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Luce's fanfiction gallery

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icon1  view post Posted on 20/4/2016, 12:44     +4   +1   -1
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Grand Pez di Girella

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COME LA VEDO IO SE DUKE E RUBINA SI FOSSERO SPOSATI
Whath if

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La porta della sala centrale del palazzo reale fleediano si aprì, e la figura slanciata e provocante di Rubina si stagliò nel rettangolo.
Aveva un abito dello stesso colore dei capelli, inguinale e aderente come una seconda pelle, trucco sapientemente studiato, capelli freschi di parrucchiera.
Lei e Duke erano sposati da pochi mesi; lui la guardò sorpreso e le chiese:
" Sei bellissima, ma dove vai così elegante, non ricordo avessimo appuntamenti."
"Per forza, IO ho un appuntamento: devo andare a trattare col Primo Ministro per delle questioni che tu trascuri, se non ci penso io qui tutto va a rotoli."
"Davvero? Ma di quali questioni parli?"
"Lascia stare, piuttosto vedi di riprendere il giardiniere che da settimane non taglia l'erba e la domestica che cucina da schifo e lascia pure i capelli nella minestra!"
"Senti Rubina, di questo possiamo parlarne domani, piuttosto quel tipo... cioè… tu sola con lui, così vestita, non so se..."
Lei lo guardò con aria di compatimento dicendo: "Come sei scemo poverino, credi che non sia in grado di farmi rispettare? Tu, piuttosto, vedi di farti intendere coi tuoi dipendenti."
Se ne andò chiudendo sgarbatamente la porta ancheggiando sui tacchi a spillo.

Pochi minuti dopo suonò il telefono.
"Duke, sei tu?"
"Naida, che piacere sentirti!"
"E' molto che non ci vediamo, quando possiamo incontrarci?"
"Anche adesso, come vedi io sono a casa, se vuoi passare di qui".
"Allora, a tra poco."
"Naida!"
"Duke!"
"Finalmente, che bella sorpresa, entra, sono solo in questo momento."
Naida entrò: era sempre molto bella, ma aveva nel viso un'ombra di sofferenza, si vedeva che aveva patito molto per la loro separazione anche se cercava di non darlo a vedere, la nostalgia del loro rapporto era evidente in tutta la sua persona. Tuttavia, mantenne sempre un regale contegno e si accomodò sul divano.
Era a disagio, voleva iniziare un discorso ma non si decideva, doveva essere qualcosa di delicato.
"Senti Duke, io... cioè volevo sapere come va la tua vita, come ti trovi da sposato, va tutto bene?"
"Beh, sì, direi di sì. Rubina è molto giovane e penso che per lei non sia semplice abituarsi a una nuova vita, addirittura un pianeta diverso, cerchiamo tutti di non farle mancare niente, i miei genitori l'adorano. Stasera è uscita, doveva incontrarsi con qualcuno per delle questioni burocratiche..."
Naida lo interruppe all'improvviso balzando in piedi.
"Lei non è andata per quello che tu dici... e non è la prima volta, lo sanno tutti..."
"Cosa vuoi dire?"
"Non capisci? Rubina fa quello che vuole, praticamente dall'inizio che vi siete sposati, lei ... ecco... conosce molti uomini..."
Duke prese le distanze da Naida, la guardò inorridito, lei abbassò lo sguardo e gli occhi le si riempirono di lacrime.
"Mi dispiace, ero venuta qui... non ero sicura di parlare del fatto, ma ti ho visto così ben disposto verso di lei... lei che non ti merita... allora non ho potuto fare a meno di dirtelo."
Silenzio nella sala per lunghi minuti.
Poi, nella mente del Principe si affollarono tanti episodi, fatti strani, apparentemente cose da niente, ma ora messi insieme alle parole di Naida acquistavano un significato ben preciso.

Durante le prime settimane di matrimonio la loro intimità era stata gradevole e faceva ben sperare per il futuro; in seguito Rubina era diventata via via sempre più insofferente e al tempo stesso ad avere un aspetto sempre più ricercato.
Se lui le si avvicinava lei si spostava dicendo: "Lasciami, non vedi che ho appena fatto la messa in piega?", oppure: "Non toccarmi, mi sono appena messa lo smalto alle unghie."
Quando cercava di coinvolgerla a sane attività sportive, corse all'aperto, lei lo guardava male, quasi dicesse: "Che razza di sovrano potrai mai diventare, se pensi a queste sciocchezze."

Duke si avvicinò a Naida e aspirò il profumo semplice e discreto dei suoi capelli e subito gli comparvero davanti agli occhi le loro corse nei prati, le nuotate al lago, le soste lungo le spiagge assolate. Il suo sguardo trovò riposo in quel viso senza trucco, si accorse di non ne poterne più di colori chiassosi, atteggiamenti troppo sofisticati.
D'impulso corse ad aprire la portafinestra: il profumo che Rubina aveva lasciato nella sala era insopportabile, lui cercava di farselo piacere, ignorando i mal di testa e il penoso senso di nausea che gli procurava.
Si soprese addirittura a ricordare con nostalgia gli scherzi di Sirius... e anche alle volte che li aveva sorpresi in atteggiamenti ai quali un bambino di quell'età è opportuno passino inosservati.
Lui e Naida sedettero sul divano vicini in modo discreto: avevano entrambi delle ferite aperte, visibili, volevano consolarsi a vicenda e temevano di farsi altro male, così poco alla volta si presero le mani, lievi carezze, baci delicati, casti e amichevoli, non c'era passione, ma molto di più, incapaci di staccarsi l'un l'altro. Rimasero a lungo uniti in abbraccio delicato ma molto profondo e alla fine si addormentarono.

Sulla Nave Madre, a guardare sul grande schermo sintonizzato col Palazzo Reale sul quale erano state collocate una miriade di micro telecamere, c'erano Rubina e la sua ultima conquista, Zuril, Gandal e Hydargos. Re Vega era visibile dal video gigante davanti a loro.

Rubina sorrideva soddisfatta: era stata una dura lotta, ma ora il traguardo era raggiunto, questa immagine dei due abbracciati sul divano era la prova del tradimento da lei voluto e provocato, ora il motivo di attaccare il Pianeta e ammazzarli tutti, c'era.
Avevano già disposto delle bombe ovunque, bastava schiacciare un pulsante e in un secondo tutti sterminati, soprattutto avevano portato Goldrake in un posto sicuro.
Non era stato per niente semplice: il suo regale consorte era un osso duro, aveva pazienza, per non parlare poi dei suoi suoceri. La veneravano, la vedevano perfetta, una specie di dea.
Ricordò le parole che le diceva spesso la Regina:
"Cara, tu per noi sei come una figlia lo sai, poi da tempo non hai la mamma, io per te sono come una madre, quando senti nostalgia della tua casa, di tuo padre, delle tue amicizie, puoi andarci per qualche giorno quando vuoi, sentiti libera, mi raccomando, sei tanto giovane, hai diritto a divertirti: sai mio figlio è spesso impegnato coi suoi doveri, ma tu fai come fossi a casa tua, lo sai vero che questa è la tua casa?"
"Certo che lo so!" disse Rubina con voce aspra e lievemente tremula verso tutti i presenti nella sala.
"Questa è davvero casa mia, e lo sarà per sempre, mia e basta, non puoi credere quanto io la consideri mia."
Cominciò a parlare di tutti i fatti avvenuti nei mesi del suo matrimonio, quello che per lei era stato tutto orribile e insopportabile: gente buona, mai un'invidia, un pettegolezzo, tutti che si aiutavano.
I Re di Fleed non erano per niente altezzosi o superbi e si preoccupavano per tutti anche in prima persona; trattavano i dipendenti quasi a loro pari, si preoccupavano per la loro salute, dei loro familiari. Il giorno in cui aveva scoperto che tutti ricevevano ben quattordici mensilità e avevano dato un alloggio gratis ad una famiglia in difficoltà le erano venuti i conati di vomito.
Via via che raccontava, la sua voce diventava a tratti alta, poi isterica e tremante, a volte si sentiva il pianto a fatica trattenuto, si era repressa per tutti quei mesi e adesso aveva bisogno di sfogarsi.
Nel suo sguardo non c'era nemmeno un'ombra di innocenza, c'era odio, risentimento, volontà di distruggere; sparita la voce di Candy, anzi non si sa come somigliava sempre di più a quella di Lady Gandal e la sua espressione facciale era in forte competizione con Crudelia Demon.
Doveva apparire davvero fuori dalle righe, visto che Hydargos le porse la coppa del suo pregiato cognac gran riserva di un'annata molto speciale, ottenuto con non poca fatica.
Re Vega intervenne dicendo di andarci piano con i liquori ai quali lei non era abituata.
Allora Rubina esplose in un atto violento stringendo con veemenza i piccoli pugni:
"Bevo quello che voglio e quanto voglio! Sono stanca di roba sana, delle salutari spremute del mattino ingollate a tavola tutti insieme a colazione nel giardino di casa con la bianca tovaglia di fiandra, o della tisana della sera che il mio amato consorte mi portava con tanta premura quando ero già a letto, che schifo! Basta con le manie salutiste, con il depuratore anti-inquinamento che i miei adorati suoceri avevano fatto costruire, se poi questo portava in rosso i conti delle Casse Reali, chi se ne frega, per loro contava la salute e non solo la loro, beninteso, ma di tutto il pianeta e dei suoi abitanti!"
Ormai era un fiume in piena non si tratteneva più e infatti aggiunse:
"Basta anche col bacio della buonanotte che mi toccava subire dai due sovrani a da quella mocciosa di Maria, che neanche farlo apposta aveva sempre la bocca sporca di latte e briciole.
Una marmocchia rompiscatole che mi seguiva ovunque con sguardo sognante, voleva sempre giocare, le dovevo raccontare delle storielle, ficcava le sue sudice mani nella mia roba.
La sera passavo almeno mezz'ora a sfregarmi la faccia con la carta vetrata per cancellare tutte le loro tracce."
Per concludere la sfuriata, con un calcio lanciò in aria una alla volta con violenza le sue preziose scarpe con tacco alto di vernice rosso rubino; la prima finì incastonata tra i cristalli del lampadario e la seconda fuori dalla finestra polverizzandosi nella stratosfera.

A quel punto, Re Vega cominciò a chiedersi preoccupato se non avesse esagerato a mandare la sua unica figlia così allo sbaraglio. Si sarebbe mai più ripresa?
E' anche vero che l'idea era partita dalla stessa e tutti avevano concordato come una trovata eccellente.

In un noioso e grigio pomeriggio di fine inverno, Rubina era sola in casa e, stanca di vagare da una stanza all'altra senza sapere cosa fare, aveva buttato una mano dentro uno scatolone pieno di videocassette ordinate via etere. Ne aveva scelta una a caso, senza neanche guardare di cosa si trattasse. Tra uno sbadiglio e una rosicchiata alle unghie, poco alla volta si era interessata al video. Si trattava di un film straniero dal titolo "Divorzio all'italiana" e da lì era stata ispirata a mettere in atto la sua azione diabolica per invadere il pianeta Fleed e intanto che c'era, perchè no, tutto l'Universo.
Le invasioni sono come le ciliegie, una tira l'altra.

Alla fine del film era tutta pimpante e piena di entusiasmo. Telefonò alla sarta, alla parrucchiera, all'estetista, poi buttò dalla finestra le scarpe da tennis, le tute da ginnastica informi, capi sportivi o troppo infantili, anche l'orsetto di peluche col quale dormiva da quando era piccola e tutta la serie di anatroccoli di gomma coi quali si divertiva a fare il bagno.
Con quegli oggetti in circolo non poteva certo pensare di conquistare il Principe di Fleed.
Via ogni residuo d'infanzia e quello stile Lolita finto ingenuo, cioè all'inizio poteva anche servire, poi l'opera di seduzione doveva essere più intelligente e studiata.
In seguito, c'era stato il fidanzamento ufficiale e il matrimonio.

A onor del vero, quando un mese prima Re Vega l'aveva convocata nella Sala del Trono per prospettarle il fidanzamento con questo Duke Fleed, lei pareva aver snobbato l’idea e si era limitata a risponderli con enormi palloni con le gomme da masticare rosa che si era infilata in bocca con indolenza una dietro l'altra, ed era uscita piano dalla stanza e nemmeno nei giorni successivi c’era stato verso di convincerla. Ma ora... ora tutto era diverso e l'idea meravigliosa.
Adesso era il momento di ammazzarli tutti, il filmato con la prova del tradimento c'era.
Bisognava essere sicuri che dei fleediani non ne rimanesse vivo nemmeno uno, perchè se si fossero riprodotti, il pericolo della loro bontà d'animo e altruismo era grave, essendo forse un fatto ereditario; con la speranza che poi si trattasse solo di un fatto di cromosomi e non un virus contagioso, altrimenti avendo convissuto con loro per tutto quel tempo... un brivido la scosse tutta... meglio non pensarci.

Rubina rigirò a lungo con lo sguardo la scatola della videocassetta col film ispiratore: da dove proveniva?
Boh, sembrava dall'Italia, ma di che pianeta si trattava? Mai sentito nominare!
Passò un'ora buona al computer e, dopo tanto cercare, scoprì che l'Italia era solo una penisola dalla strana forma di stivale appartenente al Pianeta Terra.
“Pianeta Terra: grande, azzurro, rigoglioso, subito dopo Fleed sarà mio", pensò Rubina fissando un punto lontano con gli occhi stretti in due fessure. "E dopo quello... una cosa alla volta, ho tanto tempo davanti e nessun ostacolo."



FINE

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Edited by .Luce. - 31/7/2023, 14:28
 
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view post Posted on 26/12/2019, 13:56     +3   +1   -1
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MEGLIO IN TRE CHE MALE ACCOMPAGNATI

index_57

Tre di notte del 24 dicembre.
Il sonno era agitato, le lenzuola che si torcevano. D'improvviso Benjo si svegliò di soprassalto tutto sudato; sedette sul bordo del letto passandosi una mano fra i capelli.
Era da tempo che quel sogno lo teneva sveglio la notte: lui che baciava appassionatamente Beauty, mentre Reyka, nascosta dentro l’armadio, brandiva un coltello molto affilato per ferirlo a morte.
“Io sono attratto da Reyka e non sopporterei se fosse di un altro” pensò confusamente con la mente annebbiata per il sonno.
In fretta si tolse il pigiama dirigendosi in bagno, aprì il rubinetto, si fece una lunga doccia e in mezzo a tutto il vapore che si andava formando, sconsolato, pensava: “Ma come faccio? Anche Beauty mi piace molto e so che è gelosa. Ma prima di tutto, c’è la guerra contro i Meganoidi e le questioni sentimentali devono stare fuori da tutto, anche dai pensieri e dai sogni notturni.”
Uscì dalla doccia asciugandosi alla meglio con un asciugamano bianco e blu col bordo ricamato, poi indossò una vestaglia azzurra, aprì la portafinestra e uscì sul balcone. La notte di dicembre, tutta stellata e con la luna piena in mezzo al cielo era limpida e luminosa, ma molto fredda.
Stava per accendersi una sigaretta, quando notò lo scintillio di tante lucette colorate e di alcuni festoni natalizi: Natale, è di nuovo Natale.
Fece un sospiro.
“Potrei fare un piccolo dono a ciascuna e invitarle a pranzo il giorno 25.
Però a loro due non basterà questo: vorranno senz’altro uscire la sera e andare ad una festa il 31 per ballare fino all’alba. No, non ci posso pensare.”
Con quel pensiero si riaddormentò quasi subito e quella notte fu a tratti piena di incubi. Beauty e Reyka in abito da sera, scollato e provocante che se lo contendevano per il ballo. Lui aveva i piedi ammaccati e martoriati a causa dei tacchi a spillo delle sue dame, dato che, ballando, glieli pestavano senza pietà. Lo facevano girare come una trottola mentre lui trangugiava coppe di champagne come fosse acqua.
Il trillo forte e improvviso del telefono lo svegliò di soprassalto.
“Le nove!! Non ho sentito la sveglia, è tardi.” Aveva il cuore in gola.
Sentiva la testa che gli girava e la bocca impostata come se davvero avesse bevuto troppo.

Al telefono c'era Garrison Tokida, che voleva sapere cosa aveva deciso per il pranzo delle feste, il menu e gli invitati.
“Stamani non posso venire, ho un impegno urgente, pensa tu ad ogni cosa.”
Si vestì, prese le chiavi della macchina ed uscì.
Le vetrine erano tutte addobbate: una esponeva dei vestiti da donna, per la maggior parte in seta, rossi e bellissimi. Stava per fermarsi, ma ci ripensò. Più avanti vide un grande negozio di fiori di ogni tipo e colore.
Varcò l’ingresso senza quasi rendersene conto; la commessa gli si avvicinò sorridendogli complice.
“Che ne dice di una stella di Natale attorniata di rose multicolori? Si tratta di una nostra creazione di quest’anno, molto originale e di grande effetto. Se la regala alla sua fidanzata farà di certo un figurone.”
Lui trasalì e si trattene a malapena. Le avrebbe volentieri gridato di farsi gli affari suoi, ma non disse nulla e tornò in macchina, mise in moto e partì con uno strano sorriso sulle labbra e un febbrile luccichio negli occhi.

Ore diciannove e trenta.
“Vado a casa, stacco il telefono e non voglio vedere nessuno. Chi l’ha stabilito che per forza a Natale bisogna essere felici, fare regali e avere invitati tra i piedi” decise di malumore.

Aprì la porta d’ingresso del suo appartamento, tutto buio e silenzioso.
Come ebbe varcato la porta che conduceva al salone, subito fu investito da un turbine di luci, musiche natalizie, auguri, baci, rumore di bottiglie stappate.
Non riuscì a spiccicare mezza parola per lo shock.
Il primo a venirgli incontro fu proprio Garrison, il quale aveva preso alla lettera le indicazioni di Benjo circa i preparativi. Gli aveva dato carta bianca.
In fondo alla stanza e ai due lati del camino, stavano Beauty e Reyka. Reggevano in mano un pacco ciascuna nella mano sinistra e nella destra una coppa colma di liquido dorato pieno di bollicine.
Erano vestite di colori così abbaglianti che sembravano due enormi cioccolatini. La testa inclinata di lato, capelli vaporosi e cotonati e il sorriso ammiccante che gli rivolgevano, era tutto un insieme carico di sottintesi.
L’occhio esperto di Benjo, aveva subito notato che nessuna delle due portava l’intimo sotto quegli aderenti e provocanti abiti da sera che parevano fatti di… aria! Il messaggio non poteva essere più esplicito.
Non mostravano alcuna rivalità e gelosia tra loro. Del resto, non si dice sempre che a Natale si diventa più buoni?
“La notte è lunga” gli disse Beauty in un orecchio con voce roca e molto sensuale. La sua piccola e graziosa mano, già si insinuava sotto la camicia di lui facendolo rabbrividire.
“E non abbiamo nessuna fretta” aggiunge Reyka con un sorriso carico di sottintesi.
“Fino a Capodanno, ci sono molti giorni e notti a nostra disposizione per fare follie di ogni tipo” aggiunse mordicchiandogli il lobo dell’orecchio.

Garrison uscì dalla stanza silenzioso come un gatto, abbassò le luci e chiuse la porta senza rumore.

In quel divano di seta azzurra, in mezzo a quelle due ragazze da schianto, Benjo si disse che in fondo il triangolo amoroso e non, può essere ottima cosa quando tutti si è d’accordo.
E i Meganoidi? Bè, forse anche loro se la stavano spassando tra festini e orge di vario genere, di certo almeno fino all’Epifania che, come vuole la tradizione, tutte le feste si porta via.




FINE


LINK per....... fate voi

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view post Posted on 17/3/2020, 10:06     +1   +1   -1
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TORTA DI COMPLEANNO SPAZIALE

Dedicata ad Aster, per il suo compleanno <3

3_10

Dalla base lunare Skarmoon, all’acutissimo e attentissimo Ministro delle Scienze Zuril, non era certo sfuggito quello strano silenzio e immobilità che da alcune settimane proveniva dal pianeta Terra.
Il suo computer oculare, dopo un’attenta revisione e una messa a punto formidabile, aveva registrato che l’intero pianeta era sotto la grave minaccia di un virus potenzialmente letale e facilmente trasmissibile. Non aveva ancora ben chiaro se tale contagio fosse possibile anche per veghiani e non, quindi per prudenza si tenne a debita distanza dalla base sottomarina e convinse re Vega a sospendere gli attacchi.
“Ma come…” mormorò il sire confuso. Ci sono dozzine di formazioni di minidischi appena preparate, il nuovo mostro verde marcio con le lame affilate giace da giorni in magazzino in attesa di battersi contro l’odiato Goldrake e…”
“Mi creda maestà, è meglio così. Per ora non posso dirvi di più, ma vi assicuro che non starò con le mani in mano, avete la mia parola.”
Zuril uscì dignitosamente dalla sala del trono e rientrò nei suoi appartamenti.
“Dunque, vediamo… se perfino un popolo attivo e lavoratore come quello giapponese è quasi infermo, deve essere qualcosa di gravissimo. Cosa posso fare? Come usare questo inconveniente a nostro favore?”
Per farsene un’idea più chiara, lo scienziato decise di dare un’occhiata panoramica a tutta la popolazione terrestre. Fu improvvisamente attratto da un luogo molto distante dal Giappone, una strana e curiosa sagoma a forma di stivale, che si chiamava Italia.
“Mmm… strano luogo davvero, non mi interessa, è troppo piccolo e…”
In quel mentre, il computer oculare iniziò a balenare e mandare messaggi in codice; si decise allora di osservare meglio. Mise a fuoco lo stivale e lo ingrandì in modo che occupasse tutto lo schermo del grande computer a parete che era nel suo studio. Il segnale rosso lampeggiante indicava una zona del nord est dell’Italia.
“Ma che significa?” si chiese perplesso.

Dopo circa mezz’ora di indagini, il mistero non fu più tale.
In quella zona, una brillante e fantasiosa scrittrice, gli aveva dedicato un gran numero di storie, o meglio, fanfiction. L’occhio avido le lesse una ad una nell’arco di un’intera mattina.
In quel lasso di tempo, il suo umore aveva raggiunto tutte le possibili dimensioni e sfumature che l’animo alieno possiede. Picchi altissimi di gioia e soddisfazione infinita, quando ad esempio aveva scritto: “Fine”. Non era morto lui, ma l’odiatissimo Duke Fleed!
“Evviva!!! Brava, bravissima! Questa donna è una promessa dell’editoria, si merita tutti i premi letterari terrestri e non. Che genio, e che modo squisito di raccontare!” gridava saltando per tutta la stanza, più euforico che mai.
Umore sotto il livello di tutti i mari in certi altri. Ma come si era permessa di scrivere certe cose? In alcuni punti si era sentito un verme in senso stretto. L’invasione degli ultravermi!
In altre, il suo prestigio da seduttore era andato in declino, però aveva avuto anche le sue soddisfazioni.
Proseguì coi racconti (accidenti, ma quanta fantasia aveva? Non finivano più).

Iniziò a ridere fino alle lacrime in “Dura cura”, ma rimase alquanto serio quando, durante una vacanza al mare, una costa italiana per giunta, Rubina, dopo avergli promesso notti di fuoco, gli aveva dato picche e anche appioppato il padre depresso con esaurimento nervoso. Aveva anche scritto che lui, Zuril, se l’era “spassata” con quella sgraziata e legnosa donna tedesca. Arrgghhhhh!!!!
“Ma come si permette? Non lo sa che io sono un tipo raffinato e quel genere di donna non me la filo nemmeno di striscio? Una che non fa conoscere la crisi alle ditte produttrici di fazzoletti di carta coi suoi pianti interminabili, che c’azzecca con me?”
Non era finita lì, perché andando avanti, lesse che la storia con quella donna, andava avanti ancora e ancora, specie durante le feste natalizie!
“Questa qui, devo bombardarla col vegatron, così la smette di scrivere!” gridò arrabbiatissimo.
C’era stato il matrimonio con Maria… sì, una ragazza nobile e carina, ma perché gli aveva appioppato proprio la sorella di Duke Fleed? Li odiava entrambi e leggere che sarebbero stati insieme per sempre, gli mandava il sangue al cervello.
Si accasciò sulla poltrona per alcuni minuti, poi, coraggiosamente riprese la lettura.
“Questa è pazza! Manda alla nostra base quella dannatissima piaga sempre frignante di Shiro, e mica scrive che noi lo riduciamo in polvere cosmica! Noooo, quando mai! Shiro è terrestre e che se ne stia a casa sua!”
D’istinto si turò le orecchie con le mani, perché solo leggere il nome di quel ragazzino petulante fino all’inverosimile, gli sembrava di averlo davanti.
In “Proposito indecente”, perché non aveva messo lui al posto di Hydargos? pensava, mentre il suo colorito diventava giallo-verde itterico.
“Devo studiare qualcosa per vendicarmi, non posso fargliela passare liscia! Vedo che non solo scrive in rete, ma ha anche pubblicato dei volumi!
E preghi che l’editoria non abbia mai stampato e messo in vendita la storia dello stufato cerlacco coi fagioli blu! Li ha fatti mangiare anche a me, grrrrrrrrrr! Non lo sa che non esistono da noi? E che razza di conseguenze ha specificato nel dettaglio! Me la pagherà cara, carissima, non sa cosa l’aspetta”, gridò l’uomo divenuto verde muschio in viso, mentre in preda ad una rabbia feroce, buttava a terra sedie e volumi.
Riprese la sua solita calma e, mentre i battiti del suo cuore andavano calmandosi, si accorse che proprio oggi, 17 marzo 2020, quella fanfictionara terrestre festeggiava il suo compleanno.
“Bene, questa festa capita proprio a fagiolo (blu), la tua fine è vicina. Bar e pasticcerie sono tutti chiusi per colpa del virus, quindi gradirà certamente una bella torta spaziale! E di come confezionarla, mi basta seguire le istruzioni che lei stessa mi ha dato in suo racconto pasquale, concluse ridendo.
“Si è fatta autogoal, ben le sta!”

Zuril corse in cucina e fece sloggiare il cuoco.
“Ma perché? Devo fare il minestrone e lo spezzatino, il sire me l’ha ordinato.”
“Adesso ti ordino di andare a farti un giro, va bene?”
“Ma… se avete deciso così”, gli ripose perplesso con sguardo ebete, mentre senza fretta si toglieva il lungo e sporco grembiule.
Febbrilmente, lo scienziato si mise all’opera. Uova, burro, farina, cioccolato, canditi… e molte gocce di vegatron concentrato.
“Manderò la torta oggi stesso col missile più veloce. Un bigliettino di auguri e tanti complimenti per le sue qualità di scrittrice, l’augurio del Premio Letterario, Campiello, Strega, tutti quelli che ci sono, mille di questi giorni… le solite sciocchezze che tutti i terrestri scrivono per le ricorrenze.”

Un’ora dopo, un capolavoro di torta giaceva sul tavolo della cucina.


1_20


“Ehi, Hydargos! esclamò Gandal apparso sulla soglia della cucina deserta.
“Guarda che bella torta! Ce ne facciamo subito una fetta?”
Con l’acquolina alla bocca, Hydargos prese un coltello.

“No!” urlò Zuril da lontano, ma il coltello calò, inesorabile.
BA-WOOOMMM!!!!



FINE

Edited by .Luce. - 20/7/2023, 15:01
 
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view post Posted on 22/4/2023, 15:29     +2   +1   -1
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LUCE E LA SUA PARTECIPAZIONE NEI FORUM

1-16908065924294

La mia fertile immaginazione si popola di scene grottesche quando in un forum, dopo lunghe latitanze, un bel giorno riappare il mio nickname, di solito (per alcuni) foriero di catastrofi.
Immaginiamo un utente qualsiasi, appena sveglio e con la tazzina del primo caffè della giornata vicino al PC, si stira, sbadiglia, apre la pagina del suo forum preferito e subito gli balza all’occhio qualcosa che non gli torna: “… Mmm? Cosa? Luce? Ma… ma veramente… Devo ancora pulire gli occhiali, aspetta un attimo… no, adesso leggo ancora meglio, è proprio Luce.”
D’indole ottimista, si augura possa trattarsi di un caso di omonimia, facendo finta di dimenticarsi che al momento dell’iscrizione i doppioni vengono bloccati.
Un bel sospirone, poi via, forza, leggiamo questo post! Cosa sarà mai in confronto alle tante guerre che ci sono nel mondo! Pensa lo sventurato moderatore-super-minor che sia.
L’avatar con lo splendore dell’aurora, appare in tutta la sua luce: di nome e di fatto.
Sotto, alcune frasi mie ad effetto doccia gelata in gennaio.

“Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo.
Scrivo sempre nuove storie e per chi fosse interessato, questo è il link dove nel retro di una mia pubblicazione affermo che Ufo Robot Goldrake è un anime di forte spessore psicologico e pieno di significati nascosti. Buon proseguo a tutti, ciao!”

L’utente si affretta a comunicare la sventura ai colleghi, i quali hanno già avuto la terribile notizia, ma non volevano dirlo agli altri per non angustiarli.
“… avevo fatto un sognaccio stanotte… io non ho proprio chiuso occhio invece… ho sentito la civetta cantare: e io che ridevo in faccia a chi mi diceva che era presagio di grossi guai… forse è solo un brutto sogno… non ho mai saputo che i sogni siano della comunità… bè, qui può essere, tutto deve essere collettivo. Anche le cose brutte? Soprattutto quelle! Bell’amico sei! Sentite, io porto i bambini a scuola, tra un’ora ci colleghiamo tutti e decidiamo il da farsi. Va bene, ciao.”

A metà mattina, almeno una ventina di iscritti leggono avidamente il mio post, facendo salire in modo vertiginoso il numero delle visite a tempo di record e dopo poco si mandano a vicenda uno sproposito di sms e messaggi privati.
Di comune accordo viene stabilito che questo è un caso da trattare in Sala Udienze, quindi il Pubblico Ministero che di nickname fa Cometa, il Presidente Alfa e il Giudice a latere Linus prendono posto.
Sono tutte donne e indossano la toga, tranne un ragazzo di nome Paolo, incaricato di scrivere il Processo in tempo reale.
Tema: “Cosa rispondere? E’ il caso, oppure no? Dobbiamo mettere la proposta ai voti, o è meglio consultare il Codice?”
Il più tranquillo è Paolo, fresco di laurea in Giurisprudenza e con ha una voglia matta di praticare quanto ha studiato.
Dopo venti minuti di bisbigli tra sole donne, il ragazzo inizia a ridere a più non posso fino alle lacrime.
Le tre moderatrici-giudici, sono esterefatte.
“Ma che c’è?” chiede la P.M. Cometa, piuttosto seccata.
“No… niente… solo che… non riesco a smettere di ridere, leggendo questa storia di Luce.
Pensare al Ministro Zuril che canta: “Che gelida manina.”
La Presidente Alfa, con un moto di fastidio lo zittisce subito. “Ma sì, ho capito, lascia perdere! Cosa ci sarà mai da ridere!”
La giudice Linus dà un’occhiata alla pagina e con tono da maestra ottocentesca, dichiara puntando il dito: “Ha sbagliato. Sì, è qui l’errore: la soprano si chiama Aika, quindi non ha senso che Zuril le dica: ma il tuo nome non è Lucia?”
“Luce sbaglia sempre tutto. Non mette mai il soggetto che è La Bietola Reale, i complementi che sono le sante e le vittime, cioè Naida e Rubina… e se le cita, non le tratta certo da sante e vittime quali invece sono. Ditemi voi, senza questi elementi fondamentali, che razza di storia potrà mai scrivere? Niente, è logico!”
Paolo interviene, mostrando loro le parole della famosa romanza di Puccini.
“Leggete bene il testo”.

“Sì. Mi chiamano Mimì
Ma il mio nome è Lucia
La storia mia è breve…”

“Luce ha scritto che Zuril ha sbagliato nel leggere, è andato nella parte di lei, il discorso fila, dunque.”
La Presidente Alfa si alza buttando a terra la sedia, si toglie gli occhiali e con uno sguardo inceneritore lo fulmina: “Senti bene Paolo, se vuoi continuare a stare qui c’è un Regolamento da seguire, lo sai vero?”
“Certo che lo so.”
“E allora dovresti anche sapere che tutte le fanficion di Luce vengono bocciate a priori!”
“Cosa?”
“Ecco un’altra bietola, questa è in carne ed ossa”, dice con sarcasmo la P.M.
“Luce viene sistematicamente bocciata in modo Ufficioso, Ufficiale e d’Ufficio!” grida la Presidente.
“E perché?”
“Perché sì. Punto. E non ti provare a lasciare un tuo post con un commento positivo in nessun thread da lei aperto, chiaro???”
Calmissimo, Paolo dice: “Non capisco.”
“Non devi capire tesoro, scrivi piuttosto”, fa eco Linus in tono civettuolo con sottofondo sarcastico.
“Io scrivo, però voi non iniziate mai.”
Occhiataccia terribile da parte delle tre di nero vestite.

Alfa comincia a sbadigliare, poi dice: “Paolo, ci porti un caffè? La macchinetta è dietro la porta.
“Io dico di staccare la spina, le vacanze si avvicinano e non ho voglia di niente”, dice Cometa sfogliando una rivista piena di immagini natalizie.
“Oh, grazie dei caffè Paolo, sei un angelo. Tu non lo prendi?”
“Sono a posto… però… ho incontrato adesso una vostra collega e aveva bisogno di voi.”
“Chi era?”
“Rubi71.”
“Ah, falla venire!”
“Vieni, Rubi!”
Entra la ragazza aspirante moderatrice, e con un sorriso di circostanza chiede:
“Non vorrei disturbarvi, però dobbiamo rispondere alla nuova utente Venusia73 riguardo alla fanfiction che ha postato l’altro giorno. Cosa scriviamo?”
La parola va alla Presidente.
“Mmm…” rimestando bene lo zucchero “ha pestato a dovere il Principe?”
“No, non ti ricordi che nella sua presentazione ha dichiarato di esserne innamorata fin dai tempi delle elementari? Come il 99% di tutte, logicamente.”
“Ha detto altro?”
“Sì… ha letto le nostre storie e si è divertita, ha riso, pianto, le ha rilette…”
“Allora scrivi: ottimo inizio, continua così, brava. Alla fine, le solite tre emoticons che applaudono. Mi segui? Rispondete in tre o quattro su questo tono, cambiando solo qualche parola. Va bene? Segnati questa cosa, non voglio ripetermi, lo sai.”

Alle tre Giudici, come si fosse accesa una lampadina tutto ad un tratto, gridano in coro:
“Ma che fine ha fatto, il nostro CLUB P2 – Tesseramento??? Ci siamo perse per strada e smesso di pestare la Grande Bietola. Ohhhh, quanto tempo perso. Urge correre ai ripari, presto!
Paolo, cerca subito nel PC quel thread, svelto!”

“Come si chiama? Club??”
“CLUB P2!!! Non puoi sbagliare, appena vedi in prima pagina la Bietola Reale con bozzi e lividure, seguito da improperi di ogni tipo l’hai trovato!”
“Sto cercando… però non appare… l’avete cancellato?”.
“Cancellato?!! Uhhhh, ma quando mai, anzi! E’ ora di rinverdirlo, come abbiamo fatto a trascurare questa cosa? Presto, presto, vogliamo scriverne di cotte, di crude, lesse, al forno, al vapore, tutto!”
“Eccolo qua, trovato.”
“Evvai! Scrivo io per prima, sono la Presidente!”
“E noi? Abbiamo un PC ognuna, facciamolo insieme!”
“Una alla volta, si impalla la rete.”
“Ragazze, calma. Capisco la vostra vivacità, ma c’è un problema.”
“E quale? Impossibile!”

“Vi leggo bene la dicitura:
“Questo thread è stato chiuso per dichiarato fallimento intorno al 2013.
I Libri Contabili sono stati portati in Tribunale e ben tre Curatori stanno gestendo questa cosa. L’accusa del Codice Penale è di: “Lesa Maestà con aggravio di danni a livello mondiale, in quanto i forti maltrattamenti subiti dal difensore della Terra, gli hanno impedito di svolgere in pieno la sua missione patriottica e totalmente disinteressata.
La già tragica situazione, è poi divenuta drammatica quando le fondatrici di suddetto CLUB, non solo non hanno tentato di fermare i veghiani inferociti, ma li hanno trattati con ogni cura.
Come si può ben facilmente immaginare, il risultato è stato catastrofico: ingenti danni e perdite, inquinamento ben oltre i limiti consentiti, inasprimento del conflitto e altre cose.”

Le tre si guardano confuse, poi Cometa, schiarendosi la voce: “La fondatrice del club è un’utente cancellata, quindi nessuno le può andare addosso legalmente e le altre hanno solo seguito il suo esempio ingenuamente. Era un gioco, quindi il giudizio sarà clemente, io dico che il tutto sia già in prescrizione.”
“C’è dell’altro, però… il grande maestro Go Nagai, venuto a conoscenza di questo Club prima e delle terribili fanfiction durante e dopo, vedendo così stravolta la sua più grande opera letteraria, memore delle bombe atomiche del secondo conflitto mondiale che il Giappone ha subito senza pietà, ha preso contatti con gli americani per averne alcune… e naturalmente bombardare la nostra patria, in quanto distruttrice e denigratrice del suo pregevolissimo lavoro.”
“E quando? Non è mica successo niente!?! Tutte balle, vah!”
“Appunto, non è successo niente. E sapete perché?
Semplicemente perché, in mezzo ai vostri istinti distruttori e dissacratori, rare perle di intelligenza e voglia di verità, hanno analizzato e sviscerato la vera storia che il grande Maestro voleva raccontare. Avendo a portata di mano una traduttrice madrelingua, hanno visto e poi trascritto questo capolavoro.
Bocciato senza pietà e senza appello dai forumisti italiani, come è logico!

Luce si è avvicinata a piccoli passi per leggere questa magnifica analisi. Avendola capita fino in fondo senza pregiudizi di sorta e fiutando il pericolo di un conflitto bellico, è riuscita ad incontrare Nagai e mostrargli tutto il lavoro svolto, pregandolo di ripensarci, dicendogli che non tutti erano degli ingrati, c’erano alcuni – pochi ma buoni – che non avevano paura di dire ciò in cui credevano, anche a costo di farsi ridere dietro ed essere contro tutti.
All’inizio sembrava irremovibile, non ne voleva sapere. Per fortuna, una casa editrice ha preso a cuore la situazione decidendo di investire su questa cosa.
Luce, col suo libro fresco di stampa pieno di fanfiction, dove nella presentazione dichiara di approvare in toto il suo lavoro è corsa da Nagai e lui, con un piccolo inchino e un largo sorriso, le ha stretto la mano giurando di ritirare tutte le bombe.
Seguendo il motto: “La prudenza non è mai troppa”, Luce ha scritto un secondo volume e anche un terzo, ribadendo ciò che pensava… vedo che lo ha detto anche a voi… leggo che in certi post le avete riso dietro. E il 9 maggio 2019 l’ha dichiarato in diretta streaming al Salone Internazionale di Torino.”

Il trio è ammutolito.
Cometa si fa coraggio e dice: “A me i veghiani sono simpatici e non voglio trattarli male, ecco!”
“Nemmeno quando Hydargos ha provocato quella valanga, uccidendo i genitori di quella povera bambina?” domanda Paolo.
“Sono loro che non dovevano andare ad abitare lì. Che razza di luogo era quell’altissima montagna? Se sono scemi, cosa posso farci?”
“Lo giustifichi anche quando la bambina è tornata sul posto e lui voleva eliminarla? Se non fosse stato per il Principe delle stelle, lei sarebbe morta”, puntualizza ancora il ragazzo.
“Quando dico che è una grande bietola avrò le mie ragioni, no? Non era meglio che morisse, dato che non aveva più una famiglia?”

La Corte si consulta ed emette il verdetto:
“Il post di Luce va lasciato senza risposte di alcun tipo. Motivazioni: mancanza di tempo causa incombenti feste natalizie.”
Così è deciso, l’udienza è tolta.

Paolo si alza e fa un lungo respiro.
“Il mio tempo con voi è finito, vi auguro una buona giornata.”
“Buona giornata anche a te.”



Fine

Edited by .Luce. - 31/7/2023, 14:30
 
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GIUSTIZIA INTERSTELLARE

1_13

Nella grande sala di fronte a Re Vega erano presenti Gandal e Zuril: questi ultimi due erano in forte apprensione.
"Si può sapere quando è iniziata questa storia? Perchè non mi avete detto niente?" tuonò il sovrano facendo tremare i vetri.
Si fece avanti Gandal.
"Veramente Sire, non pensavamo che la cosa raggiungesse un tale dramma, ed eravamo convinti che tutto si potesse risolvere facilmente."
"A quanto pare no!"
"Ma noi veramente... dovete riconoscere che questo è un epilogo imprevedibile."
"Basta, siete i soliti imbecilli!"
Zuril era uscito un momento e rientrò con un voluminoso pacco di dispense.
"Ecco Maestà, intanto qualcosa possiamo fare, in questi fogli ci sono i risultati delle ricerche di un staff di professionisti, un trattamento in via sperimentale, ma penso si possa tentare."

Il dramma era cominciato neanche un mese prima, quando Hydargos aveva scagliato l'ennesimo attacco alla Terra con un nuovo disco. Era sicuro di riuscire a disintegrare Goldrake, in quanto aveva messo un esplosivo nella testa del mostro che lui al momento giusto avrebbe fatto scattare distruggendo così l'avversario.
Al momento di premere il tasto per avviare l'esplosione, di fatto era andato in fumo il suo robot, lasciando illeso il suo acerrimo nemico.
Solita sfilza di improperi dai suoi superiori, risatine ironiche, minaccia di toglierlo dall'incarico, insomma ordinaria amministrazione.
Questa volta però Hydargos l'aveva presa peggio del solito, il suo umore era sottoterra e non sopportava più uno sguardo nè una battuta.
Aveva visto di sfuggita sulla sua scrivania alcuni volantini con la scritta "Notti di primavera": leggendo meglio vide che si trattava di una sagra della durata di una settimana nelle piazze del pianeta Dabih.
C'erano canti, balli, piatti tipici locali, spettacoli, il tutto in un pacchetto molto conveniente.
Lo guardò a lungo pensieroso, poi si decise a partire: aveva un mucchio di ferie arretrate e si meritava un pò di divertimento lontano da superiori insensibili, troppo esigenti, spocchiosi e che non ti scusavano il benchè minimo errore.
Salutò tutti in fretta e furia e la sera stessa era già arrivato a destinazione.

Si sentì subito a suo agio in quel luogo di gente socievole e simpatica, quindi, dopo aver lasciato il suo bagaglio all'albergo e una doccia veloce, si avviò verso la piazza dove si svolgeva la festa.
Era in fila col suo numero di prenotazione per avere un piatto misto locale, quando davanti a sé vide scendere una sciarpa fluttuante di seta e, prima che si posasse al suolo la raccolse, si guardò in giro per restituirla al legittimo proprietario e davanti ai suoi occhi comparve la creatura più affascinante che avesse mai visto.
"E' sua, signora?"
"Sì, grazie: piacere, mi chiamo Luna."
Dopo le reciproche presentazioni decisero di cenare assieme, passarono una piacevole serata e una magnifica nottata.

Luna era nata nel pianeta Dabih, ma aveva studiato e viaggiato molto in tanti pianeti sparsi nello spazio.
Intelligente e avvenente, aveva un fascino particolare e misterioso: intenso ma discreto.
Possedeva una lunga chioma blu notte che lei illuminava con mèches di tutte le sfumature del suo colore di base: azzurro chiarissimo, azzurro cielo, turchese, cobalto, il tutto arricchito con minuscole stelline di strass sparse qua e là. Occhi azzurro mare, labbra carnose e incarnato di alabastro. Figura flessuosa e aggraziata. Insomma, uno schianto.
Neanche a dirlo che in meno di dodici ore Hydargos era pazzo di lei.

Era quel tipo di donna che affascinava gli uomini senza sforzo alcuno, e il tutto avveniva senza bisogno di tante parole; chiaramente erano al suo livello, facoltosi, colti, intelligenti e di larghe vedute. La storia cominciava senza che nessuno dei due lo decidesse, bastava uno sguardo di intesa e allo stesso modo finiva: poteva durare settimane o mesi, non aveva mai avuto contatto con uomini gelosi, ossessivi, invadenti, esaltati o perversi.
Per tutti questi motivi, il mattino dopo aver passato la notte con quell'alieno, Luna rimase a lungo pensierosa su come aveva fatto a non capire subito che quello non era certo il suo tipo di uomo. Era semplicemente sgradevole in tutto e per tutto; modi rozzi, voce sgarbata, mani troppo grandi, volgari e invadenti che le aveva posato addosso senza risparmio nè sensibilità alcuna. Si sentiva disgustata di quell'incontro e non riusciva cancellare il ricordo di quell'essere e l'odore terribile di alcol e birra, misto a un dopobarba sicuramente primo prezzo con data scaduta; quanto a capacità amatorie, a voler essere di manica larga, ne poteva uscire con un appena sufficiente.
Alla fine, si disse che nulla la legava a lui, le aveva detto che la sua vacanza era di pochi giorni, bastava evitare altri appuntamenti. Rimase a lungo sotto il getto della doccia per togliere ogni residuo di stanchezza e soprattutto le tracce di quella notte da dimenticare.

Ma aveva fatto i conti senza l'oste, perchè Hydargos da parte sua, era al settimo cielo.
Per la prima volta nella vita si sentiva attraente, desiderabile, convinto di aver trovato il grande amore della sua vita e anche indifferente alle offese dei superiori, sì, perchè di sicuro erano invidiosi di lui, visto il suo improvviso e inaspettato successo amoroso con una donna che nessun veghiano si era mai immaginato nemmeno nei suoi sogni più audaci.
Era pieno di energia, faceva progetti, domande e risposte per conto suo. Di buon mattino era andato per le vie del paese facendo compere di vario genere, prodotti locali, regali per la sua amata, poi era corso a telefonarle per programmare la giornata.

Luna si stava appena finendo di vestire quando squillò il telefono.
"Buongiorno bellissima, come va? Senti già la mia mancanza vero? Se ci vediamo tra un quarto d'ora, è troppo tardi per te? Non vedi l'ora di rifare quello che abbiamo interrotto stanotte vero?
Ricominciamo subito, stà tranquilla."
Parlava forte, rideva da solo, non aspettava le sue risposte e chiuse la comunicazione con un:
"Aprimi, sono già da te."
Luna rimase parecchi secondi sbigottita col telefono in mano incapace di muoversi.
Com'era possibile? Ma chi era quell'essere e da dove proveniva?
Glielo aveva detto la sera prima... le sembrava... Vega... sì aveva detto pianeta Vega... ma adesso cosa voleva, era impazzito? Che fosse un tipo pericoloso?
Decise allora di non farsi trovare, uscì di casa velocemente senza lasciare tracce.

Quando Hydargos non trovò la sua amata ad aprirgli la porta, lungi dal pensare ad un rifiuto, si esaltò molto credendo lei volesse farsi desiderare, una ritrosia istintiva associata a timore di quella forte sensualità che lui le aveva svegliato, ormai convinto di essere un grande seduttore esperto e ricercato.
La incontrò casualmente nel tardo pomeriggio nei pressi di un bar e prima che lei se ne rendesse conto, lui l'aveva già agguantata per un braccio, trascinata dentro il locale, parlandole senza sosta di notti di fuoco a venire, matrimonio entro l'estate, progetti assurdi e senza interpellarla.
Contemporaneamente, si serviva da solo da bere da bottiglie prese in ordine sparso.
Superato il primo attimo di shock, Luna dovette convenire di trovarsi di fronte a un esaltato un po’ pazzo, ma innocuo e decise di liberarsene con un atto inequivocabile.

Alcuni mesi prima, aveva conosciuto e frequentato per pochi giorni un giovane brillante e attraente; lui si era dovuto assentare per lavoro, poi era tornato e l'aveva contattata il giorno stesso e le aveva chiesto se era disposta a riprendere i loro incontri.
Molto lusingata lei aveva accettato e gli aveva dato appuntamento a casa sua per la sera; lo stesso appuntamento aveva dato a Hydargos un quarto d'ora dopo.
Quando Ron era entrato nella sua stanza, lei aveva fatto in modo di sedurlo immediatamente: lui non se l'era fatto ripetere due volte, così quando l'alieno entra entrato, aveva capito tutto subito anche se non era certo un'aquila.
Davanti alla scena dei due abbracciati e quasi senza vestiti, Hydargos vide scarlatto: senza pensarci su prese dalla tasca l'arma e sparò verso l'uomo ferendolo di striscio ad un braccio.
Dalla finestra aperta la gente vide un gran trambusto e chiamò la polizia, la quale non si fece attendere.
Hydargos venne portato al Comando dove gli fecero alcune domande, presero le impronte digitali, prelievo ematico, registrarono tutti i suoi dati, e gli dissero alla fine di tornare difilato nel suo pianeta in attesa del processo; gli avevano applicato un dispositivo invisibile e indelebile che, in caso di fuga, l'avrebbero trovato anche in capo all'universo.

Quando era tornato su Vega, con molta fatica aveva raccontato a Gandal la sua brutta avventura, in seguito avevano coinvolto anche Zuril. Alla fine, avevano dovuto confessare la verità al loro Sovrano, anche perchè Hydargos dava segni di forte squilibrio.
Stava malissimo per la fine della sua storia amorosa sulla quale aveva investito il suo futuro, alternava momenti di ira assoluta contro Luna, ad altri che la scusava e ne aveva nostalgia, non sapeva niente della sua posizione legale, perchè in quel pianeta le leggi erano molto confuse.
Avevano delegato la faccenda ad uno Studio di Avvocati, i quali si erano recati di persona sul pianeta Dabih, ma erano tornati con notizie scarne e confuse.
L'unica notizia certa era che, siccome l'estate era imminente, tutti i nuovi processi sarebbero iniziati solo a settembre inoltrato, però non avevano capito che tipo di condanna avrebbero applicato in un caso come questo.
In Cancelleria davano poche e vaghe notizie e da veri strozzini, per ogni parola che concedevano erano biglietti di banca che se ne andavano.
Dal Comando di Polizia avevano ritirato i risultati del prelievo ematico, nel quale era emersa qualche traccia di sangue nell'alcol; non capivano però se questa fosse una prova a favore dell'imputato, dato che aveva sparato in stato alterato, o l'esatto contrario.

Alla fine Vega si era spazientito dandogli degli incapaci, i Principi del Foro se ne erano andati offesissimi, lasciando però una parcella salatissima ai loro incontentabili e volubili clienti.

Hydargos era tenuto continuamente sedato con una flebo, dentro la quale era stato miscelato di tutto: ansiolitici, antidepressivi, antiomicidi, antisuicidi, prodotti omeopatici, fitoterapici, collaudati e sperimentali, nonostante ciò faceva temere per la sua salute.
Con questo grave inconveniente erano in ritardo col programmare gli attacchi contro la Terra, quasi al verde e non vedevano soluzioni immediate.
"Zuril! Vieni subito qui."
"Eccomi Maestà."
"Spiegami il contenuto di quelle dispense, cosa significa?"
"Ecco Sire, mi sono permesso di consultarmi con un pool di specialisti, comprendenti il medico di base, un neurologo, uno psichiatra, i quali hanno appena messo a punto in via di sperimentazione questo sistema: perchè Hydargos si adatti alla sua situazione, è necessario mandarlo in un luogo verde, senza rumori, senza traffico, con la raccomandazione di riposare, svagarsi, prendere regolarmente le medicine, ascoltare musica, leggere, guardare dei film, ammirare il panorama. All'interno di queste gradevoli attività, vanno inseriti dei messaggi nascosti ma non troppo, che gli ricordino il suo stato e glielo facciano accettare poco alla volta.
Direi una sorta di messaggi subliminali, però più espliciti."
Re Vega pensò a lungo, non era molto convinto, anche se al momento idee migliori non si prospettavano, però il grosso problema era trovare il luogo indicato: il loro pianeta non aveva nessuna di queste caratteristiche, la base lunare nemmeno.
Passò mentalmente in rassegna tutte le sue invasioni, ma gli atti vandalici erano stati estremi.
Provò a contattare sua figlia Rubina, la quale dopo un bel pezzo gli rispose seccata di lasciarla stare, in quanto impegnatissima in un genocidio dalle proporzioni mai viste prima e lo liquidò con un:
"Arrangiati e vedi di non scocciarmi più per queste sciocchezze."
Forse per la prima volta il Sovrano si pentì della sua ferocia, pensò a lungo, poi prese una decisione un'ora prima assolutamente impensabile.


Di buon mattino, il Dottor Procton entrò come sempre al Centro Ricerche Spaziali: da un po’ di tempo non c'erano minacce da parte dei veghiani e si chiese preoccupato il significato di questo prolungato silenzio.
Accese quindi il monitor per controllare e l'immagine che si materializzò davanti agli occhi lo fece indietreggiare di alcuni metri per lo shock.
Obiettivamente, la figura di Re Vega non era mai gradevole, tantomeno se appariva all'improvviso e ingrandita rispetto all'originale.
Stranamente non aveva un'espressione minacciosa, quindi Procton si fece coraggio, mentre sperava si calmassero i battiti accellerati del cuore e attenuasse il fastidioso senso di acidità che lo spavento gli aveva procurato.
Poichè il Sovrano non si decideva a parlare, fu il dottore a rivolgergli la parola:
"Buongiorno... a cosa... a cosa devo… questa sua visita inaspettata?"
Con un certo imbarazzo e prendendo l'argomento alla lontana, Vega gli chiese il favore di cui aveva bisogno in quel momento e aggiunse che, per tutta la durata del soggiorno di Hydargos presso la Terra, non ci sarebbe mai stata nessuna minaccia da parte loro e nemmeno l'ombra del più piccolo minidisco.
Procton stette alcuni minuti pensieroso, poi disse:
"Prima di darle una risposta devo parlarne con gli altri, risentiamoci tra alcune ore."
Mandò quindi a chiamare subito Actarus e Alcor assieme a tutti i collaboratori, e alla fine decisero parere favorevole.


Il sole era già alto nel cielo quando Hydargos appena sveglio spalancò la finestra che dava un'ampia visione panoramica di tutto il ranch Makiba.
Erano i primi di giugno, Mizar aveva appena iniziato le vacanze estive e correva nel vento con un nuovo aquilone.
Rigel era come sempre appostato sull'alta torre avvista-ufo, più in là Venusia si apprestava con tenacia a mungere tutte le capre.
Alcor stava lucidando il suo TFO, mentre Actarus metteva la sella al cavallo per portare le mandrie al pascolo.
Rientrò nella camera e diede un'occhiata al programma giornaliero che doveva seguire: appena alzato alcune gocce di ansiolitico, poi della buona musica, a metà mattina mezza compressa di antidepressivo, letture che gli avevano procurato, nessuna ansia, pensare solo a cose piacevoli.
Vide sopra al tavolo un CD con scritto: canzoni miste, quindi accese l'apparecchio per ascoltarlo: iniziò una melodia per lui sconosciuta, ma piacevole, dal titolo “Tanta voglia di lei.”
Dopo alcuni minuti, Hydargos avvertì un vago senso di disagio misto ad apprensione, tuttavia le parole della canzone gli sfuggivano e con esse il senso.
Ne seguirono altre, come: “La ballata di Michè”, “Don Raffaè”. Qui cominciò a sudare in modo copioso, il disagio aumentò fino a sfociare in panico totale nella canzone “La ballata dell'amore cieco”.
In questi ultimi brani era impossibile equivocare, le parole non davano scampo a dubbi, sono scandite in modo chiaro e il suo duplice dramma gli si palesò davanti agli occhi e la mente: cominciò a tempestare di pugni il registratore nel tentativo di spegnerlo, ma poichè non ci riusciva, staccò con violenza la presa elettrica strappando con essa anche buona parte del muro e dell'intonaco. Preso dal panico, si attaccò al flacone delle gocce svuotandolo in un fiato.
Rimase accasciato sulla poltrona per venti minuti buoni e, mentre cercava di calmarsi, il suo sguardo fu catturato da alcuni volumi sparsi sul comodino.

Avevano un aspetto innocuo e invitante, ne prese uno a caso: “La nausea”, e cominciò a leggere i primi capitoli. Angoscia e depressione lo invasero gradatamente e costantemente man mano che proseguiva la lettura, così il libro scivolò a terra assieme al suo umore.
Deciso a non arrendersi per così poco, ne scorse altri: “Avevano spento anche la luna”, “Il Processo”... ma gli bastò leggere la trama per abbandonarli subito.
Col fazzoletto si asciugò le gocce di sudore che scendevano senza tregua, si affacciò alla finestra per respirare e ammirare il panorama; tutti sembravano allegri, senza pensieri, ma come facevano?
Rientrò e si decise a cercare qualcosa che gli facesse dimenticare quelle musiche e letture dal significato minaccioso. Poco lontano notò un piccolo volume in disparte, ne scorse il titolo: “Gabriella garofano e cannella.”
Gli parve innocuo, forse poteva arrischiarsi a leggere qualche pagina: per due volte allungò la mano, poi la ritrasse quasi fosse un oggetto incandescente.
Si fece coraggio e, dopo alcuni brani, si lasciò trascinare dal piacevole racconto in mezzo alle piantagioni di cacao, i fazendeiros, l'arabo Nacib proprietario del bar Vesuvio rimasto senza cuoca, le sedute spiritiche di donna Arminda, il presepe perenne nella casa delle sorelle Dos Reis, finchè la lettura lo avvinse e l'umore migliorò decisamente.
Il suo animo si era appena calmato, quando con la velocità del fulmine s'imbattè nel momento in cui il fazendeiro Jesuino Mendonca sparava due colpi sicuri e mortali alla moglie Sinhazina colta in flagrante adulterio con il dentista Osmundo Pimentel.
Hydargos sobbalzò all'improvviso, ma si decise di continuare la lettura, rincuorato dal fatto che in questi casi il processo era solo una formalità: l'onore offeso si lavava col sangue, poi si disse che lui non aveva ucciso, aveva sì sparato, perchè un vero uomo così faceva, ma non era un criminale.
Con rinnovato interesse proseguì tranquillo, fino ad arrivare al capitolo “Delle calze nere.” Il suo cuore accellerò i battiti in modo preoccupante, mentre orrende visioni gli comparivano davanti di calze nere fluttuanti per tutta la stanza soffocandolo sotto parvenza di corvacci neri.
Durante la notte che aveva passato con Luna, aveva subito notato che la sua camera era piena di calze nere di tutti i tipi: velate, coprenti, a rete, compressione graduata, ed erano appese in diversi punti della stanza, formando un gradevole movimento scenografico, complice la brezza notturna primaverile che passava dalla finestra aperta.
Dal panico Hydargos balzò sopra al tavolo, teneva i palmi delle mani appoggiati al muro terrorizzato, alla fine uscì dalla stanza correndo giù per le scale, giusto in tempo per incrociare Rigel che lo apostrofò con un allegro: "Tutti a tavola! Si mangia!"
Avevano apparecchiato fuori, visto il bel tempo e la temperatura gradevole; clima allegro e conviviale, ma con un pasto molto spartano, che consisteva in riso condito con appena con qualche pezzetto di verdura e da bere una grande caraffa d'acqua, dentro la quale era disperso un dito di vino insipido.

Dopo pranzo, Hydargos si sentiva inquieto e tutto scombussolato, decise quindi di andare a riposare e nel dormiveglia ebbe visioni allucinanti: si vide in carcere sul pianeta Dabih, Luna andava a trovarlo portandogli non le solite arance, ma una variegata macedonia, lo faceva fuggire di nascosto, scappavano insieme, poi lui veniva ripreso, i veghiani gli davano dell'incapace e non facevano niente per lui, calze nere che fluttuavano soffocandolo, sentiva dei sudori freddi dappertutto, caldo e freddo insieme, frasi e parole sconclusionate gli bombardavano nel cervello.
In preda alla disperazione corse fuori senza sapere dove; arrivò in cucina, giusto in tempo per incrociare Actarus che si stava preparando un caffè doppio.
Passò velocemente nel soggiorno con l'intenzione di dare un'occhiata al contenuto di alcuni DVD.
Ne scorse due titoli: “Le relazioni pericolose”, “Revenge.”
"Nooo!!! E' una persecuzione" e li scagliò lontano, comunque deciso ad accendere la televisione, dove almeno uno straccio di telegiornale o documentario dovevano pur esserci.
Era l'orario degli spettacoli artistici: l'opera lirica che trasmettevano volgeva quasi al termine. Trasmettevano “Madama Butterfly” e capitò nell'esatto istante in cui Cio-Cio-San faceva harakiri.
Con gli occhi fuori dalle orbite, Hydargos lanciò il telecomando verso il televisore e in preda al delirio uscì nel cortile correndo, giusto in tempo per cadere sopra la vasta pozzanghera creatasi dal copioso bucato del lunedì.


Contemporaneamente, nel pianeta Dabih erano accadute molte cose: Ron, il compagno di Luna, quando aveva saputo che lei aveva architettato quella messinscena in cui lui avrebbe potuto lasciarci la pelle, era rimasto molto male e la loro relazione si era praticamente interrotta insieme ad un lungo viaggio che stavano progettando percorrendo la Via Lattea in sopralluogo di pianeti semisconosciuti.
Del resto lui, anche se non era mai stato in pericolo di vita, doveva affrontare una lunga riabilitazione, dato che lo sparo gli aveva lacerato il muscolo.
Luna da parte sua stava malissimo per quel disastroso e pur breve incontro e alla fine aveva preso una decisione drastica.
Sapeva che nel suo Paese la giustizia era il luogo dove troneggiavano i sette vizi capitali all'ennesima potenza, sotto parvenza di uffici asettici e formali.
Senza sforzo alcuno aveva sedotto uno ad uno gli addetti della sezione penale del Tribunale - nonchè postribolo d'infima categoria – così, prima delle ferie, con un processo a porte chiuse, in fretta e furia avevano condannato Hydargos all'ergastolo, in cella di isolamento e lavori forzati.

Il veghiano si alzò a fatica, sporco di fango e di erba che gli si era appiccicata addosso, quando portando lo sguardo verso l'alto, vide qualcosa scendere dal cielo.
Sembrava un'astronave e, appena atterrata, scese una figura a lui in qualche modo familiare; si avvicinò con cautela, la figura gli stava allungando le braccia verso di lui, si avvicinò di più e la riconobbe.
"LUNA!"
"Caro, sono proprio io, sono venuta a prenderti!"
"Davvero? E per quanto staremo insieme?"
"Per sempre, sì, per sempre."
Hydargos le corse incontro, non la ricordava tanto bella e innocente, sì innocente, ecco, lei non aveva colpa alcuna, senza dubbio quel tipo voleva usarle violenza, lei non era stata capace di difendersi, finchè non era arrivato lui. Fece un lungo respiro e si sentì pieno di orgoglio maschile, perchè l'aveva difesa, sì, l'aveva difesa, visto che un vero uomo non è un vigliacco e lei lo amava di sicuro, al punto che doveva aver messo a soqquadro l'universo per riuscire a trovarlo in quel posto lontano, sperduto e isolato.
La prese tra le braccia, lei gli sorrise felice ignorando l'erba e il fango, salirono sul velivolo e partirono in gran fretta.

Dalla Terra tutti guardarono finchè l'astronave diventò un puntino invisibile nel cielo; Procton, Actarus e Alcor si scambiarono un lungo ed eloquente sguardo.
La tregua era finita, presto i veghiani avrebbero ripreso in modo massiccio i loro attacchi e bisognava essere pronti. Quindi, tutti e tre si avviarono lentamente e silenziosamente verso il Centro di Ricerche Spaziali.


FINE
 
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VACANZE ROMANE

1_14

Quel giorno Re Vega aveva convocato tutti: Gandal, Zuril e Hydargos.
Per l'ennesima volta stavano progettando di costruire una base sottomarina sulla Terra, alla quale andava annessa un'altra base di collegamento vicino al Centro di Ricerche Spaziali in Giappone e, visti i precedenti tentativi tutti falliti, il sovrano aveva deciso una sua particolare strategia.
"Vi ho convocato qui tutti per stabilire un nuovo piano..."
"Sì, Maestà, siamo pronti", risposero in coro i tre subordinati.
"Silenzio!" Urlò il sovrano battendo un pugno sul tavolo. "State bene attenti, questa volta è impossibile sbagliare, sia chiaro che se fallirete, verrete sostituiti all'istante e per sempre, chiaro? Voi due, Zuril e Hydargos scenderete sulla Terra, ma prima di andare a costruire le basi, sappiate che vi ho iscritti a un corso intensissimo della durata di due settimane, che si terrà appunto sul pianeta che intendiamo conquistare, ove vi recherete con false identità terrestri.
Questo luogo è distante dal Giappone e, una volta terminato il corso, andrete diritti verso la base di Procton per mettere a punto il tutto. Vedete di fare bella figura, dato che è tenuto da illustri scienziati di chimica, fisica, astronomia; terminato questo, mi aspetto che la Terra sia nostra in un battito di ciglio, chiaro?"
I tre assentirono con vigorosi cenni del capo, intanto Zuril e Hydargos fecero subito armi a bagagli e si diressero come razzi verso la Terra.

Una volta atterrati, osservarono bene la piantina e il monitor, sì erano arrivati, il luogo era quello indicato: Roma, la Città eterna, il loro alloggio si trovava in mezzo a molto verde, in una villa enorme, Via Appia Antica.
Suonarono al cancello e dopo pochi istanti, venne loro incontro una donna di bassa statura, di stazza piuttosto robusta, con molta premura e cordialità, aprì il cancello, li fece entrare e mostrò loro la stanza, grande quanto una piazza d'armi con un altissimo soffitto a cassettoni.
"Ben arrivati, avete fatto buon viaggio? Entrate, piacere, io sono Miriam, mi occupo di tutto io, dal mangiare al rigovernare, al bucato e quando avete bisogno chiamate pure: adesso riposate, sarete stanchi del viaggio, fa così caldo, ma qui è sempre così in estate, fate pure come foste a casa vostra. Tra un'ora la cena sarà servita al piano terra."
I due alieni si guardarono, quindi misero a posto le loro cose e accesero subito il computer, si collegarono alla base lunare per informare il loro sovrano che erano appena arrivati.
"Voglio essere aggiornato ogni sera di tutto quello che studiate, mi raccomando di carpire quante più notizie possibile, fate molte domande a tutti, anche ai compagni di studio, non mi deludete. Badate che vi tengo d'occhio ogni momento col computer e via radio, avete sentito?"
"Sì Maestà, daremo il meglio di noi stessi" risposero in coro.

Verso le otto del mattino seguente, dopo una colazione abbondante e servita con premura dalla servizievole donna tuttofare, i due alieni si avviarono verso l'EUR, dove appunto si teneva il corso al quale erano iscritti. Logicamente, avevano nascosto le loro astronavi e per muoversi usavano i mezzi pubblici.
Da seguire avevano un protocollo duro e faticoso: prime due ore chimica studiata e applicata, fisica, test da superare, appunti da aggiornare di continuo.
Verso le tredici, ebbero un'ora di pausa per mangiare e riprendersi: si sentivano il cervello liquefatto, la testa girava e faticavano a connettere e orientarsi.
Si diressero tuttavia verso il bar e vennero subito fermati dai loro compagni di studio, i quali molto allegri e socievoli li coinvolsero nei loro discorsi: "Da dove venite? Quanto tempo rimanete?
Ah, fate tutto il corso? Bravi, io due giorni, seguo solo chimica, mi serve per la mia attività di ristoratore..."
Chi aveva parlato era uno spagnolo di nome Miguel, aveva un esercizio di ristorazione a Valencia, voleva perfezionare i suoi piatti approfondendo la chimica appunto, disse di essere stato tempo addietro un abile torero andaluso, poi aveva cambiato mestiere e regione, vantava anche di essere un brillante ballerino di flamenco, non la smetteva più di raccontare di sè.
Alla fine venne fuori che anche lui era alloggiato nella loro villa, quindi si salutarono con la promessa che lui la sera stessa li avrebbe deliziati con i suoi piatti spagnoli.

Vicina di banco avevano una signora italo-tedesca che simpatizzò subito con loro, si chiamava Martha, disse che si divideva per il suo lavoro di insegnante tra l'Italia e l'Austria; mostrò loro una fotografia raffigurante una solitaria baita di montagna situata sopra un'alta alpe svizzera.
"Durante le ferie o appena posso ci vado sempre, mi sembra di essere in paradiso, non c'è rumore nè inquinamento, una vera delizia! Vi dò il mio numero e indirizzo, così se volete potete venire a trovarmi quando non sapete dove andare."

I due extraterrestri erano piuttosto confusi, comunque, tra una lezione, un test, appunti e frasi amichevoli, finalmente arrivò l'ora di tornare a casa.
Si sentivano a pezzi: era piena estate, un caldo e un'umidità a loro sconosciuti, tutte quelle ore di immobilità avevano gonfiato loro i piedi in maniera indescrivibile. Il viaggio di ritorno era stato un martirio, dato che l'autobus era pieno zeppo di gente, tra l'altro con scarsa o per meglio dire, assente educazione. Tutti parlavano ad alta voce, si spintonavano quando dovevano passare senza mai chiedere permesso e lo stare tutti così appiccicati metteva a dura prova il loro sensibile olfatto, dato che erano passate un bel po' di ore dalla doccia del mattino e anche il deodorante aveva segnato il passo.

"Appena arrivati dobbiamo subito aggiornare Re Vega, siamo anche in ritardo, speriamo non sia arrabbiato."
Entrarono nella stanza e accesero il computer: il sovrano aveva l'aria impaziente e scarsamente amichevole nei loro confronti, ma i due lo prevennero dicendo:
"Oggi abbiamo studiato molto e siamo arrivati solo ora, dobbiamo relazionare gli appunti, domani sera avrete tutto, Maestà."
Chiusero in fretta la comunicazione e scesero per la cena.
Li accolse un profumo a loro sconosciuto e molto buono. Miguel disse loro di fare svelti, era già pronto: anche Miriam era indaffarata a sistemare tutto e li invitò a prendere posto a tavola.

La cena fu buonissima, non solo per il cibo e le bevande, ma anche per la compagnia. Ascoltarono tanti racconti spagnoli mai lontanamente immaginati, fotografie dei luoghi, aneddoti sui toreri più famosi, feste, sagre: "... e mi raccomando, non potete mancare alla fiera di aprile, è una cosa unica. L'anno prossimo dovete venire assolutamente a Siviglia, io ci vado ogni anno in qualità di aiuto cuoco: in quell'occasione abbiamo i migliori ballerini di flamenco, i toreri più bravi, i tori più belli, i piatti più squisiti che mai potete immaginare. Allora, questo è il mio indirizzo, vi aspetto, è una promessa vero? Tra due giorni io parto."
Tra una cosa e l'altra si fece mezzanotte, quindi tutti si ritirarono, dato che l'indomani li attendeva una giornata non meno faticosa di quella appena trascorsa.

Era notte fonda, ma i due alieni non riuscivano a prendere sonno: tutti gli avvenimenti del giorno li avevano fatti sentire strani, sì, perchè erano stati veramente bene. Sapevano di essere in territorio nemico, erano lì per conquistare la Terra, solo che avevano una gran confusione in testa.
Sentivano ancora in bocca il sapore di quella paella valenciana a dir poco divina, poi quell'enorme recipiente di sangria veramente eccezionale; chissà se ce ne era rimasta ancora, quasi quasi un salto al pianterreno per averne un'altra una coppa (col caldo che avevano patito, tra l'altro, ci sarebbe proprio voluta) l'avrebbero fatto volentieri, pensarono all'unisono.

Quante cose nuove avevano conosciuto in poche ore: mentre loro due e Miriam stavano coi piedi a mollo in un grande recipiente di acqua fredda per tentare di riportare le loro estremità alla taglia originaria, Miguel si era esibito in un ballo tipico spagnolo zingaresco, mentre al tempo stesso citava a memoria alcuni versi di Garcia Lorca, narrava delle casbah nel cuore di Granada e intanto, in fondo alla camera su un grande schermo, correvano le immagini del film "Sangue e arena".
Quello spagnolo era un vero portento: basso di statura, ma forte e affilato come una lancia, pareva avere l'argento vivo addosso, non si stancava mai. Miriam era veramente estasiata e, benchè non la spaventasse minimamente il super lavoro, quella sera aveva molto gradito che qualcuno si occupasse della cena; anche lei aveva bisogno di un diversivo dopotutto.

Nella stanza in penombra di quell'enorme villa immersa in un giardino circondato da alberi secolari, i due ospiti si trovarono, senza volere, a fare dei paragoni e bilanci sulle loro vite e non ci capivano più niente. In pratica, finora, la loro esistenza era stata una lotta incessante per invadere, occupare, vandalizzare un considerevole numero di pianeti, ma poi quando mai si godevano la vita o qualche giorno di meritato riposo? Inoltre, queste invasioni, genocidi, rivolte soffocate nel sangue, dove li avevano portati? Da poco il pianeta Vega era esploso causa il forte inquinamento al vegatron, ora erano accampati perennemente sulla base lunare la quale non aveva niente di buono, solo aria condizionata e cibo immangiabile. Il loro continuo obiettivo era studiare strategie per conquistare la Terra, venire poi sistematicamente sconfitti, quindi collezionare umiliazioni e rimproveri da parte del loro sovrano e non solo: per ben due volte erano stati sostituiti da personaggi a loro dire molto bravi e capaci, li avevano disprezzati guardandoli dall'alto in basso come fossero bambocci e loro, per tenersi il posto, avevano dovuto eliminarli, facendo ovviamente credere a Vega che erano invece stati sconfitti dai terrestri durante il combattimento.

Dopo qualche ora di queste elucubrazioni mentali, riuscirono a prendere sonno e il mattino seguente erano di nuovo al loro posto e con le orecchie ben aperte per seguire il corso intensissimo e faticosissimo.
All'uscita vennero immediatamente fermati dai loro compagni di corso, i quali li apostrofarono con un allegro:
"Stasera usciamo, andiamo in Trastevere, si mangia benissimo e ci si diverte, venite vero? Vietato dire di no!"
Fu così che, Zuril e Hydargos, senza quasi rendersene conto, si trovarono sospinti dal gruppo e approdarono in un quartiere romano che li lasciò senza fiato.

A notte fonda, decisamente brilli e intontiti rincasarono e videro che dalla loro porta chiusa, in basso, uscivano a sprazzi dei forti bagliori multicolori: cosa potevano essere? Lampi, tuoni? No, era una serata splendida. Dall'interno della stanza provenivano anche strani rumori: che fossero dei ladri?
Con cautela aprirono e si accorsero che dal computer acceso, appariva l'immagine di un re Vega arrabbiatissimo, al punto che il monitor si spostava da solo: il sovrano appariva ancora più mostruoso del solito.
"Dove vi eravate cacciati?" ruggì così forte da far traballare un pesante cassettone del Maggiolini.
"Sono ore che vi cerco! Mi dovete relazionare tutto, siete indietro di due giorni! Voglio subito il rendiconto o vi farò immediatamente sostituire! Ho già pronti due eminenti scienziati bravissimi, espertissimi e molto più volenterosi di voi!"
"No..... scusate maestà..." balbettarono entrambi "Ci hanno trattenuto... tra pochi giorni ci sarà da sostenere un esame molto impegnativo e... quindi... ci siamo fermati per studiare meglio, sono argomenti difficili... ma vi assicuro che ci stiamo impegnando moltissimo... scusateci per favore..."
"Va bene, va bene, però che non si ripeta!" rispose seccato, chiudendo subito la comunicazione.
I due alieni, in silenzio si prepararono per la notte e intanto continuavano a pensare.

Dopo circa un'ora, Zuril si alzò e Hydargos che non dormiva fece altrettanto: entrambi erano seduti sulla sponda del letto e cercavano le parole per esprimere quello che premeva loro dentro.
"Senti Hydargos, non so tu, ma io non ci capisco più niente..."
"Anch'io" l'interruppe l'altro "Vedi... tra poco... appena avremo messo a punto il piano, questo pianeta sarà nostro..."
"Sì, è vero" convenne Zuril, "Però tutto questo che stiamo vivendo scomparirà, perchè dopo ogni devastazione, invasione, tutto quello che era del pianeta viene distrutto quasi completamente: ti ricordi cosa ne è stato del pianeta Lupo, della stella Zari e la stella Delta?
E che dire del pianeta Rubi? La principessa Rubina ormai si è stabilita là da tempo immemorabile, io non la vedo quasi mai; una volta espropriate le materie prime che ci servono, fatto dei genocidi, cosa ci è rimasto?"
L'altro stette a pensare, poi Zuril continuò:
"Ci è rimasto da conquistare la Terra e anche in fretta per i motivi che ben sappiamo, ma questa cosa ci fa perdere la stima di noi stessi e di re Vega, umiliazioni su umiliazioni; una volta conquistata, e non è detto che ciò avvenga date le numerose sconfitte che incassiamo di continuo, saremo costretti a fare la stessa cosa con altri pianeti, per poi alla fine non rimanere in mano niente o quasi. Tu cosa ne dici?"
"Io dico che se devastiamo la Terra, una sangria come quella dell'altra sera, la rivediamo col fischio! Mi rendo conto adesso, che una cosa è ingoiare alcoolici per vizio o per dimenticare le sconfitte ad esempio, un'altra è il gusto, il sapore vero, quello che non avevo mai conosciuto."

Da quando il pianeta Vega era esploso, che razza di vita conducevano? E andando avanti, come sarebbe stata?
Passarono una notte quasi insonne e, verso l'alba, si decisero a sistemare le relazioni in modo ordinato che inviarono subito al loro sovrano, in modo da non ricevere altri rimproveri. Col solito autobus si recarono all'EUR mezzo assonnati e decisamente svogliati.

Durante la pausa pranzo, Martha, la studiosa italo-tedesca, aveva preso sottobraccio Zuril e con fare complice gli aveva chiesto:
"Io e i miei colleghi scommettiamo che entro la fine del corso il professore di fisica tutto d'un pezzo farà finalmente coppia fissa con la sua assistente, tu che ne dici? Hai visto come si guardano? Lui pian piano si sta sgelando, non è più così rigido e severo come all'inizio, io dico che sono davvero una bella coppia; sai, lei sembrava un tipo scialbo perchè non si curava nell'aspetto, ma non è così, è una bella ragazza invece, adesso lo si vede bene da quando ha cambiato look, questo le dona moltissimo!"
Zuril guardò la donna con attenzione: non aveva nulla in comune con Rubina, era anzi piuttosto mascolina e tozza, il suo non era certo un profilo alla francese e i suoi occhi non erano i lembi del cielo limpido come quello della foto che raffigurava la sua baita in mezzo ai monti, ma aveva una simpatia innata, uno slancio sincero e senza complicazioni.
Nel fargli quella confidenza non c'era stata la minima malizia o critica, ma una gioiosa partecipazione ad un lieto evento che si stava verificando.
Sapeva di non avere mai avuto problemi con le donne, le sue conquiste erano state facili, tranne con Rubina, con la quale non riusciva a battere chiodo; si sentiva inoltre controllato da tutti, percepiva le invidie dei colleghi, le gelosie. Se per caso subiva uno smacco o una delusione, subito erano pretesti per scherzarlo con soddisfazione come non vedessero l'ora; qui non c'era niente di tutto questo, le persone apparivano più schiette e aperte.

Man mano che i giorni passavano, i due alieni avevano sempre meno voglia di tornare da dove erano venuti: non ne parlavano, ma era come lo facessero, si sentivano sull'orlo di un baratro, e due giorni prima della fine degli studi, presero insieme una decisione prima di allora mai nemmeno lontanamente pensata.
Avevano sistemato gli appunti negli archivi del computer, ogni sera erano stati molto diligenti a notiziare re Vega su tutte le materie apprese, i test erano stati brillantemente superati, in teoria dovevano essere pronti all'ennesima potenza per andare dritti filati in Giappone e mettere a frutto il tutto, eppure...

"Senti Zuril, io ho già smontato tutto il mio video e ho trovato dove collocare i vari pezzi: uno va a finire in fondo al pozzo che si trova nel giardino, un altro in una buca profonda al confine con l'altra villa, questo invece..."
"Cooome???!! E adesso se ci cercano dalla base lunare come facciamo, dato che i contatti si sono interrotti?!"
"Semplice: fino all'ultimo usiamo il tuo computer, io sono ancora reperibile via radio, poi alla fine distruggiamo anche quelli e scappiamo, così non ci troverà più nessuno.
Io voglio andare in Spagna, imparare il flamenco, allevare tori e avere sempre a disposizione la cucina di Miguel!"
"Anch'io.... e poi... mi piace l'alta montagna..." disse Zuril con sguardo sognante e occhi a forma di piccoli cuori.

Arrivò finalmente l'ultimo giorno di permanenza alla villa: Miriam li aiutò a preparare i bagagli, li ringraziò della bella compagnia, disse che quando volevano potevano tornare e lei ne sarebbe stata ben felice.
Appena i due ebbero varcato la soglia del cancello, l'immagine che si presentò loro davanti li fece rimanere impietriti come i resti delle statue romane che occupavano tutta la lunghezza della strada.
"Allora? Siete pronti? Svelti, non c'è un minuto da perdere, muovetevi, sono venuto anch'io perchè l'operazione è difficile e delicata. C'è anche mia figlia Rubina con la sua Queen Panther."
Zuril e Hydargos rimasero per diversi minuti con la bocca a O, increduli e incapaci di parlare e muoversi.
"Vi volete muovere?" li sollecitò Vega battendo energicamente le mani.
"Svelti, dobbiamo fare presto; avete preso tutto?"
"Noi... maestà.... dobbiamo salire un attimo nelle nostre camere, non.... non abbiamo ancora finito.... noi non pensavamo..."
" Voi non DOVETE pensare, voi DOVETE scattare, chiaro? Siete dei buoni a nulla, guai a voi se il piano non funzionerà, ci siamo capiti? Filate a prendere tutto come dei razzi, veloci, forza!"

I due disgraziati si sentirono come se una voragine li avesse improvvisamente inghiottiti. C'erano anche Gandal e signora, i quali avevano un gran voglia di parlare - o meglio sparlare - di qualche fatto: di certo si trattava di un gustoso pettegolezzo.
Poco distante avevano intravisto la principessa Rubina alquanto alterata, decisamente arrabbiata e forse triste. Appena si furono un attimo ripresi, chiesero a Gandal:
"Ma... Sua Altezza per caso, si è svegliata con la luna di traverso?"
Velocissima prese la parola Lady Gandal, e con molta soddisfazione assentì con vigorosi cenni del capo.
"Si trattasse solo di una luna, di molte lune vorrai dire.... Da quando è stata progettata questa spedizione sulla Terra, la principessa si era molto esaltata, perchè era convinta di poter di nuovo contattare il suo.... il suo ex... decisamente ex... diciamo... fidanzato? Ecco, lei ogni giorno gli mandava dei messaggi alla Base in Giappone, ma lui niente, mai risposto: non si è data per vinta, giorno e notte attaccata via radio, finchè un bel giorno l'ha visto che correva a cavallo in dolce compagnia. Sapete, con quella ragazza che pilota il Delfino Spaziale e si scambiavano sguardi davvero speciali; ad un certo punto sono scesi da cavallo e si sono fermati nei pressi di un laghetto per fare il bagno. Tanto per capirci, la loro intesa non è solo quando il velivolo di lei si aggancia in perfetta sincronia a Goldrake, nooooo, c'è molto di più tra loro e ovviamente Sua Altezza non l'ha presa affatto bene. Da allora dorme poco e male, ci tratta come pezze da piedi e ora, costretta a venire qui e toccare con mano lo smacco, è veramente troppo per lei."

Zuril e Hydargos osservarono meglio Rubina e notarono che, in effetti, sotto gli occhiali da sole a forma di farfalla, erano malcelate due profonde occhiaie bluastre; era abbastanza sciupata, ma peggio di tutto, immusonita e tanto arrabbiata, quindi si dissero:
"E' meglio starle lontano, perchè se ci morde, nemmeno due sieri antivipera ci salveranno la pelle!"
Tuttavia Zuril volle essere gentile con lei e, prendendola delicatamente per il gomito, la guidò verso il suo velivolo, dicendole con cortesia: "Prego principessa, salite, noi siamo quasi pronti."
Rubina si divincolò con energia stupefacente, urlandogli: "Levami quelle zampacce verdi di dosso, brutto verme schifoso, capito?!!! Non ho bisogno di nessuno io!"
"Cosa vi dicevo?" ammiccò Lady Gandal sadicamente soddisfatta.

Intanto la principessa cominciava a sentire gli effetti del bollore di quell'estate rovente: il numero di scarpa trentasei scarso, stava vertiginosamente virando al trentotto abbondante, quindi era rimasta scalza, tolta la tuta spaziale e indossato un miniabito tutto stazzonato che non aveva mai visto un ferro da stiro.
"Rubina piantala!" le urlò il padre "E voi correte, entro due minuti di orologio si parte, questo è l'ultimo avvertimento!"

I due, ci misero davvero solo pochi minuti per salire alla villa e tornare, per poi esclamare con desolazione e un filo di voce: "Maestà, ci hanno rubato tutto! Sì, gli appunti, il computer, non abbiamo più niente di quanto studiato in queste settimane, ci dispiace, ma..."
Re Vega divenne un tutt'uno con un'immagine iperdiabolica, il suo colore epidermico attraversò tutte le sfumature che vanno dal rosa chiarissimo al rosso vermiglio-scarlatto. Dalle fauci schiumava rabbia, offese, insulti e improperi mai sentiti a memoria di terrestri e alieni e quando non ne ricordò più, tirò fuori il tablet dove erano indicati altrettanti epiteti scarsamente lusinghieri.
"Adesso rimarrete dove siete, chiaro? Non metterete mai più piede su Skarmoon, voglio dimenticare le vostre facce, per me non siete mai esistiti, sparite all'istante!" urlò di nuovo, mentre le vene del collo si gonfiavano in maniera preoccupante e la pressione sanguigna saliva verso i trecento abbondanti.
"Andiamo Rubina, precedici tu verso la base lunare, noi ti seguiremo" aggiunse con tono molto basso, visto che le tonsille ormai, le aveva lasciate a terra, su quel lastricato dove duemila anni prima gli antichi romani erano passati coi loro carri trainati da cavalli.
A questa notizia, la principessa parve lievemente rasserenarsi; l'unica ad avere un vantaggio strettamente personale era proprio lei, dato che non doveva più andare a toccare con mano l'indifferenza del suo ex promesso sposo.

Vega, Rubina e Gandal se ne andarono subito, a terra rimasero Zuril e Hydargos: non sapevano se essere contenti o meno. Dove sarebbero andati?
Prima che potessero formulare la domanda, li raggiunse Miriam con in mano il rastrello che aveva appena usato per eliminare le foglie dal giardino, li guardò e, come fosse la cosa più normale del mondo disse: "Avete perso il treno? Poco male, domattina col fresco il viaggio sarà più piacevole: intanto vado a girare l'abbacchio, mi è venuto veramente bene, forza, venite, chiudete bene il cancello per favore, per stasera non aspetto più nessuno!"

I due alieni sorrisero ed entrarono di nuovo nella villa romana.


FINE
 
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SOGNO DI UNA NOTTE DI PIENA ESTATE

1_15

“Ci fu una bella festa su Fleed molti anni fa…” ricordava Actarus nel dormiveglia, quando ormai si trovava da parecchio tempo sulla Terra e la lotta con Vega si faceva sempre più aspra.
Il ricordo piacevole non lo abbandonava, ed era bello lasciarsi trasportare da quelle immagini come un’onda: vedeva davanti a sé quelle ragazze dai lunghissimi capelli biondi come il grano che danzavano, sembravano tutte uguali, i loro movimenti aggraziati erano in perfetta sincronia, c’erano anche tanti fiori e dei ragazzi che li porgevano loro come deferente omaggio alla bellezza e bravura.
Più tardi erano stati tutti invitati per la cena al Palazzo Reale assieme a tutti i loro parenti e amici, era un grande ricevimento e avevano continuato a ballare, conversare piacevolmente tra loro, nella immensa sala al pianterreno; erano state aperte tutte le finestre e le due porte a vetri colorati comprendenti tutte le sfumature dell’iride, le quali portavano direttamente al giardino che in quell’estate era uno splendore di fiori, fronde mosse dalla brezza, un frinire di insetti, i profumi della natura si mescolavano a quelli dei cibi serviti in piccoli tavoli, in modo che gli invitati potessero muoversi liberamente.

Il Re e la Regina si spostavano ogni poco e lentamente da ogni parte della sala, in modo che nessuno degli invitati venisse trascurato, la loro figlioletta Maria li seguiva, ogni poco era attratta da qualcosa o qualcuno a lei sconosciuto, osservava con curiosità le persone, voleva fare domande ma non osava, finchè non diede segni visibili di stanchezza e i suoi enormi occhi celesti non ce la fecero più a restare aperti, quindi fu portata dalla domestica nella sua stanza.

Era presente anche la nobile famiglia Baron; Naida seguiva di continuo con lo sguardo e con i movimenti Duke Fleed, anche quando era lontana era come gli fosse sempre appresso. Avevano ballato, bevuto, fumato, conversato, poi si era fatta l’ora in cui ciascuno desidera stare solo e come da tacito accordo, tutti gli invitati avevano tolto il disturbo in silenzio e alquanto soddisfatti se ne erano andati.
Nell’allontanarsi con la sua famiglia, Naida continuava a volgere il capo indietro, nell’esatta direzione del ragazzo col quale aveva passato la serata, anche se era molto evidente che entrambi avrebbero desiderato continuare a restare insieme per tutto il resto della notte, possibilmente in un altro luogo del palazzo, non nella sala vasta e centrale, ma piuttosto in una stanza più piccola e appartata, lontana da tutti gli altri e da occhi indiscreti.
Tuttavia si erano salutati educatamente con un casto bacio sulla guancia, con la promessa di rivedersi al più presto.

Non c’era rimasto quasi più nessuno, solo una ragazza, una del gruppo che si era esibita durante la festa: era quasi al centro della sala, guardava estatica e immobile con occhi scintillanti, in direzione del Principe ereditario, finchè entrambi fecero alcuni passi in avanti e furono vicini.
“Sei sola? Con chi sei venuta? Hai bisogno di essere accompagnata a casa?” le chiese gentilmente Duke Fleed.
Lei gli andò ancora più vicina e, prendendolo sottobraccio gli disse: “Ciao, mi chiamo Althea, sono venuta sola, io e la mia famiglia domani partiremo molto presto per la stella Zari, all’alba, ci trasferiamo là, quindi ti chiedo questo favore: voglio… cioè… io desidero passare la notte qui… ecco, io ho appena compiuto quindici anni, non ho ancora avuto un ragazzo e ho deciso che la mia prima esperienza deve essere con te, questa sera, poi non ci rivedremo più, quindi non ti chiederò nient’altro, ho solo questo grande desiderio.”
Nel dirgli queste ultime parole, si era sollevata sulle punte dei piedi e gli aveva parlato quasi vicino all’orecchio, visibilmente emozionata. Il cuore le batteva fortissimo, così forte, che temeva lui sentisse.
Duke la guardò a lungo intensamente e senza parlare, poi d’istinto si girò un attimo indietro, giusto in tempo per intravedere da lontano la chioma lucente di Naida che si allontanava sempre di più.
La ragazza bionda continuava a tenerlo per mano e con un susseguirsi di mezze parole, frasi spezzate, quasi senza rendersene conto si trovarono nei pressi delle stanze da letto del Principe.
Non poteva credere a quelle parole, erano decisamente assurde in bocca a quella ragazza dal viso pulito, innocente e bellissimo: pronunciate da un’altra, sarebbero apparse sfacciate, invadenti e anche volgari, senza dubbio sarebbe stata tacciata come una poco seria, ma da lei no, sembrava gli avesse chiesto un semplice passaggio o un bicchiere d’acqua fresca.
Con gesti quasi inconsapevoli, lui aprì la porta facendola passare avanti e tutto il seguito fu ancora più semplice e spontaneo, come una trance di sogno, era il prolungamento della festa, di quel ballo soave eseguito con una grazia magnifica, di quella notte d’estate che entrava con forza e prepotenza dalla finestra spalancata dove un diluvio di stelle, enormi, scintillanti e bellissime, entravano senza invito e si deponevano a terra, facendo da scenario e illuminando a giorno il loro magico, inaspettato, sorprendente incontro.
Alle primissime luci dell’alba lei era corsa fuori scavalcando il balcone, per raggiungere l’astronave che l’avrebbe portata via da quel pianeta forse per sempre.

Ancora avvolto in uno stato di torpore, Actarus rivedeva e ripercorreva quel fuggevole incontro, ricordando e rivivendo le sensazioni allora provate, finchè a quell’immagine di giovane donna, se ne sovrappose subito un’altra, quella di Venusia che lui aveva conosciuto lì, sulla Terra, dove aveva sperato di dimenticare gli orrori del passato e rifarsi una nuova vita.
Il pomeriggio precedente avevano fatto una bella corsa a cavallo, erano stati allegri… come sarebbe stata bella la vita senza guerre!
Actarus sentì all’improvviso quel noto dolore della ferita al braccio e si alzò di scatto: "La ferita mi fa male, segno che le truppe di Vega sono vicine."
A conferma dei suoi timori, suonò l’allarme. Uscì quindi dalla stanza, per dirigersi verso la base.


FINE
 
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APRILE… DOLCE DORMIRE

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La primavera era esplosa all’improvviso e in tutto il suo splendore: quel mese di aprile era tutto un tripudio di colori brillanti, fiori, profumi nell’aria tiepida e al ranch Makiba tutti se ne erano accorti, si sentivano più in forma che mai e avevano tanta voglia di divertirsi.
Il lavoro alla fattoria si era fatto più impegnativo con le mandrie da portare al pascolo, cavalli da governare, capre da mungere e stalle da sistemare.
Gli animali soprattutto reclamavano i loro diritti e non ce la facevano a stare fermi, volevano uscire e correre a più non posso, quindi sporcarsi con conseguente maggior lavoro per Venusia, Actarus e Alcor, i quali parevano seguire il motto: “Voglia di lavorare saltami addosso”.

Inutile dire che Rigel se ne accorgeva subito e non faceva che riprenderli, dando lui stesso un ottimo esempio di gran lavoratore, stando appostato quasi tutto il giorno sulla torre avvista ufo e nelle ore restanti fare la siesta sotto un albero, affermando di lavorare moltissimo e senza l’aiuto di nessuno.
Dopo qualche giorno aveva perso decisamente la pazienza e riunito tutto il gruppo, aveva comandato loro urlando a voce spiegata:
“Oggi porterete tutti i cavalli a fare una lunghissima galoppata, chiaro??? Poi arrivati al ruscello li laverete a dovere, ecco sapone e spazzola, fate un buon lavoro, razza di sfaticati!
Al ritorno dovete fare la spesa, sistemare le provviste, preparare la cena e rigovernare.
Possibile che in questi giorni non vi riesca fare niente? Forza, badate che vi controllo, correte, svelti, e non dimenticate niente, mi raccomando!”
Appena arrivati dopo la corsa a cavallo, avevano sì immerso gli animali nell’acqua, ma quanto a loro si erano persi a raccogliere fiori, suonare la chitarra, immergersi a loro volta nel ruscello divertendosi un mondo a spruzzarsi con l’acqua: l’unico lavoro svolto fatto da Mizar, era stato pescare qualcosa senza troppo entusiasmo.
Banta si era unito al gruppo ben volentieri e senza essere invitato.
Alcor nel frattempo era stato contattato da Boss, il quale gli chiedeva se poteva venire a fargli visita, avendo in mano dei progetti nuovi di zecca per la costruzione di un nuovo robot e qualche aggeggio annesso.
Il ragazzo aveva accettato subito, pregandolo di portare con sé i suoi aiutanti, Nuke e Mucha per un picnic in prossimità del torrente: avevano preparato da mangiare per un esercito, visto che quando erano presenti Banta e Boss non ce ne era mai abbastanza. I due avevano mostrato di gradire molto della presenza di Venusia, quindi avevano raccolto dei fiori per lei, cantato, ballato, inventato sciocche storielle, fatto di tutti per di catturare l’attenzione della ragazza, la quale aveva gentilmente accettato, ma era oltremodo palese che tutta la sua attenzione e i suoi sguardi erano rivolti a un altro genere di presenza maschile, la quale presenza, in quel momento stava intonando un ritmo piacevole e armonioso con la sua inseparabile chitarra.
Era pomeriggio inoltrato, quando Venusia si alzò in fretta, comunicando a tutti i presenti:
“Si è fatto tardi, quasi me ne dimenticavo, ma tra poco passa l’autobus e io devo andare in palestra; tra una decina di giorni abbiamo la gara e non posso mancare agli allenamenti. Arrivederci a tutti!”
Si allontanò quindi con passo svelto, mentre il resto del gruppo, senza troppo entusiasmo sistemava tutte le cose per fare ritorno a casa.
Tornarono quindi alla fattoria con i cavalli tutti inzaccherati, stanchi e affamati.
Intanto Rigel armeggiava in cucina, cercando di mettere insieme qualcosa di commestibile per la cena. Tutto il giorno era stato a mungere le capre, visto che in quel periodo producevano una quantità di latte da far paura, poi aveva caricato i recipienti sul carro per portali alla Centrale, ma aveva avuto un piccolo intoppo, dato che la ruota si era fermata dentro una buca, quindi metà del carico si era rovesciato a terra Era decisamente di cattivo umore, che andò peggiorando quando vide il gruppo tornare a casa in quello stato.
Quella notte rimuginò a lungo tra sé sul come tornare a far funzionare le cose al ranch nel giusto ordine e, sul far dell’alba, venne folgorato da un’idea, secondo lui infallibile.

Da diverse settimane le condizioni pietose della stalla gridavano vendetta: da tempo ormai immemorabile non veniva sistemato il fieno, le pareti avevano urgente bisogno di riparazioni, gli animali avevano poco spazio perché tutta la paglia veniva addossata dove capitava, attrezzi sparsi e fuori posto, un disordine da paura. No, così non poteva continuare.
Terminata la prima colazione, alla quale aveva presieduto anche Alcor e dopo aver spedito Mizar a scuola di corsa, Rigel li aveva così apostrofati: “Voi tre, tutta la mattinata la finirete dentro le scuderie a fare il lavoro che avete trascurato da settimane, verrò a chiamarvi io quando potrete uscire, chiaro? Vietato assentarsi anche solo un minuto, dico sul serio, razza di fannulloni e se avete finito di mangiare, uscite di corsa e cominciate, svelti !!!”
Uscì prima di loro sfregandosi le mani con fare nervoso e soddisfatto, dicendo tra sé: “Deve ancora nascere quello che può farmi fesso.”
Era oltremodo di malumore anche perché la sera prima, quando i ragazzi erano rincasati, invece di portare le provviste del supermercato come aveva raccomandato loro di fare, avevano buttato sul tavolo alcune schifezze fritte con dell’olio rancido comprate in un chiosco in cui si erano imbattuti sulla via del ritorno.
Rigel aveva sistemato sopra la stalla, tra la porta e il tetto, un secchio vernice verde, dimodochè, se uno di loro fosse uscito prima di finire il lavoro senza il suo permesso, avrebbe avuto il recipiente rovesciato addosso, col marchio inconfondibile della sua diserzione.
Actarus Alcor e Venusia si erano messi alacremente al lavoro già da un paio d’ore, mentre Rigel dalla sua torre aveva deciso che quel giorno stesso un ufo doveva per forza arrivare, sì, atterrare lì alla fattoria.
“Voglio parlare con voi… mi sentite? Qui il vostro amico Rigel, venite presto!”
Buttò per caso lo sguardo in basso e vide qualcosa che secondo lui non poteva essere terrestre: due enormi sagome verdi vicino alla stalla che si muovevano. Corse giù dalla torre con la velocità del fulmine, andò incontro loro a braccia spalancate e un sorriso a trentadue carati.
“Lo sapevo! Lo sapevo, che oggi avreste colto il mio invito, finalmente! Avete ricevuto i miei messaggi, era ora! Dite qualcosa, sono anni che vi aspetto!”
Le due figure verde smeraldo erano alquanto arrabbiate e gli risposero in malo modo.
“Che storia è questa di collocare la vernice sopra il tetto, non hai l’apposito ripostiglio? E il coperchio? Da quando in qua, si lascia il barattolo di vernice aperta?”
Davvero desolato, Rigel cercò di sillabare qualche scusa decente, ma presto realizzò che quei due erano Hara e Banta, i quali si erano intrufolati abusivamente nel suo ranch, quindi dalle scuse, passò rapido agli insulti.
“Chi vi ha dato il permesso di entrare? Cosa ci stavate facendo dentro la mia stalla? Banta, ti ho detto mille volte che se ti pesco nel mio ranch ti scotenno e ti scortico vivo, capito???”
“Lascia stare il mio bambino, guai a te se ti azzardi a toccarlo, ladro infame, sono mesi che ti ho prestato la cassetta degli attrezzi e il forcone, ancora non me li hai restituiti! Eravamo lì dentro a cercarli e non li abbiamo trovati, tirali fuori subito!” Hara gridava con quanto fiato aveva in corpo e minacciava Rigel col pugno chiuso.
“Come ti permetti dare a me del ladro? Se è per quello, voi due, quante volte avete mangiato qui da me gratis senza mai ricambiare? Quante volte vi ho regalato chili di riso e prestato altre cose mai restituite? Ladri sarete voi! Vi ho permesso di usare un cavallo e me lo avete riportato mezzo azzoppato! Per forza, ci siete saliti tutti e due insieme facendolo per giunta correre, miracolo che non sia morto!”
Intanto Hara aveva addocchiato un bottiglione di acquaragia e con uno strofinaccio aveva preso a sfregarsi nel tentativo di eliminare la vernice e con lo stesso strofinava anche Banta, col risultato che, alla fine, sembravano entrambi due enormi ramarri a pois.
Scoppiò una lite furibonda, facevano gara a insultarsi nel peggiore dei modi.
I tre ragazzi intanto, avevano terminato tutto il lavoro e quindi deciso di recarsi da Procton per sapere se c’erano delle novità.

Il Centro di Ricerche Spaziali, all’origine, era stato ideato dal Dott. Procton per soddisfare la sua passione per l’astronomia; scoprire i misteri dell’Universo era il suo più grande desiderio, quindi aveva studiato e investito moltissimo, costruendo appunto il laboratorio.
Quando la Terra era stata minacciata da Vega, si era dovuto arrendere al fatto del grave pericolo che incombeva, e il suo Centro si era trasformato poco a poco in una fortezza per respingere gli attacchi bellici che venivano dallo spazio e tutto il suo tempo era impegnato a stare sempre in guardia col suo gruppo di fidati collaboratori per prevenire in tempo qualsiasi minaccia.
Appena i tre giovani ebbero varcato la porta dello studio, videro uno spettacolo insolito, ma subito credettero di aver capito male.
In uno stato di estasi totale, il dottore ammirava dal monitor tutto il firmamento, le costellazioni, i pianeti, le stelle; non si accorse del loro arrivo e, come ipnotizzato, osservava sempre più estasiato l’intero Universo.
I suoi collaboratori non erano da meno in quanto a distrazioni: Hayashi era in contatto con Stella e programmavano di incontrarsi presto, gli altri leggevano il giornale, si divertivano col computer, uscivano a fare un giro. Se in quel momento fosse piombato su di loro uno stormo di minidischi, nessuno se ne sarebbe accorto.
C’era da chiedersi il motivo di tanto cambiamento: perchè nessuno aveva più voglia di fare le solite cose, quasi avessero una sorta di amnesia, addirittura parevano indifferenti ai propri doveri e al prossimo.

Questo strano “virus”, sembrava non essere solo terrestre, dato che gli ospiti della base lunare Skarmoon parevano aver dimenticato il loro principale scopo: occupare la Terra e costruire nuovi mostri adeguati.
L’inappuntabile Ministro delle Scienze, Zuril, aveva scoperto le arti marziali e ogni giorno si esercitava in qualcosa di nuovo. Gandal e consorte giocavano a carte e canasta, mentre Hydargos aveva scoperto l’arte dei liquori “fai da te”.
Re Vega era in contatto radio con la figlia Rubina per avere notizie su Rubi e le possibili insurrezioni dei suoi abitanti: la ragazza si era fatta sentire e vedere dal monitor, quasi irriconoscibile.
Occhi gonfi con tanto di borse e spettinata. Indossava un pigiamone di pile almeno due taglie più grandi e ai piedi delle enormi ciabatte: la destra aveva sopra un cane di peluche, la sinistra un gatto dello stesso materiale.
Dopo un gigantesco e infinito sbadiglio, si decise a notiziare il padre:
“Sono giorni che non esco, qui sembra procedere tutto regolare. Anche oggi non mi va di andare da nessuna parte, anzi, mi dici che ore sono? Quasi mezzogiorno? Beh, allora torno a letto, ciao, a risentirci.”
“Fai pure come ti senti e riguardati, nemmeno io sto tanto bene, una debolezza che non mi abbandona; ho lasciato qualche giorno di ferie a tutti i miei soldati e comandanti.”

Cosa poteva essere questo fatto stranissimo e universale? Alla radio e alla televisione davano qualche vaga e incerta notizia: sembrava che alcuni strani batteri circolassero nell’aria provocando stanchezza, insonnia, apatia e/o aggressività, astenia o iperattività, vuoti di memoria, cambiamento dell’umore e della personalità. Erano però anche certi che, al primo abbondante acquazzone, tutto si sarebbe risolto, come infatti avvenne.
Dopo circa un mese in cui il cielo era sempre limpido e senza l’ombra di una nuvola, su tutta la Terra scoppiarono violenti temporali e così anche in Giappone, ripulendo completamente l’aria da quei batteri insidiosi, e gli effetti furono immediatamente visibili su tutti, paragonabili se vogliamo, al risveglio dei personaggi della “Bella Addormentata”: quindi, i nostri eroi, ripresero le loro attività e il loro modo di essere esattamente da dove si erano interrotti.

Il primo evento più vistoso ed eclatante, fu infatti un gigantesco mostro da combattimento inviato dalle truppe di Vega sulla Terra e subito intercettato da Procton e collaboratori. Combattuto e vinto dal Team di Goldrake.
L’attività alla fattoria Betulla Bianca tornò come ai tempi soliti e ognuno di loro riprese a fare le stesse cose di sempre, con una totale e completa amnesia di quanto era avvenuto durante le ultime settimane.


FINE
 
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view post Posted on 22/4/2023, 15:49     +1   +1   -1
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RETROSCENA
Pianeta Fleed

1_17

Nella vasta e ampia camera degli ospiti piena di cristalli, tappeti, quadri, poltroncine, armadi, cassettoni, una specchiera e un tavolo zeppo di oggetti preziosi, la principessa Rubina aveva depositato il suo bagaglio ed era rimasta piacevolmente soddisfatta di quel che aveva potuto finora ammirare.
Il suo viaggio aveva uno scopo ben preciso: entro poche settimane, massimo due mesi, diventare la legittima consorte del Principe ereditario, nonché futura Regina di Fleed.
Aveva subito incontrato i genitori di lui, i quali l’avevano accolta molto bene, la sorella minore Maria che dimostrava già una forte simpatia nei suoi confronti; non le staccava gli occhi di dosso, la seguiva sempre come ipnotizzata con quei suoi occhi celesti enormi, dilatati per lo stupore e la bocca spalancata.
L’incontro col suo promesso sposo era fissato per il giorno seguente da soli, non sapeva ancora se nella residenza reale o altro luogo meno formale.
I sovrani l’avevano accompagnata a visitare il palazzo, i giardini, per poi congedarla cordialmente:
“Hai fatto un lungo viaggio, sarai stanca, vai pure nella tua camera per riposare; ti aspettiamo al pianterreno per la cena, fra due ore.”
Appena chiusa la porta dietro di sé, Rubina si era messa in contatto col padre il quale l’aveva subito informata di notizie dettagliate.
“Ricordati bene, che tutto questo non è altro che una commedia, vedi quindi di recitare bene, mi raccomando. Questo fidanzamento è una farsa, è stato il Re di Fleed a volerlo, il nostro unico scopo è conquistare il pianeta, impossessarci della loro tecnologia avanzata, così saremo in grado di fare lo stesso con tanti altri pianeti dell’Universo.”
“Come? Non capisco… vuoi dire che sono qui per niente, nel senso che sono di passaggio, nessun fidanzamento, niente?”
“E’ così. Non te l’ho detto prima, in modo che una volta arrivata tu fossi il più spontanea possibile in modo da non destare sospetti; il nostro piano è attaccarli di sorpresa, senza difese.”

Nel monitor, si affacciò l’espressione soddisfatta del ministro delle scienze Zuril: il suo sguardo faceva intendere che era molto contento e non solo per le prossime conquiste planetarie, ma per la concreta possibilità di avere un giorno tutta per sé quella figura che per ora stava solo a portata di video, ma che presto…
Ogni cosa a suo tempo, ma chi ha tempo non perda tempo, si disse, e il suo immaginario si stava già popolando di immagini e situazioni tutt’altro che caste e innocenti, aventi tutte come protagonista una ragazza dalla chioma color tramonto infuocato.
Una volta chiusa la comunicazione con la base di Vega, Rubina, alquanto perplessa e confusa, uscì dalla sua stanza comportandosi come niente fosse.

Il giorno seguente, nella tarda mattinata, ebbe finalmente modo di incontrare di persona il suo futuro sposo; si presentarono in modo corretto e formale, poi lui la invitò nei pressi dei giardini, ove passeggiarono e conversarono a lungo del più e del meno.
Dopo alcune ore, in prossimità di un laghetto, salirono su una piccola barca e senza tanti giri di parole, Rubina disse a chiare lettere lo scopo della sua visita sul pianeta Fleed.
“Sono venuta qui perché mio padre desidera che ci sposiamo al più presto.”
“Come? Ma non è possibile!” si sentì rispondere da un esterefatto principe ereditario.
“Vuoi dire che non ne sai niente? Allora io non ti piaccio, vero?”
“No, assolutamente Rubina, tu mi piaci molto, anzi, molto più di questi fiori che circondano il lago.”

Verso sera, contemporaneamente, i due eredi conversavano coi rispettivi padri.

“Non sapevo di questa storia del fidanzamento, perché non mi hai detto niente? Credevo che la principessa fosse qui in viaggio di piacere” disse Duke Fleed al padre.
Dopo una pausa e un lungo respiro, il re di Fleed si decise a parlare.
“Si tratta di una cosa grave e molto delicata; questo matrimonio politico organizzato è l’unico tentativo per cercare di mantenere la pace. Da tempo mi sono accorto che re Vega vuole conquistare tutta la nebulosa, quindi gli ho fatto questa proposta sperando che funzioni, ma non è detto sia così. Dobbiamo fare il possibile per evitare il conflitto, o almeno essere pronti quando arriverà, perché so molto bene che la sua sete di potere è grande… temo abbia solo fatto finta di accettare la proposta.”
“Ho capito, va bene” gli rispose rassegnato il principe.

“Signor padre, oggi ho conosciuto il mio fidanzato e… mi piace, sì, mi piace e lo voglio! Fino a ieri mi andava bene la recita che mi avevi imposto di fare, ma ora io non posso più fingere, voglio stare con lui per sempre!” disse Rubina con prepotenza a re Vega.
“Questo è impossibile, lo sai benissimo! A noi servono le materie prime di Fleed e il loro potente robot da combattimento, chiaro?”
“Ma io… allora… diciamo che una volta attaccato il pianeta tu risparmierai Duke Fleed, vero?”
“Ci penseremo, ora torna da tutti come non ci fossimo parlati, fai presto, sei via da troppo tempo.”

Nei giorni a venire successe di tutto e di più.
Maria era affascinata da Rubina, cercava sempre la sua compagnia, voleva andare con lei. Ogni mattina apriva piano la porta della sua camera controllando che fosse già sveglia, poi le diceva: “Andiamo a giocare?”
Una volta, sullo spuntare dell’alba, era entrata armata di secchiello, stampini e paletta per correre subito alla spiaggia a fare castelli in riva al mare.
La principessa la seguiva molto malvolentieri, non le piacevano i bambini, tantomeno una rompiscatole come quella, ma doveva fare buon viso a cattivo gioco e non tradirsi, quindi la sopportava e accontentava in tutto.
Quella mattina, Maria non la smetteva più di parlare e raccontare. Rubina seccata sbadigliava, ma ad un certo punto, la conversazione prese una forma molto più interessante e al tempo stesso scioccante. La bambina, con candore e innocenza senza eguali, le disse, mentre si apprestava a riempire le formine con la sabbia, livellandole bene con la paletta:
“In questo posto ci viene sempre mio fratello con Naida, la conosci? E’ tanto bella, non come te però. Nuotano per ore, poi passano tanto tempo dietro quelle siepi, oppure nel boschetto più indietro. Io e Sirius gli facciamo sempre degli scherzi, loro si arrabbiano, allora cambiano posto, ma noi li troviamo sempre.”
“Ma … e quando succedeva questo? Un po' di tempo fa immagino.”
“No, sempre, anche l’altro giorno, quando tu eri andata a riposare perché non stavi bene, ti ricordi?”
Rubina sentì le viscere contorcersi in maniera incontrollata, mentre il cuore le martellava nel petto e delle gocce di sudore freddo la ricoprivano ovunque.
“Mi aiuti a fare il ponte del castello? Io da questa parte non ci riesco, poi facciamo anche dei cavalli che entrano con la carrozza?” le chiese Maria con voce supplichevole.
“Proviamo pure, però… vorrei andare a casa…”
“Ma siamo appena arrivate, aspettiamo l’ora di pranzo: dopo mangiato mi fai provare i tuoi vestiti, le scarpe col tacco alto, mi metti lo smalto come il tuo?”
“C… come vuoi, però non so se…”
La principessa aveva gli occhi gonfi di lacrime trattenute; dolore e rabbia la devastavano, avrebbe voluto sapere di più, ma non osava chiedere per paura delle orribili notizie che avrebbe sentito.
Non ci fu bisogno di chiedere altro, perché sulla via del ritorno, appena Maria intravide da lontano il balcone facente parte delle camere da letto del fratello, indicò quel punto col dito, per poi gridare tutta eccitata: “Guarda! C’è la finestra socchiusa e le tende, vuol dire che quando sarà buio Naida salirà sul balcone per entrare. Lei non passa mai dalla porta, le piace scavalcare i muri, è bravissima e veloce. Vuoi vederla stasera?”
“No, no io non…”
Da lontano intravidero i genitori di Maria.
La bambina si staccò dalla mano della ragazza e corse verso di loro a braccia spalancate, gridando felice: “Mamma! Abbiamo fatto un castello enorme, domani ne facciamo un altro ancora più bello; Rubina ha detto che mi presta i suoi vestiti, posso mettermi lo smalto?”
“Certo tesoro, ma non vi stancherete troppo? Rubina… stai bene? Hai un’aria strana, forse avete preso troppo sole, venite dentro all’ombra, è quasi ora di pranzo. Dopo andrete a riposare, la giornata è lunga.”
“Sì, forse… nel pomeriggio vorrei rimanere a casa se non vi dispiace.”
“Ma non andiamo al parco stasera?”
“Questa sera no… dovevo uscire con tuo fratello… almeno credo…” mormorò la ragazza sconvolta.
La bambina non disse più nulla e per tutta la giornata rimase tranquilla, ma quando scesero le prime ombre, con fare complice, si avvicinò a Rubina in punta di piedi, sussurrandole: “Dopo ti faccio vedere una cosa bella dalla finestra della mia camera.”

La cosa tanto bella era quanto sotto descritto.
Da un terrazzino del palazzo, stando nascoste, ebbero modo di vedere una ragazza dai lunghi capelli color erba primaverile che, con velocità impressionante e un balzo felino entrava dentro una finestra, dalla quale si entrava in una certa camera da letto appartenente a un certo avvenente fidanzato della principessa che in quel momento sembrava essersi dimenticato di lei.
“Visto? Rimane lì fino a domani, poi se ne va senza dire niente.”
Rubina non riuscì a dire nulla, solo dopo parecchi secondi di silenzio, le uscirono queste incerte parole: “Domani… io… e… lui… dobbiamo andare a fare compere e ordinare tante cose.”
“No, non credo, quando Naida viene passando per il balcone, lui il giorno dopo dorme tanto”, le rispose Maria dopo averci pensato qualche istante.
La voce della verità e dell’innocenza aveva rivelato con candore e simpatia una cosa tanto sconvolgente che la principessa faticò a reggersi in piedi e non perdere i sensi.
Questo stato durò poco: di lì a pochi minuti le prese una rabbia così devastante che appena entrata nella sua camera, buttò a terra tutto quello che c’era sul tavolo e prese a pestarlo coi piedi sconvolta, ferita e piena di odio.
Il padre la contattò in quel momento e, appena la vide con gli occhi fuori dalle orbite e i capelli scomposti, fece un passo indietro spaventato, poi le chiese:
“Cosa ti succede?”
“Mi succede… te lo dico io cosa succede: me ne vado subito, li voglio morti tutti morti. Hai capito??! Ammazzali tutti, li odio!!!”
Poi si buttò a terra scoppiando un pianto irrefrenabile e disperato, mentre re Vega tentava di calmarla, preoccupato dal fatto che tutti potessero sentirla.
In punta di piedi si fece avanti Zuril, titubante provò a dirle qualcosa di gentile.
“Altezza, per voi ci sono sempre io, lo sapete che vi adoro, io…”
“Non osare nemmeno rivolgermi la parola, rettile schifoso, vattene, te e le tue zampacce verdi!”
Con un urlo disumano Rubina spaccò il monitor usando i tacchi a spillo dei suoi sandali interrompendo la comunicazione; poi, così scarmigliata, col rimmel che le colava sulle guance, arrabbiata e piena di odio per quel pianeta, gli abitanti, l’ex fidanzato (se mai lo era stato), il palazzo reale, prese la sua Quenn Panther, vi salì in fretta e furia e in pochissime ore fece ritorno al suo pianeta natale.

La camera da letto che aveva ospitato Rubina per alcune settimane, appena lei se ne fu andata, era diventata la rappresentazione in miniatura, tale e quale, di come di lì a pochi giorni sarebbe stato il pianeta Fleed in seguito all’attacco di Vega, un preludio, un anticipo della sua futura rovina e distruzione.



RETROSCENA

Pianeta Terra

2_0

Era stata una giornata lunga e faticosa quella appena trascorsa al ranch Makiba.
Il lavoro alla fattoria era stato particolarmente pesante, ma c’era qualcosa di diverso che rendeva il tutto strano, nuovo, elettrizzante, misterioso, almeno per Venusia. Era così che si sentiva da alcuni giorni, esattamente da quando aveva scoperto la vera identità del ragazzo che per anni aveva condiviso il lavoro con lei fianco a fianco, giorno per giorno, credendolo semplicemente il figlio del Dott. Procton e invece… Doveva però ammettere che un alone di mistero l’aveva sempre intuito, molto vago ma altrettanto persistente, qualcosa di indefinibile, ogni giorno più intenso, solo che non capiva e quindi aveva rinunciato ad approfondire, almeno con sé stessa.
Poi gli eventi erano precipitati e la verità, quella vera, era stata palese. Lui aveva dovuto e voluto rivelarsi a lei, a quella ragazza che diventava sempre più importante, un punto di riferimento, la loro confidenza era sempre più stretta. Non si poteva continuare a fingere in eterno, se non ci fosse stata la guerra magari… ma no, anche senza guerra non sarebbe stato onesto ugualmente.
Una persona che stimi, ammiri, senti di amare ogni giorno di più, come puoi mantenere con lei due facce, due identità diverse che convivono l’una con l’altra. Doveva dirle la verità a qualunque costo, anche se ciò poteva significare perderla, perché anche così l’avrebbe persa ugualmente.
Da parte di lei solo un attimo di smarrimento, paura incertezza, poi… grande sollievo!
Non l’aveva perso, anzi ritrovato. Poco alla volta i pezzi del puzzle si erano magicamente ricomposti: tutte le incongruenze, le contraddizioni, le distrazioni di lui mentre gli diceva qualcosa, i silenzi improvvisi, le sparizioni ingiustificate, il timore a tratti di non piacergli abbastanza, poi di nuovo il riavvicinarsi e parlarsi come prima.
Ora che ci pensava bene, quell’alone di nobiltà, fascino e mistero, lui l’aveva sempre avuto, anche e soprattutto nei lavori più semplici e umili, quell’educazione innata, poi a guardare in fondo, una malinconia e una tristezza mai superate. Se ne accorgeva soprattutto quando, non visto, lei lo osservava da lontano; era qualcosa di indefinibile e irraggiungibile, poi una corsa a cavallo, una sistemata alle stalle quando riusciva a eludere la sorveglianza del padre e la gioia di stare insieme prendeva il sopravvento su tutto il resto.
Avevano tante cose da raccontarsi adesso, ne approfittavano durante le ore di lavoro in comune; a tratti lei provava sollievo, poi le prendeva la paura, a volte gigantesca, del pericolo che lui doveva affrontare ogni volta che un mostro di Vega piombava sulla Terra minacciandola.
Poche settimane prima di sapere la sua natura aliena, avevano conosciuto quel bambino, Mankiki: ora Venusia comprendeva bene l’empatia che Actarus aveva avuto subito con lui, sentirsi senza il suo mondo, per un bambino così piccolo, il suo villaggio era distante, distrutto e perso come per lui il pianeta Fleed. Alla fine, anche se raso al suolo dalla pioggia di asteroidi, Mankiki aveva visto da vicino la speranza di un domani, la possibile rinascita. Gli abitanti avevano deciso di ricostruirlo.

“Anche sul nostro pianeta ci sono molti spazi verdi come qui, il sole tramonta allo stesso modo e così anche le nostre stagioni somigliano a quelle della Terra”, diceva Actarus a Venusia mentre con vigore spostavano mucchi di fieno appena colto.
“Non immaginavo, ma… le persone che conoscevi, la tua famiglia… no, credo non sia ancora il momento di parlarne.”
“Domani, quando andremo al ruscello coi cavalli, ti mostrerò alcune cose”, le rispose lui con uno strano sorriso.
Rigel arrivò all’improvviso spaventandoli, voleva controllare che facessero tutto il lavoro bene e senza soste. Dopo una rapida ispezione, si mise a urlare con quanto fiato aveva.
“Cosa vi è passato per la mente, siete impazziti o cosa??!!! Non avete fatto altro che spostare il fieno dallo stesso punto in cui si trovava all’inizio, quindi non avete fatto niente, vi ha dato di volta il cervello? Cosa stavate facendo invece di lavorare? Andatevene, qui finisco io, è ora di preparare la cena, però prima passate dalla stalla a rigovernare i cavalli. Venusia, tu vai dritta in cucina, capito? Domani si cambia sistema, voi due insieme non va, ma guarda che roba, nemmeno un menomato come Banta riuscirebbe a fare una stupidaggine come la vostra!”
Rigel prese subito il forcone e in fretta si mise al lavoro, tanta era la rabbia che finì in poco tempo. Da lontano vide arrivare di corsa Hara, di sicuro non portava buone nuove, veniva solo per comunicare sciagure o chiedere favori, pensava preoccupato, mentre nella corsa, gli stivali di gomma di lei, sollevavano un gran polverone.
Hara, come sempre educata e inappuntabile, apostrofò subito il ranchero con una sfilza di richieste, notizie, aggressioni, delle quali Rigel faticò a capirne almeno un terzo.
Parlando e gesticolando senza interruzione, fece in modo di condurre il suo vicino in prossimità del capannone dove stavano gli attrezzi da lavoro.
“Con tutta quella neve, l’inondazione avvenuta e la diga distrutta, una parte del tetto della mia casa è pericolante, me ne sono accorta solo adesso. Prima ho notato una macchia enorme di umidità sul soffitto, ora minaccia di crollare da un momento all’altro.”
“Quindi, cosa vuoi?”
“Chiodi, martello, assi di legno e una mano a sistemare il tutto.”
“Subito no, posso venire solo domani mattina, non dovrebbe succedere niente di grave stasera.”
Nel frattempo, Hara ficcava il naso dappertutto e così disattenta, scivolò dentro una montagnola di neve, sembrava sulle sabbie mobili: dopo un quarto d’ora di sforzi e l’aiuto di una tavola di legno che Rigel le aveva allungato, tornò a casa sana e salva.

La mattina seguente, dopo una colazione sostanziosa ed energetica, il ranchero partì alla volta della casa di Banta, quindi Actarus e Venusia furono liberi di portare gli animali a correre.
“C’era un boschetto molto simile a questo, ci andavo spesso con un’altra persona, siamo cresciuti insieme. Lei si chiamava Naida, ci incontravamo anche di nascosto, lo sai anche tu che spesso i genitori non vedono di buon occhio le compagnie che si scelgono i loro rispettivi figli, no?” le disse con fare complice strizzandole l’occhio.
Venusia comprese all’istante e intuì che c’era molto altro dietro questa apparentemente comune vicenda, infatti lui continuò: “Un giorno e senza sapere come, mi trovai fidanzato, sai con chi?”
“Non so, con una del tuo rango immagino.”
“Sì, era la figlia di Vega, Rubina.”
“Quindi, com’è finita dopo?”
“E’ finita che la storia non è mai cominciata, visto che il fidanzamento politico organizzato era solo una scusa: fu mio padre a fare la proposta a re Vega, avendo già notato il suo interesse di conquista. Si sapeva che aveva accettato per finta, infatti la guerra scoppiò all’improvviso.
Rimasi a combattere fino alla fine, e quando vidi il pianeta esplodere causa una mega bomba al vegatron, me ne andai col mio disco. Erano tutti morti, il pianeta distrutto, non c’era più niente da fare e dopo alcuni anni di viaggio per gli spazi infiniti, arrivai qui. Il resto lo sai già, perché abbiamo sempre vissuto vicini e quello che ti ho nascosto della mia vita sulla Terra, risale agli ultimi mesi dell’anno passato, quando Vega ha deciso di conquistare questo bellissimo pianeta, quello che considero la mia seconda patria e che ho deciso di difendere a qualunque costo. Te lo giuro, non ci sarà un’altra distruzione come fu per la mia stella.”

In silenzio fecero ritorno alla fattoria: c’erano tante cose dette, molte più non dette, ma ora la loro vita e il loro rapporto non sarebbe più stato come prima, mutava di giorno in giorno anche se non parlavano. Feeling, comprensione, complicità, un muto patto di reciproco soccorso; all’improvviso più maturi di parecchi anni, intuizioni improvvise, a volte prevenivano i bisogni dell’altro, mentre intorno a loro tutto pareva continuare come sempre.

Quasi ogni giorno venivano ripresi in malo modo da Rigel, il quale come sempre minacciava Banta di impiccagione quando non passava la giornata sulla torre avvista UFO. Hara piombava come un fulmine a riprendersi il suo povero bambino indifeso, Mizar spensierato e maturo ad un tempo, Alcor che passava il tempo a sistemare il suo TFO, sempre pronto a decollare alla prima vista di un minidisco, Procton e i collaboratori sempre con gli occhi bene aperti.

Sembrava in apparenza tutto come prima, invece una rete sottile e invisibile serpeggiava lungo i campi, si fondeva nei ruscelli, nelle stalle, nel ranch… molte cose stavano cambiando.
Presto tutti i personaggi, a cominciare da Rigel, avrebbero messo da parte gli scherzi con gli UFO per diventare parti attive e responsabili di una minaccia planetaria concreta, la quale vittoria finale avverrà grazie all’impegno di ognuno di loro, anche quello che poteva apparire il più piccolo e insignificante.


FINE
 
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VITA DOMESTICA
Ranch Makiba

1_18

Di solito, cosa si aspettano due piloti come Alcor e Actarus dopo un estenuante duello con il solito mostro di Vega, piuttosto restio ad essere sconfitto, il quale prima di finire sbriciolato, ti ha fatto sudare qualcuna in più delle canoniche sette camicie?
Credo si aspettino, non dico una pedana chilometrica di velluto rosso con gli inchini di tutti gli abitanti del Giappone, ma almeno un caloroso benvenuto di ritorno al ranch da parte di tutta la famiglia Makiba, e non un brontolio sommesso e continuo da parte di Rigel con rimproveri a catena per non aver finito e male tutti i lavori.
Sorvolando questa inezia ormai di ordinaria amministrazione, si vorrebbe trovare in tavola una cena che ripaghi e ritempri il fisico e la mente dopo la battaglia.
In pieno luglio e con un caldo da incubo, ecco che veniva invece servito un piatto bello colmo fino all’orlo di brodo bollente, che una volta portato in tavola continuava a fare le bolle, perché la roba fredda nuoce alle tonsille e fa male, seguito da un secondo che sarebbe stato molto più gradito a gennaio inoltrato.
Logica conseguenza: altro interminabile copioso bagno di sudore, qui di camicie ce ne vorrebbero per un esercito, la doccia è solo un lontano miraggio, perchè dopo bisognava avvicinarsi al caminetto acceso, visto che al tramonto l’aria si fa fresca, quindi finestre tappate col fumo della pipa che produceva altro calore, ascoltare le formidabili prodezze da cow-boy di Rigel ai tempi in cui viveva ancora in America, gli antenati samurai e loro usanze… tutto ciò per alcune ore.
Venusia intanto era impaziente di stare un poco da sola con Actarus, avere notizie dettagliate della battaglia e non solo, senza ovviamente farsi capire da Rigel e Mizar ancora certi all’epoca, che solo Alcor, col suo mezzo tenesse a bada minidischi e compagnia.

Verso mezzanotte, Rigel diede finalmente cenni di sfinimento e andò a dormire, quindi tutti gli altri furono finalmente liberi di fare i propri comodi.
“Oggi vi ho osservato durante la battaglia dal centro spaziale e ho notato qualcosa di sospetto, io credo che qualche alieno travestito da terrestre sia sceso qui in Giappone a prendere le misure per costruire una base” disse Venusia sottovoce ad Alcor e Actarus appena usciti dal bagno ristoratore nel corridoio che portava alle rispettive camere da letto.
“Ne sei sicura? Raccontami bene tutto” le rispose Actarus ammirandola da capo a piedi, visto che indossava una camicia da notte estiva fatta di… aria.
Un velo impalpabile rosa carnicino piuttosto ampio e svolazzante: non occorreva troppa fantasia per immaginare il contenuto e doveva essere un contenuto di tutto rispetto, date le occhiate eloquenti e ammirate del principe caduto dalle stelle e quelle clandestine, ma non meno intense di Alcor.
“Venite nella mia stanza, è meglio” propose Venusia. Entrarono e chiusero bene la porta.
Dopo venti minuti di scambio di vedute, decisero che per il momento non c’era nulla di grave e andarono a riposare.

Sul far dell’alba, vennero tutti svegliati all’improvviso da un gran botto proveniente dal piano terra, quindi scesero di corsa a controllare.
Videro una figura piuttosto alta e robusta vestita con una tuta di ciniglia color ciclamino battere con forza e prepotenza il pugno sulla porta d’ingresso.
“Ehi, ci siete?! La vostra mandria è scappata e sta devastando tutta la mia proprietà…”
Hara, alquanto su di giri e piuttosto furiosa, gridava con quanta voce aveva in gola.
“Calmati un momento, di quale mandria stai parlando? Io la sera chiudo bene le stalle, non sono come te e quella sottospecie di figlio che vive in quella baracca, circondata da una mulattiera al posto della strada dove non può mai passare l’autobus!” l’apostrofò Rigel con voce spiegata e tonsille bene in vista.

Intanto Hara approfittò della discussione per entrare in casa senza essere invitata.
“Ho avuto una giornataccia ieri, se avete già preparato il caffè, posso averne una tazza?”
“Mi dicevi cosaaaa? Che i miei animali stanno danneggiando la tua proprietà?” le gridò il ranchero.
“No, se mi dici che li hai chiusi bene, devono essere le mandrie di qualche altro fattore che confina con la mia strada. Cosa avete per colazione?”
Intanto, con la manona pescava nel sacco da chilo di biscotti al malto, cioccolato e miele, poi dal bollitore sul fuoco versava nella tazza presa dall’armadietto quasi tutto il caffè che conteneva.
“Il cucchiaio non è commestibile e nemmeno la tazza, quindi se hai finito puoi tornartene da dove sei venuta” la informò Rigel trattenendo con sforzo un gergo meno educato.

Uscita nel cortile, Hara cominciò a guardare con aria scrutatrice, saccente e riprovevole le piante e le siepi vicino all’abitazione: “Questi fiori vanno innaffiati più spesso, quella pianta grassa non ha spazio in un vaso così piccolo, dove avete messo quella grande olla che serve per contenere i gerani che vi ho regalato per Natale? Tu, Venusia, non sei una donna di casa molto attenta, guarda, per il tuo bene ti dico che se non usi il sistema per talea, troverai a breve tutto secco e rovinato.”
La ragazza intanto era rientrata in cucina a preparare ghiaccioli di vari gusti come piacevano a Mizar: arancia, menta, lampone, ribes, pesca, limone, alla faccia del caldo e delle manie di suo padre, accidenti! Ci mancava solo quell’impicciona maleducata di Hara piombata lì allo spuntar del sole a ficcanasare, ma quando se ne andava? Non aveva da fare i suoi lavori anche lei come tutti?
Ah, ecco, meno male, la mise color ciclamino stava prendendo il largo, era ora, notò con sollievo Venusia affacciandosi sulla porta d’ingresso.

Tra una mungitura alle capre, una sistemata alle stalle, una cavalcata, zuppa bollente all’ora di pranzo, rigovernare, litigare, gridare agli ufo, in un qualche modo le ore passarono, e il cielo si tinse poco alla volta dei colori che preannunciavano il prossimo luccicare delle stelle e fu in quelle ore che, furtivamente, Actarus prese per mano Venusia e la fece entrare nella propria camera, chiudendo la porta a chiave lentamente e senza far rumore.
Furono vicini, l’uno di fronte all’altra, lui le pose la mano sulla guancia vicino alla tempia, una carezza leggera e impalpabile come la camicia da notte che lei indossava, poi sedettero vicini sul davanzale della finestra aperta a guardare le stelle.
La teneva tra le braccia e lei, dandogli le spalle, sentiva la sua voce che le accarezzava l’orecchio, frasi sommesse, entrambi storditi dall’odore che emanavano i loro corpi e dai profumi dell’estate che entravano dalla finestra.

Qui, il sipario calato è composto da una leggerissima e impalpabile camicia da notte di velo rosa, lieve e soave come i baci che si stanno scambiando i due giovani: mi rendo conto all’improvviso di essere di troppo, quindi esco piano piano dalla camera in punta di piedi cercando di non svegliare nessuno, soprattutto Rigel e vado alla ricerca di qualche altra corvè domestica che possa essere spunto per le mie storie.

Base lunare Skarmoon

“Io voglio sapere perché ti vuoi vestire all’ultima moda, farti la permanente e andare alle sfilate!” così parlava Gandal alla legittima consorte in quella mattina di luglio.
“Sei tu che non capisci niente e non hai buon gusto; vesti male, ti lavi poco e non ti tagli mai le unghie! E’ un bel castigo dover condividere lo stesso corpo, accidenti! Per oggi mi fermo qui perché il nostro sovrano vuole parlarci per attuare le strategie di attacco alla Terra!”

Entrati nella sala comando videro con stupore che la principessa Rubina era arrivata alla base lunare: strano, non ne sapevano niente, credevano fosse ancora su Rubi a sistemare le ultime spinose questioni burocratiche.
Sua Altezza stava seduta, no, meglio quasi distesa sulla poltrona di velluto scarlatto, stanca e annoiata a morte di tutto e di tutti, almeno questa fu la prima impressione che ricevettero.
“Si può sapere che cos’hai di preciso?” le domandò il padre con premura. “Dalle ultime notizie che ho avuto, gli abitanti del pianeta sono abbastanza tranquilli, non ci sono state grandi sommosse, né scontri sfociati nel sangue.”
“E’ questo il punto!” ribattè lei senza troppa energia. “Io mi diverto solo quando posso compiere genocidi a catena e soprattutto con qualche miliardo di morti, è da tanto che questo non avviene e io sono stanca, depressa e annoiata: rischiavo di morire di inedia, quindi mi sono detta, noia per noia, vengo qui a sentire se ci sono novità…” disse la ragazza buttando lontano la rivista che aveva sfogliato distrattamente.
“E’ un periodo di fermo anche da noi: ci sarebbe molto da fare, ma questi collaboratori mi stanno facendo impazzire, non combinano niente di buono, fanno errori stupidi e sono svogliati. Sto pensando seriamente di sostituirli tutti e quando dico tutti, non ne escludo nessuno.
Lo sai che l’altra sera Gandal e consorte si sono divertiti a fare il sacco nel letto a Zuril?
Sembravano regrediti allo stadio infantile, ridevano come dei cretini, poi pensano che io non li veda, come no, vogliono farmi fesso, come quando la settimana scorsa, l’inappuntabile Ministro delle Scienze, in vena di esperimenti, ha messo una dose massiccia di sonnifero nel doppio cognac a Hydargos, perché voleva vedere se riusciva a procurargli un coma etilico.”

Rubina non era interessata all’argomento, tratteneva gli sbadigli a fatica, mentre con l’indice arrotolava distrattamente una ciocca di capelli e i suoi occhi senza espressione erano persi in un punto lontano.

Zuril intanto, per dimostrare di aver voglia di lavorare, entrò nella sala con un pacco di fogli impilati raffiguranti le bozze di nuovi mostri da combattimento.
Entrato senza guardare dove metteva i piedi, andò a inciampare sulle gambe distese per quanto erano lunghe della principessa. Nella rovinosa caduta, i fogli si sparsero per tutta la sala.
Rialzatosi non potè credere ai propri occhi: l’oggetto dei suoi sogni leciti e non era lì, in carne ed ossa! Che magnifica sorpresa, come mai non ne sapeva niente?
“M… ma che novità, non sapevo che ci stavate onorando con la vostra presenza, a cosa debbo questa gradevolissima visita inaspettata? Siete sempre molto bella sapete? Oggi più di ieri, domani…”
“Voi invece mi sembrate un ramarro in corsa, di quelli che sono raffigurati nelle spille decorative: sempre verde, sempre disgustoso, sempre antipatico, sempre...”
“Abbiamo capito Rubina, pensiamo piuttosto a cosa fare adesso: vuoi andare in vacanza da qualche parte? In quella rivista che stavi leggendo ci sono dei club con tanti giovani, tanto divertimento…” le disse il padre con tono premuroso.
“Tanto tornaconto anche, perché è pieno di bellimbusti che ti fanno il filo per portarti subito a letto e prima dell’alba ti hanno già scaricato!”
“Non occorre scendere nei dettagli, se questa cosa non va bene si troverà dell’altro”, le rispose Vega alquanto imbarazzato della piega che stava prendendo la conversazione.
Trascorsero alcuni minuti di silenzio assoluto, poi la principessa si alzò in piedi con un salto verso l’alto, tutta luminosa e felice: “Ho trovato! Che idea meravigliosa mi è venuta, come ho fatto a non pensarci prima? Sentite bene: scendo sulla terra a razzo, vado a riprendermi il mio storico fidanzato e lo porto qui, poi ci sposiamo e facciamo tanti bambini!!! Sì, sì, corro!”

Prima che i presenti potessero formulare nella loro mente un pensiero logico e connesso, la Quenn Panther era già scomparsa nello spazio profondo, diretta come un missile verso il pianeta Terra.


EPILOGO

Qui termina la mia missione di reporter e non mi è dato sapere lo svolgersi degli eventi futuri: nel caso mi venissero conferiti altri incarichi sull’argomento, vi terrò informati. Ciao!



FINE
 
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FATTI E MISFATTI

1_246

L’astronave guidata dal Ministro delle Scienze Zuril, atterrò silenziosamente alla base lunare Skarmoon in una fredda e grigia alba invernale, esattamente come il suo umore in quel giorno.
Quello che agli inizi doveva essere un viaggio alquanto piacevole, si era in realtà rivelato un dramma sotto ogni punto di vista.
Entrò in punta di piedi all’ingresso che portava direttamente ai suoi appartamenti, non voleva farsi notare da nessuno, desiderava stare solo e dimenticare quelle ultime ore, anche se questo desiderio si rivelava assai improbo.

Da alcuni mesi, incontrava all’insaputa di tutti, una piacevole compagnia femminile, e quella che agli inizi gli era parsa una delle sue solite avventure senza seguito, era poi diventata, col passare dei giorni e delle frequentazioni reciproche, una dolce ossessione, un pensiero costante, un alimento alle sue più audaci fantasie amalgamate da deliri di onnipotenza, la mente sempre pronta, sveglia e vivace, lunghe notti di veglia costellate da visioni e pensieri finora sconosciuti.
Il giorno prima era partito da solo lasciando credere al suo sovrano di recarsi a controllare la base sottomarina sulla Terra, sistemare meglio tutti i meccanismi, studiare sul posto nuove strategie di attacchi a sorpresa: logicamente re Vega gli aveva lasciato carta bianca, Zuril godeva da sempre della sua fiducia incondizionata.
Nella realtà invece, si era recato nella direzione opposta, verso un piccolo pianeta ancora non invaso né sottomesso ai veghiani; il suo intento iniziale era stato quello di studiare bene il sottosuolo, le materie prime e, se fosse stato conveniente, invaderlo in un battito di cigli come già avvenuto innumerevoli volte in passato.
Le cose avevano preso tutt’altra piega perché, già dalla seconda perlustrazione, si era decisamente scontrato con una ragazza dall’aspetto più strano, alieno, affascinante e sconcertante che avesse mai visto prima.
Non la si poteva definire bella nel senso classico del termine, ma aveva molto di più, un fascino incredibile, attirava come una calamita, ed entrambi si erano amalgamati a meraviglia fin dal primo istante. Lei possedeva una massa intricata e fittissima di lunghi riccioli mogano, la sua figura ricordava le leggendarie sirene ammaliatrici, occhi grandi di un ruggine intenso e brillante, un incedere lieve come non avesse peso, pareva fluttuare nell’aria e al tempo stesso lo riportava a terra, molto a terra, risvegliando in lui i suoi istinti più bassi e inconfessabili.
La loro storia era iniziata tre mesi addietro, Zuril studiava ogni momento il modo per eludere la sorveglianza del sovrano e correre da lei, si incontravano anche a metà strada; una volta erano atterrati in una stella dalla quale si vedeva tutta l’Orsa Maggiore, ed erano circondati da pianeti così luminosi e brillanti come non pensavano potessero essere.

Lo scienziato si era chiuso bene a chiave nella sua camera lasciandosi cadere di peso sulla sedia posta accanto alla scrivania, si teneva la testa tra le mani, la mente gli riportava rimbombando con forza nel cervello, le parole e le immagini viste e sentite poche ore prima come un lento, lungo e inarrestabile stillicidio.
Lo shock era stato fortissimo, ancora si domandava come avesse fatto a tornare alla base senza sbagliare, aveva guidato l’astronave per inerzia, come un automa.
Si era recato all’appuntamento qualche ora prima dell’accordo, voleva fare una sorpresa a Sharmila. Il locale prenotato doveva venire addobbato di fiori, della buona musica e tutto il resto: appena varcato l’ingresso, aveva subito riconosciuto la voce di lei, parlava con qualcuno, aveva udito una voce maschile intensa.

“Quindi, sei sicura? Hai tutti i dati, quell’alieno ti ha svelato tutti i segreti della sua base, i codici di ingresso, le strategie, ogni cosa?”
“Mai stata così sicura, ti ho fatto venire ora che ho la certezza di avere tutto in pugno, non ci sono più segreti: brindiamo al cretino del pianeta Vega!” aveva detto lei, alzando in alto un calice pieno di liquido dorato con bollicine. Lui le aveva rivolto un sorriso complice, mentre le prendeva la mano portandola alle labbra.

Zuril l’aveva vista solo di sfuggita, ma aveva riconosciuto subito quella massa inconfondibile di riccioli ribelli, quindi era fuggito a gambe levate, salito sulla sua astronave e senza rendersi conto della meta, era comunque atterrato alla base lunare Skarmoon col cuore in gola, le voci gli bombardavano il cervello e la disperazione andava tramutandosi in panico col trascorrere delle ore.
Passavano davanti ai suoi occhi come in un film tutte le immagini dei loro incontri; ricordava molto bene che, dopo essersi amati, rimanevano vicini a lungo, lei teneva il capo sopra il petto di lui. Nell’ammirare quella massa di capelli sparsi, si chiedeva come un pettine potesse entrarci senza perdersi, lei non parlava, aveva il raro e prezioso dono di saper ascoltare: lui si sentiva capito, accettato, compreso, amato dai suoi devoti silenzi carichi di interesse, mai gli aveva dato l’impressione di annoiarsi con lui in qualunque cosa facessero o parlassero.
Lei conversava molto poco; era gentile, accogliente, sempre ben disposta… e ora che ci pensava, lui non sapeva praticamente niente della sua vita. Ecco allora il motivo, lo scopo, quella era, era… una spia, un’infiltrata, una copia di Mata Hari! Quante cose le aveva svelato, c’era cascato come un pollo, con lei vicino era come cadere in una trance ipnotica, più che naturale col tempo svelarsi, rivelare l’esatta collocazione delle basi installate sul pianeta Terra, i particolari sulle sue scoperte scientifiche, il modo in cui intendeva attuarle, le prossime conquiste, i moderni robot da combattimento che nascevano dalla sua fertile natura di scienziato, gli studi intrapresi fin dalla giovinezza.
Era arrivato a parlarle con dovizia di particolari della sua vita privata, del figlio Fritz, amatissimo, ma col quale faticava ad instaurare un vero rapporto, la nostalgia per le sue prolungate assenze, le delusioni sentimentali: a tal proposito, da quando frequentava Sharmila, si era reso conto ben presto dell’inconsistenza della passione che aveva provato da sempre per la principessa Rubina.
Come si fosse tolto improvvisamente un velo dagli occhi, aveva visto quanto fosse sciocca quella ragazza che lo snobbava apertamente e anche volgarmente: alcune settimane addietro era arrivata alla base coi capelli tinti di uno scialbo color lavanda, un miniabito coloratissimo che emetteva scintille. Appena lo aveva incrociato, aveva tirato fuori la lingua per quanto era lunga diretta a lui, sulla quale aveva infilato un brillante da molti carati, almeno così sembrava a tutta prima, viste le luminosità che emetteva.
Si era così addobbata per andare alle feste del Carnevale imminente, aveva un seguito di corteggiatori, ma stranamente, questa volta a lui non aveva dato per niente fastidio.
Zuril si scosse all’improvviso dal torrente dei ricordi e, tenendo gli occhi fissi a terra, percorse a lunghi passi almeno una decina di volte il perimetro della sua camera.
“Devo subito trovare una soluzione, non c’è tempo da perdere, se Re Vega si accorge di questo fatto sarà una tragedia, perderò tutto, allontanato, forse condannato a morte, devo assolutamente venir fuori da questo incubo.”
Uscito dalla stanza incrociò immediatamente il comandante Gandal: gli parve che un lieve sorriso ironico increspasse le sue labbra. Decise di non dargli importanza, lo salutò con un breve cenno del capo e si allontanò a passo celere, mentre la sua mente confusa continuava a pensare.
“Per la prima volta invidiò Gandal e la sua consorte: due menti in un corpo solo, quello che fa l’uno, non lo può certo nascondere all’altro, nemmeno tradirlo… già, lui non può avere storie con altre donne nè lei cornificarlo con un uomo. Un tempo li compativo, ora invece… fossi al loro posto non mi troverei certo in questo labirinto senza via d’uscita: poi… non oso pensarci, ma se sapessero in che guaio mi sono cacciato… che goduria per entrambi, che soddisfazione per loro vedermi finito, strisciare come un verme, mi schiaccerebbero proprio come un verme, sicuro.”

Doveva al più presto rimediare il disastro, cancellare tutti i dati segreti che ora non lo erano più, altrimenti quell’onta di tragedia e disonore lo avrebbe travolto come la marea con conseguenze che non si potevano nemmeno pensare per scherzo, da tanto sarebbero state terribili.
“Speriamo solo che non sia troppo tardi.”

Si recò svelto in sala di comando, chiuse bene a chiave l’ingresso e accese il computer. Modificò molte tracce, cancellò dati importanti, decise di scendere presto sulla Terra a spostare la base sottomarina e dopo alcune ore di alacre lavoro, cominciò a sentirsi meglio e il futuro gli apparve in un’ottica cautamente ottimistica.

Re Vega stava regalmente e superbamente assiso sul suo trono, mentre il Comandante Gorman raccontava per filo e per segno ogni particolare del suo recente colloquio con Sharmila.
“A quanto pare, i suoi sospetti erano ben fondati, sire, il suo… diciamo… collaboratore sta facendo uno sporco e inqualificabile doppio gioco. Si tratta di tradimento vero e proprio, Lesa Maestà, sabotaggio…”

Accanto al sovrano, con la corona e il lungo abito da principessa stava Rubina, l’aria seria e severa, regalmente austera, immobile, le braccia incrociate e assentiva con lievi cenni del capo.
“Vi ringrazio Comandante, il vostro aiuto è stato fondamentale e tempistico, vi garantisco fin da ora che, una volta tolto di mezzo Zuril con la fine che si merita, sarete voi a prendere il suo posto. Ora potete andare, grazie ancora e a presto.”

Completamente ignaro di questi drammatici retroscena, il Ministro delle Scienze cominciò a sfregarsi le mani molto soddisfatto dei risultati ottenuti col suo alacre lavoro.
“Con questo sono a posto! Mi rimane soltanto scendere sulla Terra per spostare la base sottomarina e non ci sarà più traccia di nulla: anzi, dirò a Vega che ho trovato uno spazio migliore, più adatto per respingere le difese dei terrestri, dove il Delfino Spaziale finirà sotto il livello del mare, non tornerà più a galla e noi, soprattutto io, vittoria piena, evviva!” gridò lo scienziato facendo una piroetta per la gioia.

Nel lungo corridoio intravide una figura dall’epidermide turchina. Chi poteva essere?
Uno nuovo, un probabile collaboratore di Vega… “Sarà venuto qui a chiedere un lavoro, certo, ma da come se ne sta andando con la coda tra le gambe l’avrà avuta buca, guarda che faccia da cane bastonato”, ragionava tra sé Zuril. Poi, gonfiandosi come un pavone: “Non è un brutto uomo e sarà anche in gamba, ma io sono meglio. Il mio colore è verde speranza intanto, ora che sono appena docciato e depilato, brillo come l’erba a primavera, faccio un gran figurone, che bell’uomo che sono, intelligente non ho bisogno di dirmelo ancora, tanto lo sanno anche i muri… aspetta, manca solo una spruzzata di profumo e sono a posto.
Vado subito a mostrare al sire questi nuovi progetti, sono robot invincibili e mai visti a memoria di veghiano. Sarà così contento che si fiderà solo di me, sarò ancora più invidiato da quell’antipatico di Gandal e da quella insopportabile brutta strega di moglie che si trova sempre appresso, sarò il top dei top, il numero uno, l’invincibile, il…”

Così pensava pieno di boria, mentre a lunghi passi si dirigeva in prossimità della Sala del Trono, preparandosi a bussare con discrezione alla porta.
“E’ permesso? Si può entrare? Disturbo?” Un sorriso inarrestabile gli stendeva le labbra illuminandogli lo sguardo stupidamente sicuro e altero.

“AVANTI!” Tuonò la voce possente di Vega facendo tremare al contempo tutta la stanza.


FINE
 
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CONFIDENZE

1_247

Il lungo filo per stendere il bucato degli abitanti del ranch Makiba si stava lentamente riempendo di un numero interminabile di lenzuoli: Rigel e Hara lavoravano fianco a fianco, dato che avevano deciso di approfittare della bella giornata tiepida e ventosa per fare il bucato. Nel frattempo, conversavano amabilmente tra loro.

“Banta è un gran lavoratore, per questo non ha finito gli studi, vuole aiutarmi in tutto e per tutto, io insistevo perché si diplomasse al liceo insieme a Venusia, sai, intelligente com’è sarebbe potuto diventare chissà cosa, ma non voleva pesare troppo sulle mie spalle e così…” blaterava Hara spiegando bene i panni con le mani e una molletta per il bucato infilata in bocca.

“Infatti”, bofonchiò Rigel a denti stretti. “E’ vero, comunque mia figlia non ha mai trascurato i suoi lavori in casa e alla fattoria, diplomandosi col massimo dei voti; nel frattempo è diventata campionessa di ginnastica, avrai letto il giornale, no? Ha vinto lei la gara, prima campionessa assoluta”, si vantava il ranchero con aria di superiorità verso la sua vicina.
“Sì, ricordo, so che mio figlio le moriva un poco dietro, per fortuna ha fatto retromarcia in tempo; era solo una piccola cotta di passaggio, uno come lui può avere di meglio, non che io abbia niente contro Venusia, per carità, ma un bel ragazzo come il mio Banta può aspirare ad una Miss, non certo accontentarsi di una ragazza come se ne vedono tante in giro…”

“Già, infatti… Comee??? Cosaaa??!!! Come hai detto? Ripetilo, cos’è Venusia???”
Sulla faccia di Hara si stampò un’espressione totalmente stupita e interrogativa mentre lisciava un lenzuolo.
“Perché, cosa ho detto che non va?”
“Hai detto che mia figlia non è nulla, che Banta è meglio di lei, più bello più intelligente, più…”
“Certo, ma ho detto la verità, non è mica un’offesa e non capisco perché ti scaldi tanto.”
Rigel gettò a terra con rabbia una candida federa per cuscini, cominciò a sbraitare agitando le braccia arrabbiatissimo.
“Tuo figlio è un menomato mentale, un’incapace, mangia pane a tradimento, buono a nulla, ladro, infame, magari avesse accanto una che sia soltanto la pallida ombra di Venusia, potrebbe baciarsi i gomiti! Ci ho pensato bene io a tenerlo lontano da lei, sempre a ronzarle intorno, ma col fucile spianato, l’ho fatto sparire lontano tra nuvole di polvere, e tu osi…”
“Si può sapere cosa ti ho detto di così grave? I due ragazzi non erano adatti e sono andati ognuno per la loro strada, tutto qui.”
“No, tu hai detto che Banta è troppo per Venusia, che lei vale poco, ti sei permessa questi insulti…”
Hara si battè la tempia con l’indice per indicare che Rigel stava vaneggiando.
“Guarda che hai capito fischi per fiaschi, quando mai ho avuto da ridire su quella ragazza?
Lavora sodo, studia, si impegna, è carina… solo che il mio Banta la sovrasta di parecchi palmi, tutto qui. Che problema c’è?”
“Te lo dico io che problema c’è, ecco!”
Prese l’enorme secchio colmo d’acqua grigia con l’intenzione di rovesciarlo addosso a quella maleducata che aveva per vicina, ma siccome era molto pesante, gli schizzi finirono su tutto il bucato steso, oltre che sopra i due litiganti.

Da lontano, i lenzuoli così macchiati ricordavano vagamente certe pitture futuristiche molto in voga.

“Allora vi aspetto, a tra poco!”
Alcor aveva appena finito di conversare con Boss, il quale gli aveva promesso di venire prestissimo a fargli visita. Dopo appena un’ora infatti, eccolo al ranch in compagnia dei suoi inseparabili aiutanti Nuke e Mucha.
“Ben arrivati, da quanto tempo non ci si vedeva, entrate, ho tante cose da raccontarvi!”
“Anche noi!” risposero i tre in coro “è un periodo di noia totale, per fortuna esistono gli amici.”
Si accomodarono in veranda, e mentre erano intenti a sorseggiare tè verde e bevande fresche, iniziarono a parlare delle solite cose: i robot da progettare e costruire, idee brillanti, azzardare qualche ipotesi di vacanza.
“A proposito” esordì il capo ingoiando in un solo boccone tre piccoli panini farciti “Sai Alcor, l’altra notte ho avuto un’idea strepitosa per adescare qualche ragazza togliendole di torno tutti i soliti mosconi ronzanti; sai che brillante idea mi è venuta?”
“No, non so” gli rispose Alcor, mentre Nuke e Mucha atteggiavano la loro espressione a disgusto.
“L’altro giorno ho preso dall’orto qualche chilo di ortaggi per il minestrone, ho abbondato con estratto di cipolla freschissima, poi ho fatto una gigantesca spremuta di aglio da bere a piccoli sorsi: era tutto buonissimo, quindi la sera stessa mi sono recato in un locale dove non mancano mai bellezze mozzafiato. Dopo un lungo respiro ho soffiato sopra tutti i maschi presenti, facendoli scappare all’istante.”
“Lo credo bene, ma le ragazze come ci sono rimaste?” gli domandò Alcor trattenendo il respiro, mentre i due aiutanti avevano tirato fuori il fazzoletto e lo tenevano premuto sopra il naso.
“Ora che ci penso.. non so, mah! Si era fatto tardi e se ne stavano andando, ma un’altra volta andrò là molto prima e ti assicuro che le farò cadere tutte ai miei piedi.”
“Su questo non ho dubbi… potrebbe essere un’idea geniale per allontanare i mostri di Vega, è un progetto da applicare al tuo robot; mettiti all’opera e vediamo se funziona.”
“No, per carità” gridò Mucha allarmato “Per due notti abbiamo dormito fuori, in casa l’aria era irrespirabile anche con le finestre aperte.”
Aggiunse Nuke sottovoce ad Alcor: “Abbiamo messo il diserbante su tutte le colture di porri e affini e speriamo basti, perché sai come dice il proverbio: l’erba cattiva non muore mai.”
“Bene ragazzi, si è fatto tardi, andiamo: ciao, Alcor, stammi bene e alla prossima!”
“Che matti quei tre, però avere degli amici così è bellissimo.”

Da molte settimane Hydargos non sentiva più quella vocetta stridula della moglie di Gandal, anzi, a pensarci bene, era un bel pezzo che il suo cranio rimaneva ben sigillato e non gli compariva più davanti quell’essere portatore di sciagure. Ogni volta che lui falliva immancabilmente nel tentativo di distruggere Goldrake, lei lo faceva veramente a pezzi moralmente parlando, molto più di tutti gli altri suoi superiori, i quali, non erano certo mai stati teneri con lui, Vega soprattutto, ma lei era un vero mostro: antipatica, sadica, ignorante, cattiva, brutta, impicciona, supponente, iettatrice… “Poi, quale altro aggettivo posso affibbiarle?” si domandava il veghiano confuso.
“Mah, non saprei, però so per certo che, da quanto non la vedo sono più sicuro di me, il prossimo attacco sarà quello definitivo, me lo sento, vincerò con tutti gli onori. Il problema è che non so quanto potrà durare questo stato di grazia, visto che non ho più notizie di quella donna. Proverò a indagare con discrezione, almeno fosse sparita per sempre… che abbiano divorziato? Potrebbe anche essere, però qui il clima è stato tranquillo: Gandal è sempre lo stesso, non si è assentato a lungo, notule di avvocati non ne ho viste, quindi, dove può essere finita? Forse è andata in ferie da sola o con le amiche? No, impossibile, per una come lei una vacanza sarebbe una sofferenza, con chi se la prenderebbe? Avere delle amiche neanche a pensarci, chi la sopporta?”
Improvvisamente, sul monitor apparve l’immagine del suo sovrano, quindi Hydargos si mise prontamente in orecchio e sull’attenti.
“Sei pronto a sferrare l’attacco col nuovo mostro?”
“Sicuro!”
“Allora muoviti, svelto, non perdere tempo!”
“Subito sire.”
Il veghiano si diresse prontamente verso la Terra col suo disco, intanto ragionava ad alta voce:
“Questo è il giorno della mia vittoria, diventerò Comandante Supremo, quindi, la prima volta che spunterà dalla testa aperta di Gandal quell’odiosa vipera che mi ha sempre ostacolato nei miei successi, non me ha fatta passare una liscia, mi ha sempre infamato davanti a tutti; con la mano la prenderò al volo in una frazione di secondo prima che lei rientri e la butterò nello spazio infinito… anzi, negli abissi di fuoco e ghiaccio. Sparirà per sempre quell’essere diabolico, se ne pentirà di avermi mandato un intero mese nelle miniere di Giove: sempre a sghignazzare, trattarmi come un idiota, un verme! E come si divertiva, lo faceva con un gusto, ma la sistemo io, adesso.”

Il disco era già in prossimità della Terra. Hydargos si sentiva in forma e con una voglia matta di distruggere tutta la base di Procton, i collaboratori, spazzare via tutti gli abitanti del Giappone e non ultimo, ridurre in briciole quel dannatissimo e potentissimo robot fleediano insieme ai dannati velivoli studiati apposta per combattere e vincere sempre meglio.
“Che strano, mi sembra di sentire quell’odiosa vocetta di zanzara, a forza di pensarci ho l’impressione di averla appresso, invece…” disse ad alta voce ridendo di gusto.
Davanti al vetro dell’astronave, si materializzò improvvisamente proprio lei, Lady Gandal, rosso fuoco dalla testa ai piedi, la legittima consorte del Comandante.
“Eccomi qui, in perfetto orario!” disse articolando bene le sillabe con voce ancora più stridula del solito.
A Hydargos venne meno la parola, mentre una miriade di puntini balenanti e a vivaci colori offuscarono la sua vista.
“Ma… ma…come… cosa…?” riuscì a sillabare con un filo di voce molti secondi dopo la “magica” apparizione.
“Sono venuta con te per fare a pezzi Goldrake e compagnia, per poi tuffarci insieme negli abissi siderali, andare ai lavori forzati nelle miniere di Giove, farci a pezzettini in due: è più istruttivo e divertente no? Bella sorpresa, vero? Dimmi che sei contento! Da solo ti saresti annoiato a morte!”
Lady Gandal appariva quanto mai in forma e scattante, corde vocali molto attive, piena di voglia di fare; brillava di luce propria, luce che trafigge, brucia, consuma e disintegra.


Il ranch Makiba, verso l’imbrunire, vide raggrupparsi uno ad uno i suoi abitanti, ognuno col suo carico della giornata trascorsa.
“Ciao, papà, tutto bene col bucato di oggi? Sei sicuro di voler fare sempre tutto a mano anche domani? Non è troppo faticoso?”
“Mmmm… senti Venusia, è ancora attiva la solita lavatrice con asciugatura rapida?”
“Sì, eccome, quando vuoi…”
“Ecco, allora ricominciamo come ai vecchi tempi… il lavoro con gli animali mi lascia poco spazio per le faccende.”
Alcor si avvicinò piano ad Actarus dicendogli: “Ti ricordi Boss? Oggi è venuto qui, pare stia coltivando nell’orto qualche arma micidiale contro i mostri.”
“Davvero? Nell’orto? Ma di che si tratta?”
“Te lo spiego meglio un’altra volta e coi fatti, vedi, a parole è un po' difficile.”
“Ah, beh, sono davvero curioso di vedere.”

Il Dott. Procton arrivò silenziosamente, come sempre educato e inappuntabile.
“Questo pomeriggio stavo per chiamarvi tutti via radio, sul nostro monitor era comparsa la Nave Madre veghiana, ma all’improvviso si è allontanata; i miei collaboratori per ore e ore l’hanno cercata in tutti i modi. Mistero! Non siamo riusciti assolutamente a segnalarla, è davvero un fatto strano.”

Per un istante tutti si guardarono sorpresi, poi i loro sguardi si posarono sui monti e su Mizar che correva contento a cavallo di un nuovo e bellissimo puledro.
La luce rossastra del tramonto sottolineava coi suoi raggi questo quadro, facendolo apparire magico.



FINE
 
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CONGETTURE

1_248

THE TOKIO BALLET - SABATO 5 APRILE – ORE 20,00
Presenta: “LA BAYADERE” Balletto in quattro atti e sette scene, coreografie di Petipa musiche di Ludwig Minkus.


Si arriva puntuali, docciati e depilati.
Ben vestiti e pettinati.
Profumati e rinfrescati.
Si parcheggia vicino al Teatro.
Si entra senza correre e in religioso silenzio.
In caso di difficoltà a trovare il posto, è possibile, con molta discrezione, farsi aiutare dalla maschera.
Mai attirare gli sguardi alzando la voce.

Per tutta la durata dello spettacolo astenersi da qualunque commento vocale, che per quanto gentile, suona sempre di dubbio gusto.
Chi si reca a trovare ristoro al Bar vi rimanga solo lo stretto indispensabile.
Nel caso di necessità della toilette evitare di chiedere dove si trova e chi vi si reca, lo faccia il più discretamente possibile.
All'uscita vanno mantenute le regole sopra descritte.
Classe, sobrietà ed eleganza.


Da almeno un quarto d'ora, Zuril non faceva altro che rigirare tra le mani con sguardo tra l'attonito e lo sbigottito quel cartoncino contente un biglietto per il teatro con ferree regole di galateo allegate.
La suddetta rappresentazione era sulla Terra, per la precisione nella città di Tokio, il giorno... In fondo, c'era la firma di re Vega, non c'erano dubbi, ma che storia era questa?
A quanto ne sapeva, doveva sì, recarsi in Giappone assumendo sembianze terrestri per fare un attentato, ma che c'entrava questo col teatro? Che roba era, poi? “La Bayadere”? Un balletto? Cos'era uno scherzo? Va bene che Vega era il re e lui, benchè eminente scienziato un suo sottoposto, ma essere preso in giro non gli garbava per niente.
“Ora vado a sentire di che si tratta, voglio sapere chi davvero me l'ha mandato; e se fosse uno scherzo di Gandal e signora? Da come gli sono simpatico potrebbe anche darsi, pesce d'aprile scommetto, ma non mi faccio fregare da nessuno, tantomeno da quei due insopportabili.”
Il Ministro delle Scienze si diresse con passo spedito verso gli uffici del sovrano.
La porta era socchiusa, quindi bussò per pura formalità e, senza attendere, entrò nello studio.

“Buongiorno sire, anzi, buon pomeriggio, ecco, io ho trovato questo biglietto sulla scrivania, riportante la sua firma. Non capisco di che si tratta: cosa c'entra il teatro con le spedizioni belliche?”
Il re lo guardò dall'alto in basso con aria di compatimento, poi lo apostrofò con un: “Non capisci? E secondo te, per quale motivo l'ho mandato?”
“Non... non so, avevo ipotizzato un possibile scherzo di qualche mio sottoposto, una piccola vendetta: del resto, l'ultimo mostro progettato da Gandal contro i terrestri non ha avuto un grande successo, anzi una pessima figura ha fatto e, devo ammettere che anch'io ci sono andato pesante con gli insulti, quindi...”
“Nooo!” gridò il re battendo un pugno sul tavolo, mente le carte si sparpagliavano a terra.
“Non ci siamo! Se Gandal ha ideato qualche mostro giocattolo, in quanto a stupidità, tu non sei da meno.”
Zuril sarebbe voluto sprofondare, ma al tempo stesso si sentiva divorare dalla rabbia, mista a senso di impotenza.
“Ci devi arrivare da solo, ecco! All'interno di questa opera teatrale ci sono degli indizi, delle tattiche per battere i terrestri, ma ci dovrai arrivare col tuo acume a capirlo, chiaro?!!!”
“No... cioè sì, va bene, però io...”
“Niente, non ci sono scuse di nessun genere! Corri a prepararti, svelto, su! Sei o no, lo scienziato? Sei o no, il numero uno? Vuoi rimanere al top, o fare una brutta fine?”
“Va bene, va bene maestà, ho capito… cioè… cercherò di capire, perchè adesso proprio non...”
“Fuori di qui!!! Esci!!!”
Rassegnato, Zuril uscì con la coda tra le gambe, sistemò alla meglio le sue cose e partì.

La sera dello spettacolo arrivò puntuale a teatro: il suo posto era in una poltrona centrale proprio in mezzo alla sala; postazione ottimale per non lasciarsi sfuggire nulla.
Il computer oculare era stato potenziato al massimo, anche se ovviamente mascherato per non destare sospetti.
“Che eleganza”, pensò osservando il pubblico maschile e femminile; anche lui però faceva la sua bella figura, col completo nero lucido e i mocassini in vernice.
Il terzo e ultimo squillo del campanello annunciava l'inizio dello spettacolo, quindi le luci si fecero sempre più opache fino a spegnersi insieme ad ogni brusio.

Bayadère I Atto.
Il giovane Solor, dopo una caccia soddisfacente, manda i suoi servitori dal Rayah con una tigre da lui cacciata in dono. Solor rimane al tempio, sperando di essere visto da Nikiya.
Un bramino tenta di conquistare il cuore di Nikiya, che lo respinge. Si propone allora di vendicarsi. Il fachiro Magdaveya avvisa Nikiya che Solor la sta aspettando. Nikiya esce dal tempio con un servo ed incontra Solor, che vorrebbe che lei scappasse con lui. Lei acconsente ma pretende da lui un giuramento d'amore presso un fuoco sacro. Intanto il bramino di nascosto ascolta la conversazione.

II Atto. Il Rayah è impressionato dal regalo di Solor e lo invita, offrendogli la mano di sua figlia. Solor per paura di offenderlo e colpito dalla bellezza di Gamzatti (la figlia del Rayah), scorda la promessa fatta a Nikiya. Una festa è indetta per il fidanzamento. Alle danze di intrattenimento prendono parte la confidente di Gamzatti, Aiya, e Nikiya. Mentre il Rayah viene informato per volontà del bramino della promessa di Solor a Nikiya, questa è avvicinata da Gamzatti, la quale le svela il nome del suo promesso sposo. Nikiya rifiuta di crederle e si scaglia contro la rivale, ma è fermata da un vecchio servitore. Aiya consiglia Gamzatti sul modo per vendicarsi dell'oltraggio subito.

III Atto. Il Rayah ordina che Nikiya balli con le altre bayadere. Durante la danza Aiya le dà un cesto di fiori dai quali spunta un serpente velenoso che la morde. Il fachiro uccide il serpente e il bramino si offre di salvarla, a patto che lei poi sia sua. Nikiya rifiutando, balla fino alla morte.

IV Atto.
Solor è addolorato dalla morte di Nikiya. Il fachiro allora gli consiglia il modo di distogliersi dai cattivi pensieri, sottoponendosi agli effetti di un particolare veleno. Solor cade addormentato e sogna di essere in un posto sconosciuto accompagnato da Nikiya. Il fantasma della bayadera morta gli appare, ma alla fine ritrovando la sua Nikiya, le giura che mai più verrà tradita.

Alla fine dello spettacolo il pubblico era in delirio: ovazioni, applausi interminabili, richieste di bis: gli artisti non smettevano più di ringraziare, dai palchi e dal loggione piovevano fiori. Anche Zuril era suo malgrado entusiasta della rappresentazione, solo che, per quanto fosse stato attento e ripassasse a mente il balletto rileggendo la trama più e più volte durante gli intervalli, niente gli faceva pensare ad un possibile collegamento, un qualsiasi aggancio all'idea di un attentato perfetto a quella sfilza di ballerine indiane e le loro danze folli, quegli amori di gelosia e tradimenti con omicidio annesso, riti indù, il Regno delle Ombre. Ma che roba era? Il suo sovrano era per caso andato fuori di testa, o aveva bevuto?
“Che me lo venga pure a dire lui via radio, che razza di appiglio, di idea, di accidenti ci sta in questo polpettone di balletto, col piazzare una super bomba al centro ricerche di Procton, o scovare il nascondiglio di Goldrake, o sterminare tutto il Giappone”, ragionava tra sé lo scienziato parlando da solo a bassa voce, catturando l'interesse dei vicini di poltrona.
Dalla Base lunare un gran fermento era nell'aria, perché, all'insaputa di Zuril, seguivano ogni suo movimento minuto per minuto e la sua espressione tra il disperato, incredulo e sconcertato insieme ai suoi monologhi, faceva sbellicare tutti dalle risate. La principessa Rubina era la più divertita: era piegata in due dal ridere e dovette massaggiarsi le guance ormai semiparalizzate.
Ad un tratto Vega intimò il silenzio, quindi rimasero sull'attenti.
“Avete visto bene tutti, vero? E' ormai chiarissimo, che questa specie di scienziato è diventato un essere degno da esporre al museo, o meglio da rottamare, un prodotto di scarto. Doveva saperlo da solo che questa era solo una bufala, lo capisce anche un bambino, quindi l'unica cosa saggia e sensata che lui avrebbe dovuto fare, era mettere in atto gli attentati previsti già da alcuni mesi, poi rinviati per cause di forza maggiore; ma siccome col tempo si è via via rincretinito, o affetto da demenza precoce, o altro, non mi interessa, c'è cascato come un pollo e non capisce più cosa deve fare”. Qui il re diede un'occhiataccia nella direzione di Gandal, il quale imbarazzato, volse lo sguardo altrove.
“Comandante Dantus, ora è vostro il compito primario, dò a voi l'onere di conquistare il pianeta Terra e so che ci riuscirete, avete carta bianca fin da ora.”
“Grazie maestà, non ve ne pentirete”.
Seguì un elegante baciamano alla principessa, poi il generale uscì silenziosamente dalla sala.

Ignaro di tutto, Zuril uscì lentamente dal teatro. Cosa avrebbe fatto ora? Lo sguardo distratto si posò sulla locandina dove in ordine di data erano indicati altri spettacoli.

“Carmen”, “Madama Butterfly”, “Excelsior”, “Il Rigoletto”, “La Boheme”: “mica male” pensò, “quasi quasi...”
Una mano femminile si infilò con discrezione sotto il suo braccio, poi, guardandolo dal basso verso l'alto, gli disse: “Buonasera. Scusi se sono inopportuna, ma durante lo spettacolo la osservavo e l'ho visto un tantino spaesato; è la prima volta che viene a teatro, vero?”
“Perchè, si vede?” domandò Zuril imbarazzato.
“Io ho l'abbonamento per due persone: sa, io e il mio fidanzato ci siamo appena lasciati, saremmo dovuti andarci insieme le sere a venire. Le andrebbe di venirci con me? Sempre che le piaccia e non abbia altri impegni, ovviamente.”
La ragazza era molto graziosa in quell'aderente e scollato abito da sera fatto tutto di pailettes rosso fuoco. Sembrava cucito apposta su di lei.
Zuril rimase alcuni secondi a pensare, poi le disse: “Molto volentieri, grazie, e intanto contraccambio il suo regalo con l'invitarla a cena proprio adesso.”
Nel dirlo, la guidò verso la strada prendendola per mano e insieme attraversarono la via.
Alla base lunare Skarmoon intanto, si brindava senza economia.


FINE
 
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SENSI DI COLPA:
A CIASCUNO IL SUO


1_249

“Io... io mi sento in colpa da morire, non ce la faccio più!” mormorò Rubina con gli occhi arrossati e gonfi di pianto.
Da un quarto d'ora si trovava nello studio del padre, ed era accasciata nella poltrona di fronte a lui: a mò di barriera tra i due, c'era la scrivania piena di fogli ordinati raffiguranti le bozze di alcuni nuovi mostri.
Il suo arrivo era stato inaspettato: aveva parcheggiato la Quenn Panther in silenzio e nessuno, tranne Zuril l'aveva notata. Era entrata alla base camminando piano con gli occhi fissi a terra: niente a che vedere col suo passo spedito, altero e sicuro che da sempre la distingueva.
Re Vega era davvero sconcertato. Non aveva mai visto la figlia in quello stato, né durante l'infanzia e l'adolescenza, ma la cosa che lo preoccupava maggiormente era che lei non si decideva a parlare, non faceva che piangere e ripetere di essere più o meno un fallimento, un'incapace, un essere abietto; tutta la sua autostima sembrava piombata dentro un baratro senza fondo.
Provò allora ad indovinare mentre osservava la ragazza che consumava interi pacchi di fazzoletti di carta e una volta usati li appallottolava e gettava a terra. Le prese la mano dicendole piano con voce gentile: “Se ti senti così perchè l'altro giorno hai risposto male a Zuril buttandogli giù il telefono senza salutarlo, non pensarci più, si è già ripreso, anzi adesso lavora che è un piacere, ha fatto una cura ricostituente che gli ha davvero giovato, sai...”
“Non è quello a provarmi dei rimorsi, assolutamente no!” si agitò la ragazza.
“Avevo già dimenticato l'episodio, oltre al fatto che gli ho dato anche del viscido maiale, non mi faccio certo dei patemi nemmeno sul fatto che prima gli ho chiuso di proposito il piede dentro la porta, figurati!” aggiunse muovendo la mano con un gesto infastidito quasi stesse scacciando un insetto.
I toni della sua voce erano bassi, monotoni, incolori, senza espressione, né partecipazione.
“Sì, però Rubina, ti vorrei pregare di lasciarlo lavorare in pace adesso, perchè vedi, anche ci sono stati dei brutti momenti nei mesi passati e come ben sai, sono stato davvero ad un passo per eliminarlo, devo però riconoscere che è un genio, oserei dire che è insostituibile, per cui ignoralo, lascia correre, come non esistesse...”
“Capisci o non capisci che non mi interessa niente, niente di niente, mi senti quando parlo??!”
La principessa si era alzata dalla poltrona in preda alla disperazione con le mani tra i capelli. Adesso non mostrava rimorsi, ma rabbia nel non sentirsi capita: la sua voce era alta, e quasi isterica, poi si buttò nella poltrona sfinita, depressa e spenta come prima.
“Calmati, siediti e parliamo, aspetta”. Premette un pulsante, e dal muro uscì un vassoio con una tazza fumante, mentre lui distrattamente si versava un goccio di vermuth.
“Ecco, bevi questa tisana calmante, asciugati gli occhi, poi dimmi tutto ciò che ti fa così soffrire. Perchè dici di essere un mostro, una buona a nulla, prima hai accennato che non saresti mai voluta essere nata, ma come? Io sto male a vederti così, mi fai sentire un padre che non vale niente, mi chiedo in cosa ho mancato con te. Lo so, non hai più la mamma da quando eri piccolina, hai avuto poche amiche, pochi svaghi, ma sei giovane, bella, colta, intelligente e con tutta la vita davanti. Cosa ti manca?”
Re Vega parlava alla figlia con tono accorato e modi pacati, avrebbe dato tutto pur di vederla di nuovo felice; quando gli sembrava di perdere la pazienza di fronte al tergiversare di lei, si pentiva subito e un'ondata di compassione lo invadeva da capo a piedi. In quel momento sentiva di amarla tantissimo, mai come in quel momento l'aveva sentita sua e desiderava solo il suo bene e la sua gioia.
Il fatto grave era che lui si sentiva totalmente spiazzato e impreparato: un cataclisma, un’esplosione di vegatron, la notizia di un’insurrezione degli abitanti di Rubi con la figlia gravemente coinvolta, non lo avrebbero meravigliato di più.
La ragazza aveva gli occhi e il viso arrossati dal pianto, il naso gonfio, mentre singhiozzi involontari e inarrestabili le squassavano il petto facendola tremare. Provò a parlare senza riuscirci, le frasi uscivano rotte e incomprensibili, aveva un tremito convulso, poi una nuova crisi di pianto interminabile tornava a sconvolgerla.
Passarono così altri dieci minuti, intanto il sovrano passava mentalmente in rassegna con terrore, le malattie di tutti i suoi antenati e quella della moglie. C'erano stati casi di pazzia in famiglia? Disturbi bipolari, maniacali, ossessivi, schizofrenia, tentativi di suicidio, depressione cronica?
Non gli sembrava, rifletteva alternando lo stato d’animo tra il terrore e il sollievo, quindi cosa c'era? Bisognava che Rubina si decidesse a parlare una buona volta, accidenti, era pur sempre suo padre, se non si fidava di lui di chi avrebbe dovuto fidarsi, allora?
Una delusione amorosa? No, se anche fosse, quelle non generano sensi di colpa. E poi, da quando in qua i veghiani soffrivano di sensi di colpa? Mai e poi mai, che diamine!
Cos’erano questi sensi di colpa? Chi li aveva mai sentiti nominare?
Consultò rapido il computer, digitò nella tastiera “sensi di colpa: significato”. Non ci capiva nulla, buio, vuoto. Con gesto nervoso chiuse il coperchio e scrutò la ragazza senza che nessuna piccolissima luce gli illuminasse la mente.
Tentò qualche ipotesi e con voce esitante chiese: “Per caso, temi di non aver sterminato tutti gli abitanti di Altair in quel famoso genocidio? Guarda, che se anche qualcuno di loro è rimasto vivo non c'è da preoccuparsi, sono innocui, non hanno più niente, creperanno comunque di stenti, inquinamento... dalle stime che ho ricevuto, so che almeno un miliardo di loro sono schiattati.”
“No, non c'è rimasto vivo nessuno, sono sicura perchè me ne sono occupata personalmente: su questa vicenda sono con la coscienza totalmente a posto”, mormorò la ragazza alzando di poco lo sguardo in direzione del proprio genitore, ma senza che il suo umore ne giovasse. Col dorso della mano intanto, si puliva una goccia dal naso.
“Non è questo che mi fa soffrire, è cosa ben più grave, così grave che non riesco a parlarne nemmeno con me stessa, sono un mostro.”
Attonito e sbalordito Vega la guardò: faceva veramente pena, ancora qualche giorno, ma no, qualche ora e sarebbe morta di crepacuore, decise quindi il tutto per tutto. Superò la barriera che li divideva, avvicinò la sua poltrona a quella della figlia, le prese entrambe le mani e le parlò a cuore aperto e sincero.
“Rubina, tu sei l'unica figlia che ho, l'unica erede, io ti voglio un bene dell'anima, quindi qualunque cosa tu abbia fatto, fosse anche contro i miei sudditi, contro i nostri interessi, contro l'impero di Vega e anche contro di me, io ti dico fin da ora che ti perdono in tutto e per tutto, ma parla, ti prego.”
Con circospezione si guardò attorno e bisbigliando disse: “Ti sei messa in contatto con i terrestri e hai svelato a Duke Fleed dov’è la nostra base? Gli hai dato informazioni segrete e importanti? Vuoi tornare con lui, sposarti, farti una famiglia, avere una vita tranquilla? D’accordo, mi va bene, pur di farti contenta e vederti di nuovo felice, io ti prometto fin da ora di bruciare tutti questi progetti bellici nuovi fiammanti.”
La ragazza negò lievemente col capo, poi col tono di chi sta esalando l’ultimo respiro sussurrò:
“No, molto peggio.”
Re Vega si sentì cadere da un precipizio, quindi giocò l’ultima carta, dopodichè avrebbe alzato bandiera bianca, arreso e sconfitto.
“Hai messo del veleno dentro il mio bicchiere? Va bene, lo accetto, però prima di morire devi dirmi cosa hai nel cuore, cosa ti tormenta, tutto il resto non ha valore e me ne andrò in pace.”
La ragazza tirò su forte col naso, alzò il busto e fiera come Maria Antonietta al patibolo, si decise a dire con voce sicura: “La settimana scorsa sono andata da sola in sopralluogo di un pianeta da sottomettere, solo che...”
Una smorfia che preannunciava una nuova crisi di pianto la interruppe, il padre le strinse le mani per farle coraggio, incitandola a proseguire.
“Sai, è davvero un luogo ricco e molto bello anche, fin troppo. Ecco, io... quando una mattina mi sono trovata su quella spiaggia tutta bianca con la sabbia così fine che sembrava di seta, le palme, un mare così blu che al suo confronto, il colore dei miei occhi scompare... io... cioè voglio dire, è come che si fosse mosso qualcosa dentro, non volevo più andare via, i miei piedi sembravano di marmo, ero in estasi, non mi sono mai sentita così in tutta la vita. Quando più tardi mi sono ripresa cercando di ragionare, ho capito che mai e poi mai avrei potuto compiere omicidi, vandalizzare quel luogo di incanti, perchè ogni cosa mi affascinava, anche le persone, tutto! Di conseguenza ho avuto la certezza che mai più sarei riuscita a soffocare le rivolte nel sangue come ho sempre fatto. Tutto ciò non ha mai fatto parte del mio essere, questo cambiamento mi ha colta del tutto impreparata, quindi ho pensato: mai chi sono io veramente, cosa ci sto a fare? Quello di cui ero certa è che non volevo andarmene e la mia è una duplice sofferenza, sì, perchè soffro di nostalgia e mancato senso del dovere al contempo, ed è per questo desidero solo morire, anzi, vorrei non essere mai nata.”
Si prese il viso tra le mani, sopraffatta dalla vergogna e dai rimorsi.
L'espressione del sovrano si aprì in un largo sorriso: con garbo liberò il viso dalle mani della figlia e ammiccando le disse: “Da quanto mi dici, sembra il luogo ideale per una vacanza da re! Il posto giusto per ritemprarsi dalle fatiche, dagli obblighi, dallo stress, dai sudditi, no?”
Rubina aveva gli occhi vacui e interrogativi. Cosa le stava dicendo?
“Senti bene, allora: io te, ce ne andiamo là subito e di corsa, senza salutare nessuno, avvertiremo tutti una volta arrivati. Che ne dici? Partiamo immediatamente, dai, non guardarmi così, dico sul serio: da alcune settimane quei tre là si stanno comportando davvero bene, gli ho fatto prendere una paura coi fiocchi minacciandoli di sostituirli e disperderli negli spazi siderali, quindi posso davvero lasciali soli per almeno due settimane e per tutto quel tempo faremo solo quello che desideriamo come due turisti. Anzi, siamo davvero due stranieri in vacanza e ti garantisco che dopo questa meritata parentesi, diventeremo più cattivi e agguerriti che mai, pronti a conquistare l'universo e perchè no, anche altri universi se ci sono e se non esistono, ce li inventeremo!”
“Davvero? Ho sentito bene?” chiese lei incredula. La ragazza parve riaversi, gli occhi si spalancarono luminosi e gioiosi.
“La mia Quenn sarebbe da revisionare, mi dà qualche problemino e va così piano...”
“Niente, prendiamo il missile più veloce! Ho fretta di arrivare, non vedo l'ora, vorrei essere già là!”
Nell’arco di un’ora, erano già arrivati e sistemati; per tutta la durata del viaggio, Rubina aveva riempito di lacrime, stavolta dovute al sollievo, almeno un centinaio di fazzoletti di carta.


“Alcor? Alcor? Mi senti? Mi vuoi dire cosa ti prende?”
“Perchè cos'ho di strano?”
“Ti sei visto?
“No, ma ho una rabbia mista a rimorso, che spaccherei tutto!”
“Lo vedo, ma io che c’entro?”
“Che c’entri? Proprio tu, stamattina mi hai fatto le carte con aria da “signora so-tutto-io” e con l’indice alzato, mi hai garantito che oggi era il mio giorno super fortunato. Dico bene?”
“Mi ricordo, quindi?”
“Sono balzato in sella alla nuova moto per provarla, ho guidato fino a Tokio… sono sceso un momento all’edicola e quando ho fatto per riprenderla non c’era più! Rubata, rubata, capisci, con quello che è costata. Sono tornato qui con l’autobus e i nervi a fior di pelle!”
“Avevi spento il motore, quando sei sceso?”
“No, figurati, il giornalaio era a pochi metri: trenta secondi ci ho messo!”
“Bè, intanto che c’eri, potevi anche attaccare alla moto un cartello con su scritto: “Rubatemi pure” lo stuzzicò Maria ridacchiando, mandando ancora di più in bestia Alcor.
“La smetti di ridere? Lo sapevo, facevo meglio a stare zitto, non mi posso fidare di te”.
“Davvero?” lo apostrofò Maria, mentre con un fazzolettino si asciugava le liete lacrime.
“Vieni con me”. Lo condusse alla porta del garage e la motocicletta era proprio lì.
L’espressione sconvolta e muta di Alcor era uno spasso.
Con calma e pazienza, Maria gli spiegò:
“Quando sei partito di corsa, io ti ho chiamato più volte, ma tu niente, nemmeno hai girato la testa. Ho provato con la radio, neanche ti sei degnato di controllare. Se fossi stato più attento ai discorsi, avresti saputo che, siccome la moto è nuova, il rivenditore ci aveva fin da subito raccomandato che prima di usarla, necessitava di una messa a punto dal meccanico per un piccolo difetto di fabbrica, una cosa da nulla, però se trascurato rischia di lasciare a piedi il conducente. Ho quindi telefonato al tecnico dandogli indicazioni dove tu saresti potuto essere: lui fortunatamente era in zona, ha trovato il mezzo ancora acceso in pieno centro della città, ha riconosciuto la targa e l’ha portata in officina per finire il suo lavoro. Come vedi è tutto a posto e se vuoi possiamo andare a farci un bel giro insieme!”
Alcor scoppiò finalmente a ridere e tutto il malumore svanì in un attimo.
“Va bene Maria, sei davvero eccezionale, devo fidarmi di più di te! Vuoi guidare tu?”
“Sì! Andiamo, oggi è vacanza!”

“Grazie Dott. Procton, a stasera!” disse Venusia avviandosi lentamente verso l’automobile, aspettando che Actarus e il dottore si scambiassero le ultime impressioni.
Pochi minuti dopo, i due giovani erano pronti per tornare alla fattoria.
“Cosa ti succede Venusia? Mi sembri preoccupata”.
“Io… ecco io… mi sento in colpa… in colpa nei confronti di Maria.”
“Come? L’ho vista poche ore fa, ed era piuttosto contenta”.
“Lei ancora non lo sa, ma io sono in torto nei suoi confronti”.
“Vuoi spiegarmi tutto per bene, fin dall’inizio?” nel dire questo, Actarus spense il motore e attese.
“Quando ieri hai abbattuto quel mostro con l’aiuto della Trivella Spaziale, teoricamente sarebbe dovuta venire Maria, invece ero io… e la cosa grave è che lei non sa niente, non l’ho avvertita. Temo di averle fatto un grosso torto, sto male, se glielo dico ci rimarrà malissimo e se taccio…”.
Actarus la fissò qualche istante, poi scoppiò a ridere di cuore.
“Ma ancora non hai imparato a conoscere mia sorella? Da quando in qua macina rancore, tiene il muso? Mai, eppure con Alcor ne ha di battibecchi, ma tempo pochi minuti e non li ricorda più! Non mi sorprende che fossi tu a guidare la Trivella, lei non ha la tua prudenza, sulle prime ho pensato che avesse finalmente imparato ad essere meno impulsiva… o forse eri salita tu, come infatti è stato”.
Con tono più basso, ma più serio e grave, aggiunse: “Neppure con me ha mai serbato rancore… sa bene che non è certo merito mio se è viva e vegeta”.
Venusia sorrise felice, poi corsero al ranch, giusto in tempo per incrociarsi con Alcor e Maria che tornavano dalla direzione opposta.

“Ciao!” Si salutarono festosi, ma dopo un istante il sorriso sparì dalle loro labbra.
Dalla porta della casa e dalle finestre usciva un fumo nero e denso come la pece, Mizar corse fuori.
“Mizar! Cosa è successo? Dovè papà?” chiese Venusia col cuore in gola.
“E’ dentro e sta bene, solo che è disperato e si sente in colpa, perché ha bruciato tutta la cena che aveva preparato per la festa del dott. Procton. Vieni per favore!”
Tutti corsero in cucina; Rigel stava per terra insieme agli avanzi di pollo carbonizzati, li fissava, mentre grosse lacrime gli scendevano dagli occhi.
“Sono un buono a nulla! Guardate che disastro!”
Da un cassetto rovesciato, cercava un coltello, il più appuntito di tutti.
“Che figura da scemo… quindi ho deciso, faccio harakiri e non provate a fermarmi, dopo una figuraccia del genere non voglio più vivere!”
“Rigel, smettila di dire idiozie!” disse Alcor sfilandogli di mano il coltello.
“Guarda cosa abbiamo comprato in città per la festa di stasera”.
Apparvero sulla tavola alcuni vassoi di cartone contenenti le migliori specialità giapponesi. Con umore sollevato apparecchiarono nella grande sala, mentre Procton e i collaboratori scendevano dal furgone.
Rigel si stava già riprendendo e uscì nel cortile per salutarli.
“Caro Procton, è sempre un piacere averti qui, entra, entrate tutti, guardate cosa ho preparato da solo mentre questi fannulloni erano a zonzo tutto il pomeriggio.
Non mi hanno aiutato per niente, solo Mizar ha fatto qualcosa, per cui…”
“Per cui ci mettiamo subito a tavola, sennò si raffredda con le tue ciance (e bugie)” dissero tutti in coro con una gran risata.


FINE
 
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view post Posted on 22/4/2023, 16:08     +1   +1   -1
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Professore della Girella

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VISITE MEDICHE

1_250

“Avanti le prossime: le signorine… Venusia Makiba e Maria Grazia Fleed!”
Le due ragazze entrarono nello studio e il dottore le ricevette cordialmente consegnando loro il risultato delle analisi.
“Complimenti, sono perfette, non c’è nemmeno un asterisco! Molto bene, continuate così!”
“Grazie dottore, le posso fare una domanda?” chiese Venusia titubante e con una punta di apprensione nella voce.
“Prego, chieda pure.”
“Gli esami di mio padre, come vanno?”
Il dottore sorrise e la tranquillizzò subito.
“Vanno bene, non si preoccupi, solo una raccomandazione: tende ad avere la pressione un po' alta, quindi qualche caffè e arrabbiatura in meno magari. L’ho visto piuttosto nervoso, ma deve far parte del suo temperamento, credo.”
Venusia sorrise e capì al volo, mentre Maria rideva di cuore portandosi una mano alla bocca.
Uscirono svelte, avevano molte commissioni e faccende da sbrigare: c’era ancora una lunga fila di persone che attendevano il proprio turno.

Di recente, un importante studio medico si era offerto di fare esami gratuiti nella zona del ranch Makiba, quindi anche i proprietari delle fattorie confinanti erano stati invitati.
Il laboratorio di ricerche del Dott. Procton era il luogo ideale: grande, spazioso, moderno e luminoso. Per tre giorni aveva ospitato oltre un centinaio di persone che, fin dall’alba, si erano recate per i prelievi, e ora attendevano il loro turno per ricevere il responso insieme ad un breve, ma esauriente colloquio col medico.
Procton diede un lieve colpo sull’uscio, poi mise il capo dentro la porta: “Scusi, dottore, posso far entrare adesso due persone? Hanno piuttosto fretta.”
“Chi sono?” chiese il medico guardando al di sopra degli occhiali.
“Sono madre e figlio, Hara e Banta Harano.”
“Un momento, loro due per ultimi se non le dispiace, devo fare un discorso piuttosto lungo.”

Dopo un’ora e mezza, i due vicini di Rigel, finalmente poterono entrare.
“Prego, accomodatevi, scusate se vi ho fatto aspettare, ma devo farvi un discorso molto serio e complesso, quindi ascoltatemi bene.”
Il dottore aveva buttato gli occhiali sulla scrivania e teneva le punte delle dita premute sugli occhi, nel duplice tentativo di riprendersi un attimo dopo le fatiche della mattinata e concentrarsi al fine di spiegarsi bene coi due che gli stavano di fronte.

Hara e Banta lo ricambiarono con un’espressione ebete e impaziente: la fattoria e gli animali reclamavano la loro presenza da molte ore, e anche il loro stomaco dava chiari segni di languore per il prolungato digiuno.
“Dunque, voi siete madre e figlio, giusto?”
I due assentirono con un cenno del capo.
“Sarò chiaro: così non potete andare avanti, da oggi dovete subito cambiare regime se volete una vita lunga e in buona salute”, disse loro il dottore fissandoli dritto negli occhi.

Tirò fuori la cartella con le analisi e gliele mise davanti, poi con la biro teneva il segno perché potessero seguire le voci che elencava.
“Colesterolo: la signora ha ben 350, suo figlio 370.
Glicemia: veramente troppo alta, diabete dietro l’angolo!
Trigliceridi: 500 mg.
Pressione arteriosa: non ve lo dico, altrimenti si alza ancora.
Non sono qui per spaventarvi, ma per aiutarvi ora che siete ancora in tempo: vedete, in questa lista è indicato un regime alimentare che dovete seguire, altrimenti non sperate di vivere a lungo e tantomeno in buona salute. Mi spiego?”
“Scusi dottore, ma noi lavoriamo tutto il giorno, se non mangiamo cadiamo a terra svenuti; il mio Banta deve ancora finire di crescere…” l’interruppe Hara con tono che non ammetteva repliche.
“Signora, evidentemente le entrate superano le uscite. Intanto, siete entrambi decisamente sovrappeso, dovete darvi una regolata; se lei continua così, tra qualche anno mi rimane paralitica, e in tali condizioni, come pensa di poter lavorare? Gotta, diabete, ipertensione, le dicono niente queste parole?
Suo figlio cosaaaaaaa? Deve finire di crescere? Mi faccia il piacere, è cresciuto abbastanza, è ora di finirla! Guardi che dico sul serio, o cambiate subito, o la vostra vita durerà ancora pochi anni, fate voi, io vi ho avvertiti.”
“Cosa dobbiamo fare? Non capisco”, borbottò Hara.

“Ripeto: qui c’è uno schema alimentare, voi lo seguite, tra un paio di mesi mi ripetete tutte le analisi, poi facciamo il punto della situazione.”
“Veramente noi stiamo già bene così, siamo pieni di salute…”
Il dottore si alzò arrabbiato, buttando gli occhiali sul tavolo.
“State scoppiando di salute, altro che storie! Non mi crede? Allora, mi dica perché questa mattina è venuta qui in ciabatte, mentre ieri calzava stivali di gomma! Forza, me lo dica, io ascolto.”
“Ma… ecco, io…”
“Semplicemente perché trattiene i liquidi! Già le stavano stretti quegli orrendi affari verdi di plastica, oggi non le entrano più! E non mi tiri fuori il solito discorso che ormai è una frase fatta: elevato tasso di umidità, fa più caldo, di conseguenza il gonfiore è inevitabile, bla, bla, bla. Tutte scuse!” urlò a tonsille spiegate battendo un pugno sul tavolo.
“E perché trattiene i liquidi, secondo lei?” l’apostrofò puntandole il dito.

Silenzio di tomba nello studio.
“Perché mangia male, troppo salato, troppo unto, troppo tutto, ecco!!!”
“Va bene ho capito, non sono mica di coccio sa, non c’è bisogno di scaldarsi tanto” bofonchiò Hara risentita e offesa.
“Se è vero che ha capito, io oggi mi invito a pranzo a casa sua, cosa mi offre? Dica, l’ascolto” chiese il dottore recuperando tutto quel che aveva rimasto della sua pazienza. Stava in bilico su una gamba della sedia a braccia conserte in attesa del menu tutto salute.

Hara congiunse le mani e, illuminandosi, diede fondo a tutto il suo repertorio gastronomico, vantandosi di essere un’ottima cuoca, la migliore di tutta la zona.
“Mi avevano offerto un posto in un locale dicendomi: decida lei il salario, ma ho dovuto rifiutare, la fattoria mi impegna così tanto che…”
Il dottore la bloccò subito con un gesto della mano.
“Cosa trovo in tavola, se oggi sono ospite da lei?”
Dentro quello studio, venne sciorinato l’elenco di tutti i piatti messicani e giapponesi più elaborati, grassi, saporiti che lei conosceva.
Hara continuava ad accrescere con parole e gesti il suo vastissimo repertorio.
Il dottore in silenzio si alzava, sistemava le sue cose dentro la valigetta, controllava non mancasse nulla dalle tasche e si avvicinava all’uscita.
“Allora, a dopo vero? E’ nostro gradito ospite!”
Tese loro la mano e li liquidò con questa frase in tono asciutto e neutro: “Ho il carnet pieno di impegni per i prossimi due anni a venire: impegni ai quali non posso assolutamente mancare, quindi declino l’invito, perché non potrei certamente onorarli se mangio anche uno solo di quei piatti che intende rifilarmi. Vi saluto, state bene e a mai più arrivederci.”
Uscì alla svelta: il Dott. Procton intanto, lo salutava e ringraziava con calore, augurandogli un felice rientro.

Hara e Banta uscirono perplessi buttando di tanto in tanto un’occhiata ai fogli: avevano capito poco durante la visita, capivano ancor meno leggendo quei numeri con istruzioni annesse.
Alla fine decisero che era qualcosa di oscuro, mafioso forse, era meglio per tutti liberarsene una volta per sempre. Buttarono nel primo cestino che incontrarono tutta quella inutile carta e, sollevati, corsero al supermercato per la mega spesa settimanale.


L’assistente del luminare scienziato entrò nella sala d’aspetto dove i coniugi Gandal attendevano il loro turno.
“Potete entrare, il dottore vi aspetta.”
La ragazza aprì la porta e la richiuse subito alle sue spalle, dopo averli fatti accomodare: teneva in mano una cartella, era giovane e graziosa, molto professionale nei modi e l’atteggiamento.

I Gandal intanto, due esseri in un corpo solo, con una certa soggezione fissavano le pareti dello studio austero, mentre l’illustre medico sfogliava con pignoleria estrema la loro cartella clinica, si soffermava sulle date, i controlli, ma soprattutto non si stancava mai di esaminare con minuzia l’intero fascicolo dove nel dettaglio era descritta l’operazione subita da Gandal dopo che l’astronave sulla quale viaggiava insieme a Hydargos aveva preso fuoco e il suo sottoposto era perito nel frontale contro Goldrake, mentre “lui-loro” si “era-erano” salvati per miracolo.

Alla parete era appeso un quadro dove si attestavano tutti i titoli conseguiti dal professionista: medico chirurgo, neurologo, master in psichiatria, laurea col massimo dei voti e con lode, corsi all’estero, l’elenco era infinito… e anche l’attesa, ma quanto ci metteva a parlare?
I due coniugi stavano composti: in tacito accordo avevano equamente diviso il cranio metà maschile e metà femminile, per agevolare il colloquio e la diagnosi.
Si sentivano come due scolaretti in attesa del voto sul compito svolto, nemmeno di fronte al loro sovrano erano mai stati così in soggezione: volevano dare buona impressione e si ripromettevano di parlare educatamente e non scavalcarsi come spesso facevano.
Finalmente il dottore finì di ordinare meticolosamente i fogli, chiuse la cartella e con gli occhi fissi su di loro si pronunciò.
“Il vostro caso mi era già noto, in quanto ai tempi dell’incidente e della successiva operazione, ci sono state diverse pubblicazioni sul fatto, anche all’estero, anzi, in molte università viene studiato, alcuni studenti azzardano l’argomento di discussione nella tesi di laurea, si prova a ripetere l’operazione usando cavie, la ricerca continua.”
Una pausa, mentre con una biro tracciava strani segni sul foglio.
“Come già sapete, io ho diverse lauree ed altrettante specializzazioni e da quanto emerge dalla vostra cartella non vedo patologie di sorta, anzi, mi complimento con voi per le ottime analisi. Credo quindi che il movente che vi ha fatto scomodare per arrivare fin qui, sia di natura ben diversa da malattie e diagnosi standard. Chi se la sente di cominciare?”

Lady Gandal prese subito la parola.
“Ecco, dottore, io ho alcune cose molto importanti da dire. Prima di tutto, dal giorno in cui ci fu quel terribile scontro e il successivo incendio, si è sempre dato solo importanza a mio marito perché era la parte visibile, quella che tutti vedevano, operavano, curavano, ma nessuno, dico nessuno, si è preoccupato per me, di come mi sono sentita in quei terribili momenti, del dolore fisico, della solitudine, del senso di soffocamento. Per diversi giorni non sono mai potuta uscire e, non ultimo, a nessuno è mai importato come… come io mi sentivo e mi sento tutt’ora con un altro aspetto: non ho più un corpo solo mio e quindi femminile, ma lo condivido con il mio coniuge, che è un corpo maschile!”
La donna aveva parlato con foga e il suo respiro diveniva sempre più affannato, ma si vedeva che era solo all’inizio del suo sfogo, quindi prese fiato e continuò.
“Quando ci fu l’incendio, la faccia visibile dall’esterno era solo quella maschile, ma io ero dentro, credevo di bruciare, mi sentivo davvero incendiare: ho cercato di uscire come facevo sempre quando avevo un corpo molto piccolo, ma solo mio. La porta era sigillata, chiusa a doppia mandata. Ho capito che era la fine, non sarei sopravvissuta, e credo a quel punto di avere perso i sensi.”
“Cosa ricorda del dopo, di quando si è ripresa, e quando ha avuto contatto con la realtà?” domandò lo scienziato fissandola con gli occhi stretti in due fessure, mentre continuava a scribacchiare strani geroglifici.
“N… non lo so… non ricordo, ho rimosso, io…”
La voce si incrinò dall’emozione e per alcuni minuti le fu impossibile parlare.
“Prenda un po' d’acqua, poi vada avanti, è molto importante.”
“Qualcuno ha accennato che sono rimasta in coma alcuni giorni, ma non l’ha detto a me, è un qualcosa che ho captato nell’aria, perché, ripeto, non mi è stato spiegato niente, o meglio, niente sul mio stato di salute e trauma, perché quando tutto si è risolto, i miei compiti e ruoli di responsabilità lavorativa, mai vennero trascurati. In poche parole, vedendo che ero in salute, per tutti ero a posto.”
“Dalla foto del suo stato fisico precedente, noto infatti che lei era tutta un’altra persona, se non sapessi fosse lei, non potrei riconoscerla, quindi il suo processo di elaborazione al cambiamento è appena iniziato, la sua identificazione con sé stessa è ancora allo stato embrionale, molto primitivo.”
Dopo una breve pausa aggiunse: “Questo momento delicato, come lo vivete? C’è supporto reciproco?” indagò il dottore puntando la punta della matita ora all’uno, ora all’altro con fare inquisitorio.
“Certamente dottore, garantisco io! Amo, stimo e ammiro mia moglie, non potrei vivere senza di lei, non le faccio mancare niente…” gridò Gandal battendosi il petto con orgoglio.
“Un momento!” con un gesto della mano, il medico lo interruppe.
“Se mi dice che non può vivere senza di lei, ha scoperto l’acqua calda! Ognuno di voi due rimane in vita finchè l’altro è vegeto, i vostri organi vitali sono in comune. Quello che volevo sapere è se, quanto ora la signora ha appena illustrato, ne aveva già parlato con lei, se c’è sostegno morale, confidenza, insomma. Guardi questo volume di Erich Fromm: “L’arte di amare.”
Sfogliando le dita, elencò uno alla volta i presupposti fondamentali della vita di coppia scritti in quel volume: “Rispetto, Responsabilità, Conoscenza, Premura.”
“Che cosa sono?” chiese Gandal cascando dal pero.
“Sono quelle cose che a voi mancano completamente da quanto vedo, e questo è un lavoro che dovete fare insieme, sennò non ne uscite, perché, parliamoci chiaro, se uno di voi due si stanca del coniuge, si innamora di un altro, vuole fare un viaggio da solo, o ancora divorziare, non lo può fare, quindi si deve trovare un modo giusto per coabitare. Né la parte maschile, né la parte femminile devono prevalere, non devono sopraffarsi, ma integrarsi, pur mantenendo due ruoli ben distinti. Nel vostro caso, la signora parte svantaggiata per almeno due motivi: uno, è stato lo stravolgimento totale della sua immagine esteriore, il secondo è che ora di femminile ha solo la faccia, il corpo no, mentre prima era autonoma, una miniatura di donna, ma singola, staccata, anche se entrambi legati a filo doppio. Mi spiego?”
Entrambi assentirono col capo.
“Ci sono domande?”
“Sì, vorrei capire ancora una cosa, dottore. Quando ero dentro la testa di lui, non mi curavo del mio aspetto, né della mia persona, ora invece ci tengo moltissimo e non sa quanto mi pesi non poter indossare dei begli abiti, sandali tacco dodici, per non parlare di quegli artigli che lui tiene al posto delle unghie.” Abbassando la voce, aggiunse: “Si lava poco, quando dorme russa, è villano…”
“Io sono a posto così, invece, ho capito e ho fretta di rientrare alla base” disse lui.

“Va bene, potete andare, ma vi fisso un altro appuntamento per il mese prossimo, voglio vedere dei cambiamenti. Per prima cosa leggete il libro che vi ho dato, poi mi consulterò coi colleghi per sapere se sarà possibile, attraverso un’operazione, dividere anche il resto del corpo metà donna e l’altra metà uomo.”
Gandal si alzò dalla sedia furibondo.
“Questo mai e poi mai, non lo permetto, io non intendo operarmi mai più, altrimenti chiederò il divorzio!”
Il dottore si alzò, lo scrutò a lungo con aria grave, tese la mano e disse: “Vedo con piacere che ha seguito con molta attenzione tutto il nostro colloquio, quindi non c’è bisogno di altri appuntamenti, addio.”
“Io invece voglio tornare”, disse la moglie inviperita, “E se tu non vorrai seguirmi, verrò da sola!”
“L’uscita è da quella parte, buona serata” li congedò il medico scuotendo il capo.
Quel giorno, realizzò che tutte le sue lauree, master e aggiornamenti, erano diventati all’improvviso solo carta straccia.


FINE
 
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