o allegra. Mai più che qui veniamo confrontati con quanto siano in fondo vicine commedia e tragedia, e che la frase “smile or die” in certi casi può essere interpretata letteralmente.
È un film melancolico, a volte agghiacciante nel suo realismo, e con un unico, devastante messaggio: alla resa dei conti tutti siamo vittime - e tutti siamo colpevoli.
Unico neo un errore di logica: nessuno aveva testimoniato il primo assassinio di Arthur, quindi non si sa perché il giorno dopo tutti fossero alla ricerca di un uomo vestito e truccato da clown...